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13 1. LA BUSSOLA DELLA MENTE FUNZIONALE Mauro Bonali e Lina Stefanini doi: 10.7359/746-2015-stef 1.1. INTRODUZIONE La bussola è un corpo mobile, utile per orientarsi soprattutto dove non ci sono punti di riferimento. Seguire le indicazioni dell’ago permette di giun- gere in un porto sicuro. Così anche l’intervento educativo ha bisogno di de- finire le direzioni più efficaci in relazione a contesti dinamici e in continua trasformazione. Come l’ago della bussola è attratto dal nord, la nostra attenzione peda- gogica è orientata sulla capacità di apprendimento e sull’adattamento situa- zionale dei bambini in età evolutiva. Per questo presentiamo una pedagogia scientifica che studia, sperimenta e suggerisce interventi educativi coerenti con il percorso naturale di sviluppo del bambino attraverso il dialogo con l’ambiente, con cui interagisce naturalmente. Al lettore chiediamo uno sforzo di de-condizionamento rispetto a terminologie che normalmente de- finiscono l’educazione motoria che potrebbero limitare la visione globale della persona. Al posto di «ginnastica» o «educazione fisica» o «motrici- tà», termini che riducono l’idea di condotta unitaria personale, proponia- mo il concetto di «educazione neuro-funzionale di base». Una teoria sulla conoscenza del meccanismo di funzionamento del soggetto nella relazio- ne operativa con il mondo esterno. Partiamo dall’ipotesi che il cervello è un insieme di funzioni che genera il sé personale e di cui è indispensabile comprendere il funzionamento per pianificare percorsi educativi adeguati. È un «sistema aperto» in stato di veglia che funziona con modalità non coscienti e coscienti e assume e gestisce le informazioni che provengono da sé e dall’ambiente. Un meccanismo che continuamente si modifica in con- La bussola della mente funzionale. Dal corpo intelligente al sé operativo - A cura di M. Bonali, L. Stefanini e A. Antonietti - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/ledonline/746-bussola-mente-funzionale

La bussola della mente funzionale - Led on Line · La nostra proposta nasce da una pedagogia scientifica e si pone come finalità l’attivazione, l’ordine e la capacità di gestione

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    1.LA BUSSOLA DELLA MENTE FUNZIONALEMauro Bonali e Lina Stefanini

    doi: 10.7359/746-2015-stef

    1.1. introDuzione

    La bussola è un corpo mobile, utile per orientarsi soprattutto dove non ci sono punti di riferimento. Seguire le indicazioni dell’ago permette di giun-gere in un porto sicuro. Così anche l’intervento educativo ha bisogno di de-finire le direzioni più efficaci in relazione a contesti dinamici e in continua trasformazione.

    Come l’ago della bussola è attratto dal nord, la nostra attenzione peda-gogica è orientata sulla capacità di apprendimento e sull’adattamento situa-zionale dei bambini in età evolutiva. Per questo presentiamo una pedagogia scientifica che studia, sperimenta e suggerisce interventi educativi coerenti con il percorso naturale di sviluppo del bambino attraverso il dialogo con l’ambiente, con cui interagisce naturalmente. Al lettore chiediamo uno sforzo di de-condizionamento rispetto a terminologie che normalmente de-finiscono l’educazione motoria che potrebbero limitare la visione globale della persona. Al posto di «ginnastica» o «educazione fisica» o «motrici-tà», termini che riducono l’idea di condotta unitaria personale, proponia-mo il concetto di «educazione neuro-funzionale di base». Una teoria sulla conoscenza del meccanismo di funzionamento del soggetto nella relazio-ne operativa con il mondo esterno. Partiamo dall’ipotesi che il cervello è un insieme di funzioni che genera il sé personale e di cui è indispensabile comprendere il funzionamento per pianificare percorsi educativi adeguati. È un «sistema aperto» in stato di veglia che funziona con modalità non coscienti e coscienti e assume e gestisce le informazioni che provengono da sé e dall’ambiente. Un meccanismo che continuamente si modifica in con-

    La bussola della mente funzionale. Dal corpo intelligente al sé operativo - A cura di M. Bonali, L. Stefanini e A. Antonietti - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/ledonline/746-bussola-mente-funzionale

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    Mauro Bonali e Lina Stefanini

    seguenza delle esperienze vissute, capace di rispondere ai bisogni propri e ambientali in rapporto al tempo a disposizione. A volte occorre risolvere situazioni in breve tempo e la risposta deve essere immediata, altre volte ab biamo la possibilità di approfondirle senza fretta perché la risposta possa essere più «pensata».

    Il giocatore di scacchi. La partita è avvincente e la concentrazione segna il vol to dei giocatori. Quale sarà la prossima mossa e perché proprio quella? Gli occhi scorrono e si soffermano su ogni punto della scacchiera, accarezzano ogni pedina e immaginano spostamenti in varie direzioni. Imperano la razio-nalità e il ragionamento, è evidente, ma ad un tratto è una «lampadina che si accende» che rivela al giocatore la mossa vincente. È l’intuizione che sgorga dalla non coscienza a risolvere il problema.

    Osservando con attenzione la nostra società, notiamo che ha esigenze di-verse da quelle di un passato seppur recente. Gli adulti si accorgono del cambiamento mentre i bambini conoscono solo l’attualità. Ma quali sono le richieste sociali oggi? E di cosa ha bisogno il bambino per rispondere a tali richieste? Comprendendo questo possiamo ripensare il sistema educativo attraverso una pedagogia adeguata. Ma torniamo al funzionamento del cer-vello. Alla nascita è dotato di un corredo genetico che gli permetterà sempre più di avvertire i pericoli, di provare piacere e dispiacere, di apprendere, di adattarsi alle sollecitazioni, di risolvere e rispondere alle diverse situazioni. Ma questa dotazione non è subito pronta ed efficace ed occorre tempo per-ché sviluppi e maturi il suo funzionamento. La plasticità sinaptica permette al cervello di riorganizzare la propria struttura funzionale in conseguen-za alle esperienze vissute. L’agire determina la continua riorganizzazione dell’insieme neuro-funzionale che è alla base dei nostri comportamenti. La funzionalità cognitiva personale e ambientale permette di comprendere sé e l’ambiente e di fare scelte; la lettura di sé avviene per interiorizzazione attraverso l’autopercezione. La lettura delle situazioni ambientali esige la capacità di percezione e rappresentazione mentale (in modo globale e nei particolari). Bisogna ricordare però che percepire, dunque prendere co-scienza, è facoltativo e quindi si tratta di capire quando sia opportuno far-lo, oppure lasciar giocare una gestione dell’informazione più superficiale e meno cosciente. Non dimentichiamo però gli aspetti emozionale e morale che rendono socialmente accettabile il nostro comportamento e per questo meritano una particolare attenzione educativa. Se consideriamo ora la gior-nata scolastica ci accorgiamo che ogni momento può essere utile per realiz-zare interventi educativo-funzionali. Proprio per questo al nido, alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria, tutti i contesti e le situazioni sono stati per noi occasioni carpe diem (laboratori, routine quotidiane, aspetti di cura,

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    circle time, ecc.). Osservando il bambino è risultato evidente, nelle attività sperimentali introdotte a campione in alcuni ambiti scolastici, quanto tutta la funzionalità possa essere sollecitata attraverso l’agire. Riteniamo che l’ac-quisizione di abilità esecutive e di conoscenze, necessiti di complementarie-tà tra razionalità e intuizione, tra l’agire programmato e spontaneo rispetto agli apprendimenti, e che la relazione con gli altri si realizzi attraverso la comunicazione, la collaborazione, il controllo delle emozioni, la formazio-ne del senso morale e altro ancora.

    Nel capitolo sono trattati inoltre altri temi quali:• La funzione simbolica, che permette di rappresentare la realtà attraverso

    simboli fedeli (una fotografia, un disegno), simboli non fedeli ma che per convenzione stabiliamo corrispondano alla realtà (per esempio, i colori delle bandiere nazionali) o talmente astratti che difficilmente si possono associare alla realtà (è il caso di complesse astrazioni matematiche). Si pensi quante proposte educative possono permettere al bambino di sti-molare la rappresentazione mentale, ma occorre credere nell’agire come attivazione di base fondamentale per il funzionamento di tutto il nostro sistema comprese le più alte astrazioni.

    • La memoria intesa come trattenimento delle informazioni a brevissimo termine che noi definiamo «usa e getta» (le azioni di una partita di cal-cio), a breve termine (memoria di lavoro), fino alla memoria a lungo ter-mine che può essere archiviata. Anche in questo caso un buon metodo educativo può creare i presupposti per una attivazione precisa e mirata.

    • L’aspetto energetico in relazione all’attenzione. In effetti energia troppo bassa determina scarsa attenzione mentre se sale il livello energetico sale anche l’attenzione fino ad un punto di equilibrio chiamato eutonia; se sale eccessivamente l’attenzione inizia a scendere.

    La nostra proposta nasce da una pedagogia scientifica e si pone come finalità l’attivazione, l’ordine e la capacità di gestione del sistema neuro-funzionale. La «bussola della mente funzionale» è la metafora che richiama l’orientamento dell’attenzione sulla propria persona e sull’ambiente ester-no, sugli scopi e sulle procedure per raggiungerli.

    Noi crediamo che solo una pedagogia scientifica con il contributo in-dispensabile di altre scienze (medicina, neuroscienze, psicologia, sociolo-gia, filosofia, scienze motorie) possa interpretare il neuro-funzionamento del soggetto e rispondere alle richieste di una società in continua evolu-zione.

    Bisognerà prima o poi tornare al coltivare, quando si nomina la scuola. Non tanto per sostituirla con la manualità del lavoro nei campi sotto i cieli aperti, quanto piuttosto per ragioni contrapposte. Ovvero, bisognerà ricordarsi del

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    Mauro Bonali e Lina Stefanini

    contadino metaforico che coltiva di nascosto dentro l’etimologia della parola cultura, e che dentro la scuola dovrebbe trovare terra fertile. E dunque da quel contadino metaforico bisognerebbe imparare prima di tutto il tempo, l’attesa, la difesa, la dilatazione, l’accelerazione. Poi a seguire lo spazio, l’inclinazione, l’esposizione, la tensione, la torsione, lo slancio. E infine ricordarsi che c’è anche il cielo, da qualche parte, sopra la testa dei ragazzi. (A. Bajani)

    La «bussola della mente funzionale» può rappresentare una proposta per accompagnare ognuno di noi a costruirsi un proprio metodo di appren-dimento e di adattamento situazionale e per giungere ad una efficace ed economica gestione di sé.

