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LA BASILICA CATTEDRALE DI FANO 170

La Basilica Cattedrale di Fano · 2015-12-15 · 171 Gianni Volpe i restauri del novecento I primi lavori di inizio secolo (1907-1909) ci dà l’opportunità di iniziare la narrazione

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la Basilica cattedrale di fano

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Gianni Volpei restauri del novecento

I primi lavori di inizio secolo (1907-1909)ci dà l’opportunità di iniziare la narrazione di questa lunga storia dei restauri novecenteschi della cattedrale di fano un raro disegno set-tecentesco della facciata conservato un tempo nella sagrestia del duomo, studiato e più volte pubblicato da cesare selvelli nei suoi testi sulla città1 (vedi scheda Cesare Selvelli e il disegno per la nuova facciata della cattedrale 1794, di franco battistelli e Gianni Volpe); una proposta proget-tuale che non sappiamo però come sia nata, né come si sia sviluppata. sta di fatto che al disegno non seguì alcunché e la cattedrale entrò nel XX secolo con la sua ruvida e poco elegante facciata realizzata a metà seicento dal maestro carlo delle rose e rimasta tale fino al 1912, quando le due finestrelle quadrate sopra le porte laterali vennero modificate in due oculi circolari2. il rinvenimento nel 1907, in un pilastro della struttura medievale, di un importante “bassori-lievo con la rappresentazione simbolica di san Marco evangelista (leone alato)” può essere preso come base di partenza della lunga storia di re-stauri che da quella data e per tutto il secolo si susseguirono all’interno ed all’esterno del monu-mento fanese. ecco come ci racconta l’episodio un trafiletto del periodico “le Marche” del 1907:

Scoperte nel Duomo di Fano. Quando era già stam-pato l’articolo dell’ingegner Selvelli, che figura ap-punto in questo fascicolo, a Fano, nell’eseguire in quel Duomo certi lavori presso l’altar maggiore, fu-rono scoperti in un pilastro notevoli avanzi o tracce dell’antica struttura, che rimonta al Mille e, forse, anche più addietro. Si trovò, tra l’altro, un bassori-lievo con la rappresentazione simbolica di S. Marco Evangelista (leone alato). È da augurarsi che si vo-gliano continuare metodicamente le ricerche anche nella facciata, magari utilizzando per ora le piccole, ma sufficienti risorse che, per questo, ha il Capitolo3.

all’inizio del trafiletto si fa cenno ad uno scrit-to del selvelli, pubblicato poche pagine prima. Vale la pena leggerlo per capire che tra i fautori

di questo “slancio nei restauri”, uno fu proprio l’ingegnere fanese cesare selvelli:

Dicono i periodici di Fano che si stanno facendo restauri nell’interno di quel Duomo. Non si sa quali siano e come siano fatti questi lavori, e se effetti-vamente si tratti di soli restauri. Ma pareva forse, più logico far precedere a qualsiasi manomissione un esame serio sulla struttura attuale e su quelle medioe vali della fabbrica, seguito dallo studio ra-zionale di lavori attuabili a poco a poco, a seconda dell’opportunità e dei mezzi disponibili. Sulla ne-cessità di provvedere con criteri larghi ed illuminati, per il decoro della città, specialmente alla facciata di questa chiesa, ebbi occasione di scrivere poco fa nel-la rivista marchigiana illustrata, raccontando una questione dibattuta nel febbrajo del 1751 […]4.

Ma cosa diceva nel precedente saggio il selvel-li a proposito dello “scalcinato” duomo fanese”? ecco le parole di fuoco apparse sulle pagine della “rivista marchigiana illustrata”:

[…] Non conosco chiesa cattedrale romanica peggio deturpata della nostra. Qualche incendio, parecchi terremoti e un vescovo fermano hanno costituita la più diversa varietà di coefficienti, nella funzione continua rappresentante l’opera secolare di disgrega-mento, di spogliazione e di deturpamento! La faccia-ta, raffazzonata nel seicento o giù di lì, è architetto-nicamente ridicola. Fa ridere e fa dispetto. L’interno è scalcinato come un granaio. Nessuno di coloro che hanno tempo e possibilità, in quest’ultimo mezzo se-colo, che pure è affetto da febbrile bigottismo archeo-logico, ha pensato sul serio, con buona volontà e con competenza, di ricercare direttamente nell’edificio o di far ricercare gli elementi per uno studio di decen-te riparazione alle vecchie indecorose manomissioni. Non si trovano disegni, né vecchi né recenti, di pian-te, di alzati, di sezioni o di particolari. E pure cì è forse tanto materiale per uno studio […]5.

Questi alcuni antefatti. torniamo quindi alla chiesa vera e propria e vediamo come procedet-

A fronteil portale della facciata della cattedrale in una cartolina del primo novecento, con la facciata intonacata e il portale tra i due leoni stilofori

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cesare di Prosperoselvelli è un architetto fanese vissuto a cavallo tra sette e ottocento. anche il pa-dre esercitò la professione di architetto nella stessa città e l’intera famiglia selvelli è nota a fano per aver avuto anche successivamente altri esponenti nel campo dell’architettura e dell’ingegneria.il suo nome, assieme a quello del padre, si ricordano per la costruzione della chiesa di san leonardo, lungo Via cavour a fano1; per il santuario della colonna, nella campagna a sud della città, verso il Metauro2, e per la Madonna della Villa, tra saltara e cartoceto3.alcuni documenti del 1794-1799 vedono cesare attivo in lavori di ripristino di travature e tetto (compresi camini e comignoli) nella sagrestia e nei fabbricati annessi alla cattedrale, dopo il terremo-to del 17944, l’anno appunto del disegno in questionein questo volume il suo nome ricorre infatti anche per il progetto di una nuova facciata del duomo, il cui disegno è stato a lungo conservato nella sagrestia dello stesso, come ci ricorda l’asioli5. a parlarcene è soprattutto il nipote, l’omonimo ingegnere cesare selvelli, vissuto a cavallo tra otto e novecento, che lo cita più volte nelle sue pubblicazioni inerenti la storia del monumento6, affermando che fu preparato e presentato dal suo bisavolo al capitolo della cattedrale di fano in occasione dell’inaugurazione del nuovo altare maggiore. il disegno (datato 1794) rappresenta una facciata con ampie partiture orizzon-tali e verticali atte a contenere balaustrata superiore, lesene, statue, festoni e decorazioni varie.

(fb - GV)

cesare selvelli e il disegno per la nuova facciata del duomo (1794)

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1. la primitiva chiesa venne eretta nel 1516 (in precedenza era situata fuori le mura) e demolita negli anni 1816-17 per vetustà e per i danni provocati dalle truppe napoleoniche ivi insediate. sullo stesso sito fu riedificata nel 1818 la chiesa attuale, opera degli architetti Prospero e cesare selvelli di fano, insieme all’adiacente oratorio dedicato a san bartolomeo. sul portale d’ingresso al tempio campeggia l’iscrizione: doMUs dei et Porta coeli. la chiesa venne chiusa per inagibilità nel 1973. Per altre notizie si veda f. battistelli, Le chiese medioevali di Fano in un manoscritto e nelle “Memorie Istoriche” di Pietro Maria Amiani, in “nuovi studi fanesi”, 3 (1988), p. 91.2. Per la chiesa settecentesca del santuario della colonna, demolita per necessità mlitari nel 1940, si rimanda a quanto scrisse il battistelli: “ritornando all’asioli ed al 1796, apprendiamo che la costruzione del santuario della colonna fu fatta, oltreché con offerte pubbliche, soprattutto con offerte del patrimonio proprio da parte del sacerdote Pietro ricchi. il terreno fu donato dai conti Galantara (famiglia fane-se estinta con la madre del musicista Mezio agostini). alla venerata Immagine della Madonna erano già attribuiti prodigi e grazie, esaltate in gratitudine, allora e dopo, dai noti quadretti, dipinti con espressiva semplicità. Vescovo di fano era Mons. Gabriele antonio severoli. Podestà il cav. di santo stefano conte antonio Galantara. sul santuario della colonna ancora l’asioli precisa che la chiesa, su disegno dell’architetto Prospero selvelli, misura m 25 di lunghezza e m 12 di larghezza. È divisa in tre navate elegantissime. nell’abside, in alto, affidata alla parete di fondo, è l’ancona contenente la preziosa immagine della Madonna, bella e devota pittura su tavola. alle dimensioni planimetriche della chiesa fa cenno anche una epigrafe di quel tempo. […]”. f. battistelli, Considerazioni storiche sovra il Santuario fanese della Colonna, tipografia c. Piccoli, fano 1961, pp. 9-10. nei primi decenni del novecento sono segnalati alcuni restauri resisi necessari subito dopo gli eventi tellurici del 1916 e del 1930, eseguiti soprattutto con la raccolta di fondi tra i fedeli.3. “sotto villa san Martino, sulla strada che collega cartoceto a saltara, sorge la pregevole chiesa-santuario della Madonna della Villa (1795). sul luogo ove pare esistesse una celletta dedicata alla Madonna del rosario, alla fine del XViii secolo l’architetto fanese Prospero selvelli fu incaricato di progettare una chiesa secondo lo stile neo-classico a quel tempo imperante. la facciata fu però opera del figlio cesare. realizzata in cotto, presenta in facciata un’ampia doppia gradinata d’accesso e portale a timpano inserito in un arco superiore tra un gioco di lesene. Una fascia mediana divide la base dalla parte superiore dove si apre un ampio finestrone. a sinistra sorge il tozzo cam-panile quadrato anch’esso in mattoni. l’interno, a pianta ovale, contiene due altari e, nell’abside, l’altare maggiore, dove si può ammirare una bella tavola dedicata alla Madonna di sebastiano ceccarini (1760)” G. Volpe, Dal Metauro al Cesano. Itinerari nell’entroterra fanese, Maggioli editore, dogana r.s.M. 1989, pp. 38-39.4. Vedi Regesto dei documenti, sempre in questo volume. ringrazio la signora Giuseppina boiani tombari per le informazioni fornitemi.5. Vedi l. asioli, op, cit., apparato fotografico in fondo al volume, dove il disegno è accompagnato da questa didascalia: “il disegno, auto-grafo, già nella sagrestia del duomo, è conservato, in quadro, nella biblioteca comunale federiciana fanese.”6. Vedi c. selvelli, Discorsi e idee del ‘700 pel Duomo di Fano, in “rassegna bibliografica italiana”, iV (1907), pp. 345-348.; id., Progetti del sec. XVIII per il Duomo di Fano, in “le Marche”, Vi, (1907), pp. 272-281; id., Fano e Senigallia, istituto italiano d’arti Grafiche, bergamo 1931, p. 34.

fotografia e (a fronte) trasposizione grafica del progetto per la nuova facciata del duomo proposto dall’architetto cesare di Prospero selvelli nel 1794 (bcff, sala manoscritti, cassettiera b7/36)

