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BIBBIA Eco dei Barnabiti 4/2014 2 N el nostro percorso di que- st’anno abbiamo cercato di approfondire i diversi aspetti della “gioia del Vangelo” che l’esortazione Evangelii gaudium ci in- vita a far nostra e a testimoniare nella vita. Se questa gioia è senz’altro qualcosa che rinnova radicalmente il nostro cuore (come è stato per Zac- cheo) insegnandoci a guardare l’altro accanto a noi con la stessa tenerezza di Dio (come il Buon Samaritano), c’è un gesto che esprime in modo ef- ficace e concreto la conversione che si è generata nel nostro cuore e si fa vera forza di evangelizzazione. «C’è una forma di preghiera che ... ci mo- tiva a cercare il bene degli altri: è l’in- tercessione ... Si tratta di un ringra- ziamento costante ... Non è uno sguardo incredulo, negativo e senza speranza, ma uno sguardo spirituale, di profonda fede ... Al tempo stesso, è la gratitudine che sgorga da un cuore veramente attento agli altri. In tale maniera, quando un evangeliz- zatore riemerge dalla preghiera, il suo cuore è diventato più generoso, si è liberato della coscienza isolata ed è desideroso di compiere il bene e di condividere la vita con gli altri» (EG, nrr. 281-282). Intercedere, come ricordava il card. Martini, significa «fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione», abbracciando insieme la fragilità della condizione umana e la grandezza dell’amore di Dio e manifestando, insieme, il duplice, profondo, inseparabile amore: per Dio e per l’uomo. «È il farsi carico delle persone, è una preghiera ricol- ma di volti, di nomi, di persone do- ve non ci è chiesto di formulare del- le intenzioni particolari, sofisticate, teologicamente elaborate, ma il fatto di presentare al Signore una perso- na, e di intercedere per lei, di met- tersi nel mezzo come mediatori, co- me collaboratori della salvezza per- ché quella persona arrivi al Signore, perché il Signore arrivi a quella per- sona» (C. Doglio). Troviamo un esempio emblematico di questa preghiera appassionata e fi- duciosa nelle parole che Mosè rivol- ge a Dio dopo il peccato del vitello d’oro; e proprio meditando questa sua appassionata preghiera vogliamo concludere il cammino che abbiamo cercato di fare insieme. la preghiera di Mosè (Es 32,11-14) 11 Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo po- polo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con ma- no potente? 12 Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dal- l’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo po- polo. 13 Ricòrdati di Abramo, di Isac- co, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numero- sa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la da- rò ai tuoi discendenti e la possede- ranno per sempre”». 14 Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo. Mentre Mosè si trova sul monte Sinai per ricevere le tavole della Legge, il popolo, stanco e sfiducia- to, trova nel vitello d’oro un “sosti- tuto” di Dio. Proprio in questo con- siste il vero peccato di Israele: non tanto nella costruzione del vitello d’oro, quanto nella presunzione di LA GIOIA MISSIONARIA DELLA PREGHIERA In quest’ultimo intervento di riflessione e approfondimento dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco, il biblista Giuseppe Dell’Orto tocca il tema della preghiera nella sua dimensione di intercessione. Pregare per qualcuno fa sì che noi lo poniamo sotto lo sguardo amoroso e provvidente di Dio ed invochiamo per lui grazia e benedizione, che lo accompagnino e sostengano nel cammino della vita. Marc Chagall, Mosè e il vitello d’oro (1976)

LA GIOIA MISSIONARIA DELLA PREGHIERA - Barnabiti · LA GIOIA MISSIONARIA DELLA PREGHIERA. BIBBIA 2Eco dei Barnabiti 4/2014. Nel nostro percorso di que - st’anno abbiamo cercato

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BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/20142

