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S. Borselli, S. Castrucci, J. Loubet Del Bayle LA PAGI NA FIORI TA f Stor i e t i p ogr a f i che a n t i b od on i a n e

LA PAG N FIOR - Il Covile. Indice generale della rivista. · QUEL DIAFRAMMA DI FREDDO ... allora la foglia, «nata due volte» come il dio cui era sacra, ... lontane antenate incise

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S. Borselli, S. Castrucci,J. Loubet Del Bayle

LA PAGINAFIORITA

f

Storie tipografiche antibodoniane

I sei pollici del CovileUna collana dal formato ottimizzato per i

dispositivi di lettura.13

Sulle ormedel Maestro della

Kelmscott Press e indif-ferenti alle colte mode cimi-

teriali come alle minimalistiche desolazioni senza grazie, le pagi-ne dei libri del Covile fiorisco-

no nell’invito a riprenderela bella tradizione tipo-

grafica europea.

QUEL DIAFRAMMA DI FREDDO

«Passando poi dalla invenzione dei ca-ratteri alla impaginazione ravvisiamoqui un altro risultato veramente vali-do della rivoluzione bodoniana: il ri-pudio cioè della decorazione, la con-danna di quanto è soverchio e frivolo,i margini assunti non come soluzionedi continuità, rottura della pagina, macome atmosfera, dove il carattere esal-ta una sua autonoma vita spaziale eacquista valori plastici insospettati,l’affermazione d’un concetto della bel-lezza semplice ed essenziale. E a Bodo-ni appunto si deve l’eccezionale meritod’aver riportato la tipografia alla sua

natura geometrica, con un procedi-mento di raffinata razionalità. Ciòspiega perché gli esteti della tipografiaantropomorfa, che si bea di fronzoli,di barocchismi e leziosità secentesche,vedono un diaframma di freddo nellaclassica serenità di Bodoni.»

DISCORSO pronunciato in oc-casione del centocinquantesimodella morte di GiambattistaBODONI da Angelo Ciaravella,direttore del museo bodonianodi Parma. Editore AdamilcarePizzi S.p.A. 1964, Milano.

Indice1. La foglia aldina (Sergio Castrucci)..........72. La ritirata delle vignette (Stefano Borselli)

.......................................................................373. I caratteri Fraktur e l’anima tedesca..........534. Frederic Goudy, un maestro della

tipografia americana ( Jean-Christophe Loubet del Bayle).....................................79

5. Il carattere Times. Una storia faustiana (S. Castrucci).............................................107

6. Random Fonts & Random Layout (S. Borselli).......................................................127

ITC Zapf Dingbats, 1978.

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1. La foglia aldina*

(Sergio Castrucci)Persistenza di un ornamento

hi guardi anche solo in manieradistratta il set di caratteri specialicontenuti nel font ITC Zapf

Dingbats sarà subito attratto da un paio diquei circa duecento simpatici disegnini.

C

ITC Zapf Dingbats (particolare).

Ebbene, quei due non sono affatto dise-gnini e definirli simpatici è quanto menoimproprio: si tratta di due Swarovski in

* Il Covile n°584, aprile 2010.

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mezzo a un mucchietto di cocci di botti-glia. Rappresentano in realtà un unico og-getto in due diverse posture e quando nel1978, agli albori della grafica digitale, ap-parve l’ITC Zapf Dingbats, anche tra gliaddetti ai lavori quasi nessuno capiva conchiarezza il senso di quell’oggetto di fronteal quale erano rimasti stupiti e un po’ tur-bati: mentre tutti gli altri simboli del setavevano un utilizzo facilmente intuibile,questo intruso era di oscuro significato edestinato quindi ad un uso arbitrario o pu-ramente ornamentale. Uno sfaccendato,insomma; gli specialisti lo chiamavano fo-glia aldina (inglese Aldine leaf, tedesco Al-dusblatt, francese feuille aldine) ma era, si-curamente, un soggetto ambiguo.

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D’altra parte l’intera storia di questa fo-glia è ambigua, avvolta di dubbi e di inter-rogativi, a iniziare dal termine stesso di«foglia»; ma quale foglia? Di qualepianta? Parrebbe trattarsi di edera, pa-rente dell’edera distinguens, segno inciso suantiche lapidi greche e romane con lo sco-po, sembra, di evidenziare, separandolo,una parte del discorso; un po’ come le at-tuali virgolette.

Epigrafia greca e romana: segnidi interpunzione.

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Foglia d’edera, dunque, ma non quellaben nota a tre o cinque lobi che cresce suirami sterili bensí l’altra, meno conosciuta,tondeggiante e appuntita dei rami fertili, irami che produrranno fiori insignificantie frutti velenosi. E proprio il duplice e in-solito sviluppo vegetativo di questa piantasuggerisce l’idea di una sua doppia natura:«nata due volte» cosí come la piú ambiguae contraddittoria divinità antica, Dioniso.Luce e oscurità, calore e freddezza, eb-brezza vitale e soffio mortifero; a lui era sa-cra questa pianta come a lui era sacro ilserpente che per il suo incedere strisciantee subdolo fu da sempre assimilato all’ede-ra.

Ma dove la «foglia aldina» appare piúambigua è nel secondo termine della sua

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definizione, in quel riferimento ad AldoManuzio, come fosse stato lui ad usare perprimo questo ornamento. Stanley Mori-

Hedera helix (fonte Wikipedia)

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son nel 1923 su Fleuron, trattando di fioried arabeschi tipografici, presentava unelenco di ornamenti di stampa e di rilega-tura presenti nei libri del XVI secolo; aproposito del primo di essi, appunto la fo-glia aldina, ne segnalava la presenza sullarilegatura di un libro pubblicato nel 1499dal Manuzio. Trent’anni piú tardi, ancorail Morison, uno dei piú autorevoli espertidel ‘900 sull’argomento, scrisse che la fo-glia era conosciuta come «aldina» non giàperché il Manuzio l’avesse usata come ca-rattere tipografico ma perché sovente veni-va impressa sulle legature in pelle dei suoilibri. I legatori dunque, e non i tipografi,furono i veri pionieri del gusto delle deco-razioni a motivo floreale: foglie, fiori, frut-ti oltre a vari ornamenti arabescati e di fan-

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tasia. Incisi su punzoni, furono chiamati«ferri aldini» o semplicemente «aldi» masono addirittura anteriori al Manuzio enon furono certo una sua invenzione. Unaforma di appropriazione indebita anche seinconsapevole, quella del Manuzio, unasorta di plagio «passivo»: prendersi un me-

La celebre marca tipograficadi Aldo Manuzio

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rito che non si ha ma che non si è in condi-zione di rifiutare. E di plagi, piú o menopassivi, la storia dei caratteri è piena.

Vari anni trascorsero prima che dal fer-ro dei punzoni si passasse al piombo deicaratteri mobili e che la «foglia aldina»fosse usata nella comune stampa tipografi-ca come riempitivo di riga, come separato-re di paragrafi o come, in gruppi multipli,segnale di inizio o fine del testo. Un uso,quasi una moda, che si diffuse fra glistampatori lungo tutto il corso del cinque-cento; poi, come tutte le mode, giàdall’inizio del secolo successivo conobbeun rapido declino e sarebbe forse stata di-menticata se nel 1920 non fosse stata ri-scoperta e rivalutata in occasione dell’in-cisione dei nuovi caratteri Garamond. Da

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allora la foglia, «nata due volte» come ildio cui era sacra, grazie anche alle nuovetecnologie e al diffondersi dei mezzi di co-municazione, si andò sempre piú affer-mando. Oggi chi lavora o si diverte colcomputer ha la possibilità di scegliere fraun discreto numero di versioni anche se lamigliore, almeno fra le moderne, ci sem-bra comunque la nostra, quella del’ITCZapf Dingbats, capolavoro dell’allorasessantenne Hermann Zapf.

Questo distinto signore tedesco nellasua lunga vita ha disegnato oltre 60 set dicaratteri, inizialmente destinati alla stam-pa tipo-litografica tradizionale e quindi al-la stampa e visualizzazione digitali. Tuttiabbiamo sul nostro computer qualcunodei suoi font: uno per tutti, il «Book Anti-

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qua» che Microsoft introdusse nel pac-chetto Office ricavandolo (copiandolo?)dal suo bellissimo e famoso «Palatino», de-dicato al calligrafo del quattrocentoGiambattista Palatino e da lui disegnatonel 1948. Zapf è il «type designer» piú fa-moso e piú copiato del novecento, il cheha costituito per lui motivo di soddisfazio-ne e insieme di amarezza. A sua consola-

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zione citiamo qui un’analoga vicenda oc-corsa quasi cinquecento anni prima. Aglialbori della stampa un certo Felice Feli-ciano, poeta, alchimista e calligrafo (unperditempo, diremmo oggi) coniugò l’este-tica dei caratteri tipografici col rigore del-la geometria le cui figure, secondo il pre-cetto platonico, erano quelle ottenute conl’esclusivo ausilio di compasso e squadra.L’idea che i canoni estetici non potesseroprescindere da quelli geometrici e ne fosse-ro addirittura funzione fu l’idea portantedegli artisti-scienziati del ‘400, dal Bru-nelleschi all’Alberti a Piero della France-sca.

Ebbene, quell’alfabeto geometrico edunque «dignissimo» finí, quasi intatto, inun singolare libro che di quell’idea costi-

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tuiva la teorizzazione. Il libro era il DeDivina Proportione e il suo autore, LucaPacioli, si guardò bene dal nominare il ve-ro ideatore di quei caratteri. Nello stessolibro il Pacioli commise per la verità un al-tro e ben piú grave plagio ma questo di-scorso ci porterebbe troppo lontano. Quisi vuole solo osservare come il destino deicalligrafi sia sempre un po’ lo stesso.

Felice Feliciano, disegno della lettera DFonte: Wikimedia Commons.