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edoardo collamarini è uno dei personaggi della cultura bolognese tra otto e novecento e certamente il più importante architetto emiliano di inizio se-colo. Per le numerose prove date nella progettazione delle diverse tipologie dell’architettura religiosa fu uno dei professionisti più apprezzati nell’entou-rage cattolico. Per questo e per il carattere cordiale e disinvolto, pratico e buontempone tipico della sua bologna, viene da tutti ricordato anche come “al bamben Gesò”. dopo gli studi all’istituto di belle arti di bologna (si di-plomò nel 1884) iniziò immediatamente l’attività di architetto (prima come disegnatore poi come progettista-restauratore) a fianco di un altro illustre rappresentante della cultura architettonica cittadina, l’architetto alfonso

rubbiani, impegnato nel grande cantiere di restauro della chiesa di san francesco. di questo cantiere è rimasto famoso il suo atlante illustrato dei lavori. nel 1887 partecipò al concorso internazionale per il completamento della facciata della basilica di san Petronio, un concorso molto discusso, che scatenò vi-vaci polemiche nell’ambito cittadino e non solo, coinvolgendo personaggi del calibro di Giosuè carduc-ci, corrado ricci, Giuseppe sacconi e persino dell’allora direttore del british Museum di londra, sidney colvins. la polemica trovò spazio su numerose riviste e quotidiani, da “la Patria” al “fanfulla”, da “la striglia” a “l’Unione”, alla “Gazzetta dell’emilia”. sem pre nel 1887 partecipò anche al concorso indetto dall’amministrazione comunale bolognese per la sistemazione del piazzale di Porta Galliera. negli anni successivi la sua azione si estende a temi nazionali come il concorso bandito dall’accademia dei Virtuosi al Pantheon di roma per la nuova facciata della chiesa di santa Maria d’aracoeli e sempre a roma il progetto per la sinagoga. a Padova vincerà la gara per il “progetto per una nuova ridipintura murale della basilica di sant’antonio in Padova, secondo stile del secolo XiV-XV” (finito poi nel 1925). nel 1896 si cimenterà nel tema dell’architettura funeraria, costruendo per il principe alfonso doria-Pamphili la cap-pella gentilizia nella villa romana di belrespiro fuori Porta san Pancrazio (terminata nel 1902). sempre di quell’anno è la sua partecipazione al concorso per il campus universitario di berkeley in california.tra le numerose sue opere sparse nelle città dell’italia settentrionale e centrale vanno ricordate a bologna anche il restauro della chiesa di santa Maria degli angeli, l’istituto salesiano ed il tempio del sacro cuore (forse la sua opera maggiore), la chiesa di santa Maria delle Muratelle; la partecipazione ai concorsi per la facciata dei duomi di Milano, di arezzo e Montepulciano; per la facciata della chiesa di san lorenzo a firenze e per quella del duomo di Pescia; per la facciata e la fiancata laterale della chiesa romanica di santa croce di Parma, dove fece anche un progetto di restauro per la steccata. suoi anche il santuario della Madonna del sangue a re in Val Vigezzo nel novarese ed il progetto di quello della Madonna di fontanellato (Parma). nella sua città partecipò attivamente a tutti i dibattiti di carattere urbanistico e alla realizzazione della migliore edilizia civile, pubblica e di rappresentanza come il Palazzo bernaroli, la casa dei ciechi, la facciata di Palazzo bonora, il Palazzo del Podestà, alcuni edifici dell’Università di bologna, l’istituto dell’orto botanico, i palazzi della società immobiliare romagnola e della cassa di risparmio in via irnerio, il Palazzo del credito romagnolo, la facciata del Palazzo delle provincie di romagna. diversi i progetti di sistemazione di residenze e villini in centro a bologna, così come tanti altri sono gli interventi nei piccoli centri dell’emilia e della romagna (a san Marino, brisighella, san Giovanni calamosco, casalecchio di reno, castelfranco, Varignana, imola, etc.). suoi anche il restauro della casa del boiardo e le sedi della cassa di risparmio a reggio emilia e a Pistoia. numerosi pure i lavori a più piccola scala come battisteri, cappelle e altari in varie chiese, sempre del bolognese, tutti realizzati con la collaborazione di artisti e scultori di grande talento. tanti anche i mo-numenti funebri, soprattutto nel cimitero bolognese della certosa. all’esposizione internazionale di

l’architetto edoardo collamarini (bologna 1863-1928)

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roma del 1911 realizzò il padiglione emiliano-romagnolo. suo anche il “Progetto di massima per una stazione astronomica della regia specola di bologna da erigersi in terreno proprio sulla cima di Monte Griffone – m 250 – colle sovrastante Monte donato”, realizzato in collaborazione col direttore Guido Horn d’arturo (1923).nelle Marche, oltre al progetto per la facciata del duomo di fano, il collamarini viene ricordato a Pesaro per il Palazzo della banca Popolare e il Palazzo delle Poste (ottenuto con la trasformazione della ex chiesa di san domenico) e a senigallia nel lavoro di restauro del battistero del duomo.a partire dagli anni di fine secolo fino alla morte il collamarini ricoprì vari incarichi pubblici: da assi-stente dell’amministrazione provinciale di bologna per l’arte antica a professore presso l’istituto di belle arti della sua città, di cui fu alla fine anche direttore (dal 1917) e presidente (dal 1924); da professore presso l’istituto aldini-Valeriani a quello di insegnante a roma presso la scuola serale di arti decorative, da professore di architettura presso l’istituto di belle arti di Parma a quello di docente nell’università di quella città. dal 1910 fu aggregato all’Università di bologna (dove insegnava “disegno architettonico” alla scuola degli ingegneri). numerosi i premi acquisiti ed i riconoscimenti di rilevanza nazionale, come la medaglia d’argento del Ministero della Pubblica istruzione. tra i suoi allievi si ricordano Giuseppe Vaccaro, antonio sant’elia, Gianluigi Giordani, alberto legnani e enrico de angeli.esponente di spicco della cultura eclettica ed esperto nello studio e nella realizzazione di soluzioni costrut-tive applicate all’uso dei materiali tradizionali, il collamarini rappresenta uno degli esempi più eloquenti di tecnico concreto e pragmatico, comunque artisticamente colto e ricco di una notevole esperienza di cantiere. seguace delle teorie di Viollet-le-duc, edoardo collamarini “ha avuto il grande merito – come si legge nella biografia a lui dedicata nel 1928 dalla rivista “il comune di bologna” – di rifuggire nelle sue creazioni dall’influsso delle architetture gotiche del nord-europa che, inadatte e male applicate da altri architetti e ingegneri del secolo XiX, hanno prodotto le più ibride e morte cose, formando quel cosidetto gotico del quarantotto, che ha deliziato il decadente periodo della reazione romantica e il susseguente periodo Umbertino”. la sua mentalità di architetto progettista e di inventore fantastico e la sua mano di abilissimo disegnatore andarono comunque ben oltre i compiti del restauratore fedele alle norme e alle regole del restauro e molto spesso incontrò critiche anche forti da parte dei funzionari ministeriali e degli intellettuali del suo tempo. edoardo collamarini muore il 25 settembre del 1928. la sua salma riposa nel campo carducci della certosa di bologna, dove si trovano anche le tombe dell’amico poeta Giosuè carducci, dello scrittore enrico Panzacchi e del musicista ottorino respighi. ad edoardo collamarini il consiglio dell’ordine degli architetti Pianificatori Paesaggisti e conservatori di bologna ha intitolato il premio di laurea rivolto agli studenti in architettura nati nelle province di bologna, reggio emilia, Modena, Piacenza, forlì, ravenna, ferrara e rimini distintisi per merito nella laurea.

(GV)

bibliografia essenzialea. Gatti, La basilica di S. Petronio ed il concorso per la sua facciata, bologna 1887; G. Zucchini, Edifici di Bologna, roma 1931; G. lipparini, La R. Accademia di Belle Arti di Bologna, firenze 1941; U. beseghi, Introduzione alle chiese di Bologna, bologna 1956; a. raule, Il santuario del Sacro Cuore, bologna 1958; a. raule, La chiesa metropolitana di S. Pietro, bologna 1958; G. Zucchini, La verità sui restauri bolognesi, bologna 1959; G. capelli, Gli architetti del primo Novecento a Parma, Parma 1975; l. Patetta, L’architettura dell’eclettismo, Milano 1975; e. Gottarelli, Urbanistica e architettura a Bologna agli esordi della unità, bologna 1978; G. Miano, Collamarini Edoardo, in Dizionario Bio-grafico degli Italiani, Volume 26 (1982); Bologna anni 1930-40 Materiali d’opere e di memorie da leggere e da vedere, bologna, tipostampa bolognese 1983; e. frattarolo, Edoardo Collamarini eclettico ed accademico (1864-1928), in L’Accademia di Bologna: figure del Novecento, bologna, accademia di belle arti, 5 settembre-10 novembre 1988, a cura di a. baccilieri e s. evangelisti, con la collaborazione di f. far-neti e d. trento, bologna, nuova alfa, 1988; M.c. iorio, Il Duomo di Fano, Graho5, fano 1997; Norma e arbitrio: architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, a cura di G. Gresleri e P.G. Masaretti, Marsilio, Venezia 2001.

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tero le cose nel corso degli anni successivi. nel maggio 1908, il settimanale cattolico di fano “la concordia” scriveva:

La stampa cittadina, e qualche giornale quotidia-no, si è interessata della scoperta avvenuta nella nostra cattedrale di avanzi appartenenti all’antica costruzione.L’Amministrazione del Capitolo, viste le deplorevoli condizioni di pulizia a cui era ridotta la cattedrale, traendo partito dalle poche risorse che ha, pensò di ripulirla e adornarla con una sobria decorazione, mano a mano che le sarà possibile.Questa ripulitura richiedeva lo scrostamento di molta parte degli attuali intonachi, e fu questa ope-razione che fece vedere alcune tracce delle antiche costruzioni. Qualcheduno dei soliti amanti dell’ar-te, vi lavorò un poco attorno, e si vennero a scoprire le antiche linee di un pilone, e precisamente di quel-lo che sta dalla parte del Vangelo e limita l’attuale presbiterio […].Il Capitolo (che dai fondi della fabbrica non arriva ad aver disponibili per la cattedrale neppure 200 lire annue) non può non pensare ad una qualsiasi ripristinazione delle antiche linee, come non ha in mente di modificare le attuali. Ci ha voluto tutta la sua buona volontà, e una discreta dose di corag-gio per metter mano ad una semplice ripulitura e ad una modesta decorazione a tinte, per togliere lo sconcio d’avere una cattedrale annerita e sporca in modo ormai indecente. Non c’era quindi neppure il pericolo che si potessero in qualche modo danneggia-re gli interessi, chiamiamoli così, dell’antica costru-zione, come non c’è da farsi illusione sulla possibili-tà di un ritorno qualsiasi all’antico […]. Il Capitolo con provvido pensiero ha curato, che per un metro circa all’intorno fossero tolti gli ingom-bri addossati alle antiche linee di metà del pilastro (giacché l’altra metà è uguale) e restassero così a vi-sta di tutti a cominciare dalle basi; e che inoltre re-stasse in vista il capitello scolpito. Un altro capitello fu pure scoperto e lasciato in vista a fianco dell’altar maggiore.Così noi abbiamo sempre sottocchio tre punti im-

portantissimi di partenza che accertano dove co-minciava il presbiterio antico, dove terminavano le colonne laterali e il punto a cui giungevano le altre che sorreggevano i costoloni e gli archi di aggetto.Sarà possibile trovare altro nel resto della chiesa? […]6.

le discussioni e gli interventi all’interno della chiesa pian piano finirono e la chiesa si trovò di nuovo nello stato di degrado iniziale per altri anni ancora, finché, passata la triste parentesi del-la prima guerra, il desiderio di mettere in campo un serio intervento sulla facciata tornò a manife-starsi. nel 1919 si provvedeva intanto a restaura-re gli affreschi della cappella nolfi7.

Lo scrostamento della facciata (1925-1929) “la risoluta decisione del capitolo di procedere alla disintonacazione della facciata”, come scrisse enzo capalozza in un articolo del 19728, risale alla metà degli anni Venti; fa ben sperare nell’im-presa di resurrezione della facciata romanica della chiesa il suo portale e gli avanzi del grande rosone centrale.l’occasione propizia e decisiva venne al momen-to del iV congresso eucaristico regionale svoltosi in fano nel 1925. come ricorda ancora una vol-ta l’asioli, l’avvenimento stimolò infatti il vesco-vo ed il capitolo a “fare un primo passo risoluto e risolutivo per il ripristino della facciata”9.a suo tempo il selvelli – prima e durante i lavori sulla facciata – aveva sottolineato che il consiglio superiore delle belle arti e antichità era interve-nuto prescrivendo – come normalmente si fa per legge – che nel lavoro di ripristino doveva essere rispettato “il criterio storico di procedere sovra si-cure tracce e, ove queste manchino, non sia lecito procedere ad integrazioni di sorta”10.abbiamo fatto questa precisazione poiché nella vicenda che tra poco si innesterà su questa pri-ma parte della storia dei restauri (cioè l’incarico all’architetto bolognese edoardo collamarini), questo passo tornerà spesso a occupare le discus-sioni di cantiere.

