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Capitolo 12 LA CALORIMETRIA In meccanica siamo giunti alla conclusione che se la somma delle forze e quella dei momenti delle forze agenti su un sistema sono nulle, il sistema stesso ` e in equilibrio. E’ esperienza quotidiana, per` o, che ci` o non ` e del tutto vero. Consideriamo, ad esempio, una pentola d’acqua posta sopra un fuoco. Pur se le somme delle forze e dei momenti delle forze sono nulle, il sistema non ` e in equilibrio: dopo qualche tempo si osservano dei movimenti macroscopici all’interno dell’acqua ed, attendendo ancora, osserviamo addirittura la progressiva scomparsa dell’acqua. Il sistema evidentemente non ` e in equilibrio. Questo esempio mostra che, in aggiunta alla parola equilibrio, va posta una specifica. In particolare quello mostrato in meccanica viene detto equilibrio meccanico ma esistono altri tipi di equilibrio. Affinch´ e un sistema possa dirsi in equilibrio complessivo occorre che tutti i tipi di equilibrio si verifichino contemporaneamente. Ritorniamo ora al nostro esempio della pentola d’acqua sul fuoco. Se il sistema ` e in equilibrio meccanico ma non in equilibrio complessivo vuol dire che sul sistema agisce qualche nuovo ente fisico, non riscontrabile in meccanica. Per comprendere quale sia questo ente fisico possiamo iniziare con l’usare i nostri sensi. In parti- colare, se immergiamo in vari istanti una mano nell’acqua, ci accorgiamo di provare una sensazione diversa nei diversi istanti. Per dirla col linguaggio comune, pi` u tempo l’acqua ` e sul fuoco, pi` u la sensazione che si prova ` e quella di caldo. Poich´ e questa ` e l’unica modifica che possiamo osservare nell’acqua, ` e ad essa che dobbiamo collegare il nuovo ente fisico che chiameremo temperatura. Per il momento non definiremo in maniera pi` u precisa questa nuova grandezza ma la associeremo soltanto alla sensazione di caldo che si prova. Con questo nuovo concetto, possiamo ora definire l’equilibrio termico. Diremo che: Due sistemi sono in equilibrio termico se, tra di loro, hanno la stessa temperatura. Definiamo ora il cosiddetto: Principio zero della termodinamica: Se due corpi A e B sono, separatamente, entrambi in equi librio termico con un corpo C, allora essi sono in equilibrio termico anche tra di loro. 12.1 La dilatazione dei corpi. Un’esperienza abbastanza comune ` e che, prese due sbarre di ugual materiale e lunghezza, se riscaldiamo una sola sbarra, essa risulter` a avere una lunghezza diversa dall’altra; ovvero, possiamo dire che una sbarra varia la sua lunghezza col variare della sua temperatura. Allo stato attuale non abbiamo ancora ben definito lo strumento per la misura delle temperatura e quindi iniziare a dare informazioni quantitative sulla dilatazione non ` e possibile. Pur tuttavia l’esperienza ci mostra che la lunghezza della sbarra ` e funzione della temperatura: l = f (T ) (12.1) Possiamo ora ricordare che, qualunque sia la funzione, ` e sempre possibile approssimare la fun- zione stessa con una retta (la sua tangente); ` e chiaro che se la funzione cambia in maniera regolare 275

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Capitolo 12

LA CALORIMETRIA

In meccanica siamo giunti alla conclusione che se la somma delle forze e quella dei momenti delle forzeagenti su un sistema sono nulle, il sistema stesso e in equilibrio. E’ esperienza quotidiana, pero, checio non e del tutto vero.

Consideriamo, ad esempio, una pentola d’acqua posta sopra un fuoco. Pur se le somme delle forzee dei momenti delle forze sono nulle, il sistema non e in equilibrio: dopo qualche tempo si osservanodei movimenti macroscopici all’interno dell’acqua ed, attendendo ancora, osserviamo addirittura laprogressiva scomparsa dell’acqua. Il sistema evidentemente non e in equilibrio.

Questo esempio mostra che, in aggiunta alla parola equilibrio, va posta una specifica. In particolarequello mostrato in meccanica viene detto equilibrio meccanico ma esistono altri tipi di equilibrio.Affinche un sistema possa dirsi in equilibrio complessivo occorre che tutti i tipi di equilibrio si verifichinocontemporaneamente.

Ritorniamo ora al nostro esempio della pentola d’acqua sul fuoco. Se il sistema e in equilibriomeccanico ma non in equilibrio complessivo vuol dire che sul sistema agisce qualche nuovo ente fisico,non riscontrabile in meccanica.

Per comprendere quale sia questo ente fisico possiamo iniziare con l’usare i nostri sensi. In parti-colare, se immergiamo in vari istanti una mano nell’acqua, ci accorgiamo di provare una sensazionediversa nei diversi istanti. Per dirla col linguaggio comune, piu tempo l’acqua e sul fuoco, piu lasensazione che si prova e quella di caldo. Poiche questa e l’unica modifica che possiamo osservarenell’acqua, e ad essa che dobbiamo collegare il nuovo ente fisico che chiameremo temperatura.

Per il momento non definiremo in maniera piu precisa questa nuova grandezza ma la associeremosoltanto alla sensazione di caldo che si prova.

Con questo nuovo concetto, possiamo ora definire l’equilibrio termico. Diremo che:Due sistemi sono in equilibrio termico se, tra di loro, hanno la stessa temperatura.Definiamo ora il cosiddetto:Principio zero della termodinamica: Se due corpi A e B sono, separatamente, entrambi in

equi librio termico con un corpo C, allora essi sono in equilibrio termico anche tra di loro.

12.1 La dilatazione dei corpi.

Un’esperienza abbastanza comune e che, prese due sbarre di ugual materiale e lunghezza, se riscaldiamouna sola sbarra, essa risultera avere una lunghezza diversa dall’altra; ovvero, possiamo dire che unasbarra varia la sua lunghezza col variare della sua temperatura.

Allo stato attuale non abbiamo ancora ben definito lo strumento per la misura delle temperaturae quindi iniziare a dare informazioni quantitative sulla dilatazione non e possibile. Pur tuttavial’esperienza ci mostra che la lunghezza della sbarra e funzione della temperatura:

l = f(T ) (12.1)

Possiamo ora ricordare che, qualunque sia la funzione, e sempre possibile approssimare la fun-zione stessa con una retta (la sua tangente); e chiaro che se la funzione cambia in maniera regolare

275

276 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

L

T

Figura 12.1: La lunghezza di un oggetto varia con la temperatura. In qualunque regione l’andamentopuo essere approssimato con una retta.

l’approssimazione sara abbastanza buona per una grande escursione della temperatura mentre se lafunzionalita e piu complessa l’approssimazione e corretta solo per piccoli intervalli di variazione dellatemperatura (vedi Fig. 12.1).

L’esperienza comune ci mostra anche che, se consideriamo solo salti di temperatura non mol-to grandi, l’allungamento della sbarra e legato in maniera molto semplice alla variazione della suatemperatura. Infatti detta lo la lunghezza della sbarra alla temperatura to ed l quella relativa allatemperatura t, risulta che:

l = lo [1 + α (t − to)] (12.2)

dove α e un coefficiente dipendente dal particolare materiale adoperato ed e detto coefficiente di

dilatazione lineare. Valori tipici per alcuni materiali sono riportati in Tabella 12.1.

Questa relazione permette di costruire un primo strumento in grado di dare una quantificazionechiara ed univoca alla temperatura.

Consideriamo infatti un tubo di vetro (materiale con basso coefficiente di dilatazione lineare)riempito di mercurio, o di altro liquido (materiali ad elevato coefficiente di dilatazione).

A diverse temperature le colonne di liquido e di vetro subiranno allungamenti diversi e quindivedremo il liquido salire all’interno del tubo di vetro, quando la temperatura del sistema aumenta.

Data la linearita della relazione che fornisce la dilatazione lineare in funzione del salto di tempera-tura, avremo che ad un salto doppio di temperatura corrisponde una dilatazione doppia. Ne consegueche basta prendere due punti di riferimento qualsiasi e si ottiene una scala termometrica completa.

Le due scale termometriche piu adoperate oggi sono la scala Celsius detta anche scala centigrada

e la scala Fahrenheit.

La prima, adoperata in quasi tutto il mondo, utilizza come punti di riferimento due temperatureabbastanza semplici da riprodurre, e cioe la temperatura di una miscela di acqua allo stato liquidoe ghiaccio (alla pressione atmosferica) che viene detta temperatura di 0 ◦C , e la temperatura di unamiscela di acqua allo stato liquido e vapore acqueo (sempre alla pressione atmosferica) che vienedetta temperatura di 100 ◦C . Le temperature intermedie vengono ottenute per semplice ripartizionedell’intervallo in 100 parti uguali.

La scala Fahrenheit viene adoperata soltanto nei paesi anglosassoni (Gran Bretagna ed U.S.A.) edha due punti di riferimento diversi. Come punto di 0 ◦F si prende la temperatura corrispondente alcongelamento di una miscela di acqua, sale ed ammoniaca (alla pressione atmosferica) mentre il puntodi 100 ◦F e preso in corrispondenza della temperatura del sangue di una persona sana.

Poiche entrambe le scale misurano, anche se con valori numerici differenti, la stessa grandezza

12.1. LA DILATAZIONE DEI CORPI. 277

Materiale α(

◦C−1)

Acciaio 12.0 · 10−6

Alluminio 24.0 · 10−6

Argento 20.0 · 10−6

Bachelite 29.0 · 10−6

Bronzo 18.0 · 10−6

Ghisa 10.0 · 10−6

Invar 1.5 · 10−6

Nichel 12.0 · 10−6

Oro 14.0 · 10−6

Piombo 29.0 · 10−6

Platino 9.0 · 10−6

Porcellana 3.0 · 10−6

Rame 12.0 · 10−6

Stagno 26.0 · 10−6

Vetro 5.0 · 10−6

Tabella 12.1: Coefficiente di dilatazione lineare di alcuni solidi

0 °C 32 °F

100 °C 212 °F

-18 °C 0 °F

Figura 12.2: Confronto tra scala Celsius e scala Fahrenheit.

278 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Materiale β(

◦C−1)

Acido solforico 5.5 · 10−4

Alcool etilico 11.0 · 10−4

Benzolo 12.1 · 10−4

Etere etilico 16.0 · 10−4

Glicerina 5.0 · 10−4

Mercurio 18.1 · 10−4

Olio d’oliva 72 · 10−4

Petrolio 100 · 10−4

Aria 36.7 · 10−4

Tabella 12.2: Coefficiente di dilatazione cubica di alcuni fluidi

fisica, deve esistere una relazione che faccia passare da una scala all’altra. Sperimentalmente si e vistoche la temperatura di 0 ◦C corrisponde a 32 ◦F mentre i 100 ◦C corrispondono a 212 ◦F. Si ottienequindi la seguente legge di conversione da gradi centigradi a gradi Fahrenheit:

t( ◦F) = 32 +9

5t( ◦C) (12.3)

ed all’inverso:

t( ◦C) =5

9[t( ◦F) − 32] (12.4)

12.2 La dilatazione cubica.

Consideriamo ora un corpo qualsiasi, di forma cubica. Per quanto detto precedentemente, un riscal-damento del corpo produce una variazione di lunghezza di ognuno dei suoi spigoli e quindi varieraanche il suo volume, mantenendo costante la pressione.