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D’altronde caratteristica di ogni segnocalligrafico è di essere immediatamente ri-conoscibile dal suo lettore e le differenzefra i vari caratteri non possono che essereminime; quel segno deve, in altri termini,avere un forte grado di «invarianza». Lafoglia non fa eccezione; a riprova ne abbia-mo messe in fila ben tre: la prima, operadello stampatore Chrestien Wechel, è del1536, la seconda è quella di Jean de Tour-nes del 1553 e l’ultima è la foglia di Her-mann Zapf del 1978. Ebbene, non si puònon rilevare, e con un pizzico di malizia,che i tre esemplari si somigliano assai.

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Della foglia, uno studioso dell’argo-mento, Max Caflisch,1 si è di recente presola briga di catalogare le versioni piú si-gnificative dal cinquecento ad oggi. Sonoun po’ piú di una trentina, piú o meno co-me le Variazioni Goldberg. Le antiche,semplici, sontuose e barocche, grasse e ma-gre, destrorse e sinistrorse, erette, sedute,supine, e le contemporanee, un po’ soffe-renti, talora anoressiche, tutte comunquefondamentalmente simili. Insieme alle lorolontane antenate incise su pietra oltre due-mila anni fa, a quelle usate dagli amanuen-si medievali come frivolo segno di inter-punzione e a quelle impresse come decora-

1 Vedi: Max Caflish, «Pour une typologie de lafeuille aldine» a cura di Jacques André, in Gra-phê N° 30, luglio 2005, p. 13–19.

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zione sulle rilegature di pregio, le vediamonel corso dei secoli apparire e scomparirefacendo salti talvolta lunghissimi ma ri-comparendo poi pressoché immutate.

Foglie aldine antiche (da Max Caflisch)

Ed è la persistenza di quest’immagineche se per un verso ci sorprende, per unaltro ci rassicura. Ritrovarla è come quan-do, camminando su una grande strada dicomunicazione, vediamo riaffiorare in lon-tananza una nuova pietra miliare: ogni

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volta quella pietra porta inciso un numerodiverso a seconda della distanza percorsama per il resto è identica alla passata e allafutura. Quelle pietre, quella pietra ci ha ac-compagnato fin lí e ci accompagnerà anco-ra lungo il nostro percorso dandoci la si-curezza della continuità. Ecco, il signifi-cato della foglia, quello che nei Dingbatsdel 1978 le sembrava mancare, è forse que-sto: la continuità.

Foglie aldine recenti (da Max Caflisch)

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Quando il presente supera il passatosenza tuttavia rinnegarlo e ne riconosce as-sumendoli in sé i valori, allora, in questaconciliazione, è pensabile un rapporto sa-no con la modernità, una protezione con-tro gli strappi avanguardistici. La foglia faparte di quel «basso continuo», come lochiamava Jean Starobinski, di quell’appara-to di antichi simboli, liturgie, rituali, chestanno sullo sfondo dell’opera dell’uomo eche non ne generano la creazione ma neesaltano l’armonia radicandola in qualchemodo nel tempo e nello spazio. Nell’epocain cui vige la dittatura del Risultato e siguarda con sospetto a tutto ciò che a quel-lo non è funzionale, l’«ornamento», sacroin ogni tempo, ha vita grama.

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Eppure l’antica foglia d’edera è riusci-ta, come un cavallo di Troia, a penetrarenella rocca stessa della modernità, nelcomputer, portando con sé i piú valentidella schiera degli Zapf Dingbats. Non so-no entrati, gli eroi, con un semplice font,oggetto effimero legato a una moda o auna scelta; sono entrati usando quel-l’ambizioso progetto illuministico di stan-dardizzazione che ha nome Unicode. En-tro questa sorta di enciclopedia del segnosi sta non per essere usati, ma per esseredei modelli di riferimento, dei simboli diun simbolo; una foglia, una freccia, uncuore, cosí come ogni lettera, ogni nume-ro, insomma ogni segno riceve un codiceche resta tale indipendentemente dal suoaspetto e dal suo formato, dal calcolatore

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e dal software usato, dalla destinazione edalla provenienza. La foglia aldina, ag-grappata insieme agli altri dingbats al bloc-co codici 2700–27BF, resterà dunquecon noi se non per tutta l’eternità, almenoper la durata dell’era informatica...

Ma la gratificazione antropologica checi dà la foglia è poca cosa rispetto a quellaestetica. E allora, come si fa con le donne(o con gli uomini, a seconda) guardiamoletutte e scegliamone una, meglio due. Quel-le due guardiamole bene, magari in unaversione ingrandita, ingigantita, magariproprio le due dello Zapf Dingbats. Guar-diamole bene ma, attenzione, non troppoa lungo. Perché la foglia ha poteri ipnoti-ci, quasi magici, e potrebbe succedere chepian piano da innocua foglia si trasformi

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in animale, in due animali, l’adulto e ilcucciolo, due animaletti fantastici, deli-ziosamente orribili, capaci di riaffiorarefra le volute di un incubo notturno. Gli an-glosassoni, originali come sempre e inclinialle allucinazioni, hanno chiamato il se-gno non «leaf» ma «heart», cuore, e ineffetti bisogna riconoscere che l’immagi-ne, dotata di una certa sensualità tattile,evoca veramente un minuscolo cuore, uncuore per nulla romantico e che potrem-mo, stringendolo fra pollice e indice, sen-tirlo sinistramente pulsare.

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M Storia per immagini

II-I sec. a.C.

Apografo di iscrizione greca su plinto, condue hederae distinguentes, pubblicato da

Georg Walther (Gualtherus)1624.

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I secolo a.C

La pietra esumata da Maillard de Chambure col termine Alisija (=Alesia=Parigi?) che dal 1839

fa discutere gli storici.

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II d.C.

Stele a timpano iscritta di Ulpia Tertullia,Civici Musei di Reggio Emilia.

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1531

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1536

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1561

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1933

Disegno e modello di Frederic Goudy per l’edizione del Fra Luca Pacioli di

Stanley Morison.

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2003

The Aldine Leaf, di Andre Chaves, The Clinker Press. 2003.

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2. La ritirata delle vignette*

(Stefano Borselli)

uella dei Fournier è stata unadinastia di tipografi, la piú im-portante della storia francese. Il

piú celebre resta Pierre-Simon Fournier,maestro della tipografia rococò (l’immaginedel frontespizio del primo volume della suaopera principale2 parla da sola), ma il padreera anch’egli nel mestiere. Nel 1825, 60anni dopo il Manuel di Pierre Simon, unaltro Fournier, Henri, stampa sempre aParigi nella sua tipografia in rue de la

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* Il Covile n°600, settembre 2010-2 Doverosa la segnalazione della splendida edizio-

ne digitale del Manuale realizzata da JacquesAndré e disponibile a http://jacques-andre.fr.

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Seine, un Traité de la typographie, ma ormaii decori sono quasi dimenticati, il fronte-spizio è desolato.

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Per comprendere cos’era successo nel frat-tempo, facciamo ricorso ad un grande stu-dioso della materia, anch’egli (come tuttiin questa storia, tranne le déesses) incisoree tipografo, Gérard Blanchard (1927–1998). Dal suo saggio «Le «Fournier»: ca-raère du bicentenaire»3 traiamo due breviritratti: il secondo personaggio lo chia-meremo anche a testimoniare.

M Pierre Simon Fournier le jeune

Sembra che in Francia si sia del tuttodimenticato Fournier, i cui caratteri(da lui stesso creati) servirono ad e-sprimere, due secoli fa, sia gli ultimianni dell’Ancien Régime sia i primi

3 In: Communication et langages n°82, IV trime-stre 1989, pp. 32–48.

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di un’era nuova. Quello che la Ri-voluzione rinnegò della sua opera so-no le «vignette», vale a dire lo straor-dinario assortimento decorativo (ilcui iniziatore fu il suo contempora-neo Luce,4 stampatore del re). Que-ste vignette, componibili come deicaratteri tipografici in piombo, dove-vano rimpiazzare le vecchie vignetteincise su legno e le affascinanti picco-le stampe su rame dei maestri allamoda. Il gusto degli ornamenti (roco-cò), cari alla Pompadour, cedette ilposto, sotto Luigi XVI al gusto seve-

4 Louis-René Luce, (Parigi, 1695–1774), inciso-re della Stamperia Reale, pubblicò nel 1771 Es-sai d’une nouvelle typographie ornée de vignettes,fleurons, trophées, filets, cadres et cartels, inventés,dessinés et exécutés par L. Luce, graveur du roi,pour son imprimerie royale.

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ro di un decoro sobrio ispiratodall’Antico. […]Pierre-Simon Fournier, detto il Gio-vane5 (1712–1768) — del quale ci oc-cupiamo qui — pubblica nel 1766 ilsuo Manuel typographique nel qualecita i migliori maestri di scrittura delRinascimento: i Palatino (Roma1545), i Cresci (Venezia 1575), iFrancesco Luca (Madrid 1580) e lelettere incise da Theodore e Israël deBry (Leipzig 1596). Egli conosce ilcelebre trattato di Geoffroy Tory, ilTraité sur la fonderie, l’imprimerie et

5 I soli studi, pubblicati in Francia, che permet-tono di comprendere le dinastie della famigliaFournier sono in: Jeanne Veyrin-Forrer, Lalettre e le texte, trente années de recherches sur l’his-toire du livre, Edition de l’École normale supé-rieure de jeunes filles, 1987, Paris. N.D.A.

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le langues anciennes di Gennesner(Leipzig 1742) […].»

M Antoine François Momoro

Antoine-François Momoro è nato aBesançon nel 1756 e morto sulla ghi-gliottina nel 1794, condannato daRobespierre con tutta una carrettad’amici herbertisti.

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Stampatore e fonditore di carattericome professione, arriva a Parigi.Nel 1785 scrive il suo Traité élémen-taire [...]. Nel 1787 è accolto nellacorporazione dei librai e s’installacome stampatore-libraio in rue de laHarpe. Ha sposato la figlia di Jean-François Fournier6 del quale aggiun-ge la fonderia di caratteri al suo fon-do commerciale. […] La sua ammira-zione per Pierre-Simon Fournier èsenza limiti e nel suo Traité egli rin-via costantemente all’opera dell’illu-stre parente. […]

6 Jean-François Fournier, figlio di Jean-Pierredetto il Maggiore, fu fonditore del re, a Parigi,nel 1786. È il fratello di Simon-Pierre e di quelFournier d’Auxerre protettore di Restif de LaBretonne […] N.D.A.