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i restauri del novecento

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la facciata della cattedrale in un rilievo del 1924 conservato tra le carte del fondo selvelli, presso la biblioteca comunale federiciana di fano, e (sotto) come appariva in una fotografia prima del 1912

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la facciata della cattedrale in alcune immagini

durante i lavori eseguiti negli anni Venti

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Un primo studio, preliminare, ma fondamen-tale, di restauro della facciata, si ebbe nel 1926 da parte del professionista bolognese, invitato a fano dall’ingegnere cesare selvelli a seguire un cantiere così prestigioso, ma anche delicato, pro-prio per le sorprese che lo scrostamento appena iniziato avrebbe riservato. il professionista, viste le novità emerse dall’operazione di pulizia esterna fatta sulla facciata della chiesa, nel settembre del 1926 così argomentava la sua linea d’intervento ai “rr. canonici del capitolo della cattedrale di fano”:

Mi onoro presentare ai RR. Canonici un disegno nel rapporto 1 a 50, da servire ad un ragionevole ripristino della facciata della Chiesa Cattedrale di Fano, accompagnando tale disegno dalle seguenti considerazioni:Prima di tutto ho il dovere di ringraziare l’Ing. Ce-sare Selvelli, alto conoscitore della Storia e dell’Arte di Fano, per avermi designato al Reverendissimo Capitolo in qualità di Architetto ristauratore, e gra-titudine debbo pure ai RR. Canonici per avermi accolto e messo in presenza di un interessantissimo ed originale Monumento del secolo XII, che mi ha dato modo di fare speciali e preziose osservazioni, come dirò in seguito.Il Vescovo di Fano Giulio Ottinelli, sul finire del cinquecento, volle seguire il gusto artistico allora dominante e riformare la facciata della sua catte-drale; ma fu servito da artista più che mediocre, il quale riuscì solo a combinare un misero compro-messo fra Architettura vecchia e nuova: e fu saggio provvedimento togliere, in occasione del Congresso Eucaristico, così ibrida decorazione, e ricercare sotto il superficiale rivestimento le tracce della primitiva Architettura. Fortuna volle che il barocco rivesti-mento posticcio risparmiasse buona parte delle pri-mitive strutture, per modo che, al momento in cui mi accinsi ad una misurazione generale dell’insigne prospetto, rinvenni quanto mi occorreva per com-piere un accurato disegno di restauro.La porta principale deve la sua singolare bellezza se è giunta sino a noi senza notevoli alterazioni e,

per restaurarla, basta una semplice ripulitura delle fasce a musaico, ed in musaico collocare una nuova lunetta col soggetto obbligatorio di Maria SS. As-sunta, alla quale è dedicata la Cattedrale di Fano.Ai lati della porta maggiore si debbono rimettere al loro posto i contrafforti mediani, soppressi nel 1591, le cui tracce si vedono distintamente nel tratto in cui il muro fu tagliato, e detti contrafforti per forma e sporgenza risulteranno in accordo con quelli ancora a posto nell’estremità del muro frontale.Le finte loggette, uscite fuori sul muro che è in cor-rispondenza alle navate laterali non presentano dif-ficoltà di restauro, risultando intatte negli archi e nella parte superiore dei piedritti; manca la cornice di base soppressa per tutta la sua lungheza col taglio, allora fatto, per inserirvi l’architrave dell’ossatura cinquecentesca, ma detta cornice va eseguita me-diante una semplice fascia sul tipo di altre apparse nello scoprimento del muro originale.Passando dalle loggette alla parte mediana si incon-tra la grande finestra circolare nella quale la rifor-ma del 1591 soppresse tutti i trafori a ruota, man-tenendo a posto solo l’ossatura perimetrale disposta a cerchi rientranti finemente intagliati e lavorati come lo sono quelli del sottostante portale. E qui mi preme fare osservare che, per il poco spazio che intercede fra portale e rosa, è da escludersi la pre-senza del protiro avanti al detto portale, protiro che pareva giustificato dalla presenza di leoni marmorei collocati in basso ed ai lati della porta centrale, e che, a mio avviso, dovevano, detti leoni, apparte-nere alla facciata d’imbocco della cripta, come ora si vede nella famosa Chiesa cattedrale di Modena.Ritornando alla finestra-ruota osservo due abrasio-ni, quasi quadrate, equilibranti nel cerchio inferio-re, e dovendo tenere anche conto di questa singola-re e, sarei per dire, rara situazione per scultura a sbalzo, ho pensato a due mezzi animali sporgenti, come alla rosa della Chiesa Cattedrale di Bari, colla differenza, che a Bari, detti animali sbalzano dal semicerchio superiore, mentre a Fano questo si pro-durrebbe analogamente solo in quello inferiore. Per quello che si riferisce al traforo, io mi sono appoggia-to ad un frammento dell’anello di centro della rosa,

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(Qui e nella pagina a fronte)l’interno della cattedrale durante alcune funzioni

liturgiche, prima della seconda guerra mondiale

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i restauri del novecento

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a metà ottocento Giovan battista Passeri, nel parlare delle ceramiche utilizzate come comple-mento architettonico dell’architettura romanica, scriveva che era abitudine “[…] adornare i fron-tespizi delle chiese con dei bacini di terra colora-ta ed invecchiata assai bene, che facevano un bel vedere raccogliendo nel concavo i raggi del sole e riflettendoli con molta vaghezza”1.Quella di ornare le facciate con bacini cerami-ci è stata una tradizione molto diffusa in italia, ancora ben visibile in molte chiese di quell’epo-ca, soprattutto del centro e del nord italia2. non sfuggono a questa consuetudine nemmeno le chiese di san Mauro3 e la cattedrale a fano. nella chiesetta di san Mauro sono visibili anco-ra le concavità originali, mentre nella cattedrale sono ben visibili le copie colorate montate dopo i lavori di restauro eseguiti nella seconda metà

degli anni Venti4. nel 1929, con la demolizione del paramento murario, vennero infatti alla luce anche le tracce di alloggiamento di queste decorazioni. dai documenti di cantiere e dalle rarissime foto del tempo non sappiamo però se con lo scrostamento furono recuperati anche i pezzi originali e se 9 furono le cavità originali ritrovate. il selvelli nel maggio del 1937, scrivendo di questo lavoro, così accennava alla questione: “la tipica semplicità di questa facciata, quale risulta dalla figura del ripristino effettivo, dispensa, qui, da ogni ulteriore illustrazione. Una volta c’erano i colori, special-mente il bel rosso encausto, sulla zona centrale nelle fascie tipo opus reticulatum qua e là. c’erano varie ceramiche. Per ora qualche ceramica fu rimessa; ma colori no”5. Una descrizione molto vaga che non aiuta a dipanare la questione. Maria chiara iorio, nel suo volume dedicato nel 1997 al duomo, così riassumeva la questione: “a fano, sopra le loggette di sinistra, in corrispondenza dell’asse delle arcatelle e di quello dei piedritti divisori, vennero alla luce piccole cavità circolari dal diametro rispettivamente di 10 cm e di 20 cm circa. si arguì che tali alvei ospitassero, in origine, bacini di ceramica colorata, invetriati o smaltati. non essendo state rinvenute tracce delle eventuali scodelle, nel 1929 furono inserite ceramiche moderne azzurre o blu, per simulare l’effetto cromatico che esse avrebbero potuto creare, eventualmente, sui mattoni.l’inserimento di ciotole, di scodelle e di piatti nelle strutture murarie avveniva, in genere, durante le fasi costruttive, quando conci di pietra o mattoni venivano appositamente tagliati per ospitare i pezzi dal contorno circolare.si trattava di un tipo di decorazione comunemente adottato fra la fine del X e il XV secolo nei Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo e che ebbe diffusione anche nell’area che ci interessa, ove è stato trovato soprattutto su murature in mattoni.bacini ceramici su archetti si trovano piuttosto frequentemente sulle facciate di edifici medievali in laterizi: i casi più frequenti si riscontrano in toscana (soprattutto nel pisano) mentre, non distante da fano, tali decorazioni sono presenti nei pennacchi delle polifore del campanile dell’abbazia di Pomposa; a fano sono rimasti alvei sulle monofore dell’abside detta di san Mauro”6.

(GV)

i bacini ceramici sulla facciata

le concavità originali dei bacini ceramici che erano

inseriti sull’abside della chiesa di san Mauro a

fano

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1. G.b. Passeri, Istoria delle pitture in maiolica fatte in Pesaro e né luoghi circonvicini, in G. Vanzolini, Istoria delle fabbriche di maioliche metaurensi e delle attinenti ad esse, Pesaro 1879, p. 29.2.“la decorazione a bacini ceramici, tuttavia, pur se presente perfino in territori eccentrici come anatolia e Georgia, fu svolta con pienezza e consequenzialità in numerose località dell’italia continentale e insulare. Qui sporadicamente i bacini compaiono nelle regioni meridionali, sicilia, calabria, Puglia, campania, con esempi superstiti databili dal 13° al 15° secolo. senza dubbio impie-gati più frequentemente nella parte centrosettentrionale della penisola, i bacini sono reperibili con frequenza in Piemonte, dove si trovano esemplari dal sec. 12° al 15°, nel Veneto (tre casi dei secc. 12°-13°), in liguria (in particolare, noli, san Paragorio; Varazze, sant’ambrogio Vecchio, sant’ambrogio nuovo; Genova, san Giovanni di Pré), in lombardia (per es. Pavia, santa Maria del Popolo e nella perduta torre civica; Milano, san simpliciano, sant’ambrogio; Morimondo, abbazia) e nel vicino canton ticino. numerosi gli esempi nell’emilia romagna (per es. nonantola, abbazia; bologna, santo stefano, san francesco, quattro palazzi; ferrara, san Giacomo, san bartolo; Pomposa, abbazia con il campanile e il palazzetto della ragione; ravenna, sant’apollinare nuovo, san Gio-vanni battista; faenza, chiesa della commenda), nelle Marche (in particolare, tolentino, san nicola, chiostro; Pesaro, sant’agostino, duomo, san francesco; ascoli Piceno, sant’agostino, san Venanzio, san francesco, sant’angelo Magno, santa Maria inter vineas, san Giacomo, santa Maria delle donne, san Pietro in castello), in Umbria (per es. assisi, loggia della casa dei maestri comacini; narni, campanile del duomo; terni, campanile di san francesco), in abruzzo (in particolare: campli, santa Maria in platea; atri, campanile della cattedrale; Giulianova, santa Maria a Mare; Morro d’oro, santa Maria di Propezzano; Penne, sant’agostino; loreto aprutino, santa Maria in Piano). le regioni italiane dove i bacini ebbero la massima diffusione furono il lazio e la toscana, sulla quale si considerano gravitare anche la sardegna e la corsica. in toscana sono presenti più di sessanta edifici con bacini ceramici, nel lazio intorno ai cinquanta. in calabria le chiamano i bacini (o vacili) e tra gli esempi più belli ci sono quelli sulla facciata della chiesa di san bernardino (sec. XV) ad amantea, ritenuto “punto di partenza e fonte preminente della ceramica calabra nell’età moderna […] nove bacini murati sopra il portale della facciata, […] disposti in forma di croce, originariamente sottolineata da una croce dipinta, di cui non restano oggi che tracce lievissime nell’intonaco”. […] la presenza di bacini in ceramica come elemento decorativo è cosa assai rara nell’architettura meridionale, al contrario di quella centro settentrionale. […] Per la disposizione dei bacini di amantea bisognerà dun-que pensare al suggerimento di qualche colto frate, che poteva aver visto quell’uso, nell’architettura romanica dell’ambiente toscano e marco-emiliano” a. Gentili (a cura di), Artigianato in Calabria, catalogo edito dall’enaPi, bestetti edizioni d’arte, roma 1971, pp. 18 e 23. Per le Marche si rimanda a n. Valentini, I bacini ceramici delle chiese marchigiane, in “CeramicAntica”, i, 6 (1991), pp. 20-39 e s. nepoti, I “bacini” nelle Marche, in I bacini murati medievali. Problemi e stato della ricerca, atti del XXVi convegno internazionale della ceramica, albisola 28-30 maggio 1993, firenze 1996, pp. 183-201. 3. nella chiesa di san Mauro, situata di fianco alla chiesa di sant’arcangelo, le tracce sono visibili sul muro dell’abside, al di sopra delle due monofore. 4. dei bacini ceramici collocati sulla facciata della cattedrale di fano si sono interessati: M.c. iorio, Il Duomo di Fano – strutture e sculture, Grapho5, fano 1997, pp. 97-98; c. Giardini, Brevi considerazioni intorno all’abside cosiddetta di S. Mauro, in r. Montanari (a cura di), La scuola adotta un monumento Abside di San Mauro, società tipografica, fano 1999, p. 13; c. Giardini, Per una storia della ceramica a Fano (secc. XIV-XVII), in c. Paolinelli (a cura di), Maiolika-Kèramos Ceramiche restaurate del Museo Civico dal XIV al XVII secolo, in “i Quaderni del Museo”, rivista del Museo civico di fano,1(2008), p. 23. 5. c. selvelli, La facciata del Duomo di Fano (Chiarimenti e divagazioni), in “studia Picena”, Volume tredicesimo (1938), p. 51.6. M.c. iorio, op. cit., pp. 97-98.