Detto Vo il suo volume relativo alla temperatura to, corrispondente allo spigolo lo, e detto V ilvolume alla temperatura t, cui corrisponde lo spigolo l, possiamo scrivere:

V = l3 = {lo [1 + α (t − to)]}3 = l3o [1 + α (t − to)]

3 (12.5)

Sviluppando il cubo e trascurando, perche molto piccole, le potenze di superiori alla prima, siottiene:

V = l3o [1 + 3α (t − to)] = Vo [1 + β (t − to)] (12.6)

ove con

β = 3α (12.7)

abbiamo indicato il coefficiente di dilatazione cubica del corpo. 12.2Possiamo notare che il coefficiente di dilatazione dei solidi e molto piu piccolo di quello ei liquidi

e questo cosnente la costruzione dei termometri a mercurio (o ad alcool).

Come possiamo infatti vedere in Fig. 12.3, all’aumentare della temperatura si dilata sia il recipienteche il fluido ma la maggiore dilatazione di questo fa sı che la tacca disegnata sul solido, corrispondenteal livello superiore del fluido, cambi.

Questo risultato e ben verificato sperimentalmente per tutti i materiali. Analizzando vari tipidi materiali si osserva che il coefficiente di dilatazione cubica e sempre crescente man mano che dai

12.3. LA TEMPERATURA ASSOLUTA. 279

Figura 12.3: All’aumentare della temperatura si dilata sia il solido che il fluido ma questo si dilata dipiu

solidi si passa ai liquidi e da questi agli aereiformi. In particolare, per questi ultimi si verifica unacaratteristica fondamentale della materia: se si prendono gas di qualsiasi natura, purche lontani dalpunto di liquefazione, il coefficiente di dilatazione cubico risulta uguale per tutti i materiali ed e datoda:

γ =1

273.15◦C−1 (12.8)

12.3 La temperatura assoluta.

Il fatto che il coefficiente di dilatazione cubica dei gas sia indipendente dal tipo di gas indica che essoesprime una qualche proprieta fondamentale, e quindi assoluta, della materia.

Possiamo utilizzare questa proprieta per definire una nuova scala termometrica che indicheremoappunto col nome di scala termometrica assoluta, mentre le temperature indicate tramite questa scalaprenderanno il nome di temperature assolute.

Per definire questa scala riprendiamo la formula che esprime la dilatazione cubica dei gas, sosti-tuendo in essa il valore numerico trovato per il coefficiente di dilatazione cubica:

V (t) = V (to)

[

1 +(t − to)

273.15

]

= V (to)

[

273.15 + (t − to)

273.15

]

(12.9)

Definiamo ora una nuova temperatura per mezzo della relazione :

T = 273.15 + t (12.10)

Utilizzando la nuova temperatura, cosı definita, risulta allora:

V (t) = V (to)

[

(273.15 + t) − to273.15

]

(12.11)

Se ora, come temperatura iniziale to, prendiamo il punto di zero della scala centigrada avremo che,nella nuova scala, la temperatura iniziale sara:

To = 273.15 + to = 273.15 (12.12)

e quindi il volume sara dato da:

V (T ) = V (To)

[

T

To

]

(12.13)

280 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

0 °C 273 K

100 °C 373 K

-273 °C 0 K

Figura 12.4: Corrispondenza tra scala Celsius e scala Kelvin

ovvero:V (T )

T=

V (To)

To

(12.14)

secondo la quale il rapporto tra il volume e la temperatura assoluta e una costante, se la pressioneviene mantenuta costante.

Tale relazione e vera qualunque sia il gas, purche lontano dal punto di liquefazione.Se ora, sempre per un gas lontano dal punto di liquefazione, variamo la temperatura tenendo

costante il volume ma permettendo alla pressione di variare, vediamo che risulta:

p(t) = p(to)

[

1 +(t − to)

273.15

]

= p(to)

[

273.15 + (t − to)

273.15

]

(12.15)

ove p(t) e p(to) sono le pressioni del gas alle temperature t e to rispettivamente.Ripetendo il procedimento analitico seguito per i volumi, otteniamo:

P (T )

T=

P (To)

To(12.16)

La temperatura assoluta che abbiamo ora definito presenta una caratteristica abbastanza peculiare:non ha senso parlare di temperature assolute negative perche in tal caso avremmo lo assurdo di ungas che occupa un volume negativo od e soggetto ad una pressione negativa.

Lo zero della temperatura assoluto, o piu brevemente lo zero assoluto, risulta trovarsi ad unatemperatura:

t = −273.15 ◦C (12.17)

La scala delle temperature assolute, come da noi definita, ha allora la caratteristica di avere unpunto di zero slittato, rispetto al punto di zero della scala Celsius, ed una ampiezza di grado ugualea quella della scala Celsius. La scala termometrica cosı definita prende il nome di scala Kelvin e launita di misura della temperatura viene detta Kelvin, essendo indicata col simbolo K.

A partire dalla scala Fahrenheit e possibile definire una altra scala assoluta, detta scala Rankine,che ha lo stesso punto di zero della scala Kelvin ma ha un’ampiezza di grado pari a quello della scalaFahrenheit.

E’ opportuno ricordare che, in fisica, ha senso solo la scala assoluta delle temperature poicheogni altra scala e definita grazie ad una scelta arbitraria del punto di zero, scelta che prescinde dalleproprieta della materia.

Nel seguito, se non altrimenti specificato, intenderemo sempre che le temperature sono temperatureassolute e per ricordare cio utilizzeremo, ad indicare le temperature, il simbolo T . Solo quando e

12.4. L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI. 281

0.5

0.5 1.0 1.5 2.0 2.5

1.0

1.5

2.0

P

P V / n R

Figura 12.5: Andamento del rapporto PV/nT in funzione della pressione, per vari gas

possibile adoperare anche una scala di temperature non assolute, ovvero quando occorre utilizzaresalti termici, utilizzeremo il simbolo t ad indicare il possibile utilizzo delle scale Celsius o Fahrenheit.

12.4 L’equazione di stato dei gas perfetti.

Le due relazioni ottenute nel paragrafo precedente mostrano che sia la pressione che il volume diun gas, se sufficientemente rarefatto, soddisfano a relazioni semplici, indipendenti dal particolare gasanalizzato. Questo ci porta a ritenere che un gas sufficientemente rarefatto sia un sistema abbastanzasemplice da analizzare.

Un gas siffatto viene detto gas perfetto e, dal punto di vista matematico, puo essere schematizzatocome un insieme di moltissime particelle, ognuna delle quali e rappresentabile da un punto materiale,senza alcuna interazione reciproca.

Per un gas del genere vale la legge di Boyle:

P V = Po Vo (12.18)

per una qualunque trasformazione a temperatura costante.

Se si associa questa legge con le due relazioni ottenute nel precedente paragrafo, sempre per i gasrarefatti, si ottiene:

P V = n R T (12.19)

ove n e il numero di moli costituenti il gas ed R e la costante dei gas, con valore numerico dato da:

R = 8.314J

mole K= 0.0821

lt atm

mole K= 1.985

cal

mole K(12.20)

Questa equazione viene detta equazione di stato dei gas perfetti.

L’accuratezza di questa equazione puo essere dimostrata tracciando un grafico in cui, per diversigas, si rappresenta il rapporto P V / n T in funzione della pressione.

Si puo osservare come, quando la pressione tende verso lo zero, per tutti i gas il valore del rapportotende ad uno stesso valore.

L’equazione di stato dei gas perfetti puo essere ottenuta analiticamente, a partire da un insiemedi moltissime particelle non dotate di volume proprio e senza interazioni reciproche. In tal caso,utilizzando le leggi della meccanica classica, si dimostra che il prodotto della pressione esercitata dal

282 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

gas sulle pareti del recipiente e del volume del recipiente stesso dipende solo dalla temperatura; ladimostrazione di cio verra mostrata in un successivo paragrafo

.

12.5 L’equazione di Van der Waals.

Nel paragrafo precedente abbiamo visto quale relazione esiste tra la pressione che il gas esercita sullepareti del recipiente che lo contiene, il volume del recipiente stesso e la temperatura del gas. Questarelazione, nel caso di un gas rarefatto, appare molto semplice.

Diverso e il discorso quando non vogliamo piu trattare un gas ideale ma un gas reale, quindi nonrarefatto.

In tal caso occorre tener conto che non abbiamo piu a che fare con un sistema di particelle ognunadelle quali non ha alcuna interazione con le altre. Ne consegue che la pressione “sentita“ da ognisingola particella non sara eguale a quella esercitata sulle pareti del recipiente (ovvero quella misurataall’esterno) ma sara data dalla somma di questa e di un altro termine esprimente le interazioni tra lediverse particelle.

D’altra parte, il volume a disposizione di ogni singola particella non sara piu il volume dell’interorecipiente perche a questo occorre sottrarre il volume occupato dalle particelle stesse.

Possiamo quindi costruire un’equazione di stato per i gas reali a partire dall’equazione dei gasperfetti. Procediamo quindi col ricordare l’equazione di stato dei gas perfetti:

P V = n R T (12.21)

ove P e la pressione misurata all’esterno e che eguaglia quella esercitata su ogni particella del gas, Ve il volume del recipiente ed e uguale al volume a disposizione di ogni singola particella. Per quantodetto precedentemente, per ottenere l’equazione relativa ad un gas reale occorrera proprio modificarequeste due quantita.

Iniziamo col modificare questa equazione sostituendo al volume V il volume specifico v, definitocome

v =V

n(12.22)

ovvero

P v = R T (12.23)

Indichiamo pertanto con b un termine, detto covolume, rappresentante il volume occupato fisi-camente dalle particelle del gas. In tal caso il volume realmente a disposizione delle particelle di gase:

v − b (12.24)

dove il parametro b dipende dallo specifico gas.

D’altra parte occorre sommare alla pressione esterna un termine esprimente le interazioni tra lesingole particelle. Per ogni singola particella tale interazione sara direttamente proporzionale allaprobabilita di interazione e quindi sara direttamente proporzionale alla densita di particelle, ovverosara inversamente proporzionale al volume specifico v. Se poi si ricorda che l’interazione complessivae data dalla somma delle singole interazioni su ogni particella, si vede che l’interazione totale contie-ne un altro termine 1/v per tener conto della somma delle interazioni. In conclusione l’interazionecomplessiva e inversamente proporzionale a V 2 e quindi scriveremo che la pressione esercitata sulleparticelle e:

P +a

v2(12.25)

dove P e la pressione esercitata sulle pareti del recipiente ed a e un parametro dipendente dallospecifico gas.

12.6. LE ISOTERME DI UN GAS REALE. 283

Pc

v

P

vc

T= costante

Tc

Figura 12.6: Le isoterme di Van der Waals

Con le posizioni cui siamo giunti, l’equazione di stato diviene:(

P +a

v2

)

(v − b) = r T (12.26)

Questa equazione viene detta equazione di Van der Waals dal nome del primo scienziato chela ha ricavata analiticamente.

E’ da notare che tale equazione, per valori elevati della temperatura, ovvero per bassi valori dellapressione od anche per alti valori del volume, si riconduce all’equazione di stato dei gas perfetti, adimostrazione che un gas reale, purche rarefatto, corrisponde ad un gas ideale.

12.6 Le isoterme di un gas reale.

E’ possibile esprimere graficamente l’equazione di Van der Waals, sfruttando un sistema di assi car-tesiani ortogonali sul cui asse delle ascisse sia indicato il volume V e sul cui asse delle ordinate siaindicata la pressione P . In tal modo si individua, per la porzione di piano relativa a V > 0 e P > 0,il cosidetto piano di Clapeyron.