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Nel 1789 Momoro prende partitoper la rivoluzione […] è membro delcelebre club dei Cordiglieri. Amico diHerbert, si separa da Danton e da Ro-bespierre che considera troppo mode-rati. È inviato molte volte in missio-ne nei dipartimenti francesi ed inVandea per sorvegliare le operazionidei generali. Membro influente delConsiglio municipale di Parigi, è luiche inventa il motto «Liberté, égalité,fraternité» che fa incidere sui monu-menti di Parigi. Organizzatore di fe-ste, fa impersonare a sua moglieSofia, nata Fournier, la dea Ragionea Notre-Dame, secondo alcuni aSaint-André-des-Arts.

Ci aspetteremmo allora di trovare nel ma-nuale del rivoluzionario antiaristocratico

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ed anticristiano Momoro un pieno dispie-gamento di quella sensibilità ostile all’or-namento alla quale accennava Blanchard.Invece no, quando Momoro lascia il ber-retto frigio per ritornare tipografo, rientrain se stesso e racconta in tutta verità comeil suo mondo, prigioniero di quella che og-gi chiameremmo la grande impostura, por-ti una maschera: «légers, philosophes ai-mables, nous voulons paroître philosophes pro-fonds, réfléchis, misantropiques mêmes: nousnous refusons de rire quand nous en brûlonsd’envie; nous, etc. nous, etc. etc.». Ecco co-m’è andata: la ghiaccia e funerea bellezzadei caratteri del celebrato asse Baskerville-Bodoni-Didot è potuta diventare norma,facendo sfiorire le pagine stampate, solo in-sieme all’avvento dell’homo ideologicus, dal

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«volto che giammai non rise».7 Ma lascia-mo la parola a Momoro, per concluderepoi con un’immagine positiva, un lavorodel nostro William Morris (1834-1896),sulla quale ritorneremo.

M La vignetta in tipografia8

Ci sono delle vignette in caratteri ti-pografici (font) e delle vignette in le-gno. Le vignette in caratteri tipo-grafici sono piccole incisioni orna-mentali, montate dal compositore se-guendo la giustificazione della sua

7 Sono versi di Giosuè Carducci su GiuseppeMazzini.

8 Voce «Vignette» dal Traité élémentaire de l’impri-merie, ou le Manuel de l’imprimeur, di AntoineFrançois Momoro, chez l’auteur, Paris, 1793,pp. 328–330.

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opera e secondo il suo gusto, dispostein testa ad un volume o all’inizio diun nuovo capitolo. Queste possono es-sere di larghezze diverse, diverse giu-stificazioni e diversi disegni.

Le vignette in legno o le calcografieservono allo stesso scopo di quelle incaratteri tipografici; ma sono piú co-munemente utilizzate. Si collocanoin testa ad un’opera o ad un nuovoargomento, alle diverse parti, divi-sioni, prefazioni, ecc.

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Il gusto delle vignette sembra attual-mente passare e gli inglesi ci hannotrasmesso questa avversione controdi esse, come ci hanno fatto nascereil desiderio di imitarli in tutto: legge-ri, filosofi amabili, noi vogliamo sem-brare filosofi profondi, riflessivi,financo misantropi: noi ci rifiutiamodi ridere anche quando ne bruciamodalla voglia, noi, ecc., noi, ecc., ecc.Di conseguenza ritiriamo le vignet-te,9 per non mettere proprio niente

9 Nell’originale: «En conséquence nous retran-chons les vignettes».

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nella testata di un libro.Consultate le Oeuvres de Voltaire,stampate a Kelh, dalla Società tipo-grafico-letteraria, con i caratteri diBaskerville, nel 1780 e negli annisuccessivi: non troverete una sola vi-gnetta, non un cordon de vignette,non un filet, ad eccezione di quellidetti inglesi, che sono di questo tipo:

In questo modo, noi diamo al pubbli-co soltanto il puro testo, e non lar-ghe vignette o grandi ornamenti mol-tiplicati spesso senza necessità. Nelleopere, tuttavia, quando si mette unavignetta, nel farlo si devono seguire iseguenti principi.1°. Mettere sempre le vignette sullepagine dispari, e quindi non metterle

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mai sulle pagine pari se non è asso-lutamente necessario.2°. Mai mettere spazio tra la vignettein legno e la linea del titolo corrente,dove di solito si trova il numero o folio.

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3°. Proporzionare lo spazio intornoai fleurons che si inseriscono, in modoche ve ne sia un poco di piú in bassoche sopra.4°. Quando si hanno calcografie dainserire dopo i fogli di stampa, lascia-re lo spazio bianco adatto a tale scopo.5°. Scegliere dei fleurons meno larghidella pagina in cui si dovranno por-re, prenderli di un soggetto analogoalla materia del libro, piacevoli al col-po d’occhio, e scartare quelli cui iltroppo uso ha cancellato le tracce,che diventano pastosi alla stampa.

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Non prævalebunt: la pagina ornata ritorna.Poems Chosen Out of the Works of Samuel Taylor Coleridge, Kelmscott Press, 1896.

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3. I caratteri Frakture l’anima tedesca*

M La Disputa Antiqua-Fraktur10

In molti paesi europei i caratteri goticisparirono dopo la creazione del carattereAntiqua.11 Al contrario in Germania en-trambi i caratteri coesistettero, e nel 1790

* Il Covile n°613, novembre 2010.10 Sono qui presentate in forma ridotta e rivista le

voci Antiqua, Fraktur e Disputa Antiqua-Frak-tur di Wikipedia.

11 Antiqua, conosciuto anche come carattere ve-neziano, è un carattere creato da Nicolas Jensone diffuso tra il 1470 e il 1600. È stato usato nel-le Aldine, le edizioni di Aldo Manuzio. L’Anti-qua è modellato come sintesi tra le lettere ma-iuscole latine e la scrittura carolingia.

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la scelta per il Fraktur12 di Johann Hun-ger, prestigioso editore di Berlino, ne san-cí l’affermazione come carattere tedescostandard. Il confronto e la predilezione frale due scritture per tutto il XIX secolo efino al XX fino alla prima metà del XX se-colo assunse il carattere di una vera e pro-pria disputa su quale fosse il carattere cor-retto da usare. Disputa non priva di conno-tati ideologici e di animosità.

12 Il tipo di scrittura Fraktur (in inglese Black-letter) fu inventato dalla cancelleria boema diMassimiliano I. Nel 1513 ad opera dello stam-patore di corte Schönsperger fu infatti realizza-to con questi caratteri un pregevole Gebetbuche, nel 1517, il romanzo Theuerdank. Il nome(dal latino fraus «rotto») deriva proprio dal ca-rattere spezzato della grafia gotica e nasce comescrittura di corte elegante.

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Storicamente la disputa ha origine daidifferenti utilizzi di questi due caratterinei testi colti — per i testi Latini, venivanormalmente usato il carattere Antiqua,mentre il Fraktur era usato di preferenzaper i lavori scritti in tedesco.

Il XIX secoloUn apice nella controversia fu raggiuntoper la prima volta nell’anno 1800, un pe-riodo nella storia della Germania in cui sitentò di definire quali valori culturali fos-sero comuni a tutti i tedeschi. Vi fu un

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grande impegno per definire i canoni del-la letteratura nazionale tedesca — adesempio per la raccolta di fiabe dei fratelliGrimm — e di creare una grammatica te-desca unificata. Nel contesto di queste di-scussioni, i due caratteri tipografici furo-no sempre piú schierati: l’Antiqua vennevisto come «non-tedesco» e fu ritenutorappresentante di caratteristiche come«superficiale», «leggero» e «poco serio».In alternativa il Fraktur, con la sua scrittu-ra «nera» e densa, fu identificato come por-

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tatore di virtú tedesche quali profondità esobrietà.

Durante il romanticismo, dal quale ilmedioevo veniva esaltato, il font Frakturebbe in piú la (storicamente incorretta) in-terpretazione di rappresentante del goticotedesco. La madre di Goethe consigliò ilfiglio, che utilizzava l’Antiqua, di rimane-re — «per amor di Dio» — tedesco anchenella scrittura delle sue lettere. Goethe na-turalmente riprese ad usare il Fraktur.

Anche Otto von Bismarck fu un fortesostenitore dei caratteri tedeschi: rifiutavadi ricevere in dono libri tedeschi in caratte-ri Antiqua e li restituiva al donatore conquesta frase: «Deutsche Bücher in lateini-

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schen Buchstaben lese ich nicht!»13 (Non leg-go libri tedeschi in scrittura latina!)

Il XX secoloLa disputa tra l’Antiqua e il Fraktur conti-nuò nel XX secolo. Gli argomenti a favoredel Fraktur non erano solamente basati suuna percezione storica e culturale ma an-che sul fatto che il Fraktur veniva conside-rato piú adatto per le stampa in tedesco ein altre lingue germaniche, essendo piúleggibile dell’Antiqua per questo scopo14.

13 Citata in: Adolf Reinecke, Die deutsche Buchsta-benschrift, 1910.

14 Hrant Papazian, disegnatore di caratteri di una certa fama, esprime l’opinione, motivandola, che il Fraktur sia «inerentemente» piú leggibile di un font latino.(www.themicrofoundry.com/ss_fraktur1.html)

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Il 4 maggio 1911 un altro picco nella di-sputa fu raggiunto durante un voto al Rei-chstag. La Verein für Altschrift («societàper l’antica scrittura») che sosteneva l’An-tiqua sottopose una proposta per renderloil carattere ufficiale (il Fraktur era stato ilcarattere ufficiale della fondazionedell’Impero tedesco) e di non insegnarepiú il Kurrent tedesco nelle scuole. Dopoun lungo, e in alcuni momenti acceso, di-battito la proposta fu respinta per 85 con-tro 82 voti.