la parte di facciata della cattedrale di fano con i nove bacini ceramici policromi apposti nel 1929

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la Basilica cattedrale di fano

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il prospetto elaborato dal collamarini nel 1926

e (sotto) la facciata appena restaurata, come appare in

una cartolina d’epoca

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i restauri del novecento

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rinvenuto tra il materiale di ricupero, frammento che è di un quarto della circonferenza di detto anel-lo, dove le colonnine risultano binate e vi combina-no una divisione da otto spicchi: ho fatto varie prove intese a comporre un traforo adatto, e quello che mi è risultato meglio in accordo col carattere speciale dell’architettura di questa facciata è quello stesso che ho messo nel mio disegno.Passando al restauro della parte superiore, noto un fatto assolutamente nuovo ed è lo spostamento in avanti dell’intera zona di muro che esiste sulle log-gette e su tutti gli archetti intrecciati della navata mediana, per modo che dal filo del muro in bas-so ed in corrispondenza alle porte, risalendo, vi ha uno spostamento in avanti che al fastigio centrale raggiunge circa venti centimetri di aggetto; e questa caratteristica, dico singolare, è rarissima, e tale da rendere la fronte del Duomo di Fano una mani-festazione singolare dell’architettura del secolo XI, trovandosi qui magistralmente combinati motivi di arte Umbra, Cosmatesca, Abruzzese e Pugliese.In quanto al coronamento, ho rinvenuto un fram-mento di marmo ad angolo ottuso con larga gola diritta, che si può considerare come serraglia del frontone al centro e di sotto della croce terminale, e da tale frammento ho ricavato l’inclinazione di tut-ti i pioventi di questa ampia caratteristica facciata.I due leoni in bassorilievo di vigorosa fattura, di cui uno completo, inseriti in un rettangolo hanno la larghezza esatta del contrafforte restituito alla nave mediana, e poiché anche per l’altezza combaciano con quella data agli archetti intrecciati, vi ho visto il coronamento del detto contrafforte, trovando che in questa soluzione si à un finale adatto ad detto contrafforte che in tutti i modi deve essere arresta-to dove cominciano le zone a piccola scacchiera che compongono fregio al frontone centrale e danno a tutta la facciata un’impronta di Arte Orientale.Per ultimo, accennando anche all’occhio a giorno che divide il centro del nominato frontone, nel qua-le è ancora a posto parte dell’intagliato semicerchio inferiore, trovo che il miglior modo di integrarlo sia quello di ricollocarvi una mezza figura del Cristo benedicente, tanto più che nei frammenti usciti,

dopo aver tolte tutte le sopraggiunte strutture mo-derne, si è rinvenuta una testa di Cristo appena ri-conoscibile per essere assai deteriorata.Tutto questo andava da me detto riferendomi al solo disegno della facciata, che consegno al Reveren-do Capitolo; se tale disegno verrà preso in benevolo esame ed approvato, come spero, dall’illustre So-praintendente dei Monumenti delle Marche, sarà necessaria un’intesa con sopradetto funzionario cir-ca i criteri da seguire passando alla parte esecutiva; ed intanto rivolgo viva preghiera, affinché i RR. Canonici componenti il Capitolo, facciano invio alla Regia Sovraintendenza di Ancona di due copie del disegno da me presentato, unitamente a queste brevi note esplicative dei criteri da me seguiti nella compilazione del disegno che riporta la facciata del Duomo di Fano all’aspetto che doveva avere prima che il Vescovo Giulio Ottinelli da Fermo nel 1591 iniziasse quella malaugurata manomissione del monumento, finalmente scomparsa, per dar luogo ora al ritorno della fronte originale.Ringraziando il RR. Capitolo per la fiducia che ha in me riposto, con i sensi della più alta considerazio-ne passo a rassegnarmi. Bologna, 2 settembre 1926Devotissimo Edoardo Collamarini11

Purtroppo, nel 1928, a bologna, il collamarini moriva, lasciando il cantiere nel pieno della deli-cata questione che la sua proposta comportava, e cioè la integrazione con nuove e discutibili solu-zioni progettuali, così riassumibili:

a. l’introduzione, nella lunetta del portale principa-le, di un altorilievo rappresentante Maria Assun-ta (cui la chiesa è dedicata);

b. l’inserimento di due lunette figurate sulle aper-ture laterali;

c. il ripristino del traforo della grande finestra circo-lare, ricostruito in base ad un frammento rinve-nuto fra il materiale di recupero;

d. la realizzazione di due protomi ferine da colloca-re al posto delle abrasioni lungo la semicirconfe-renza inferiore della stessa rosa;

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e. l’inserimento di due formelle con leoni in cima ai contrafforti centrali, all’altezza degli archetti intrecciati (tali formelle avevano infatti la lar-ghezza delle tracce dei contrafforti da ripristinare, e l’altezza pari a quella degli archetti rinvenuti);

f. l’introduzione di una fila di archetti anche nei settori laterali e il completamento del piccolo oc-chio superiore nel quale inserire un busto di Cri-sto benedicente12.

come sottolineava qualche mese dopo l’ingegne-re cesare selvelli, subentrato dopo la morte del collamarini nella direzione dei lavori, il consi-glio superiore delle belle arti e antichità non permise

integrazioni di nessun genere, ed il progetto del 1926 ha poi dovuto radicalmente trasformarsi con una variante del marzo 1929. Se la morte non avesse inopinatamente colpito il Maestro proprio all’inizio dei lavori, è certo che Egli stesso avrebbe poi condotto il primo disegno al tipo definitivo che ne è seguito, ed avrebbe con noi sostenuta la necessi-tà del completamento del lavoro con l’addolcimento di pendenza della piazzetta che (portando a risco-prire la facciata in tutta la sua altezza originaria ed a rifare la gradinata del portale) ridarà al prospetto la integrale maestà della sua massa primitiva13.

Ma non furono solo questi i problemi che emer-sero dal cantiere dopo il progetto del 1926. nel gennaio del 1929 si scoprirono infatti in corso d’opera “tracce ineccepibili delle decorazioni organiche (archetti intrecciati) che correvano sotto la linea dei pioventi della cuspide [che im-posero] la trasformazione del disegno ideato per quella zona così significativa”14. tale faccenda metteva in crisi anche la proposta di ripristinare l’occhio fuori asse all’interno della cuspide, in-compatibile proprio con il motivo degli archetti appena ritrovati15.c’era anche la questione delle due porticine la-terali sulla facciata, aperte a metà del XVi se-colo e che si dovevano chiudere, pur sapendo

di andare incontro a problemi di sicurezza del tempio stesso. Quest’ultima questione richie-deva infatti che per soddisfare tale richiesta si sarebbero dovute sacrificare le due cappelle late-rali per poter effettivamente aprire lì due porte sostitutive.durante tutto questo periodo si sovrapposero ai problemi del cantiere anche diverse valutazioni critiche tra il soprintendente dell’epoca, il pro-fessore luigi serra, e l’ingegnere fanese, di cui restano documenti d’archivio nelle pratiche cu-stodite presso la soprintendenza ai Monumenti di ancona e negli scritti comparsi sulle riviste del tempo (vedi le note del serra sulla “rasse-gna Marchigiana” tra il 1925-30 – poi confluiti nei due volumi dedicati a “l’arte nelle Marche” 1929-1934 – e i saggi del selvelli sulla rivista “studia Picena”). Per il suo incarico cesare selvelli si valse della consulenza dell’esperto di architettura romanico-lombarda Paolo Verzone (allora segretario della commissione Monumenti della provincia di Vercelli), il quale collaborò con riflessioni, sugge-rimenti e schizzi propositivi. di tutto ciò restano i preziosi documenti conflui ti nel fondo selvelli della biblioteca comunale federiciana di fano.

I restauri per l’VIII centenario della riedificazione del duomo (1939-1941)nel suo libro dedicato al vescovo Vincenzo del signore, silvano bracci così spiega un passaggio significativo della storia della cattedrale ed il ruo-lo avuto in questo frangente dall’alto prelato:

Nel febbraio 1939, in previsione delle celebrazioni dell’VIII centenario della riedificazione del Duomo e per la realizzazione dei necessari restauri interni ed esterni, venne costituito un Comitato promotore che aveva come presidenti l’autorità ecclesiastica e quella cittadina, cioè il vescovo e il podestà; veniva contemporaneamente stabilito un Comitato Esecu-tivo distinto in due sezioni con rispettivi presidenti, mons. Riccardo Paolucci della sezione ecclesiastici e il comm. Filippo Pasqualucci della sezione laici e

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anche un Sottocomitato di signore con la marchesa Maria Baccarini De Grandis presidente. Poco tem-po dopo, esattamente il 1° agosto, mons. Del Signore dette alle stampe una lettera pastorale, Per il nostro duomo, nella quale esternava i motivi affettivi che lo legavano al tempio fanese ed elencava le ragioni per le quali un pastore diocesano era unito alla sua cattedrale, infine invitava a contribuire alle spese che i restauri avrebbero comportato […].Per raggiungere lo scopo di una raccolta di offer-te istituì una “Giornata pro Duomo”, “La Chiesa Madre” della Diocesi, che fu celebrata soltanto il 15 agosto 1939 e 14 aprile 1940 in città e in alcune parrocchie della periferia, praticamente interrotta dagli avvenimenti bellici16.

che il motore delle celebrazioni e del conseguen-te restauro pre-bellico sia stato il vescovo del si-gnore, ci viene confermato anche da altra fonte:

Noi ci fermiamo a notare, con amore e verità, quanto è avvenuto in questi anni dell’episcopato di Mons. Vincenzo Del Signore, nostro Vescovo, che lanciò l’idea di grandiosi restauri della Cattedrale che si poterono attuare dall’anno 1939 al 1941, volendosi ricordare l’ottavo centenario della riedifi-cazione della Cattedrale avvenuta nel 114017.

ecco come vengono ricordati “i lavori di ripristi-no e restauro eseguiti dal vescovo con il contri-buto suo, degli istituti di credito cittadini, dello stato, dei benefattori”:

A. Nell’esterno della Cattedrale:1. Sistemazione definitiva della facciata. 2. Abbas-samento del piazzale e delle due strade. 3. Gradi-nata in pietra. 4. Sistemazione muraria del fianco in via Rainerio con pietra di Carignano e terrecot-te quattrocentesche. 5. Restauro del campanile. 6. Raccordo di via Rainerio con via Roma.

