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LA QUESTIONE DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO Author(s): EZIO FRANCESCHINI Source: Aevum, Anno 30, Fasc. 3 (MAGGIO - GIUGNO 1956), pp. 213-238 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20858923 . Accessed: 17/06/2014 07:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.198 on Tue, 17 Jun 2014 07:52:03 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

LA QUESTIONE DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO

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LA QUESTIONE DELLA REGOLA DI S. BENEDETTOAuthor(s): EZIO FRANCESCHINISource: Aevum, Anno 30, Fasc. 3 (MAGGIO - GIUGNO 1956), pp. 213-238Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20858923 .

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EZIO FRANCESCHINI

LA QUESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO*

Per sccoli non e esistito alcun problema, ne storico ne critico, in

torno alia Regola di S. Benedetto. II testo tradizionale, anche in eta

moderna, soprattutto dopo le fondamentali ricerche del Traube sulla tradi

zione manoscritta, continuava a diffondersi tranquillamente ed uniforme

mente, e ad alimentare, fonte sacra ed indiscussa, la spiritualita bene

dettina dentro e fuori le mura dei monasteri.

Pur lievemente modificato nella forma primitiva, per quel medesimo

preconcetto umanistico che da Urbano VIII in poi ha ricoperto di un

gelido ghiaccio di perfezione classica Toriginaria bellezza degli inni

del breviario (1), il testo si diffondeva in quella sua armonica e quasi

lapidaria compostezza che gia Oregorio Magno aveva riconosciuta e

lodata nel giudizio famoso: discretione praecipua, sermone luculenta

(Dial. II, 36). Non era certamente ignoto che S. Benedetto, nel com

porre la Regola, aveva avuto dei precedenti e delle fonti, che egli stesso ricorda nelF ultimo capitolo (Reg., cap. LXX.III ). Ma il suo testo

appariva, nella sostanza, come un alto monte isolato, dal quale ogni altro testo medioevale di legislazione monastica aveva tratto origine:

(*) Riproduciamo, per cortese concessione del ?Cenfro italiano di studi suH'alto Me

dioevo? e del suo Presidente prof. Giuseppe Ermini, la parte sostanziale della relazione

tenuta da Ezio Franceschini a Spoleto il 12 aprile del corrente anno durante la IV Set timana internazionale di studi promossa dal Centro sul fema ?11 Monachesimo neiralto

medioevo e la formazione della civilta occidentale?. Alia Settimana, conchiusasi a Norcia,

sono convenuti studiosi da ogni parte d'Europa.

(1) Per tali modificazioni, e per le ragioni cui sono dovute, si veda per es. la prefa zione dell' abate Placido Lugano alia sua edizione. II testo che presenta, egli dice (pp. X

XI), tiene conto delle ricerche dello Schmidt, del Woelfflin, del Traube, delFAmelli, del

Morin, e percid: ?nihil habet in quo ab ipsius Benedicti verbis discrepet, si quaedam in cult a ac minus latine dicta excipias, quae ad monachorum commodum, sive in choro,

sive in Capitulo, sive in cella legentium, castiganda erant*. Si tratta di preziose testimo

nianze del latino del VI secolo, che vengono cosi eliminate (e non solo dal Lugano) in

ossequio ad un'antistorica esigenza di classicismo integrate.

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fe. FRANCESCHINl

era il codice fondamentale del monachesimo in Occidente, documento

essenziale per la storia della civilta europea.

Fu soltanto nel 1938-40 che tale immobile convinzione, la quale ave

va tutte le caratteristiche della certezza acquisita, fu scossa profonda mente da un'ipotesi nuova, secondo cui la cosi detta Regula Magistri

(edita per la prima volta nel 1661 da L. Holstenius), creduta fino allora

opera del VII secolo e una delle tante regole locali che trassero ispira zione e luce dal codice monastico di Montecassino, doveva invece essere

riportata indietro nel tempo, al principio del secolo V, e considerata la

maggiore fonte del pensiero di S. Benedetto, che l'aveva in alcuni pun

ti trascritta quasi alia lettera.

Autore dell'ipotesi fu Dom Aug. Genestout, monaco di Solesmes.

Non sono trascorsi neppure vent'anni dagli studi deirAlamo, del Capel

le, del Perez de Urbel, del Cavallera, apparsi prima ancora che il Ge

nestout pubblicasse a documentazione dell'ipotesi avanzata il suo fonda

mentale lavoro nella ?Revue d'Ascetique et de Mystique? (La Rdgle du

Mattre et la Regie de S. Benott, t. 21, 1940, pp. 51-112) eppure non

ritengo affatto esagerato il dire che il problema della Regola di S. Be

nedetto ha assunto proporzioni pari a quelle che ebbe nel secolo scorso

la questione omerica: con la quale, del resto, esso ha piu di un aspetto in comune. Pochi problemi storici sono stati cosi dibattuti in questi ultimi anni: e non possiamo certo dire di vedere vicina la fine delle

discussioni.

Gli studiosi si sono subito divisi in due campi: l'uno, contro l'ipo tesi del Genestout e a favore della tradizione, l'altro, a favore dell'ipotesi del Genestout e contro la tradizione. Ne il tono degli scritti e stato

sempre sereno.

In due articoli successivi del 1949 (La polemica sull'originalita della

Regola di S. Benedetto in ? Aevum ? XXIII, 1-2, pp. 52-72) e del 1950

(Regula Benedicti, Neoterici Magistri, Regula Magistri in ? Liber Flori

dus ?, Festschrift Paul Lehmann, St. Ottilien 1950, pp. 95-119) ho cercato

di dare lo status quaestionis quanto piu obiettivamente mi fu possibile attraverso l'esame degli scritti apparsi fino allora.

Nelle pagine che seguono non intendo tuttavia condurre quello status

fino ad oggi; perche sono stato in cio preceduto da uno studioso che,

pur essendo cronologicamente l'ultimo venuto, lo ha saputo fare con

tale compiutezza d'indagine, esattezza di riferimenti, equilibrio di giudizio

(anche se egli stesso ha una sua opinione e una sua posizione da di

fendere) da permettermi di rimandare a lui, Dom Gregorio Penco O.S.B., di Finalpia (Origine e sviluppi della questione della u

Regula Magistri? in ?Studia Anselmiana ?, 38, 1956, pp. 283-306) quanti intendessero ren

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dersi esattamente e analiticamente conto dei progressi della questione fino ai primi mesi di quest*anno 1956 (1).

Liberato da questo, che sarebbe stato altrimenti un rigoroso dovere

d'informazione, ho la possibility di dare qui piu ampio rilievo a consta

tazioni e problemi di carattere generale, limitandomi (per cio che riguar da le notizie) a quel tanto che e pur necessario dire perche il lettore

possa rendersi agevolmente conto di tutto, anche senza la conoscenza

dei particolari minuti.

La prima di tali constatazioni e del tutto positiva: la polemica ha

suscitato intorno alia regola di S. Benedetto un immenso fervore di stu

di, quale in secoli non si era avuto. E tale fervore continuera certo sen za scoraggiamenti di sorta, perche l'incertezza dei risultati via via raggiun ti, il cadere in frantumi di verita credute fermamente tali, il riproporsi di problemi che si credevano risolti per sempre, il ritornare dubbiosi sui propri passi dopo aver creduto di essere arrivati alia meta, tutto

questo e la vita stessa della ricerca e deve essere sprone a fare meglio, non motivo a desistere.

Nessun aspetto e stato dimenticato, nessuna via intentata nelPesame

della Regula Benedicti (=RB) e della sua improvvisa antagonista, la

Regula Magistri (=RM): storia della tradizione manoscritta e delle edi

zioni; contenuto teologico, ascetico, mistico, liturgico; consuetudini e

tradizioni monastiche; citazioni scritturistiche e patristiche; fonti e fortu

na; testi originari e interpolazioni reali opossibili; vocabolario, sintassi,

stile, cursus, sono stati via via scrutati e analizzati al microscopio (so

prattutto per RB) spesso indipendentemente da autori diversi, che per la rapidita stessa delle ricerche finivano con Fignorare ciascuno i risul tati delFaltro.

E lo studio dei due testi non e rimasto isolato, naturalmente; esso

si e allargato ad investire zone sempre piu ampie, dentro limiti cronolo

gicamente sempre piu vasti: cosi che ne e uscita una conoscenza ben

piu profonda di quanto non avessimo su ?tutto l'antico monachesimo

nella sua essenza, nei suoi ideali, nelle sue fonti, nelle sue istituzioni?

(G. Penco, artic. cit., p. 294). Da questo punto di vista la polemica e

stata quindi fecondissima.

La seconda constatazione generale e invece negativa. Ed e giusto che ce ne rendiamo conto, non solo per capire la ragione di molti in

successi, ma anche per evitarli, se possibile, in avvenire.

(1) II Penco sta pure preparando uno studio sulle fonti letterarie e la genesi redazio nale della Regola di S. Benedetto e della Regula Magistri, che vedra la luce in ?Bene dictine*; e un'edizione della Regola di S. Benedetto con apparato critico essenziale,

varianti della Regula Magistri, introduzione e commento filologico sulla questione sped fica dei rapporti fra le due regole.

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216 E. FRANCESCHINI

Essa sta da un lato nella constatata presenza di tesi e di posizioni

aprioristiche, dall'altro neH'insufficiente uso di un rigoroso metodo critico.

L'originalita, la genialita, la grandezza di S. Benedetto non si toc

cano, sembrano dire sottovoce, ma risolutamente, gli uni: e si schierano

attorno a lui, forti di secoli di tradizione, lavorando febbrilmente a rin

forzare ogni elemento che minacci di cedere o di venir meno sotto i

colpi degli avversari.

S. Benedetto e un plagiario che deve scendere dal suo piedestallo di gloria e di venerazione, rispondono gli altri; e ci fu chi nel fervore

della polemica affermo che non sarebbe rimasto piu di qualche anno

di vita ?a la conception d'un S. Benoit penseur profond et original? (1) dichiarando la sua Regola ?un simple remaniement? (2).

Questo duplice stato d'animo non poteva evidentemente che nuocere

alia obiettivita delle ricerche e della discussione critica sui risultati da esse raggiunti. Non intendo darvi un peso piu grande di quanto non ab

bia avuto e non abbia: intendo segnalarne la presenza, anche inavvertita, come di una nebbia che avvolge le indagini degli uni e degli altri, e co

me un pericolo da cui occorre guardarsi. La stessa cosa, del resto, e

capitata agli studiosi della ?Imitazione di Cristo?, schierati negli oppo sti campi dei kempisti e degli antikempisti, spesso con uno stato d'ani mo gli uni verso gli altri lontanissimo da quello spirito di bonta, di se

renita, di pace, di vicendevole amore, che e fra i piu diffusi insegnamenti deH'autore dell* ?Imitazione?. E in campo francescano, dove il motto e

?pax et bonum?, si perde la prima e si dimentica il secondo in non se

(1) F. Masai, La R&gle de St. Benott et la a Regula Magistri n> in ?Latomus?, VI,

1947, pp. 207-29: si veda particolarmente la p. 229.