    1.2. neuro-funzionaLità

    Possiamo ascoltare il nostro corpo, prenderne coscienza, oppure ignorarlo per dedicare completamente la nostra attenzione alle richieste ambientali.

    Potremmo essere seduti e non prendere coscienza di quali parti dei no stri piedi toccano il suolo, oppure ricevere una palla da basket e non «sentire» con quale parte della mano la afferriamo; ma questo non ci impedisce di rimanere comodamente seduti e di ricevere la palla senza problemi. Gestualità e posture possono essere efficaci e permetterci di raggiungere gli scopi senza che le informazioni debbano necessariamen-te essere elaborate e analizzate in modo razionale. Questo tra l’altro ci consente un agire più rapido e non per questo meno funzionale. Il nostro corpo è in grado di rispondere agli stimoli ambientali anche senza che l’in-formazione giunga alla corteccia cerebrale, dunque senza prenderne co-scienza: è il caso di una frenata improvvisa in auto per evitare un ostacolo imprevisto. Una elaborazione troppo raffinata dell’informazione avrebbe bisogno di molto più tempo e questo impedirebbe di risolvere immediata-mente il problema.

    È altresì possibile prendere coscienza di ciò che avviene o di ciò che si sta facendo, come nel caso in cui si decida di controllare ogni movimento della manovra per parcheggiare l’auto in garage.

    Entrambi i percorsi funzionali sono indispensabili e si completano: il primo per realizzare un modo di agire più spontaneo, rapido ed economi-co; il secondo per gestire volontariamente i propri movimenti, anche nei minimi particolari.

    Prendiamo come esempio il gioco del calcio che tra l’altro è oggetto della nostra ricerca e sperimentazione. Durante la partita, la palla viene gui-data dai piedi del giocatore in tempi veloci e quindi senza presa di coscien-

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    1. La bussola della mente funzionale

    za della procedura; diversamente verrebbe perso troppo tempo e l’azione risulterebbe improduttiva; in allenamento, invece, portare l’attenzione sulle modalità gestuali e posturali è utile per comprendere se l’esecuzione proce-durale risponde alle esigenze tecniche.

    Altra situazione che abbiamo verificato è la postura che si assume nel banco a scuola o in attività lavorativa. Il corpo si posiziona per facilitare le proprie azioni e questo avviene spontaneamente. Quando non si riesce nel l’intento e risultiamo inadeguati ed inefficaci o diseconomici, occorre utilizzare la presa di coscienza per controllare ogni dettaglio funzionale alla situazione.

    Ma la percezione di sé è facoltativa e ci vuole l’intenzione di percepire; possiamo anche non farlo e comunque agire con gestualità e posture effica-ci, ricordando però che ciò che abbiamo agito può non essere memorizzato in modo corretto nel nostro magazzino di informazioni.

    Nell’aula dell’università entrano gli studenti, si siedono mentre salutano me ed i compagni di corso. Mi guardano e attendono che io dichiari l’argomento della lezione. Invece a sorpresa chiedo: «Quale parti del vostro corpo sono in contatto con la sedia e con il suolo?». E ancora: «Ci sono quadri appesi dietro di voi alle pareti?». Questo dimostra che non tutte le informazioni sono gesti-te in modo in modo cosciente.

    Invece per programmare il nostro agire e non limitarci solo alla spontaneità è necessario saper ascoltare il corpo e sentirne gli stati e le reazioni, dunque averne coscienza. L’educazione ci può aiutare, può cioè indurre l’attenzio-ne su noi e sull’ambiente.

    «Mi scusi, la devo avvisare che non ho mai guidato». Sono teso. L’istruttore di scuola guida mi guarda e sorride; conosce la situazione è esperto. Mi invita ad entrare in auto. «Questi sono i pedali con compiti diversi». «Beh è eviden-te che questo è il volante e a cosa serve è intuibile». Man mano si sommano informazioni sicuramente logiche e comprensibili, ma ricordarle e tradurle in pratica sarà possibile? Goffamente muovo gli arti per gestire volante, cambio e pedali. Guardo i pedali, perché i piedi non li trovano ancora facilmente. Il mio agire è lento e frammentato, ma con il passare del tempo lo è sempre me-no. Mi accorgo che la mia attenzione può dedicarsi sempre di più all’ambiente perché tutto avviene automaticamente.

    Percepire allora significa rendere coscienti le informazioni che provengono da noi stessi (propriocezione) e dall’ambiente (esterocezione).

    Inoltre la percezione provoca la formazione di rappresentazioni menta-li che possono anticipare immagini di qualcosa che non è ancora avvenuto o ricordare ciò che è già successo.

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    Mauro Bonali e Lina Stefanini

    Un giocatore di basket riceve la palla mentre viene informato dalla pro-pria sensorialità (cinque sensi e kinestesia) sulla situazione ambientale (po-sizionamento di avversari e compagni, ecc.) e personale (proprio equilibrio, orientamento spaziale, distanza dal canestro, ecc.). Questo gli permette di gestirsi al meglio perché può comprendere ciò che succede e fare ipotesi di quello che potrà succedere. La conoscenza di sé e del contesto, permette di programmare la motricità e dunque di modificare l’azione dove la stessa non risulti adeguata alla situazione contestuale.

    La percezione di sé ci informa sul nostro stato, ci rende consapevoli del nostro essere e del nostro agire.

    Sento che mi sto agitando, non sono stato corretto, mi sento pronto, concen-trato, so che la mia comprensione risulta migliore se traduco le informazioni in uno schema, agisco.

    Quando ci confrontiamo con una situazione entrano in gioco quelli che chiamiamo aspetti mentali: emozionale («mi sto agitando»), morale («non so no corretto»), partecipativo («sono pronto, concentrato»), cognitivo («de vo capire meglio»), cognitivo-motorio («eseguo»). Questi aspetti se ben in tegrati ci permettono di porci in modo adeguato di fronte alle situazioni.

    La percezione dell’ambiente invece è la capacità di acquisire le infor-mazioni del mondo circostante, in modo cosciente; permette di riconoscere significati, cause, effetti e correlazioni che caratterizzano contesti e eventi osservati.

    Sono le sei del mattino non riesco a dormire, esco; senza fretta cammino verso il lago, nessuno attorno. Ecco sono a pochi metri dall’acqua, mi fermo e guar-do il panorama. La sensazione di calma e di tranquillità mi mette in simbiosi con l’ambiente. Quello che colgo è un insieme indistinto: la montagna sem-bra essere nel lago e nel cielo. Vengo attratto dai colori di questo splendido dipinto della natura sull’acqua, osservo anche le forme e le caratteristiche di ogni cosa. Analizzo, percepisco, prendo coscienza di questo quadro naturale che in un attimo aveva acceso le mie emozioni e ora sollecita la mia compren-sione cognitiva. Un paesaggio così bello e ben composto, nel quale ogni cosa è in relazione naturale e logica con le altre ha acceso in me una immediata, spontanea e globale ammirazione. Poi il mio interesse si è rivolto alle parti di questo stu-pendo insieme, fino all’analisi dei dettagli. Percorro come sempre, in auto, la strada che mi porta al lavoro: scorrono davanti ai miei occhi luoghi conosciuti, campi ai lati della strada, case e fab-briche, anche le persone sembrano le stesse degli altri giorni. I cartelli della segnaletica stradale fanno parte di questo contesto a me familiare. Ma ecco che un nuovo cartello attira la mia attenzione: lavori in corso sulla carreg-

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    1. La bussola della mente funzionale

    giata. Lo leggo nei dettagli per capire esattamente a cosa si riferisce e prendo coscienza del significato della sua simbolica composizione. Poi continuando nel mio percorso mi ritrovo a leggere tutti i cartelli che incontro scoprendo tra l’altro che molti di loro non li avevo mai percepiti correttamente. L’ambiente percepito è reale ma contiene anche simboli che lo rappresentano e che risul-tano utili alla comprensione della situazione.

    Alcuni mesi fa alla radio, venne posta una domanda in diretta agli ascolta-tori e offerto un premio a chi per primo avesse dato la risposta all’apparen-temente facile quesito: «I pinguini hanno le ginocchia?».

    Telefono alla mano ero pronto a rispondere ma di colpo mi prese il dubbio; l’immagine che avevo in mente del pinguino nel suo insieme non bastava a ricordarne i particolari, ma la cultura scolastica mi venne in soccorso e mi ricordai che nelle classificazioni degli animali il pinguino fa parte della spe-cie degli uccelli e pertanto deve essere dotato di zampe con una articolazione come la nostra. La mia percezione, cioè l’immagine memorizzata mi avrebbe indotto all’errore, ma la cultura scolastica mi ha salvato. Comunque il tempo a mia disposizione era scaduto e un ascoltatore più informato e veloce si era già accaparrato il premio sostanzioso: peccato! Le percezioni essendo facoltati-ve, a volte, ci possono portare all’errore di interpretazione.

    Sto guidando nel traffico e devo sapermi gestire. La mia sensorialità controlla l’ambiente circostante: la vista mi fornisce informazioni di fronte e di lato e attraverso gli specchietti retrovisori anche sul retro. L’udito completa le in-formazioni visive. Ho tutti gli elementi che mi permettono di procedere nella direzione desiderata senza intoppi. Contemporaneamente ricevo informazioni che provengono da me (sullo stato del mio corpo e sul modo in cui sto utiliz-zando il mezzo) perché io riesca a guidare efficacemente. Non c’è discontinui-tà tra l’agire e l’assumere informazioni.

    L’azione, che esprimiamo attraverso il corpo, quindi, rappresenta la risposta o la proposta alla situazione ambientale che stiamo vivendo e che continua-mente ripianifichiamo nel tempo. È il significato stesso della situazione, pre-sente o rappresentata mentalmente, che rende unitari la persona e l’ambiente.

    Se improvvisamente guidando con la precedenza a nostro favore e un altro automezzo, in modo imprevisto, ci taglia la strada non rispettando il diritto di precedenza, dobbiamo rimodulare la risposta adeguandola alla nuova situazione.