Nel nostro percorso di que-st’anno abbiamo cercatodi approfondire i diversi

aspetti della “gioia del Vangelo” chel’esortazione Evangelii gaudium ci in-vita a far nostra e a testimoniare nellavita. Se questa gioia è senz’altroqualcosa che rinnova radicalmente ilnostro cuore (come è stato per Zac-cheo) insegnandoci a guardare l’altroaccanto a noi con la stessa tenerezzadi Dio (come il Buon Samaritano),c’è un gesto che esprime in modo ef-ficace e concreto la conversione chesi è generata nel nostro cuore e si favera forza di evangelizzazione. «C’èuna forma di preghiera che ... ci mo-tiva a cercare il bene degli altri: è l’in-tercessione ... Si tratta di un ringra-ziamento costante ... Non è unosguardo incredulo, negativo e senzasperanza, ma uno sguardo spirituale,di profonda fede ... Al tempo stesso,è la gratitudine che sgorga da un

cuore veramente attento agli altri. Intale maniera, quando un evangeliz-zatore riemerge dalla preghiera, ilsuo cuore è diventato più generoso,si è liberato della coscienza isolataed è desideroso di compiere il bene edi condividere la vita con gli altri»(EG, nrr. 281-282).Intercedere, come ricordava il card.

Martini, significa «fare un passo inmodo da mettersi nel mezzo di unasituazione», abbracciando insiemela fragilità della condizione umanae la grandezza dell’amore di Dio emanifestando, insieme, il duplice,profondo, inseparabile amore: perDio e per l’uomo. «È il farsi caricodelle persone, è una preghiera ricol-ma di volti, di nomi, di persone do-ve non ci è chiesto di formulare del-le intenzioni particolari, sofisticate,teologicamente elaborate, ma il fattodi presentare al Signore una perso-na, e di intercedere per lei, di met-

tersi nel mezzo come mediatori, co-me collaboratori della salvezza per-ché quella persona arrivi al Signore,perché il Signore arrivi a quella per-sona» (C. Doglio).Troviamo un esempio emblematico

di questa preghiera appassionata e fi-duciosa nelle parole che Mosè rivol-ge a Dio dopo il peccato del vitellod’oro; e proprio meditando questasua appassionata preghiera vogliamoconcludere il cammino che abbiamocercato di fare insieme.

la preghiera di Mosè (Es 32,11-14)

11 Mosè allora supplicò il Signore,suo Dio, e disse: «Perché, Signore, siaccenderà la tua ira contro il tuo po-polo, che hai fatto uscire dalla terrad’Egitto con grande forza e con ma-no potente? 12 Perché dovranno diregli Egiziani: “Con malizia li ha fattiuscire, per farli perire tra le montagnee farli sparire dalla terra”? Desisti dal-l’ardore della tua ira e abbandona ilproposito di fare del male al tuo po-polo. 13 Ricòrdati di Abramo, di Isac-co, di Israele, tuoi servi, ai quali haigiurato per te stesso e hai detto:“Renderò la vostra posterità numero-sa come le stelle del cielo, e tuttaquesta terra, di cui ho parlato, la da-rò ai tuoi discendenti e la possede-ranno per sempre”».14 Il Signore si pentì del male che

aveva minacciato di fare al suo popolo.

Mentre Mosè si trova sul monteSinai per ricevere le tavole dellaLegge, il popolo, stanco e sfiducia-to, trova nel vitello d’oro un “sosti-tuto” di Dio. Proprio in questo con-siste il vero peccato di Israele: nontanto nella costruzione del vitellod’oro, quanto nella presunzione di

LA GIOIA MISSIONARIADELLA PREGHIERA

In quest’ultimo intervento di riflessione e approfondimento dell’Esortazione Apostolica EvangeliiGaudium di papa Francesco, il biblista Giuseppe Dell’Orto tocca il tema della preghiera nellasua dimensione di intercessione. Pregare per qualcuno fa sì che noi lo poniamo sotto lo sguardoamoroso e provvidente di Dio ed invochiamo per lui grazia e benedizione, che lo accompagninoe sostengano nel cammino della vita.

Marc Chagall, Mosè e il vitello d’oro (1976)

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voler fissare di propria iniziativa unsegno rassicurante della sua presen-za. E il peccato del popolo suscital’ira di Dio. Un’ira che non è, comeper noi, sinonimo di “rancore”, maribellione di Dio di fronte al peccatodel suo popolo. L’ira esprime l’in-compatibilità di Dio con il male e ilpeccato. Dio si adira contro tuttociò che va contro i suoi progetti; è una maniera di dire quanto Dio si preoccupi della salvez-za dell’uomo: «Ora la-scia che la mia ira si ac-cen-da contro di loro e lidivori. Di te invece farò una grande nazione» (Es32,10). In realtà, in ebrai-co la richiesta divina «oralasciami» (imperativo delverbo nuach) suona am-bigua; può essere inter-pretata sia nel senso di«lascia che, permettimi»,ma anche nel senso di«lasciami in pace/non in-terferire».Il Signore sa che, se il