(2) L'applicazione stessa del concetto di plagio a opere medievali e un grave errore

e un anacronismo. Gli scrittori di quell'epoca consideravano le loro opere, e le altrui, come frutto di un comune sforzo di ricerca in seno alia madre comune, la Chiesa catto

lica, e quindi patrimonio di tutti, cui ciascuno poteva attingere liberamente, anche senza

citazione di fonti, senza commettere la minima indelicatezza. Uomini come Rabano Mauro e Beda sono famosi non per la loro originalita, ma per essersi fatti organizzatori e tra

smettitori del pensiero dei Padri; ne per questo intendimento (da essi stessi dichiarato) sono da considerare dei plagiari. Lavori condotti da alcuni miei scolari sui commenti bi

blici di Attone di Vercelli, di Angelomo di Luxeuil, etc., hanno come risultato uniforme una sempre constatata presenza di interi capitoli, riportati spesso alia lettera, da opere

precedenti, specialmente dei Padri (del commento di Angelomo al Cantico dei Cantici non resta se non il criterio della scelta e i pochi nessi sintattici per riunire fra loro i

brani patristici trascritti). Cosi il famoso passo di S. Tommaso sul valore e sulla giusti ficazione dello studio (Comm. in I Galat., cap. 8, lectio 1) e interamente trascritto dalle Omeliae in Cantica di S. Bernardo (XXXVI, 3, Mione, P. L. 183, col. 968 DI) che Tom maso non cita: e gli esempi sono infiniti. E dunque del tutto fuori posto parlare di plagio nel Medioevo, anche la dove i rapporti fra due o piu testi sono evidentissimi e di no tevole estensione.

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LA QUESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 217

rene dispute sulla casa natale di S. Francesco, ed ora sul luogo d' ori

gine del ?Cantico delle creature?. L'altra constatazione negativa, cui piu sopra accennavo, e quella del

Tinsufficiente uso di un rigoroso metodo critico (colpa da cui anch'io non sono andato esente), anche se molte e gravi ne siano le ragioni (alcune tutt'altro che insignificanti, ove si pensi aH'impossibilita, negli anni del dopoguerra, di conoscere i lavori altrui, di accedere alle fonti

manoscritte, di essere in una parola al corrente di tutte le indagini e in

possesso di tutti i mezzi di lavoro). E norma elementare, per esempio, non procedere a ricerche, sopratutto linguistiche, o comunque necessi

tanti di un testo sicuro, senza Tausilio di un'edizione critica, o almeno dei materiali atii a costituirla: e invece ne sono state fatte pur di andare

avanti, di avanzare ipotesi nuove, di tentare direzioni intentate. E pure buona norma non vangare un metro di terra nuova se non

si conosce la terra gia vangata, e quella, non un'altra, anche se impor tante e vasta; non basta conoscere il latino classico per parlare con

competenza di quello cristiano, o volgare, o medievale: malgrado tutta

la buona volonta dello studioso, le sue conclusioni sono basate sulla

sabbia.

Dopo queste constatazioni di carattere generale, che vogliono esse

re un invito a meditare un poco sul lavoro fatto, prima di riprendere il

cammino, vediamo in rapida sintesi di dati essenziali .a che punto sia

oggi la questione della Regola di S. Benedetto.

* * *

Possiamo partire da una constatazione elementare riguardante la

consistenza dei due testi. RM e quasi tre volte piu ampia di RB: tanto

per avere un termine materiale di confronto, essa occupa 110 colonne

della Patrologia latina del Migne (t. 88, cc. 943-1052) contro 40 circa di

RB. I rapporti fra le due regole sono innegabili: spesso verbali, nel pro

logo e fra i capitoli 1-7 RB e 1-10 RM, ?in cui essi riproducono quasi uno stesso identico testo; ma anche in seguito, pur presentando ciascuna

caratteristiche proprie, i parallelismi e i richiami sembrano riaffiorare

incessantemente in un vocabolo, in una norma, in una consuetudine, ora

per analogia, ora per contrapposizione.... e hanno in comune, anche,

grosso modo, il piano generale di composizione* (G. Penco, artic. cit.,

p. 284). Dunque: o RM e un'amplificazione di RB (tesi tradizionale), oppu

re questa deriva da quella, dopo averla sfrondata del troppo e del vano,

corretta e mutata in molte parti e ridotta piu rigorosamente a codice

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monastico (tesi Oenestout), oppure entrambe risalgono ad un ignoto te

sto perduto da cui hanno diversamente e indipendentemente attinto le

parti in comune (tesi del compromesso). Anche per cio che riguarda la tradizione manoscritta sara necessa

rio tener presenti alcuni dati essenziali: il piu antico codice attualmente

conosciuto di RB e del principio del sec. VIII (ca 700 lo data il Lowe; si tratta del cod. Hatton 48 della Bodleiana di Oxford); il piu prezioso, se meritano fede i risultati degli studi del Traube, e il cod. 914 di S. Gal

lo, del principio del sec. IX (ca 820) ma risalente, attraverso un solo

codice perduto (quello che Carlo Magno ebbe dalP abate Teodemaro

nel 787), all'autografo stesso di S. Benedetto (1): dal sec. IX in poi il numero dei mss. diventa via via sempre maggiore perche la RB e di

venuta ormai il piu diffuso codice monastico deH'occidente latino. E

numerosi sono, a partire da quella data, anche i commenti che se ne

fanno.

La sopravvivenza di RM e invece affidata a due soli codici, fra di

loro indipendenti, ma risalenti ad un medesimo archetipo (2): il Parisi nus lat. 12205 (= P) scritto per concorde parere dei suoi migliori stu

diosi (Lowe, Masai) verso Tanno 600 d. Cr., e il Monacensis lat. 22118

( = A ) del sec. IX (3). Ad essi e da aggiungere il ms. Parisinus lat. 12634 (= E) conte

nente soltanto estratti dell'opera, di diversa ampiezza, ma risalenti se

condo il Masai alia fine del sec. VI (Regula Magistri, p. 59) mentre il

Lowe lo pone nel sec. VII, posteriore a P (Regula Magistri, p. 43). Sia

P sia E, dunque i piu antichi testimoni di RM, sono stati scritti, secon

do il Masai, che li ha studiati con lungo e grande amore, da tutti i punti di vista, e secondo il suo collaboratore Corbett, nelP Italia meridionale: e P proviene certamente dal Vivarium (?P fait partie du groupe des mss. dont Y origine vivarienne est pratiquement certaine?: Regula Magi stri, p. 66); fatto, questo, che insieme a ritrovate affinita di concezione e di espressione fra il Maestro e Cassiodoro, induce lo studioso belga ad affermare ?fort vraisemblable la connaissance et meme la pratique de la RM dans le monastere de Vivarium ? (op. cit., p. 63).

Questi sono i dati che si possono ritenere, allo stato attuale degli studi, acquisiti (4); ma che non ci dicono evidentemente nulla di risolu

(1) Per un rapido riassunto della questione cfr. Franceschini, artic. cit., in ?Liber

Floridus*, pp. 104-5.

(2) ?Les mss. P et A dependent d' une meme copie de la Regie?: Regula Magistri, edd. Vanderhoven-Masai, p. 102; altri elementi di prova porta il Froger, in ?Revue d'A

scet. et de Myst.?, 1954, p. 282.

(3) Di cui e copia preziosa, anche se tarda (s. XV), perche eseguita prima di alcune mutilazioni sopravvenute nel Monacensis, il codice W. F. 231 di Colonia (=K).

(4) M.lle Mohrmann si dichiara scettica ?quant aux arguments allegues par M. Corbett

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tivo sulla questione ccntrale dei rapporti cronologici fra i due testi, es

sendo entrambi i codici piu antichi (EP) di RM indubbiamente poste riori alia morte di S. Benedetto (547 d. Cr.) per universale consenso

dei critici (1). La dimostrazione della priorita dell'una o dell'altra delle due regole

e pertanto affidata aU'esame degli elementi interni delle due opere, del

loro contenuto e della loro forma.

Uno dei due termini di paragone resta, almeno per ora, immobile e sicuro: la RB e stata scritta a Montecassino e, quali che siano le

ipotesi sulla genesi e sulla storia della sua composizione, quando S. Bene

detto mori (21 marzo 547) era compiuta: sulla cella del santo, rimasta

miracolosamente intatta anche in mezzo alle rovine deir ultima guerra, si pud leggere ancora, ultima voce di una tradizione antichissima: Hie

scripsit Regulam (2). La difficolta e quindi tutta nel cercare di dare una data, una patria,

un nome, airaltro termine di paragone, alia RM. E questo finora il solo termine mobile che la critica cerca di fissare per poter istituire utilmen

te un raffronto con Taltro.

Orbene, a parte la Oermania, ancora al di fuori deU'orbita del cri

stianesimo e della civilta, non c'e regione d'Europa che non sia stata

assegnata come patria alia RM: per Ugo Menard, che fu il primo a

trattarne nella edizione (1638) della Concordia Regularum di Benedetto

di Aniane, la patria era nelle isole anglosassoni, e l'autore Benedetto

Biscopo (+ 690); per Tassin e Toustain, un secolo dopo (1757) egli era, invece, Tabate Baboleno di Saint-Maur-des-Fosses (Regula Magistri, p. 43); in questi nostri anni di studi febbrili, ecco una ridda di ipotesi, ciascuna delle quali avanzata spesso con ampia documentazione : all' II

lirico dell'inizio del V secolo (ca 400-410), dove la RM avrebbe avuto

origine sotto Tinflusso del vescovo Niceta di Remesiana (il presunto autore del Te Deum) la fa risalire il Oenestout, alia cui opinione si e

avvicinato anche Ildefonso Schuster (Storia di S. Benedetto e dei suoi

tempi, Viboldone 1953, p. 293) pensando all'ambiente di S. Severino nel

Norico; ). Perez de Urbel (1938) pensa invece alia Spagna, e a quel Giovanni di Biclar che, dopo un lungo soggiorno a Costantinopoli, mori

pour confirmer la these de M. Masai concernant Y origine de nos mss.? (?Vigiliae chri

stianae*, VIII, 4, 1954, p. 251): e molto giustamente, come vedremo piu avanti. Ma non

discute sugli argomenti paleografici e codicologici del Masai.

(1) Che S. Benedetto conoscesse Y attuale cod. E di RM parrebbe affermare il Penco

(in ?Rivista liturgica?, XLIII, 1, 1956, p. 47); ma egli voleva evidentemente alludere al te sto di RM nella forma conservataci da E.

(2) A. Lentini, 5. Benedetto. La Regola, Montecassino 1947, p. VI.

