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La disciplina giuridica del personale delle aziende speciali e delle società controllate dagli enti locali Primo rapporto sul quadro normativo, gli obiettivi, i limiti e le difficoltà della progressiva “assimilazione” al regime del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche

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La disciplina giuridica del personale delle

aziende speciali e delle società controllate dagli

enti locali Primo rapporto sul quadro normativo, gli

obiettivi, i limiti e le difficoltà della progressiva “assimilazione” al regime del

personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche

Il Rapporto è stato elaborato da docenti e ricercatori dell’Università Link Campus di Roma: Romano Benini, Mauro Boati, Emilio Rocchini, Giuseppe Sigillò Massara, Maurizio Sorcioni.

INDICE

PREMESSA 5

RASSEGNA 8

I. L’OBBLIGO DI PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA PER IL

RECLUTAMENTO DI PERSONALE 10 Riferimenti normativi: 13 Riferimenti giurisprudenziali: 14 Riferimenti bibliografici: 14

II. I LIMITI ASSUNZIONALI 16 Riferimenti normativi: 19 Riferimenti giurisprudenziali: 20 Riferimenti bibliografici: 20

III. I TETTI RETRIBUTIVI 22 Riferimenti normativi: 33 Riferimenti giurisprudenziali: 34 Riferimenti bibliografici: 35

IV. GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA E PUBBLICITÀ 36 Riferimenti normativi: 43

APPROFONDIMENTI 44

AGENZIE PUBBLICHE TERRITORIALI E SOCIETÀ PARTECIPATE PER IL

LAVORO: UNA QUESTIONE APERTA 45

Premessa di Giuseppe Sigillò Massara

A seguito delle le privatizzazioni degli enti pubblici economici e

delle aziende speciali, a partire dalla metà degli anni ’90, si è assistito ad una incrementale diffusione di società commerciali per lo svolgimento di funzioni amministrative e per la erogazione di servizi pubblici controllate o partecipate dagli enti locali.

Il fenomeno, che in larga parte nasce dall’esigenza di perseguire una maggiore efficienza nello svolgimento di funzioni e servizi pubblici nella convinzione che essa possa essere garantita per mezzo dell’utilizzo di strumenti di diritto privato, ha finito con il rappresentare una delle modalità attraverso le quali i predetti Enti hanno “reagito” alle strette economiche e finanziarie imposte dall’amministrazione centrale. Alle predette società, infatti, sono stati esternalizzati, oltreché servizi ed attività, i relativi oneri e il personale addetto.

Sennonché, più di recente, da una parte, è emersa la necessità, sempre più pressante anche di fronte all’opinione pubblica, di reagire a fenomeni di “utilizzo disinvolto” di questi strumenti, che hanno favorito fenomeni di clientelismo nelle assunzioni del personale, generando sovraccosti non più governabili nelle società controllate o partecipate. Dall’altra, poi, esigenze di contenimento della spesa pubblica e di recupero della trasparenza della medesima, hanno spinto il legislatore statale e, successivamente, anche quello regionale ad intervenire, in particolare sulla disciplina giuridica del personale dei predetti enti di diritto privato.

Detta reazione ha investito, almeno inizialmente, il regime giuridico delle attività delle partecipate, per mezzo dell’imposizione di specifici obblighi pubblicistici in relazione alle funzioni amministrative svolte (in via esemplificativa, in tema di accesso agli atti e ai documenti amministrativi), sempre più pregnanti sino a richiamare il rispetto dell’integrale disciplina sull’attività amministrativa di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241.

6

La disciplina giuridica del personale delle aziende speciali e delle società

controllate dagli enti locali

In un secondo momento, il percorso di “ri-pubblicizzazione” in parola è stato esteso oltre ai profili inerenti l’attività svolta, andando ad interessare anche i profili organizzativi società partecipate e controllate e, precipuamente, quelli relativi alla disciplina del personale dipendete e degli incarichi esterni.

Sebbene gli interventi del legislatore siano accumunati dall’obiettivo di contenimento dei costi ed incremento della trasparenza, ne è derivata una disciplina dei rapporti giuridici del personale stratificata e frammentaria, spesso contraddittoria che necessità di un arduo lavoro di esegesi e sistematizzazione anche in riferimento al suo carattere “meticcio”, dove, da una parte, l’assunzione e la gestione del rapporto di lavoro avviene formalmente secondo le regole di diritto privato; mentre, dall’altra parte, si assiste all’imposizione di vincoli e regole (in tema regole di assunzione, compensi, risoluzione del rapporto per limiti di età ecc.) proprie dell’impiego pubblico.

Di qui l’esigenza di un Osservatorio tendenzialmente permanente, la cui finalità è quella di focalizzare innanzitutto l’innovazione normativa, cercando di dare particolare attenzione, oltreché alla disciplina nazionale, alle fonti regionali e locali, nonché a quelle derivanti dall’autonomia privata collettiva, che necessiterebbero di un controllo più capillare e tempestivo per non fare gravare sulle autonomie ignoranze ed incertezze paralizzanti.

Di qui, ancora, la volontà di produrre questo primo Rapporto sintetico sul quadro normativo, gli obiettivi, i limiti e le difficoltà della progressiva “assimilazione” al regime del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, che possa rappresentare uno strumento qualificato di monitoraggio, informazione e valutazione della legislazione, come detto, spesso torrentizia, che riguarda il personale nelle società controllate e partecipate degli enti locali, inizialmente, incentrato sull’esame3 della normativa nazionale e, successivamente, da estendere anche alla legislazione regionale ed alle fonti locali e contrattual collettive.

Il lavoro, concentrato sui principali aspetti della disciplina giuridica del personale delle società anzidette, è articolato in due sezioni: una prima – denominata Rassegna – che propone Schede

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Premessa

sintetiche che affrontato i principali temi di specialità della disciplina giuridica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle partecipate, corredando l’analisi per mezzo dell’indicazione delle norme che incidono sulle tematiche affrontate, i richiami alle principali pronunce giurisprudenziali in tema, e i riferimenti bibliografici per futuri approfondimenti sulla materia.

La seconda sezione propone invece degli Approfondimenti, ossia dei saggi di analisi e di sintesi degli interventi del legislatore, sia in una prospettiva de jure condito che de jure condendo: si tratta, dunque, di alcune considerazioni di sintesi che intendono offrire un giudizio d’insieme sullo stato dell’arte della produzione normativa in argomento in termini di coerenza rispetto al sistema, nonché offrire possibili prospettive di sviluppo, anche avuto riguardo al programma di Governo e alle sue specifiche espressioni.

Rassegna

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Premessa

I. L’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per il reclutamento di personale

La gestione delle risorse umane nelle società partecipate dagli enti locali, sin dalle previsioni di cu all’art. 18, d.l. n. 112/2008, ha subito una sorta di “complicazione” in relazione all’esigenza di garanzia, da una parte, del contenimento dei costi di gestione; e, dall’altra, di esigenze di trasparenza nelle procedure di selezione ed assunzione del personale.

In passato, infatti, si riteneva pacificamente che i processi di acquisizione delle risorse umane da parte delle società a partecipazione pubblica fosse attività di organizzazione di stampo privatistico e, dunque, rimessa alle “normali” regole del collocamento privato1. Peraltro, già allora, la Corte costituzionale affermava la compatibilità con la libertà di concorrenza di quelle norme regionali che, in applicazione dell’art. 97 della Costituzione, avevano imposto l’adozione di procedure ad evidenza pubblica per il reclutamento del personale nelle società a capitale interamente pubblico2.

Proprio l’esigenza di assicurare selezioni imparziali, trasparenti, pubbliche ed ancorate a sistemi oggettivi e predeterminati, a garanzia tanto dei soggetti partecipanti, quanto dell’utenza destinataria dell’attività svolta dalla società3, l’art. 18, comma 1, d.l. n. 112/2008 (successivamente integrato dall’art. 19, comma 1, d.l. 78/2009) ha imposto alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali (a rilevanza economica e non)

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1 Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 269. 2 Corte costituzionale 1 febbraio 2006, n. 29. 3 Consiglio di Stato, Sez. consultiva, parere 24 maggio 2010, n. 2415,

secondo cui per l’assunzione del personale rivestono una pregnante valenza anche i principi costituzionali, fissati dagli artt. 97 e 98 della Costituzione; con la conseguenza che per anche per le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si pone l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare, secondo criteri di merito e di trasparenza, i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati.

11

Rassegna

l’adozione, per mezzo di propri provvedimenti, di criteri e modalità per il reclutamento e per il conferimento di incarichi in linea con i principi di cui all’art. 35, comma 3, d.lgs. n. 165/20014.

Per le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo (es. società strumentali ex art. 13, d.l. n. 223/2006; società miste che gestiscono servizi pubblici locali), il comma 2 dell’art. 18 in commento, invece, prevede l’obbligo di determinare criteri e modalità di assunzione del personale che siano rispettosi dei principi di trasparenza, imparzialità e pubblicità, seppur non declinati nelle modalità previste per le pubbliche amministrazioni.

A ben vedere, dunque, la differenza tra gli enti di cui al primo e al secondo comma dell’articolo 18 risiede nel fatto che mentre le società interamente pubbliche di gestione dei servizi locali sono del tutto assimilate alle pubbliche amministrazioni quanto all’obbligo di rispettare la normativa in tema di reclutamento, tutti gli altri organismi costituiti in forma privata e a partecipazione pubblica (anche non totale, purché di controllo), individuati in via residuale, sono assoggettati ai principi generali di trasparenza, pubblicità e imparzialità, ma non alla specifica legislazione sul personale.

Le previsioni dettate dal legislatore nazionale fungono da criteri direttivi anche per eventuali norme regionali sul tema5 e non determinano una modifica della giurisdizione che spetta al giudice ordinario anche per quanto riguarda l’espletamento delle procedure concorsuali6.

Una analoga previsione era contenuta anche al successivo art. 23 bis, d.l. n. 112/2008, peraltro, creando una non irrilevante difficoltà

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4 La norma è relativa alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e stabilisce che tali procedure siano ispirate al principio della pubblicità della selezione e delle modalità di svolgimento, in modo tale che sia garantita, in particolare, l'imparzialità, l’economicità e la celerità della selezione; l’adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; il rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori.

5 Corte costituzionale 3 marzo 2011, n. 68. 6 Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 17 aprile 2012, n. 282; Cass., sez.

un., 22 dicembre 2011, n. 28330.