Il periodo nazistaL’uso del carattere Fraktur fu fortementediffuso durante il periodo nazista, ma do-po essere stato propagandato come il solo

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autentico esempio di scrittura tedesca fuvietato nel 1941.

Questo fu l’anno della svolta, decisi-va quanto repentina, annunciata inun decreto firmato da Martin Bor-mann: «È falso considerare o descri-vere la cosiddetta scrittura goticacome tedesca. In realtà la cosiddettascrittura gotica è formata da lettereebraiche Schwabacher […]». Conquesto decreto, il dilemma di «tede-sco» o «moderno» era risolto. Il goti-co, per mezzo di una storia fabbrica-ta, era dichiarato «ebreo» e condan-nato; il futuro sarebbe stato del «ro-mano». Come il Führer aveva adotta-to uno stile neoclassico per l’ar-chitettura pubblica, cosí le paroledel Reich Millenario si sarebbero ve-

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stite dell’autorità senza tempo e sen-za confini delle lettere «romane».15

Si suppone che la ragione di questocambiamento d’idea sia stata la maggiorecomprensibilità dell’Antiqua per i popolinon di lingua tedesca che vivevano nellearee occupate. Questa ipotesi è contrad-detta dal fatto che i nazisti abbiano stam-pato libri, giornali e vari testi destinatiall’estero in Antiqua per molto tempo. Diconseguenza, sarebbero stati in grado distampare tutto il necessario alle zone oc-cupate senza che ci fosse bisogno di cam-biare lo stile di carattere in uso nelle zonedi lingua tedesca.

15 Robin Kinross, Tipografia moderna, Stampa Al-ternativa & Graffiti, Roma 2005, pagg. 136–137.

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Verosimilmente fu Adolf Hitler lacausa del divieto. Sembra, infatti, che aves-se in antipatia il font Fraktur, come dimo-stra la seguente dichiarazione fatta alReichstag nel 1934:

La vostra dichiarata intenzione di in-ternalizzazione del gotico non siadatta a questa età di acciaio e ferro,vetro e cemento, bellezza femminilee forza maschile, di alzate di testa edintenzioni provocatorie16 […] In uncentinaio d’anni la nostra lingua sa-rà la lingua europea. Le nazioni del-l’est, del nord e dell’ovest che vorran-no comunicare con noi imparerannola nostra lingua. Il prerequisito per

16 Da sottolineare la retorica marinettiana della di-chiarazione.

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ciò: la scrittura denominata gotica sa-rà sostituita dalla scrittura fino adora denominata latina…

Il decreto di Bormann del 3 gennaio 1941inizialmente proibiva l’uso dei soli caratte-ri gotici. L’utilizzo del Kurrent (goticocorsivo) fu proibito da una seconda circo-lare, cosi come quello del Sütterlin, cheera stato introdotto solo dagli anni venti.Dall’anno accademico 1941-42 in avantidel solo Normalschrift («scrittura norma-le») fu permesso l’uso e l’insegnamento.In ogni caso il Kurrent rimase ancora inuso fino al 1945 sulle insegne delle SS e inalcuni altri casi.

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Decreto di Martin Bormann del 3 gennaio 1941 che impone l’Antiqua come carattere ufficiale

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La situazione dopo la Seconda guerra mondialeDopo la Seconda guerra mondiale la scrit-tura Sütterlin fu ancora una volta insegna-ta nelle scuole di alcuni stati come scrittu-ra aggiuntiva ma non poteva resistere alungo contro la scrittura corsiva latina.Oggi al di fuori degli anziani pochi riesco-no a leggere la scrittura corsiva tedesca:per molti dei tedescofoni ciò significaavere difficoltà a decifrare lettere, diari ocertificati dei propri genitori o nonni.

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M I Fraktur dei «Duch» della Pennsylvania17

I Pennsylvania Dutch, cioè gli «olan-desi» della Pennsylvania, non sono di di-scendenza olandese (il termine Dutch èqui una corruzione di Deutsch), ma da po-polazioni emigrate dall’area tedesca: so-prattutto dal sud della Renania e dell’As-sia, Palatinato, Baden, Alsazia, Svizzera eTirolo. Le loro ancora vive tradizioniculturali e religiose (in prevalenza sonoLuterani, Quaccheri, Anabattisti, Menno-niti, Amish) risalgono all’immigrazione te-desca in America nel secoli 17° e 18° e la

17 Riduzione e traduzione della voce «Fraktur», diFrederick S. Weiser, dalla Encyclopedia of Ame-rican Folk Art, www.bookrags.com/tandf/frak-tur-tf.

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loro lingua è in ultima analisi, un derivatodel Palatinato tedesco.

La fattoria degli Schlichter.© Free Library of Philadelphia.(*)

(*) Immagini usate col permesso di Rare Book Depart-ment, Free Library of Philadelphia, che ringraziamoper la gentilezza.

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· I Fraktur

Con questo termine oggi in USA ci siriferisce ai disegni Folk Art fatti dai tede-schi della Pennsylvania dal 1740 ad oggi,opere che ricordano la tradizione dei ma-noscritti miniati dei chiostri medievali. Ta-le legame non può essere stabilito in modocerto, ma ci sono chiare connessioni a pra-tiche contadine europee del XVIII secoloe precedenti: in alcuni cantoni svizzeri imaestri di scuola consegnavano agli allie-vi, alla fine dell’anno scolastico, dei docu-menti di fantasia per i loro imparaticci eda questi si è sviluppato il Vorschriften.Circa nella stessa epoca in Alsazia, nellaregione tedesca del Palatinato e in altreparti della Svizzera, i padrini di battesimo

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· Taufscheine

I Geburts und Taufscheine, o semplice-mente Taufscheine, erano registrazioni dinascita e di battesimo dei bambini tede-schi della Pennsylvania a partire dalXVIII secolo. In essi si nominavano i geni-tori, il luogo del battesimo, il sacerdoteche aveva presieduto, i padrini e talvolta ilsegno zodiacale del giorno del battesimo(i coloni tedeschi in Pennsylvania usavanouno zodiaco lunare che cambiava segnoquasi ogni giorno). I bordi del documentovenivano decorati con versi da inni legatial significato del battesimo e da decorazio-ni di ogni genere, dagli uccelli e fiori alleimmagini dei padrini.

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giosi, che non lo fanno, raramente li han-no adottati.

· Wanderer

In un primo momento gli scrivani checompilavano questo tipo di Fraktur eranomaestri di scuola parrocchiale che comple-tavano cosí il proprio reddito, ma dallaseconda metà del diciannovesimo secoloerano generalmente vagabondi18 che vaga-vano per le campagne offrendo questoservizio. Molti di questi documenti sono

18 Anche della figura del viandante, Der Wande-rer, cara alla letteratura e alla musica tedesca (sipensi al Wilhelm Meister di Goethe, al perdi-giorno di Eichendorff, ai Winterreise e a DieSchöne Müllerin di Shubert), i nazisti tentaronol’eliminazione.

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sopravvissuti, nonostante la diffusa tradi-zione di seppellirli con i loro proprietari.

La cassetta degli attrezzi dello scrivano girovago.© Free Library of Philadelphia.

· Vorschrift

Alcuni maestri di scuola preparavanoper gli alunni un libretto di parecchie pagi-ne, cucite insieme per lasciare spazio per

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ulteriori esempi di scrittura artistica, conun frontespizio di fantasia col nome delproprietario. Questi erano conosciuti co-me opuscoli Vorschrift.

I Fraktur sono stati sicuramente unaspetto importante dell’istruzione elemen-tare dei figli dei tedeschi della Pennsylva-nia, che nel XVIII secolo crescevano co-me adulti in miniatura, ed i temi per adul-ti espressi nella maggior parte degli esem-pi di Fraktur erano, pertanto, opportuni. Imaestri di scuola li hanno presentati, tut-tavia, in modi che piacevano ai bambini,con immagini fantasiose e colori brillanti.Cosí il maestro guadagnava il favore delbambino e una maggiore possibilità di ve-der rinnovato il contratto l’anno successi-vo.

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· Altri Temi

Gli atti di matrimonio e di morte nel di-ciottesimo secolo non erano comuni comequelli di nascita, ma comunque abbondan-ti. Ancora altri tipi di Fraktur comprendo-no lettere d’amore, Fraktur politici, etasche a muro per contenere lettere o altridocumenti.

Una percentuale elevata di Fraktur in-corpora copie di immagini provenienti daaltre fonti visive, di tutti i tipi, dai cappottidei soldati britannici all’aquila americana.Le tipografie usavano piccole incisioni (xi-lografie o incisioni in metallo) per aggiun-gere decori nel Fraktur stampato. Il tipo-grafo Henrich Otto (1733-c. 1800), che halavorato a Lancaster, Lebanon, e nelle con-

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tee di Northumberland in Pennsylvania,ha aggiunto uccelli a molti dei suoiFraktur. Allo stesso tempo, un motivo diserie è il cuore con fiori che spuntano fuoridi esso (e il cuore contiene una frase o duetemi relativi al cuore) destinato a rappre-sentare la sede delle emozioni umane. Lecorone sono diventate popolari a causa diun versetto molto amato della Bibbia, «Siifedele fino alla morte e ti darò la coronadella vita». Simboli religiosi, come la cro-ce, però, si trovano raramente, probabil-mente per distinguersi dall’arte Cattolica.

Dall’Ontario alla South Carolina, iFraktur hanno goduto di grande popola-rità tra i coloni di lingua tedesca che han-no sancito la loro pietà, cosí come l’amore

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4. Frederic Goudy, un maestrodella tipografia americana*

( Jean-Christophe Loubet del Bayle )

M Un creatore prolificoMolti caratteri tipografici (Goudy Old Sty-le, Goudy Handtooled, Goody Sans, ecc.)portano il suo nome, eppure l’uomo è an-cora troppo poco conosciuto. Invece lasua opera ha influenzato notevolmente latipografia di questo secolo: Camelot(1896), Pabst (1902), Copperplate (1905),Caxton Initials (1905), Monotype 38-E(1908), Kennerley (1911), Forum Title(1911), Goudy Old Style (1915), Goudy Mo-

* Il Covile n°633, marzo 2011. Fonte e ©: www.-typographie.org, traduzione di G. Rouf.

