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D 130 10 AGOSTO 2013 N on chieda comprensione alla Chiesa, le chieda piut- tosto di fare i conti con una contraddizione che è alla base della sua ripro- vazione dell’omosessualità. Secondo la morale cattolica occorre sempre seguire la natura, sia quando si na- sce (per cui è guardata con sospetto qualsiasi fecondazione artificiale, sia omologa che eterologa), sia quando si muore (per cui la vita va tenuta in vita anche quando la coscienza, ma qui potremmo dire anche l’anima, ha già da tempo abbandonato il corpo). Per la Chiesa a regolare la sessualità “secondo natura” è la “riproduzione”, per cui sono banditi gli anticoncezio- nali, le pratiche abortive, la masturba- zione e quindi anche l’omosessualità in quanto non riproduttiva. Sono uno di quei migranti che il Papa è andato a incontrare e ha cristianamente e umanamente difeso. Non sono un africano. Il colore della mia pelle non è nero. Sono un bianco, occidentale, europeo, italiano, romano. È il colore della mia anima che per alcuni, Papa compreso, è diverso: è nero. Sono omosessuale. Ogni giorno mi avvicino al mio mare, e scorgo tra le onde il mio barcone rattoppato. Il mio scafista mi aggancia e mi chiede di camuffarmi, di rinunciare al colore della mia anima se voglio arrivare dall’altra parte delle onde, all’approdo sulla mia Lampedusa, la piccola isola terra di nessuno, un ponte verso quella che mi dicono chiamarsi la penisola e il continente dei diritti: dove l’esistenza dignitosa si staglia come una roccia immensa da scalare a mani e piedi nudi, dalla quale il vento dell’indifferenza e le onde del pregiudizio, dell’odio e dell’aridità morale, mi scaraventano via violentemente, e sulla quale io, migrante extracomunitario dell’anima, cerco con tutte le mie forze di attraccare. Nessuno riconosce la mia anima, perché è all’interno nella mia intimità, nella mia sessualità, nel mio essere. Pensano io sia uno di loro. Ma io vengo dal mio barcone, sono spinto a calci dal mio scafista e prima di approdare alla mia Lampedusa quotidiana, i pescecani, le onde, i venti, la fame e la sete tentano di fermare il mio RISPONDE Umberto Galimberti LA MIA LAMPEDUSA A dar manforte alla religione (che tra l’altro prese a condannare l’omoses- sualità solo a partire dal XIII secolo) subentrò nell’800 la medicina scienti- fica, che, con lo sguardo limitato all’a- natomia, alla fisiologia e alla patologia dei corpi, stabilì che, essendo gli orga- ni sessuali deputati alla riproduzione che può avvenire solo tra maschio e femmina, ogni pratica sessuale fuori da questo registro era da considerarsi patologica. Così l’omosessualità diven- ne, da “peccato”, “malattia”. E alla reli- gione non parve vero di poter radicare l’albero della conoscenza del bene e del male sul terreno solido della scienza. Se non che la “natura”, invocata sia dalla religione che dalla scienza, ge- nera eterosessuali, omosessuali, bi- sessuali, e allora a quale “natura” si appellano religione e scienza quando rubricano l’omosessualità tra le prati- che “contro natura”? Per questa ragio- ne la soluzione del problema va cerca- ta interpellando non la natura, ma la cultura, dove vige il primato non dei principi, ma delle persone, i cui legami affettivi sono prima di tutto caratte- riali, intellettuali, emotivi, comporta- mentali, e solo dopo anche sessuali. Se si accetta questa impostazione, la riprovazione degli omosessuali è una violenza grave, oltre che all’intimità delle persone, anche alla democrazia, perché come scrive Platone nel Sim- posio (182 d): «Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale, ciò è dovuto a un difetto dei legislatori, al dispotismo dei governanti e alla viltà dei governa- ti». Ma la Chiesa, per sua natura, non è democratica, e quando antepone i principi alle persone, forse non è nep- pure fedele al messaggio evangelico. [email protected] Scrivete una mail oppure indirizzate la vostra posta a “Lettere a Umberto Galimberti”, D la Repubblica @ Un migrante dell’anima (cioè gay) e il recente viaggio di Papa Francesco sull’isola Foto di Silvia Saleri approdo sulle rive dell’esistenza dove mi dicono che, tra mille ostacoli, forse si può “essere ciò che si è”. Ma proprio da quelle rive del nuovo continente soffia il vento a me contrario, mosso anche da quello stesso Papa e dalla sua istituzione, che mi respingono indietro nel mare dell’ipocrisia che ci circonda da secoli. Al Papa dico che non basta andare a Lampedusa per incontrare i migranti su cui piangere e commuoversi, se poi ci si dimentica di quelle migliaia di migranti dell’anima che sono sotto i suoi occhi, e che il vento della paura respinge indietro nella terra del non-essere. Come un Ulisse naufrago, che ha sfidato l’ignoto per renderlo noto, muoio in quelle acque alle quali avevo affidato la mia vita dignitosa. E nessuno piange per me, nessuno mi chiama. Lettera firmata