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220 E. FRANCESCHINI

vescovo di Gerona nel 621 d. Cr.; nell* Italia del sud, genericamente, la

vuole sorta il Renner (1947, 1950) verso il 535-46; il Cappuyns (1948) con maggior precisione le da per culla il monastero di Vivarium in Ca

labria, e per padre Cassiodoro (opinione, per quanto si riferisce al

luogo, condivisa dal Vandenbroucke e da me); il Blanchard (1950) la vuole composta a Bobbio, nel sec. VII, dall'abate Boboleno (643-652), terzo successore di S. Colombano; Odo Zimmermann la dice redatta

dallo stesso S.Benedetto giovane, quando si trovava a Subiaco; infine, i piu recenti studiosi (Masai, Mundo, Penco), si orientano, in parte sulle orme dello Steidle (1951), verso il monastero di Lerino, o, piu ge nericamente nella zona mediterranea della Gallia, ad occidente del Ro

dano, verso i Pirenei.

La varieta e la diversita di simili attribuzioni non pud non lasciare

perplessi: anche perche ciascuna di esse, come ho gia osservato, e ac

compagnata da argomentazioni e da documenti che talora danno da

pensare.

Si e cercato di superare tali perplessita distinguendo fra V origine della RM in un determinato luogo e la sua documentata presenza nel

medesimo. Cosi il Masai (Regula Magistri, pp. 62-3) condotto al Viva

rium dall' esame dei codici, pur respingendo la tesi del Cappuyns di una

paternita cassiodoriana della RM, afferma la presenza e la pratica di essa nel monastero di Cassiodoro; e il Penco fa l'identico ragionamento con Tipotesi del Blanchart: Boboleno, abate di Bobbio verso la meta

del VII secolo (643-52) non pud certo essere autore della RM, non fosse altro per il motivo semplicissimo che i codici PE sono a lui anteriori; ma la presenza e l'adozione della RM a Bobbio in quel periodo sono

assai probabili (1). Secondo le piu recenti opinioni la RM (o il suo nucleo originario)

sarebbe dunque oriunda dalle regioni mediterranee della Francia in epo ca anteriore a S. Benedetto, che l'avrebbe conosciuta ed usata nello stato in cui e a noi giunta (2), sarebbe stata praticata, e forse ampliata con aggiunte successive, in Provenza, al Vivarium, a Bobbio (dove era

ancora osservata verso la meta del VII secolo); e sarebbe poi scompar

(1) ?L' adozione ... della RM a Bobbio pote ovviamente costituire un ponte fra le osservanze celtiche e quelle romano-italiche rappresentate dalla RB, tanto piu che la RM

contiene un fondo monastico per tanti aspetti di origine gallica e quindi non completamen te estraneo alle tradizioni dei fondatori di Bobbio?: G. Penco, Suit' influsso bobbiese in Liguria, in ?Benedictina?, IX, 1955, p. 180.

(2) G. Penco, in ?Rivista Liturgica?, XLIII, 1956, p. 49. Qualcuno ha supposlo addi rittura contaiti direiti fra S. Benedetto e il monachesimo lerinese, contatti di cui nessuna

autorevole fonte della sua vita parla (si veda la bibliografia in G. Penco, Ricerche sul capitolo finale della Reg. di 5. Benedetto, in ?Benedictina?, VIII, 1954, p. 31).

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LA QUESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 221

sa, come altre regole, davanti al prevalere assoluto della RB a partire dal secolo VIII (1).

Ho adoperato il condizionale perche, se e innegabile che in questi ultimi anni la tesi della priorita di RM su RB ha fatto progressi (2), e pure da riconoscere, come onestamente fa uno dei suoi maggiori sostenitori, il Vanderhoven, che nessuna prova definitiva e stata rag

giunta (3). Ma a questo punto sopravviene una ipotesi, solo recentemente (1954)

articolata nei suoi vari momenti, anche se non ancora documentata, che

da a tutto il problema una soluzione assolutamente insospettata. Essa e

stata avanzata da Dom Jacques Froger, monaco di Solesmes, e breve

mente illustrata neirultimo numero della ?Revue d'Ascetique et de My

stique? del 1954 (La Regie du Maitre et le sources du monachisme be

nGdictin, pp. 275-288). Ecco i punti essenziali della tesi del Froger: a) Non occorre anda

re a cercare lontano Tautore della RM: e semplicemente S. Benedet

to b) egli stesso, o i suoi immediati successori, fecero quelle aggiunte che ad un esame critico attento risultassero non appartenenti al nucleo

primitivo, il quale tuttavia mostra ?une unite frappante* e ?une cohesion

manifested (p. 286) c) un ignoto monaco redasse in seguito un riassunto

della RM da lui conosciuta nello stato in cui e a noi giunta d) un al

tro monaco (forse Venerando?) arricchi quel riassunto di note e di ag

giunte diverse costituendo verso il 625 d. Cr. quella che e la Regola di

S. Benedetto nel suo stato attuale e) il testo in questa forma abbrevia

ta e completa si diffuse rapidamente nella Gallia dei Franchi sotto il nome di Regula Sancti Benedict/', servi principalmenfe come strumento di riforma nei monasteri colombaniani, la cui situazione era difficile e

da allora la RM (cioe il testo originate di S. Benedetto) cesso pratica mente di servire (art. cit., p. 288).

In conclusione: RM e la vera, originaria Regola di S. Benedetto; RB non e che un' anonima ?regie gauloise de la premiere moitie du

VIIC siecle? (art. cit, p. 286).

(1) Che RM non sia oriunda dall' Italia parrebbe indicare una frase del cap. I, in cui si parla dei girovaghi che ?dicunt se porro a finibus advenire Italiae?. In tale senso

si sono pronunciati quasi tutti gli studiosi (si veda la bibliografia completa in G. Penco, A finibus advenire Italiae, in ?Riv. Studi liguri?, XX, 3, 1954, pp. 205-8). Ma a parte il fatto che a finibus pud benissimo significare anche dagli estremi confini, rendendo cosi possibile un* origine italiana (cf. E. franceschini, in ?Aevum?, 1949, p. 68 ) occorre

ricordare che il cap. sui girovaghi si ritiene comunemente un'interpolazione (cf. Vander

hoven, in ?Scriptorium?, I, 1946-7, pp. 201-8; penco, A finibus, cit. sopra, p. 206 n.5).

(2) ?Toutes les recherches actuelles confirment de plus en plus cette position?: J. Froger, La rdgle du Mattre, in ?Revue d'Ascetique et Mystique*, XXX, 1954, p. 285.

(3) H. Vanderhoven, Mystere de la Regie du Mattre, in ?Les cahiers de Saint-Andre?,

1954, p. 254; G. penco, Origine e sviluppi, p. 304.

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222 E. FRANCESCHINI

Gia lo Zimmermann nel 1950, come ho piu sopra ricordato, aveva

pensato S. Benedetto autore delta RM nella sua giovinezza, a Subiaco; ma egli aveva subito aggiunto che lo stesso S. Benedetto aveva tratto

da quel primo abbozzo, informe e prolisso, quella che e attualmente la

RB (1), non tenendo conto della grande diversita che e fra i due testi,

per cui non e possibile farli risalire ad un medesimo autore.

Ma qui si tratta di ben altro. Si tratta di togliere a S. Benedetto la

paternita finora indiscussa di quella Regula che va sotto il suo nome

dal sec. VIII ai nostri giorni, per attribuirla, nella sua redazione definiti

va, ad un ignoto monaco del sec. VII, forse a quel Venerando che la

introdusse nella storia dell* occidente verso il 625 d. Cr., secondo le

lettere che ne ha pubblicato il Traube: lasciando a S. Benedetto la pa ternita della Regula Magistri, sia pure con qualche modificazione suc

cessiva.

Questa tesi e stata finora soltanto enunciata nelle pagine che ho

riassunte, spesso con traduzione letterale. E tutti gli studiosi sono in at

tesa della documentazione che il Froger ha promessa per i singoli punti enunciati (art. cit., p. 288). Ma sara lecito fare, in attesa, pur con la

cautela sopra invocata, qualche considerazione.

E la prima che ci si presenti e se il giudizio che Gregorio Magno da della RB si addica alia RM. II Froger a tale proposito scrive: ? Le

seul document sur que nous possedions au sujet de S. Benoit et de sa

Regie, est la Vie de S. B. par S. Gregoire dans ses Dialogues. Or, en

comparant a cette vie les deux formes, longue (~RM) et courte ( =

RB) de notre Regie "benedictine,,, nous constatons que c'est la forme lon

gue (= RM) qui correspond. La forme courte (= RB) ne lui corre

spond que dans la mesure ou elle reproduit RM, elle presente meme

avec la Vita un certain nombre de contradictions troublantes. II semble

done que pour S. Gregoire (contemporain de notre plus ancien manu

scrit de RM) e'est la forme longue (= RM) qui represente Poeuvre de S. Benoit? (art. cit., p. 287).

Parole molto chiare, senza dubbio, di cui dobbiamo attendere la

documentazione; ma del famoso giudizio di Gregorio Magno: discretio ne praecipua, sermone luculenta, il Froger non parla. E in realta se la seconda parte di esso: sermone luculenta (2), pud bene applicarsi anche

alia RM, non credo vi sia alcun sereno lettore di questo testo disposto ad applicarvi la prima (discretione praecipua).

(1) O J. ZlMMERMANN, The Regula Magistri: the primitive Rule of St. Benedict, in ?American Benedictine Review?, I, 1950, pp. 11-36; G. Penco, Origini e sviluppi, p. 299.

(2) Sul vero significato di sermone luculenta cfr. Chr. mohrmann, La latinite de St. Benott, in ?Revue Benedictine?, 1952, pp. 108-139, e particolarmente le pp. 112-4.

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LA aUESTlONE DELIA REGOLA DI S. BENEDETTO 223

Se discretio significa ordine, armonia, e soprattutto equilibrio, la

constatazione che tutto cio e assente dalla RM credo trovi concordi gli studiosi di tutte le sponde. Vediamo qualche giudizio in proposito: la

RM e per il Lentini una Regola nella quale ? a massime eccellenii sono

miste molte puerilita, grettezze, banalita (La Regola, Montecassino 1947,

p. LVI), osservazioni superflue, descrizioni quasi ridicole, disposizioni banali? (ibid., p. LV); il Weber scrive: ?La forme prolixe y cache un

fond bien pauvre et parfois pueril et bizarre. C est faire beaucoup trop d'honneur a Tauteur de ce document que de le prendre pour un vrai

maitre de la vie spirituelle et monastique. II n* est probablement qu' un

obscur moine, doue d'une belle facondie et atteint de la demangeaison d' ecrire, qui a pris pour theme et pour cadre de ses exercices de plume la regie benedictine (R. WEBER, Le chapitre des portiers dans la Regie de S. Benoit et dans celle du Maitre, in ? Melanges benedictins (547 1947 >, Paris 1947, pp. 205-33; e particolarmente p. 232). Per Dom Pen

co, il piu recente degli studiosi, la RM ? si presenta a prima vista come una farragine ampollosa di prescrizioni bizzarre, raccolte in un dettato d'incredibile prolissita? (Origine e soiluppi, p. 284), ricca di passi ?pie ni di descrizioni fantastiche . . . che fanno a prima vista giudicare ben

severamente dell'indole dell'autore, il quale sembrerebbe assai piu un

Apuleio che un legislatore di vita monastica* (ibid., p. 286) (1). E vero che tutti gli studiosi affermano la necessita di un esame piu

attento della RM per sceverarne il nucleo originario dalle successive

interpolazioni, che a taluni appaiono assai vaste (2), e molti si sono

gia messi all*opera; ma il Froger crede che si sia molto esagerato in

fatto di interpolazioni nella RM, la quale sostanzialmente manifesta, per lui, come abbiamo piu sopra ricordato, ?une unite frappante ? (3).