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dern (1918), Goudy Open (1918), CloisterInitials (1918), Garamond (1921), GoudyNewstyle (1921), Italian Old Style (1924),Goudy Heavy Face (1925), Deepdene(1927), Companion Old Style (1927),Lombardic Capitals (1929), Mediaeval(1930), Goudy Sans (1930), Saks Goudy(1934), Goudy Text (1939), Franciscan(1932), Hadriano (1934), Bertham (1936),Friar (1937), University of California OldStyle (1938), Remington Typewriter (1939),Goudy Thirty (1942).

Horace Hart, già presidente della Lan-ston Monotype cosí diceva di lui:

Goudy fu sicuramente il piú grandedesigner di caratteri americano ed eb-be pochi eguali nel mondo. Non so

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quanti caratteri inventò, e non sonosicuro che questo sia importante. Nedisegnò otto, dieci o anche dodiciche sono diventati dei classici. Chialtro nella storia della tipografia puòvantare un simile primato?Goudy fu tuttavia piú che un prolifi-co disegnatore di caratteri. Egli hausato la sua fama per stimolare la di-scussione sull’arte tipografica. Eraanche un pedagogo attento, innovati-vo, sempre pronto ad usare le nuovetecnologie.

Schizzo per il Kennerley Italic (1911).

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M Gli inizi a ChicagoGoudy nacque a Bloomington, Illinois

l’8 Marzo 1865, proprio alla fine dellaGuerra civile. Battezzato Frederic Wil-liam, discendente di scozzesi, visse ad Hi-ghmore, Dakota fino al 1884, quando la-sciò l’agenzia immobiliare del padre per la-vorare a Chicago, allora il centro principa-le della stampa americana. Lavorando co-me assistente per varie aziende, si specializ-zò rapidamente nella realizzazione di an-nunci pubblicitari. Nel 1892 fondò la rivi-sta Modern advertising che pubblicò pochinumeri. Lavorò anche per un certo tempopresso un libraio, che gli fece scoprire lerealizzazioni della Kelmscott Press di Wil-liam Morris, oltre alla produzione dellegrandi tipografie private inglesi.

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M Le prime esperienze: The Chap Book — Camelot Press.

Nel 1894, Goudy fondò la sua tipogra-fia. Battezzata Booklet Press, beneficiò delsostegno finanziario di un insegnante discuola conosciuto precedentemente, C.Lauron Hooper. Nello stesso periodo duestudenti di Harvard, Herbert Stone e In-galls Kimball decisero di avviare una rivi-sta letteraria, The Chap-Book e affidaronoa Goudy l’incarico di stamparla. Questarivista d’avanguardia pubblicava testi diWells, Verlaine, Crane e faceva ricorso adillustrazioni di Toulouse-Lautrec, Brad-ley e Beardsley. Goudy che non disponevaall’origine che di una tipografia per stam-pare volantini, apprese molto nello svol-gimento di questo incarico.

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Nel 1896, quando si trasferirono nelCaxton Building, Goudy e Hooper ribat-tezzarono la tipografia Camelot Press, dalnome della primo tipografo inglese. Que-

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sto è anche il nome che Goudy dette alprimo carattere che ha disegnato. In quelperiodo inoltre disegnò molti ornamentitipografici,.ma l’epoca non era ancorapronta per realizzazioni grafiche di quali-tà e la tipografia fallí.

Allora lavorò a destra e sinistra, incon-trando in questo periodo Bertha M.Sprinks (1869–1935), con cui si sposò nelmese di giugno 1897 e da cui ebbe unfiglio, Frederic T., nel 1898 (in seguito an-che una figlia, Alice). Lavorava come free-lance per riviste, librai ed editori, disegnan-do copertine o ancora pubblicità.

Nel 1897, ha disegnato il suo primo ca-rattere, l’Old Style Camelot. Ha insegnatoper qualche tempo presso la Chicago

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School of Illustration (1900) e disegnato isuoi primi caratteri su incarico.

M Il periodo newyorcheseNel 1901 Goudy creò a Hingham The

Village Press, e a lui si uní W. A. Dwig-gins, un allievo di Chicago, ma ancorauna volta, l’impresa non fu economica-mente sostenibile.

Comunque fu allora che Goudy fece laconoscenza di molte personalità dell’am-biente americano della stampa, a comincia-re dai quadri dirigenti dell’American TypeFoundery di Boston, Daniel Berkeley Up-dike e Bruce Rogers. Nel 1904, le sue pub-blicazioni furono premiate all’Esposizio-ne Universale di St. Louis.

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· I primi ordini: ATF & Lanston Monotype.Nel 1906, la ditta si trasferí a Manhat-

tan, New York. Goudy realizzava alloraordini di cui molti provenivano dall’ATF,la piú grande fonderia dell’epoca. Nel1908 un incendio distrusse le sue struttu-re. Ma poco dopo, la società Lanston Mo-notype di Philadelphia commissionò aGoudy un carattere originale per la rivistaLife. Questo carattere, battezzato Mono-type 38-E, fu adattato dalla società di Phi-ladelphia alle esigenze tecniche della suamacchina di composizione tipografica. Ilrisultato non piacque mai a Goudy, ma co-nobbe un grande successo presso i tipo-grafi, sotto il nome di Goudy Light oGoudy Old Style.

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· Il gusto per il Rinascimento.Nel 1909–1910, Goudy fece un viaggio

in Europa che ebbe su di lui una grandeinfluenza. Ebbe modo d’incontrare moltitipografi inglesi, a partire dal partner diWilliam Morris, Emery Walker. Al Lou-vre, chiese alla moglie di stare di vedettamentre lui faceva il ricalco di un’iscrizio-ne romana. Fu anche molto colpito dal di-

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segno delle lettere sui quadri degli artistidel Rinascimento.

Di ritorno dall’Europa, disegnò peruna pubblicazione del suo amico Ken-nerley, due caratteri: il primo, chiamatoKennerley, si ispirava a dei caratteri rinasci-mentali francesi, il secondo, nominato Fo-rum si ispirava alle iscrizioni della Colon-na Traiana. Nel 1913, la fonderia Caslon,acquistò il disegno di Kennerley e lodiffuse in Inghilterra: è da questo periodoche data la reputazione di Goudy in GranBretagna.

· Il periodo ATF

Nel 1912 la ditta traslocò sulla Madi-son Avenue. Progressivamente, il lavorodi stampa fu preso in carico dalla moglie,

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mentre Goudy si concentrava sulla sua at-tività di disegnatore di caratteri. Tra il1912 e il 1920, ne disegnò 20 (Goudy OldStyle, Open Goudy, Goudy Modern...), dicui 6 per la ATF. Nel 1914 fondò la Villa-ge Lettery Foundery e nel 1915 iniziò ad in-segnare presso la Art Students’League (poiall’Università di New York). Nel 1918pubblicò The Alphabet, che completò nel1922 con The elements of Lettering, comelibro di testo per gli studenti sulle originidei caratteri. Sempre nel 1918, lanciò la ri-vista Typographica nella quale difendeva lasua concezione della tipografia.

M La consacrazioneNel 1920 divenne direttore artistico del-

la fonderia Lanston Monotype, carica che

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«Nel suo libro, Alphabet and Elements of lettering,Goudy presentava sintetica-mente l’evoluzione della let-tera latina, respingendol’affermazione dei granditeorici della scrittura qualiLeonardo, Tory o Dürer chesostenevano che le lettere la-tine potevano essere scom-poste in elementi geometricidi base. Goudy rifiutava riga ecompasso. Preferiva assimi-lare a lungo la forma degliantichi caratteri, per estrar-

ne le proporzioni ideali.»

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ha ricoperto per 27 anni prima di diventar-ne il consulente artistico. Colse l’occasio-ne per creare per questa società 29 diversicaratteri (Garamond, Italian Old Style,Goudy Newstyle...). Il suo amico Bruce Ro-gers disegnò gli specimen pubblicitari peri primi due. Il libretto dell’Italian Old Sty-le è considerato oggi come uno dei piú bel-li mai realizzati negli Stati Uniti.

· Le critiche di MorisonNel 1920 ricevette finalmente la sua

prima grande consacrazione: la medagliad’oro dell’American Institute of GraphicArts (AIGA). Fu allora che i suoi rapporticon l’ATF si deteriorarono, cosí comequelli con Updike e Stanley Morison, ilgrande inglese, che stava lavorando con laMonotype Company (inglese), e che dirige-

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va allora un programma di produzione digrandi caratteri storici come il Bembo e ilGaramond. Morison rimproverava a Goudydi distorcere i caratteri a cui si ispirava e diaggiungervi spudoratamente il suo nome.

· L’atelier di Marlboro-on-Hudson

Nel 1924, desiderando disporre di unostudio dove poter disegnare e stampare,ma anche incidere le matrici e fondere i ca-ratteri, si trasferí in un vecchio mulino aMarlboro-on-Hudson, che chiamò Deep-dene. Si procurò una macchina tedesca perincidere i caratteri e iniziò all’età di 60 an-ni una nuova professione. Fino alla suamorte, ha inciso quasi 50 caratteri, alcunidei quali sono ormai famosi, come GoudyText, Trajan..., senza tuttavia rinunciare

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Charles E. Pont (1898–1971), Deepdene.Xilografia.

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alla sua attività di tipografo, specialista inedizioni limitate.

· L’incendio del 1939Il 21 ottobre 1935, Bertha morí a Deep-

dene. Quella che Bruce Rogers riteneva ungrandissimo compositore di testi, non videil trionfo del marito per i 50 anni di TheVillage Press. Goudy le dedicò un caratte-re, il Bertham (1936). Nel 1939 i laborato-ri di grafica, di taglio dei caratteri, dicomposizione, di rilegatura, oltre che latipografia e la fonderia furono distrutti inun secondo incendio. Le associazioni deitipografi aiutarono allora Goudy a rico-struire un laboratorio e ritrovare tracciadei disegni scomparsi. Due anni dopo eglicontinuava ancora rispondere a lettere che

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arrivavano a seguito della sua richiesta diaiuto.