    Un corpo disponibile sa tradurre l’intenzione di agire, più o meno co-sciente, in motricità. Ma occorre allora sapere che poli, apparentemente distanti ma invece complementari, motivano e finalizzano le nostre azioni: il polo pragmatico e il polo espressivo:

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    • La motricità pragmatica determina la direzione verso gli scopi da rag-giungere: una schiacciata nel volley potrebbe essere eseguita in modo non da manuale ma se la palla batte a terra nell’altro campo l’arbitro assegna il punto.

    • La motricità espressiva invece più estetica e comunicativa permette di trasmettere emozioni, sentimenti ed anche concetti, idee, immagini: in un balletto classico per esempio si possono riconoscere tristezza, sofferenza, allegria; rappresentando invece una favola di Esopo si possono esprimere concetti.

    È in questo modo che il movimento attraverso posture, gestualità, mi-mica del viso, sa rappresentare la realtà nei suoi contenuti sociali, culturali, sportivi e valoriali.

    La capacità di percepire il proprio corpo permette di conoscerne le parti e l’insieme: dati anatomici, topologici, funzionali, e di considerare dati esterni quali forme, colori, dimensioni, ecc. La conoscenza di questo repertorio personale rende cosciente la gestione delle capacità percettivo-motorie e dei fattori di intensità esecutiva, dunque qualità e quantità della risposta motoria. Un miglior controllo del proprio corpo ci permette di rea lizzare gestualità articolate e complesse da adattare alle attività situazio-nali le più disparate e a quelle sportive di buon livello.

    La presa di informazione da sé e dall’ambiente, globale o elaborata, dunque gestita spontaneamente oppure percepita in modo cosciente, non può prescindere dall’azione. Azione e percezione infatti non sono scindibili perché sono parti integrate dello stesso sistema: l’insieme funzionale della persona.

    1.3. i neuro-CamPi

    Poniamo l’ipotesi che la mente abbia come unica finalità «comprendere, elaborare e fare scelte». Comprendere ambienti, situazioni, sé, in modo non cosciente e con la possibilità di prenderne coscienza. Fare scelte per decidere razionalmente oppure intuitivamente in merito all’azione (agire o non agire) e al pensiero (assumere una propria idea rispetto a concetti, cose, situazioni). La gerarchia del sistema nervoso centrale offre livelli di-versi di gestione di tali attività. Comprendere e fare scelte vantaggiose per sopravvivere ma anche per realizzarsi nel vivere quotidiano. Popolazioni di neuroni si specializzano per adempiere a questo importante compito. Aree, formazioni, connessioni del sistema neuro-funzionale lavorano attivando circuiti specifici che fan parte di un meccanismo d’insieme. Molte funzioni associate concorrono ad obiettivi comuni; nessuna ha valore isolatamente,

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    1. La bussola della mente funzionale

    tutte divengono nobili partecipando al sistema globale. La persona incon-tra continuamente situazioni e attraverso un adattamento intelligente si ge-stisce e le gestisce. Ora se assumiamo l’ipotesi che ogni situazione è diversa dalle altre, per ognuna di esse la mente deve attivare i circuiti più adatti del sistema neuro-funzionale. Inoltre lo stato personale varia: cambiano le emozioni, fluttua l’energia, le motivazioni attivano e dirottano diversamen-te l’attenzione. Per questo la mente ad ogni situazione recluta il territorio neuro-funzionale che ritiene più adatto ed efficace in quel momento. Una sorta di campo neuro-funzionale: un «neuro-campo». Questo territorio at-tivato è: dinamico perché si modifica continuamente; esteso più o meno e con forme diverse in rapporto al momento e alle circostanze; situazio-nale perché mirato al variare degli eventi; personale perché si diversifica da soggetto a soggetto. Le nostre ricerche negli asili nido e nelle scuole del l’infanzia hanno ben evidenziato quanto, anche in bambini di differenti età, la comprensione e le scelte, possono originare da informazioni ed ela-borazioni diverse in situazioni simili. Del resto capita anche a noi, in una stazione metropolitana per scegliere quale treno prendere, utilizzare vari criteri: a volte i numeri delle linee, altre volte i colori, altre ancora i percorsi di direzione, o persino l’intuito.

    1.4. La ProPosta

    La situazione scolastica attuale sembra essere particolarmente problemati-ca: educatori e insegnanti, tecnici sportivi, genitori, incontrano quotidiana-mente difficoltà nel gestire i bambini nella scuola, nello sport, in famiglia: si avverte la necessità di riorganizzare l’ambito educativo. Si è tutti alla ri-cerca di prospettive adatte alle nuove generazioni. Soprattutto nel panora-ma scolastico e sportivo, si evidenzia una forte richiesta di nuove proposte che permettano di pensare e declinare azioni educative efficaci. La teoria CFM (Compass of Functional Mind) crediamo possa rappresentare una progettualità innovativa per pianificare gli interventi educativi. Una delle maggiori difficoltà dell’apprendimento si riscontra nel passaggio dalle azio-ni concrete all’astrazione, dal reale al simbolico dunque nella capacità di rappresentare la realtà, associarla a simboli, anche quando non è evidente il legame diretto. Se è relativamente facile associare un oggetto reale ad un simbolo che lo richiami, la difficoltà aumenta quando i simboli sono tasselli di un codice o di formule.

    Ovviamente l’esempio più significativo è la matematica. Quando sim-bolo e realtà si allontanano, si entra in un mondo che chiede, per essere com preso, un’attività cognitiva che non genera dall’azione diretta. La com-

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    Mauro Bonali e Lina Stefanini

    prensione diviene difficile e addirittura ostica, quando, sempre più immersi nel mondo dei simboli, la realtà e la sua rappresentazione non sono asso-ciabili. Ma l’agire o meglio le azioni concrete sono fondamentali perché le categorie mentali (tempo, spazio e logica) generano dentro la nostra mente fin da bambini attraverso il fare. Queste categorie primitive, che reggono tutto il pensiero compreso quello matematico (scientifico e logico) si pos-sono apprendere solo attraverso esperienze personali. Abbiamo osserva-to nelle attività dei bambini che l’azione non distingue tra sensoriale ed esecutivo, tra cognitivo e motorio, bensì è causa e conseguenza al tempo stesso: se afferro un oggetto, informazione e gestualità si completano ed insieme raggiungono lo scopo. E se l’azione viene inibita, cioè abbiamo so-lo intenzione di afferrare un oggetto, i nostri neuroni motori comunque si attivano e riusciamo anche a capire le intenzioni degli altri dai loro gesti: questo significa che apprendiamo agendo e capiamo le intenzioni degli altri in chiave motoria; ecco perché è così importante sollecitare maggiormente l’aspetto corporeo in ambito educativo, cioè l’agire finalizzato, dato che la comprensione di quello che viviamo nella quotidianità e la sua rappresenta-zione simbolica dipendono dalle nostre esperienze.

    Sono in auto, è tardi no n riesco ad arrivare in tempo all’appuntamento di lavoro, il traffico mi fa rallentare. L’unica possibilità è passare in quella via con divieto di accesso. Un po’ mi agito, so che non dovrei farlo, valuto spazi e tempi, trovo un compromesso con la mia moralità, predispongo il mio corpo all’azione e decido di rischiare. Entro nella via, spero di non combinare guai, esco. Probabilmente arrivo in tempo all’appuntamento.

    Le ricerche evidenziano anche come nel nostro agire quotidiano entrino in gioco, integrati, quelli che noi definiamo gli aspetti della mente: cogni-tivo ambientale e personale, morale emozionale, partecipativo-energetico. Il corpo traduce concretamente l’agire mentale, non come strumento della mente, ma tramite tra il sé e la realtà, che agisce la mente e la esprime attra-verso condotte unitarie: un «corpo intelligente».

    1.5. iL CorPo inteLLigente

    Espressione diretta della mente, è un corpo disponibile ad agire, adattarsi al l’ambiente e apprendere in ogni situazione. Attraverso il corpo l’essere umano dialoga con il mondo esterno per rispondere al proprio istinto di sopravvivenza, per rassicurarsi, agire, conoscere, emozionarsi. Il mondo ci attrae e la relazione con l’ambiente procura cambiamenti: ogni esperienza ci impegna in una sorta di riorganizzazione delle conoscenze e della abili-

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    tà esecutive. L’importanza dell’apprendere per esperienza diretta è ancora poco valorizzato. La filosofia che ha sostenuto il dualismo mente-corpo pri-vilegia la mente rispetto ad un corpo-strumento. Questa teoria antepone il pensiero all’azione. Se pensiamo invece al corpo come tramite tra mentale e reale, la persona esprime nelle condotte tutta la sua unitarietà. Il corpo traduce concretamente il sé personale. L’educazione sovente nega l’impor-tanza dell’apprendere attraverso l’azione, mentre le neuroscienze la ricono-scono come determinante in età evolutiva, in quanto consente di concepire le categorie che presiedono al pensiero. Il movimento quindi, non è solo l’aspetto dinamico della persona, ma è soprattutto l’espressione cognitiva/emotiva/etica/energetica dell’essere umano. Già alla nascita è attiva una funzionalità motoria programmata che ci consente, inizialmente, di soddi-sfare i bisogni vitali e con gradualità, di entrare in relazione con il mondo. La «natura» della persona incontra così la «cultura» del mondo. Il nostro cervello nei primi anni di vita dispone di eccedenza neuronale e, attraver-so una selezione naturale (apoptosi), costruisce la rete di connessioni che sempre più lo caratterizzerà. Questa plasticità e le esperienze determinano la nostra unicità. Simili agli altri perché in possesso di un meccanismo di funzionamento universale, diversi per patrimonio genetico e percorsi espe-rienziali. Riteniamo determinante l’intervento educativo attento all’intera-zione tra organismo e ambiente, un processo permanente di adattamento situazionale che abbiamo verificato in situazioni sperimentali. In effetti l’interazione con l’ambiente si realizza attraverso l’intervento delle strut-ture cognitive che permettono di elaborare le informazioni e organizzare risposte adeguate. L’apprendimento invece rappresenta la disponibilità del soggetto a integrare conoscenze ed esecuzioni. Gli apprendimenti acquisiti se applicati con efficacia ci rendono competenti e in grado di risolvere le situazioni ambientali. La realizzazione del soggetto si definisce attraverso la sua capacità di apprendimento e alla sua disponibilità all’adattamento situazionale.