B. Nell’interno della Cattedrale:7. Cappella del Santissimo – rivestimento di mar-mi alle pareti, nuovi capitelli, zoccolatura, gradini

all’altare, tabernacolo conforme alle disposizioni della S. Congregazione, restauro ai tre quadri, balaustra di marmo, decorazione in oro. 8. Bat-tistero - zoccolatura in marmo, sistemazione del monumento, apertura d’una finestra monofora, cancello in ferro battuto, protezione in legno alla porta esterna. 9. Cappella di Nostra Signora – pavimento in ceramica, zoccolatura in marmo, altare in marmo, decorazione, apertura di due finestre monofore. 10. Cappella del Crocifisso – ri-costruzione nelle antiche proporzioni, pavimento in marmo, rivestimento delle pareti in marmo, al-tare in marmo, immagine del Crocifisso, apertura di due finestre monofore, cancello in ferro battuto, iscrizione commemorativa, decorazione in pittura. 11. Apertura di due porte laterali. 12. Cappella di San Paolo – pavimento in marmo, rivestimento in marmo alle pareti, zoccolatura in marmo, collo-camento dell’altare di marmo e sistemazione della Pala. 13. Cappella dell’Addolorata – statua della Madonna, altare in marmo, pavimento e zoccola-tura in marmo, rivestimento in marmo, alle pare-ti, apertura di due finestre monofore, sistemazione del cancello in ferro battuto, iscrizione comme-morativa. 14. Cappella Nolfi – sistemazione del pavimento e della zoccolatura in marmo, restauro di una delle 16 istorie che il Domenichino affre-scò narrando la vita della Madonna, restauro del quadro centrale di Andrea Lilli. 15. Cappella di S.Orso – pavimento e zoccolatura in marmo, siste-mazione delle adiacenze, 16. Sistemazione delle tombe e degli ossari nelle tre navate. 17. Pavimen-to in battuto alla veneziana alle tre navate dopo i lavori di abbassamento per ritornare al livello fissato da mastro Rainerio nel 1140. 18. Siste-mazione di antichissimi musaici facenti parte del pavimento anteriore al 1000. 19. Rafforzamen-to murario di due pilastri della navata centrale. 20. Gradinata in marmo al presbiterio e alle due cappelle laterali. 21. Pulpito frammentario. 22. Impianto elettrico per luce diffusa. 23. Impianto per microfono. 24. Tinteggio generale. 25. Rivesti-mento in marmo della parte posteriore dell’Altare Maggiore. 26. Sistemazione del rinvenuto Sar-

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cofago di S. Fortunato nell’Altare Maggiore. 27. Pavimento in marmo del Coro. 28. Artistiche Sta-zioni della Via Crucis18.

come si evince da questo elenco, tra i lavori esterni si parla anche dell’apertura delle due por-te laterali. a seguito di questo importante cam-biamento della funzionalità della chiesa giova ricordare che in quell’occasione vennero messi in luce (e tuttora si vedono) i due contrafforti la-terali dell’antica chiesa medievale19; venne anche rifatta, con abbassamento del piazzale antistante, la gradinata esterna di entrata20. Ma i maggiori lavori furono quelli all’interno del-la chiesa; lavori molto ampi e di diverso ordine, strutturali e decorativi, che interessarono pratica-mente ogni angolo del monumento. Un primo elemento che fu eliminato completamente fu il parapetto di cemento di divisione tra il presbi-terio e la navata centrale. Venne creata una larga scalinata nello spazio delle tre navate, di cui una parte, quella centrale, fu leggermente avanzata.Un altro intervento molto esteso e significativo fu quello della nuova pavimentazione, che in pratica venne ribassata. alcune tracce delle vec-chie quote sono rimaste in vicinanza della capel-la nolfi e delle colonne della chiesa; altre tracce ancora, più profonde e con elementi della deco-razione a mosaico, furono localizzate, fotografate e poi nascoste dal nuovo intervento21. Vennero sistemate tombe ed ossari sottostanti la quota di calpestio. anche le cappelle subirono restauri, ab-bellimenti e nuovi interventi, così come vennero rifatti completamente l’impianto elettrico e la tinteggiatura. tra la primavera e l’estate del 1941 si ebbero le solenni cerimonie di rito. il 13 apri-le, giorno di Pasqua, venne inaugurato il pulpito frammentario22, mentre il 3 giugno fu consacrato il nuovo altare della cappella del ss. crocifisso23. ecco come si legge la notizia sul bollettino Uffi-ciale della diocesi di fano:

S.E. Mons. Vescovo, assistito da alcuni Canonici, dal Cerimoniere e da un gruppo di Seminaristi ha

proceduto con tutta la maestà del Rito di Consacra-zione del nuovo altare marmoreo nella cappella del SS. Crocifisso. La qual Cappella è stata restaurata per munificenza del sac. Don Attilio Zonghetti in memoria de’ suoi amati genitori Pasquale e Rosa. Si notano subito con sensi di approvazione il devoto e artistico Crocifisso, lavoro prezioso in legno del noto artista Vincenzo d’Ametz di Bolzano; il rivestimen-to delle pareti, l’Altare; il pavimento, in marmo, pregevoli lavori della ditta Tecchi di Fano. I restauri furono diretti sapientemente dall’architetto Gaetano Bartolucci, insegnante nella nostra Scuola artistica “A. Apolloni” rappresentante, per tutti i Restauri del Duomo, della R. Sovraintendenza di Ancona.Durante la celebrazione della S. Messa S.E. Mons. Vescovo rivolse parole di congratulazione, di com-piacimento e di ringraziamento all’insigne bene-fattore.Alla suggestiva cerimonia hanno assistito i parenti e gli amici del benefattore e molti fedeli. Il sacerdote don Attilio Zonghetti e i parenti si sono poi recati in Episcopio a ringraziare Mons. Vescovo24.

Purtroppo tanto si fece, ma molte novità resta-rono solo per poco tempo. nell’agosto del 1944 una nuova sciagura doveva abbattersi sulla cat-tedrale appena restaurata: la demolizione forzata del campanile, ad opera dei guastatori tedeschi in ritirata, che determinava infatti non solo la per-dita della storica monumentale torre campanaria, ma anche la distruzione di parte del presbiterio e dell’episcopio, dove tra l’altro andò perduta una consistente quantità di documenti dell’archivio vescovile che lì aveva sede.

Le riparazioni del dopoguerra tra la fine del 1945 e il marzo del 1949, seguìte soprattutto dai tecnici del Genio civile, si svolse-ro subito le prime sommarie riparazioni dei dan-ni di guerra, soprattutto nelle parti compromesse dal crollo del campanile (sgombro macerie, pun-tellamento coperture, etc.); per la ricostruzione del campanile si dovranno poi attendere decenni per vederlo di nuovo svettare di fianco alla chiesa

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(vedi capitolo Dalla Torre di Belisario al moderno campanile di Gianni Volpe). in chiesa, i lavori interessarono tutta la zona com-promessa del presbiterio (volte, pavimentazioni e gradinate prossime all’altare maggiore, coro e organo) e quella delle cappelle attigue (ss. sa-cramento, battistero, addolorata e perfino quella più distante di san Paolo). i lavori furono esegui-ti dalla ditta di spinaci Giuseppe fu fortunato, seguiti con zelo del geometra lorenzo Menegoni, per il Genio civile25.Per l’episcopio, i lavori più consistenti furono fatti tra il 1952 ed il 1956, come testimonia uno specifico fascicolo conservato nelle carte del Genio civile di Pesaro e dedicato ai “lavori di completamento da eseguire nella sede del Palazzo Vescovile di fano”. la pratica fu seguita sempre dal geometra Menegoni, mentre l’impresa pre-scelta fu quella di Marcolini Menotti di Pesaro. si mise mano alle strutture murarie dell’edificio e della rampa, alla copertura, alla sala a piano terra, all’ingresso, alla cappella privata del vescovo e al cortile26.sempre nella stessa cartella si trova anche un piccolo fascicolo di documenti datati 1954. riguardano il dirottamento della somma di 5 milioni dal progetto di ricostruzione del campa-nile della cattedrale al cantiere dell’episcopio e a quello della ricostruzione del campanile della chiesa di san Marco27.

La Cappella alla Madonna Pellegrina (1950)la seconda cappella a sinistra, entrando in chiesa dal fondo, è nota oggi come cappella della Ma-donna Pellegrina. tale dedica venne formalizzata ufficialmente nel 1950, come ci ricorda, elen-candone anche i restauri e le trasformazioni ese-guite negli anni precedenti, una nota comparsa sul bollettino Ufficiale della diocesi di fano del 1955, che vale la pena riportare integralmente:

In Duomo a ricordo della “pereginatio Mariae”: La Cappella - Santuario.Il Vescovo, il Clero, il Popolo hanno voluto che del-

la “Peregrinatio” rimanesse in Duomo un ricordo perenne e dedicarono alla Madonna una Cappella-Santuario. Questa fu anticamente la cappella del santissimo Sacramento, detta “Corporis Christi”, eretta dal pio Vescovo Leone II (chiamato Leonci-no o per la statura o per l’amabilità o per l’una e l’altra insieme) nell’anno 1379. Fu restaurata dal patrizio fanese Michelangelo Arnolfi, che ne otten-ne il patronato dal vescovo Antonio II da Pinerolo nell’anno 1498, nel quale anno divenne Cappella della santissima Annunziata.Circa 40 anni or sono fu dedicata a Nostra Signo-ra del sacro Cuore di Gesù dal vescovo Vincenzo I Franceschini di s.m. che l’arricchì di ancòna di legno. La Cappella fu, allora, decorata dal pittore fanese Pasquale Garofani.A ricordare la “Peregrinatio Mariae” del 1949-50 la Cappella fu dedicata al “Cuore Immacolato di Maria” dal Vescovo Vincenzo II Del Signore, dopo i restauri resi necessari dai danni causati dalle mine tedesche nell’agosto 1944. Era illuminata dolce-mente da finestre con vetrate istoriate lavorate con grande passione dal prof. Vittorio Menegoni, diret-tore della locale Scuola d’Arte Applicata all’Indu-stria “Adolfo Apolloni” ed Ispettore onorario statale dei monumenti fanesi.La nicchia, elegante disegno del pittore fanese Enzo Bonetti, è di marmi preziosi e contiene il pio Simu-lacro della Madonna Pellegrina, dono fatto al ve-scovo Vincenzo II Del Signore nel 1949 dal Sommo Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalem-me: di marmo sono pure le pareti e la balaustra. Il pavimento, degnissimo di menzione speciale, dise-gnato dal sullodato prof. Vittorio Menegoni, è for-mato da piccole mattonelle in ceramica (raffiguran-ti i simboli delle Litanie lauretane) fatte con mezzi propri dalla suddetta Scuola d’Arte.Nella parete sinistra di chi guarda l’altare è la la-pide per ricordare il vescovo Leone II, detto Leonci-no, che eresse la cappella nel 1379. Nella parete a destra è la lapide a ricordo di Michelangelo Arnolfi erettagli con animo grato dal vescovo Antonio II da Pinerolo e dal capitolo nel 1499.Una fascia che gira le tre pareti ha, in belle lettere

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su marmo, la dicitura: “ave urna aurea continens manna caeleste tu benedicta inter mulieres ave causa salutis ave regina Pacis”.Questa cappella-santuario fu inaugurata il 21 maggio 1950 a chiusura della Peregrinatio Mariae.Le finestre istoriate, lavoro bello della Ditta Felice Quentin di Firenze sono dono generoso del canonico onorario Don Attilio Zonghetti […]28.