Su tale piano rappresentiamo ora i valori della pressione e del volume, relativamente a valoricostanti della temperatura. Si ottengono cosı delle curve che vengono dette isoterme.

Rappresentiamo ora l’equazione scritta precedentemente. Nella Fig. 12.6 sono rappresentate alcuneisoterme come ricavate dall’equazione di Van der Waals. La curva piu in alto e quella relativa allatemepratura maggiore mentre le curve sottostanti sono relative a temperature sempre piu basse.

Possiamo notare che per alte temperature l’isoterma e molto regolare, tanto da non essere pratica-mente distinguibile da una parabola equilatera. Al diminuire della temperatura iniziano a compariredelle deformazioni nella curva, delle zone nelle quali la curvatura cambia segno (in matematica ven-gono detti flessi). La tangente a questi flessi e inizialmente inclinata ma tende a divenirlo sempremeno sino a divenire orizzontale per una particolare isoterma, in corrispondenza di uno stato del gascaratterizzato da tre valori di pressione, volume e temperatura detti critici.

Per temperature ancora inferiori le isoterme assumono un andamento sempre piu deformato, tantoche ad uno stesso valore del volume corrispondono piu valori della pressione.

Per ognuna delle isoterme possiamo individuare, come si osserva in Fig. 12.7, un valore dellapressione tale che l’area racchiusa al di sopra della curva e quella racchiusa al di sotto (aree in grigionella figura) sono uguali.

Ripetendo questa operazione per ognuna delle isoterme inferiori a quella critica otteniamo unazona caratteristica del grafico, indicata in grigio nella Fig. 12.8.

284 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Pc

v

P

vc

Figura 12.7: Isoterme di Van der Waals: caratteristiche di una isoterma inferiore a quell critica

Pc

v

P

vc

T= costante

Tc

Figura 12.8: Isoterme di Van der Waals: zona caratteristica

12.7. LA TEORIA CINETICA DEI GAS. 285

Pc

v

P

vc

T= costante

Tc

Figura 12.9: Le isoterme di un gas reale

Consideriamo ora un gas reale ed andiamo a misurare le isoterme di questo gas, mostrate nellaFig. 12.9

Possiamo osservare che le isoterme di un gas reale coincidono con quelle previste dall’equazione diVan der Waals ad esclusione della zona indicata in grigio nella curva: le isoterme reali in questa zonasono anche isobare mentre quelle previste da Van der Waals sono curve.

Osservando lo stato fisico della sostanza reale possiamo suddividere il piano di Clapeyron in trezone. Nella zona piu scura, a sinistra sia della isoterma critica che della curva a campana la sostanzasi presenta in fase liquida. Nella zona di colore intermedio, a destra dell’isoterma critica o della curvaa campana, la sostanza si presenta in forma gassosa mentre nella zona di colore piu chiaro, all’internodella curva a campana, la sostanza si presenta in forma bifasica: sono presenti contemporaneamentesia la forma gassosa che quella liquida.

Accade allora che sinche non sono presenti due fasi le isoterme del gas reale coincidono con quel-le previste teoricamente dall’equazione di Van der Waals; laddove, invece, sono presenti due fasicontemporaneamente la corrispondenza non esiste piu.

Il motivo di questa discordanza tra previsione e realta sperimentale sta nel fatto che durante questafase si ha il passaggio da liquido a vapore e viceversa; si hanno cioe fenomeni di modifica dello statodi aggregazione della materia, fenomeni che non sono assolutamente previsti dalla teoria di Van derWaals e che quindi non possono essere tenuti in conto nella equazione che da lui prende nome.

La correttezza di tale spiegazione e dimostrabile osservando che, se si varia molto lentamente lapressione di una sostanza estremamente pura, si osserva sperimentalmente il comportamento teoricoanche se solo per un breve tratto, durante il quale non si ha cambio di fase, ed oltre il quale si ha unimprovviso ritorno alle curve sperimentali tradizionali, con corrispondente cambio di fase.

Le curve rappresentanti le isoterme di un gas reale sono dette isoterme di Andrews.

12.7 La teoria cinetica dei gas.

In questo paragrafo daremo un piccolo esempio di applicazione della meccanica statistica, per mostrarecome sia possibile ricavare analiticamente l’equazione di stato dei gas perfetti.

A tale scopo consideriamo un sistema costituito da N particelle tutte uguali tra di loro e quindiindistinguibili, prive di dimensione e prive di interazioni reciproche. Ognuna di queste particelle simuove con una velocita v, avente modulo, direzione e verso casuali.

286 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Pc

v

P

vc

T= costante

Tc

Figura 12.10: Isoterme dei gas reali

Dalla statistica e possibile ricavare allora che il numero di particelle aventi una velocita compresatra v e v + dv e dato da:

dN = 4

(

3 m

K T

)3

2

em v

2

2 K T v2 dv (12.27)

ove m e la massa di ognuna di queste particelle e K e un coefficiente detto coefficiente di Boltzman

ed e numericamente dato dal rapporto tra la costante dei gas R ed il numero di Avogadro.Questa funzione di distribuzione e detta funzione di distribuzione delle velocita di Maxwell

ed ha un andamento, in funzione della velocita, come indicato nella Fig. 12.11.Si puo osservare che la curva non e simmetrica rispetto ad alcun valore per cui possiamo individuare

tre distinti valori medi, caratteristici della distribuzione, e cioe la velocita piu probabile, la velocita

media e la velocita quadratica media.La moda o velocita piu probabile e definita come quel valore di velocita corrispondente al

maggior numero di particelle che la posseggono e quindi corriponde al punto di massimo della curvadi distribuzione. Dall’espressione analitica della distribuzione si ricava che:

v2Mp =

2 K T

m(12.28)

La velocita media e invece definita come quel valore di velocita che si ottiene sommando tuttii moduli delle velocita delle singole particelle e dividendo tale somma per il numero di particelle.Risulta:

〈v〉2 =8 K T

3 m=

4

3v2Mp (12.29)

Infine la velocita quadratica media e definita come la radice quadrata della somma dei quadratidelle velocita delle singole particelle, divisa per il numero di particelle. Si ha:

v2⟩

=3 K T

m=

3

2v2Mp (12.30)

Dalle relazioni sui tre valori di velocita ora definiti risulta:

v2Mp < 〈v〉2 <

v2⟩

(12.31)

Consideriamo ora lo stesso gas contenuto all’interno di un recipiente che, per semplicita, suppor-remo di forma cubica, con spigolo pari ad a, e con gli spigoli orientati lungo i tre assi di un sistema diassi cartesiani ortogonali.

12.7. LA TEORIA CINETICA DEI GAS. 287

v

f(v)vMP

<v>2

<v >2

Figura 12.11: Distribuzione di Boltzman: distribuzione delle velocita di un sistema fatto da particelletutte eguali

Durante il moto una qualsiasi particella andra ad urtare contro le pareti e rimbalzera. Se l’urtoe elastico, come supporremo, l’effetto dell’urto sara semplicemente quello di invertire la componentedella velocita perpendicolare alla parete. Ad esempio se la parete in questione giace sul piano xy e laparticella ha una velocita iniziale data da:

~vi = (vx , vy , vz) (12.32)

dopo l’urto la velocita sara:

~vf = (−vx , vy , vz) (12.33)

e quindi la particella avra ceduto alla parete una quantita di moto data da:

d~p = (−2 m vx , 0 , 0) (12.34)

D’altra parte il tempo necessario affinche una stessa particella colpisca una parete, continui il suoviaggio e poi ritorni a colpire la parete e dato semplicemente da:

dt =2 a

vx(12.35)

e quindi la forza trasferita dalla particella alla parete e:

~F =d~p

dt= (

m v2x

a, 0 , 0) (12.36)

Se ora dividiamo questa forza per l’area della parete otteniamo la pressione esercitata sulla parete:

P =

~F∣

a2=

m v2x

a3=

m v2x

V(12.37)

dove V e il volume del recipiente.

Per ottenere la pressione esercitata da tutte le molecole del gas, occorre moltiplicare tale termineper il numero totale di molecole del gas, mediando su tutte le possibili velocita. Abbiamo pertanto:

p = Nm

v2x

V= n NA

m⟨

v2x

V(12.38)

288 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

dove n e il numero di moli ed NA e il numero di Avogadro.Tenendo presente che la distinzione lungo i tre assi cartesiani e puramente arbitraria e non riveste

un carattere generale dobbiamo ritenere che, in media, le velocita lungo i tre assi siano uguali tra diloro, ovvero che:

v2⟩

=⟨

v2x

+⟨

v2y

+⟨

v2z

= 3⟨

v2x

(12.39)

e quindi possiamo scrivere:

p = n NAm

v2x

V= n NA

m⟨

v2⟩

3 V(12.40)

Ricordiamo ora che, dalla distribuzione di Maxwell, si ricava la formula per la velocita quadraticamedia in funzione della temperatura:

v2⟩

=3 K T

m(12.41)

e quindi si ottiene:

p = n NAm

3 V

v2⟩

= n NAm

3 V

3 K T

m= n NA K

T

V= n R

T

V(12.42)

ovvero anche:p V = n R T (12.43)

che e appunto l’equazione di stato dei gas perfetti che volevamo ottenere.Prima di concludere notiamo che l’energia cinetica di una molecola e:

Ei =1

2m v2 (12.44)

e quindi l’energia cinetica totale del gas e:

E =1

2n NA m

v2⟩

=3

2n NA K T =

3

2n R T (12.45)

che quindi mostra la relazione che esiste tra temperatura ed energia cinetica in un gas costituito daparticelle che si muovono di moto traslatorio.

Nel caso in cui le particelle del sistema possano muoversi anche di moto rotatorio dovremo conside-rare anche i termini di energia cinetica dovuti ai moti rotazionali. A tale riguardo possiamo enunciareun principio molto importante in meccanica statistica e cioe il principio di equipartizione dell’energiasecondo il quale ad ogni grado di liberta delle particelle corrisponde una quantita di energia cinetica,uguale per ogni grado. Si ottiene quindi che per un gas costituito da particelle libere, per il quale ilnumero di gradi di liberta e 3, l’energia cinetica totale e:

E = 3

(

1

2n R T

)

(12.46)

mentre nel caso di un sistema dotato di 5 gradi di liberta la energia sara:

E = 5

(

1

2n R T

)

(12.47)

12.8 Calore e calore specifico.

Se poniamo in contatto due corpi A e B, a temperature t1 e t2 rispettivamente, con t1 > t2, osserviamoche inizialmente i due corpi non sono in equilibrio termico ma col passare del tempo il loro stato evolvein modo che il corpo A si raffredda portandosi ad una temperatura t mentre il corpo B si riscalda sinoa raggiungere la stessa temperatura.

Possiamo quindi dire che i due corpi si scambiano un qualcosa che riguarda le loro temperature eche li porta a variare lo stato sinche le due temperature divengono uguali e quindi cessa lo scambio diinformazioni tra i due corpi.

12.8. CALORE E CALORE SPECIFICO. 289

Per poter quantificare questa informazione occorre tener presente che essa deve rappresentare unqualcosa che contiene in se sia le temperature iniziali che la temperatura finale; d’altra parte essa devecontenere un coefficiente rappresentante i corpi adoperati per l’esperimento.

Possiamo quindi scrivere che:t1 − t = K (t − t2) (12.48)

La correttezza di questa equazione puo dimostrarsi sperimentalmente adoperando due corpi eponendoli a contatto dopo averli posti a differenti temperature.