suo servo si intromette,non potrà eseguire il suopiano di distruzione. Ma ilricordarlo ora, prima didare seguito alla sua mi-naccia, ha quasi il valoredi una richiesta. Implicita-mente, Dio chiede a Mosèdi intervenire, perché ladistruzione non avvenga.Incredibile «condiscenden-za» di Dio, che prendecosì sul serio il suo par-tner umano! E Mosè, cheera stato mediatore di al-leanza (Es 19), ora si famediatore di perdono (Es32,11). La funzione delmediatore è proprio quel-la di essere portatore pres-so gli uomini del desideriodi Dio, di desiderare pergli uomini ciò che Diostesso desidera.«Mosè allora supplicò il Signore,

suo Dio» (Es 32,11). Certamente, co-me suggerisce il significato di suppli-care (piegare il corpo o le ginocchiain atto di sottomissione), Mosè si èinginocchiato davanti a Dio, facendoopposizione con un “veto” al decre-to punitivo del Signore, ma nel-l’espressione ebraica chalah ‘et pa-nîm si vuol dire che Mosè «addolcì il

volto del Signore», o «placò il voltodel Signore».È un ardito antropomorfismo, in

cui si esprime la funzione della pre-ghiera: distendere il volto corruccia-to di Dio, provocarlo al sorriso, ren-derlo benevolo nei confronti del suopopolo.Mosè non spende una parola per

scusare il comportamento del popo-lo. Non ha argomenti per farlo. Dio

ha ragione; ha «visto» bene: «è unpopolo dalla dura cervice» (Es 32,9).Mosè non si può appellare che aDio. Egli contrappone la giustizia diDio alla sua stessa misericordia.

l’intercessione

L’intercessione di Mosè si articolain due interrogativi («perché») e intre imperativi, con i quali Mosè fa le-

va su tre motivi cogenti, che ristabili-scono il senso degli avvenimenti.Il primo perché riguarda l’apparte-

nenza del popolo a Dio (Es 32,11).Mosè supplica il Signore facendoglipresente che Israele è il “suo”popo-lo... Dopo il peccato, Dio aveva det-to a Mosè, al v. 7: «il tuo popolo,che tu hai fatto salire dal paesed’Egitto». Ora, Mosè ribatte a Dio eprecisa che questo è «il tuo popolo,

che tu hai fatto uscire dal-la terra d’Egitto», citandoil prologo delle Dieci Pa-role (Es 20,2 e Dt 5,6).Il secondo perché fa leva

sulla considerazione che,sterminando gli Israeliti,Dio espone se stesso aldisprezzo degli altri popo-li: «Perché dovranno diregli Egiziani: “Con maliziali ha fatti uscire, per farliperire tra le montagne efarli sparire dalla terra”?»(Es 32,12a). Ne sarebberisultata fortemente com-promessa la credibilitàpropria di Dio e inoltre sisarebbe fornito agli avver-sari, da cui si era scappa-ti, un fondato motivo d’ir-risione.Annientare Israele signi-

fica dare ragione al so-spetto di un Dio crudele,finanche sadico. In un di-sperato ricatto, Mosè ram-menta a Dio che il suonome e le sue credenzialisono coinvolti nella sorted’Israele. Egli gioca sul-l’orgoglio di Dio e sul sen-so del suo agire salvifico.La morte di Israele mette-rebbe in discussione difronte ai nemici la capaci-tà salvifica stessa di Dio.Potremmo interpretare co-sì: «Abbi cura del Tuo No-me. Santifica il Tuo No-

me... Non lasciarti dire che sei unDio impotente, che sei un Dio vendi-cativo. Se non lo fai per il tuo popo-lo, fallo per Te, per la tua fama, per latua gloria» (cf. Ez 36,22-23).Immediatamente dopo risuona la

richiesta inaudita di Mosè: «Desisti(= torna indietro) dall’ardore dellatua ira e abbandona (= pentiti) il pro-posito di fare del male al tuo popolo»(Es 32,12b). I verbi usati sono quelli

