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Istituto Comprensivo n. 1
Scuola Secondaria di 1° Grado”Don Bosco”
Cirò Marina (KR)
IL TERRITORIO INTESO COME UN LIBRO
da:
vedere , osservare , conoscere , valorizzare …..
Dossier realizzato dagli alunni
della classe 1 B
Anno scolastico 2011/2012
Il Il Il Il
territorioterritorioterritorioterritorio
in cuiin cuiin cuiin cui
viviamoviviamoviviamoviviamo
Schema di lavoro
finalità
obiettivi
premessa
contenuti
attività
conclusione
Finalità’ : - Comprendere la necessità di conoscere il territorio per salvaguardarlo
Obiettivi: -Saper osservare e descrivere;
-Conoscere attraverso l’analisi e l’uso delle fonti le radici storiche del
proprio territorio;
-Sapersi orientare nello spazio e nel tempo;
-Conoscere l’importanza di un corretto rapporto uomo-ambiente;
-Operare confronti tra passato e presente.
e per conoscere le proprie radici.
Premessa
Grande o piccolo che sia, un territorio è un insieme complesso di elementi naturali e
antropici , ognuno dei quali è in relazione con gli altri. Per analizzarlo bisogna ricorrere a
due metodi :
a. con l’osservazione diretta;
b. con l’osservazione indiretta.
Perche studiare il territorio?
a. per conoscerlo;
b. per comprendere com’ è organizzato;
c. per scoprire i problemi e gli aspetti particolari;
d. per stabilire confronti fra realtà territoriali diverse.
A noi alunni della 1 B, entusiasti di scoprire il territorio in cui viviamo , non resta altro che
impegnarci con interesse in questa attività pluridisciplinare, sicuri di arricchire le nostre
conoscenze , valorizzare le nostre radici e maturare senso civico. Inoltre, ci piacerebbe
realizzare un dossier da inserire sul sito dell’Istituto con lo scopo di pubblicizzare il nostro
territorio, in modo che i coetanei di altre località possano visitarlo e apprezzarne le
particolarità che lo rendono “unico” e meritevole di una attenta scoperta.
Contenuti: -Caratteristiche del territorio;
-Cenni storici;
-Testimonianze architettoniche;
-Resti archeologici;
-Miti, leggende, racconti e tradizioni.
Attività’: -Ricerche e interviste ad anziani;
-Lavoro sulla cartografia (orientarsi, localizzare, leggere);
-Costruzione di schemi e di percorsi.
Conclusione : -Testo scritto;
-Questionario;
-Dibattito.
Carta d’identità della nostra cittadina
Denominazione della località: Cirò Marina
Provincia: Crotone Regione: Calabria
Estensione: 3,5 kmq Ubicazione: sulla costa dell’antica Krimisa
Primo nome: Borgo Baracca Origine del nome: Ypsicron
Comune autonomo dal 1952 Stemma ispirato alla Magna Grecia
Abitanti: 14957 Segni particolari : origini greche
Cenni storici
Krimisa,che sorgeva quasi sicuramente sul luogo dove ora è Cirò Marina,fu fondata come la
maggior parte delle colonie greche, intorno all’VIII sec. a.C. La leggenda, invece , ne fa
risalire l’ origine ad epoca più remota, al 1115 a.C. , ad opera di Filottete approdato sulla
costa ionica dopo la distruzione di Troia. L’insediamento dei coloni greci nel nostro
territorio fu dettato probabilmente dalle favorevoli condizioni ambientali e dalla fertilità del
suolo .La presenza di un’ ampia e fertile pianura , di un facile approdo per la navigazione ,
del fiume Lipuda, di abbondanti acque di risorgive e infine di fitti boschi ricchi di legname e
di selvaggina, rendeva appetibile l’ agro cirotano compreso tra il Lipuda e Punta Alice
.Sorse così un centro abitato che col tempo conobbe una grande fioritura e fama di città