Il restauro degli affreschi del Domenichino nella Cappella Nolfi (1959-1960)alla fine degli anni cinquanta risale anche un consistente restauro degli affreschi del dome-nichino nella cappella nolfi. Venne realizzato a cura della soprintendenza alle Gallerie delle Marche di Urbino (così allora veniva chiama-to l’ente) per interessamento del capitolo della cattedrale (con il contributo della locale cassa di risparmio) e fu eseguito dal professor Giuseppe rosi di firenze. il restauro interessò i sedici affre-schi dedicati alla vita della Madonna, realizzati da domenico Zampieri detto il domenichino nella seconda decade del XVii secolo. come si legge in una nota pubblicata sul bollettino uffi-ciale della diocesi di fano,

[…] i celebri affreschi, avendo subito notevoli depe-rimenti, furono restaurati altre volte, e precisamen-te nel 1881 e nel 1919, ma oggi è stato compiuto dal prof. Rosi un restauro diligente e completo, per cui si può veramente dire che egli ha saputo ridare all’opera del Domenichino la freschezza dei colo-ri, salvando da sicura perdita un’opera d’arte che costituisce una gemma pittorica del nostro Duomo romanico29.

da una comunicazione del luglio precedente, intercorsa tra la soprintendenza alle Gallerie delle Marche di Urbino ed il comune di fano, si apprende anche che, durante i “costosi lavori di ripulitura e di restauro pittorico dei prezio-si affreschi – opera del domenichino – e degli stucchi situati nella cappella nolfi del duomo di fano” si era rilevata la presenza di infiltra-

zioni dal tetto corrispondente, tali da necessi-tare un’accurata revisione del manto di coper-tura. essendo venuti poi a conoscenza che la cappella era di giuspatronato del comune di fano, i canonici si affrettarono a pregare “l’am-ministrazione fanese di riparare la copertura”. il comune, pur precisando che la cappella non era mai stata di giuspatronato del comune, si impegnava comunque a provvedere alle opere di riparazione, essendosi accertata la modesta entità dell’intervento30.

I lavori strutturali alla copertura (1966-1970)nell’arco di tempo che va dal 1966 al 1970 la cattedrale di fano fu di nuovo interessata da una serie di lavori da parte del Genio civile di Pesaro e della soprintendenza ai Monumenti di anco-na, volti a consolidare la struttura e la copertura dell’edificio. furono guidati dall’ingegnere oli-veti, concordemente con i tecnici anconetani della soprintendenza.Prima dei lavori veri e propri si procedette ad al-cuni scavi per saggiare lo stato delle fondazioni sotto i muri perimetrali e sotto i pilastri. furono quindi eseguiti due scavi esterni (uno sul lato sud ed uno sul lato nord) ed uno scavo all’in-terno della chiesa, vicino al secondo pilastro di sinistra della navata centrale. l’esito fu che le fondazioni esterne risultarono stabili ed affidabili, mentre lo scavo interno portò all’individuazione di una particolare fon-dazione (a tronco di piramide rovesciata) che, per quanto curiosa ed originale, insospettì i tecnici che richiesero di eseguire altri e più det-tagliati sondaggi, dai quali risultò che la strut-tura del pilastro era composta niente meno che di due diverse strutture: una centrale, in pietra, ed una di rinforzo esterno in mattoni, incoe-renti tra loro e quindi giudicate inadeguate a reggere i pesanti carichi di pietra esistenti sulle antiche volte29.immediatamente il Genio civile informava il sindaco della città, il quale da parte sua impone-va al vescovo l’immediata chiusura della chiesa.

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cappella della Madonna Pellegrina, particolare della statua

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cappella della Madonna Pellegrina, particolari del soffitto e del pavimento

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dal contenuto della relazione inviata al sindaco da parte del responsabile dell’Ufficio tecnico si può ben comprendere lo stato delle cose:

A seguito della comunicazione del Genio Civile n. 17801 in data 26/10/ 1967 circa quanto in oggetto [misure di salvaguardia della pubblica incolumità alla cattedrale n.d.a.], il sottoscrit-to si è recato immediatamente sul luogo insieme al geom. Peconi, per constatare l’effettivo stato di pericolosità dell’edificio in rapporto alle misure di protezione da adottare.Dopo un attento esame si è constatato che gli estremi di un’immediata pericolosità non sussistono, almeno verso l’esterno, ove le massicce murature non presen-tano segni di movimento e lesioni di sorta.Per quanto riguarda invece l’interno della Cat-tedrale non è stata possibile alcuna ispezione alle strutture di copertura (crociere a tetto); comunque i tecnici del Genio Civile che l’hanno ispezionata si sono pronunciati sulle strutture stesse, che si trovano in tale dissesto da non dare affidamento per l’inco-lumità dei fedeli.Pur tuttavia dato che solo verso l’ingresso si notano infiltrazioni d’acqua è da presumere che la maggio-re pericolosità sia da ritenere localizzata in quella parte e quindi, a subordinato parere del sottoscritto, l’uso della Chiesa potrebbe essere limitato alla cap-pella a sinistra dell’altare maggiore con ingresso dal-la porta laterale di via Rainerio presso il campanile.Concludendo l’Ufficio è del parere di non far luogo a sbarramenti esterni di sorta, almeno per il mo-mento, mentre per l’interno S.E. il Vescovo, qua-lora voglia accogliere il suggerimento dell’Ufficio, potrebbe richiedere al Genio Civile l’autorizzazione ad usare parzialmente la Cattedrale” 32.

la cattedrale, alla fine di ottobre del 1967, venne chiusa al pubblico. si procedette quindi a nuovi esami delle strutture, a perizie e discussioni e infi-ne ad installare il cantiere vero e proprio per pro-cedere immediatamente allo svuotamento delle volte e all’alleggerimento dei carichi. furono alla fine anche rifatte certe parti di pavimentazione e

le tinteggiature, nonché alcuni impianti tecnolo-gici (termico, elettrico e di amplificazione).

Fu così – scriveva la iorio qualche anno dopo – che nel 1968, negli anni in cui gli studiosi dell’ar-te medievale venivano mettendo a fuoco l’im-portanza di un sistema di coperture come quello del Duomo fanese, poiché tipico dell’architettura romanica lombarda del XIII secolo (ma assai ra-ramente rintracciabile perché il più delle volte modificato), proprio in quegli anni, dunque, il Duomo di Rainerio venne privato di queste strut-ture, attestazione sicura di una certa cultura e di un’epoca ben circoscrivibile, di cui ora rimane solo la documentazione33.

Le modifiche interne post-conciliari e la trasforma-zione della Cappella dell’Addolorata in Cappella sepolcrale dei Vescovi (1966-1973)sempre a metà degli anni sessanta un altro pro-getto veniva ad interessare lo spazio interno del-la cattedrale; un progetto “sostanziale”, in quan-to collegato direttamente alla riforma liturgica introdotta dal concilio Vaticano ii. al fine di studiare la riorganizzazione spaziale e funziona-le di taluni spazi – la cosiddetta zona presbite-riale, compresi i relativi dislivelli e la scalinata stessa – e dei relativi elementi architettonici e degli arredi sacri ivi contenuti (altare maggiore, ambone, seggio presidenziale, pulpito, etc.), nel dicembre del 1966 veniva incaricato l’architetto fanese Gianni lamedica, al quale si chiedeva, come si legge nel verbale delle delibere capitola-ri, di studiare una nuova e più attuale soluzione per gli arredi sacri34.Già nel febbraio dell’anno successivo l’architetto era in grado di presentare al consiglio le linee guida del progetto, caratterizzato principalmente dalla scelta di una nuova cattedra e di un nuovo altare rivolto all’assemblea dei fedeli. Purtrop-po non si poté agire subito, in quanto – come poc’anzi si è detto – nel novembre di quell’anno la cattedrale veniva chiusa per quella serie di la-vori strutturali al tetto, sulle volte e nei pilastri,

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la facciata della cattedrale a confronto tra quella

degli anni Venti e quella degli anni settanta, con

la nuova scalinata ed il moderno campanile

appena terminato

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che presero il sopravvento sulle altre iniziative. si aspettò quindi la sua riapertura avvenuta il 28 giugno del 1969. inoltre, in quei primi mesi del 1967, un altro evento si era inserito tristemente nella storia della chiesa: la morte del vescovo Vincenzo del signore, avvenuta il 13 marzo di quell’anno. il tragico evento ebbe una ripercussione immedia-ta sulla progettazione avviata da lamedica. in-fatti, portò il capitolo alla decisione di trasfor-mare la cappella della Madonna addolorata in cappella sepolcrale dei Vescovi; non solo quin-di per il defunto vescovo del signore, ma anche come luogo destinato ai successivi vescovi della diocesi fanese. si giunse ufficialmente a questa decisione nell’ottobre dello stesso anno con una commissione istituita ad hoc. ecco cosa si legge nel verbale redatto in episcopio il 23 ottobre, dopo che la stessa commissione ebbe effettuato un puntuale sopralluogo in cattedrale:

[…] Viene subito scartata la possibilità di utiliz-zare l’attuale Cappella della Madonna Pellegrina: perché vi è poco spazio libero, inoltre un monu-mento anche modesto richiederebbe una parziale ristrutturazione di tutta la cappella, già completa-mente fuori dallo stile della Cattedrale.Il luogo dell’attuale Battistero viene ugualmen-te giudicato non idoneo, sia per il troppo lavoro che richiederebbe, sia perché non si sa quando il Battistero potrà essere portato in altra parte, sia infine perché il luogo è troppo appartato e privo di luce. Anche se il defunto Vescovo potrebbe avere una Cappella tutta per sé, sarebbe ugualmente un “condannarlo” nel luogo meno in vista del Duomo.Si elimina anche la possibilità di utilizzare la cap-pella del Crocifisso.Come soluzione migliore rimane l’utilizzazione di una delle porte laterali chiuse in fondo alla Chie-sa. Unica difficoltà viene presentata dall’Arch. La-medica che giudica veramente molto impegnativo lo studio di un monumento in un luogo così in vista, per di più in armonia con le linee architet-toniche della Cattedrale.

Dopo queste osservazioni fatte dall’architetto, si pensa di scegliere come luogo più indicato l’attuale Cappella della Madonna Addolorata, come si tro-va attualmente (la seconda entrando nel Duomo a destra dal fondo): per lo spazio abbondante, per le due belle vetrate, per i marmi usati nel recente restauro, per la disposizione delle pareti si presenta nelle condizioni migliori per accogliere un sepolcro monumentale”35.

ed ecco invece come l’architetto ideò la trasfor-mazione dell’antica cappella:

Nell’ambito del restauro e dell’adeguamento litur-gico della cattedrale, si inserisce la sistemazione della cappella della Madonna Addolorata e sepol-cro di Vincenzo Del Signore Vescovo di Fano dal 1937 al 1967.L’attuale cappella ha le tre pareti completamente rivestite di marmo, un altare di recentissima costru-zione e di non pregevole fattura.La nuova sistemazione si propone come primo ob-biettivo di riportare tale spazio alla semplicità e dignità che la cattedrale romanica richiede; a tale scopo sarà tolta l’attuale balaustra, il rivestimento di marmo alle pareti sarà sostituito dal paramento murario originale lasciato a vista, sarà tolto l’attua-le altare e saranno tolti i gradini sui quali insiste; al suo posto sarà sistemata un’ara in arenaria, attual-mente sistemata in un locale adiacente la sagrestia, la cui lastra frontale ha un bassorilievo la cui data-zione potrebbe essere anteriore al 1000.Non si tratta quindi di aggiungere un nuovo ele-mento nella cattedrale, ma di togliere quanto è stato malamente attaccato alle sue pareti con inserimenti subordinati a mode e che non avevano in nessun conto l’ambiente nel quale sorgevano.Togliere quindi e ripristinare nella semplicità e sen-za retorica con elementi propri nati con il monu-mento36.