Consideriamo ora tre corpi. Perimentalmente possiamo osservare che valgono le relazioni

corpi A e B : t1 − t = KAB (t − t2)

corpi A e C : t1 − t = KAC (t − t2)

corpi B e C : t1 − t = KBC (t − t2)

con

KBC =KAB

KAC

Risulta allora che il coefficiente K e in realta costituito dal rapporto tra due termini, ognuno deiquali dipende da uno solo dei due corpi, ovvero

corpi A e B : CA (t1 − t) = CB (t − t2)

corpi A e C : CA (t1 − t) = CC (t − t2)

corpi B e C : CB (t1 − t) = CC (t − t2)

Possiamo in conclusione dire che presi due corpi A e B, inizialmente a temperature differenti, essisi metterenno in equilibrio termico ad una temperatura intermedia tale che

CA (tA − t) = CB (t − tB) (12.49)

Il coefficiente C prende il nome di capacita termica del corpo mentre la quantita:

Q = CA (tin − tfin) (12.50)

viene detta calore ceduto dal corpo A nel passare dalla temperatura tin a tfin.Il fenomeno citato all’inizio del paragrafo puo allora essere descritto affermando che un corpo cede

una quantita di calore, e quindi si raffredda, mentre l’altro corpo acquista questa quantita di calore equindi si riscalda.

Occorre citare una particolarita del calore. Come vedremo in seguito, il calore non e una grandezzafisica che possa essere definita in se, come ad esempio l’energia di un corpo, ma se ne puo parlare solodurante un processo di trasferimento di energia.

In altre parole possiamo dire che durante un processo due corpi si scambiano calore ma nonpossiamo mai dire che un corpo possiede una quantita di calore. Vedremo successivamente che cioe dovuto al fatto che il calore non e una forma di energia ma piuttosto un modo col quale si puotrasferire l’energia, come il lavoro.

Ritorniamo ora alla capacita termica di un corpo. Sperimentalmentee possibile mostrare che essadipende linearmente dalla massa del corpo stesso. Possiamo cioe scrivere:

C = m c (12.51)

dove con c si e indicato il calore specifico della sostanza.In definitiva il calore ceduto da un corpo, di massa m e calore specifico c, durante un processo nel

quale il corpo passa da una temperatura t1 ad una temperatura t2, e dato da:

Q = m c (t1 − t2) (12.52)

290 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Molecola cv cp

Monoatomici 2. 97 4. 95

Biatomici 4. 95 6. 93

Vibrazionali > 5. 94 > 7. 92

Tabella 12.3: I calori specifici dei gas

Per quanto riguarda il calore specifico ricordiamo che vale la legge di Dulong e Petit, secondola quale per tutti i solidi il calore specifico e, ad alta temperatura, dato da:

c = 6cal

gr − atomo◦C(12.53)

Il calore viene normalmente espresso in caloria, definita come la quantita di calore necessaria perportare un grammo di acqua, alla pressione di 1 atmosfera, dalla temperatura di 13.5◦C sino a 14.5◦C.

Per la definizione stessa di caloria si ha che il calore specifico dell’acqua e pari a

cH2O = 1cal

g ◦C. (12.54)

Risulta che tale calore specifico e uno dei piu alti calori specifici tra le diverse sostanze esistenti innatura.

A dimostrazione di quanto gia detto precedentemente, il calore specifico, essendo definito comeil rapporto tra il calore fornito all’unita di massa ed il salto termico subito dal corpo, dipende dallamodalita di riscaldamento. Per i gas e quindi molto facile osservare, per riscaldamenti a pressione o avolume costante, distinti calori specifici. Si parlera allora di calore specifico a volume costante cv e dicalore specifico a pressione costante cp.

Per i gas perfetti tali calori specifici sono dipendenti solo dalla struttura della molecola, ovveroabbiamo i valori espressi nella tabella mostrata qui affianco, ove sono indicati, per i vari tipi di gas, icalori specifici molari, espressi in cal/mole ◦ C.

Va notato che questi valori dei calori specifici molari sono tanto piu vicini a quelli dei gas reali quan-to piu questi gas sono rarefatti, ad ulteriore dimostrazione che un gas reale rarefatto e approssimabilecon un gas ideale.

Nell’ultima riga della tabella precedente vengono indicati solo valori minimali dei calori specificipoiche essi, come gia detto precedentemente, dipendono dal numero dei gradi di liberta. In questo casocompaiono quindi eventuali gradi di liberta vibrazionali, che possono essere diversi e quindi modificare,anche di molto, i calori specifici.

12.9 Transizione di fase.

E’ noto che la materia si presenta sotto tre diverse stati di aggregazione o, come si dice, fasi: solido,liquido, gassoso.

Una analisi microscopica porta a riconoscere i tre diversi stati come tre successive fasi di interazionimolecolari.

Nei solidi le molecole sono strettamente interagenti e si dispongono a distanze e con orientazionideterminate, formando quindi strutture generalmente di tipo cristallino. Ne consegue che i solidihanno una forma definita e sono praticamente incompressibili.

Nei liquidi le molecole continuano ad interagire tra di loro ma con una forza inferiore e quindi nonsi ha piu una stretta correlazione tra le singole molecole per cui, pur rimanendo approssimativamenteconservata la distanza tra le diverse molecole, gli angoli di legame non sono piu fissi, ovvero non si ha

12.9. TRANSIZIONE DI FASE. 291

piu la formazione di cristalli. Ne consegue che i liquidi non hanno una forma definita ma continuanoa risultare praticamente incompressibili.

Nei gas, infine, le interazione divengono estremamente deboli per cui non e conservata piu nemmenola distanza intermolecolare e le singole molecole si comportanto come particelle quasi indipendenti tradi loro, con brevi e rare interazioni reciproche. Ne consegue che un gas non ha forma propria e risultafacilmente compressibile. Se poi il gas e molto rarefatto si puo addirittura ritenere che le interazionisiano cosı rare da poter essere trascurate ed abbiamo quindi il gas perfetto.

Dall’analisi fatta precedentemente appare evidente che le diverse fasi di aggregazione si distinguonoper la densita di materia e per l’energia totale posseduta dalle singole molecole. Risulta infatti chel’energia di interazione (in valore assoluto) e massima nei solidi, media nei liquidi e praticamente nullanei gas. Ne consegue che se forniamo energia ad un solido e possibile che esso raggiunga un livelloenergetico tale da fargli assumere la fase liquida. Una ulteriore assunzione di energia lo porta poi adivenire un gas.

Al contrario, se sottraiamo energia da un gas vediamo che esso dapprima diviene liquido e poi puoaddirittura passare alla fase solida.

Questi passaggi da una fase all’altra prendono il nome di transizioni di fase. Ne possiamo distin-guere sei e cioe:

1. LIQUEFAZIONE da gas a liquido

2. SOLIDIFICAZIONE da liquido a solido

3. BRINAZIONE da gas a solido

4. FUSIONE da solido a liquido

5. EBOLLIZIONE da liquido a gas

6. SUBLIMAZIONE da solido a gas

Oltre queste cinque transizioni ne esiste un’altra, detta evaporazione, che rappresenta unatransizione da liquido a gas, ma con caratteristiche differenti dall’ebollizione.

Per studiare il comportamento della materia durante le transizioni di fase rappresentiamo, peruna particolare sostanza, la pressione in funzione della temperatura. In un grafico siffatto possiamoosservare tre distinti zone e quindi tre curve che rappresentano confini tra queste zone.

Nella Fig. 12.12 e rappresentato il grafico che si ottiene per l’acqua. Per le altre sostanze si hannografici sostanzialmente equivalenti, anche se di forma lievemente differente,in particolare per la curvadi separazione solido-liquido.

Il grafico cosı ottenuto prende il nome di diagramma delle fasi.Nella prima zona (piccoli volumi ed elevate pressioni) la sostanza si presenta sotto la forma di

solido, mentre per basse pressioni ed elevati volumi la sostanza si presenta come un gas. Per valoriintermedi abbiamo invece un liquido.

Dal diagramma delle fasi si puo notare che, dato uno stato di aggregazione, la variazione dellapressione puo portare ad un altro stato di aggregazione. Analogamente e possibile fare con unavariazione di temperatura.

Per ogni valore della pressione esiste una ed una sola temperatura per ogni transizione di fase. Adesempio, in corrispondenza della pressione P1 esiste la temperatura t1 corrispondente alla liquefazionee la temperatura t2 corrispondente alla solidificazione.

Un punto caratteristico e il punto A, in corrispondenza del quale coesistono tutte e tre le fasi; talepunto prende il nome di punto triplo. Per pressioni al di sopra della pressione corrispondente a questopunto, sono possibili solo la fase solida e quella gassosa.

Consideriamo ora un definito valore della pressione superiore alla pressione corrispondente al puntotriplo. Supponiamo di avere a che fare con un gas ed iniziamo a raffreddarlo.

Per effetto di tale raffreddamento il gas diminuisce la sua temperatura e, giunto al valore corrispon-dente alla liquefazione, il gas inizia a passare alla fase liquida. Durante tale passaggio la temperatura

292 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

P

TGas

Liquido

Solido

Figura 12.12: Diagramma delle fasi

P

T

Figura 12.13: Ad un valore della pressione corrisponde un punto di fusione ed uno di ebollizione

12.9. TRANSIZIONE DI FASE. 293

P

T

Figura 12.14: Il punto triplo.

rimane costante e la sottrazione di calore in atto serve solo a ridurre l’energia delle molecole, ondepermettere il passaggio dell’intera massa alla fase liquida. La temperatura, costante, corrispondentea questo passaggio di fase prende il nome di temperatura di liquefazione.

Una volta che tutta la massa e divenuta liquida, una ulteriore sottrazione di calore porta nuova-mente ad una diminuzione della temperatura.

E’ possibile ora ripetere l’esperimento al contrario, cioe partire dalla fase liquida, riscaldare lasostanza, e farla passare alla fase gassosa. Si verifica che la temperatura a cui avviene la transizionee la stessa e che, analogamente, la quantita di calore che bisogna fornire al liquido per farlo divenireun gas e pari alla quantita di calore che occorre sottrarre al gas per farlo divenire un liquido.

Possiamo allora caratterizzare il processo di transizione di fase affermando che esso avviene ad unadefinita temperatura, una volta che sia definita la pressione, e che durante la transizione la temperaturanon varia.

Variando le masse delle sostanze e possibile mostrare che varia il calore da somministrare e quinditale calore dipende dalla massa che deve transire di fase. Si scrivera:

Q = m cl (12.55)

ove m e la massa e cl e il calore latente.Ovviamente il calore latente sara relativo alla specifica transizione di fase in questione, anche se

occorre tener conto che a transizioni corrispondenti, quali ad esempio la solidificazione e la fusione adugual pressioni, corrispondono uguali calori latenti.

Per quanto riguarda i valori numerici ricordiamo solo i calori latenti per l’acqua:

CALORE LATENTE DI FUSIONE 79.6 calg

CALORE LATENTE DI EBOLLIZIONE 560 calg

Una interessante proprieta dei passaggi di stato si verifica se si adoperano sostanze estremamentepure ed il raffreddamento o riscaldamento avviene con molta lentezza. In tal caso si osserva che, anchequando si giunge alla temperatura corrispondente al cambio di fase, la sostanza permane nella faseiniziale. Ad esempio, un liquido raffreddato al di sotto della temperatura di fusione permane comeliquido; si parla allora di sopraffusione. Questo fenomeno e gia stato citato nella trattazione delleisoterme di un gas reale. Esso e spiegabile ricordando che non necessariamente aver portato un sistemaad un determinato livello energetico impone la realizzazione di un particolare ordine geometrico.