sacra per la presenza del tempio di Apollo Aleo nel quale erano custodite le frecce e l’ arco
di Ercole lasciativi da Filottete.Quali siano state le risorse degli abitanti di krimisa , lo si può
intuire. Un posto di primo piano dovevano occupare gli alberi da frutta, l’ ulivo e la vita. Il
vino assai pregiato di Krimisa era molto noto nell’ antichità. Esiste nei pressi di Cirò Marina
una località denominata Brisi che alcuni storici mettono in rapporto con il culto di Bacco
Briseo, il dio del vino. Essendo poi il territorio assai boscoso, è presumibile che vi fosse
diffuso l’allevamento bovino e ovino. Quando la città di Filottete declinò non si sa con
esattezza , forse l’ inizio della decadenza si ebbe con la seconda guerra punica. Nuovi e
gravi danni subì più tardi, quando fu saccheggiata dagli eserciti ostrogoti bizantini che
ridussero la città ad un ammasso di rovine. I suoi abitanti riuscirono a sopravvivere a tali
distruzioni finchè , oppressi dall’ incubo delle razzie degli Arabi. abbandonarono la costa
malsicura e si ripararono nell’ entroterra a Ypsicron, Cirò. Krimisa, avvolta da un silenzio
di morte, divenne dominio delle acque paludose e della malaria . Dovrà passare quasi un
millennio prima che il suo territorio ritorni ad essere abitato. Nella seconda metà del 700
cominciarono a sorgere le prime ville di campagna , dove i proprietari soggiornavano d’
inverno, nelle località di Salvogara S. Gennaro, Alice , Sottalice, Cannarò e Pozzello.Più
tardi, nella prima metà dell’ ‘800, ne sorsero altre nelle seguenti località: Ceramidio, Brisi,
Casoppero, Sopralice, Mandorleto e Saverona . A questa fase d’insediamento sparso nella
campagna , seguì dopo qualche decennio il sorgere di un villaggio sulla costa. Dopo l’ unità
d’ Italia un gruppo di pescatori provenienti dalla Campania e dalla provincia di Reggio
Calabria si stanziava nel luogo designato col nome di Baracca, dando vita ad un borgo
marinaro che in cento anni diventerà una cittadina . Il piccolo centro s’ incrementò
maggiormente con la realizzazione della ferrovia che vide molte famiglie scendere da Cirò
verso il mare. Nel ‘900 i lavori di bonifica e di irrigazione e della riforma agraria
cambiarono il volto di Cirò Marina che si estese tanto da contare ne 1951 ben 7.302 abitanti
. L’ anno seguente ottenne il diritto di eregersi a comune autonomo. In questi ultimi decenni
Cirò Marina sembra risorta a nuova vita . Iniziative agricole, commerciali , industriali e
turistiche hanno esercitato un forte richiamo sugli abitanti dell’ entroterra che ne hanno
raddoppiato la popolazione. Dall’ antica krimisa non è rimasta che qualche traccia,
ma la sua memoria è sempre viva nel cuore degli uomini che con orgoglio ne ricordano
l’ antico splendore .
Sintetizziamo la storia del nostro territorio
Periodo Notizie importanti
XIII sec. a.C -Ritrovamenti risalenti alla cultura Ausonia dell’età del bronzo e…
VIII sec. a.C -a quella degli Enotri dell’età del ferro
VIII-VII sec. a.C
-Con molta probabilità sorge nell’area di Punta Alice Krimisa,
città della Magna Grecia, denominata la città dei ludi, del vino e
dell’oracolo di Apollo
III sec. a.C -Il centro diventa molto attivo, con un incremento del traffico
commerciale grazie ai Bretti.
Dominazione
Romana
-Krimisa appare svuotata della sua vitalità, tuttavia il ritrovamento
di alcune ville rustiche evidenzia un ricco tenore di vita.