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L’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per il reclutamento di

personale

di coordinamento con il precetto di cui al precedente art. 18; in particolare si imponeva alle società in house e a quelle a partecipazione mista che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica, tra l’altro, l’obbligo di esperire procedure a evidenza pubblica per l’assunzione di personale. L’operatività di tale previsione, tuttavia, era stata posticipata ad uno specifico regolamento di attuazione (d.P.R. n. 168/2010) che si era preoccupato di risolvere l’apparente contrasto tra le due norme imponendo anche alle società da ultimo evocate l’adozione di criteri e modalità per il reclutamento del personale in linea con i princìpi di cui all’art. 35, comma 3, d.lgs. 165/2001.

Il regolamento anzidetto, rectius le regole ivi previste erano destinate a sopravvivere alla abrogazione dell’art. 23 bis, d.l. n. 112/2008, avvenuta in esito alla consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011. Ed infatti, regolando nuovamente la materia (art 4, comma 17, d.l. n. 138/2011), il legislatore ha ribadito che le società in house ed a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica individuino con i propri regolamenti, criteri e modalità di selezione ed assunzione del personale rispettosi delle regole di pubblicità, imparzialità, economicità e celerità delle procedure, secondo quanto stabilito dall’art. 35, comma 3, d.lgs. n. 165/2001. Nelle more dell’adozione dei predetti regolamenti, agli enti in parola è stata inibita l’assunzione di personale e/o il conferimento di incarichi.

Neppure la più recente dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4, d.l. 138/2011 operata dalla Corte costituzionale7 nel presupposto che tale norma fosse largamente riproduttiva della disciplina abrogata con il referendum del giugno 2011, pare aver mutato la situazione.

Alle società affidatarie in house, infatti, si applica ora l’art. 3 bis, inserito nel medesimo d.l. n. 138/2011 dalla legge di stabilità per il 2014. Tale norma, al comma 6, prescrive l’adozionedi criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35, d.lgs. 165/2001 (nonché dei vincoli assunzionali e

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7 Corte costituzionale, 20 luglio 2012, n. 199.

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Rassegna

di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall’ente locale controllante ai sensi dell’articolo 18, comma 2 bis, d.l. n. 118/2012, su cui infra).

Tutte le norme di cui si è dato conto non trovano applicazione alle società quotate in mercati regolamentati, nonché indirettamente alle loro controllate; alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni che hanno effettuato la gara a doppio oggetto per la scelta del socio operativo privato; a quelle che gestiscono servizi liberalizzati della vendita del gas e della produzione e vendita di energia elettrica.

Riferimenti normativi: decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti

per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria (GU n.147 del 25-6-2008 - Suppl. Ordinario n. 152); convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (in SO n.196, relativo alla G.U. 21/08/2008, n.195)

decreto legge 1 luglio 2009, n. 78 - Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini (GU n.150 del 1-7-2009); convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (in SO n. 140, relativo alla G.U. 04/08/2009, n. 179)

decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 - Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133 (GU n.239 del 12-10-2010)

decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 - Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (GU n.188 del 13-8-2011); convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216).

decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 - Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (GU n.19 del 24-1-2012 - Suppl. Ordinario n. 18 ); convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27

legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014) (GU n.302 del 27-12-2013 - Suppl. Ordinario n. 87)

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L’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per il reclutamento di

personale

Riferimenti giurisprudenziali:

Corte costituzionale 1 febbraio 2006, n. 29 Corte costituzionale 3 marzo 2011, n. 68 Corte costituzionale 20 luglio 2012, n. 199 Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 227 Corte costituzionale 1 luglio 2013, n. 167 Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 269 Cass., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28330 Tar Lazio, Roma, sez. III, 30 giugno 2008, n. 6333 Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 17 aprile 2012, n. 282

Riferimenti bibliografici: BONURA H. (a cura di), Le partecipazioni locali. Limiti alle

assunzioni/detenzioni ed effetti su bilancio e personale, IFEL, Roma, 2013

DE MICHELE A., I processi di pubblicizzazione delle società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, in Istituzioni del Federalismo. Quaderni, 2011, 69

LEPORE V., La normativa sui servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, in http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/, 2012

MORETTI F., Reclutamento di personale nelle società in house e rispetto del patto di stabilità. annotazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale, 3 novembre 2010, n. 325, in Appalti e Contratti, 2010, 12, 19

PIPERATA G., A proposito delle recenti disposizioni in materia di personale delle società pubbliche: anatomia di una riforma e patologia di un sistema, in Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2009, 629

RICCI G., In tema di reclutamento del personale delle società partecipate, in Il Foro italiano, 2014, 1391

TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da parte delle società a partecipazione pubblica, in http://www.dirittodeiservizipubblici.it/, 2008

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Rassegna

VITALE C., Tipologie di società a partecipazione pubblica locale: condizioni legislative legittimanti e pluralità di regimi giuridici, in Istituzioni del Federalismo. Quaderni, 2011, 10

II. I limiti assunzionali

Anche le norme in materia di contenimento progressivo dei costi del personale delle aziende pubbliche e partecipate hanno subito, nel corso del tempo, un notevole rimaneggiamento, cui si sono accompagnati interventi della magistratura contabile, dei Ministeri competenti, nonché degli stessi enti locali controllanti.

I provvedimenti di cui si tratta originano dalla convinzione secondo cui, specie attraverso l’utilizzo delle cd. società strumentali, gli enti locali potessero eludere i vincoli in materia di patto di stabilità interno, di assunzioni e di contrattualistica pubblica, con evidenti effetti moltiplicatori della spesa pubblica1.

Sicché, a partire dal 2008, si era delineato un percorso (invero piuttosto contorto), differenziato per le società strumentali e per quelle erogatrici di servizi pubblici locali2, che avrebbe condotto, al suo esito, per le prime, alla sottoposizione diretta (e delle aziende speciali) alle regole di contenimento dei costi imposte agli enti controllanti (art. 4, commi 9 e ss., d.l. n. 95/2012; art. 114, comma 5 bis, tuel); mentre, per le seconde, ad un contenimento dei costi

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1 Delibera Corte dei conti 18 settembre 2008, n. 13; delibera Corte dei conti 30 giugno 2010, n. 14; delibera Corte dei conti 6 giugno 2014 n. 15.

2 La differenza è bene evidenziata da Corte costituzionale 1° agosto 2008, n. 328, secondo cui alla distinzione tra attività amministrativa (finale e strumentale) svolta in forma di impresa per conto di una pubblica amministrazione e attività d’impresa rivolta al pubblico debba corrispondere un diverso regime giuridico. Secondo la Corte, l’attività svolta dalla pubblica amministrazione in forma di diritto privato, e più precisamente con il modulo societario, va infatti distinta in due aree che debbono restare ben separate: l’attività amministrativa di natura finale o strumentale, che in quanto tale poggia o comunque può godere dei privilegi della pubblica amministrazione; l’attività di impresa che, al di fuori del caso della gestione di servizi pubblici, va svolta invece in regime di concorrenza e di perfetta parità con le altre imprese, e senza alcuna peculiarità che possa pregiudicare quest’ultima.

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Rassegna

“mediato” da atti di indirizzo dell’ente controllante (artt. 18 e 23 bis3, d.l. n. 112/2008).

Sennonché, più di recente, si è assistito ad un processo di deregulation della costruzione “barocca” di obblighi e divieti imposti dal legislatore, ma che avevano condotto, invero, a risultati scarsi e deludenti.

In particolare, relativamente alle disposizioni di contenimento dei costi del personale, la legge di stabilità 2014 (art. 1, comma 559, l. n. 147/2013), ha riscritto l’art. 18, comma 2 bis, d.l. n. 112/2008, cancellando l'obbligo di assoggettare le società in house al patto di stabilità interno, secondo modalità che avrebbero dovuto essere definite con un apposito decreto ministeriale, che tuttavia non è stato mai emanato.

In luogo di quei vincoli, invece, la legge di stabilità ha previsto, da una parte, che «a decorrere dall'esercizio 2014 i soggetti di cui al comma 550 [aziende speciali, istituzioni e società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali, n.d.a.] a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza».

Dall’altra, poi, la medesima legge ha individuato differenti modalità per far sì che gli organismi partecipati dagli enti locali realizzino gli obiettivi di finanza pubblica (individuazione di parametri standard di costi e rendimenti, misure di contrasto al perpetrarsi di gestioni in perdita con l’obbligo per il soggetto controllante di idonei accantonamenti e la predisposizione di piani di risanamento o rientro dal debito, sanzioni a carico degli amministratori).

Il nuovo indirizzo di incremento di discrezionalità – ma, conseguentemente, anche di responsabilizzazione – degli enti locali nella gestione dei propri organismi partecipati ha trovato, da

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3 Quest’ultimo, peraltro, già oggetto di parziale dichiarazione di incostituzionalità ad opera di Corte costituzionale 17 novembre 2010, n. 325, nella parte in cui prevedeva l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno.

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I limiti assunzionali

ultimo, una ulteriore conferma e sviluppo con l'art. 4, comma 12 bis, d.l. n. 66/2014, che ha provveduto ad una nuova riformulazione del comma 2 bis dell’art. 18, d.l. n. 112/2008.

Tale disposizione, infatti, se da un lato conferma l’affermazione di principio per cui «le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale»; dall’altro lato espunge dalla norma l'assunto che estendeva agli organismi partecipati l'applicazione delle norme che contemplano divieti o limitazioni alle assunzioni di personale «in relazione al regime previsto per l'amministrazione controllante».

Viene meno, pertanto, in primis la previsione contenuta all'art. 76, comma 7, dello stesso d.l. n. 112/2008, in base al quale è fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; mentre è consentito ai restanti enti di assumere personale a tempo indeterminato nel limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente.

Ne discende che le aziende speciali, le istituzioni e le società partecipate sfuggono oggi al tetto di spesa del personale in precedentemente imposto. In luogo dello stesso, tuttavia, il nuovo testo del comma 2 bis dispone che il soggetto controllante definisca per ciascun soggetto partecipato i criteri e le modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale con propri atto di indirizzo. In tale operazione, l’ente controllante dovrà valutare anche le disposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale4, nonché lo specifico settore in cui opera l’organismo partecipato.

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4 Si tratta, in particolare dei vincoli assunzionali imposti agli enti locali dall’art. 3 comma 5 del D.L. 90/2014; in particolare: per il 2014 e 2015 le Regioni e gli enti locali soggetti al Patto di stabilità potranno effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite corrispondente a una spesa pari a 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente; per gli anni 2016 e 2017 la suddetta percentuale è

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Rassegna

A sua volta quest’ultimo sarà tenuto a conformarsi agli indirizzi espressi dall’ente locale con proprio provvedimento che, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, dovrà essere trasfuso e recepito in sede di contrattazione di secondo livello.