Che se poi i miei lettori mi chiedessero di indicare loro qualcuna delle universalmente riconosciute stranezze della RM, li inviterei a leg gere attentamente il capitolo sui monaci girovaghi, da me gia pubblicato in questa Rivista nel testo dei codici di Parigi (4), che e letterariamente una cosa bella, ma non ha niente che fare con una regola monastica;

(1) Lo stesso Penco ricorda che gli studiosi tradizionalisti insistono sulla ?mancanza di finezza, di buon gusto o addirittura di intelligenza da parte della RM? (art cit., p. 291).

(2) Cfr. Penco, Origine e sviluppi, p. 286, e franceschini, La polemica, p. 61, ove e ampiamente riferito il pensiero del Vanderhoven.

(3) Anche il Genestout, pur limitando lo studio all'uso delle citazioni bibliche, trova in RM ? una perfetta continuity e percid una sua intrinseca unita ? (da Penco, Origine e sviluppi, p. 295).

(4) e. franceschini, // testo delta " Regula Magistrin secondo i codici di Parigi,

in ?Aevum?, XXV, 4, 1951, pp. 289-304 e particolarmente le pp. 298-302.

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224 E. PRANCESCHINI

la descrizione del Paradiso nel cap. X (1) e qualche altro brano che

porro in appendice a queste pagine. II Paradiso del Maestro e un luogo di delizie dove fiorisce il ?flos

purpureus rosarum nunquam marcescens ?, dove i ?nemora floscida per

petua viriditate vernantur? e i ?prata recentia semper melleis affluunt

rivis?: fiori, profumi, chiarita e serenita d'aria, visioni soavi, assenza

di oscurita, notissimi ingredienti letterari di note descrizioni classiche, della sede dei beati, cui si aggiungono particolari umani neppure ad

esse consueti e che sara bene lasciare nel latino, lingua essenzialmente

inodora: lassu, in Paradiso, ? esca nulla stercora efficit? per il motivo

dichiarato che ?ipsa refectio non potest in digestionem prorumpere? (p.

181, Vanderhoven). E dunque un paradiso di delizie umane, nel quale la presenza di

Dio e un dato marginale, che appare nelT ultima riga della descrizione con una formula stereotipa: ?ut in perpetua cum Deo exultatione lae

tentur? (p. 181, Vanderhoven): quanto di piu lontano e possibile pensare non dico da una regola monastica, ma da una concezione cristiana o

anche religiosa della vita.

Eppure per quello scrupolo di obiettivita a cui ho fatto appello piu sopra, sara necessario dimenticare questi gia dati giudizi sulla RM: non

perche essi siano stati emessi incautamente, ma perche non possano

impedire la serenita della ricerca.

E tuttavia inutile nascondersi che se il Froger dimostrera in modo convincente la sua tesi, noi dovremo farci di S. Benedetto un'idea mol to diversa da quella che ora ne abbiamo. vano dire, come il Froger fa, che solo alia RM e legato il merito di essere un*? oeuvre vraiment

creatrice? (art. cit., p. 287). Perche le conclusioni che si affacciano al ia nostra mente allo stato attuale della polemica, anticipando quanto diro neir ultima parte di questo studio, sono le seguenti:

a) se la tesi tradizionale avra il sopravvento S. Benedetto rimane

il legislatore geniale, sapiente e (a parte quanto egli stesso confessa di dovere ad altri) originale del monachesimo in Occidente: una di

quelle vette isolate che bastano da sole a formare un capitolo di storia

della civilta.

(1) II Masai, a Spoleto, mi ha osservato che la descrizione appartiene agli Actus Sebastiani. Cio non appare dall'apparato della edizione recentissima del Vanderhoven

(Regula Magistri, pp. 180-1). Comunque il testo e in tutti e ire i codici (PAE) di RM: e fino a quando non sara fatta la distinzione fra il nucleo originario e le sopravvenute

interpolazioni (e questa sarebbe antichissima perche festimoniata gia da E) va conside rate* come proprio della RM.

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LA OJIESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 225

b) Se prevarra la tesi Oenestout - Masai - Vanderhoven, o quella del

compromesso, Benedetto avra nella storia della legislazione monastica

deirOccidente il posto che Giustiniano ebbe in quella della legislazione civile. II grande merito di aver eliminato personalmente (e non, come

fece Giustiniano, dandone incarico ad altri) ?il troppo e il vano? dalle

forme di vita precedenti, e particolarmente dalla RM, organizzando la

vita monastica attorno ad una Regula non tanto originale quanto discre

tione praecipua, ne lasciera intatta la figura e la fama (1).

c) Ma se sara dimostrata la tesi del Froger (2), senza che RM con

la eliminazione di pretese successive interpolazioni venga ridotta ad un

testo armonico e ordinato (e c'e proprio pericolo che questo si cerchi

di fare per ridurlo a cosa degna del suo presunto autore ...) occorrera

rassegnarsi a pensare ad un San Benedetto compositore di una regola

disuguale, confusa e caotica, alia quale non l'iniziale ispirazione, ma

soltanto un secolo di esperimenti e Tintervento salutare di diverse mani

estranee hanno potuto dare la vitalita che essa ha poi dimostrato infor

mando per secoli la vita monastica dell'Occidente (3).

* * *

Questo studio non sarebbe tuttavia completo se, dopo aver esami

nato per sommi capi le strade percorse finora e lo stato attuale degli studi, le ipotesi cadute e le ancora attuali, non indicassi quelle che, a

(1) ?S. Benedetto non perde affatto il titolo, consacratogli ormai dalla storia, di Patriar

ca dei monaci d'Occidente, che invece gli rimane in una maniera piu profonda, come al

Terede fortunato e al continuatore geniale di tutta la copiosa precedente tradizione mona

stica, per cui chi oggi vuole studiare il monachesimo antico, orientale e occidentale, deve

passare attraverso la Regola di S.Benedetto*: cosi, molto assennatamente (a parte l'ag

gettivo fortunato ..) il Penco (Ricerche sul cap. finale della RB, in ?Benedictina?, VIII,

1954, pp. 41-2) correggendo egli pure le affrettate conclusioni polemiche dei primi soste nitori della tesi della priorita della RM sulla RB, che egli stesso condivide.

(2) Contro il Froger si e pronunciato dom o. Heimig, Heilige Regel und benedikti nische Liturgiereform, in ?Liturgie und Monchtum*, 14,1954, pp. 79-88; e, fra i presenti a Spoleto, il Masai e il Mundo: ma sara necessario attendere le prove promesse dal

Froger per ciascuna delle sue argomentazioni prima di procedere ad un giudizio definitivo.

(3) Diversa opinione esprime Dom J. Leclercq recensendo l'edizione della Regula Magistri in ?Revue d'Histoire de l'Eglise de France*, XL, 1954, pp. 271-4: ?Si 1'authenti city benedictine de RB devait s'en trouver ebranlee, la haute valeur spirituelle du docu ment legislatif qui est le fondament reel, incontestable, de la "tradiction benedictine ?, ne serait pas diminuee*: ma non vedo per quali vie e con quali ragioni si potrebbe condi

videre questo ottimismo dell'insigne studioso dt Clairvaux.

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226 E. FRANCESCHINI

mio modo di vedere, sono le necessita del lavoro che ci attende, chis sa per quanti anni ancora.

Queste necessita possono riassumersi in poche parole : uso di testi

sicuri e approfondimento sempre piu vasto dei singoli temi nel posses so pieno degli strumenti di lavoro a ciascuno di essi adatti. Vediamolo

da vicino:

REGULA SANCTI BENEDICTI

Delia RB, quella tradizionale, per intenderci, dimenticando ora del

tutto l'ipotesi del Froger, non abbiamo, a stretto rigore di termini, una

edizione veramente critica. Ma abbiamo il testo del codice 914 di San

Gallo in una perfetta edizione diplomatica del Morin (Montecassino

1900), abbiamo le edizioni del Linderbauer, e del Lentini (1), che danno

sicuro affidamento, almeno fino a quando non sara tolta al codice fa moso la fiducia e Tautorita finora riconosciutegli.

II codice, come e noto dagli studi del Traube, e una copia, fede

lissima fino allo scrupolo, che due monaci (Grimalto e Tattone), tras sero verso 1*820 d. Cr. per Regimberto, bibliotecario del monastero di

Reichenau, dalla copia deirautografo stesso di S.Benedetto inviata dal

Tabate Teodemaro nel 787 a Carlo Magno che gliene aveva fatta espres sa richiesta (2), e quindi di estremo valore per la costituzione del testo

autentico della Regola (dal quale e separato da una sola copia inter

media, oggi perduta, il codice di Carlo Magno), insieme con il piu an

tico codice Hatton della Bodleiana di Oxford. Mi si e fatto piu volte, in questi anni, l'appunto d'essere troppo

tenace sostenitore del manoscritto di S. Gallo. Confesso che continuero ad esserlo finche non si dimostrino errate le conclusioni del Traube. Nessuno lo ha fatto finora. II recente tentativo del Paringer (Le manu scrit de Saint-Gall 914 represente-t-il le latin original de la Regie de

S.Benoit?, in ?Revue Benedictine?, 61, 1951, pp. 81-140) ha fatto molta

impressione a storici, liturgisti e paleografi (3), ma nessuna ai filologi, e in modo particolare agli studiosi della latinita cristiana e medievale,

(1) Per le riserve sulle altre cfr. E. Franceschini, Regula Benedicti, in ?Liber Flori dus?, 1950, p. 105.

(2) Per un elementare riassunto di tutta la storia del cod. di S. Gallo cfr. E. Fran ceschini, Regula Benedicti, etc., in ?Liber Floridus*, 1950, pp. 104-6.

(3) ?Ces legendes (le vicende dell'autografo di S.Benedetto dalla distruzione di Mon tecassino nel 581 all'incendio di Teano deir896) viennent d'etre demasquees par Dom B. Paringer? scrive il Masai (Regula Magistri, p. 12, n. 3) nel suo stile fiorito. Ma lo stes so studioso belga ha poi riconosciuto, a Spoleto, Y infondatezza del lavoro del Paringer: e gliene diamo atto.