Praticamente al posto del precedente altare l’architetto lamedica ha realizzato una nuova composizione fatta di due semplici elementi:

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il sarcofago vero e proprio (in cemento armato lasciato a vista) sopravanzato dall’antico reperto archeologico trasferito dalla sagrestia. si tratta di una lastra scolpita, detta di Baldovino citari-sta, di incerta interpretazione e datazione37. Un’altra novità apportata dall’architetto fu quel-la di eliminare il piccolo vano esistente lungo la parete sinistra della cappella. con la sua demo-lizione venne rimesso in luce l’arco di un antico contrafforte della chiesa e con esso un brano di affresco raffigurante un angelo (forse del XV se-colo)38; un’immagine debole, ma molto raffinata, silenziosa e rassicurante, che ben si associa alla semplicità della nuova sistemazione. i lavori si conclusero nel 1973.di tutta questa lunga vicenda che interessò la cattedrale a partire dalla metà degli anni sessanta è rimasta una preziosa ed argomentata sintesi nel notiziario “fano” del luglio-settembre 1973, che vale la pena rileggere in questa sede, anche per meglio capire i lavori svolti dal Genio civile e il contemporaneo stato di apprensione che si era creato in città con la chiusura della chiesa:

Quando nella seconda metà dell’ottobre 1967 i tecnici del Genio Civile di Pesaro, effettuando un sopralluogo per predisporre l’avvio di un modesto lotto di lavori per la revisione di una parte del tetto della Basilica Cattedrale di mastro Rainerio, ebbero modo di esaminare da vicino lo stato di conservazione delle strutture dell’antico edificio, ebbero subito la sensazione che il logorio che i se-coli vi avevano esercitato aveva assunto un ritmo talmente rapido da poter preludere a crolli anche a breve distanza di tempo.Un secondo esame più attento delle strutture, invece che dissipare il dubbio, diede la certezza che i pila-stri e le pareti perimetrali erano seriamente lesiona-ti e che le volte, sovraccariche di materiale vario e gravante per centinaia di quintali, erano al limite della sopportazione e presentavano crepe sospette e segni non dubbi di sfaldamento.Le vicende tormentate dell’edificio nei secoli e so-prattutto gli ultimi eventi bellici (esplosioni delle

disegni tecnici per la cappella sepolcrale

dei Vescovi realizzati dall’architetto Gianni lamedica negli anni

settanta

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cappella sepolcrale dei Vescovi, particolare dell’altare con la tomba del vescovo Vincenzodel signore

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cappella sepolcrale dei Vescovi, particolare

della lastra cosiddetta di Baldovino citarista

accostata alla tomba del vescovo del signore e (sotto) vari reperti

archeologici sistematinella cappella

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cappella sepolcrale dei Vescovi, particolare della tomba del vescovo costanzo Micci con la lastra raffigurante l’Annuncio ai pastori e, a destra, l’affresco con l’Angelo riemerso durante i lavori

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bombe che avevano diroccato il Palazzo Gabuccini [quello prospiciente il campanile su via rainerio, oggi ricostruito con grande porticato sottostante n.d.a.], prima, e lo scoppio delle mine che fecero saltare la massiccia mole del campanile, rovescian-do una montagna di macerie sul presbiterio e nella prima campata, poi) avevano certo contribuito ad accelerare il deterioramento del monumento.L’ultima domenica di quell’ottobre, i numerosi fedeli che avevano l’abitudine di frequentare la chiesa si trovarono perciò davanti alle porte serrate e lessero con disappunto la scritta laconica che ne annunciava la chiusura a tempo indeterminato perché pericolante.Ad una successiva analisi ancora più attenta, pure nella facciata furono riscontrati segni di instabili-tà e una pronunciata inclinazione: ciò che rende-va precari i legamenti con le volte e il resto delle strutture.E così, dopo soli venti anni dalla riapertura se-guita agli eventi bellici, la Basilica Cattedrale si ritrovò nuovamente trasformata in un cantiere e la città restò priva della sua chiesa madre.Lungo e complesso l’iter che le autorità diocesa-ne dovettero percorrere perché nel più breve tempo pssibile potesse essere predisposto quanto necessario per dare l’avvio alle opere di consolidamento.Genio Civile e Soprintendenza dovettero impe-gnarsi a fondo per arrivare all’adozione delle tec-niche più opportune e per il reperimento dei fondi necessari a dare inizio ai lavori. Dopo un anno di attività intensa a livello di studi, discussioni, perizie, ricerca di maestranze qualifi-cate e di ditte specializzate, si videro comunque i primi operai al lavoro. Difficoltà innumerevoli resero lenta l’opera di con-solidamento e solo il 15 agosto del 1970 il tempio potè essere riaperto al culto, restando tuttavia an-cora lontana la meta di un vero completamento dei lavori.L’avvio ad un secondo lotto di tali lavori fu possi-bile solo nell’ottobre del 1971, giungendo a com-pimento nell’aprile del 1972. Le fondamenta dei pilastri e delle pareti furono

consolidate con l’immissione di pali di cemento armato fino alla profondità di venti-venticinque metri; pareti e pilastri furono legati con chiavi se-grete in ferro; volte e muri furono consolidati con iniezioni di cemento; le pareti perimetrali furono legate sottotetto con cordolo in cemento armato, mentre un conveniente strato di grunite venne di-sposto sotto gli archetti che reggevano le travature e le volte per unificare il tutto in solidi blocchi e im-pedire un’azione di sgretolamento, sono stati infine completamente ricostruiti i tetti.Un terzo ed ultimo lotto di lavori è infine iniziato nel gennaio 1973 e portato a termine nel mese di marzo.Si è proceduto alla demolizione e rifacimento del pavimento del presbiterio e della scalinata di accesso al medesimo (opere tutte che risalivano al discutibi-le restauro del 1941) e si è provveduto al tinteggio di tutte le pareti e alla levigatura dei pavimento.Contemporaneamente, sono stati rifatti ex novo gli impianti di riscaldamento, di illuminazione e di amplificazione.In omaggio alla riforma liturgica non si è né sa-puto, né voluto, rinunciare ad un nuovo riadatta-mento del presbiterio, dopo che già da alcuni anni (e non senza suscitare giustificate polemiche) era stato scomposto e trasferito altrove il vecchio altare barocco. Per il nuovo altare si è fatto ricorso all’an-tica arca di San Fortunato, interessante reperto ar-cheologico già inglobato nel vecchio altare, mentre l’ambone e il seggio presidenziale sono stati arricchi-ti con altri reperti romanici.Tra questi, un frammento antichissimo, posto alla base del leggio, con una figura in trono il cui schie-nale raffigura un bastione merlato. Estraendo la scultura dalla parete in cui si trovava murata, sono anche venute alla luce due testine gemelle coronate di edera, quasi certamente di epoca pre-cristiana.All’architetto Gianni Lamedica, cui va il merito dell’estrema discrezione con cui si è proceduto alla ristrutturazione, era stata affidata in precedenza anche la risistemazione della cappella già dell’Addo-lorata, che, liberata dai brutti marmi novecenteschi che ne ricoprivano le pareti, è stata restituita alla

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sua primitiva semplicità per ospitare l’arca tombale del compianto vescovo Mons. Vincenzo Del Signore, resa preziosa nella sua geometrica schematicità da un antico frammento di sarcofago paleo-cristiano.Il restauro ha inoltre consentito di mettere in evi-denza uno degli antichi archi rampanti aventi funzione di contrafforti e, in una intercapedine, un frammento di affresco raffigurante il Cristo [sic!].Se nell’eseguire tante opere di restauro si fosse avuto la accortezza di proteggere dalla polvere del cemento e dei calcinacci la stupenda serie degli affreschi del Domenichino nella Cappella Nolfi, ora ci si potreb-be dichiarare completamente soddisfatti.Concludiamo, pertanto, con un appello ai diretti responsabili perché si provveda, presto e nel modo migliore, anche a mettere riparo a questo guasto e a far contemporaneamente ripulire tutte le tele dei vari altari, in particolare quelle della cappella del SS. Sacramento, quelle della cappella dei Santi Orso ed Eusebio e la grande “Assunta” del presbiterio, ope-ra del fanese Sebastiano Ceccarini39.

nel 1998, sotto l’arco rampante alla sinistra della cappella, vennero sistemate anche le spoglie del successore del vescovo del signore, costanzo Micci, deceduto il 4 settembre 1985. il 5 settem-bre la bara fu esposta in duomo ed i funerali eb-bero luogo il 7 settembre con la tumulazione nel cimitero cittadino40. le spoglie del vescovo furo-no poi traslate in cattedrale il 15 maggio 1998 e sistemate entro un sarcofago di semplice pie-tra chiara. realizzata sempre su disegno dell’ar-chitetto Gianni lamedica, la tomba presenta anch’essa, sulla parete alla quale è addosssata, un altro prezioso reperto archeologico: la cosiddetta lastra raffigurante l’Annuncio ai pastori; un bloc-co di travertino scolpito con figure in rilievo, rin-venuto nel 1957 in episcopio durante lavori di ritrutturazione41.concludiamo dicendo che sulla parete destra della cappella è collocato un piccolo quadro rappresentante san Paterniano, attribuito al pit-tore bartolomeo Gennari, nipote del Guercino (sec. XVii)42.

Restauri della Cappella Nolfi, del portale e di al-cune tele nella Cappella dell SS.mo Sacramento (1989-98)nel decennio 1989-98 furono eseguiti anche alcuni importanti lavori di restauro architetto-nico e pittorico. si iniziò con la cappella nolfi, dove intervenne, tra il 1990 e il 1995, l’istitu-to centrale del restauro con un lavoro molto accurato ed esteso. la relazione finale di questi lavori, contenente anche valutazioni sui prece-denti interventi effettuati dopo l’incendio del 1749, è riportata nell’eloquente saggio a firma di filippo trevisani pubblicato ne i Quaderni della Fondazione43. successivamente si intervenne sul portale, sulla sovrastante finestra circolare e sugli archetti pen-sili della facciata al di sopra del rosone. anche questi lavori, compresi i restauri delle tele della cappella del ss.mo sacramento e dell’organo, sono stati oggetto di pubblicazione nei Quader-ni editi dalla fondazione cassa di risparmio di fano44.

il quadro rappresentante san Paterniano, attribuito al pittore bartolomeo Gennari (sec. XVii), nella cappella sepolcrale dei Vescovi

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disegni tecnici per il nuovo altare e schizzo

generale del presbiterio realizzati dall’architetto

remigio bursi negli anni novanta

L’adeguamento liturgico del presbiterio (1998-1999)nel 1998 si provvide pure ad un nuovo progetto di riordino del presbiterio, in relazione alla rior-ganizzazione formale degli spazi liturgici (altare maggiore, ambone, cattedra episcopale e batti-stero) disposta dalla nota pastorale della com-missione episcopale per la liturgia e dal “verbale di sopralluogo di studio sull’adeguamento litur-gico globale della cattedrale di fano” redatto il 17 maggio 1996 dallo studio dell’arch. Mons. Valerio Vigorelli di Milano45. si occupava di se-guire i lavori l’architetto remigio bursi, che nei mesi successivi presentava alla soprintendenza elaborati e progetti delle varie parti, sulle quali alla fine si è realmente messo mano, a cominciare dalla sostituzione dell’altare, individuato come il fulcro dell’intera proposta. nello stesso periodo (1998-99) si realizzò anche la nuova tinteggiatura interna del tempio (pare-ti, volte e pilastri)46, preceduta da sondaggi gra-zie ai quali si sono potute riproporre le tonalità antiche. si sono inoltre realizzati la nuova illu-minazione interna (in collaborazione con lo stu-