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/2014 3

Mosè in preghiera - Walters Ms. W.534 f. 24r

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della conversione. «Tornare indietro»è in ebraico shûb: verbo che indicala “conversione”. E ancora più forte èil verbo «pentirsi» nacham.Mosè chiede a Dio precisamente

di “convertirsi”, di “pentirsi”; quelloche egli ha minacciato contro il po-polo è “male”. Il termine ha certa-mente un significato oggettivo, si-gnifica, cioè, «sciagura»; è il male“fisico” che Dio vuole infliggere alpopolo. Ma c’è in esso anche ungiudizio morale. Quanto Dio dice divoler fare è sbagliato, è “cattivo”,perché va contro la sua identità di“padre” e va contro le sue promes-se. Per comprendere il paradosso diciò che Mosè chiede, bisogna ricor-dare questo testo: «Dio non è un uo-mo da potersi smentire, non è un fi-glio dell’uomo da potersi pentire.Forse egli dice e poi non fa? Promet-te una cosa che poi non adempie?»(Nm 23,19).Arditezza di Mosè, uomo che lotta,

a testa alta, con il Dio trascendente!«Mosè ha fatto esperienza concre-

ta del Dio di salvezza, è stato invia-to come mediatore della liberazionedivina e ora, con la sua preghiera, sifa interprete di una doppia inquietu-dine, preoccupato per la sorte delsuo popolo, ma insieme anche pre-occupato per l’onore che si deve alSignore, per la verità del suo nome.L’intercessore infatti vuole che il po-polo di Israele sia salvo, perché è ilgregge che gli è stato affidato, maanche perché in quella salvezza simanifesti la vera realtà di Dio. Amo-re dei fratelli e amore di Dio si com-

penetrano nella preghiera di inter-cessione, sono inscindibili. Mosè,l’intercessore, è l’uomo teso tra dueamori, che nella preghiera si sovrap-pongono in un unico desiderio dibene» (Benedetto XVI, Udienza ge-nerale 1 giugno 2011).Infine il terzo motivo: Ricordati...:

«Ricordati di Abramo, di Isacco, diIsraele, tuoi servi, ai quali hai giuratoper te stesso e hai detto: “Renderò lavostra posterità numerosa come lestelle del cielo, e tutta questa terra, dicui ho parlato, la darò ai tuoi discen-denti e la possederanno per sempre»(Es 32,13). Mosè si appella alla pro-messa fatta ai padri. Anche qui, eglisi appoggia alle parole di Dio, che alv. 10 aveva citato la promessa adAbramo: «Di te farò una grande na-zione» (cf. Gn 12,1). A Dio, che vo-leva fare di lui un nuovo Abramo,Mosè ricorda che la promessa fattaad Abramo è ancora valida.La liberazione non è cominciata in

Egitto, ma con i Patriarchi, per cuinon si basa solo sull’alleanza bilate-rale del Sinai, ma su quella primige-nia, unilaterale, stipulata con Abra-mo, Isacco e Israele/Giacobbe. Mo-sè, dunque, si riferisce a un tempoanteriore all’uscita dall’Egitto: allapromessa che un popolo si sarebbemoltiplicato e avrebbe avuto in pos-sesso una terra. Il popolo che è usci-to dall’Egitto è questo qui: ma glimanca ancora il possesso della terra.Se tu ora, Signore, lo distruggi, siestingue il popolo e si infrange lapromessa legata alla discendenza diAbramo.

l’esito della preghiera

Mosè riesce nel suointento: «Il Signore sipentì del male che avevaminacciato di fare al suo popolo» (Es 32,14).L’espressione può avereuna connotazione sia af-fettiva, di compassione,sia giudiziale, cioè dellarevoca di un procedi-mento in atto.Diversamente dal Dio

«motore immobile» deifilosofi, il Dio della Bib-bia si pente, si lasciacommuovere, converti-re dalla preghiera deisuoi profeti. Di frontealle parole dell’inter-

cessore, egli non rimane immutabi-le, ma cambia il suo modo di pen-sare e il suo cuore. Ciò avvienenon perché Dio si convince dellabontà del popolo. Egli conosce be-ne il cuore del suo popolo. Diocambia e si pente unicamente perla sua grande misericordia e il suoamore.Mosè è limpido, diretto, audace