VI sec. d.C -Importanti reperti illustrano il periodo bizantino.
VII sec. d.C
Il borgo Alikia riprende vita in epoca normanna con la costruzione
di una Mansio(Santuario di Madonna D’Itria). Il periodo è
documentato da ritrovamenti di ceramiche e monete.
Medioevo
-A causa delle scorrerie arabo-musulmane e turche la popolazione
si ripara a Psychron sulla collina.
Nascono a Cirò: San Nicodemo Abate, Monaco basiliano;
l’umanista Gian Teseo Casopero e lo studioso astronomo Luigi
Lilio, che attuò la correzione del calendario gregoriano.
-Torri di guardia(torre vecchia IX sec. d.C) difendono la costa dalle
incursioni saracene.
Epoca
Risorgimentale
-Dalla collina si ridiscende al piano e ricomincia il commercio. I
Mercati Saraceni ci ricordano questo periodo prospero e felice.
-Dello stesso periodo è la casa del Principe, ora nota col nome di
Castello Sabatini.
Sotti borboni -A causa del malgoverno, si verifica la presenza di predoni e di
briganti e nelle zone malsane dilaga la malaria.
Ottocento
-La pianura cirotana si presenta costellata da fattorie e casolari,
le colline sono coltivate ad uliveto e le pianure a vigneti.
-Alla fine dell’Ottocento si ha la prima planimetria della Marina di
Cirò di Agazzi Giuseppe. L’abitato era costituito da 121 case e
circa 800 abitanti. Nel 1903 erano circa 300 abitanti.
1881 -Fondazione di Cirò Marina
Novecento -La pianura comincia a ripopolarsi dopo le opere di bonifica degli
anni 20. Nel 1952 Cirò Marina ottiene l’autonomia comunale.
Oggi -Cirò Marina è una vivace cittadina a vocazione agri-turistica.
Come nasce Cirò Marina
Verso il 1870 la borgata, formata da pagliai in origine, viene chiamata Borgo, poi Baracca,
Alice, Cremissa, Marina di Cirò ed infine Cirò Marina.
Le caratteristiche del nostro territorio
Bullismo
Illuminazione
Disoccupazione
Rete idrica
Illegalità
Rifiuti
Crisi
Sanità
Alluvioni
Vandalismo
Problemi
emergenti
Edilizia
Agricoltura
Attività
Lavorative
Turismo
Pianura
Collina Fiumara Lipuda
Mare
Costa
Elementi
Fisici
Sorgenti d’acqua
Punta Alice
Case rurali
Pozzi
Ruderi
Interessati
e
Testimonianze Architettoniche
Tempio di
Apollo
Palmenti
Antico
Faro Ponte viario Abbeveratoi
Cepie
Epitaffio
Mercati
Saraceni
Castello
Sabatini
Palazzi
baronali
Fontana del
Principe
Torri di
Guardia
Casamatta
Bar e
gelateria
Porto
Cantine
e frantoio
Scuola
Pineta Parco giochi
Fabbriche
Strutture
sanitarie
Piazze
Strade e
ferrovia
Faro
Negozi
Museo Civico
Archeologico Stabilimenti
balneari
Alberghi
Ristoranti
Pizzerie
Elementi
Antropici
Impianti
sportivi
Centri
Ricreativi
Campeggi
Abitazioni
Villetta
Chiese e
Santuari Banche e
Ufficio
postale
Resti archeologici Il tempio di Apollo Aleo (VI-III sec a.C)
Questo luogo di culto era famoso nell’antichità per i suoi oracoli (gli dei o santi, figurati da
statue con forme umane fatte di legno,pietra o metallo, venivano adorati, portati in
processione ed interpellati). Questo monumento architettonico (o quel poco che ne è ancora
rimasto) risale a diversi secoli a.C. L’edificio sacro è costituito da una cella allungata e
completamente aperta sul lato orientale, divisa in due navate da un colonnato di cui restano
le basi in pietra. Tutte le colonne erano di legno. La cella è conclusa ad ovest da un
ambiente quadrangolare chiuso da un muro divisorio, all’interno del quale ci sono le basi di
quattro pilastri. Questo era lo spazio più sacro del tempio,perché custodiva la statua del Dio
ed il suo accesso era proibito ai fedeli. Nella cella del tempio è stata trovata la “testa
marmorea di Apollo Aleo”,come pure i piedi e la mano destra e un’immagine d’oro di
Apollo Aleo. Questi oggetti preziosi sono esposti al pubblico nel Museo Nazionale di
Reggio Calabria. Probabilmente il dio Apollo era coperto da una lunga veste e seduto in atto
di suonare la cetra.