    La partita è iniziata. La palla è una e i giocatori tanti; tutti la vogliono e per riuscire a prenderla sono pronti a tutto. Sì, ma un regolamento codificato pone dei limiti all’azione. Eccola la palla, vagante, a volte prevedibile nelle sue traiettorie e a volte imprevedibile, ma sempre attraente e accattivante. Due giocatori si avventano per appropriarsene, ma solo uno dei due riuscirà nell’intento. Le emozioni alzano i toni, l’aggressività spinge alla conquista, il senso morale regola il comportamento. I giocatori devono conciliare la deter-minazione richiesta dall’agonismo con l’equilibrio tra emozioni e moralità. Tutti gli aspetti mentali entrano in gioco!

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    1.5.1. Interpretazioni del corpo

    35 litri d’acqua, 20 chili di carbonio, 4 litri di ammoniaca, un chilo e mezzo di calcio, 800 grammi di fosforo, 250 grammi di sale, 100 grammi di salnitro, 800 grammi di zolfo,7.5 grammi di fluoro, 5 grammi di ferro, 3 grammi di silicio, più altri elementi in minima quantità. (E. Erlic)

    Ma il corpo può prestarsi a interpretazioni diverse e ogni cultura ha la pro-pria. I modelli che comunque sembrano permanere come riferimento sono il corpo estetico, il corpo prestativo e il corpo funzionale.

    1.5.2. Il corpo estetico

    Un corpo che insegue la bellezza e va alla ricerca dell’originalità palese: una pagina bianca su cui ciascuno è libero di ridisegnare la propria immagine. Tatuaggi che affrescano porzioni di pelle sempre più ampie, piercing che trafiggono orecchi, nasi o sopracciglia. Oppure un corpo da rimodellare con diete feroci per assottigliarlo, o ancora da esporre a lettini abbronzanti per cambiarne il colore della pelle o modificarne le caratteristiche somatiche.

    1.5.3. Il corpo prestativo

    In questo caso viene chiesto al corpo, in alcuni casi fino all’esasperazione, il superamento delle naturali prestazioni relative all’intensità esecutiva; non solo nello sport ma anche nella quotidianità. È un corpo «fisico» che sfida i propri limiti.

    1.5.4. Il corpo funzionale

    È il corpo che esprime l’unitarietà della persona; un corpo disponibile, un «corpo intelligente», tramite tra il mentale e il reale. Pronto ad agire o a inibire l’azione, ad adattarsi alle situazioni e ad apprendere. Un corpo prag-matico e comunicativo. Espressione della mente nella relazione operativa o conviviale con il mondo. Questo fa sì che attraverso le esperienze avvenga la riorganizzazione del nostro insieme neuro-funzionale, aprendo ogni vol-ta nuove opportunità.

    1.5.5. Il corpo del bambino

    L’uomo nasce con un corredo genetico che gli consente di entrare imme-diatamente in rapporto con il mondo. Il sistema vegetativo garantisce le

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    fun zioni vitali, il sistema della vita di relazione permette gli scambi senso-motori. Chi coordina i due sistemi è l’insieme delle neuro-funzioni. Inizia così un dialogo permanente, dove genetico e acquisito guardano insieme al futuro e non sono più distinguibili natura e cultura. È come se fossimo già iscritti prima della nascita a «corsi introduttivi» e a «esperienze» di perfe-zionamento per affrontare quel meraviglioso cammino che è la vita. «Espo-sti» alla motricità, al linguaggio, alla comprensione dei «con-testi» e alle loro rappresentazioni simboliche, a risolvere problemi e a dare significato al nostro essere. Per altro nasciamo completamente dipendenti dagli adulti per quanto riguarda la sicurezza e la sopravvivenza, la protezione e il con-forto; dipendenti anche per conoscere le regole del vivere quotidiano, allea-ti nell’affrontare gli apprendimenti per immagazzinare le conoscenze, le esecuzioni per tradurle in competenze. Ognuno di noi ha una propria idea di bambino che origina dall’esperienza e dal patrimonio culturale e sociale a cui fa riferimento. Per noi è quella di un bambino che sappia esprimere il proprio potenziale, curioso di conoscere il mondo e con un grande deside-rio di agire. Il cervello nei primi anni di vita è meravigliosamente plastico e questo favorisce possibilità di sviluppo praticamente infinite. Le doti ge-netiche entrano in relazione con l’ambiente esterno. Il mondo si presenta a noi con proprie caratteristiche: alcune vengono ben presto sperimentate, riconosciute e quindi prevedibili (es. la forza di gravità), altre inizialmente più difficili da comprendere (es. la forza centrifuga). Da qui l’importanza delle occasioni fornite e la solidarietà naturale tra l’individuo e l’ambien-te in cui vive. Dunque è fondamentale offrire contesti educativi adeguati. L’interazione organismo-ambiente è imprescindibile nel percorso di svilup-po e va sollecitata nella giusta misura perché deve garantire l’equilibrio tra sé e il mondo esterno. La «bussola della mente funzionale» interpreta il corpo come espressione della mente secondo un processo naturale che non riconosce dualismi; un corpo disponibile ad adattamenti continui, pronto a rinnovarsi e a riorganizzare le proprie risorse, alla ricerca di condotte so-cialmente accettabili.

    Occorre però dare ordine di ingresso alle molte informazioni che giungono dall’ambiente e da sé, per poterle poi gestire attraverso i pro-cessi percettivi, elaborativi e rielaborativi. Ma soprattutto è indispensabile l’agire per non subire la realtà, per rispondere meglio alla nostra natura che ci introduce al mondo attraverso l’azione. È necessario educare le ca-pacità di ascoltare e comprendere i segnali del nostro corpo, l’attenzione a sé, la percezione di quello che siamo. Non ultimo dovremmo recuperare il contatto con l’ambiente naturale, pensando che tra l’uomo e la natura esiste un legame più profondo della semplice interazione per la sopravvi-venza.

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    1.5.6. Ma come funzioniamo?

    Ciascuno di noi, attraverso il proprio corpo, entra in relazione con l’am-biente e dialoga con il mondo. L’attenzione viene alternata su di sé e sull’e-sterno. Ogni situazione vissuta sollecita il nostro insieme neuro-funzionale e richiede comportamenti adattivi.

    In auto mi muovo nel traffico cittadino. Immerso nei miei pensieri, avendo pianificato la sequenza delle cose che mi sono proposto di fare, le ripercorro con la mente. Intanto mi destreggio con la guida, ma senza prendere coscien-za né dei miei gesti e nemmeno del movimento delle altre auto sulla strada; eppure sembra non ci siano problemi o rischi di sorta. Improvvisamente l’im-magine mentale delle chiavi che ho dimenticato a casa; poi ancora immagini della strada, rumori, odori, che entrano in me senza essere compresi dalla coscienza. Il mio insieme neuro-funzionale cosciente e non cosciente accende più o meno aree e connessioni per quel che richiedono l’adattamento situazio-nale e la mia sfera di pensiero e resta sempre aperto, pronto ad attivarsi.

    1.5.7. Perché dalla nascita cerchiamo il contatto con il mondo?

    Certamente per il bisogno primordiale di sopravvivere; per assicurarsi che la situazione non sia spiacevole o addirittura pericolosa; per raggiungere stati di benessere, ma anche per esplorare, comprendere, capire le caratte-ristiche di questo pianeta che ci ha accolto e che pone costantemente pro-blemi. Le nostre conoscenze originano dall’elaborazione delle informazioni sensoriali provenienti da noi stessi e dall’ambiente. L’esperienza diretta, l’osservazione, l’analisi dei fenomeni e la loro descrizione ci permettono di entrare in relazione empatica con il mondo. Le competenze acquisite forni-scono la base di «lettura della realtà» e potenziano nel soggetto la capacità di operare scelte sempre più consapevoli ed autonome.

    L’esperienza ci diversifica, rende unici, specializza e lega al luogo di ap partenenza. II bambino è incuriosito dal funzionamento del mondo, lo osserva, lo esplora. È invece meno attratto dalla conoscenza del proprio funzionamento, perché può agire comunque in modo non cosciente. La capacità di porre l’attenzione su di sé resta così carente ed è questo un disequilibrio che possiamo colmare con l’educazione.

    1.5.8. Come possiamo rispondere a questi bisogni?

    Alla nascita il nostro meccanismo funzionale è già predisposto, la struttura è pre-cablata e il tipo di funzionamento universale: Noam Chomskj afferma la teoria della grammatica generativa universale; Jean Le Boulch descrive la

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    maturazione universale delle funzioni psicomotorie in età evolutiva; Rodha Kellog individua progressioni in ambito segnico uguali in tutti i bambini del mondo qualunque sia la razza, la cultura, il ceto sociale, ecc.

    Durante un’estate molto calda decido di portare con me in vacanza Lilli, una cagnolina meticcia che soffre molto la separazione. Andiamo al mare: per lei è la prima volta, ha già dieci anni, ma è sempre vissuta in campagna: nessun contatto con l’acqua se non quella da bere o della sua toilette settimanale. Amando la barca a vela, decido di portarla con me sul mare. Il suo primo approccio con la barca si mostra subito non facile: è diffidente, si irrigidisce e non mi segue. Non ho tempo di soffermarmi sul problema perché il ven-to sta complicando la situazione. La prendo in braccio, la carico sullo scafo e partiamo. Lilli trema, ma si accuccia tranquilla e si nasconde tra le mie gambe. A un certo punto il caldo mi spinge ad andare a riva in una caletta tranquilla: metto la barca in sicurezza e mi tuffo. Lilli mi guarda e abbaia, le sorrido e la invito ad entrare in acqua, lei guaisce, gira prudenzialmente nello scafo e continua ad abbaiare. Decido di non insistere, deve scegliere lei cosa fare. A un certo punto si tuffa, la vedo affondare, mi preoccupo e le vado incontro colta dal pensiero che non sappia nuotare. Invece riemerge, orecchie, muso e naso fuori dall’acqua; con movimenti ben coordinati mi raggiunge per approdare felice sulla piccola spiaggia vicino. Lilli fino a quel momento non sapeva nuotare, ma la forte motivazione l’ha spinta ad agire: ha così scoperto un comportamento che non sapeva di possedere. Sicuramen-te Lilli, essendo un quadrupede, è avvantaggiata. Probabilmente il tipo di baricentro e la massa corporea orizzontale le rendono il galleggiamento fa-cile, ma quello che mi ha sorpreso è che le sue zampe sono diventate remi, la sua coda un timone e si è scatenato l’automatismo che le ha consentito di giungere a riva.