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l’altare disegnato e realizzato dall’architetto Gianni lamedica negli anni settanta

il nuovo altare disegnato e realizzato dall’architetto remigio bursi negli anni novanta

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il coro prima del restauro realizzato negli anni

novanta

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il coro prima del restauro realizzato negli anni novanta, particolari

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il coro restaurato alla fine degli anni novanta,

particolare

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dio tecnico di romeo ed edo ferri di fano) e il restauro dell’intero apparato ligneo del coro, eseguito dalla ditta “lauretana arte” di Mom-baroccio. ecco quanto si rilevava nella relazione allegata al progetto redatto dall’architetto bursi:

Il manufatto [il coro n.d.a.] si trova in precario stato di conservazione, essendo coperto da una ver-nice ossidata. Le sue naturali caratteristiche di tra-sparenza si sono naturalmente alterate per l’espo-sizione, mentre l’effetto di annerimento è dovuto anche al probabile uso di olio di lino o paglierino come preparazione o finitura della verniciatu-ra stessa. Si riscontrano inoltre nel monumentale manufatto varie spaccature del legno, fessurazio-ni sulle specchiature, con segni di sollevamento e stacco delle radiche, ammanchi e perdite di parti lignee, in particolare su cornici e bordi. Il diffuso attacco di insetti xilofagi ha provocato in taluni punti, specie nei bordi soggetti all’urto e all’usura,

la disgregazione del legno e qualche ammanco.il coro venne smontato e trasferito presso il la-boratorio di restauro dove furono eseguiti i se-guenti lavori:

trattamenti di sverniciatura e disinfestazione me-diante impregnazione a pennello di Xilamon; riassetto statico del mobile e ricomposizione e rias-semblaggio delle parti originali; sostituzione dei legni distrutti e delle parti mancan-ti mediante ricostruzione per imitazione, con legni della medesima essenza.recupero delle cimase e dei fregi;verniciatura finale a gomma lacca applicata a tam-pone con stesura finale di cera d’api47.

i lavori terminarono nel 2000 con l’operazione di ripulitura delle artistiche vetrate; un tema que-sto al quale è riservato il capitolo che segue.

Veduta generale del coro, restaurato alla fine degli anni novanta

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note

1. Uno per tutti c. selvelli, Fano e Senigallia, istituto italiano d’arti Grafiche, bergamo 1931, p. 34.2. notizie tratte dai documenti riportati nel Regesto dei documenti curato da Giuseppina boiani tombari in fondo al volume.3.“le Marche, Vii (1907), p. 325.4. c. selvelli, Progetti del secolo XVIII per il Duomo di Fano, in “le Marche, Vii (1907), p. 272.5. c. selvelli, Discorsi ed idee del ‘700 pel Duomo di Fano, in “ri-vista Marchigiana illustrata”, anno iV, n. 10-11 (1907), pp. 345-346.6. Gli avanzi della antica cattedrale, in “la concordia”, 7 maggio 1908, pp.1-2.7. “[…] i celebri affreschi, avendo subito notevoli deperimen-ti, furono restaurati altre volte, e precisamente nel 1881 e nel 1919 […]. Gli affreschi del Domenichino nella Cappella Nolfi, in b.U.d.f., anno XXXViii, n. 3, luglio-novembre1960, pp. 20-21. cfr. restauri alla cappella nolfi, archivio diocesano, deli-bere Giunta (1920), p. 277.8. e. capalozza, Appunti sulla facciata e il campanile del Duomo di Fano, in “fano notiziario”, maggio-giugno 1972, p. 16. 9. l. asioli, op. cit., p. 75.10. c. selvelli, Note sul romanico e il gotico a Fano, in “studia Picena”, Volume sesto (1930), p. 73.11. il testo del documento lo abbiamo trascitto dal saggio di c. selvelli, Note sul romanico e il gotico a Fano, in “Studia Picena”, Volume sesto (1930), pp. 80-82. nella vicenda progettuale del collamarini compare anche l’architetto alberto calza bini, ben noto a fano per il restauro del complesso di san Michele all’arco di augusto. Vedi documento del marzo 1927 nel Regesto in fondo al volume.12. l’elenco è tratto da M.c. iorio, op.cit., pp. 101-102. 13. ibidem, p. 82.14. ibidem, p. 74. 15. il selvelli tornò sull’argomento qualche anno dopo con con-siderazioni più ampie e precise. cfr., c. selvelli, La facciata del Duomo di Fano (Chiarimenti e divagazioni), in “studia Picena”,

Volume tredicesimo (1938), pp. 43-53.16. s. bracci, Vincenzo Del Signore Vescovo (1937-1967), ideogra-fica, calcinelli di saltara 2007, pp. 80-82. cfr. b.U.d.f., n. 3-4 (1939), p. 41. 17. La nostra Cattedrale, in b.U.d.f., maggio-agosto 1952, p. 13.18. b.U.d.f., maggio-agosto 1952, pp. 13-15. 19. M.c. iorio, op. cit., pp. 38-40. Un estratto conto dei “lavori eseguiti nella cattedrale dal 3 aprile al 10 ottobre 1940” elenca con precisione alcune delle voci riportate in precedenza: demolizione e ricostruzione di muro, gradini e cancello nel cortile dalla parte di Mons. Vichi; lavori di ripassatura al tetto e fornitura di canali in lamiera zincata; riprese di murature dalla parte della cappella dove fu abbassata la strada; intervento nella cappella del sacramento; modifica della gradinata di un altare, stuccature alle pareti e lavori da parte dei pittori, etc. acVf, Carteggio Del Signore, b. 14.20. l. asioli, op.cit., p. 76.21. Molti dettagli di questa operazione di modifica della quota della pavimentazione sono visibili nei documenti conservati pres-so la soprintendenza ai Monumenti di ancona e sono stati ben sintetizzati da M.c. iorio nel suo volume sul duomo del 1997 (vedi specificatamente le pp. 48-55).22. b.U.d.f., n. 3-4 (1941), pp. 36-45. 23. b.U.d.f., n. 5-6, 30° giugno 1941, p. 99.24. b.U.d.f., n. 5-6, 30° giugno 1941, p. 104.25. asP, Genio Civile, danni di guerra, fano, cartella 4300.26. asP, Genio Civile, danni di guerra, fano, cartella 5261, “la-vori di completamento da eseguire nella sede del Palazzo Vesco-vile di fano”.27. Ibidem.28. b.U.d.f., anno XXXiii, n. 1-3, gennaio-marzo 1955, pp. 20-21.29. Gli affreschi del Domenichino nella Cappella Nolfi, in b.U.d.f., anno XXXViii, n. 3, luglio-novembre1960, pp. 20-21. 30. asP-sasf, Uffico Tecnico, b. 404/b, cartella duomo, docu-menti del 22 luglio e 29 luglio 1960).31. cfr. M.c. iorio, op. cit., pp. 67 e segg.32. asP-sasf, Uffico Tecnico, b. 404/b, documento del 30 otto-bre 1967.

schizzi e appunti di cantiere relativi al restauro

della facciata, conservati nel fondo selvelli presso la biblioteca comunale

federiciana di fano

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33. M.c. iorio, op. cit, p. 68.34. asdf, Archivio capitolare, deliberazioni capitolari, 1956-1986, alla data del 30 dicembre 1966. l’architetto Gianni la-medica, quando era studente universitario, aveva avuto modo di studiare il duomo per una tesi.35. il documento mi è stato fornito dall’architetto Gianni lame-dica, al quale va il mio più sincero e amichevole ringraziamento, anche per aver messo a disposizione l’intera documentazione pro-gettuale relativa a questo incarico. 36. anche questo documento proviene dall’archivio dell’architet-to Gianni lamedica.37. il più recente studio è quello di G. corbelli, La stele del citari-sta in Duomo, in “Memoria rerum”, ii (2011), pp. 43-46.38. a proposito degli archi rampanti presenti oggi sul fianco destro della chiesa ecco cosa scriveva Maria chiara iorio nel suo testo del 1997: “ non ci è dato di conoscere il profilo su-periore di questi massicci archi rampanti in quanto in parte ancora coperti dai muri che gli vennero addossati. Quello vi-sibile dall’ex cappella dell’addolorata è delimitato da murature sistemate in occasione dei restauri diretti dall’architetto Gianni lamedica nel 1973, il quale, tolti i marmi, che la rivestivano, conferì alla cappella l’attuale aspetto spoglio. in quell’occasio-ne venne innalzato, dietro l’arco del contrafforte, un muro in laterizi (disposti in maniera irregolare) allo scopo di chiudere il vano stretto e lungo che precedeva la parete sottile della cappella successiva. il contrafforte doveva essere rimasto in gran parte in vista per un certo periodo, anche dopo l’introduzione delle cappelle: si spiega così la presenza di un affresco nell’intradosso dell’arco raffigurante, entro un riquadro, una figura angelica ri-feribile con ogni probabilità al XV secolo. M.c. iorio, op. cit., pp. 38-39).39. Nota sui restauri della Basilica Cattedrale, in “fano notiziario di informazione sui problemi cittadini”, luglio-settembre 1973, pp. 24-27.40. le notizie biografiche relative al vescovo costanzo Micci sono tratte da s. bracci, Costanzo Micci vescovo appunti per una biogra-fia, Grapho5, fano 2010.41. Per maggiori informazioni relative a questo reperto si riman-

da a M.c. iorio, op. cit., pp. 221-222 e all’articolo di Gian car-lo bojani, Nella Basilica Cattedrale di Fano – Tornato in luce un bassorilievo dell’antico pontile romano, in “l’avvenire d’italia” del 16 ottobre 1957. cfr. l. asioli, op. cit., p. 80.42. f. battistelli, Nota su di un san Paterniano inciso dal Bolzoni, in Il complesso monumentale di San Paterniano a Fano, a cura di G. Volpe, tecnostampa, ostra Vetere 2010, p. 42.43. f. trevisani, Operazioni di restauro, scheda in “restauri 1993-95”, in “Quaderni della fondazione”, a cura di f. batti-stelli e a. deli, Grapho5, fano 1996, pp. 61-63.44. si veda Restauri 1998-99, in “Quaderni della fondazione”, a cura di f. battistelli e a. deli, Grapho5, fano 2001, pp. 10-24.45. il documento mi è stato fornito dall’architetto remigio bursi, che conserva nel suo studio copia dell’intera pratica.46. Per quanto riguarda la tinteggiatura eseguita dalla ditta cbr di Urbino ecco cosa si legge nella relazione che accompagnò i saggi esplorativi per individuare eventuali presenze di vecchie decorazioni o intonaci e tinteggiature originali: “le campiona-ture sono state eseguite in più punti e a diverse altezze nelle pa-reti e nei pilastri della chiesa, attraverso la rimozione meccanica delle tinteggiature e degli strati di scialbo più recenti. in tutte le zone ove sono state eseguite le campionature si è riscontrata la presenza di una o due mani di tinteggiatura che ricoprono delle fasce alternate di colore bianco e nero sulle pareti e bianco e rosso mattone sulle arcate, eseguita in epoca recente. tutti gli intonaci nelle zone interessate dalle campionature sono risultati realizzati recentemente, forse negli anni Quaranta, con malta cementizia poco resistente. non sono stati, in nessun caso, in-dividuati resti di eventuali decorazioni o di intonaci originali, probabilmente demoliti nel restauro del dopoguerra”. docu-mento datato Urbino 20 settembre 1998, conservato presso l’archivio dell’architetto remigio bursi. la ditta cbr in questa occasione propose anche un preventivo per il restauro dei di-pinti a tempera presenti nella volta dell’abside e della relativa cornice di base realizzata a finto marmo, nonché per il restauro dell’altare in stucco con cornici ed elementi scultorei dorati. 47. relazione conservata presso lo studio bursi di fano che rin-grazio per la collaborazione prestata.