Nel Museo Civico Archeologico di Cirò Marina sono esposti molti reperti rivenuti nell’area
del santuario di Apollo Aleo: un capitello,elementi architettonici,una maschera di
terracotta,frammenti di una statua di bronzo,monete di bronzo,statuine… Nel Museo
Archeologico di Crotone sono esposti ritrovamenti del santuario di Apollo Aleo:alcuni
capitelli dorici,un’ antefissa (tegola di terracotta) a disco,delle terracotte votive e frammenti
di statuetta arcaica di un giovinetto in pietra calcarea.
Le torri di guardia
Torre Vecchia (IX sec.)
Torre di avvistamento, in località Madonna di Mare, di origine normanna;
Torre Nuova (XV sec.)
Fu costruita dagli spagnoli. Questa torre a forma cubica si trova alla foce del fiume Lipuda,
in contrada Brisi. Era una piccola fortezza che serviva da torre di avvertimento militare
Mercati Saraceni (XV sec.)
In località Madonna di Mare, di fianco alla chiesetta dedicata alla “Regina del cielo”,
risalente ai tempi dei monaci basiliani, sorge un complesso,di recente restaurato,di
caratteristici porticati chiamato “Mercati Saraceni”, costruiti verso il 1500.
Molto tempo fa, in questo luogo veniva svolto annualmente dall’uno al tre maggio “la fiera
di Santa Croce”, molto frequenta dai commercianti e mercanti viaggiatori di tutta la
Calabria, Sicilia ed oltre. Le invasioni saracene fecero cessare purtroppo il seguito di questo
fiorente mercato.
Castello Sabatini
Nelle vicinanze del Santuario di Madonna d’Itria sorge il castello medievale con quattro
torri angolari : Palazzo Alice o Villa Alice, fatto costruire dai Carafa, marchesi di Cirò,
come fortezza militare nel XV sec. Il nome originale sarebbe stato sostituito nel tempo dal
nome della famiglia che lo acquistò nel 1.845. Oggi ancora lo abitano gli eredi dei nobili
Sabatini originari.
Curiosità
Quando Carlo III si recò a Palermo per essere incoronato re, passando per la Calabria si
fermò tre giorni a Cirò. Ospite degli Spinelli, fu alloggiato nel Palazzo Alice dal 31 gennaio
al 2 febbraio 1735
La Fontana del Principe (XVIII sec)
Epitaffio (parola greca che significa iscrizione) Nel luogo detto dell’Alice il feudatario di
Cirò possedeva un agrumeto misto ad altra frutta; questi giardini erano intorno al castello e
il barone esigeva dai forestieri che attraversavano la strada una tassa per il ius di passo, ciòè
il diritto di passaggio. Erano state sistemate a tale passaggio due squadre armate e, perché
tutti potessero vederlo, fecero costruire sul posto un grosso pilastro a forma di parete, sulla
quale era scalfita la tariffa da pagare e lo stemma del feudario.
La fontana si trova ai piedi della zona Alice e fa parte dei giardini del castello
Sabatini. E’ una fontana a specchio con tre archi, sopra gli archi vi è una lastra di
marmo con lo stemma dei nobili signori Spinelli.