    1.5.9. In che modo entriamo in relazione con l’oggetto?

    Prendiamo informazioni dall’oggetto attraverso gli organi di senso e ne ve-niamo a conoscenza attraverso azioni motorie. La relazione con l’oggetto procura un cambiamento dentro di noi. Ogni esperienza, ogni relazione ci modifica: è una sorta di riorganizzazione del nostro insieme. Lo psicologo svizzero Jean Piaget ha ben descritto questo processo nelle due fasi: assimi-lazione e accomodamento.

    L’artigiano, il giocatore di bigliardo, il giocoliere, hanno un rapporto pro-lungato con l’oggetto, una azione di precisione e sensibilità tali che rendono corpo e oggetto un tutt’uno finalizzato allo scopo. La persona nel momento in cui agisce «sente» contemporaneamente l’oggetto e il proprio corpo.

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    L’oggetto, la situazione e l’esperienza entrano dentro di noi e vengono a far parte di noi. Ci sono informazioni che utilizziamo per poter svolgere i nostri compiti quotidiani e che dimentichiamo quando non ci servono più. Ci sono invece informazioni, conoscenze ed esecuzioni da trattenere in memoria per poter essere recuperate in seguito all’occorrenza. Il processo della memoria si basa sul acquisizione di dati, sulla loro archiviazione e sul loro possibile reclutamento. Il trattenimento delle informazioni può essere a breve, a medio o a lungo termine. Percepire è facoltativo e quindi si può non avere memoria delle informazioni ricevute. «Di che colore è la seconda lettera di Google sullo schermo del computer?». Tutti abbiamo visto quella scritta, ma è molto probabile che in questo momento, non si riesca a foca-lizzare con esattezza il colore delle lettere.

    Noi intendiamo, attraverso l’intervento educativo, attivare e orientare l’attenzione della soggetto sugli scopi che motivano il suo agire, sulle proce-dure che mette in atto, ma anche sulle situazioni ambientali nei loro aspetti spazio-temporali e di significato.

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    1.5.10. I 5 aspetti mentali

    I bambini entrano in palestra insieme alla maestra. Tutto è già predisposto per iniziare «palla prigioniera»; è un gioco sempre attuale e gradito. Si di-spongono i due gruppi nelle due metà campo e iniziano i lanci della palla per colpire gli avversari e farli prigionieri. Anche Pierino entrato in possesso della palla ci prova, ma trasgredisce, e nel lanciare la palla, super la riga di metà campo. La maestra lo coglie sul fatto, lo rimprovera e scatta la sanzione.

    E se Pierino avesse superato la riga spinto dall’emozione? (aspetto emozio-nale). E se invece l’avesse fatto per una errata valutazione spazio-tempo-rale? (aspetto cognitivo-motorio). Potrebbe effettivamente averla superata per trasgredire (aspetto morale). Ma anche semplicemente potrebbero non aver «funzionato» i muscoli frenatori (disponibilità corporea). Occorre al-lora uscire dal pregiudizio e invece cercare di capire la causa del suo com-portamento per mirare l’intervento educativo.

    L’essere umano se vede quello che fanno gli altri si identifica in loro ed ha possibilità di imitare in modo fedele o con interpretazioni sogget-tive; oppure può cercare soluzioni personali rispetto allo scopo dell’ap-prendimento. Si agisce controllando il corpo nella sua globalità o a livello segmentario con o senza oggetti. La realtà è vissuta direttamente oppure attraverso simboli. Il soggetto nella vita quotidiana si adatta a situazioni conosciute o nuove, esplora, risolve problemi, affrontare nuovi apprendi-menti, modifica e utilizza, in modo efficace, apprendimenti già acquisiti in precedenza.

    1.6. soLLeCitazione funzionaLe attraverso L’attività sPortiva

    1.6.1. Sport: metafora della vita

    Lo sport rappresenta un fenomeno sociale, economico, culturale, di straordi-naria importanza. È un sistema di relazione, con un proprio linguaggio, con riti, comportamenti e gestualità mirate a scopi ben precisi. Nel contempo è metafora della vita nei suoi aspetti individuale e sociale, nelle sue coeren-ze e nelle sue contraddizioni. Nella competizione, nel conflitto legittimato possiamo riconoscere l’individualismo e la collaborazione, il rispetto delle regole e la loro trasgressione, il condizionamento e la plasticità del cervel-lo, la rigidità e la trasferibilità degli apprendimenti, il desistere o invece lo sforzo per superare i limiti … ed altro ancora. Il fenomeno sportivo contri-buisce ad alimentare l’immaginario collettivo: fantasie, emozioni, sentimenti,

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    si susseguono nei loro aspetti positivi e negativi, comunque ambivalenti. Tra l’altro sono di origine sportiva molte parole ed espressioni linguistiche di uso comune.

    1.6.2. Sport e società

    Nello sport ritroviamo i comportamenti, gli atteggiamenti e le modalità re-lazionali della vita sociale. L’agonismo competitivo rende sempre visibile la trasgressione. Circolando invece nel traffico stradale potremmo infrangere il codice passando con il semaforo rosso senza subire sanzioni mentre nel campo di calcio è da tutti rilevabile una scorrettezza e l’arbitro interviene immediatamente. Lo sport se ben gestito può essere una strategia formati-va proprio perché contiene gli stessi ingredienti della vita sociale, dove le relazioni interpersonali variano continuamente il grado di tensione. Come armonizzare agonismo e educazione? Un allenatore può essere educatore? Quale ruolo ha la famiglia del bambino che si avvia allo sport e come si può intrattenere la relazione tra la società sportiva e le famiglie? Ma anche come crescere insieme attraverso una cultura formativa e sportiva condivisibile? Dunque se lo sport è espressione e «metafora» della vita allora assume un grande valore educativo.

    Il soggetto con qualsiasi attività si confronti può orientare la propria attenzione sollecitando così percorsi neuro-funzionali. Il vissuto esperien-ziale e la conoscenza sempre più approfondita degli sport permettono alla persona di affrontare la dimensione sportiva nei suoi aspetti relazionali, ap-prenditivi (tecnici, tattici e atletici), normativi, ma anche etici.

    Noi proponiamo un metodo di adattamento situazionale e di appren-dimento dove il sistema neuro-funzionale viene attivato attraverso l’orien-tamento dell’attenzione. L’attenzione sollecita i meccanismi funzionali in relazione alle situazioni in atto e agli scopi da raggiungere. Può spostarsi da sé all’ambiente e viceversa.

    Attenzione a sé: parti del corpo, modalità del proprio agire, emozioni, senso morale, ecc. Attenzione all’ambiente: organizzazioni, traiettorie, tem-pi, ritmi, dimensioni, forme, ed altro ancora. Ma perché il soggetto possa scegliere deve conoscere i significati del proprio agire. Determinante è l’au-tovalutazione (capacità, carenze, difficoltà, attitudini) attraverso l’esame di realtà. Ci si può avvalere per questo di parametri di riferimento e di tabelle semplificate. La scienza è in grado di rilevare intensità e qualità del gesto dinamico, ma anche il soggetto deve imparare a prenderne coscienza. Le metodiche di allenamento così non vengono più subite ma comprese ed ap-plicate coscientemente. Anche le tecniche degli sport «espressivi» se agite con consapevolezza risultano migliori.

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    La conoscenza di sé e la sperimentazione di varie attività permettono al soggetto di orientare le proprie scelte rispetto a motivazioni e attitudini.

    Solo se il percorso educativo-metodologico non è condizionante o pro-posto con rigidità, ma permette adattamenti intelligenti e plastici, la perso-na può acquisire abilità trasferibili e dunque è in grado di cambiare sport senza troppe difficoltà.

    1.6.3. Lo sport educativo

    Lo sport può essere considerato un importante mezzo di sviluppo del sogget-to, una strategia per sollecitare le funzioni psicomotorie e la relazione con il mondo. (J. Le Boulch, Sport éducatif, 1989)

    La proposta sportiva si pone come obiettivo la capacità del soggetto di ge-stirsi sui piani:• della qualità della risposta cognitivo motoria; • dell’intensità esecutiva;• dell’atteggiamento personale rispetto all’operatività;• della relazione interpersonale in equilibrio etico emozionale.

    Lo sport rappresenta una vera strategia educativa se è espressione di una funzionalità adattiva, non condiziona rigidamente i soggetti ma ne esal-ta diversità e talento.

    Lo sport educativo prende in carico il soggetto nella sua totalità mi-rando alla crescita globale oltre che alla acquisizione degli apprendimenti fondamentali specialistici.

    Il corpo si confronta con posture e gestualità nel rapporto con se stesso (corpo libero) e con oggetti e attrezzi di specialità. È una sensibilizzazione importante, una attività euristica di scoperta e conoscenza. Verso gli 8-9 an-ni la socializzazione è cooperativa e la relazione con gli altri si traduce nelle collaborazioni finalizzate allo scopo sportivo. In questo momento il bambi-no vive lo stadio della decentrazione, dunque la capacità di immaginarsi al posto di un altro nell’attività di gruppo. Passare la palla ad un compagno ha ora una ragione cognitivo-sociale. Appartenere al gruppo che persegue obiettivi comuni diventa motivante.

    Ma per poter fare scelte intelligenti, durante il gioco, occorre prendere informazioni dalle situazioni: percezione e rappresentazione mentale assu-mono fondamentale importanza. Mettere in relazione i dati ambientali per-mette di comprendere quello che sta avvenendo o che potrebbe avvenire. Il bambino affronta situazioni sportive sia in modo spontaneo sia program-mando la propria azione completando così la risposta alle richieste ambien-tali. Per prove ed errori tenta soluzioni a problemi che di volta in volta gli

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    si presentano. Arricchisce il proprio vissuto e costruisce competenze prima semplici poi sempre più complesse. Soprattutto diviene capace di alternare l’attenzione a sé e all’ambiente.