e sincero. Tornando sul Sinai, dopola distruzione del vitello d’oro,prega ancora Dio per il popolo:«Questo popolo ha commesso ungrande peccato: si sono fatti un diod’oro. Ma ora, se tu vuoi, perdonail loro peccato; se no, cancellamidal tuo libro che hai scritto!» (Es32,31-32). Riconosce come stannole cose, senza cercare di coprirlecon una bugia, ma vive l’esperien-za del suo popolo dal di dentro, alpunto di volersi imporre a Dio stes-so, con un coinvolgimento che hafatto scrivere ai rabbini in un mi-drash: «Solo litigando per il suo po-polo e litigando anche contro Dio,Mosè divenne uomo di Dio. Svol-geva infatti due ruoli veramentedifficili: rappresentava Dio pressoIsraele e Israele presso Dio ...quando il popolo toccò il fondodell’abisso, ballando intorno al vi-tello d’oro, Mosè trovò ancora ilmodo di difenderlo: “È colpa sua otua, o Signore? Israele ha vissutocosì a lungo in esilio fra adoratoridi idoli che ne è stato avvelenato. Ècolpa sua se non riesce a dimenti-care così facilmente?”. Di fronte al-la minaccia divina pone un ultima-

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/20144

Mosè intercede per il popolo - Porta lignea della Basilica di Santa Sabina

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tum: “O perdoni tutto, o cancelli ilmio nome dal tuo libro”. E quandoDio gli disse: “Il tuo popolo hapeccato”, Mosè replicò: “QuandoIsraele osserva la tua Legge è il tuopopolo e quando la viola sarebbe il mio?”».Commenta ancora un testo rabbi-

nico: «Disse R. Abahu: Se non fosseun testo esplicito non si potrebbeneppure dirlo: Mosè in un certo qualmodo afferrò il Santo, Egli sia bene-detto, come uno che afferra il suocompagno per la veste, e gli disse:Signore del mondo, io non Ti conce-derò pace, finché Tu non concederaipieno perdono».

come lievito

Mosè è quindi la figura-tipo del-l’intercessore: «qualcuno che scegliedi vivere secondo il progetto di Dio,che spera fermamente che esso si ve-rifichi anche negli altri. È una personache ha cura realmente dei suoi fratellie delle sue sorelle e desidera che essivivano secondo la volontà di Dio»(C.M. Martini).È questo essere tutt’uno con il po-

polo e tutt’uno con Dio che rendeefficace, viva, autentica la nostrapreghiera, che ci rende veri evange-lizzatori nel mondo, portatori e te-stimoni della gioia del Vangelo,

buona notizia di amore e di miseri-cordia. Ognuno di noi condivide laresponsabilità della salvezza delmondo. La preghiera di intercessio-ne è una conseguenza della mutuaappartenenza e della mutua respon-sabilità, è un mezzo con cui si col-labora alla costruzione del Regno.Pregare per gli altri non è quindi undovere, ma la diretta manifestazionedi una vita abitata dall’amore perDio e per gli uomini. Pregare perqualcuno fa sì che noi lo poniamosotto lo sguardo amoroso e provvi-dente di Dio ed invochiamo per luigrazia e benedizione, che lo accom-pagnino e sostengano nel camminodella vita.«I grandi uomini e donne di Dio

sono stati grandi intercessori. L’in-tercessione è come “lievito” nel se-no della Trinità. È un addentrarcinel Padre e scoprire nuove dimen-sioni che illuminano le situazioniconcrete e le cambiano. Possiamodire che il cuore di Dio si commuo-ve per l’intercessione, ma in realtàEgli sempre ci anticipa, e quello chepossiamo fare con la nostra inter-cessione è che la sua potenza, ilsuo amore e la sua lealtà si manife-stino con maggiore chiarezza nelpopolo» (EG, nr. 283).

Giuseppe Dell’Orto

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/2014 5

ANNIVERSARI 2015

ORDINAZIONI

60° (1955)

CORBETTA Camillo 11 ottobre

DUTTO Sebastiano Albino

INCAMPO Giovanni

RAVASI Ambrogio

RUZZA Gianfranco

SOLCIA Luigi

VALENTE Francesco

50° (1965)

BRIEDA Enrico 29 settembre

CILIBERTI Giuseppe

GUARINI Andrea

MASCARETTI Angelo 14 novembre

25° (1990)

RIVERA YÁÑEZ Alejandro de Jésus

18 febbraio

VALDIVIA VEAS Guillermo del Carmen

BRAMBILLA Eugenio 30 settembre

GORLA Stefano

SIMONE Giannicola

JACQUES Raimundo Silvio 18 novembre

MUVUNYI BIZIMANA Fabien

SOUSA DE JESUS Osmar

PROFESSIONI

70° (1945)