La pineta: il polmone verde di Cirò Marina
Con il termine pineta indichiamo zone boschive prevalentemente composte da specie di pini
e altri alberi. La flora pineta comprende spesso il rovo e le felci. In particolare si trova
vicino al mare come la pineta di Cirò Marina, che fa da cornice al suggestivo scenario
offerto da Punta Alice. Purtroppo si è assistito al deturpamento di questo patrimonio
boschivo naturale, dovuto all’incuria di cittadini e istituzioni che avrebbero dovuto
preservare questo luogo.
Sarebbe bello far comprendere alla gente l’importanza di questo polmone verde!
La pineta e la natura vanno rispettate ed amate! La furia distruttiva dell’uomo ha
danneggiato 6.000 mq di macchia mediterranea composta da piante e arbusti della
vegetazione tipica per parcheggi, non ha lasciato scampo nemmeno agli alberi che
circondavano il faro, le cui cime crescevano piegate a terra dalla violenza della tramontana.
Ebbene, qualcuno ha pensato anche di dare fuoco a quelle piante secolari e suggestive e a
fiori così particolari, come lo erano fino a qualche anno fa, i bellissimi gigli marini. La
pineta è minacciata , oltre che dall’ avanzata del cemento, anche dai taglialegna abusivi e
dagli incendiari che entrano in azione soprattutto d’estate. Si è parlato anche dell’ipotesi di
vendere una parte della pineta e con il ricavato costruire la “Casa della Cultura”.
Un’iniziativa lodevole ma che mette a repentaglio un bene prezioso che appartiene a tutti i
cittadini. Possibile che non si trovi un progetto per l’utilizzo adeguato della pineta
soddisfacendo così i desideri e le aspettative di tutti i cittadini?
Il Lipuda
La Calabria è uno dei molti territori più ricchi di fiumi tra questi il Lipuda che si estende dal
monte Mazzagullo e il Cozzo di Perticaro in cui sorge il comune di Umbriatico. Il fiume ha
una superfice di 157Kmq e sfocia a sud di Cirò Marina con un bacino lungo 26 km. Alla
foce il Lipuda forma un ampio piano alluvionale.
Il Lipuda è anche avvolto in un alone di mistero, di storia e di leggenda.
Secondo la leggenda, alla sua foce, a pochi chilometri da Punta Alice, è stata seppellita la
bellissima regina Aretha, moglie di Alcinoo, re dei Feaci, e per questo alcuni storici
ritengono che Alice possa derivare proprio da Alcinoo. Sarà vero?....
Cirò Marina: nel cuore del Mediterraneo
tra miti, leggende e…….. miracoli.
La storia è costellata di mille leggende e miti che sono serviti, da sempre, a rendere eroiche
le azioni degli uomini che quelle storie hanno vissuto, trasformandoli in esseri semidivini, in
eroi. Soprattutto nel mondo antico gli uomini sentirono la necessità di nobilitare le loro
origini ed imprese avvolgendole in un alone di mistero e di favola.
Ma gli studiosi oggi sanno che questi miti non sono racconti totalmente fantastici,sono,
spesso,narrazioni di avvenimenti realmente accaduti. Basti ricordare la colonizzazione greca
dell’Italia meridionale e della Sicilia considerata da molti un’impresa epica: fu così che
coloro che furono proposti dalla fondazione delle nuove colonie, non furono comuni mortali
ma eroi, sempre protetti da una divinità. Non si sottrae a questo fenomeno il fondatore di
Krimisa, Filottete.