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LA QJJESTIONE DELLA REOOLA Dl S. BENEDETTO HI

per l'ignoranza davvero incredibile di storia della lingua latina con cui e stato condotto (mi spiace di dover dire parole cosi severe, ma e ne cessario essere estremamente chiari): cosi che non c'e voluta davvero molta fatica a M.lle Christine Mohrmann a dimostrarlo del tutto incon sistente e privo di ogni valore critico (La Iatinit6 de Saint Benoit, in

cRevue benedictine?, 62, 1952, pp. 108-139) (1). Ne pud cambiare questo stato di cose il fatto che lo studio del

Paringer viene spesso citato e quello della Morhmann spesso ignorato anche da chi, come il Corbett (di cui parlero fra poco), avrebbe trovato nelle ricerche sempre documentatissime della studiosa di Nimega il mezzo migliore per evitare ingenuita ed errori (2).

Concludendo: noi possiamo usare per la RB di un testo sicuro, di un commento filologico ottimo, quello del Lindebauer (S. BENEDICTI Re

gula Monachorum hrsg. u. philologisch erklart von B. L., Metten 1922), di eccellenti studi sulla sua latinita (oltre il gia cit. articolo della Mohr mann si veda ora, della stessa, le pagine su La langue de S. Benoit in S. BENEDICTI Regula Monachorum a cura di PH. SCHMITZ, Maredsous

1955, pp. 9-39) e di una accuratissima indagine sul cursus (cfr. A. LEN

TINI, // ritmo prosaico nella Regola di S. Benedetto, fasc. 23 della ?Mi scellanea Cassinese?, Montecassino 1942).

(1) Parlando del codice di S. Gallo la Mohrmann (che e oggi in Europa indubbia mente il maggior competente nel campo del latino cristiano) afferma che la sua ortografia

?porte la signature meme de la langue vivante du VIe siecle ? (p. 118), che il manoscritto

? est un temoin excellent du texte de la Regie .. . ses legons sont confirmees a chaque instant par 1'usage vivant du VI siecle?, e termina lo studio concludendo che ?dans le ms.

de Saint-Gall s'est conservee la langue authentique de S. Benoit, si vivante et si virile, mais surtout si profondement marquee par la tradition chretienne ? (p. 139). A queste conclusioni, e in generale a tutto il problema del codice di S. Gallo, dovra prestare molta

attenzione anche Dom Froger; infatti, finche non si dimostreranno false, o errate, le dichia

razioni di Grimalto e di Tattone, il testo autentico di S. Benedetto rimane quello che essi ci

conservano nel cod. di S. Gallo e ci dicono tratto da una copia diretta dell'autografo del

patriarca di Montecassino. E ben difficile pensare che Teodemaro si sia sbagliato, e che

invece che l'autografo di S. Benedetto (che pure doveva essere conservato con cura e

devozione come preziosa reliquia) abbia fatto trascrivere ? e non per un privato qua

lunque, ma per Carlo Magno! ?

quella anonima redazione della Regola nata nella Gallia

del secolo VII alia quale il Froger riduce l'attuale RB.

(2) Non pud nasconderlo, anche se lo fa con garbo squisito, la stessa Mohrmann

recensendo Y edizione della Regula Magistri, in ?Vigiliae christianae*, VIII, 4,1954, p. 246, nota 30. Piu severamente commenta la cosa J. Leclercq: ?On s'etonne cependant de ne

point voir citee, bien qu'elle peut etre utilisee, T etude parue pres de deux ans avant le

present volume (si tratta dell* edizione della Regula Magistri) de Chr. Mohrmann .. ?

(in ?Revue d'Histoire de TEglise de France*, XL, 1954, pp. 271-4). Nella discussione se

guita alia presente relazione a Spoleto il Masai ha detto l'omissione dovuta al fatto che la prefazione alia edizione (che porta la data 1953) era gia tipograficamente composta

quando era apparso il lavoro della Mohrmann (1? nr. del 1952 della ? Revue benedictine?).

Aevum - Anno xxx - 15

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E. FRANCESCHINI

Questi strumenti di lavoro ci permettono di essere criticamente

tranquilli sul primo dei due termini dell'ormai famoso binomio, la RB.

REOULA MAGISTRI

Ben diverso e il caso della Regula Magistri. Solo recentemente e

apparsa una monumentale e tipograficamente accuratissima edizione di

plomatica dei codici Parigini lat. 12205 e 12634 a cura di Dom Hubert

Vanderhoven e di Frangois Masai, con la collaborazione di P. B. Cor

bett (Regula Magistri, Publications de ?Scriptorium?, III, Editions ?Era sme? S.A., Bruxelles-Paris, 1953) alia quale non sono mancati da ogni parte riconoscimenti ed elogi (1). Essa infatti e venuta a sostituire final mente il pericoloso testo del Migne, fonte di tanti errori.

E vero che un' edizione diplomatica non e un' edizione critica; ma

il Vanderhoven e il Masai affermano una tale edizione prematura e for se impossibile, rappresentando i pochi codici di essa a noi giunti non

gia testimonianze di una medesima redazione, ma stadi diversi, e come tali da non mescolarsi fra di loro, di RM (2).

Non e di tale parere il Froger, che la sta attualmente preparando per il ?Corpus Christianorum? e ci ha indicato i criteri con cui la con

durra (3); egli, cioe, ci dara un testo su APKE senza curarsi di identi ficarne prima le eventuali interpolazioni: sara compito successivo della

(1) Da parte di R. Weber, A. Mundo, F. Vandenbroucke, Chr. Mohrmann, E. Dekkers, A. Lentini, J. Froger, G Charvin, H. Silvestre, I. Tassi (per le indicazioni precise cfr. G.

PENCO, art. c/7., pp. 303-4; si aggiunga all'elenco: J. Leclercq, in ?Revue d'Histoire de

l'Eglise de France*, XL, 1954, pp. 271-4).

(2) ?On peut se demander si pareille oeuvre (un'edizione critica) sera jamais reali sable* scrive il Vanderhoven (Regula Magistri, p. 7), perche nessuno dei codici attual

mente a nostra disposizione offre un testo base per una edizione critica, ciascuno di essi

rappresentando stadi diversi della evoluzione della RM, che devono restare tali per essere

utili agli studiosi. L'affermazione, teoricamente esatta, non pare tuttavia potersi applicare all' attuale tradizione manoscritta di RM: infatti, come sopra si e visto (p. 218), dei quattro codici che la contengono, K e copia diretta di A, il quale a sua volta, secondo le dichia razioni degli stessi Vanderhoven-Masai, dipende dal medesimo archetipo di P: si pud dunque costituire con APK un testo critico che ne dia il comune archetipo. Al di fuori di esso rimane il solo E, che contiene soltanto estratti dell' opera. Gli stadi, dunque, della RMt sarebbero finora due solamente: quello rappresentato da APK e quello rappresen tato da E.

(3) ?La seule chose parfaitement reelle .. . c'est RM telle que nous la livre le mo dele de P et de A, notre source unique quant a l'integrite de RM*: art. c/7., in ?Revue Asc. et Myst.?, 1954, pp. 284-6; nello stesso articolo il Froger porta un serio contributo ad una piu esatta lettura dei codici PE (pp. 278-280).

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LA QUESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 22$

critica la loro identificazione (1), tenendo conto di tutti i mezzi per far

lo, fra i quali non occupera certo 1'ultimo posto lo studio della lingua* Non esiste, dunque, un'edizione critica della RM: abbiamo perd

a nostra disposizione tutto il materiale necessario a costituirla, e questo e il grande merito della edizione Vanderhoven-Masai (2).

Neppure esiste uno studio serio, sia pure provvisorio, sulla lingua della RM. La latinita del Maestro, su cui aveva fino dal 1938 richiamato P attenzione il Perez de Urbel (3), e gia stata fatta oggetto di qualche ricerca (4), ma in modo o parziale o del tutto inadeguato. Mi riferisco

particolarmente all' ultimo lavoro, quello del Corbett, che occupa le

pp. 69-93 deir edizione Vanderhoven-Masai della RM. Mi spiace davvero di dover fare molte riserve su tale lavoro, soprattutto per le conclusioni, che vanno al di la delle premesse e dei confini stessi dell'indagine, la

quale doveva essere sostanzialmente rivolta allo studio dell* ortografia dei codici parigini della RM. Ma lo studio della latinita di un testo me

dievale non si pud improvvisare, ne pud essere sufficiente a condurlo una competenza, anche grande, nel campo della latinita classica.

II Corbett si limita, sostanzialmente, ad una diligente esposizione descrittiva di elemenli ortografici: e fin qui nulla da eccepire. Ma

quando, al di la delle constatazioni rilevate, viene a parlare di fatti

morfologici e, in generale, della lingua della RM, egli pare non tenga conto di due cose essenziali: a) di tutti gli studi sul latino volgare e

sul latino cristiano che in questi ultimi decenni hanno fatto capo alia

scuola del Lofstedt da un lato e di Schrijnen-Mohrmann dairallro, che

hanno condotto ad alcune conclusioni ben chiare sulla storia del latino

(1) Su qucsto problema ha insistito specialmente il Vanderhoven, che ha indicato in RM numerose e ampie interpolazioni ( Les plus anciens manuscrits de la RM transmet

tent un texte deja interpole', in ?Scriptorium?, I, 2, 1947, pp. 193-212; G. PENCO, art.

cit.t p. 295).

(2) L'edizione del Froger avra dunque un'utilita esclusivamente pratica; per cio che

serve allo studio scientifico della RM tutto cio che della tradizione manoscritta e neces

sario conoscere e gia nell' edizione Vanderhoven-Masai. Questo si puo osservare a quanti, anche dopo la pubblicazione della edizione diplomatica della RM, manifestano il desiderio

di poterne avere presto a disposizione una critica (?Tot ou tard on devra utiliser tous

ces materiaux pour aboutir a une edition critique d'un texte qui ? a part le probleme

de ses relations avec RB ? est d'une importance majeure pour l'histoire du monachi

sme occidental*: Chr. Mohrmann, in ? Vigiliae Christianae?, VIII, 1954, p. 245; ? ... in

attesa che un'edizione veramente critica giunga finalmente a restituirne 1'archetipo primi tivo?: G. PENCO, art. cit., in ?Studia Anselmiana*, 1956, p. 286, e ancora lo stesso Penco,

in ?Rivista liturgica* XLIII, 1, 1956, p. 33). (3) ?La RM pourrait faire l'objet d'etudes philologiques tres interessantes?: in ?Re

vue d'Hist. Eccles.*, 1938, p. 709.

(4) Per es. da parte del Masai: Observations sur la langue de saint Benott et du

Mattre, in ?Miscellanea Gessler?, II, 1948, pp. 845-54.