294 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Temperatura

tempo

Fusione

Ebollizione

Figura 12.15: Riscaldando in maniera costante un corpo inizialmente solido esso prima fonde e poi,successivamente, bolle. Durante i due cambi di stato la tempertura rimane costante

12.10 L’evaporazione.

Abbiamo gia visto che il passaggio dalla fase liquida a quella gassosa, cioe l’ebollizione, avviene aduna determinata temperatura, fissata la pressione. Ad esempio, l’acqua bolle a 100 ◦C, alla pressioneatmosferica.

E’ pero esperienza comune che se si pone un bicchiere di acqua in una stanza, dopo qualche temposi nota che il livello dell’acqua e sceso, ovvero che parte dell’acqua in fase liquida e passata alla fasegassosa; cio senza che si sia raggiunta la temperatura di ebollizione.

Queste esperimento mostra come esista un altro tipo di transizione dalla fase liquida a quellagassosa, detta evaporazione, che non avviene ad una temperatura predeterminata, come l’ebollizione,ma a qualunque temperatura.

Per comprendere il motivo di questa evaporazione dobbiamo ricordare che il liquido e costituitoda molecole, relativamente libere di muoversi, aventi una certa energia potenziale di interazione mo-lecolare. A causa della loro velocita esse possiedono anche una energia cinetica. Puo ora accadereche, per motivi probabilistici, alcune molecole vicine al pelo libero del liquido possiedano una energiacinetica sufficiente a svincolarle dalla interazione molecolare; tali molecole abbandoneranno quindi lafase liquida per passare a quella gassosa. Il numero di particelle che passano alla fase liquida e quindilegato all’energia cinetica media, ovvero alla temperatura del liquido.

Una volta che le particelle sono passate alla fase gassosa avremo ancora una situazione in cui taliparticelle possiedono una certa energia cinetica; puo ora accadere, sempre per motivi probabilistici,che alcune particelle, nel corso del loro movimento casuale, si avvicinino troppo alle particelle in faseliquida e quindi ne subiscano l’interazione sino a ritornare alla fase liquida. Il numero di tali particellesara pertanto legato alla densita di particelle in fase gassosa, ovvero alla pressione del vapore.

Abbiamo quindi una situazione dinamica, in cui continuamente alcune particelle passano dalla faseliquida a quella gassosa mentre altre particelle subiscono il processo inverso.

L’equilibrio si ha allorquando i due numeri sono uguali e quindi ad ogni temperatura del liquidocorrispondera una determinata pressione del vapore in condizioni di equilibrio. Tale pressione, ps,prende il nome di tensione di vapore.

Possiamo sperimentalmente dimostrare quanto affermato ponendo un recipiente contenente unliquido all’interno di una camera nella quale si sia fatto precedentemente il vuoto.

In queste condizioni vedremo che parte del liquido evapora e, in condizioni di equilibrio, la pressione

12.11. TRASMISSIONE DEL CALORE. 295

misurabile allo interno della camera rappresentera appunto la tensione di vapore corrispondente allatemperatura del liquido.

Se si varia tale temperatura si osserva un aumento della tensione di vapore.

Quanto detto precedentemente fa comprendere che, nel caso in cui l’ambiente di evaporazione nonsia inizialmente vuoto ma contenga altri gas ad una determinata pressione, l’equilibrio si raggiungeallorquando la pressione parziale del vapore diviene uguale alla tensione di vapore.

Se ora facciamo evaporare un liquido in un ambiente aperto avremo che, in generale, non si rag-giungera mai l’equilibrio perche parte del gas evaporato verra ad allontanarsi dal liquido e quindi lapressione parziale del vapore non raggiungera mai la tensione di vapore. In tal caso avremo una con-tinua evaporazione che puo portare anche all’esaurimento del liquido. E’ quanto accade normalmentese si dispone un bicchiere pieno d’acqua od un panno bagnato in una stanza od addirittura all’aperto:dopo un tempo piu o meno lungo il liquido sara completamente evaporato.

Se ora consideriamo un recipiente contenente un liquido, posto in un ambiente aperto in cui lapressione e uguale alla tensione di vapore del liquido, relativa alla sua temperatura, avremo che illiquido entrera in ebollizione.

Si puo quindi ritenere che l’ebollizione sia una forma estrema di evaporazione, che avviene allatemperatura cui corrisponde una tensione di vapore pari alla pressione dell’ambiente di evaporazione.

Il fenomeno dell’evaporazione si verifica per tutti i liquidi ma riveste particolare importanza nelcaso dell’acqua. In tal caso l’analisi quantitativa del fenomeno prende il nome di igrometria.

Dato un ambiente contenente acqua in fase liquida, alla temperatura T , ed una atmosfera di gastra i quali il vapor acqueo, alla pressione parziale pv, si definisce umidita assoluta del vapor acqueotale pressione parziale. Essa esprime la quantita di vapor acqueo presente, in massa, per kilogrammodi aria umida.

Una grandezza associata e il titolo dell’aria, cioe il contenuto in peso di vapor acqueo perkilogrammo di aria secca.

Il rapporto tra la pressione parziale del vapore e la tensione di vapore e, alla temperatura T , vieneinvece chiamata umidita relativa e quasi sempre viene espressa in percentuale.

12.11 Trasmissione del calore.

Abbiamo detto precedentemente che se poniamo a contatto due corpi a temperatura differente, essisi pongono in equilibrio termico scambiandosi del calore. Ci vogliamo ora porre il problema di qualisiano i meccanismi di trasmissione del calore.

Sperimentalmente si osserva che, affinche si trasmetta il calore, non e necessario che i due corpi sitrovino a contatto diretto. Infatti sono tre i meccanismi principali attraverso i quali puo trasmettersiil calore e cioe:

1. per conduzione

2. per convezione

3. per irraggiamento.

Analizziamo ora separatamente i tre meccanismi.

12.11.1 Conduzione.

Consideriamo una sbarra di materiale omogeneo e sezione A, le cui estremita siano a temperature t1 et2 rispettivamente. In una situazione di regime stazionario, ovvero se le temperature sono costanti neltempo, il flusso di calore per unita di tempo che fluisce dall’estremita a temperatura t1 verso quella atemperatura t2, e dato da:

dQ

dt= h A (t1 − t2) (12.56)

296 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

dove h e detto coefficiente di conduzione termica.Per determinare il valore del coefficiente h occorre tener conto della geometria del sistema. Per il

caso particolarmente semplice di una sbarra avente lunghezza l si ha:

h =λ

l(12.57)

ove λ e un coefficiente dipendente solo dal tipo di materiale e viene detto conducibilita termica.Microscopicamente il fenomeno della conduzione puo essere interpretato ricordando che le molecole

costituenti un corpo si muovono continuamente (in un solido vibrano intorno alle posizioni di equilibriomentre nei liquidi e nei gas si spostano ad un punto all’altro). Durante tali movimenti esse si urtanoed accade quindi che le molecole a piu alta energia cedano parte della loro energia alle molecoli aventiminore velocita. Cio comporta un trasferimento netto di energia dalle regioni ad alta temperaturasino alle regioni a piu bassa temperatura, senza che vi sia associato alcun movimento macroscopicodella materia.

L’interpretazione microscopica della conduzione termica spiega come la conducibilita termica siatanto piu elevata quanto maggiore e la mobilita delle particelle associata alla probabilita di urti.Avremo quindi che nei metalli, laddove esiste un elevatissimo numero di elettroni liberi, tale coefficienteassume i valori massimi. Nei solidi che non dispongono di elettroni liberi la scarsa mobilita dellemolecole rende difficile la conduzione mentre nei liquidi l’elevata mobilita, associata ad una elevataprobabilita di urto, produce una elevata conducibilita termica. Nei gas infine, la conducibilita e bassaa causa della scarsa probabilita di urti.

Piu complessa e la trattazione matematica nel caso in cui non si sia in regime stazionario, ovveroquando si hanno variazioni nel tempo delle temperature. In tal caso occorre descrivere gli andamentidelle temperature all’interno del corpo sia in funzione della posizione che del tempo.

Tralasciando la dimostrazione indichiamo qui solo l’equazione finale, detta equazione di diffu-

sione del calore di Fourier, per il caso unidimensionale:

∂T

∂t= k

∂2T

∂x2(12.58)

dove il coefficiente k, detto diffusivita termica, e dato da

k =λ c

ρ(12.59)

con ρ densita del materiale, c calore specifico e λ conducibilita termica.La soluzione di questa equazione differenziale e abbastanza complessa ma e essenziale per la

risoluzione di problemi di scambi termici in regime dinamico.

12.11.2 Convezione.

Consideriamo ora due superfici a temperature t1 e t2 rispettivamente; tra le due superfici sia interpostoun fluido. In questo caso si puo avere uno scambio di calore per conduzione, ma piu frequente e unoscambio di calore associato non a movimenti microscopici ma piuttosto a movimenti macroscopici dellamateria. In tal caso si parla di scambi di calore per convezione.

Visivamente si osservano dei movimenti di masse fluide tali da portare le masse calde verso leregioni piu fredde e viceversa. Ovviamente questo spostamento di materia provoca uno spostamentodi energia e quindi la trasmissione del calore.

I moti indotti in questo fenomeno prendono il nome di moti convettivi e sono soggetti a delimita-zioni piuttosto nette. Ad esempio, se osserviamo le due superfici dall’alto vedremo che si forma unaspecie di struttura a celle esagonali; ognuna delle celle rappresenta una colonna di fluido ascendente odiscendente.

Le leggi che regolano quantitativamente la convezione sono molto complesse, tanto da non avereuna soluzione analitica definita. In tal caso si preferisce far ricorso a formule empiriche specifiche perogni geometria.

La convezione puo essere di due tipi e cioe:

12.11. TRASMISSIONE DEL CALORE. 297

1. Convezione libera: e la differente densita a diffe renti temperature che provoca i moti convet-tivi.

2. Convezione forzata: i moti convettivi vengono provocati da un agente esterno (ad esempio ilvento).

Per facilita di trattazione il calore trasmesso per convezione viene esplicitato tramite una formulasimile a quella adoperata nel caso della conduzione e cioe:

dQ

dt= h A (t1 − t2) (12.60)

dove il coefficiente h viene dedotto empiricamente. Esso dipende dalla densita, dalla capacita termicae dalla viscosita del fluido nonche dalla geometria del sistema. Nel caso di convezione forzata dipendeanche dalla velocita del vento.

Occorre notare che i due fenomeni di conduzione e convezione sono mutuamente esclusivi, ovverose e in corso un trasferimento di calore per convezione non si puo parlare anche di conduzione.

12.11.3 Irraggiamento.

Consideriamo ora due superfici a temperatura diversa ma tra di esse interponiamo il vuoto. In talcaso non e possibile un trasferimento di calore per convezione o per conduzione ma cio nonostante siha lo stesso un trasferimento di energia.

Tale energia viene scambiata per mezzo di radiazioni, del tipo della luce, e quindi il meccanismoviene detto irraggiamento.