I limiti di cui sopra non operano per le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e per le farmacie. Tali organismi sono tenuti solo a mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità di servizi erogati.

Per le aziende speciali cosiddette “multiservizi”, l’esclusione si applica solo qualora l’incidenza del fatturato dei servizi esclusi sia superiore al 50% del totale del valore della produzione.

Restano poi ovviamente escluse le società quotate su mercati regolamentati e le loro controllate.

Riferimenti normativi: decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico

delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (GU n.227 del 28-9-2000 - Suppl. Ordinario n. 162)

decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria (GU n.147 del 25-6-2008 - Suppl. Ordinario n. 152); convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (in SO n.196, relativo alla G.U. 21/08/2008, n.195)

decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 - Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (GU n.188 del 13-8-2011); convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216).

decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 - Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la

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fissata all’80%; dal 2018 in poi è fissata al 100%. A decorrere dal 2014 è inoltre consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.

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I limiti assunzionali

competitività (GU n.19 del 24-1-2012 - Suppl. Ordinario n. 18 ); convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27

decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario) (GU n.156 del 6-7-2012 - Suppl. Ordinario n. 141 ); convertito con modificazioni dalla legg 7 agosto 2012, n. 135 (in SO n. 173, relativo alla G.U. 14/8/2012, n. 189)

legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014) (GU n.302 del 27-12-2013 - Suppl. Ordinario n. 87)

decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 - Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale (GU n.95 del 24-4-2014); convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 (in G.U. 23/06/2014, n. 143). Riferimenti giurisprudenziali:

Corte costituzionale 1° agosto 2008, n. 328 Corte costituzionale 17 novembre 2010, n. 325 Consiglio di Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3766 Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2009, n. 4346 Consiglio di Stato, sez. V, 5 marzo 2010 n. 1282

Riferimenti bibliografici: BASSI G., Qualche considerazione sulla riproposta normativa

generale in tema di servizi pubblici locali a rilevanza economica, in Appalti e Contratti, 2011, 11, 8

BELLINI G., Modalità di selezione del personale nelle società partecipate: limiti assunzionali e di costo del lavoro, in Il giurista del lavoro, 2014, 3, 30

BONURA H. (a cura di), Le partecipazioni locali. Limiti alle assunzioni/detenzioni ed effetti su bilancio e personale, IFEL, Roma, 2013

CIVETTA E., I vincoli e gli obblighi imposti alle società partecipate: "excursus" normativo, in La Finanza Locale, 2010, 7

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Rassegna

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III. I tetti retributivi

I primi interventi normativi sul contenimento dei costi per i compensi riconosciuti ad amministratori e dirigenti di Società pubbliche e a partecipazione pubblica risale al 2006.

III.a. Le società cd. in house e miste delle Regioni e degli enti locali

Più precisamente, constatata la proliferazione delle società cd. in house e miste degli enti locali e delle Regioni, la legge finanziaria per il 20071 ha individuato alcuni tetti ai compensi dei componenti degli organi di amministrazione e dei presidenti di quelle società2.

La legge opera una distinzione tra società a totale partecipazione di Comuni o Province, società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali e società a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici e privati3.

Invero, una analoga regolamentazione restrittiva nei compensi era estesa anche alle società di Regioni e Provincie autonome; sennonché, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quella norma nel presupposto che la stessa comprimesse illegittimamente l'autonomia

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1 Art. 1, commi 725-728, l. n. 296/2006. 2 Nell’ottica di moralizzazione del fenomeno, il legislatore aveva

previsto disposizioni sulla incompatibilità per gli amministratori che sono stati responsabili di perdite nella gestione delle società pubbliche. Quella disciplina, peraltro, deve oggi ritenersi superata e completata dal disposto del d.lgs. n. 39/2013.

3 Rispettivamente commi 725, 726 e 728. A chiarimento della disciplina e con effetti estensivi anche per le società a partecipazione indiretta è intervenuta la circolare ministeriale del 13 luglio 2007.

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finanziaria dei predetti enti, esorbitando dal compito di formulare i soli princípi fondamentali della materia4.

In ogni caso, per le società a totale partecipazione pubblica di Comuni o Province, si è stabilito che il compenso spettante agli amministratori ed al presidente fosse calcolato in percentuale della indennità riconosciuta al rappresentante del socio pubblico con la maggior quota di partecipazione o, in caso di parità di quote, a quello di maggior importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici.

I limiti percentuali originari, di seguito, sono stati ulteriormente ridotti ai sensi dei commi 12 e 13, dell’art. 61, d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008. Di talché, dal 1° gennaio 2009, i compensi attribuibili ai sensi dell’art. 2359 c.c. ai componenti dell’organo di amministrazione delle società partecipate da Comuni o da Province sono stabiliti nel loro limite massimo, per il presidente, al 70 per cento, e per i componenti del consiglio di amministrazione, al 60 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al Sindaco e al Presidente della Provincia, ai sensi dell'articolo 82 del tuel (d.lgs. n. 267/2000).

Quanto alle società a partecipazione mista di enti locali e di altri soggetti pubblici o privati, il comma 728 del citato art. 1, consente di elevare i compensi anzidetti in proporzione alla partecipazione di soggetti differenti dagli enti locali (di 1 punto percentuale ogni 5 punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali, nelle società nelle quali la partecipazione di questi ultimi è pari o superiore al 50 per cento del capitale; 2 punti percentuali ogni 5 punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti

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4 Corte Costituzionale, 20 maggio 2008, n. 159, in Giur. costituzionale 2008, 3, 1903, che dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 730 dell’art. 1 in commento.

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I tetti retributivi

locali, nelle società nelle quali la partecipazione di questi ultimi è inferiore al 50 per cento del capitale).

Da ultimo, la legge finanziaria, rectius di stabilità per il 2015 ha stabilito che, a decorrere dal 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30 per cento del compenso dei componenti degli organi di amministrazione.

Non solo. Si prevede che il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi configuri ex lege una ipotesi di revoca degli amministratori per giusta causa, salvo che il risultato, ancorché negativo, sia coerente con un piano di risanamento approvato dall'ente controllante. Inoltre – dal 2017 – nel caso si riscontri un risultato negativo di gestione per almeno per quattro dei cinque esercizi precedenti, le anzidette società sono poste in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all'ultimo esercizio; tale previsione, tuttavia non si applica alle aziende che svolgono servizi pubblici locali.

Le norme summenzionate, poi, chiariscono che la possibilità di stabilire compensi ulteriori rispetto a quelli suindicati, sussiste solo con riferimento ad indennità di risultato, le quali, comunque, possono essere attribuite solo nell’ipotersi di produzione di utili e in ogni caso in misura non superiore al doppio delle somme onnicomprensive suindicate; coerentemente, infatti, la disciplina di legge stabilisce espressamente che i limiti si riferiscono ad un compenso onnicomprensivo tale da ricomprendere sia le indennità definite all’atto della nomina o attribuite

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dall’assemblea, che quelle assegnate per incarichi particolari dal consiglio di amministrazione sentito il collegio sindacale.

III.b. I limiti “generali” ai compensi degli amministratori di società pubbliche non quotate

La summenzionata disciplina, tutt’oggi in vigore per gli enti locali5, era quindi completata da alcune limitazioni ai compensi degli amministratori investiti di particolari cariche di società non quotate in borsa partecipate dallo Stato (quale che fosse l'entità della partecipazione statale) e di società collegate o controllate dalle stesse6.

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5 La Corte dei Conti sezione regionale di controllo per il Lazio, nel parere formulato al Comune di Roma Capitale con deliberazione n. 18/2011 sulla vigenza delle limitazioni contenute nella Finanziaria 2007 o sua eventuale abrogazione per effetto della Finanziaria 2008, è, infatti, pervenuta alla «conclusione che la natura speciale della pregressa normativa contenuta nella Finanziaria del 2007, esaltata dal suo carattere di completezza, riguardante una serie di aspetti gestionali e di governance delle società partecipate dagli enti locali – tanto da farne un vero e proprio corpus di norme finalizzate, da un lato, al contenimento dei costi delle autonomie locali, dall’altro, a contrastare la diffusione e il proliferare del fenomeno societario presso i suddetti enti, formalmente mirato ad un miglioramento dell’efficienza dei servizi pubblici locali, ma di fatto pesantemente e negativamente incidente sugli equilibri di bilancio degli enti medesimi – costituisca un ostacolo insormontabile alla sua abrogazione implicita o anche soltanto alla sua ritenuta incompatibilità, perché con essa contrastante, con la sopravvenuta normativa di cui alla Finanziaria 2008». La Corte dei Conti, conseguentemente, ha ritenuto che agli enti locali non si applichino i limiti di cui al successivo d.P.R. n. 195/2010.

6 Art. 1, comma 466, legge n. 296/2006, che stabiliva un tetto massimo di 500.000 euro annui, cui poteva essere aggiunta una quota variabile non superiore al 50 per cento della retribuzione fissa connessa al raggiungimento di obiettivi annuali, oggettivi e specifici; e comma 593, che imponeva un tetto alle retribuzioni dei titolari di qualsivoglia incarico

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I tetti retributivi

Di tali disposizioni, peraltro, è rimasta in vigore solo la previsione relativa agli amministratori di società non quotate (e delle loro controllate e collegate) partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze, per i quali si fa divieto di pattuire trattamenti di fine mandato superiori ad una annualità; mentre le altre previsioni sono state oggetto di ripensamento nell’ambito della finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007) che, da un lato, ha previsto un assoggettamento generalizzato al tetto retributivo e, dall'altro, ha precisato più concretamente le fattispecie escluse7.

Quanto al primo profilo, la legge ha fissato il principio generale in base al quale «il trattamento economico di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate non possa superare quello del primo presidente della Corte di cassazione» (comma 44)8. Per espressa previsione normativa, detto limite trova applicazione, oltre che ai dirigenti, anche ai rapporti di lavoro

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corrisposto da società a prevalente partecipazione pubblica, ancorandolo al compenso del primo Presidente della Corte di cassazione. Tale ultima previsione, peraltro, aveva sollevato numerosi dubbi interpretativi specie in riferimento al proprio campo di applicazione.

7 Art. 3, commi 43-53. 8 Restano però esclusi dal limite i compensi alle attività di natura

professionale e ai contratti d'opera aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza, per i quali la rigorosa applicazione di un tetto retributivo verrebbe ad alterare il normale esplicarsi del confronto aziendale, ponendo la società a prevalente partecipazione pubblica in una situazione di sfavore.