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230 E. FRANCESCHINI

tardo (1) b) che lo studio di un testo come quello delta RM ha biso gno di essere condotto su di un piano comparativo, in una superficie ben piu ampia di quella in cui ha avuto origine il documento isolato. Va tenuta presente la latinita della Peregrinatio Egeriae (principio del sec. V), di Gregorio Magno, di Gregorio di Tours (sec. VI), dei testi

merovingici e della cronaca del pseudo-Fredegario (secc. VII-VIII), tan

to per dare alcune indicazioni, tutti testi sui quali abbiamo buoni studi

riguardanti la lingua (2). Mancando queste conoscenze, alia ricerca del Corbett manca il re

spiro: i suoi risultati rimangono cosi pure constatazioni isolate, senza

Fappoggio di alcun termine di paragone. Che egli abbia saputo dimo strare essere italiani del sud gli scribi di PE attraverso l'esame della

ortografia dubita la Mohmarnn (in ?Vigiliae Christianae?, 1954, p. 250), ne io voglio entrare in merito; ma quando afferma che, pur essendo dell' Italia meridionale i copisti, ?le texte meme de la Regie ou, du

moins, certains de ses elements ne le sont pas? (Regula Magistri, p. 93) il lettore si domanda su che cosa si fondi questa affermazione: e trova

nelle pagine del Corbett un solo indizio, da lui stesso posto in forma dubitativa: la preferenza di accusativi plurali la dove ci si attendereb be o il nominativo o un caso obliquo (ibid., p. 71). Troppo esile cosa

davvero (anche se non fosse, come invece e, attestata per 1'Italia) per affidare ad essa il gravoso compito di provare V origine non italiana della RM (3).

(1) Da questo punto di vista si potrebbe muovere al Corbett lo stesso rimprovero che e stato rivolto al Paringer: al quale pure sono rimaste ignote tutte le ricerche sulla evoluzione del latino tardo condotte in questi ultimi cinquant' anni, che pure hanno avuto, fra gli altri meriti, quello di liberarci da un classicismo cieco, eredita di un pensiero uma nistico sempre pronto a definire decadenza, errore, etc. tutto cio che si allontana dalle

regole classiche (cfr. Chr. Mohrmann, in ?Revue benedictine*, 1952, p. 110). (2) Per la Peregrinatio Egeriae (o Aetheriae) si veda il classico Philologischer

Kommentar del L6fstedt (Uppsala 1911, e n. ed. 1936); per Gregorio Magno A. SEPUL cri, Le a/terazioni fonetiche e morfologiche nel latino di S. Gregorio Magno, in ?Stu di Medievali,? 1,1904-5; per Gregorio di Tours M. Bonnet, Le latin de Gr6goire de Jours, Paris 1890; per il pseudo-Fredegario O. Haao, Die Latinitdt Fredegars, in ?Romanische

Forschungen*, X, 1899, pp. 835-932; per i testi merovingici M. Corti, Studi sulla lotinita merovingica, Milano 1939, J. PlRSON, Le latin de formules me'rovingiennes et carotin

giennesy in ?Romanische Forsch.*, 26 (1929), J. Vieillard, Le latin des dipldmes royaux et chartes privees de I'epoque merovingienne, Paris 1927: per altre indicazioni cfr. K.

Strecker, Introduction a V6tude du latin me'die'val (trad. P. van de Woestijne), Gand 1946, pp. 17-21.

(3) E difatti sono bastati alia Mohrmann pochi rimandi bibliografici per indicare al Corbett che la particolarita da lui notata altro non e che l'aspetto particolare di un feno meno assai piu generale e piu complesso, l'esistenza e la sopravvivenza di un nomin.

plur. in -as, le cui origini risalgono proprio agli antichi dialetti italici (in ?Vigiliae Chri stianas, 1954, p. 249).

Si ha l'impressione che le conclusioni del Corbett gli derivino piuttosto dall'adesio ne convinta alia tesi paleografico-storica del Masai (che vuole i codici PE scritti nell'Ita

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LA QUEST10NE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 231

E che cosa dire, poi, in generale, di una frase come la seguente, sia pure con evidente allusione al Paringer: ? Certes, il n'a rien de clas

sique ce latin, et nous y chercherions en vain toutes le particularites de la morphologie et de la syntaxe d'un Ciceron ou meme d'un Tite-Li ve ? (p. 72) ? C e da restare davvero sorpresi per la mancanza di senso

storico-critico che tali parole fanno intravedere; e c'e da sperare che

tutto questo scompaia nel piu ampio lavoro che lo stesso Corbett pre para peril volume che terra dietro all'edizione diplomatica Vanderhoven - Masai della RM (Genese de la Regie des Monasteres) nel quale tro vera posto anche uno studio ampio della latinita di RM.

A proposito della quale voglio tuttavia ricordare qui la ricerca di un giovane, cui viene riservato di solito, dagli studiosi dei rapporti RB-RM (quando pure la conoscano), non piu che lo spazio di una ci tazione in nota. Incuriosito dalla presenza in molti passi della RM (capp. 33, 35, 36, 37, 40, 44) della strana formula rogus Dei (in cui rogus in

dica l'invocazione litanica che conchiude la recita delle ore canoniche), Alessandro Pratesi ne ha voluto fare la storia in un documentatissimo

articolo (1) per il quale ha visto centinaia di documenti. La conclusione

che la parola rogus con valore di ?preghiera? ?petizione?, ignota al

latino classico (che usa rogatus) e attestata per la prima volta proprio nella RM, e diffusissima nei secoli VIII-XH in documenti delP Italia me

ridionale, dove verisimilmente essa e stata coniata in epoca imprecisa bile, e uno dei pochi risultati solidi finora raggiunti sul vocabolario

della RM.

Eppure il Pratesi si e guardato bene dalPaffermare, in base a tale

conclusione, V origine italiana della RM: ha dato giustamente ad essa il valore di un possibile indizio, in attesa che la ricerca si faccia piu ampia e piu concreta (2).

A questo proposito mi sia lecito ricordare che gli argomenti lingui stici per la determinazione della patria d' origine di documenti latini tar

di vanno usati con estrema cautela: e valga, uno per tutti, l'esempio

lia del Sud, ma il testo della RM non in italiano) che non dai risultati delle sue ricerche; esse vanno, in ogni modo, al di la di quanto non gli permettano di affermare gli elementi da lui esaminati.

(1) A. PRATESI, Rogus ?

Rogatus, in cArchivum latinitatis Medii Aevi?, XXII, 1,1952, pp. 33-62.

(2) ?Gli esempi di rogus ? osserva il Pratesi, p. 36, n. 2 ? frequenti nell'Italia me

ridionale, vanno rarefacendosi via via che si sale verso 1' Italia centrale: percio i testi

esaminati per le regioni a nord di Roma, piu che uno spoglio sistematico, rappresentano un sondaggio?. Ma sarebbe necessario fare per la Spagna e per la Francia del sud la stessa ricerca fatta per 1' Italia: solo allora si potrebbero trarre conclusioni piu ampie sull'area di diffusione della parola rogus nell'alto Medio Evo. Cfr. anche E. FRANCESCHINI,

Un contribute linguistico alto studio delta RM, in ?Aevum?, 1952, pp. 571-2.

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232 E. FRANCESCHINI

della Peregrinatio Egeriae, sulla cui localizzazione non si e giunti an

cora ad un risultato definitivo, pur dopo indagini accurate ed estese (1). II ritrovare in un testo latino tardo voci che hanno sicuro riferi

mento a parole da esse derivate in una lingua romanza piuttosto che

nell'altra, non ci consente di porre quelle voci (e il documento che le

conserva) nella zona geografica indicata dalle parole derivate come se

questa fosse la Joro patria d'origine: perche tali voci potevano essere

diffuse, alle origini della trasformazione, in una superficie assai piu va

sta di quelle in cui appaiono conservate nelle nuove forme romanze.

Che cosa dunque ci attendiamo sulla RM per i prossimi anni? Un'e

dizione critica (esigenza ora meno sentita grazie all'edizione diplomatica Vanderhoven - Masai dei codici parigini), uno studio completo sulla lin

gua (vocabolario, morfologia, sintassi) e sullo stile (compreso il cursus) ?

previa naturalmente, la eliminazione delle interpolazioni sicure ?

un commento filologico sul tipo di quello fatto dal Linderbauer e dalla

Mohrmann alia RB o dal L6fstedt alia Peregrinatio Egeriae, un esame

ancora piu accurato di quanto finora non sia stato compiuto della Re

gola del Maestro in se stessa (2). Rimane un'ultima osservazione. Portata con questo complesso di

stucli la RM all'altezza della RB, individuate ed eliminate attraverso tutti

i sussidi critici le eventuali interpolazioni, prima di passare ad un nuovo

raffronto diretto sara ancora necessario rendersi ragione di quel parti colare genere di latinita cui entrambi i testi appartengono, cioe del la

tino monastico. Non bastera neppure la conoscenza del latino volgare e

del latino cristiano. E qui riporto il parere della Mohrmann, che condi vido pienamente: lo studio della latinita di RM e di RB dovra essere

condotto ?dans le cadre de revolution de la langue speciale du mo

nachisme occidental? perche ?l'idiome du monachisme occidental est un phenomene autonome qu'on devra etudier comme tel? (3). Lungo e

duro lavoro, si dira: e nel quale il compito piu arduo e piu faticoso

spetta ora ai filologi.

(1) Cfr. Aetheriae Peregrinatio ad loca sancta, a cura di E. Franceschini, Padova,

1940, pp. VIII-IX. (2) ?E tempo di esaminare la RM in se stessa, nelle sue proprie peculiarita, quali

che esse siano . .. tanto piu che la prolissita e Y involuzione non costituiscono certo una

sua caratteristica esclusiva, come ben appare dalle altre regole monastiche contempora nee?: G. penco, in ?Riv. liturgica?, XLIII, 1956, p. 44.

(3) Art cit., in ?Vigiliae Christianae*, VIII, 4, 1954, p. 251. Una primizia ed un esem

pio di tali studi e nel recente volume di L. Th. A. Lorie S. ]., Spiritual Terminology in the Latin Translations of the Vita Antonii (with reference to fourth and fifth century monastic literature), Noviomagi, 1955 (fasc. XI della collezione ?Latinitas Christianorum Primaeva> diretta da Chr. Mohrmann e H. H. Janssen).

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LA QUESTIONE DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO 233

Ma la ricerca del vero e un atto cosi prezioso che non e male

speso il tempo a percorrere anche queste strade difficili e quasi deserte. Si narra che un artigiano, il quale lavorava con estrema cura intor

no ad una delle molte statuine di un duomo medievale, interrogato per che mai usasse tanta diligenza e tanta perfezione ad un lavoro che nessuno mai avrebbe potuto vedere ne apprezzare nei particolari, abbia

risposto: ?Mi basta che mi veda Dio?. E una risposta valida, e piena di luce e di serenita, anche per chi passa molta parte della sua vita

nel collazionare codici per edizioni critiche che pochissimi leggeranno, o in lavori del genere.