I principi fisici posti alla base dell’irraggiamento sono piuttosto complessi ed involvono le basi dellateoria quantistica della materia. Qui citiamo soltanto che un qualsiasi corpo, ad una temperatura T ,emette radiazioni in tutte le direzioni dello spazio e con differenti lunghezze d’onda. La potenzaglobalmente emessa e data dalla legge di Stefan-Boltzmann:

dQ

dt= ε σ T 4

dove σ e la costante di Stefan-Boltzmann e vale:

σ = 5.67 · 10−8 W

K4(12.61)

ed ε e l’emissivita del corpo.In generale l’emissivita dipende dalla lunghezza d’onda ed in tal caso il corpo viene detto selettivi;

per alcuni materiali, detti grigi, l’emissivita e invece costante al variare della lunghezza d’onda. Nelcaso in cui l’emissivita sia sempre pari all’unita, qualunque sia la lunghezza d’onda della radiazione,si parlera di corpo nero.

L’andamento della potenza irradiata da un corpo nero in funzione della lunghezza d’onda assumeuna forma caratteristica, espressa in Fig. 12.16.

La lunghezza d’onda, indicata con λMax, cui corrisponde la massima potenza emessa obbediscealla legge di Wien, secondo la quale e:

T λMax = 2.9 · 10−3 m K (12.62)

Da questa legge vediamo che la lunghezza d’onda di massima emissione di un corpo come il Sole(ad una temperatura superficiale di circa 5800 K) e di circa 5000 A, cioe in corrispondenza del giallo-verde, mentre per un corpo a temperatura ambiente (circa 300 K) la lunghezza d’onda di massimaemissione e di circa 10 µ m, cioe nel medio infrarosso.

Cio e quanto accade per un corpo.Se ora consideriamo due superfici a temperature diverse abbiamo che ognuna di esse emette una

potenza radiante proporzionale alla quarta potenza della sua temperatura assoluta. Tali potenze

298 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

F(l)

llMAX

Figura 12.16: Emissione di energia, sotto forma di radiazione, da un corpo nero.

radianti raggiungono l’altra superfice e vengono parzialmente assorbite da queste. Ne consegue che ilcorpo piu caldo emette piu energia di quanta ne assorba mentre il contrario accade per il corpo piufreddo: si ha una trasmissione di calore dal corpo caldo a quello freddo.

Anche in questo caso la trattazione analitica dello scambio di calore e piuttosto complessa poicheessa deve tener conto delle temperature e delle proprieta emissive delle due superfici, della variabilitadella potenza radiante emessa ed assorbita in funzione della lunghezza d’onda ed infine deve tenerconto della geometria del sistema onde determinare come le due superfici si vedono.

In ogni caso anche qui si scrive una formula analoga alle precedenti e cioe:

dQ

dt= h A (t1 − t2) (12.63)

ove pero la validita di tale formula e limitata a piccole differenze di temperatura. Il coefficiente hdipende dalle proprieta emissive dei due corpi, dai fattori geometrici che individuano il modo in cui ledue superfici si vedono ed infine dipende dalla terza potenza della temperatura media.

Nel caso in in cui tra le due superfici sia interposto un mezzo e non il vuoto si puo ancora avere unatrasmissione di calore per irraggiamento ma solo nel caso in cui il mezzo interposto sia otticamentetrasparente alle radiazioni. In tal caso la trattazione del problema diviene ancor piu complessa poichein generale vi sara contemporaneamente trasmissione per conduzione o per convezione e trasmissioneper irraggiamento.

Volendo paragonare i tre meccanismi di trasmissione di calore possiamo dire che a basse tempera-ture e nei solidi il principale meccanismo di scambio e la conduzione. A medie temperature, invece,diviene piu importante la convezione mentre ad elevate temperature il termine predominante e quelloproveniente dall’irraggiamento.

Prima di concludere la trattazione dei diversi meccanismi di scambio di calore vogliamo un attimocitare un fenomeno che per non essendo propriamente un meccanismo di scambio di calore ha purtuttavia un’estrema importanza in questo ambito: le transizioni di fase.

Quando un corpo passa da uno stato all’altro della materia esso assorbe o cede calore e quindi epossibile trasferire una grossa quantita di calore da un estremo all’altro di un sistema per mezzo diuna transizione di fase.

Ad esempio, consideriamo una superfice a temperatura t1 ed una superfice soprastante a tempe-ratura t2, inferiore a t1. Sulla superfice inferiore facciamo scorrere un sottile velo di acqua.

Parte di questa acqua evapora e quindi asporta una quantita di calore dalla superfice inferiore(pari a circa 560 cal per ogni grammo di acqua evaporata).

12.12. GLI SCAMBI DI CALORE MULTIPLI. 299

T1

T2

tin

H1

H2

Figura 12.17: Trasmissione di calore in serie: il calore per passare da un corpo all’altro deve transitareper un corpo intermedio

Il vapore che cosı si e creato formera, nell’intercapedine tra due superfici, un atmosfera umida.Sulla faccia inferiore della superfice superiore si verra quindi a trovare aria con elevato tenore di vaporacqueo, superiore a quello massimo contenibile dall’aria alla temperatura t2.

Ne consegue che parte del vapore condensera sulla superfice superiore e quindi cedera a questauna quantita di calore pari a quella che essa aveva sottratto alla superfice inferiore per evaporare.In definitiva si e ottenuto un trasferimento di calore dalla superfice calda a quella fredda. Questomeccanismo e molto efficiente e pertanto, laddove e possibile, viene adoperato nei problemi pratici ditrasmissione del calore.

12.12 Gli scambi di calore multipli.

Avendo visto che esistono diversi tipi di scambi di calore possiamo ora determinare cosa accade quandotra due superfici si sviluppano scambi di energia attraverso piu di un meccanismo.

Per uno sviluppo analitico consideriamo che tutti i meccanismi di trasmissione di calore portano,per il flusso di potenze termico scambiato, ad una formula del tipo:

dQ

dt= H (t1 − t2) (12.64)

ove in H teniamo conto anche dell’area della sezione.Consideriamo ora due superfici a temperature t1 e t2, tra le quali e interposta una terza superfice.

Il calore, per fluire da una superfice estrema all’altra, dovra passare attraverso la superfice intermediae quindi il processo di trasmissione di calore avviene per stadi successivi. Si parla di trasmissione

in serie.Risolviamo il problema in regime stazionario.Poiche le temperature non variano dovra accadere che la quantita di calore assorbita dalla superfice

intermedia deve essere uguale a quella che essa cede. Abbiamo quindi:

dQdt

= H1 (t1 − ti)

dQdt

= H2 (ti − t2)(12.65)

ove con H1 abbiamo indicato il coefficiente di trasmissione termica (detto anche trasmittanza) tra laprima superfice e quella intermedia, mentre con H2 si e indicato l’analogo coefficiente relativamenteallo scambio tra superfice intermedia e seconda superfice estrema. La temperatura (incognita) dellasuperfice intermedia e stata indicata con ti.

Poiche le due potenze devono essere uguali possiamo ricavare ti da una delle due equazioni esostituire nell’altra. Dalla seconda si ottiene:

ti = t2 +1

H2

dQ

dt(12.66)

300 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

T1

T2

H1

H2

Figura 12.18: Scambio di calore in parallelo: il calore, per passare da un corpo all’altro, ha due stradeda poter seguire

che, sostituita nella prima, fornisce:

dQ

dt= H1 t1 − H1 t2 − H1

1

H2

dQ

dt(12.67)

per cui:dQ

dt

(

1 +H1

H2

)

= H1 (t1 − t2) (12.68)

ed in definitivadQ

dt=

H1 H2

H1 + H2

(t1 − t2) (12.69)

Se ora scriviamo:dQ

dt= Heq (t1 − t2) (12.70)

otteniamo che il sistema complessivo e rappresentato da una trasmittanza termica complessiva Heq,tale che:

1

Heq

=H1 + H2

H1 H2

=1

H1

+1

H2

(12.71)

In parole possiamo dire che in uno scambio in serie l’inverso della trasmittanza termica complessivae pari alla somma degli inversi delle singole trasmittanze termiche, od anche che negli scambi in

serie la resistenza termica complessiva e pari alla somma delle singole resistenze termiche.Trattiamo ora il caso in cui lo scambio di calore da una superfice a temperatura t1 ad una superfice

a temperatura t2 possa avvenire lungo due distinte vie. In tal caso parleremo di scambio di calore

in parallelo.Anche qui trattiamo il caso in regime stazionario.La potenza termica complessivamente trasferita e pari alla somma delle singole potenze termiche

e quindi:

dQ1

dt= H1 (t1 − t2)

dQ2

dt= H2 (t1 − t2)

(12.72)

ovverodQ

dt=

dQ1

dt+

dQ2

dt= H1 (t1 − t2) + H2 (t1 − t2) = (H1 + H2) (t1 − t2) (12.73)

Anche qui, scrivendo:dQ

dt= Heq (t1 − t2) (12.74)

otteniamo che la trasmittanza termica totale e:

Heq = H1 + H2 (12.75)

ovvero che negli scambi di calore in parallelo si sommano le tramittanze.

12.13. EQUILIBRIO TERMICO DI UN ORGANISMO BIOLOGICO. 301

12.13 Equilibrio termico di un organismo biologico.

Per concludere i problemi relativi alla trasmissione del calore vogliamo parlare della senzazione termicaprovata da un organismo biologico quale puo essere un uomo, ma anche un animale od una pianta.

Poiche qualsiasi organismo biologico scambia calore con l’ambiente circostante tramite:

1. conduzione con i corpi esterni

2. convezione con l’aria esterna

3. irraggiamento verso i corpi circostanti

4. evapotraspirazione

Ne risulta che il bilancio termico di un organismo biologico consta di quattro distinti terminiognuno dei quali e legato a particolari parametri ambientali.

Le perdite per conduzioni sono legate al contatto diretto della superfice corporea con corpi abassa temperatura. Esse assumono, pero, una rilevanza estremamente ridotta tanto che normalmentepossono esssere trascurate.

Le perdite per convezione dipendono dalla temperatura dell’aria e dalla velocita del vento nonchedal grado di copertura dell’organismo. E’ per questo motivo che quando la temperatura ambientalee molto piu bassa di quella dell’organismo la struttura superficiale di questo viene a ricoprirsi conprotezioni di varia natura (gli abiti per l’uomo e strati piu folti di pelliccia per alcuni animali).

Le perdite per irraggiamento dipendono invece dalla temperatura e dall’emissivita degli ambienticircostanti. Un esempio classico e il Sole che, con l’elevata radiazione inviata al suolo, permette, anchein ambienti freddi quali ad esempio in montagna, di non sentire eccessivo freddo.

Le perdite per evapotraspirazione sono invece essenzialmente legate all’umidita ambientale e quindialla possibilita di introdurre ulteriori quantita di vapor acqueo nell’aria.

Tutti gli organismi hanno dei propri meccanismi di autoregolazione che, in maniera piu o menomarcata, rendono l’organismo stesso in grado di sopportare diverse situazioni ambientali. Alcune diqueste costituiscono, pero, in ogni caso uno stress e quindi non sono accettabili per tempi prolungati.

Chiunque progetti un ambiente destinato ad organismi biologici, sia esso una casa od una stallaod una serra, deve pertanto assicurarsi che in tale ambiente si realizzino le condizioni ottimali perla vita degli organismi che in quell’ambiente devono vivere. Cio va fatto curando i diversi parametricostruttivi in maniera che le temperature, il grado di umidita e l’aerazione siano entro limiti definitida apposite tabelle.