La Syracuse University acquistò unamacchina per incidere, e la mise a disposi-zione di Goudy, perché potesse riprendereil suo lavoro. L’incendio spinse Goudy avendere la sua collezione alla Library ofCongress nel 1940. In quel periodo pub-blicò Typologia (1940) e Alphabet and Ele-ments of lettering (1942). In precedenza,aveva ottenuto una cattedra in calligrafiapresso la Syracuse University. Nel 1947,la mostra «Goudyana» venne inaugurataalla sua presenza presso la Biblioteca delCongresso. Morí l’11 maggio 1947. IlNew York Herald Tribune del 13 maggio,riassunse l’opinione generale, dicendo:

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«Tutti quelli che leggono hanno un de-bito verso Mr. Goudy».

M Artista e teoricoGoudy non fu solo un teorico della tipo-

grafia, ma un artigiano geniale.I suoi caratteri hanno tutti quell’aspet-

to imperfetto che li distingue da altri tipidi carattere disegnati per i dispositivi dicomposizione meccanica. Questo effetto

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era deliberato. Goudy voleva tornare aldisegno originale della lettera scritta a ma-no, ispirandosi alle produzioni del Rina-scimento.

· Un ritorno alle origini.Nel suo libro, Alphabet and Elements

of lettering, presentava sinteticamente l’e-voluzione della lettera latina, respingen-do l’affermazione dei grandi teorici dellascrittura quali Leonardo, Tory o Dürerche sostenevano che le lettere latine pote-vano essere scomposte in elementi geome-trici di base. Goudy rifiutava riga e com-passo. Preferiva assimilare a lungo la for-ma degli antichi caratteri, per estrarne leproporzioni ideali.

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· Leggibilità, il suo motto.Goudy è stato anche un difensore delle

sue idee nella pratica. Componeva manual-mente la maggior parte dei suoi libri. Lasua parola d’ordine era la ricerca dellamigliore leggibilità, riprendendo la cita-zione famosa di Ancillon:

Meno l’occhio è stanco durante lalettura di un libro, tanto piú lo spiri-to è libero per giudicarlo.

La leggibilità secondo lui dipendeva datre fattori:

Primo, la semplicità, vale a dire utiliz-zare un carattere privo di tratti i-nutili, poi il contrasto, giocando sul-la tessitura della linea composta di

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Una copertina di F. Goudy (1918).

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singoli caratteri, ma anche sulle lar-ghezze diverse dei caratteri, e infinela proporzione, dato che ogni partedella lettera è in relazione con le al-tre parti di essa e con le altre lettere.[...] un carattere senza manierismo,facilmente e piacevolmente leggibile,virile, dalle forme distinte, destinatonon a mostrare il talento del suocreatore, ma ad aiutare il lettore. Uncarattere deve essere di facile lettura,aggraziato, ma non fragile, decorati-vo, ma non sovraccarico, bello indivi-dualmente e in composizione, auste-ro e formale, [...] di fattura sem-plice, senza essere rozzo, elegantenella linea e fluido nella forma e, so-prattutto, esso deve possedere questaqualità inestimabile chiamata ‹arte›— quel qualcosa che passa inconscia-

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mente dallo spirito del creatore allasua opera.

Goudy incoraggiava i disegnatori di ca-ratteri a cercare la bellezza, ma con pru-denza, senza snaturare la lettera e le sueproporzioni, il che minacciava la sua leg-gibilità. Infine, raccomandava una certa

Esempio recente d’uso dei caratteri Goudy Old Style.

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sobrietà nella composizione: egli notavache la bellezza formale della produzionedei primi stampatori proveniva in granparte proprio dai limiti degli strumenti edei materiali utilizzati, che determinavanola maggiore coerenza dell’insieme.

M Un genio modestoLe creazioni di Goudy possono sembra-

re datate alla nostra epoca. Egli ha tutta-via apportato alla tipografia una riletturapersonale delle antiche creazioni:

La mia arte è molto semplice. Perquarant’anni mi sono costantementeimpegnato per creare un ambiente fa-vorevole ad una stampa di qualità,per dare ai tipografi e ai lettori carat-teri piú leggibili e piú belli di quelli

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fino ad allora disponibili. La stampaè fondamentalmente un’arte pratica,ma il pragmatismo non esclude chele forme dei caratteri possano esseredistinte ed eleganti.Per 74 anni, la mia missione è stataquella di soddisfare le esigenze prati-che dei clienti, mantenendo unacerta qualità estetica, e ora, con oltre108 disegni di caratteri a mio credi-to, sono orgoglioso di dire che nonmi sono mai coscientemente lasciatoandare a stampare un messaggio soloper servirmene come impalcatura, alsolo fine di mostrare il mio talento, oanche a permettere che la mia arte di-ventasse un fine in sé, quanto inveceun mezzo per uno scopo auspicabileed utile.

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Charles E. Pont, Frederic W. Goudy.Xilografia.

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5. Il carattere Times. Unastoria faustiana*

(S. Castrucci)

uel lontano mattino del 3 ottobredel 1932, nell’aprire la loro copiadel Times, i londinesi ebbero un at-

timo di sgomento. Appena percettibile eben controllato ma, senza alcun dubbio,un attimo di sgomento. Il loro giornaleaveva cambiato il carattere di stampa.

Q

Cosa stava mai succedendo? Possibileche a un popolo capace di tenersi la stessaregina per sessant’anni si potesse cambiarecosí, dall’oggi al domani, il carattere distampa del giornale-simbolo del Regno

* Il Covile n°652, luglio 2011.

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Unito? Quasi come cambiare il colore difondo dell’Union Jack.

Beninteso, giunsero subito spiegazionianche se nessuno credette molto alle mo-tivazioni estetiche che pur con qualche ra-gione vennero addotte, che cioè il vecchiocarattere era rozzo e tendeva a formare ifastidiosi «canaletti» fra le righe del testo,una sorta di precipizi visivi che interrom-pono l’andamento orizzontale della let-tura facendo sprofondare lo sguardo dellettore diverse righe piú in basso. In realtàil vecchio carattere aveva ben altre respon-sabilità; era tozzo, complesso e facevasprecare una quantità ragguardevole diinchiostro e di carta. Le leggi dell’econo-mia cui i cittadini britannici sono devotinon meno che al culto della tradizione

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imponevano di usarne uno nuovo, uno chericordasse un po’ il vecchio ma che fossepiú semplice, snello e dunque piú econo-mico. La sua realizzazione fu affidata aStanley Morison l’uomo che in quel mo-mento era il piú autorevole studioso dicaratteri di stampa e in quella — imma-giniamo — brumosa mattina di ottobre ve-niva portata a compimento l’audace inno-vazione.

Se la storia del «Times New Roman»— questo il nome del nuovo carattere —fosse tutta qui non metterebbe davveroconto raccontarla ma la nascita di questocarattere, divenuto in seguito il «font» piúusato e diffuso del mondo, ha invece unastoria complessa e dai risvolti inquietanti.

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Tre anni prima, nel 1929, il primo a cri-ticare il vecchio carattere del quotidianoè proprio lo stesso Stanley Morison, con-sulente della Monotype Corporation in-glese. Per tutta risposta i dirigenti del gior-nale propongono a lui di trovare qualcosadi meglio. Creare il nuovo carattere distampa dello storico e prestigioso Timesdi Londra è una sfida irresistibile e, perun uomo ambizioso come Morison,

Da The Times, 1929.

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un’occasione da non perdere. Il compitoperò appare subito piú impegnativo delprevisto; Morison disegna una inter-minabile serie di prototipi nessuno deiquali gli pare tuttavia soddisfacente. Iniziaallora a consultare progettisti esterni sinoa giungere al celebre Harry Carter il qua-le gli butta giú diverse proposte. Ebbene

Da The Times, 1937.

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quei fogli resteranno per anni sepolti neicassetti di Carter. Morison non andrà maia ritirarli né mai ne farà parola con alcunoe il motivo è semplice: la soluzione, lui,l'ha già in tasca, una soluzione che dietroun nome banale, «Number 54», cela unoggetto misterioso e sfuggente.

La storia del «Number 54» ha iniziocon i primi anni del secolo scorso ed è le-gata ad un personaggio singolare, Wil-liam Starling Burgess, rampollo di una no-ta famiglia di Boston, uomo dalla vita bril-lante e movimentata, «a dazzling life» co-me dicono gli americani. In quegli anniBurgess è poco piú che ventenne e, quasialla fine del corso, interrompe i suoi studidi architettura ad Harvard per aprire unostudio di progettazione navale. Poco dopo

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apre un cantiere navale e quindi un altrodove costruisce aerei su licenza dei fratelliWright, progetta idrovolanti per l’USNavy, studia aerei e veicoli sperimentali.Il ragazzo ha poi conoscenze ed amicizieimportanti, basti quella con Franklin De-lano Roosevelt, e c’è da chiedersi perchénell’America di quegli anni un uomo tantodinamico non diventi ricchissimo e fa-moso, come in fondo desidera da sempre, eperché i suoi successi professionali si in-treccino sempre a difficoltà finanziarie,fallimenti, scandali, suicidi. PurtroppoBurgess non conosce le doti della costan-za e della determinazione e i suoi moltepli-ci interessi lo portano a disperdere in trop-pi rivoli le indubbie capacità. La sua stessavita sentimentale, con ben cinque matri-

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moni e un numero imprecisato di avventu-re, è segnata dalla mutevolezza di interes-si e di passioni. Ebbene, il «Number 54» èanch’esso figlio e vittima di questa instabi-lità emotiva.