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autonomo ed ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché agli amministratori (purché non investiti di particolari cariche ex art. 2359, c.c.), ai presidenti ed ai componenti degli organi di controllo delle società pubbliche o partecipate.

Il predetto limite, più di recente, è stato ulteriormente ridotto ai sensi dell’art. 13, d.l. n. 66/2014, secondo il quale, a far data dal 1° maggio 2014, il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione è fissato in misura fissa ed è pari a 240.000 euro annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente. Sono peraltro, fatti salvi gli eventuali limiti retributivi in vigore al 30 aprile 2014 determinati per effetto di apposite disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, inferiori all’anzidetto importo.

Quanto al secondo profilo, quello relativo alle fattispecie escluse dall'applicazione della norma o comunque soggette a una differente disciplina, il legislatore ha ritenuto che ogni qual volta si fossero presentate motivate esigenze di carattere eccezionale, per un periodo di tempo comunque non superiore a tre anni, l’amministrazione potesse derogare al principio generale individuato poc’anzi9.

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9 Il regolamento di attuazione (d.P.R. n. 195/2010) ha precisato che per esigenze di carattere eccezionale si devono intendere quelle derivanti da eventi imprevedibili cui non possa farsi fronte con l’attività dei dipendenti o dei consulenti e che richiedano una prestazione lavorativa straordinaria in termini tanto qualitativi che quantitativi. Accanto a tale deroga generale, poi, sono individuate ulteriori ipotesi di non applicazione dei limiti con riferimento, in particolare, alle posizioni di più elevato livello di responsabilità nelle amministrazioni statali, ai dirigenti della Banca d'Italia e delle altre autorità indipendenti, ai contratti stipulati sino al 28 settembre 2007.

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La disciplina descritta, tuttavia, ha subito un notevole ritardo nella propria implementazione. L’art. 4 quater, d.l. n. 97/2008 (convertito in l. n. 129/2008), infatti, ha differito l’efficacia della disposizione de qua – così come di tutte le norme di dettaglio disciplinanti i limiti ai compensi erogati dagli enti pubblici o caratterizzati da partecipazione di capitali pubblici – all’entrata in vigore di un apposito decreto del Presidente della Repubblica. Tale regolamento, infine, è stato adottato con d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 195, che ha fissato – all’art. 7 – la decorrenza del limite di cui si discute solo con riferimento ai contratti stipulati o rinnovati e agli incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore del d.P.R. stesso, avvenuta in data 10 dicembre 2010, vale a dire con un ritardo di oltre 24 mesi rispetto il termine iniziale.

Rispetto alla disciplina di legge, il regolamento ha ulteriormente temperato i tetti massimi stabilendo che, ai fini della verifica del rispetto del limite ai compensi, per i lavoratori subordinati non siano computati il corrispettivo globale percepito per il rapporto di lavoro con la società; l’eventuale trattamento pensionistico liquidato dal competente ente previdenziale; la parte del compenso che il soggetto interessato sia obbligato a versare ai fondi.

L’esclusione dell’assoggettamento del limite di cui all’art. 3, comma 44, della finanziaria per il 2008, inoltre, opera anche in relazione ai compensi determinati ai sensi dell'articolo 2389, comma 3, c.c., previsti in favore degli amministratori delle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate investiti di particolari cariche (art. 4, comma 3, d.P.R. n. 195/2010).

Il panorama normativo sin qui descritto, poi, ha trovato ulteriore «complicazione» ad opera dell’art. 6, comma 6, d.l. n. 78/2010 (convertito in l. n. 122/2010), che ha disposto una nuova riduzione dei compensi degli organi di amministrazione e controllo per le società partecipate possedute direttamente o indirettamente in misura totalitaria

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dalle pubbliche amministrazioni10; e quindi degli artt. 23 bis e 23 ter del d.l. n. 201/2011 (convertito in n. 214/2011)11, ripetutamente modificati per renderli via via più stringenti.

La versione attualmente in vigore dell’art. 23 bis surrichiamato – la cui formulazione è ascrivibile alle novelle operate dall'art. 23, d.l. n. 216/2011 (convertito in l. n. 14/2012), dall'art. 2, comma 20 quater, lett. b, d.l. n. 95/2012 (convertito in l. n. 135/2012) e dall’art. 84 bis, d.l. n. 69/2013 (convertito in l. n. n. 98/2013) – prevede anzitutto che le società non quotate direttamente controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., siano classificate per fasce sulla base di indicatori quali/quantitativi, cui corrisponderà un compenso massimo al quale i consigli di amministrazione devono fare riferimento per la determinazione degli emolumenti da corrispondere agli amministratori ai sensi dell’articolo 2389, comma 3, c.c.12.

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10 In particolare, la summenzionata disposizione ha previsto che il compenso di cui all’art. 2389, comma 1, c.c., dei componenti degli organi di amministrazione e di quelli di controllo sia ridotto del 10 per cento. Tale previsione, che si applica a decorrere dalla prima scadenza del consiglio o del collegio successiva alla data di entrata in vigore del decreto, non trova però applicazione ai compensi attribuiti agli amministratori delegati a norma del comma 3 del citato art. 2389, c.c.

11 La versione originale delle norme prevedeva non aveva conseguenze immediate sui rapporto, in quanto la loro entrata in vigore era subordinata ad una ulteriore regolamentazione di dettaglio.

12 Lungamente “latitante”, il decreto è stato infine emanato nel dicembre 2013 (d.m. 24 dicembre 2013, n. 166), e prevede che l’importo massimo complessivo, comprensivo della quota variabile, degli emolumenti da corrispondere ai sensi dell’art. 2389, comma 3, c.c., sia determinato in una misura compresa tra il 100% ed il 50% del trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione, a seconda della “complessità” della società misurata sulla base di alcuni indicatori (valore della produzione; investimenti; numero di dipendenti).

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I tetti retributivi

Peraltro, e con specifico riferimento agli amministratori investiti di particolari cariche, il consiglio di amministrazione può includere una componente variabile che «non può risultare inferiore al 30 per cento della componente fissa», comunque correlata al grado di raggiungimento degli obiettivi annuali, oggettivi e specifici, preventivamente determinati dallo stesso consiglio di amministrazione.

In ogni caso, la determinazione dei compensi spettanti agli amministratori delegati e non doveva tener conto del limite massimo individuato nel trattamento economico del primo Presidente della Corte di cassazione (comma 5 bis), che, come già accennato, è stato ulteriormente ridotto a 240.000 euro annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del lavoratore13. Si tratta di un limite comprensivo anche della parte variabile del compenso – in vigore solo per i contratti stipulati e gli incarichi attribuiti dal 15 agosto 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 95/2012 – che pare aver assunto valenza generale, tanto da trovare applicazione nei confronti di chiunque riceva compensi direttamente o indirettamente a carico di una pubblica amministrazione o comunque riconducibili alle finanze pubbliche14.

Invero, la formulazione letterale molto ampia del comma 5 bis ha suscitato più di una incertezza circa il suo ambito di applicazione e sul coordinamento tra quella previsione ed i precedenti vincoli sui compensi degli amministratori di cui ai primi quattro commi dello stesso art. 23 bis in commento. La

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13 Art. 13, d.l. n. 66/2014, convertito in l. n. 95/2014. Tale nuovo limite trova applicazione a decorrere dal 1° maggio 2014.

14 Non essendo stato riproposto il temperamento di cui al d.P.R. n. 195/2010, il massimale indicato deve ritenersi comprensivo sia della retribuzione annua lorda che degli eventuali compensi variabili aggiuntivi.

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questione, però, pare risolta dal parere reso dal Consiglio di Stato l’11 febbraio 2013, che ha ritenuto, da un parte che, per le società non quotate il Ministero dell’Economia e delle Finanze sia ancora tenuto ad applicare il sistema delle fasce già descritto, ma che, dall’altra, tale sistema debba comunque tener conto del limite “assoluto” di cui al comma 5 bis15.

Tale indirizzo, da ultimo, è stato recepito dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, che, per mezzo della direttiva al Dipartimento del Tesoro del 24 giugno 201316, ha individuato sui criteri e le modalità di nomina dei componenti degli organi di amministrazione e sulle politiche per la remunerazione dei vertici aziendali delle società controllate, stabilendo, in particolare, che i compensi massimi per gli amministratori con deleghe saranno definiti secondo il sistema delle fasce, nel rispetto, però del limite della retribuzione spettante al Primo Presidente della Corte di cassazione. III.c. Le società quotate: cenni

Il complesso sistema ora descritto trova applicazione nei confronti delle società non quotate partecipate direttamente dal ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché dalle pubbliche amministrazioni.

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15 In definitiva, il Consiglio di Stato ritiene che il criterio ispiratore del sistema delle fasce previsto dal primo comma dell’articolo 23 bis sia volto a calibrare quanto più possibile il compenso alla «reale consistenza della struttura societaria amministrata, quale indicatore del carico di impegni e responsabilità gravanti sugli amministratori, oltre che del livello di competenze necessarie per l’assunzione e l’espletamento dei compiti gestori».

16 Che integra la precedente (ma sostanzialmente già “allineata”) direttiva del 24 aprile 2013.

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In merito, occorre rammentare che l’art. 34, comma 38, d.l. n. 179/2012 (convertito in l. n. 221/2012), con disposizione di interpretazione autentica ha chiarito che per “società quotate” – escluse dalla disciplina della limitazione ai compensi – si intendono le società emittenti strumenti finanziari in un mercato regolamentato17.

Peraltro, seppur con una previsione “una tantum”18, anche queste ultime non sono rimaste esenti da specifiche norme volte al contenimento degli oneri pubblici per compensi. Ed infatti, l’art. 84 bis, d.l. n. 69/2013 (convertito in l. n. 98/2013), ha stabilito, una riduzione del 25 per cento rispetto al compenso deliberato per il precedente mandato per gli amministratori delegati ed il presidente delle società direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni che emettono strumenti finanziari in mercati __________________

17 Resterebbe, però, da chiarire se l’esenzione della disciplina limitativa dei compensi si applichi alle società non quotate controllate da società quotate a loro volta controllate da pubbliche amministrazioni. La questione può essere risolta in un’ottica di sistema, osservando che tutte le regolamentazioni dei trattamenti economici dell’executive management delle società pubbliche sono sempre state limitate alle sole società non quotate ed alle loro controllate; mentre per gli enti emittenti azioni in mercati regolamentati si è ritenuto preferibile affidare le politiche di remunerazione agli strumenti previsti dalle normative settoriali ed ai controlli del mercato. Se questo è stato, dunque, l’approccio del legislatore, pare coerente che le società non quotate controllate da società quotate (pur a partecipazione pubblica) siano “a cascata” sottratte alla limiti legali.