12.14 Trasmissione del calore in regime dinamico.

Nel trattare lo scambio di calore per conduzione si e detto che, per temperature variabili, la leggecui obbedisce lo scambio di calore e la equazione di diffusione del calore di Fourier, per il casounidimensionale:

∂T

∂t= k

∂2T

∂x2

Questa equazione puo fornire la temperatura di un oggetto che viene scaldato per mezzo dellaconduzione, una volta che siano note le condizioni iniziali.

Possiamo, ad esempio considerare il caso di una struttura solida (che per semplicita supporremodi superfice infinita) che viene scaldata grazie alla presenza di una sorgente di calore a temperaturaT variabile nel tempo. All’interno della struttura l’equazione di Fourier consente di determinarel’anamento della temperatura al variare del tempo.

La soluzione dell’equazione di Fourier e nota analiticamente solo in casi particolarmente semplici,ad esempio se si suppone che l’andamento della tempertura esterna sia sinusoidale

T (t) = T0 + ∆T sin (ωt)

302 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

In questo caso anche all’interno della struttura l’andamento della temperatura seguira un com-portamento sinusoidale, con la stessa pulsazione ω, ma con un certo ritardo rispetto alla temperaturaesterna e con una escursione ridotta:

T (t, z) = T0 + [∆T exp (−z/D)] sin

(

ωt +z

D

)

Possiamo ad esempio considerare il caso del terreno. Esso e assimilabile ad una struttura dispessore infinito ed area infinita. Nell’arco di un anno la temperatura esterna oscilla con una leggeapprossimativamente sinusoidale, di periodo pari a 365 giorni.

Risolvendo l’equazione di Fourier in questo caso abbiamo che la temperatura, all’interno del terreno,oscilla con legge sinusoidale ma con una escursione che si riduce man mano che si penetra in profondita.Per terreni costituiti da sabbia o da argilla umide si puo ritenere che dopo circa 2 metri la temperaturasi mantenga costante mentre per sabbia o argilla secche tale distanza diviene pari a circa 1.5 m.L’oscillazione della temperatura all’interno del terreno si svolge con lo stesso periodo di quella esterna(cioa 365 giorni) ma il suo massimo e ritardato di circa 1/8, cioe di circa 45 giorni.

Lo stesso discorso puo farsi rispetto alle oscillazioni diurne. Anche in questo caso, supponendoche la temperatura esterna oscilli con legge sinusoidale di periodo pari a 24 ore, si ha un andamentosinusoidale della temperatura all’interno del suolo con una attenuazione tale che dopo circa 10 cm,in terreno umido, la temperatura non subisce sostanziali oscillazioni nell’arco di una giornata. Taledistanza diviene pari a circa 7 cm in terreni secchi. Il ritardo comn cui si presenta il massimo dellatemperatura e anche in questo caso di 1/8 del periodo, cioe circa 3 ore

12.15. ESERCIZI 303

12.15 ESERCIZI

Esercizio 12.1 : Esprimere in gradi centigradi la temperatura t = 86 ◦F.

Esercizio 12.2 : Esprimere in gradi Fahrenheit la temperatura t = 325 ◦C

Esercizio 12.3 : Un filo di acciaio alla temperatura t = 20 ◦C ha una lunghezza l = 120 cm.Determinare quale sara la sua lunghezza se la temperatura passa a t1 = 35 ◦C (il coefficiente didilatazione lineare dell’acciaio e α = 12 × 10−6 ◦C−1).

Esercizio 12.4 : Il pendolo di un orologio e costituito da un filo di acciaio e da una massa.Alla temperatura t1 = 20 ◦C il suo periodo e T1 = 1 s. Determinare in quanto tempo il pendoloavra raggiunto un errore totale pari ad 1 secondo, se esso viene posto in funzione alla temperaturat2 = 32 ◦C.

Esercizio 12.5 : Un termostato e costituito da una lamina di materiale a basso coefficientedi dilatazione termica (ad esempio INVAR, α1 = 1.5 × 10−6 ◦C−1) ai cui estremi sono fissate duelamine di materiale conduttore ed ad elevato coefficiente di dilatazione lineare (quale il rame, α2 =12× 10−6 ◦C−1). Calcolare quale deve essere la distanza tra le due lamine di rame, ognuna delle qualiha lunghezza l1 = 2 cm alla temperatura t1 = 20 ◦C, se vogliamo che il contatto tra le lamine sirealizzi allorquando la temperatura e t2 = 265 ◦C.

Esercizio 12.6 : Un ponte, lungo 100 m, e costituito da una trave di acciaio. Quale sara lavariazione massima della sua lunghezza se la temperatura cui esso e soggetto va da −30 ◦C, nelle nottid’inverno, sino a +40 ◦C, nei giorni d’estate?

Esercizio 12.7 : Un filo di acciaio, la cui lunghezza iniziale e l = 2.4 m, si allunga di 1 mm sesottoposto alla forza di trazione F = 1200 N. Esso viene fissato ai due estremi per mezzo di due chiodia pressione, in modo che sia ben teso. Si supponga ora che la temperatura dell’ambiente in cui e postoil cavo si abbassi di 25 ◦C e si determini quale sara la forza che la corda esercita sui chiodi a pressionese si vuole che il filo non cambi lunghezza.

Esercizio 12.8 : Un gas rarefatto occupa, ad una determinata pressione, un volume V = 14 lt.Se la temperatura, espressa in gradi centigradi, aumenta di 27 ◦C si determini quale sara il volumefinale a pressione costante.

Esercizio 12.9 : Determinare la corrispondenza dello zero assoluto, espresso in riferimento allascala Fahrenheit.

Esercizio 12.10 : Determinare la temperatura a cui si trova una mole di gas perfetto che, allapressione di 2 atm, occupa un volume di 11 lt.

Esercizio 12.11 : Due moli di gas alla temperatura di 27 ◦C, occupano un recipiente esercitandosulle pareti di questo una pressione di 4 atm. Si determini il volume del recipiente.

Esercizio 12.12 : Una mole di idrogeno atomico ha una temperatura di 27 ◦C. Si determini la

304 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

velocita media delle particelle costituenti il gas.

Esercizio 12.13 : In un calorimetro contenente 400 grammi di acqua a 37 ◦C viene immesso unblocco di ghiaccio di 50 grammi, alla temperatura di 0 ◦C. Determinare la temperatura di equilibrio,considerando che il calorimetro non assorba alcun calore.

Esercizio 12.14 : In un calorimetro contenente 500 grammi di un liquido alla temperatura inizialedi 40 ◦C, viene immerso un blocco di 100 grammi di ghiaccio alla temperatura del ghiaccio fondente.Sapendo che la temperatura di equilibrio del sistema e di 10 ◦C e che il calorimetro non assorbe calore,si determini il calore specifico del liquido.

Esercizio 12.15 : Un calorimetro contiene 1 litro di acqua alla temperatura t = 12 ◦C. Se siintroduce un altro litro di acqua, stavolta bollente, la temperatura di equilibrio risulta essere t1 =46 ◦C. Si determini quanto vale il calore assorbito dal calorimetro e quindi quanto vale l’equivalentein acqua del calorimetro.

Esercizio 12.16 : Il calorimetro di Bunsen e costituito da un recipiente a doppia fodera. All’in-terno dell’intercapedine e posta una miscela di acqua e ghiaccio, con un indicatore per segnalare ilvolume di materiale contenuto. La parete esterna del contenitore e isolata termicamente dall’esterno.Supponendo ora di porre all’interno del calorimetro un corpo avente una massa M = 250 g ed uncalore specifico incognito, ad una temperatura t = 10 ◦C, si determini il calore specifico sapendo cheall’equilibrio si sciolgono 5 grammi di ghiaccio della intercapedine.

Esercizio 12.17 : Una sbarra di rame, di sezione costante data da A = 3 cm2 , e lunga 15 cm. Sei suoi estremi vengono tenuti costantemente alle temperature t1 = 10 ◦C e t2 = 50 ◦C si determini ilcalore che fluisce in 15 minuti (la conducibilita del rame e λ = 400 W/m K).

Esercizio 12.18 : Una sbarra di metallo con sezione costante e costituita da acciaio (λ1 = 46W/m ◦C) per i primi 16 cm e da rame (λ2 = 400 W/m ◦C) per i successivi 12 cm. Si determini latemperatura della sezione di separazione tra acciaio e rame, se la temperatura all’estremo di acciaio et1 = 26 ◦C ed allo altro estremo e t2 = 132 ◦C.

Esercizio 12.19 : Uno scatolo di largezza l = 80 cm, lunghezza L = 130 cm ed altezza h = 40cm, e costituito da lastre di polistirolo espanso (λ = 33 mW/m ◦C) di spessore d = 7 cm. All’internodello scatolo vengono posti 2 kg di ghiaccio alla temperatura di 0 ◦C. Determinare quanto tempo enecessario affinche tutto il ghiaccio si sciolga se la temperatura delle superfici esterne del polistirolo edi 23 ◦C.

Esercizio 12.20 : Ricordando che il raggio del Sole e approssimativamente di 696000 km, e che lasua temperatura superficiale e di 5700 K, si determini la potenza radiante complessivamente emessa.

Esercizio 12.21 : La potenza radiante che giunge sulla Terra, al di fuori dell’atmosfera e paria 1253 W/m2 . Supponendo che un collettore solare sia posto al di fuori dell’atmosfera ed abbia uncoefficiente di scambio termico H = 9 W/m2 ◦C e che la temperatura esterna sia di 15 ◦C, si determinila temperatura di equilibrio.

Esercizio 12.22 : Si ripeta l’esercizio precedente ma in questo caso si supponga di voler prelevare

12.15. ESERCIZI 305

dal collettore una potenza termica pari a 400 W/m2 .

306 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

12.16 SOLUZIONI

Svolgimento dell’esercizio 12.1 :

Poiche 0 ◦C equivalgono a 32 ◦F e 100 ◦C equivalgono a 212 ◦F, risulta:

t (◦C) =5

9[t (◦F) − 32] =

5

9× [86 − 32] = 30 ◦C

Svolgimento dell’esercizio 12.2 :

Invertendo la relazione adoperata nell’esercizio precedente, si ottiene:

t (◦F) = 32 +9

5t (◦C) = 32 +

9

5×325 = 617 ◦F

Svolgimento dell’esercizio 12.3 :

Dall’equazione sulla dilatazione lineare abbiamo:

l = l1 [1 + α (t1 − t)] = 120 ×[

1 + 12 × 10−6 × (35 − 20)]

= 120.02 cm

Svolgimento dell’esercizio 12.4 :

Il periodo del pendolo e espresso dalla relazione:

T1 = 2 π

l1g

e quindi, considerando la legge di dilatazione lineare, e:

T2 = 2 π

l2g

= 2 π

l1 [1 + α (t2 − t1)]

g= 2 π

l1g

[1 + α (t2 − t1)] = T1

[1 + α (t2 − t1)]

Applichiamo ora le formule di approssimazione della radice quadrata:

T2 = T1

[

1 +1

2α (t2 − t1)

]

ovvero:T2 − T1

T1

=1

2α (t2 − t1) =

12 × 10−6 × (32 − 20)

2= 7.2 × 10−5

che rappresenta l’errore relativo del pendolo nelle nuove condizioni operative.Poiche l’errore totale richiesto e proprio pari al valore originario del periodo, il numero di oscillazioni

che il sistema dovra compiere per avere l’errore totale richiesto e proprio dato dall’inverso dell’errorepercentuale. Risulta pertanto:

n =T1

T2 − T1

che corrisponde ad un tempo:

∆ = n T1 =(T1)