PARREIRA DA MATA João 13 marzo

BERTUETTI Amos 8 settembre

PICETTI Battista 11 ottobre

60° (1955)

GENTILI Antonio 7 ottobre

MORETTI Giuseppe

ROSSI Antonio

SINISGALLO Salvatore 20 settembre

50° (1965)

FALCONI Mario 29 settembre

PATIL Gabriele

FIORENTINO Domenico 8 ottobre

25° (1990)

ALMEIDA Antonio Afonso (de) 17 febbraio

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FAME E SETE – È noto che l’oralità, dopo il respiro, è il primocentro fisico e psichico che si desta nel neonato. Parliamo ov-viamente dell’oralità in entrata e quindi della fame e della sete,che costituiscono il primario dei nostri bisogni. Non per nullal’autore sacro, volendo illustrare come l’uomo originario – epertanto come ogni uomo! – è chiamato a gestire i tre fonda-mentali bisogni dell’avere, del potere e del valere, ci presenta lascena dell’albero della conoscenza del bene e del male e deisuoi frutti, di cui però Dio solo può disporre. Ricaviamo dal li-bro della Genesi che il Maligno ebbe buon gioco nel far leva suquella che la liturgia ambrosiana della Quaresima definisce“fame orgogliosa”. Il desiderio di disporre autonomamente nelfissare i confini tra il bene e il male, spinge l’uomo a trasgredireil comandamento divino. La fame e la sete diventano di conse-guenza il simbolo del rapporto tra la creatura e il Creatore edelle alterne vicende da cui è segnato: fedeltà e infedeltà. Fame e sete scandiscono la storia di Israele durante la traver-

sata del deserto in vista della Terra promessa. Sappiamo del do-no della manna caduta dal cielo, non meno che dell’acqua fat-ta scaturire dalla roccia, a riprova di un Dio solidale con il suopopolo. Ma sappiamo anche che è in riferimento alla fame e al-la sete che Dio mette alla prova Israele, per conoscere «quelloche aveva nel cuore» (Dt 8,2). Fame e sete vanno però ben oltreil bisogno materiale e alludono a una più profonda esigenzaspirituale. I profeti annunciano un’era in cui Dio avrebbe susci-tato nel paese «non fame di pane né sete di acqua, ma di ascol-tare le parole del Signore» (Am 8,11). Ne segue che l’esito dellastoria umana, con l’avvento del Regno divino, è presentato daiprofeti nei termini conviviali di un banchetto allietato da cibi ebevande straordinariamente eccellenti e raffinati (Is 25, 6).La simbologia della fame e della sete non poteva essere

assente nell’economia salvifica inaugurata dal Verbo fatto carne.Con Cristo, al dire di Tertulliano, il focoso apologeta delle origi-ni cristiane, «la carne diventa cardine di salvezza» e ciò rag-giunge il suo culmine nell’eucaristia, dove ci viene dato – citia-mo il celeberrimo Epitaffio di Abercio, vescovo di Gerapoli inFrigia – «un cibo che la casta Vergine (la Chiesa) prende e por-ge da mangiare agli amici ogni giorno, avendo un vino eccellen-te che ci mesceva con acqua assieme al pane». Pane e acquascandiscono a loro volta gli eventi significativi della vita di Ge-sù e costituiscono un costante richiamo nel suo insegnamento;con questo in aggiunta, che l’acqua, elemento essenziale di pu-rificazione (si pensi al battesimo) è destinata a mutarsi in vinonel banchetto celeste, prefigurato dalle nozze di Cana. Gesù ama richiamarsi all’acqua per esprimere quel rappor-

to con Dio che già il Salmista raffigurava nella sete: «Di te hasete l’anima mia», dove “anima” traduce l’ebraico nephesh,che rimanda più in generale allo psichismo umano e quindi aisensi, ma che alle volte sta per “gola”, organo dove transita ilrespiro. Come a dire: ha sete di Dio la nostra gola (spiritual-mente) riarsa! Di conseguenza Cristo si presenta alla Samari-tana come la vera acqua destinata a dissetare l’umanità. E aquesto proposito ci sovviene una mirabile terzina di Dante,che recita: «La sete natural che mai non [è] sazia / se non conl’acqua onde la femminetta / samaritana domandò la grazia»(Purgatorio 21,1-3). A quest’acqua salutifera il Signore farà ri-ferimento in uno sconvolgente episodio del Vangelo. Siamo«all’ultimo giorno, il grande giorno della festa» delle Capan-ne, quando «Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete,venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura:Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo

egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui»(Gv 7,27-39). Gesù, di fronte allo spettacolo dei portatorid’acqua, attinta alla fontana di Siloe e destinata alle abluzionirituali nel Tempio, si erge in tutta la sua statura e alza potente-mente la voce… Ma chi era costui, si saranno chiesti i devotispettatori di un gesto insolito e fuori programma, dal momen-to che Cristo non aveva nessun ruolo istituzionale all’internodel sacerdozio levitico e quindi dei funzionari del Tempio?E se dalle mani di Cristo ci verrà donato il pane della vita du-

rante la Cena pasquale, dal suo costato trafitto sgorgherà l’acquaapportatrice di salvezza. La Chiesa ne erediterà la consegna,anzitutto meditando sui criteri della beatitudine che ci rendonoirreprensibili agli occhi del Signore: «Beati quelli che hanno famee sete della giustizia» (Mt 6,6), e poi ricordando i criteri che pre-siederanno al giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete datoda mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35).La pratica liturgica – con il richiamo al «pane quotidiano»

che ricorre nella preghiera dal Padre nostro – e più in genera-le la pratica spirituale ci interpellano sulla qualità della nostrafame e della nostra sete, dal momento che siamo costante-mente sollecitati a operare un passaggio dalle esigenze piùstrettamente corporali a quelle più elevate dell’anima. Fame esete vengono in tal modo a definire il nostro rapporto conDio. Un Dio che sfama e disseta anzitutto con la sua parola ein ultima istanza offrendosi a noi con il suo corpo e il suo san-gue. Alla stessa stregua degli alimenti materiali che compene-trano il nostro corpo, quelli sacramentali sono destinati, comesuonava un’antica preghiera che accompagnava la comunio-ne del sacerdote, ad «aderire alle nostre viscere». Vale la penariportare l’intero testo: «Il tuo corpo che ho ricevuto, Signore,e il sangue cui ho attinto, aderiscano alle mie viscere, in modoche in me non rimanga macchia di peccato, dal momento chemi sono nutrito di questi puri e santi sacramenti».Ma fame e sete vengono a definire il nostro rapporto anche

con l’umanità e il cosmo. Di tale esigenza si farà carico l’EXPO2015 di Milano, con il suo programma Nutrire il pianeta. All’in-segna di un vasto progetto legato alla Scienza e tecnologia del-l’alimentazione, verrà lanciato un bando internazionale alloscopo di documentare «le migliori pratiche di sviluppo sostenibi-le in tema di sicurezza alimentare». Si vorrebbe elaborare unProtocollo alimentare o sintesi di regole alimentari, così come aKyoto è stato redatto un Protocollo ambientale relativo all’inqui-namento terrestre. Il Protocollo di Milano – come già lo si chia-ma – dovrebbe quindi promuovere una food policy, una politicaalimentare che punta sulla Safety for Food (S4F), sulla sicurezzain fatto di alimentazione. Ma il problema dell’alimentazione neracchiude un altro di più vasta portata, se vogliamo dare creditoallo slogan che può suonare come un paradosso: “L’EXPO habisogno di un’anima. Si metta il cibo al centro”.Bene, quest’anima vorremmo che emergesse, quando man-

giamo e beviamo, dalla nostra testimonianza, consapevoliche il “il giusto mangia per nutrire l’anima”, nel senso che,attraverso la nutrizione materiale, la sua misura e il suo stile(che ne è dell’antico Galateo?), sono sostenute al meglio lasalute fisica e psichica, nonché le attività spirituali dell’uomo,il suo sviluppo intellettuale, il suo lavoro, i suoi rapporti fami-liari e sociali, e infine il suo rapporto con l’intero creato. In altra parte della rivista, il lettore troverà annunciata la

pubblicazione di un libro che intende illustrare questi aspetti.

Antonio Gentili

VOCABOLARIO ECCLESIALE

Eco dei Barnabiti 4/20146

Vocabolario ecclesiale

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