18 È previsto, infatti, che le riduzioni di cui trattasi operino solo in relazione ai compensi determinati in occasione del primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo al 21 agosto 2013, ovvero, qualora si sia già provveduto ai rinnovi, ai compensi ancora da determinare (anche in via definitiva); e sempreché non si sia già operata “spontaneamente” una riduzione dei compensi dell’amministratore delegato e del presidente in misura non inferiore al 25 per cento.

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regolamentati differenti dalle azioni. Per le società quotate che emettono titoli azionari, si prevede una analoga riduzione; tuttavia, il decurtamento non opera automaticamente, ma si prevede che lo stesso debba essere contenuto in una apposita proposta (da avanzare in sede di rinnovo dei consigli di amministrazione) che sia condivisa con l’azionista di controllo pubblico e sottoposta all’approvazione dell’assemblea degli azionisti.

Riferimenti normativi: legge 27 dicembre 2006, n. 296 - Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (GU n.299 del 27-12-2006 - Suppl. Ordinario n. 244)

legge 24 dicembre 2007, n. 244 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) (GU n.300 del 28-12-2007 - Suppl. Ordinario n. 285)

decreto legge 3 giugno 2008, n. 97- Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini (GU n.128 del 3-6-2008); convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2008, n. 129 (in G.U. 02/08/2008, n.180)

decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria (GU n.147 del 25-6-2008 - Suppl. Ordinario n. 152); convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (in SO n.196, relativo alla G.U. 21/08/2008, n.195)

decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195 - Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo (GU n.276 del 25-11-2010)

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I tetti retributivi

decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici (GU n.284 del 6-12-2011 - Suppl. Ordinario n. 251); convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (in SO n. 276, relativo alla G.U. 27/12/2011, n. 300)

decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative (G.U. 29/12/2011, n.302); convertito con modificazioni dalla legg 24 febbraio 2012, n. 14 (in S.O. n. 36, relativo alla G.U. 27/02/2012, n. 48)

decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario) (GU n.156 del 6-7-2012 - Suppl. Ordinario n. 141); convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (in SO n. 173, relativo alla G.U. 14/8/2012, n. 189)

decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (GU n.144 del 21-6-2013 - Suppl. Ordinario n. 50); convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (in S.O. n. 63, relativo alla G.U. 20/08/2013, n. 194)

decreto 24 dicembre 2013, n. 166 - Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'ex articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214(GU n.63 del 17-3-2014)

legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014) (GU n.302 del 27-12-2013 - Suppl. Ordinario n. 87)

decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 - Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale (GU n.95 del 24-4-2014 ) - convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 (in G.U. 23/06/2014, n. 143)

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IV. Gli obblighi di trasparenza e pubblicità

Il tema degli obblighi di pubblicità e di trasparenza è uno

degli aspetti centrali della disciplina delle società partecipate

e l’evoluzione del relativo quadro normativo può essere

descritta attraverso tre momenti. In primo luogo la legge

Finanziaria del 2007, attraverso la serie di disposizioni che

vanno dal comma 725 al comma 736 dell’articolo 1 e

successivamente attraverso la disposizioni della legge 190 del

2012 per la prevenzione dell’illegalità nella Pubblica

Amministrazione ed infine il decreto legislativo n.33 del 2013

che stabilisce gli obblighi di pubblicità e di trasparenza da

parte delle Pubbliche Amministrazioni. L’impianto normativo

di queste disposizioni va a delineare le caratteristiche

dell’intervento relativo agli obblighi di pubblicità e di

trasparenza. Per considerare questo tema è quindi opportuno

valutare la combinazione tra queste disposizioni.

IV.a. La legge finanziaria del 2007 Le disposizioni previste dai commi che vanno dal 725 al

736 del primo articolo stabiliscono le seguenti indicazioni,

che riguardano aspetti amministrativi, relativi alla disciplina

dei consigli di amministrazione ed obblighi relativi alla

pubblicità e trasparenza.

1. Nelle società a totale partecipazione di comuni o province, il compenso lordo annuale, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore per il presidente all'80 per cento e per i componenti al 70 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia. Resta ferma la possibilità' di prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili ed in misura ragionevole e proporzionata.

37

Rassegna

2. Il numero complessivo di componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate totalmente anche in via indiretta da enti locali, non può essere superiore a tre, ovvero a cinque per le società con capitale, interamente versato, determinato da un successivo decreto

3. Nelle società miste il numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione designati dai soci pubblici locali comprendendo nel numero anche quelli eventualmente designati dalle regioni non può essere superiore a cinque.

4. Non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi.

5. Queste disposizioni non si applicano alle società a partecipazione degli enti locali che siano quotate in borsa.

Si riferisce nello specifico ai temi della pubblicità e trasparenza quanto previsto dal successivo come 735 che recita testualmente come segue:

“Gli incarichi di amministratore delle società di cui ai commi da 725 a 734 del presente articolo conferiti da soci pubblici e i relativi compensi sono pubblicati nell' albo e nel sito informatico dei soci pubblici a cura del responsabile individuato da ciascun ente. La pubblicità è soggetta ad aggiornamento semestrale. La violazione dell'obbligo di pubblicazione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro, irrogata dal prefetto nella cui circoscrizione ha sede la società. La stessa sanzione si applica agli amministratori societari che non comunicano ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato di cui al comma 725, entro trenta giorni dal percepimento.”

Si tratta quindi di un insieme di norme di coordinamento gestionale ed amministrativo che stabiliscono, tra gli altri aspetti, di pubblicità e trasparenza degli amministratori delle

38

Gli obblighi di trasparenza e pubblicità

società partecipate dagli enti locali. Si tratta degli obblighi di comunicazione non solo degli incarichi, ma anche dei compensi e delle indennità di risultato. IV.b. La legge 190 del 2012 per la prevenzione dell’illegalità’ nella pubblica amministrazione

La legge 190 del 2012 costituisce un provvedimento importante nel processo di riforma della Pubblica Amministrazione italiana, che ha una ricaduta precisa ed importante anche per quanto riguarda il tema degli obblighi di trasparenza e di legalità. Il tema della corruzione nella Pubblica Amministrazione costituisce un elemento importante rispetto all’efficacia ed alla capacità di Governo e l’Italia è in questo senso un paese sotto osservazione sia da parte dell’OCSE che dell’Unione Europea. La legge stabilisce, tra l’altro:

L’istituzione di una Autorità anticorruzione, che assorbe le funzioni della precedente Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche;

L’attribuzione al Dipartimento della Funzione Pubblica di precise responsabilità in merito alla prevenzione ed alla lotta contro la corruzione e l’illegalità;

Le indicazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica, che deve definire un piano nazionale anticorruzione e stabilire la rotazione dei dirigenti pubblici che operano in settori fortemente esposti alla corruzione;

L’indicazione da parte delle Amministrazioni tra i dirigenti un responsabile anticorruzione;

Il deferimento ad arbitri delle controversie relative ai contratti pubblici relativi all’affidamento di lavori, servizi, forniture o progettazione.

Diverse le disposizioni relative alla trasparenza : che viene definita come componente dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili di cui all’articolo 117 della Costituzione. A questo scopo si stabilisce

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Rassegna

che la trasparenza : “ Viene assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini”.

Secondo le disposizioni previste, le pubbliche amministrazioni assicurano i livelli essenziali con particolare riferimento ai procedimenti di:

a) autorizzazione o concessione; b) scelta del contraente per l'affidamento di lavori,

forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;

c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;

d) concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera.

Le Amministrazioni pubbliche sono inoltre tenute a mettere a disposizione un indirizzo di mail a cui i cittadini possono indirizzare le richieste di informazioni e di chiarimenti sui provvedimenti e sui bandi. In ogni caso le stazioni appaltanti sono tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.

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Gli obblighi di trasparenza e pubblicità

Si stabilisce poi che in un successivo decreto legislativo si intervenga sugli aspetti relativi alla pubblicità attraverso disposizioni che prevedano :

a) obblighi di pubblicità a carico delle amministrazioni pubbliche;

b) previsione di forme di pubblicità sia in ordine all'uso delle risorse pubbliche sia in ordine allo svolgimento e ai risultati delle funzioni amministrative;

c) precisazione degli obblighi di pubblicità di dati relativi ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale;

d) ampliamento delle ipotesi di pubblicità, mediante pubblicazione nei siti web istituzionali, di informazioni relative ai titolari degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni sia con riferimento a quelli che comportano funzioni di amministrazione e gestione, sia con riferimento agli incarichi di responsabilità degli uffici di diretta collaborazione;

e) definizione di categorie di informazioni che le amministrazioni devono pubblicare e delle modalità di elaborazione dei relativi formati;

f) obbligo di pubblicare tutti gli atti, i documenti e le informazioni di cui al presente comma anche in formato elettronico elaborabile e in formati di dati aperti;

g) individuazione, anche mediante integrazione e coordinamento della disciplina vigente, della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione obbligatoria;

h) individuazione, anche mediante revisione e integrazione della disciplina vigente, delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi di pubblicazione.

Le disposizioni relative alla trasparenza precisate nella legge 190 del 2012 sono le più varie : dalla comunicazione degli incarichi dei dipendenti pubblici, alla previsione di un

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Rassegna

vero e proprio Codice di comportamento, alle disposizioni anticorruzione nelle commissioni di valutazione degli incarichi o bandi, dalla disciplina relativa all’attribuzione di incarichi dirigenziali alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. La normativa definisce quindi un impianto complessivo di disposizioni anticorruzione che interviene con norme precise sulla trasparenza e sulla pubblicità, sia attraverso la pubblicazione delle decisioni sul web che con norme che stabiliscono le modalità di conferimento degli incarichi da parte dei dipendenti pubblici ed intervengono sulla disciplina del personale. IV.c. Il decreto legislativo sugli obblighi di pubblicita’ e trasparenza

In attuazione quindi delle linee guida e dei principi della legge 190 del 2012, è stato poi emanato il richiamato decreto legislativo n.33 del 2013.

Le disposizioni specifiche attualmente in vigore trovano riferimento in questo decreto legislativo. Questi i principi chiave e le relative disposizioni.