2

T2 − T1

=1

7. 2 × 10−5= 13889.sec

(

≈ 3h 51min 29s)

Svolgimento dell’esercizio 12.5 :

Detta D1 la distanza tra i due perni ai quali sono fissate le due lamine abbiamo:

D2 = D1 [1 + α1 (t2 − t1)]

12.16. SOLUZIONI 307

poiche i perni sono solidali al primo materiale.Considerando ora che la distanza tra i punti di fissaggio delle due lamine di rame varia come D2,e

quindi aumenta con l’aumentare della temperatura, mentre la lunghezza totale delle lamine aumentacome:

2 l2 = 2 l1 [1 + α2 (t2 − t1)]

risulta che la distanza tra i due estremi prossimi delle lamine e:

∆ = D2 − 2 l2

e quindi diviene nulla se:D2 = 2 l2

ovvero:D1 [1 + α1 (t2 − t1)] = 2 l1 [1 + α2 (t2 − t1)]

Si ricava pertanto:

D1 = 2 l1[1 + α2 (t2 − t1)]

[1 + α1 (t2 − t1)]

La distanza originaria tra le due lamine deve pertanto essere:

δ = D1 − 2 l1 = 2 l1(α2 − α1) (t2 − t1)

[1 + α1 (t2 − t1)]= 0.010cm

Svolgimento dell’esercizio 12.6 :

Indichiamo con l1 la lunghezza minima, corrispondente alla temperatura minima t1, e con l2 lalunghezza massima, corrispondente alla temperatura massima t2. Risulta:

l1 = l [1 + α t1]

l2 = l [1 + α t2]

La variazione complessiva di lunghezza e quindi:

l2 − l1 = l [1 + α t1] − l [1 + α t2] = l α (t2 − t1) = .084 m

Svolgimento dell’esercizio 12.7 :

Per effetto del raffreddamento il filo tende ad accorciarsi ma viene costretto ad allungarsi, sino ariprendere la lunghezza originaria, dalla forza esercitata dai chiodi. Tale forza e di natura elastica ede, nell’ipotesi che si sia nella regione di Hooke, data da:

F = − k x

dove k e la costante elastica del filo ed x e l’accorciamento subito e quindi da compensare.Per determinare la costante elastica applichiamo la prima informazione fornita dal testo. Si ha:

k =

F

x

=1200

0.001= 1.2 × 106 N

m

mentre l’accorciamento e:

∆x = l α (t2 − t1) = 2.4 · 25 · 12 · 10−6 = 0.72 mm

e quindi la tensione esercitata sui chiodi e:

T = − k ∆x = 1.2 · 106 · 0.72 · 10−3 = 864 N

308 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Svolgimento dell’esercizio 12.8 :

La legge di dilatazione cubica dei gas si esprime con l’equazione:

V2 = V1 [1 + γ(t2 − t1)]

ove il coefficiente γe uguale per tutti i gas rarefatti e vale:

γ =1

273.15◦C−1

Risulta quindi:

V2 = 14 ·

[

1 +27

273.15

]

= 15.4 lt

Svolgimento dell’esercizio 12.9 :

Lo zero assoluto, riferito alla scala centigrada, si trova a −273.15 ◦C. Per ottenere l’equivalentetemperatura nella scala Fahrenheit occorre trasformare la scala centigrada nell’altra e quindi:

T ′ =9

5· (−273.15) + 32 = −459.67 ◦F

Svolgimento dell’esercizio 12.10 :

In questo caso occorre applicare l’equazione di stato dei gas perfetti, ovvero:

P V = n R T

dove il numero di moli n e pari ad uno. Si ottiene pertanto:

T =P V

R=

2 · 11

0.0821= 268 K

Svolgimento dell’esercizio 12.11 :

Ancora una volta applichiamo l’equazione di stato dei gas ideali e ricaviamo da questa il volume. Siottiene:

V =n R T

P=

2 · 0.0821 · 300

4= 12.3 lt

ove si e avuto cura di esprimere la temperatura in scala assoluta, quindi in Kelvin.

Svolgimento dell’esercizio 12.12 :

Dalla distribuzione di Maxwell si ricava che la velocita media e legata alla temperatura dalla relazione:

〈v〉 =

8 k T

π m

ove m e la massa molecolare delle particelle e, nel caso dell’idrogeno, vale 1 u.a. (= 1/NA gr).

Si ha pertanto:

〈v〉 =

8 · 8.31 · 300

3.14= 79.7

m

s

12.16. SOLUZIONI 309

Svolgimento dell’esercizio 12.13 :

Il ghiaccio, fondendo, assorbe una quantita di calore:

Q1 = m cF = 50 · 80 = 4000 cal

mentre l’acqua, cedendo questo calore, passa alla temperatura

t2 = t1 −Q1

M= 37 −

4000

400= 27 ◦C

A questo punto abbiamo una massa m = 50 g di acqua liquida a t2 = 0 ◦C ed una massa M = 400g di acqua liquida a t1 = 27 ◦C che si miscelano. Il calore fluira dall’acqua calda verso quella freddasinche la temperatura non sara divenuta uguale a t per entrambi i sistemi. Il bilancio del calore eallora:

M c (t1 − t) = m c (t − t2)

ovvero:(M + m) c t = M c t1 + m c t2

per cui

t =M t1

M + m=

400 · 27

400 + 50= 24.0 ◦C

Svolgimento dell’esercizio 12.14 :

Il calore assorbito dal ghiaccio per fondere e poi per riscaldarsi sino a 10 ◦C e dato da:

Q = m (cF + c t2) = 100 × (80 + 1 × 10) = 9000 cal

Tale calore viene ceduto dal liquido che subisce un raffreddamento. Pertanto e:

M x (t1 − t2) = Q

ove con x si e indicata la capacita termica incognita. Risulta allora:

x =Q

M (t1 − t2)=

9000

500 × 30= 0.6 cal/gr ◦C

Svolgimento dell’esercizio 12.15 :

Il calore ceduto dall’acqua bollente e:

Q1 = m (t2 − t1) = 1000 × 54 = 54 × 103 cal

mentre quello assorbito dall’acqua fredda sara:

Q2 = m (t1 − t) = 1000 × 24 = 34 × 103 cal

La differenza tra i due calori sara stata assorbita dal calorimetro:

Q1 − Q2 = 20 × 103 cal

Poiche la iniziale temperatura del calorimetro e di 12 ◦C mentre quella finale e di 46 ◦C, ilcalorimetro equivale ad una massa d’acqua espressa da:

meq =Q1 − Q2

t1 − t=

20 × 103

24= 833.3 g

310 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

Svolgimento dell’esercizio 12.16 :

Indichiamo con x il calore specifico incognito e teniamo presente che la miscela interna (essendoformata da acqua e ghiaccio) e sempre a 0 ◦ C; il calore ceduto dal corpo e dato da:

Q = M x t

che corrisponde alla fusione della massa m di ghiaccio:

Q = m cF

Ne consegue che risulta:

x =m cF

M t=

5 × 80

250 × 10= 0.16 cal/g ◦C

Svolgimento dell’esercizio 12.17 :

In questo caso di tratta della trasmissione di calore per conduzione in regime stazionario. Risultaquindi:

dQ

dt= h A (t2 − t1) =

λ

lA (t2 − t1)

e quindi:

dQ

dt=

400

0.15× 3 × 10−4 × 40 = 32 W

Poiche il calore e dato dalla potenza per il tempo, risulta:

Q =dQ

dt∆t = 32 × 15 × 60 = 28.8 kJ = 121 kcal

Svolgimento dell’esercizio 12.18 :

In questo caso abbiamo la trasmissione di calore per conduzione attraverso due materiali, con trasmis-sione in serie. Iniziamo col calcolare le singole trasmittanze.

Per la sbarra di acciaio abbiamo:

h1 =λ1

l1=

46

0.16= 288 W/◦C

mentre per il pezzo in rame si ha:

h2 =λ2

l2=

400

0.12= 3333 W/◦C

La resistenza termica totale e :

1

H=

1

h1

+1

h2

=0.16

46+

0.12

400= 3.8 × 10−3 ◦C/W

e pertanto:

H = 265 W/◦C

La potenza termica che fluisce attraverso l’intera sbarra e quindi, per unita di sezione, dato da:

12.16. SOLUZIONI 311

dQ

dt= H (t2 − t1) = 265 × 106 = 28 kW

Per determinare la temperatura della sezione intermedia calcoliamo la potenza termica trasmessaattraverso uno dei due pezzi della sbarra:

dQ

dt= h1 (t − t1)

e quindi:

t = t1 +1

h1

dQ

dt= 26 +

28 × 103

288= 123.2 ◦C

Per verifica eseguiamo lo stesso calcolo per l’altro pezzo della sbarra:

t = t2 −1

h2

dQ

dt= 132 −

28 × 103

3333= 123.6 ◦C

che, a meno delle approssimazioni, conferma il risultato precedente.

Svolgimento dell’esercizio 12.19 :

Iniziamo col determinare la potenza termica trasmessa per conduzione attraverso le pareti di polisti-rolo.

In questo caso abbiamo una conduzione in parallelo attraverso ognuna delle pareti laterali. Loscambio totale sara dato dalla somma degli scambi e quindi possiamo considerare semplicemente unalastra di spessore d ed area pari alla somma delle aree dei sei lati. Nel fare questo trascuriamo glieffetti ai bordi.

L’area totale e:

A = 2 (L h + l h + L l) = 3.76 m2

e quindi la potenza scambiata e:

dQ

dt=

λ

dA (t1 − t2) =

33 × 10−3

0.07× 3.76 × (23 − 0) = 40.77 W

Il calore che deve essere assorbito dal ghiaccio per fondere e, a sua volta, pari a:

Q = M cF = 2 × 103 × 80 = 160 × 103 cal = 670 × 103 J

Il tempo necessario affinche questo calore penetri nel recipiente e allora:

t =670 × 103

40.77= 16434 s (≈ 4h 33min 54s)

Svolgimento dell’esercizio 12.20 :

Per la legge di Stefan-Boltzmann la densita di potenza radiante e:

Φ = σ T 4 = 5.67 × 10−8 × 57004 = 6.0 × 107 W/m2

L’area della superfice emittente e:

S = π R2 = 1.52 × 1018 m2

e quindi la potenza globalmente emessa e:

312 CAPITOLO 12. LA CALORIMETRIA

W = Φ S = 91.3 × 1024 W

Svolgimento dell’esercizio 12.21 :

In questo caso abbiamo un sistema che assume una potenza termica costante, sotto forma di radiazionesolare, e che perde una potenza termica proporzionale al salto termico.

Per ottenersi l’equilibrio devono essere uguali le due potenze termiche e quindi:

dQ

dt= H (t2 − t1)

ove t1 e la temperatura ambientale e t2 e la temperatura raggiunta dal collettore.Risulta quindi:

t2 = t1 +1

H

dQ

dt= 15 +

1253

9= 154 ◦C

Svolgimento dell’esercizio 12.22 :

In questo caso la temperatura di equilibrio va determinata sottraendo alla potenza termica in ingresso,la potenza termica che si vuole asportare. Risulta pertanto che la temperatura d’equilibrio e:

t2 = t1 +1

H[dQ

dt− W ] = 15 +

1253 − 400

9= 110 ◦C

E’ da notare che nella realta le temperature di esercizio dei collettori solari sono molto piu basse ecio e dovuto all’esistenza dell’atmosfera che riduce la quantita di radiazione solare che effettivamentegiunge al suolo.