    La situazione ambientale viene interpretata al presente ma anche rap-presentata mentalmente e dunque anticipata. La relazione tra se e gli altri deve avvalersi di un comportamento etico accettabile sul piano sociale.

    1.6.4. Glossario educativo sportivo

    atteggiamento PersonaLe. È ciò che il soggetto manifesta di sé, che lo rende riconoscibile e lo caratterizza sui piani della coerenza, della di-gnità e dell’originalità. Capacità di adattamento e autonomia, esame di realtà, attenzione, controllo delle emozioni, valori, impegno e determi-nazione, attitudine al sacrificio, definiscono la persona.

    DisPonibiLità DeL CorPo. Il corpo sviluppa una motricità generale in cui tutti i suoi segmenti sono coordinati oppure una motricità più fine e di precisione. La muscolatura deve sapersi contrarre ma anche decontrar-re; le articolazioni avere un buon grado di mobilità; e il tono garantire la postura adeguata. Cambi di ritmo e di spazio cadenzano le sequenze gestuali e indirizzano gli spostamenti.

    intensità eseCutiva. Il gesto sportivo di qualità ed efficacia diviene quan-tità se completato da intensità ed energia. Allora sviluppa forza, veloci-tà esplosiva ed accelerata, resistenza allo sforzo e alla fatica.

    metoDoLogie D’aPPrenDimento. L’alternanza tra imitazione e scoperta personale permette di apprendere. L’imitazione di posture e gestua-lità è la capacità di leggere globalmente e nei particolari significati e sequenze di una azione osservata. La scoperta personale è la capacità di giungere agli scopi attraverso intuizione e razionalità. È una ricerca autonoma di soluzione e di superamento di situazioni problema.

    orientamento DeLL’attenzione. È la disponibilità motivata e motivante a spostare l’attenzione su di sé e sull’ambiente, mirando a scopi valuta-tivi e d’azione. Attenzione globale (di sintesi e in poco tempo); atten-zione analitica (parcellare e che richiede più tempo). Attenzione sullo scopo o sulla procedura per raggiungerlo.

    QuaLità DeLLa risPosta. È l’espressione cognitivo-motoria dal soggetto; rappresenta l’efficacia e la bellezza del gesto sportivo. Dipende dalla presa di informazione elaborata e utilizzata per la lettura della situa-zione sportiva (valutazione e comprensione) e dalle scelte intuitive o razionali in merito a gestualità, posture, posizionamenti. Richiede di-sponibilità corporea (coordinazione, agilità, equilibrio posturale, siste-

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    ma riflesso e selettivo senso-motorio), abilità tecniche e posizionamenti in rapporto a spazi e tempi d’azione.

    reLazione interPersonaLe. Si tratta del dialogo con gli altri; è la vita so-ciale, l’indispensabile momento che ci rende partecipi al mondo. La comunicazione, la collaborazione, il controllo emotivo, ne definiscono la qualità.

    1.6.5. Attivazioni funzionali in alcuni sport di gruppo e individuali

    Gioco del calcio

    Attenzione a sé:• parte del piede a contatto con la palla in un tiro in porta;• equilibrio dell’arto inferiore in una ricezione della palla con l’altro arto;• tempo di stacco in un colpo di testa.Attenzione all’ambiente:• percezione della traiettoria della palla nel punto di caduta;• posizionamento dei compagni in una azione di gioco;• velocità della palla in una trasmissione.

    Gioco del basket

    Attenzione a sé:• polpastrelli delle dita in una ricezione della palla;• appoggi dei piedi in un cambio di senso;• contatto prolungato con la palla in un palleggio.

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    Attenzione all’ambiente:• figura geometrica di disposizione della squadra in una fase difensiva;• posizionamento degli avversari in una fase d’attacco;• movimento della palla sul tabellone in situazione di canestro non realiz-

    za to.

    Gioco del volley

    Attenzione a sé:• contatto della palla sull’avambraccio in un bagher; • polpastrelli delle dita in un palleggio;• equilibrio posturale in volo durante una schiacciata.Attenzione all’ambiente:• percezione degli spazi vuoti nel campo avversario durante un attacco;• traiettoria della palla preparatoria ad una schiacciata; • posizionamento del compagno a cui passare la palla.

    Ginnastica artistica

    Attenzione a sé:• muscoli addominali in una ruota;• appoggi dei piedi in un salto;• sequenza temporale delle posture nel corpo libero.Attenzione all’ambiente:• distanza dall’attrezzo in un salto di superamento;• traiettoria della palla in un esercizio di destrezza;• struttura temporale in un esercizio ritmico.

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    Atletica

    Attenzione a sé:• solidarizzazione bacino-tronco durante la una corsa;• appoggi dei piedi al suolo mentre si esegue un salto;• sequenza gestuale durante un lancio.Attenzione all’ambiente:• distanza dall’attrezzo in un salto in alto;• traiettoria ottimale immaginata prima di un lancio;• strategie e posizionamenti degli avversari in una corsa di resistenza.

    In tutte queste attività vengono indicate consegne funzionali che permetto-no di orientare l’attenzione in rapporto al bisogno del momento, di ricevere le informazioni necessarie per verificare l’evolvere delle situazioni e pren-dere decisioni adeguate in direzione di scopi.

    1.7. sCuoLa e sPort

    L’educatore offre opportunità al bambino perché possa vivere completamen-te la propria crescita; lo ascolta, lo incoraggia, lo lascia scoprire, lo guida, lo accompagna; condivide con lui la realtà e i sogni. L’educatore crede nel bam-bino, lo rispetta e nei momenti difficili non lo abbandona: è lì con lui pronto a ricominciare.

    Scuola e sport, due ambienti che possono favorire la crescita dei giovani; due «contenitori» in grado di offrire opportunità concrete, confronti prati-ci e teorici; due istituzioni capaci di tradurre «valori» e ideali in progetti e speranze. Purtroppo scuola e sport spesso percorrono itinerari diversi, re-cintano un proprio programma e sembrano dover tendere a mete distinte.

    La scuola sopporta lo sport in quanto fenomeno sociale e lo sport ri-co nosce l’importanza della scuola, anche perché da questa può attingere e reclutare giovani. Le due strade scorrono parallele ma non si incontrano.

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    La formazione della persona richiede anche lo sviluppo delle facoltà intellettive e delle qualità morali: ecco che i due percorsi apparentemente sembrano addirittura divergere.

    sCuoLa• Educazione del soggetto. • Persegue atteggiamenti equilibrati. • Privilegia i saperi.• È «seria». • È concentrazione. • È teorica. • Non ci sono avversari. • Indirizza alla vita e alle professioni.• Non studia lo sport e ne sopporta. • L’applicazione scolastica.

    sPort• Spesso propone modelli diseducativi. • È più spettacolare quando estremizza

    le situazioni. • Privilegia i saper fare.• È un «gioco».• È sfogo.• È pratico.• Ci sono avversari da battere.• Ruba ore alle attività scolastiche.• È un mondo a sé.

    1.8. La nostra ProPosta

    1.8.1. Premessa

    Il soggetto è un insieme funzionale. La «nobiltà» è dell’insieme e non di alcune funzioni.Dunque in base a questo assunto l’interesse educativo si pone sulla cre-

    scita globale della persona e ne rispetta motivazioni ed evoluzione naturale.Ogni situazione può essere utile per attivare la funzionalità del bambi-

    no e l’educatore è li per cogliere il momento opportuno.Le informazioni che l’individuo riceve ed elabora a vari livelli del siste-

    ma nervoso, i pensieri, le risposte motorie, le emozioni, il comportamento morale …

    Chi può dire casa sia più importante?È un insieme che non prevede privilegi. Si tratta solo di rispettare la crescita naturale della persona, che ovvia-

    mente si presenta nelle varie età con potenzialità diverse.L’espressione di una buona gestione di sé sarà evidente nei campi della

    relazione e dell’operatività.Il confronto con le situazioni ambientali evidenzierà adattamento, au-

    tonomia, capacità di apprendimento e produzione, opportuna socialità.Abilità e conoscenze permetteranno di risolvere l’attualità ma anche di

    proiettarsi nel futuro.

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    1. La bussola della mente funzionale

    1.8.2. Scelte

    A questo punto le strutture educative devono prendere delle decisioni e fare delle scelte:• Protagonista è l’agenzia o il soggetto?• La priorità va data ai programmi previsti o all’evoluzione personale del

    bam bino?• Gli ambiti educativi (scuola, famiglia, sport, ecc.) entrano in sinergia tra

    loro oppure confliggono nel loro agire?• È prevista una continuità progettuale o chi accoglie il bambino azzera

    tutto e non tiene conto dell’intervento di chi l’ha gestito in precedenza?• La programmazione pretende risultati a breve scadenza e utilizza il con-

    dizionamento come intervento, o concede alla persona il tempo neces-sario per evolvere e attua un’educazione mirata all’adattamento intelli-gente?

    1.8.3. Lo sport educativo

    Lo sport può essere educativo!Una motivazione magica calamita i giovani verso lo sport.Il confronto tra persona e ambiente, tra persona e situazioni conosciute

    o non ancora vissute, riconosce allo sport il privilegio di attivare in modo completo la funzionalità del soggetto.

    Entrano in gioco gli aspetti fondamentali della persona:• Cognitivo PersonaLe: autovalutazione, gestione del posturo-gestualità;• Cognitivo ambientaLe: valutazioni globali e approfondite, scelte intuiti-

    ve e razionali;• emozionaLe: presa di coscienza e accettazione e controllo delle emozioni;• etiCo: presa di coscienza e accettazione delle norme comportamentali;• ParteCiPativo: energetico motivazionale.

    L’educatore, se competente e sensibile alla crescita globale dei propri allievi, può progettare con loro percorsi personalizzati, mirati all’appren-dimento, all’operatività e alla relazione. Le proposte programmate di eser-citazioni, giochi, gare, partite, coerenti con la funzionalità propria di ogni soggetto, permettono di mantenere intensa la motivazione sportiva in un clima altamente formativo.

    Lo sport assume così il ruolo di strategia educativa.

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    Mauro Bonali e Lina Stefanini

    1.8.4. Lo sport a scuola e nelle società sportive

    sCuoLa• Programma neuro-funzionale

    attraverso la proposta di abilità specifiche relative ad alcuni sport.