Il decreto attua alcuni aspetti della normativa quadro anticorruzione definita dalla legge 190 attraverso :

interventi per la prevenzione della corruzione; attivazione di forme di controllo sociale; promozione del miglioramento delle performances; migliorare il rendiconto (accountability) dei

dipendenti pubblici; avvio di strumenti di partecipazione e raccordo tra

cittadini e Pubblica Amministrazione. Rispetto alla trasparenza il decreto: stabilisce il riordino degli obblighi di pubblicazione; uniforma gli obblighi di pubblicazione da parte di tutte

le pubbliche amministrazioni; definisce i ruoli, le responsabilità ed i processi in capo

alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo; introduce l’istituto dell’accesso civico.

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Gli obblighi di trasparenza e pubblicità

Con la “bussola della trasparenza” si stabilisce una strumentazione web disponibile sia per le amministrazioni pubbliche che per i cittadini, con lo scopo di rendere più aperti i servizi ai cittadini e le relative informazioni digitali. Si tratta di uno strumento pubblico, aperto e con tecnologia open data, con cui si monitora l’adesione di ogni amministrazione pubblica agli obblighi di pubblicazione e di trasparenza sui siti istituzionali . Il sito consente anche la definizione di statistiche e l’accesso ad informazioni utili ai cittadini ed all’informazione di servizio pubblico. Questo portale web ha avuto fin dalla sua istituzione un notevole afflusso.

L’accesso civico è il nuovo diritto per la trasparenza pubblica previsto dal decreto legislativo n. 33 all’articolo 5: è il diritto di ogni cittadino a richiedere i documenti, le informazioni ed i dati che sono oggetto di pubblicazione obbligatoria sui siti istituzionali e che non sono stati ancora pubblicati. In questo modo i cittadini possono avere conoscenza dell’interno patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni ed aumenta il controllo anti corruzione e la promozione dell’efficienza. Il decreto n.33 è stato denominato “ decreto trasparenza” ed interviene quindi sui seguenti aspetti, posti in elenco, in attuazione dei principi considerati :

pubblicità e diritto alla conoscibilità;

limiti alla trasparenza;

accesso civico;

qualità delle informazioni;

dati aperti e riutilizzo;

decorrenza e durata dell’obbligo di pubblicazione;

accesso alle informazioni pubblicate sui siti;

programma triennale per la trasparenza;

obblighi di pubblicazione;

disposizioni per la vigilanza.

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Rassegna

Riferimenti normativi: legge 27 dicembre 2006, n. 296 - Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (GU n.299 del 27-12-2006 - Suppl. Ordinario n. 244)

legge 6 novembre 2012, n. 190 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione (GU n.265 del 13-11-2012)

d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 - Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (GU n.80 del 5-4-2013)

Approfondimenti

di Romano Benini, con la collaborazione di Marcello Cadeddu ed Oliviero Bisaccia

Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una questione aperta SOMMARIO: 1. L’evoluzione del quadro normativo e funzionale. – 2. Le

questioni da affrontare. – 3. Capitale Lavoro S.p.A. – 3.1. La natura giuridica e funzionale. – 3.2 Il modello organizzativo. – 3.3 Disciplina del personale di Capitale Lavoro. – 4. Agenzia regionale per il lavoro della regione Sardegna: storia e struttura. – 4.1 Prima del 2005. – 4.2 La Legge regionale n. 20 del 2005. – 4.3. La situazione attuale

1. L’evoluzione del quadro normativo e funzionale

In questi mesi il processo di riforma delle politiche del lavoro si incontra necessariamente con l’intervento di riordino costituzionale ed istituzionale, da un lato, e con il processo di ridefinizione del ruolo e della funzione delle società partecipate pubbliche. Si tratta di una fase delicata ed importante, che va valutata con attenzione, quantomeno da due punti di vista :

La definizione di un assetto di governance delle politiche pubbliche sul territorio in grado di risultare efficace nel sostegno allo sviluppo ed al lavoro;

La promozione di un ruolo chiaro e trasparente degli enti strumentali , agenzie tecniche e società partecipate che concorrono all’attivazione verso il lavoro e la formazione dei disoccupati.

L’assetto del Titolo V della Costituzione ha permesso negli anni la definizione di sistemi regionali e provinciali che hanno promosso in modo diverso e sulla base di distinti modelli funzionali ed organizzativi sia le politiche attive che i servizi per l’impiego. Questo ha portato da un lato all’attribuzione di regole di funzionamento del mercato del lavoro in parte diverse, soprattutto nella promozione dell’attivazione al lavoro e nel ruolo dei servizi pubblici e privati accreditati, e dall’altro alla gestione dei servizi per l’impiego e per

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

l’attivazione attraverso diverse modalità di intervento pubblico.

Oltre alla funzione dei centri per l’impiego, uffici territoriali attribuiti alle Province dalla riforma del decentramento del 1997, con il dlgs 469 /1997, molte province hanno costituito società partecipate ed enti strumentali per la promozione delle politiche attive del lavoro. Si è trattato di una scelta che ha portato in alcune province a scelte di varia natura attraverso :

a) Società partecipate costituite con altri enti locali b) Società partecipate costituite con organizzazioni

sindacali e di impresa; c) Enti strumentali; d) Società partecipate con la Camera di Commercio. Con l’accreditamento dei servizi privati reso possibile dalla

riforma Biagi e dal decreto n.276 del 2003 la Regione Lombardia ha avviato il processo di accreditamento, che ha portato alcune province ad accreditare i centri per l’impiego o a costituire società partecipate per l’accreditamento alla erogazione di interventi formativi, di reimpiego o di intermediazione.

Si tratta di un processo che si è realizzato in tempi e modi diversi, che ha prodotto diverse modalità di intervento e pratiche, che si traducono oggi in un quadro disarticolato e che va ricondotto ad unità.

La combinazione delle riforme avviate o riprese dal Governo Renzi si trova oggi ad affrontare questi temi da diversi punti di vista, nella ricerca di un coordinamento delle disposizioni e delle regole e nel tentativo di definire un quadro unitario di intervento. L’operazione è complessa per la pluralità delle decisioni e dei modelli adottati e potrà essere completata solo a riforma costituzionale compiuta. Tuttavia la questione del ruolo delle società partecipate pubbliche e della relativa disciplina del personale coinvolge tutti i livelli istituzionali, nella attuazione di quanto previsto dal Jobs Act per quanto riguarda:

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Approfondimenti

a) La costituzione dell’agenzia nazionale; b) La costituzione e la definizione delle funzioni delle

strutture regionali; c) Il mantenimento o meno delle agenzie presenti nelle

città metropolitane ed in area vasta rese necessarie dalla legislazione concorrente.

2. Le questioni da affrontare

Questo quadro di riferimento pone quindi l’attenzione ad alcuni snodi che il processo di riforma deve andare ad affrontare, alcuni dei quali non sono del tutto chiariti dalle disposizioni attuali e che il legislatore dovrà necessariamente affrontare. La combinazione tra i diversi interventi di riforma ha aperto alcune problematiche, che riguardano anche la natura e la disciplina del rapporto di lavoro delle società partecipate e dei servizi pubblici.

La regolazione della funzione delle agenzie e società partecipate per la promozione delle politiche attive e della formazione in un quadro unitario dovrebbe essere la premessa degli interventi e non la ricaduta od una conseguenza collaterale delle misure di riforma.

Queste alcune delle principali questioni che vanno affrontate:

Il personale dei centri per l’impiego: nel trasferimento ad altri livelli istituzionali delle funzioni a lungo attribuite alle province esistono questioni di diverso genere, dalla natura del contratto all’ammontare dello stipendio, fino alla questione relativa al mantenimento del contratto del pubblico impiego in agenzie strumentali o strutture regionali che hanno contratti di diritto privato come inquadramento contrattuale di riferimento;

Il personale delle agenzie provinciali accreditate: in un modello di creazione di un sistema di accreditamento nazionale possono venire meno i presupposti per il mantenimento di agenzie accreditate da parte delle province o dei comuni e la necessità di un loro trasferimento presso

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

strutture regionali, con conseguenti problemi per il personale;

Il personale delle strutture regionali e la natura delle strutture : se le agenzie erano preesistenti alla riforma esiste il problema del doppio regime dei dipendenti, con contratto privato di solito per gli enti strumentali o società partecipate e di diritto pubblico per il personale proveniente da altre istituzioni o dai centri per l’impiego;

Il personale dell’agenzia nazionale : il Governo deve scegliere tra un ente pubblico di natura ministeriale, meno flessibile nell’erogazione degli interventi, od un ente pubblico economico con contratto di diritto privato, meno in grado di operare come parte dell’amministrazione pubblica;

Il personale transitato nell’agenzia nazionale: l’Agenzia nazionale si trova ad assorbire personale di un ente pubblico di ricerca, qual’è ISFOL, con contratto pubblico e di un ente pubblico strumentale come Italialavoro, con contratto di natura privatistica. Si tratta di due opzioni non facilmente integrabili.

In ogni caso le scelte relative all’inquadramento del personale non possono prescindere, anzi dovrebbero derivare , da una chiara definizione della mission degli enti in questione, nella erogazione dei servizi preposti e nello svolgimento delle funzioni indicate dal Jobs Act. La conseguenza relativa alla natura dell’ente e dell’inquadramento del personale dovrebbe essere legata e rispondere alle esigenze di efficacia, trasparenza e legalità dell’intervento.

Queste scelte possono essere favorire da una attenta valutazione delle caratteristiche funzionali, organizzative e relative al personale delle società partecipate e degli enti strumentali per il lavoro attualmente operative sul piano nazionale. Di seguito si presentano due modelli di assoluto rilievo:

l’agenzia strumentale in house della Provincia di Roma, ora Città metropolitana;

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Approfondimenti

l’ente strumentale della Regione Sardegna, che è chiamato ad assorbire il personale dei centri per l’impiego delle Province.

3. Capitale Lavoro S.p.A.

3.1 La natura giuridica e funzionale

Il modello organizzativo societario di diritto comune si è diffuso nel corso degli ultimi 20 anni in diversi settori dell’amministrazione centrale e locale, soppiantando aziende ed enti pubblici, anche economici. Varie leggi hanno previsto numerose privatizzazioni in senso giuridico (c.d. formali o tecniche), cioè trasformazioni di enti pubblici in forme organizzative tipiche del diritto privato, soprattutto in società per azioni ed in fondazioni. In particolare, sono stati trasformati in s.p.a. i principali enti pubblici economici (IRI, ENI, INA, ENEL). Obiettivo ultimo dell’operazione di privatizzazione era quello della cessione ai privati delle imprese in questione attraverso la dismissione delle azioni, ovvero la privatizzazione in senso giuridico (c.d. sostanziale).