Il mito di Filottete
Vuole il mito che Filottete fosse legato alla morte di Eracle (Hercole). Eracle, l’eroe delle
dodici fatiche, forte ed invincibile, morì a causa di un inganno; indossando una tunica intrisa
del sangue del centauro Nesso, suo nemico, sangue a cui era stato mescolato un potente
veleno che a contatto con la pelle, la corrodeva provocando dolori terribili giungendo a
scoprire le ossa. Straziato da dolori lancinanti e sentendo ormai vicina la morte, Eracle si
fece portare sul monte Età, nella Trachinia, dove fu innalzata una catasta di legno di quercia
ed oleandro su cui l’eroe si distese per essere bruciato, secondo le usanze del tempo. Ma
nessuno dei suoi compagni ebbe il cuore di dare fuoco alla pira, finché non passò di lì per
caso un pastore, Peante, che ordinò al proprio figlio Filottete di fare ciò che Eracle chiedeva.
In segno di gratitudine l’eroe donò a Filottete l’arco e le frecce, che fecero di lui un famoso
arciere. Filottete partecipò alla spedizione dei greci contro Troia, ma ancora prima di
sbarcare nella Troade, fu morso al piede da un serpente d’acqua e la ferita divenne così
infetta e puzzolente e le sue grida così possenti che i compagni decisero di abbandonarlo
sull’isola di Lemno, con l’arco e le frecce, e lì sopravvisse cacciando. La guerra contro
Troia durò dieci anni. Dopo la morte di Achille per mano di Paride, i greci cominciarono a
disperare. Calcante, l’indovino del campo greco, profetizzò che Troia non sarebbe caduta
senza l’aiuto dell’arco e le frecce di Eracle. Perciò i greci Ulisse e Diomede ebbero l’ordine
di raggiungere l’isola di Lemno per chiedere aiuto a Filottete. Dopo un tentativo di sottrarre
le armi con l’inganno, i due condottieri lo convinsero a tornare con loro a Troia. Giunto
all’accampamento greco, egli si bagnò il piede malato nell’acqua corrente e dormì nel
tempio di Apollo. Durante il sonno, Macaone il chirurgo, tagliò la carne putrida dalla ferita,
vi versò del vino e vi applicò un impacco di erbe salutari. Una volta guarito, Filottete sfidò
Paride a duello con l’arco e lo ferì mortalmente, vendicando così la morte di Achille.
Conclusasi la guerra, che sappiamo vittoriosa per i greci grazie allo stratagemma del cavallo
di legno, escogitato da Ulisse, Filottete tornò in patria, in Tessaglia, ma a causa di una
rivolta ivi scoppiata, finì in Italia nella Corotoniatide, nei pressi della quale egli fondò e
consacrò un tempio ad Apollo Aleo, dove furono deposte, dopo la sua morte, l’arco e le
frecce ricevute da Eracle.
Legata a questo tempio era Krimisa, che Filottete fondò insieme alla soprastante Chone, da
cui la popolazione locale avrebbe tratto il nome.
L’isola di Ogigia
Ogigia, l’isola di Calipso immaginata un po’ ovunque, nel cuore del Mediterraneo, è invece
collocata nella stampa di una carta del 1500, redatta dall’architetto Pino Ligorio per conto
dei sovrani spagnoli, di fronte Punta Alice, nei pressi dell’attuale Cirò Marina.
Se la carta è attendibile, Ulisse ha vissuto una bella storia d’amore con la ninfa Calipso,
proprio vicino alla nostra costa. Che bello se fosse vero! Il nostro territorio è senza dubbio
misterioso, affascinante e sorprendente, scopriamolo insieme e valorizziamolo!