Con questo spirito mi auguro si riprenda il cammino per risolvere la questione della Regula Benedicti. Ne siano soltanto i figli del Patriar ca di Montecassino a prendere parte air impresa. La Regola di S. Be

nedetto ha talmente informato di se la spirituality medievale da essere

patrimonio, oltre che del monachesimo da essa sorto e intorno ad essa

vissuto e vivente, della intera Chiesa cattolica e della stessa civilta

europea. Essa merita bene che generazioni di uomini si affatichino per fare sulle sue origini tutta la luce possibile.

APPENDICE *

Incipit prologus. O homo, primo libi qui legis, deinde et tibi qui me obscultas di

centem, dimitte alia modo quae cogitas, et me tibi loquenfem et per os meum Deum te

convenientem cognosce; ad quern Dominum Deum ex voluntate nostra per bona acta vel

beneplacita iustitiae ire debemus, ne per negligentiam peccatorum ab invito rapiamur ac

cersiti per mortem. Ergo, auditor, qui me audis dicentem, percipe quae tibi non os meum,

sed per hanc scripturam loquitur Deus; qui te, dum adhuc vivis, convenit de hoc de quo

ei post mortem redditurus es rationem. Quia quod adhuc vivimus, ad inducias vivimus,

cum nos pietas Dei spectat cottidie emendari, et meliores vult esse nos hodie quam fui

mus heri. Ergo tu, qui me obscultas, ita intende ut dicta mea et auditus tuus per conside

rationem mentis ambulando in trivio cordis tui perveniant; in quo trivio unam, ignorantiae

peccatorum, post dicta mea veniens, post te relinque, et duas, observantiae praeceptorum

ante te iam ingredere vias. Et dum quaerimus ad Deum ire, stemus in ipso trivio cordis

nostri et consideremus ipsas duas quas ante nos scientiae conspicimus vias. In quibus

duabus viis, per quam ad Deum possumus pervenire consideremus.

Si senestra tenemus, timemus, quia lata est, ne ipsa sit quae ducit magis ad interitum;

si dextra corripimus, bene imus, quia angusta est, et ipsa est quae diligentes servos ad

proprium ducit Dominum. Ergo vacivus vester auditus sequatur meum eloquium. Et intel

* Riportiamo qui alcuni passi significafivi della RM ienendo presente sia il festo gia

edito in ?Aevum?, XXV, 1951, pp. 296-301, sia l'ediz. diplomatica Vanderhoven - Masai.

Omettiamo ogni apparato e non discutiamo su lezioni singole, desiderando porre sotto gli occhi dei lettori soltanto qualche esempio del modo con cui e condotta la RM.

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234 E. FRANCESCHINI

lige tu, homo, cuius admonemus intuitum, quia te per hanc scripturam admonet Deus ut

modo, dum adhuc vivis et tibi emendare vacat, curras quantum potes, ne iam cum adcer

situs per mortem fueris, nullam Deo in die iudicii vel in poena aeterna excusationem af

feras quod nullus te de emendatione quod vixisti convenerit; et cum ulterius tibi iam sue currere non potueris, in aeternum te incipiat sine remedio poenitere. Ergo amodo quae

audis observa, antequam de hac exeas saeculi luce, quia si hinc exieris non hie reverteris

nisi in resurrectione; et de resurrectione, si hie modo bene egeris, ad aeternam cum sane

tis gloriam deputaris. Si autem hanc scripturam, quam tibi lecturus sum, factis non adim

pleveris, in aeternum igne gehennae cum diabulo, cuius voluniate magis secutus es, depu

taberis. Audi ergo, et age quod est bonum et iustum, per quod Deus invenitur propitius.

Haec regula quae tibi ostendit factis adimple. Quae regula ad perficiendo rectum regula nomen accepit, sicut dicit Apostolus in epistola sua: ?Secundum mensuram regulae quam

mensus est nobis Dominus mensuram pertingendi usque ad vos?. Nam regula veritatis

habet initium et iustitiae finem, sicut dicit propheta: ?Reges eos in virga?, hoc est in ti

moris vigore. Sicut item dicit Apostolus: ?Quid vultis, in virgam veniam ad vos an in

caritate??. Item dicit propheta: ?Virga recta est virga regni tui, in qua dilexisti iustitiam

et odisti iniquitatem?. Et iterum dicit Dominus: ?Visitabo in virga iniquitatis eorum*.

Explicit prologus regulae. Incipit thema.

Propheta dicit: ?Aperiam in parabolis os mcum?; et dicit iterum: ?Factus sum illis

in parabolam*. De utero matris Evae terrae nati et de patrem Adam in excessibus con

cupiscentiae generati, in saeculi huius descendimus viam, et peregrinae viae temporalem

iugum suscipientes perambulamus iter vitae huius per ignorantiam bonorum actuum, et

incertum mortis experimentum. Multum enim nobis neglegentiae viaticum peccatorum sae

culi peregrinatio carricaverat; et humeris nostris lassatis de ponderosis sercinibus, vicinem

sibi mortem iam labsus laboris sudor invenerat; et aestuosa sitis in interitum anelabat:

subito a dextra orientis conspicimus non speratum fontem acquae vivae, et festinantibus

nobis ad eum divina exinde vox magis nobis in obviam venit clamans ad nos et dicens:

?Qui sititis, venite ad aquam?. Et cum vidisset nos venientes oneratos sarcinis gravibus

repetivit dicens: ?Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et ego vos reficiam*.

Nos vero audientes hanc piam vocem, proiectis in terram sarcinis nostris, urguente nos

sitim, abidi ad fontem prosternimur, bibentesque diu surgimus renovati. Et post resurrec

tionem stetimus stupidi nimio gaudio et disputatione, intuentes iugum viae transacti laboris

vel sarcinas nostras, quae nos suo pondere usque ad mortem per ignorantiam fatigaverant. Dum haec intuentes diu consideramus, iterum audimus vocem de fonte, qui nos recreave

rat, dicentem: ?Tollite iugum meum super vos, et discite a me quia mitis sum et humilis

corde, et invenietis requiem animabus vestris. Iugum enim meum suave est et onus meum

leve est?. Nos audientes haec dicamus iam invicem nobis: non revertamus post recrea

tionem tanti fontis et Domini invitantis nos vocem ad sarcinas peccatorum, quas proieci

mus, hoc est quae abrenuntiavimus euntes ad fontem baptismi, quae sarcinae peccatorum nos ante per ignorantiam sacrae legis vel cognitionem ignoranti baptismi disperatos nos

suo pondere in mortem fatigaverant. Nunc vero sapientiam Dei accipientes et qui fueramus

peccatorum sarcinis adgravati, Domini sumus voce ad requiem invitati. Renuntiemus ergo

peccatorum pristinis sarcinis; habeat vias saeculi in negligentibus suorum pondere delic

torum; nos matrem nobis iam non de limo terrae Evam, sed divinam nos vocanfem ad

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LA QUESTIONE DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO 235

requiem christianam legem sentimus, Similiter et patrem iam non in arbitrio peccatorum

Adam quaerimus, sed in voce Domini invitantis nos et desideriis nostris mentis tamen in

renativitate nostra sacri fontis tui ubi sis iam te invenimus.

Cap. I ? Incipit de generibus vel ordine et actus et oita monacorum in coenobiis.

Monachorum quattuor esse genera manifestum est: primum cenobitarum, hoc est mo

nasteriale, militans sub regula vel abate; deinde secundum genus est anachoritarum, id

est heremitarum horum qui non conversionis fervore novitio sed monasterii probatione diuturna qui didicerunt contra diabolum multorum solatio iam docti pugnare, et bene in

structi fraterna ex acie ad singularem pugnam eremi, securi iam sine consolatione alterius,

sola manu vel brachio contra vitia carnis vel cogitationum, cum Deo et spiritu repugnare

sufficiunt. Tertium vero monachorum deterrimum genus est sarabaitarum, quern melius

adhuc laicum dixissem si me propositi sancti non impediret tonsura: qui nulla regula ad

probati et experientia magistro, sicut aurum fornacis, sed in plumbi natura molliti, adhuc

factis servantes saeculo fidem, mentiri Deo per tonsura noscuntur; qui bini aut terni aut

certe singuli, sine pastore, non dominicis sed suis inclusi obilibus, pro lege est eis desi

deriorum voluntas, cum quidquid putaverint vel elegerint hoc dicunt sanctum, et quod no

luerint hoc putant non licere. Et dum in proprio arbitrio quaerunt habere cellas arcellas

et rescellas, ignorant quia perdunt suas animellas. Simul et ii qui nuper conversi immo

derato fervore heremum putant esse quietem, et non putantes insidiari et nocere diabolum

singulare cum eo pugnam indocti et securi invadunt, sine dubio indocti lupi faucibus oc

cursuri. Quartum vero genus est monachorum nec nominandum, quod melius tacere quam

de talibus aliquid dicere, quod genus nominatur girobagum. Qui tota vita sua per diversas

provincias ternis aut quaternis diebus per diversorum cellas et monasteria hospitantes, cum pro hospitiis adventum a diversis volunt quotidie noviter suscipi et pro gaudio super

venientium exquisita sibi pulmentaria apparari, et animantia pullorum sibi curant quotidie a diversis hospitibus pro adventu cultello occidi, gravare se ita diversos non credunt, cum,

mutando cottidie hospites, pro adventu novitatis sub importuna charitate diversos cogant

sibi praeparare diversa, et velut ab invito a diversis hospitibus exigentes praeceptum Apo stoli in quo dicit: ?Hospitalitatem sectantes?, per occasionem praecepti cum inquietos si

bi pedes post viam fomentari expostulant, per occasionem itineris intestinas suas latiori

coena vel prandio inquinatas infinitis poculis magis quam pedes desiderent. Et post exi

nanitam a famelico hospite mensam, et miculas ipsas panis post viam detersas, sitim suam

sine verecundia hospiti ingerentes si calix hostasus defuerit, rogatur hospes in ipsa patel la ut misceat. Et postquam ex utraque nimietate cibi et potus percalcati usque ad vomitum

fuerint, totum laboriosae viae imputant quod gula lucravit; et antequam novus lectus las

satum magis a potionibus vel ab escis quam a via hospitem suscipiat, laborem suae viae

pro magno hospites enarrantes, dum mercedem repausationis largioribus pulmentariis et

infinitis poculis hospitem sibi cogunt largire, rationem erroris sui per peregrinationem et

captivitatem celando excusant, et mox de vicini monachi aut monasterii positione interro

gant: ubi, cum inde levaverint, ponant vel adplicent velut lassi. Et quasi quibus iam uni

versus clausus sit mundus et ex toto eos nec loca nec silvae nec latus ipse Aegypti he

remus capiat, nec universa monasteria ad servitium Dei eos suscipiant, et eos, ut diximus,

totus mundus non capiat, inde se dicunt iuste errare et ex toto locum repausationis et in

tegrant se observationem disciplinae nusquam posse invenire: quasi dicunt se ita multum