La Commissione europea introdusse il concetto di “ in house providing” nel Libro bianco del 1998, in riferimento al settore degli appalti, definendo gestione "in house" l’insieme delle attività alla cui esecuzione la pubblica amministrazione provvede con mezzi propri tramite “una struttura commerciale che di fatto è un’emanazione della medesima amministrazione”, adempiendo in questo modo alla forniture di servizi di interesse pubblico senza far ricorso ad entità esterne. In tale documento, successivo al Libro Verde sulla stessa materia presentato nel 1996, la Commissione definisce gli in house contracts come “contratti aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio tra un’amministrazione centrale e le amministrazioni locali ovvero tra un’amministrazione ed una società da questa interamente controllata”.

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

Il concetto di “in house providing” costituisce quindi un modello organizzativo utilizzato dall’ente pubblico

per la gestione diretta di servizi pubblici, ovvero per lo svolgimento esternalizzato di proprie funzioni, in deroga alle regole generali del Diritto comunitario che tutelano la libera concorrenza, anche nel caso di servizi prestati dalle Pubbliche amministrazioni.

Su questo punto la Corte di Giustizia ha sottoposto il modello “in house” alla condizione che "l’ente eserciti sulla società in house un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che questa società realizzi la parte più importante della propria attività per I'ente o gli enti pubblici che la controllano"1.

In seguito la Giurisprudenza Comunitaria si è occupata dell’argomento2 fino ad individuare, in particolare, tre presupposti che, qualora cumulativamente presenti, giustificano la sottrazione di un servizio all'ambito di operatività delle regole dell'evidenza pubblica:

1. la sussistenza della partecipazione pubblica totalitaria; 2. la circostanza che I'affidamento abbia luogo in favore

di soggetti sottoposti al "controllo analogo a quello esercitato sui servizi" dell'ente;

3. il fatto che il destinatario dell'affidamento diretto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell’amministrazione o delle amministrazioni che lo controllano.

Appare evidente che i tre presupposti sono inscindibili e che la loro compresenza consente di realizzare una forma organizzativa valida che mutua regole del Diritto civile, cui si __________________

1 Sentenza Tekal – 18/11/99 2 Sentenza 11/01/2005 n. C 26/2003 ‐ Stadt Halle, sentenza

21/07/2005 n. C 231/2003 ‐ Consorzio Azienda Metano‐Coname, sentenza 19/04/2007 n. C 295/2005 ‐ Tragsa, e altre Carbotermo, Parking Brixen.

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Approfondimenti

aggiungono sempre nuovi e più incisivi strumenti introdotti dal legislatore.

In sostanza, l’in house providing evidenzia un modello di organizzazione in cui la pubblica amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o alle risorse ad essa necessarie mediante lo svolgimento di un’attività interna. Questo modello è contrapposto al modello di outsourcing (o contracting out) in cui, invece, l’amministrazione si rivolge al privato esternalizzando l’esercizio dell’attività amministrativa ovvero la produzione ed il reperimento delle risorse necessarie al suo svolgimento.

La società in house providing Capitale Lavoro S.p.A. viene fondata nel 2002 dalla Provincia di Roma in partenariato con il Formez, con compiti di supporto nelle attività relative alla gestione dei Servizi per l’Impiego e della Formazione professionale.

Nel corso degli anni successivi l’Ente Provincia di Roma amplia gli ambiti di intervento della Società e in coerenza con le nuove norme sulle società in house a capitale interamente pubblico, acquisisce le quote detenute dal Formez, divenendone unico azionista.

Inoltre a seguito di quanto previsto dalla spending review in ambito di riordino ed efficentamento delle società partecipate, nel 2014 procede alla fusione per incorporazione3 della Società Provincia Attiva, anch’essa partecipata della Provincia di Roma. Operazione questa resa possibile dalla corretta gestione delle risorse da parte di Capitale Lavoro S.p.A.

Il processo di riordino delle società partecipate dalla Provincia di Roma termina a fine 2014 con l’assorbimento da parte di Capitale Lavoro S.p.A. dei lavoratori

__________________

3 delibera n° 6 del Commissario Straordinario alla Provincia di Roma del 17 gennaio 2014

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

precedentemente impiegati presso la ASP Scarl (Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane) attualmente in fase di liquidazione.

Dal 1 gennaio 2015 a seguito del riordino degli Enti Locali Capitale Lavoro S.p.A. è la società unipersonale della Città Metropolitana di Roma Capitale.

In ambito funzionale La Società supporta l’Amministrazione della Città Metropolitana di Roma Capitale nell’innovazione e potenziamento dei servizi offerti alla cittadinanza fornendo assistenza tecnico specialistica nei seguenti ambiti:

Lavoro (Centri per l’Impiego – Porta Futuro – Your First Eures Job)

Formazione professionale (Albo docenti CPFP – Scuola del Cinema – Scuola delle Energie4)

Nuove tecnologie (Provincia WI-FI - Progetto ALI “Alleanza Locale per l'Innovazione”)

Sociale (Scuola del Sociale) Ambiente (Banca Dati Ambientale – Efficentamento

Energetico) Formazione del personale della Città Metropolitana di

Roma Capitale

3.2 Il modello organizzativo La teoria delle strutture organizzative, si sviluppa

tendenzialmente su due modelli che sono Il modello gerarchico funzionale ed il modello a matrice.

Il primo, quello gerarchico funzionale, è caratterizzato da una struttura di tipo meccanicistico con una forte segmentazione orizzontale dei processi e delle funzioni, che lo rende poco idoneo per una Società che necessita di costante flessibilità nell’attuazione dei processi di fornitura dei servizi. __________________

4 In partenariato con ENEA

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Approfondimenti

Il secondo, modello a matrice, pur non sostituendo totalmente quello gerarchico funzionale, propone una struttura alternativa adatta a conciliare ed ottimizzare alcuni elementi che hanno, in molti casi, incrinato la competitività dei sistemi di impresa tradizionali.

Capitale Lavoro S.p.A. ha adottato la struttura a matrice, apportando alcune “varianti” in grado di renderla funzionale al core-business proprio dell’Azienda.

La struttura organizzativa di Capitale Lavoro S.p.A. a seguito delle due recenti acquisizioni (Provincia Attiva ed ASP) ha subito un processo di revisione teso all’armonizzazione dei processi produttivi provenienti da tre distinte realtà societarie.

Per raggiungere questo non facile obiettivo si è scelto di non applicare pedissequamente la struttura a matrice, ma si è adeguato il modello a quelle che sono le esigenze proprie della Società, esaltando soprattutto il principio di trasversalità dei processi che si estrinseca nella creazione di piattaforme affidate ad un leader che partendo dalla fase zero è responsabile del risultato finale. La restante struttura organizzativa è stata distribuita in co-location, nelle piattaforme o strutture di prodotto/processo che apportano le competenze specialistiche occorrenti.

La peculiarità del modello è rappresentata dalla regola della doppia relazione organizzativa in capo a molte risorse umane che sono disposte in co-location. Queste si relazionano con la struttura organizzativa madre a cui appartengono, che ha il compito di alimentare, coordinare e massimizzare il know how specialistico di cui è posta a presidio; la relazione in rapporto alla co-location con il leader della piattaforma è improntata alla massima collaborazione dalla fase zero al risultato finale dell’output, garantendo al sistema professionale il proprio contributo disciplinare (conoscenza e capacità).

Al modello a matrice si riconoscono vantaggi in termini di “time to market” per lo sviluppo prodotto/processo,

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

integrazione e bilanciamento di vincoli e di obiettivi funzionali e di specialità.

I punti di debolezza risiedono spesso nel fatto che tale struttura sviluppa un eccesso di fabbisogni non sempre sostenibili e mobilitabili nell’economia delle mansioni presenti in azienda.

Quest’ultimo è il vero gap da superare in Capitale Lavoro,

creando funzioni pluriprofessionali, attraverso percorsi di aggiornamento e formazione. Di seguito si mostra la struttura centrale della Società, che racchiude il nucleo direzionale e le funzioni di sviluppo e di produzione.

3.3. Disciplina del personale di Capitale Lavoro

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Approfondimenti

Capitale Lavoro S.p.A. vista la sua natura di società operante nel settore dei servizi applica il CCNL del Terziario della Distribuzione e dei Servizi, cui si si aggiunge il Contratto Integrativo Aziendale stipulato nel febbraio 2010 che garantisce trattamenti di miglior favore in diversi ambiti (malattia, infortunio, anticipazioni del TFR, permessi e congedi retribuiti, diritto allo studio, formazione finanziata, ecc.). 4. Agenzia regionale per il lavoro della regione Sardegna : storia e struttura

4.1. Prima del 2005

L’attuale Agenzia regionale per il lavoro nasce nel dicembre 2005, con la Legge regionale n. 20 sulle fondamenta5 di una fra le prime Agenzie per l’impiego istituite in Italia, l’Agenzia regionale del lavoro della Sardegna, costituita nel 1988.6

L’Agenzia regionale del lavoro nasce con una struttura organizzativa leggera e come istituzione di confine tra il sistema politico-amministrativo e quello economico sociale. Per questa ragione l’Agenzia non ha in origine personale proprio a tempo indeterminato, ma solo dipendenti assegnati temporaneamente dall’amministrazione regionale, consulenti o con contratti a tempo determinato.7 Inoltre, è dotata di una sorta di consiglio di amministrazione definito “Comitato del lavoro”, presieduto dall’Assessore regionale del lavoro e composto da rappresentanti delle parti sociali (i tre sindacati maggiormente rappresentativi e tre rappresentanti delle associazioni datoriali e cooperative), dal consigliere di parità

__________________

5 Legge regionale 5 dicembre 2005, articolo 15, comma 6 6 Legge regionale 24 ottobre 1988, artt. 25-44 7 Ibid., art. 43

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Agenzie pubbliche territoriali e società partecipate per il lavoro: una

questione aperta

e da tre direttori generali (il direttore dell’Agenzia, il direttore dell’Ufficio regionale del lavoro e il direttore del Centro regionale di programmazione). L’Agenzia nasceva come strumento di attuazione delle politiche del lavoro regionali, ma aperta alle “contaminazioni” derivanti dal suo status di struttura tra pubblica amministrazione e sistema privato.

La legge prevedeva anche la struttura dell’Agenzia, organizzata in quattro settori: Amministrativo contabile, Osservatorio del mercato del lavoro, Studi e ricerche e ispettivo. Dal momento che tale struttura era fissata per legge poteva essere modificato esclusivamente con norma.

Di fatto, l’Agenzia ebbe il suo core business nell’istruttoria ed erogazione degli incentivi alle imprese per l’assunzione di lavoratori8 e in quell’attività concentrò principalmente i propri sforzi. A fine 1998 questa competenza passò dall’Agenzia all’Assessorato del lavoro, inaugurando così un periodo in cui le funzioni – escluse quelle di produrre periodicamente un rapporto sul mercato del lavoro curato dall’Osservatorio – non furono chiarissime.