    • Studio di sport più o meno conosciuti.• Visite a sport praticati in ambienti

    esterni.• Riflessioni in merito a tematiche

    riferite a comportamenti in ambito sportivo.

    soCietà sPortive• Programma di apprendimento

    della disciplina praticata, attraverso sollecitazione neuro-funzionale.

    • Conoscenza approfondita del proprio sport.

    • Riflessioni in merito a tematiche sociali (dall’illecito al fair play).

    Lo sport ha un aspetto disciplinare definito, codificato, programmato ed è un fenomeno sociale di grande rilievo. Se ben gestito si inserisce con diritto nel contesto scolastico assumendo caratteristiche pluridisciplinari, interdi-sciplinari, transdisciplinari.

    Inoltre le attività neuro-funzionali di base e sportiva permettono alter-nanza e complementarietà tra gli aspetti:• pratico e teorico;• reale e simbolico;• concreto e astratto.

    La scuola può trovare nello sport educativo una grande risorsa per com-pletare la propria progettualità. Scuola e sport costituiscono ambiti fonda-mentali di investimento sui giovani.

    Queste due agenzie dovrebbero agire in sinergia per valorizzare le atti-vità cognitivo-motorie e sportive. L’affermarsi della laurea universitaria in Scienze Motorie e Sportive, all’interno della Facoltà di Scienze della For-mazione, rappresenta finalmente il riconoscimento di un «corpo intelligen-te», disponibile, efficace, che esprime una funzionalità globale.

    Noi riteniamo che l’educazione non possa prescindere dall’apporto di queste scienze in entrambi i contesti scuola e sport: neuroscienze, scienze psicopedagogiche, scienze mediche, scienze motorie e sportive.

    1.9. sviLuPPo e autonomia

    Quando il bambino esce dal ventre della madre inizia tra i due una re-lazione d’amore che declina da parte della madre nella totale cura di lui. Il paradigma di riferimento è la teoria dell’attaccamento (J. Bowlby) nel-la sua impostazione interattiva che riconosce al bambino molto piccolo la propensione innata a ricercare la vicinanza protettiva di un membro della

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    1. La bussola della mente funzionale

    propria specie e che si concretizza in un legame duraturo e selettivo. Tale relazione poggia su una dotazione sociale innata che consente al bambino di attirare l’attenzione protettiva dell’adulto e di instaurare con lui scambi comunicativi. Da un punto di vista biologico ed evolutivo l’attaccamento è funzionale alla sopravvivenza del bambino. A un livello più profondo, tale legame consente al piccolo di organizzare la propria attività mentale e di costruire una coerente e unitaria immagine di sé. La qualità dell’attacca-mento dipende dalle esperienze derivate dalla relazione con il genitore e, in particolar modo, dal grado di sintonia affettiva che le caratterizza. Appare fondamentale la recettività che i genitori mostrano nei confronti dei mes-saggi non verbali del bambino: la capacità cioè di giungere, attraverso un accordo emotivo, a un «attaccamento sicuro». Questo consente al bambi-no, per un meccanismo di risonanza mentale, di regolare i propri stati della mente e organizzare non solo le sue attività, ma anche le rappresentazioni di sé e del mondo. Nella mamma è presente uno sguardo che legge, che pone significati, che cerca conferme; una espressione corporea in funzione comunicativa e affettiva. Tra loro inizia una relazione diadica dove i due corpi si fondono e sconfinano uno nell’altro attraverso il dialogo tonico: divisi continuano a rimanere uniti. L’allattamento diviene il momento in cui la madre, passando da quello a richiesta a quello programmato, ini-zia ad introdurre una regolazione tra il bisogno di cura e di nutrizione del bambino e la sua regolazione. Da questo momento il bambino si aspetta che al suo bisogno la madre si occupi di lui. Tra i due inizia un’alternanza di richieste e di risposte centrate sull’attenzione di entrambi e a introdurre con il passare del tempo una regolazione funzionale e sociale. La madre ini-zia a variare i ritmi e i tempi, cui il bambino risponde con un adattamento. Il corpo della madre profumato e accogliente ha una funzione rassicurante. Offrendosi pienamente diviene l’oggetto di attaccamento privilegiato attra-verso il quale il piccolo comincia la sua esplorazione tattile, gustativa, visiva, olfattiva, uditiva. L’interazione fatta di sguardi, emozioni, sorrisi, vocalizzi e contatti permette a ognuno di imitare l’altro in un’alternanza d’ascolto e di risposta. Il padre in questa relazione, che altrimenti diverrebbe esclusi-va, assume un ruolo fondamentale nel faticoso compito di occuparsi del bambino, allargando la relazione a tre. Il suo ruolo oltre che protettivo per entrambi, ha una funzione di sollievo e di allargare la relazione esclusiva at-traverso un rapporto triadico funzionale al suo ingresso nella società. Tra il bambino e i suoi genitori si consolida la fiducia, condizione fondamentale per gli apprendimenti e base sicura per uno sviluppo funzionale adeguato.

    Dobbiamo precisare che lo sviluppo del bambino non segue tappe ri-gide e sancite da precise aperture o chiusure di fase. Pensiamo piuttosto a un processo vitale e flessibile, influenzato, nel suo divenire, dalla dotazione

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    innata del bambino e, condizionato dalla relazione con l’ambiente. L’inte-razione con l’ambiente stimola e motiva il bambino. Nel dialogo tra natura e cultura, tra innato ed esperito, si costruiscono raffinate e complesse abili-tà intersoggettive, fino a raggiungere una matura competenza comunicativa e sociale che va di pari passo con lo sviluppo del linguaggio. Il gioco fa da ponte nella comunicazione tra il bambino e il mondo poiché è il mo-do attraverso il quale conosce, agisce e si relaziona. Il comportamento del bambino per essere socialmente accettabile prevede le capacità di controllo e di regolazione dei bisogni. L’esito di tale processo affonda le sue radici nel tipo di relazione che viene costruito fin dai primi mesi di vita.

    L’apparire delle prime abilità nelle relazioni sociali rappresenta la più grande soddisfazione di essere genitore; questo però non significa che le ri-chieste dei genitori e le emozioni del piccolo non possano essere in contrasto fra loro e che le soluzioni siano immediatamente efficaci. Emergono anche conflitti che, se ben gestiti, si rivelano risorse negli adattamenti necessari alla crescita. L’autonomia è una conquista che necessita di personalità per reg-gere emotivamente le situazioni e portare a termine i compiti. La capacità di adattamento situazionale e le competenze acquisite ci permettono crescen-do, di non dover necessariamente dipendere da qualcosa o da qualcuno.

    1.9.1. Naturalmente intelligenti

    Alla nascita disponiamo di una funzionalità che si attiva naturalmente, le esperienze ci modificano e ci rendono unici. Il corpo è l’unità di misura per esplorare il mondo e apprendere. Attraverso il corpo si dialoga con il mondo. Siamo «corpi intelligenti» che esprimono in modo tangibile e con-creto la complessa funzionalità della mente. Corpi che sanno agire ma che sanno anche inibire l’azione, che sanno informarsi su di sé e sull’ambiente, che sanno costruire, allineare, raggruppare, aggiungere o togliere e sempre nel l’intento di capire, comprendere e scegliere.

    Corpi pragmatici, efficaci e determinati a raggiungere uno scopo, ma anche capaci di manifestare e trasmettere un proprio pensiero, un’idea, un’e mo zione, un sentimento.

    Ecco che, attraverso il corpo, il sé personale può interagire con il mon-do. Alla nascita possediamo un sistema di funzionamento pre-cablato che chiede alla vita di potersi attivare. L’esperienza nell’ambiente poi ci diver-sifica e ci rende unici. Ognuno di noi possiede le strutture necessarie per conoscere sempre meglio se stesso e il mondo, per capire «chi, che cosa, do ve, quando, come e perché» di ogni situazione. Il corpo è tramite tra la mente e la realtà; attraverso il corpo, l’essere umano dialoga con il mondo esterno. È dunque indispensabile che ogni educatore conosca il meccani-

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    1. La bussola della mente funzionale

    smo funzionale che caratterizza l’essere umano per comprendere come il bambino interagisce con il mondo, come si adatta, come apprende, come risolve i problemi e quali neuro-funzioni entrano in gioco in ogni situa-zione. Questo gli consente di scegliere le strategie educative più idonee. L’educatore deve sapere come l’insieme funzionale si attiva e come evolve negli anni: solo così potrà riconoscere quando un funzionamento è nella norma e quando è carente o matura con difficoltà. La programmazione delle attività deve consentire a tutti i soggetti di usufruire di adeguate op-portunità educative nel rispetto delle diversità individuali. Una proposta educativa che rafforzi l’attivazione e l’ordine del meccanismo funzionale, permette lo sviluppo equilibrato e facilita l’acquisizione di capacità e com-petenze. Occorre una metodologia che permetta a ciascuno di confrontarsi con il mondo reale o rappresentato da simboli. Adattamento alle situazioni, capacità di gestire gli apprendimenti, autonomia e disponibilità ad essere guidati, socializzazione, rappresentano finalità irrinunciabili.

    Ma gli effetti positivi vengono raggiunti solo se l’intervento inizia con bambini molto piccoli e prosegue in continuità e coerenza negli anni suc-cessivi. Dunque per un educatore è indispensabile:a. Conoscere e comprendere il «meccanismo funzionale» della persona

    nel la relazione operativa: • come il soggetto affronta le situazioni ambientali e come si adatta; • come apprende; • come risolve le problematiche che l’ambiente gli pone; • quali funzioni entrano in gioco; • quali strategie può utilizzare.b. Conoscere le caratteristiche dell’età evolutiva.

    1.9.2. Sviluppo funzionale

    La crescita è un processo naturale e si svolge in tempi soggettivi conseguen-ti al corredo genetico e ai fattori ambientali. L’età evolutiva è caratterizzata da un progressivo sviluppo del soggetto nelle sue espressioni corporee e linguistiche e nella relazione affettivo-sociale.

    1.9.3. L’espressione corporea

    Esiste una grande variabilità nei tempi e nelle procedure di maturazione del l’espressione corporea. Vari fattori concorrono a questo sviluppo: la co-ordinazione generale, la coordinazione di precisione, il sistema riflesso, la capacità di contrazione/decontrazione, la sensibilità senso-motoria, la rapi-dità posturo-gestuale.