La mia lampedusa

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Lettera a Umberto Galimberti sulla questione gay e istituzioni

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D 130 10 AGOSTO 2013

Non chieda comprensione alla Chiesa, le chieda piut-tosto di fare i conti con una contraddizione che è alla base della sua ripro-

vazione dell’omosessualità. Secondo la morale cattolica occorre sempre seguire la natura, sia quando si na-sce (per cui è guardata con sospetto qualsiasi fecondazione artificiale, sia omologa che eterologa), sia quando si muore (per cui la vita va tenuta in vita anche quando la coscienza, ma qui potremmo dire anche l’anima, ha già da tempo abbandonato il corpo). Per la Chiesa a regolare la sessualità “secondo natura” è la “riproduzione”, per cui sono banditi gli anticoncezio-nali, le pratiche abortive, la masturba-zione e quindi anche l’omosessualità in quanto non riproduttiva.

Sono uno di quei migranti che il Papa è andato a incontrare e ha cristianamente e umanamente difeso. Non sono un africano. Il colore della mia pelle non è nero. Sono un bianco, occidentale, europeo, italiano, romano. È il colore della mia anima che per alcuni, Papa compreso, è diverso: è nero. Sono omosessuale. Ogni giorno mi avvicino al mio mare, e scorgo tra le onde il mio barcone rattoppato. Il mio scafista mi aggancia e mi chiede di camuffarmi, di rinunciare al colore della mia anima se voglio arrivare dall’altra parte delle onde, all’approdo sulla mia Lampedusa, la piccola isola terra di nessuno, un ponte verso quella che mi dicono chiamarsi la penisola e il continente dei diritti: dove l’esistenza dignitosa si staglia come una roccia immensa da scalare a mani e piedi nudi, dalla quale il vento dell’indifferenza e le onde del pregiudizio, dell’odio e dell’aridità morale,mi scaraventano via violentemente, e sulla quale io, migrante extracomunitario dell’anima, cerco con tutte le mie forze di attraccare.Nessuno riconosce la mia anima, perché è all’interno nella mia intimità, nella mia sessualità, nel mio essere. Pensano io sia uno di loro. Ma io vengo dal mio barcone, sono spinto a calci dal mio scafista e prima di approdare alla mia Lampedusa quotidiana, i pescecani, le onde, i venti, la fame e la sete tentano di fermare il mio

RISPONDE Umberto Galimberti

la mialampeDusa

A dar manforte alla religione (che tra l’altro prese a condannare l’omoses-sualità solo a partire dal XIII secolo) subentrò nell’800 la medicina scienti-fica, che, con lo sguardo limitato all’a-natomia, alla fisiologia e alla patologia dei corpi, stabilì che, essendo gli orga-ni sessuali deputati alla riproduzione che può avvenire solo tra maschio e femmina, ogni pratica sessuale fuori da questo registro era da considerarsi patologica. Così l’omosessualità diven- ne, da “peccato”, “malattia”. E alla reli- gione non parve vero di poter radicare l’albero della conoscenza del bene e del male sul terreno solido della scienza. Se non che la “natura”, invocata sia dalla religione che dalla scienza, ge-nera eterosessuali, omosessuali, bi-sessuali, e allora a quale “natura” si appellano religione e scienza quando rubricano l’omosessualità tra le prati-che “contro natura”? Per questa ragio-ne la soluzione del problema va cerca-ta interpellando non la natura, ma la cultura, dove vige il primato non dei principi, ma delle persone, i cui legami affettivi sono prima di tutto caratte-riali, intellettuali, emotivi, comporta-mentali, e solo dopo anche sessuali. Se si accetta questa impostazione, la riprovazione degli omosessuali è una violenza grave, oltre che all’intimità delle persone, anche alla democrazia, perché come scrive Platone nel Sim-posio (182 d): «Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale, ciò è dovuto a un difetto dei legislatori, al dispotismo dei governanti e alla viltà dei governa-ti». Ma la Chiesa, per sua natura, non è democratica, e quando antepone i principi alle persone, forse non è nep-pure fedele al messaggio evangelico.

[email protected] una mail oppure indirizzate la vostra posta a “Lettere a Umberto Galimberti”, D la Repubblica@

Un migrante dell’anima (cioè gay) e il recente viaggio di Papa Francesco sull’isola

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approdo sulle rive dell’esistenza dove mi dicono che, tra mille ostacoli, forse si può “essere ciò che si è”. Ma proprio da quelle rive del nuovo continente soffia il vento a me contrario, mosso anche da quello stesso Papa e dalla sua istituzione, che mi respingono indietro nel mare dell’ipocrisia che ci circonda da secoli. Al Papa dico che non basta andare a Lampedusa per incontrare i migranti su cui piangere e commuoversi, se poi ci si dimentica di quelle migliaia di migranti dell’anima che sono sotto i suoi occhi, e che il vento della paura respinge indietro nella terra del non-essere. Come un Ulisse naufrago, che ha sfidato l’ignoto per renderlo noto, muoio in quelle acque alle quali avevo affidato la mia vita dignitosa. E nessuno piange per me, nessuno mi chiama.Lettera firmata