Ma torniamo ai primi anni del ‘900. Dapoco rientrato da Harvard, Burgess scri-ve libri di poesie, progetta barche che vin-cono le regate e, fra le altre cose, si appas-siona al progetto di un nuovo carattere distampa. I caratteri che ci sono in giro so-no goffi, rozzi ed hanno un gran bisognodi un tocco di modernità. Per fare un pas-so in avanti, pensa, niente di meglio chefarne quattro all’indietro. Fa due viaggi aLondra ed ha contatti con i preraffaelliti,specialisti in questo genere di approccio;il suggerimento è infatti di ripartire dallo

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stile dei primi disegnatori di caratteri e alBritish Museum, in mezzo a una raccoltadi coperte di libri del 16–17° secolo, scovaciò che gli interessa. Torna negli U.S., cilavora un po’ su e nel 1904 commissionaalla Lanston Monotype, compagnia spe-cializzata nelle progettazione e produzio-ne di attrezzature per la stampa, la fabbri-cazione di una serie di caratteri. Vuole esse-re il primo ad utilizzarli e lo farà per i do-cumenti del suo cantiere a Marblehead nelMassachusetts, solo che mentre la Lan-ston sta ancora lavorando ai prototipi, Bur-gess assiste ad un volo sperimentale di unaereo dei fratelli Wright. Grande emozio-ne e amore a prima vista; ancora una voltamolla tutto e si lancia nella nuova avven-tura, costruire aerei, gettando alle ortiche

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il progetto del nuovo-antico carattere ti-pografico che finirà, disegni e prototipi,negli scaffali della Lanston Monotype do-ve giacerà dimenticato per anni col nomedi «Number 54».

La ri-scoperta del «Number 54» si de-ve ad un pittoresco canadese di origineitaliana, Gerald Giampa, amico di Ke-rouac, di Ginsberg, di Janis Joplin. Appas-sionato conoscitore dell’arte della stampa,nel 1987 acquista ciò che rimane dellaLanston Monotype. Frugando negli archi-vi della società, Giampa scopre dei docu-menti che si riferiscono ad un certo carat-tere tipografico il cui unico identificativoè «Number 54». Incuriosito legge, guardama stenta a credere a ciò che vede. Inter-pella allora il suo amico Mike Parker,

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uno dei massimi esperti di caratteri tipo-grafici, al quale mostra alcuni esempi del«Number 54». Non ci sono dubbi: si trattadel «Times New Roman» solo che la do-cumentazione porta la data del 1904, qua-si trent’anni di anticipo rispetto alla suanascita ufficiale e il designer non è, ov-viamente, Stanley Morison bensí WilliamStarling Burgess.

Parker fa studi, ricerche e scopre cheintorno agli anni trenta i disegni del«Number 54» erano in mano a un certoFrank Hinman Pierpont, un individuo inforte odore di zolfo, il cui incarico ufficia-le, qui sulla terra, è quello di manager diuna fabbrica inglese della Monotype. Nonsappiamo la natura del patto stipulato fraMorison e Pierpont. Non sappiamo in

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particolare cosa abbia ceduto Morison incambio di quanto ha ricevuto da Pierpontovvero il «Number 54», ciò che gli ha ri-solto tutti i problemi col Times di Londrae lo ha consacrato padre del piú famosocarattere tipografico del mondo.

In effetti, Morison non ha mai sostenu-to di aver «disegnato» o «creato» quel ca-rattere ma di averlo «escogitato», termineanch’esso ambiguo, aperto ad ogni tipo diinterpretazione. Lo stesso giudizio che dàsul carattere appare singolare, apparente-mente tendente a minimizzane il valore:«il suo merito è quello di non sembrare di-segnato da qualcuno in particolare», comedire anonimo, senza alcuna personalità.Va anche detto, per inciso, che per Mo-rison proprio questa povertà, questa umil-

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tà del carattere è paradossalmente un pre-gio. Il tipografo, ha sempre sostenuto,non è un artista e il suo compito non èesprimere se stesso ma l’autore di ciò chestampa; certo, deve cercare di rendernegradevole la lettura ma sempre con sempli-cità e modestia, sempre restando nell’om-bra, ed anche il carattere non deve mai es-sere qualcosa di veramente speciale o ec-centrico. Predica insomma ai tipografiuna virtú, l’umiltà, che sicuramente nongli appartiene.

Ma il patto luciferino non può comun-que esaurirsi nel semplice passaggio di ma-no dei disegni di Burgess. A Stanley Mori-son, un Doktor Faustus piuttosto sbrigati-vo, deve essere garantita una certa sicurez-za che il gioco non sarà scoperto. Da qui

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una serie interminabile di incidenti di-struggerà tutto quanto in grado di far lucesull’operazione. Il cantiere di Burgess va afuoco e vanno perduti tutti i documenti ela corrispondenza relativa agli anni in cuiquesti aveva lavorato al «Number 54»; sia-mo nel 1918, vari anni prima della transa-zione e l’incidente ha per Morison unchiaro valore dimostrativo. Dall’altra par-te dell’Atlantico, nel 1941, una bomba ca-duta sugli uffici londinesi della LanstonMonotype distrugge tutta la documenta-zione relativa all’attività di Morison perlo sviluppo del «Times New Roman».

Riguardo al «Number 54» il poco cheancora rimane si trova presso gli archividella Lanston Monotype ma nel 2000un’alluvione travolge e trascina con sé, ol-

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tre a quel progetto, cento anni di storiadella stampa. Una copia del «Number54» esiste tuttavia anche a Washington,presso lo Smithsonian Institution. Forse sitratta addirittura dei disegni originali diBurgess; Parker dice di averne fatta unacopia nel 1996 ma, successivamente, il si-to risulta contaminato dall’asbesto e dalpiombo, dichiarato off limits e il suo acces-so interdetto a tempo indeterminato.

Ogni genere di disastro si è dunque ab-battuto sulle tracce del fantomatico «Num-ber 54»: incendi, alluvioni, bombe e inqui-namenti. Lo stesso Gerard Giampa, l’altrotestimone oculare della documentazioneoriginale, muore prematuramente fulmina-to da un ius. Resta cosí ben poco a soste-gno della ricostruzione della storia fatta

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da Parker: la fotografia di alcuni caratteridel «Number 54», in tutto simili a quellidel «Times New Roman», incisi su plac-che di metallo delle quali però solo una,quella della lettera «B», è scampata all’al-luvione della Lanston Monotype ed è orain possesso dello stesso Parker. Si tratta diuna placca ottenuta seguendo un tipo dilavorazione in uso all’inizio del secolo, aitempi del «Number 54», ma non piú nel1932, quando nasce il «Times New Ro-man» e questa, secondo Parker, sarebbe laprova tangibile di quanto sostiene. Oltrequeste due «prove» esistono alcune testimo-nianze sul carattere ambiguo di Morison,vari indizi e coincidenze difficili da spiega-re ma, tutto sommato, niente di veramenteconclusivo. Quando Parker rende pubblica

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questa storia, nel mondo della grafica edell’editoria succede un mezzo finimondo.Morison è morto da piú di trenta anni maha ancora molti estimatori fra cui lo scrit-tore Nicolas Barker che insinua che Giam-pa e Parker abbiano messo in piedi questastoria per una questione di brevetti e di co-pyright, in altri termini per bassi interessidi bottega. Anche Barker tuttavia, in quan-to biografo di Morison, ha interesse a di-fenderlo e le sue parole non sono, come sidice, al di sopra di ogni sospetto. Il mondodella grafica si spacca in due partiti, quellodi chi crede a Parker e quello di chi difen-de Morison. Questi ultimi hanno il loro mi-glior argomento contro Parker nel fattoche questi ha di recente prodotto un «suo»carattere, praticamente identico al «Times

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New Roman» ma che lui dice derivato dal«Number 54» e che infatti è stato battezza-to «Starling», uno dei prenomi di Burgess.

Ad oggi la situazione è dunque questa:è probabile che Parker abbia raccontato laverità e che Morison abbia realmente co-piato da Burgess ma è anche possibile cheil «Times New Roman» sia invece fruttodi studio e di ricerca e che il «Number54», se pure esiste, contenga tutt’altre co-se. In questo caso sarebbe, Dio non vo-glia, il vecchio Parker ad aver copiato ilsuo «Starling» dal «Times New Roman».

Evidentemente, ma lo sapevamo da pri-ma, i frutti offerti dal Maligno sono sem-pre avvelenati; nel corso degli oltre cinque-cento anni di storia della stampa la sua co-stante presenza si avverte nelle forme e nel-

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le movenze dei suoi servitori piú fidati: avi-dità, invidia, menzogna, orgoglio e, so-prattutto, plagio.

Ma, tornando alla storia del «TimesNew Roman», è assai difficile che si possaormai provare con certezza chi ne sia vera-mente il padre. L’ombra sulfurea del dub-bio avvolge tanto l’immagine di Morisonquanto quella di Parker. Lo stesso Times,d’altronde, alcuni anni fa dichiarava cheil «Times New Roman» era stato disegna-to da Stanley Morison o «forse» da Star-ling Burgess. Per quanto poi riguardaquest’ultimo, il fatto che abbia progettatoil «Number 54» e che questo contengarealmente i disegni del «Times New Ro-man» appare in qualche modo ininfluente.Nonostante Enterprise, Rainbow e Ran-

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ger, le sue tre barche vincitrici di altrettan-te edizioni dell’America’s Cup degli anni30, nonostante il Burgess-Dunne FlyingBoat, l’idrovolante da lui costruito perl’US Navy, nonostante il suo libro di poe-sie The Eternal Laughter and OtherPoems, Burgess sarebbe ormai pressochédimenticato. La fama da lui tanto affanno-samente cercata, una fama non effimerache superasse gli angusti limiti di un’esi-stenza umana, ebbene, quella fama gli sa-rebbe venuta, meritata o meno, proprio daquel carattere tipografico il cui glorioso ecurioso destino non avrebbe mai potutoimmaginare. O forse si. Forse il vero pattocol diavolo l’aveva fatto proprio lui.