Sulla collina, detta d’Itria o anche Monte Tabor (in dialetto M. Tamburu), si venera sin dai
tempi remoti la Madonna d’Itria, detta anche di Costantinopoli, per indicare la sua
provenienza dalla capitale dell’Impero d’Oriente. Il culto della bizantina Hodighitria, che
significa condottiera o guida, è molto caro ai Templari. Ricostruire le vicende del Santuario
eretto sul colle e più volte distrutto nel corso dei secoli, è piuttosto arduo per difetto di fonti
documentarie. Le origini risalgono probabilmente all’epoca della diffusione del
monachesimo basiliano in Calabria (VIII sec.), quando numerosi monaci per sfuggire alle
persecuzioni dei Teonoclasti, si rifugiarono nella nostra terra portando con loro l’icona
veneratissima dell’Itria.Col passare dei secoli, la chiesa costruita probabilmente dai
basiliani, fu distrutta dai Saraceni. In epoca posteriore, per sentire parlare della collina
d’Itria, bisogna giungere fino al 1115 quando viene nominata per la prima volta in un
documento storico, in cui il nipote del Guiscardo, il normanno Riccardo Senescalco, fa
donazione di alcuni beni all’abate Raimondo. I beni concessi comprendevano tra l’altro, il
M. Tabor, cioè l’intera collina della Madonna d’Itria, dove egli desiderava creare un
Mansio. Pertanto è probabile che i Templari abbiano costruito sui resti della primitiva
struttura una nuova chiesa ed affiancata ad essa una torre che aveva funzioni difensive e di
vedetta per controllare un lungo tratto di strada e di mare. L’avere costruito in questa
località un’opera di difesa e di assistenza ai pellegrini ed ai crociati in transito durante il
viaggio verso i luoghi santi, fu suggerito da diversi motivi, tra cui: il territorio di Cirò
registrava all’epoca numerosi episodi di attività barbaresca, quindi la necessità di reprimere
le sanguinose scorrerie di Saraceni e di rendere più sicura la navigazione che si svolgeva sul
mare Ionio. Inoltre al largo della costa, i vascelli corsari erano sempre pronti ad assalire i
pellegrini che andavano in Palestina a visitare il tempio di Gerusalemme. Nella lotta contro i
musulmani, i Templari, che erano un ordine militare e religioso, combattevano con lealtà
perché convinti di combattere, protetti da Dio, una vera e propria guerra Santa. Un altro
motivo da considerare è che tra i cavalieri del Tempio si trovavano molti calabresi passati in
Terrasanta che si distinsero per virtù militari, tra cui il templare Alessandro Amarelli di
Rossano, morto nel 1103 durante la prima crociata. Era dunque naturale che i Templari
proteggessero la chiesa d’Itria. Nel 1312, sciolto l’ordine dal Papa Clemente V, la
Commenda Templare passò successivamente ai Cavalieri di Malta, di cui si hanno notizie
precise. La leggenda diventa storia in quanto lo si evince da un documento del 1444: il re
Alfonso D’Aragona accordò al Comune di Cirò di poter celebrare il 3 maggio di ogni anno
un mercato franco (esente da dazi) sul Colle dell’Itria, in ricorrenza della festa della
Madonna nei pressi del Santuario. Seguirono secoli di saccheggi, di distruzioni, di scorrerie
e la chiesa era ormai in uno stato di completo abbandono. La torre, che aveva protetto il sito
per secoli, in parte diroccata dalle scosse del terremoto del 1831, fu demolita per ordine del
Vescovo di allora, e, a conferma delle sue lontane origini, nell’interno della chiesa ormai in
rovina, sul pavimento era rimasta scolpita su una lastra di pietra la croce di Malta. Dopo
I Templari a Cirò Marina:
storia o leggenda?
circa un secolo, nel 1971, grazie ai Padri Passionisti, ha preso il posto dell’antica chiesa
l’attuale Santuario.
I Templari di Cirò Marina
“Commenda San Francesco d’Assisi”
I Templari di Cirò Marina
“Commenda San Francesco d’Assisi”
Il 18 Dic. 2010 nella Chiesa di San Cataldo
Vescovo si è celebrato il Capitolo aperto
dei cavalieri e, dopo la messa, il Gran
Priore d’Italia ha nominato il Precettore
della nuova Commenda “San Francesco
d’Assisi” di Cirò Marina assieme
all’investitura di due dame e quattro
scudieri.