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236 E. FRANCESCHINI

sapientes ut totum ipsis solis displiceat quodquod Deo et omnibus placet. Ideoque magis

elegunt ambulare et noviter per diversos cottidie hospites mutatas et varias refectiones et

per occasionem sitientis viae repropinata pocula sumant. Hoc ergo agunt ut gulae suae

magis cottidie peregrinari videantur quam animae. Et cum eis post biduum ad unum hospitem

adparatus ipse iam minuendo subducitur, et mane alia die facto, cum non ad refectionem

coquendam sed ad laborem cellulae suae viderit hospitem occupari, mox quaeri alium

hospitem placet. Et adhuc non venit et iam vadet. Tune valem festinant avaro iam hospiti

dicere, et cum migrare de tali hospitali satagent, orare pro egressu suo hospitem postu

lant. Sic festinant, quasi ab aliquo inpellantur: quasi eos iam expectent aliorum hospitum

prandia praeparata. Et non longe ab ipso monasterio si invenerint cellulam monachi, re

pausantes dicunt se porro a finibus advenire Italiae; et noviter aliquid de peregrinatione,

aut de captivitate et ipsi hospiti quasi humili et inclinato capite mentientes, eum pro pie

tate longi itineris cogunt piis hospitis totam paupertatem in caccabis et in mensa exinaniri,

sine dubio et ipse hospes nudus et a gluttonibus exinanitus post biduo relinquendus. Et

cum post triduum et ipse et cella eius et mores et eius displicuerit disciplina, et cum sub

ducta eis post biduum ab eo item minus exibuerit mensa, mox et ipse reconsignare bi

sacias cogitur, quas diversorum hospitum iam panes tosti impleverant: cum in diversorum

hospitaliis in mensas recentes sumunt, iilos servatos cogunt per avariciam mucidare. Ergo

postquam eis bisaciae consignantur, mox et de pastura miser asinus revocatur, cui post

recentem viae laborem misero pastura placuerat si dominis eius hospitalia non displicuis

sent in viduo; et noviter stratus et diversis tunicis et cucullis resarcinatus, quas aut impor

tunitas a diversis exigerat aut inventa occasio fraudis diversos hospites nudaverat, et ut

alios petant fingunt se pannos advestiri et valem et ipsi hospiti dicentes adhuc non vene

runt et iam vadent cum ab alia iam hospitalia in animo invitantur. Caeditur, pungitur, ustu

latur, lordicat miser asellus, et non vadet; vapulant aures eius postquam chines deficerint;

ideo miser perocciditur, et manibus lassus inpingitur, quia festinatur et satagitur ut ad

alterius monasterii prandium occurratur. Et cum pervenerint ad alterius monasterii aut

monachi regias, ita hilari et clamosa voce de foris ?benedicite!? clamant; et quasi iam

ilium calicem in manum acciperint quern mox ingressi monasterium pro siti sunt petituri

et intrantes regias adhuc non nuntiati et suscepti excarricant, et quasi pro aliquo debifo

aut alicuius delegatione ibi adveniant ante intus bisaciae porriguntur quam ipse hospes

suscipitur. Et non prius ad oratorium festinatur nisi pro labore desiderandi vini per occa

sione viaticae sitis, ut pro caritate hospiti vinum porrigas ab illis sic mane aqua exposci

tur. Hii enim tales, cum ipsi ieiunia ambulando ignorent et ad quoscumque supervenerint

ieiunantes, aut pro superventu hospitali cogunt eos ieiunia frengere, eut non erubescunt

sua voce eis hoc dicere magis eum propter avaritiam ieiunare ut non hospitem velint re

creare post viam, et per vaga suae consuetudinis gula cogunt perseverantium ieiunia vio

lari; cum illi laborioso itineri imputant quidquid praesumunt, et nesciunt quia ut eis non

liceat ieiunare aut abstinere aut aliquo nesciant aliquando loco stare, non eos aliqua am

bulare compellit necessitas, sed gulae cogit voluntas, cum securi et supervenientes alieni

laboris quaerunt panes comedere et diversorum lectos peregrinis straminibus sudores

suos amant abstergere. In quibus straminibus cum indigesti per crapula cibi et potus cu

piunt satisfacere somno vel cum quidam occupatione gulosae ambulationis Psalmos ali

quando neglexerint meditare, ipsorum ore respondent se, lassis post viam ossibus, non

posse de lectulo surgere, cum visi fuerint sani in mensa serotina manducare. Mox matu

tinorum expleto opere Dei, surgunt velut gementes et lassi. Sic prima mane calefacti me

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LA QUESTIONE DELLA REOOLA DI S. BENEDETTO 237

ro, petito panis fragmento ut finti aegroti succos desiderantes, monasteria ipsa aut cellu

las false exeunt lordicando de finta infirmitate, absconse securi quod sanitatis gressos sint

ab ipso limine reformantes. Nam cum sibi nolint sub imperio monasterii abbatem de om

nibus necessariis cogitare, vel ipsi alicubi suo viventes arbitrio facta cellula persistando,

vel ipsi sibi necessaria vitae debuerant cogitare. Et si nostra illis displicet via vel suam

nobis ostenderent formam. Unde nunquam persistantes acti sunt cottidie ambulando men

dicare, sudare, gemere, quam uno loco stando laborare et vivere; et cottidie noviter di

versorum cellas ut humiles intrant hospites, solo capite inclinati, deinde superbi et velut

ingrati post biduum migraturi, et veluti quibus diversorum vita et actus et omnium mona

steriorum vita non placeat, eligunt magis ambulare quam sistere. Qui per diversa semper

vagando ignorant apud quern taedia sua suscipiant et, quod est ultimum, nesciunt ubi

suam constituant sepulturam.

Unde ergo magnum existimantes primum genus coenobiterum, cuius militia vel proba tio voluntas Dei est, ad ipsorum regulam revertamur.

[Capit. X] (ed. Vanderhoven-Masai, pp. 180-1) ... Quibus ergo perascensis gradibus

post exitum vitae sine dubio talis anima ad illam retributionem Domini introitura est, quam

demonstrat Apostolus dicens: ?Non sunt condignae passiones huius saeculi ad superven

turam gloriam, quae revelabitur in nobis*. Illam vitam aeternam tales animae recepturae

sunt, quae in sempiternae laetitiae permanet, ulterius finiri non novit: in qua est flos pur

pureus rosarum numquam marcescens, in qua nemora floscida perpetua viriditate vernantur,

ubi prata recentia semper melleis affluunt rivis, ubi croceis gramina floribus redolent et

alantes campi iucundis admodum odoribus pollent aurae; ibi vitam aeternam habentes

nares aspirant; lumen ibi sine umbra, serenitas absque nubilo et absque tenebris nocturnis

perpetuum diem oculi perfruuntur; nulla ibi impediuntur occupatione deliciae, nulla peni tus sollicitudine ibi securitas conturbatur; mugitum ululatum gemitum et luctum numquam illic auditum vel nominatum est, foedum deforme tetrum nigrum orrendum aliquid aut sor

didum numquam ibi penitus visum; pulchritudo in aminitate nemorum, splendor in aere

iucundo, et formositatem atque omnem elegantiam sine intermissione patentes oculi per

fruuntur, et nihil omnino quod conturbent mentem auribus datur; sonant enim ibidem iu"

giter horgana hymnorum quae ad laudem regis ab angelis et ab arcangelis decantantur.

Amaritudo et fellis asperitas ibi locum non habet; thonitrua ibi numquam audita sunt;

fulgura et coruscationes numquam paruerunt; cinnamomum illic virgulta gignunt et balsa

mum arbusta prorumpunt; odor aeris delectationes per omnia membra diffundet. Esca ibi

nulla stercora conficit; sicut enim bono nuntio aures, et bono odore nares, et bono

aspectu oculi saginantur, et ipsa refectio non potest in digestionem prorumpere, quia non

in esca et potu, sed in aspectu odoratu et auditu constat dilectionis saginatio, ita illic

refectio, quam os susceperit, melliflua in gustu hoc unicuique sapet quod fuerit delecta

tus. Statim denique quod concupierit anima concupiscentiae eius paratissimus servit effe

ctus: in qua delectatione vero vel laetitia nec aetas senectutem, nec vita terminum, nec

suspectam ulterius mortem tales deliciae reformidant; nec in his perennium divitiarum

usibus possessor desinit et heres succedit, cum nesciunt ulterius mortem qui benefacti

praetio vitam aeternam semel moriendo emerunt. Haec est sanctorum caelestis [patria.

Beati qui in hac regione perenni et per scalam praesentis temporis observantiae gradi

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238 E. FRANCESCHINI

bus humilitatis ascensis potuerint elevari ut in perpetua cum Deo exultatione laetentur,

quam praeparavit Deus his qui diligunt earn et custodiunt mandata eius et mundo sunt

corde. Explicit actus militiae cordis pro timore Dei.

[Capit. XXV\ (ed. Vanderhoven - Masai, pp. 220-1 ). De patella micarum ab eudo

marariis septimo die cocendam. Micae panis, quae cotidie mensis mundando levatae in

uno vaso servantur, ab eudomarariis exeuntibus septimanam septimo die eudomae suae,

sabbato die, mundentur ad sera; et patella exinde cocta aut cum farre aut cum ovis ad

stricta, antequam ultimum sera caldum bibant, in mensa ponatur abbatis. Deinde sedenti

abbati vel universae congregationi simul dicant eudomararii: ?iubete, domini, et orate pro

nobis, quia ministerio humilitatis explevimus septimanam?. Statim omnes surgentes cum

abbate, fixis in terra genibus, orent pro ipsis cum ipsis communiter, et cum surrexerint

dicant eudomararii hunc versum: ?videant qui nos oderunt et confundantur, quoniam tu,

Domine, adiubasti nos et consolatus es nos?. Deinde conplenti abbati pacem tradant si

mul et praepositis suis vel omni congregationi; et cum resederit abbas et fratres ad men

sas, signans patellam ipsam cruce abbas sumens de benedictione prius cum coclario ipse,

dein de his fratribus qui cum eo ad mensam ipsius sedent, singulos cocleares in ore

ministret; et cum suos convivas expleverit, vocatis ipsis eudomadariis, et ipsis in ore por

rigat; deinde quot mensae fuerint tot scutellas abbati eudomadarii porrigant, ubi singulos

cocleares per numeros fratrum de singulis mensis levet, quos singulis fratribus in ore sui

praepositi porrigant, ut omnes de ipsa benedictione percipiant. Quod cum adimpletum fu

erit, sic ultimum caldum accipientes surgant dicentes ?Deo gratias?. Qui vero eudoma

darii patellam istam per neglegentiam septimo die non exhibuerint, in sequenti aliena eu

doma per singulos dies singulas quadras panis subductas ab abbate amittant usque ab

emendationem satisfactionis promissam.

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