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6. Random Fonts & RandomLayout*

(S. Borselli)

M Jacques André & Bruno BorghiIl primo pionieristico studio sull’argo-

mento che qui trattiamo è del 1989: si trat-ta di un breve articolo di Jacques André eBruno Borghi dal titolo «Dynamic fon-ts».19 In esso venivano esplorate le possibili-tà offerte dalla composizione tipograficacomputerizzata, che avrebbe permesso direndere gli esemplari di una stessa letterain un testo diversi ognuno dall’altro.

* Il Covile n°608, ottobre 2010.19 In Raster Imaging and Digital Typography (J.

André e R. D. Hersch), Cambridge UniversityPress, 1989, p. 198–204.

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Figura 1. Tratta da Dynamic fonts.

I due autori concludevano:

Perché questi font [dinamici]? Pri-mo, per riprodurre la complessità delmondo reale, che è non deterministi-ca (come, ad esempio, la simulazionedei caratteri scritti a mano). In secon-do luogo, per far rivivere la vecchiatradizione che ha permesso a volte aidisegnatori di caratteri di utilizzare(chiaramente con discrezione) varielarghezze della stessa lettera (comealcuni font disegnati e tagliati daRudolf Koch). In terzo luogo, per

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consentire ai disegnatori di caratteridi inventare nuovi segni (che nessunoosi chiamarli lettere!) per quanto iprogettisti e i tipografi di mentalitàclassica possano aborrire l’idea.

M Luc Devroye & Michael McDougal.Successivamente, nel 1995, apparve il lavo-ro di Luc Devroye e Michael McDougal«Random fonts for the simulation of hand-writing».20 Nel saggio si presentavano,con esempi concreti, due metodi per ottene-re una quasi impercettibile differenza traogni istanza della stessa lettera.

20 Eleronic Publishing, Vol. 8 (4), 281–294, di-cembre 1995

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Figura 2. Tratta da «Random fonts».

Lo scopo, enunciato nel titolo e sostan-zialmente raggiunto, era avvicinarsi quan-to possibile alla scrittura manuale, comeesemplificato nel delizioso, non solo tipo-graficamente, «menú toscano» che gli auto-ri proponevano a pag. 294.

M Un primo bilancio.Vent’anni dopo dobbiamo purtroppo ri-

levare che sulla via indicata poco si è avan-zato, nonostante le metodologie e gli stan-dard per la definizione dei caratteri abbia-no visto un notevole sviluppo.

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Figura 3. Menú toscano. Trattada «Random Fonts».

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È vero infatti che questi nuovi standardhanno permesso, grazie a tecniche com-plesse e qualche trucco, di rendere disponi-bili font con varianti, ma piú per il campodella grafica che per quello dell’editoriavera e propria.

Figura 4. Forme alternative dello stesso carattere in Zapfino, il font script di Hermann Zapf.

5. Varianti ornate (swash letters)per fine riga.

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M A cosa servono?A nostro avviso gli autori di Random

fonts ridussero eccessivamente la portataed il possibile uso di queste tecniche rispet-to all’iniziale proposta André-Borghi, con-dizionando in qualche modo gli stessi suc-cessivi indirizzi di ricerca. Infatti, secondoDevroye e McDougal:

Non c’è bisogno di font random neitesti ordinari, ma crediamo che cisiano enormi possibilità, come nellelettere private, la pubblicità perso-nalizzata, generatori automatici dilettere tipo, in matematica (testi incui si vuole emulare la matematicaalla lavagna), didascalie e fumettidi Tintin, le strisce in genere, menúdei ristoranti, generazione dei cam-

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pioni di prova per la scrittura di ca-ratteri, sistemi di riconoscimento, etutte le applicazioni che richiedonoun contatto umano.

Diversamente noi siamo convinti che ilcampo di applicazione naturale di questenuove possibilità offerte dalla composizio-ne al computer sia proprio la stampa ordi-naria, in particolare libri e riviste di quali-tà, e che i caratteri da trattare con algo-ritmi random non siano bizzarrie «creati-ve» o solo quelli, certo belli ed utili, di ti-po script, ma tutti, dai classici con grazie(serif ) come Palatino, Garamond, Times,ai sans serif come Helvetica o Arial.

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M Nuove teorie sulla bellezza perce-pita

Esiste una teoria (per tutti si vedaTwelve Leures On Architeure — Algo-rithmic Sustainable Design21 di Nikos A.Salíngaros) secondo la quale c’è un fonda-mento biologico-evolutivo alla percezio-ne della bellezza, che si è sviluppata nellacontemplazione attiva della natura.

E in natura l’ordine e la simmetria sonoottenuti con forme che si ripetono,22 ma

21 Editore www.umbau-verlag.com. Si vedano inparticolare le pagine 32 e 174–175. Il testo si se-gnala anche per la qualità e l’originalità dellescelte tipografiche.

22 Spesso la forma si mantiene anche alle scale su-periori. Sono i frattali: alberi, foglie, paesaggi.Sempre di Nikos A. Salíngaros si veda A Theoryof Architeure, Umbau-Verlag, Solingen, Ger-

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mai perfettamente identiche: si pensi allefoglie di una margherita, a prima vista tut-te uguali, ma in realtà ognuna unica.

Figura 6. Margherita.

mania, 2006.

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Per le stesse ragioni un ordine portatoall’estremo è percepito come disarmoni-co, perturbante, alieno.

Figura 7. Sedie pressofuse.

Ecco spiegato perché i bibliofili sonocosí innamorati delle edizioni cinque-sette-centesche, che ritengono insuperate. Non

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si tratta solo della preziosità della rilegatu-ra o della qualità della carta: quelle edi-zioni primeggiano anche nella lettura suschermo LCD. Oppure si consideri il fasci-no e il senso di pace e armonia dei chiostrimedievali, realizzati con colonne una di-versa dall’altra.

Figura 8. Colonne di forma varia, simmetricamente distanziate. Da Twelve Leures.

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Tornando alla tipografia, là dove si ri-cerca il massimo di eleganza a volte si ri-corre a font volutamente imperfetti, comead esempio i Fell types,23 usati per questolibro. Se i caratteri non sono troppo picco-li, come nella massima che segue, l’irrego-larità del profilo è ben visibile.

23 Superbamente resi in formato digitale da IginoMarini. I caratteri, creati da maestri olandesi,prendono il nome da John Fell (1625–1686)che se ne approvvigionò per la nascente OxfordUniversity Press.

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here is hardlyanything in the

world that some mancannot make a littleworse and sell a littlecheaper, and thepeople who considerprice only are this

man’s lawful prey.

T

John Ruskin

Figura 9. Carattere IM FELL English 18 punti.

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M Una buona battaglia.Il nome di John Ruskin non è com-

parso a caso. Sí, come il grande pensatoreinglese denunciava, lo sviluppo dell’indu-strializzazione, anche in tipografia, si èdefinito come un processo di perdita di pos-sibilità espressive e soprattutto di bellez-za. Ma la composizione al computer puòdeve consentire di invertire finalmentequel trend secolare? È stata questa lascommessa di Hermann Zapf, unanime-mente considerato il piú grande dise-gnatore di caratteri del XX secolo, scom-messa in linea con quella di William Mor-ris e la sua Kelmscott Press (1890), comecon l’opera di Stanley Morison ed il grup-po della rivista The Fleuron (1923–1930).

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M AuspicioSe si assume che la bellezza richiede

un ordine «naturale» e non meccanico, al-lora non ci si può fermare al font, cioè al-la definizione del carattere, nel quale sidovrà introdurre una aleatorietà sia diforma, assumendo negli standard le tecni-che di Devroye-McDougal o simili, chedi crenatura (kerning). È l’intera impagi-nazione, il layout, che deve diventare ran-dom: la proposta24 è di rendere disponibile

24 Queste osservazioni vogliono essere anche unmessaggio in bottiglia alla benemerita comunitàdi sviluppatori che produce software tipograficolibero e gratuito, nonché di grande qualità, co-me Latex od OpenOffice. A quando una versionedove tra le opzioni del paragrafo oltre a larghez-za allineamento ecc, vedremo anche «Attiva si-mulazione composizione manuale», magari con

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un quid di indeterminazione, una piccoladifferenza, anche nella giustezza e nel-l’altezza di ogni singola linea, cosí comenelle dimensioni di ogni singolo caratteree nella sua collocazione verticale. E le stes-se griglie sulle quali i caratteri si dispongo-no non dovrebbero essere formate di ma-tematiche rette parallele, ma ricordarequelle tirate a mano o con strumenti allascala umana come riga e squadra. Ciò a-vrebbe un’ulteriore conseguenza positiva:farebbe aumentare sensibilmente i margi-ni operativi, i trucchi del mestiere checonsentono ai programmi tipografici labuona giustificazione del paragrafo.

valore di variabilità assegnabile?

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M Esempi da un grande classico

Figura 10. Francesco Colonna, HypnerotomachiaPoliphili, Ed. Aldo Manuzio,

Venezia 1499.

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Figura 11. Hypnerotomachia Poliphili. Ingrandimentodelle prime S minuscole.

Figura 12. Ibidem. L’allineamento verticalee orizzontale.

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Elenco dei volumi pubblicati in questa collana.

1 AA. VV. — Indagini su Epimeteo tra Ivan Illich, Konrad Weiss eCarl Schmitt.

2 Claudio D’Ettorre (Omar Wisyam) — Giorgio Cesarano e lacritica capitale.

3 AA. VV. — Mario Praz faber.

4 Fabio Brotto — Rileggendo Simone Weil.

5 Almanacco Romano — Storia della «Religione dell’arte».

6 Rodolfo Papa — Le ragioni dell’arte.

7 AA. VV. — Figure adelphiane. Cristina Campo, Furio Jesi, Ja-cob Taubes, Simone Weil.

8 Stefano Borselli — Raccolta 1985–2000.

9 Lothar Meggendorfer — Le nuove tabelline.

10 Alfred Tennyson — La dama di Shalott.

11 Lewis Carroll — La cerca dello Squallo.

Elenco aggiornato a www.ilcovile.it/pdf.htm.

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sheff ·Font di pubblico dominio utilizzati: per il testo & alcuniornamenti, i Fell Types di Igino Marini, per i capi-

lettera & decori, vari di Dieter Steffmann& altri.

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