Nel 2001, con un cambio di direzione, l’Agenzia iniziò a lavorare per progetti, sia predisponendone di propri e diffondendoli sul territorio, come il progetto “Giovani e Lavoro”, sia sviluppando progettualità con l’utilizzo di fondi comunitari, un progetto sul programma Adapt dedicato al lavoro verde e soprattutto il progetto EDA, finanziato con l’art. 6 – azioni innovative del Fondo sociale europeo. Quest’ultimo progetto, realizzato con un’ampia collaborazione regionale (oltre all’Agenzia, soggetto capofila, l’agenzia tecnica In.Sar., le quattro province “storiche” – allora le uniche istituite – della Sardegna, i centri studi delle Università di Cagliari e Sassari, CRENoS e CSRI), che

__________________

8 Ibid., art. 7

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Approfondimenti

elaborarono anche una proposta per i nuovi servizi per l’impiego in Sardegna.

Il rilancio delle attività dell’Agenzia si scontrava con la precarietà delle risorse umane disponibili, tant’è che nel 20029 fu approvata la norma che stabilizzò il primo nucleo di dipendenti (ne seguiranno altre), alcuni dei quali prestavano servizio, di proroga in proroga, dai primi anni ‘90. Pur disponendo di personale proprio a tempo indeterminato, l’Agenzia però non poteva bandire che concorsi per contratti a termine, in ossequio della legge istitutiva.

L’Agenzia quindi promosse in quel periodo diversi progetti, iniziò le attività di orientamento, utilizzando anche strumenti di inserimento professionale come il tirocinio extracurriculare, in anticipo rispetto all’istituzione dei servizi per l’impiego e partecipò a diversi progetti a finanziamento nazionale e comunitario. Tutto questo mantenendo la stessa struttura organizzativa prevista nel 1988, ma forzando nell’organizzazione per progetto. Per far fronte alla necessità di personale (l’Agenzia poteva disporre di 33 funzionari, di cui 19 a tempo indeterminato), l’Agenzia utilizzò diversi espedienti: concorsi per l’assunzione a termine di personale già impegnato in un progetto di volontariato internazionale (con un rovesciamento di senso rispetto a come tale attività è immaginata10, personale dei Monopoli di stato transitati nel Ministero delle Finanze.

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9 Legge regionale 8 luglio 2002 n. 11, art. 3 10 Infatti, se generalmente per volontariato internazionale si intende la

partecipazione a progetti da realizzare in paesi cosiddetti “poveri”, nel caso in questione il paese “povero” che doveva beneficiare dei volontari fu la Sardegna e l’obiettivo fissato fu quello dell’animazione economica internazionale dell’economia isolana. Per questa ragione fu selezionata una dozzina di giovani laureate che frequentarono sei mesi di formazione in Sardegna e poi furono inviate per altri sei mesi nelle Camere di Commercio italiane di Lisbona, Madrid, Londra e Ginevra.

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4.2. La Legge regionale n. 20 del 2005

Il 5 dicembre 2005 il Consiglio regionale, costituito qualche mese prima, approva una nuova legge organica sulle politiche attive del lavoro e istituisce il sistema dei servizi per il lavoro, fino ad allora avviato in via sperimentale con i fondi del Fse, sul Programma operativo regionale 2000-2006.

La legge interviene sostanzialmente sull’Agenzia, trasformandola in Agenzia regionale per il lavoro, organismo tecnico della regione e modificandone la struttura: spariscono i vecchi organi, il Comitato del lavoro e l’Ufficio di presidenza del Comitato del lavori, per indicarne di nuovi, il Direttore e il Collegio dei revisori dei conti. All’Agenzia è riconosciuta personalità giuridica pubblica e autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e personale proprio.

Il personale dell’Agenzia è equiparato dal punto di vista economico e giuridico a quello dell’Amministrazione regionale (anche se solo successivamente11 sarà formalmente inserito nel comparto contrattuale regionale e gli sarà applicata la legislazione regionale in materia di personale).

L’Agenzia, pur mantenendo un pluralità di funzioni, è anche “soggetto istituzionale, attore necessario dei servizi pubblici per il lavoro”.12 In verità, non è mai stato definito in modo preciso il ruolo dell’Agenzia all’interno della governance tecnico politica del sistema pubblico dei servizi per il lavoro e quindi tra Regione e Province (chi ha competenze i materia di politiche attive e servizi per il lavoro e chi ne ha le funzioni di erogazione) e tra struttura quali l’Assessorato, i Centri servizi per il lavoro (così si chiamano in Sardegna i Centri per l’impiego) e Agenzia regionale per il

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11 Legge regionale 4 agosto 2011, n. 16 12 Legge regionale n.20/2005 cit., art. 4, comma 2

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lavoro. Questa situazione si dovette anche alla particolare condizione contrattuale degli operatori dei servizi specialistici, retribuiti per lungo tempo con fondi FSE.

In ogni caso l’Agenzia si ritaglia uno spazio sia per quanto attiene la progettazione comunitaria (l’Agenzia partecipa a numerosi progetti sia come soggetto capofila, sia come soggetto partner), sia in programmi di ampio respiro e considerevoli finanziamenti (il Programma Master and Back), sia per quanto riguarda l’utilizzo di alcuni strumenti di inserimento lavorativo, in particolare il tirocinio formativo e di orientamento. L’Agenzia inoltre facilità la mobilità territoriale dei giovani lavoratori con il centro MOVE e la cultura d’impresa con il progetto Imprendiamoci.

4.3. La situazione attuale

Oggi l’Agenzia è in una fase di grande trasformazione e dopo anni di “ambiguità” della propria missione organizzativa pare definirsi meglio quello che sarà il suo compito principale: la gestione dei servizi per il lavoro all’interno di un processo di regionalizzazione delle competenze.

La Sardegna è stata fra le prime regioni ad affrontare questo tema anche per motivi contingenti: la sistemazione di qualche centinaia di lavoratori, già impegnati nei Centri servizi per il lavoro e nei CeSIL (centri per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, in capo a comuni e unioni dei comuni) per i quali per anni si è cercata una soluzione lavorativa.

La necessità di garantire i servizi specialistici, dall’orientamento all’incontro fra domanda e offerta di lavoro, del sistema pubblico ha portato il legislatore a indicare l’Agenzia quale “datore di lavoro” di questi operatori, pur

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mantenendo immutate le sedi di servizio (a parte un’eccezione nella provincia di Sassari).13

Questo “espediente” ha costretto il legislatore a elaborare un principio che potrebbe poi essere, in embrione, quello che potrà sviluppare l’Agenzia per il lavoro futura, ovvero quella direttamente impegnata nella riorganizzazione e gestione dei Centri servizi per il lavoro sul territorio e nell’erogazione delle non poche misure che prevedono il diretto coinvolgimento dei servizi per il lavoro. Il legislatore regionale infatti prevede fra i compiti dell’Agenzia quello di collaborare per garantire l’integrazione fra servizi per il lavoro e politiche del lavoro “nel rispetto delle attribuzioni spettanti alle Province e alla Commissione regionale per i servizi e le politiche del lavoro.14 La Regione Sardegna però, attraverso un referendum, il 6 maggio 2012 ha abolito le province di nuova istituzione15, con effetto anche su quelle storiche, tant’è che oggi si sta discutendo di una legge organica di riordino delle autonomie locali in Sardegna. Mancando le province è necessario quindi individuare sia un nuovo ambito territoriale di competenza dei servizi per il lavoro (e qui il dibattito nazionale sulle criticità del livello provinciale è stato arricchito dai risultati del Programma Garanzia Giovani), sia il o i nuovi soggetti.

L’Agenzia, per raggiungere l’obiettivo di integrare servizi e politiche del lavoro può “territorializzarsi dinamicamente” presso le sedi operative dei Centri servizi per il lavoro16 e può “anche a integrazione della loro operatività”, d’intesa con le Province e in collaborazione con i CSL svolgere attività di

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13 Legge regionale 8 febbraio 2013 n. 3, art. 5 14 L.R. n. 20/2005 cit., art. 15, comma 2 15 Province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-

Tempio 16 L.R. n. 20/2005 cit., art. 15, comma 2 bis, introdotto dalla Legge

regionale 26 luglio 2013, n. 17

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competenza dei CSL17. Dal punto di vista normativo quindi la regionalizzazione dei servizi per il lavoro, anche se con alcuni limiti, di fatto è prevista: l’Agenzia infatti può svolgere con proprie strutture attività di competenza provinciale in materia di servizi per il lavoro. Naturalmente, l’esperienza insegna che senza una definizione precisa della governance sarà difficile (se non impossibile) svolgere queste funzioni con l’efficacia necessaria per gestire i nuovi servizi per il lavoro, quelli che dovranno supportare l’approccio proattivo dell’offerta di lavoro a cui sta dando grande impulso l’UE. A ben vedere, lo stesso programma Garanzia Giovani integra servizi e politiche del lavoro e introduce principi di gestione per obiettivi, tempi certi di realizzazione e “condizionalità” del beneficio. La norma regionale fissa la dotazione organica dell’Agenzia in 480 unità18, ad oggi l’Agenzia ha in carico 398 dipendenti, a cui si applica il contratto collettivo regionale del lavoro, 91 sono a tempo indeterminato e 307 sono a tempo determinato e distribuiti sul territorio, comandati presso le Province, i Comuni e le Associazioni dei comuni (lavoratori CSL, CeSIL e Agenzie di sviluppo).

Ultimo elemento, ma non irrilevante, l’Agenzia ha un’unica posizione dirigenziale, quella del direttore generale. Il resto è personale non dirigenziale. La struttura organizzativa, di fatto, è rimasta quella della L.R. n. 33/88, ovvero di due livelli, direttore generale e settori. Manca quindi il livello dipartimentale o come sono definiti nell’articolazione organizzative regionale, dei servizi.

La nuova proposta organizzativa dell’Agenzia prevede almeno quattro servizi, due di supporto e due tecnici (progetti comunitari/progettazione politiche del lavoro e Servizi per il lavoro).

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17 Ibid. Art. 15, comma 2 ter 18 Legge regionale 20 dicembre 2013 n. 38, art. 1, comma 4

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Riferimenti bibliografici Capitale Lavoro S.p.A. ORGANIZZAZIONE – MODELLO

ORGANIZZATIVO – ORGANIGRAMMA www.capitalelavoro.it

Chiantera G., Pettinato D., Il modello organizzativo dell’in house providing, in http://www.altalex.com/, 7 luglio 2007

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