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    Ad esempio per l’artigiano e il giocatore di bigliardo, il corpo e l’oggetto di-vengono un tutt’uno, entrambi finalizzati allo scopo. La persona nello stesso momento, mentre agisce, «sente» l’oggetto e il proprio corpo.

    Il corpo evolve e il nostro sistema nervoso deve gestire, attraverso la ca-pacità di adattamento, i cambiamenti anatomici che si verificano durante la crescita. Infatti il bambino in pochi mesi triplica il peso che aveva alla nascita, irrobustisce ossa e muscoli e i rapporti volumetrici capo-tronco-arti si modificano notevolmente.

    La possibilità di sperimentare, provare diverse azioni motorie, variare la velocità delle esecuzioni posturo-gestuali e le parti del corpo coinvolte migliora la qualità dell’agire in direzione di oggetti, persone, ambienti.

    Il cambiamento di stato posturale consente nuove «motricità» quali lo spostarsi strisciando o gattonando, il sollevarsi in stazione eretta vincendo la forza di gravità e quindi utilizzando in modo più efficace la gestualità degli arti superiori. Non è casuale che proprio intorno all’anno si assista ai primi tentativi di autonomia: il bambino prova a bere e a mangiare da solo, colla-bora quando lo vestono, manipola i suoi giochi in modo corretto e li ruota per osservarli. Tutte queste conquiste cognitivo-motorie gli permettono di sperimentare la propria azione ed esplorare la realtà circostante in manie-ra maggiormente autonoma. Riuscendo a spostarsi e avendo conquistato la bipedia, acquisisce una nuova rappresentazione mentale dello spazio e di se stesso nell’azione. In seguito le abilità motorie diverranno sempre più efficaci grazie alla maturazione del sistema nervoso e alle stimolazioni dell’ambiente.

    Jean Piaget sostiene come lo sviluppo cognitivo nel bambino passi attra-verso gli stadi evolutivi senso-motorio, pre-operatorio, operatorio-concreto e operatorio-formale. Il bambino sviluppa una prima forma d’intelligenza senso-motoria grazie all’azione e alla comprensione del mondo circostante attraverso esperienze corporee: il suo modo di esplorare gli ambienti, di agi-re, di prendere informazioni gli permette di concepire le categorie logiche e spazio-temporali, categorie che presiedono al pensiero (concreto e astratto).

    1.9.4. L’espressione linguistica

    Contemporaneamente allo sviluppo cognitivo-motorio avviene l’evoluzione del linguaggio. A un anno di vita il bambino conosce circa 5-10 parole, a un anno e mezzo circa 50-80 e a due anni circa 200. Le prime cinquanta parole non sono di solito quelle più utilizzate dai genitori, ma quelle che si riferiscono alle cose più interessanti per il bambino.

    A dieci mesi (e fino ai 2 anni e ½ - 3 anni) iniziano il piccolo linguaggio e le prime parole prevalentemente per imitazione.

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    In genere, tra i 12 e i 18 mesi, viene utilizzata la cosiddetta «parola frase» o olofrase. È una parola singola che serve al bambino per esprimere ciò che gli adulti direbbero con una proposizione. Il significato è legato al contesto e deve essere interpretato dal genitore: il bambino dice «papà» che può significare «arriva papà», «voglio papà» o «papà è uscito».

    Dai diciotto ai venti mesi vi è un notevole incremento dell’ampiezza del vocabolario e compare il «linguaggio telegrafico», nel senso che il bambino comincia a costruire le prime frasi di due parole, senza elementi accessori come avverbi o articoli. Parallelamente il bambino comprende le semplici consegne che gli vengono dette ed è capace di adottare il conseguente com-portamento, ma inizia anche la negazione, ossia il bambino comincia a dire «no». Azione e linguaggio maturano insieme e si completano nel raggiun-gimento di scopi ambiti. Il linguaggio è pragmatico, indicativo di azione e presa di informazione, ma anche espressivo. Il bambino può comunicare un pensiero, un’emozione, un sentimento attraverso i canali di cui dispone: la voce, la mimica del viso, la postura, la gestualità. E ritroviamo ancora il nostro insieme funzionale nella relazione con il mondo.

    1.9.5. La relazione affettivo-sociale

    L’aspetto emotivo, presente nei bambini fin dalla nascita, genera da pro-cessi biologici innati che fanno parte del codice genetico. Tuttavia per lo sviluppo dell’affettività è altrettanto decisivo il contatto con l’adulto.

    Le reazioni emotive riscontrabili sin dai primi giorni di vita e fino al 2° mese sono automatiche ed elementari, in quanto il bambino è in con-tatto con la realtà esterna solo per quanto riguarda la soddisfazione dei suoi bisogni primari. Le emozioni, infatti, sono associate alle sensazioni di piacere o disgusto a livello gustativo, alle reazioni di trasalimento in risposta a stimoli sonori e luminosi forti o improvvisi o alle manifestazioni di sconforto in presenza di stimoli dolorosi. Solamente verso i tre mesi il bambino inizia a utilizzare le emozioni a livello comunicativo e sociale; si registra, infatti, la comparsa del sorriso sociale che è un sorriso non connesso ad uno stato di soddisfazione e benessere interno, ma di tipo relazionale perché rivolto ad un volto umano. Questa è una delle tappe più importanti di tutto lo sviluppo affettivo-relazionale. Già dalla nascita si possono notare abbozzi o veri e propri sorrisi sul volto del neonato, ma avvengono in modo riflesso e non hanno correlazioni con ciò che accade intorno, tant’è che spesso si evidenziano durante il sonno o in momenti in cui il bimbo ha poppato ed è quindi più rilassato. Il sorriso relazionale è invece il primo tentativo riuscito di mettersi in contatto empatico con l’ambiente e più precisamente con il volto materno. È un sorriso inten-

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    zionale permette al bambino di stabilire una relazione a doppio senso, perché egli risponde al sorriso materno e contemporaneamente lo provoca con il suo, vedendo l’effetto immediato sulla madre. Questo rispecchiarsi dell’uno nell’altra costituirà una delle basi del futuro riconoscimento delle emozioni proprie e altrui. E questo avviene perché a circa tre mesi inizia a funzionare la corteccia cerebrale, permettendo così atti intenzionali. Il primo di questi, rispondendo alla legge cefalo caudale, è proprio il sorriso.

    Verso i sei mesi, poi, si manifestano le espressioni facciali anche di altre emozioni quali: la sorpresa (6-10 settimane), la gioia, la tristezza e la rabbia (3-4 mesi), la collera conseguente ad una esperienza frustrante (7 mesi), la paura degli estranei (8 mesi). Inoltre il bambino mostra una reazione di an-goscia quando la madre esce dall’ambiente e non è più presente, perché ora con la capacità di rappresentazione mentale la può immaginare e sentirne la mancanza. Infine, dopo l’anno di vita, compaiono le emozioni sociali quali la colpa, la vergogna e la timidezza. Queste vengono apprese dal contesto culturale di riferimento: il bambino è in grado di codificare ed esprimere attraverso i linguaggi del corpo tali emozioni in base alla valutazione che ha di sé e degli altri e ciò deriva dalle esperienze di socializzazione vissute.

    Lo sviluppo della personalità è un processo continuo e dinamico in cui sono coinvolti il bambino, le sue figure di riferimento e l’ambiente circostan-te. Sono molti i fattori che influenzano il modo di relazionarsi con gli altri: l’e-tà, il sesso, l’esperienza fatta in famiglia in base alla composizione del nucleo (fratelli, sorelle, nonni) e alle occasioni di interazione con coetanei offerte al bambino da parte dei genitori. Imparare a rapportarsi con gli altri, socializza-re è importante per lo sviluppo del bambino che deve entrare in possesso di abilità e strumenti per poter interagire appropriatamente con gli altri.

    Un fenomeno determinante nel processo di socializzazione è l’attacca-mento, quel legame intimo che si manifesta tra il bambino e l’adulto e che gratifica i suoi bisogni (soprattutto di tipo fisiologico). I bambini hanno bisogno di contatti fisici per poter sviluppare buoni legami emotivi e socia-li. Il concetto di attaccamento fu introdotto e studiato scientificamente da uno psicoanalista inglese, John Bowlby, secondo il quale il tipo di attacca-mento che una mamma instaura col suo bambino è influenzato da quello avuto con la propria madre.

    Sono stati evidenziati tre diversi possibili stili di attaccamento:• Sicuro: il bambino manifesta le emozioni con chiarezza e ha fiducia nei

    confronti della mamma; esplora attivamente l’ambiente in sua presenza utilizzando anche gli stimoli ambientali presenti; riesce a tollerare l’estra-neo, pur con qualche normale ansia; prova sollievo al ritorno della madre.

    • Insicuro-ambivalente: i bimbi che hanno sviluppato questo tipo di legame di attaccamento stanno spesso attaccati alla loro madre, sono ansiosi, si

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    1. La bussola della mente funzionale

    sentono a disagio nelle situazioni nuove, esplorano poco l’ambiente e fati-cano ad utilizzarne gli stimoli; piangono molto in assenza della madre, ma al suo ritorno non sono del tutto sollevati, arrivando persino a rifiutarla.

    • Insicuro evitante: il bimbo si mostra indifferente sia in presenza che in as-senza della mamma e, quando la vede dopo una separazione, la evita ac-curatamente, guardando da un’altra parte o continuando a giocare; non mostra particolare disagio quando è da solo e non sembra provare forti emozioni a contatto con un nuovo ambiente; gioca con modalità abba-stanza disinvolte, accetta con passività il contatto con l’estraneo, controlla molto le sue emozioni. Bowlby sostiene che le rappresentazioni mentali, che i bambini hanno delle loro figure di attaccamento, si formano molto presto durante l’infanzia e derivano dalle ripetute esperienze quotidiane, nel senso che sono correlate al grado con cui il genitore percepisce i loro segnali, mostrandosi ad esempio disponibile a dare conforto quando ri-chiesto, accettando affettivamente il bambino, apprezzando e facilitando la sua esplorazione attiva dell’ambiente.

    Gli effetti psicologici a lungo termine di un leg