L’emblema è rappresentato da una croce rossa con al
centro l’effige di San Francesco d’Assisi, sullo sfondo
del vessillo bianco e nero dei cavalieri templari.
La Commenda si impegna nella difesa dei bisognosi,
degli emarginati, dei senza voce, nel silenzio e nel
rispetto della dignità altrui.
Non è un cammino facile, ma aspro e solitario, con
poche discese e nessuna scorciatoia ma
Gli ideali dell’ordine ai quali si richiama la
Commenda sono sintetizzati dal motto templare ”Non
a noi, o Signore, non a noi,ma dà g
“Commenda San Francesco d’Assisi”
Il 18 Dic. 2010 nella Chiesa di San Cataldo
Vescovo si è celebrato il Capitolo aperto
dei cavalieri e, dopo la messa, il Gran
Priore d’Italia ha nominato il Precettore
della nuova Commenda “San Francesco
d’Assisi” di Cirò Marina assieme
due dame e quattro
L’emblema è rappresentato da una croce rossa con al
centro l’effige di San Francesco d’Assisi, sullo sfondo
del vessillo bianco e nero dei cavalieri templari.
La Commenda si impegna nella difesa dei bisognosi,
degli emarginati, dei senza voce, nel silenzio e nel
rispetto della dignità altrui.
Non è un cammino facile, ma aspro e solitario, con
poche discese e nessuna scorciatoia ma verso il futuro
Gli ideali dell’ordine ai quali si richiama la
Commenda sono sintetizzati dal motto templare ”Non
à gloria al tuo nome”
La leggenda della Madonna d’Itria
A Cirò, da tempo immemorabile, si tramanda una leggenda che viene raccontata dallo
storico Francesco Pugliese:”Ad una giovinetta che si era recata a raccogliere la legna nel
sovrastante colle apparve un vecchio che, rassicuratala dalla sorpresa e dal timore, le
raccomandò che ritornando a casa, dicesse alla madre di recarsi nel lido del mare, nel sito
detto la Fossa del Lupo, perché lì avrebbe trovato una cassa nella quale era chiusa
l’immagine della Madonna, di prenderla e portarla sul quel colle ove avrebbe dovuto
costruirle un Tempio. La giovane non riferì nulla a sua madre, e ritornata il giorno appresso
vide il vecchio dal quale ebbe lo stesso comando e neanche questa volta lo eseguì. Sorpresa
in casa da apoplessia, dalla quale a stento si riprese, si ricordò, e raccontandolo alla madre,
guarì. La madre, avvertito il sacerdote, andò con lui sul luogo e trovarono che la cassa
galleggiava sulle onde, per cui il sacerdote entrò nel bosco per prendere un lungo bastone ad
uncino per tirarla all’asciutto. Gli si presentarono due eremiti, i quali si offrirono di aiutarlo
e nella cassa trovarono una bambola dentro la quale si trovò l’immagine su tela. Gli eremiti
aiutarono il sacerdote e la donna a recare la cassa coll’ Itria sul colle. Resa pubblica la
notizia, tutti i cittadini salirono per adorare quell’immagine, e in breve tempo fu costruita la
chiesa e collocatavi l’immagine. Oggi nel Santuario non troviamo l’effigie originale ma una
che rappresenta la Vergine e la cassa sostenuta da due eremiti. L’attuale tela è recente ,
infatti risale al 1854 e ricorda l’antica leggenda: due monaci sostengono una cassa da cui
sbalza l’immagine della Madonna con il Bambino. Per terra un’anfora e sullo sfondo un
veliero.
Il tesoro del Monte Tabor
La fantasia popolare ci tramanda una leggenda ancora viva, oggi, a Cirò che parla di
sotterranei e di tesori nascosti sul monte Tabor. Vuole la leggenda che nelle sue viscere
giace un immenso tesoro, custodito da un grosso serpente, difficile da scoprire perché non
se ne conosce il passaggio di accesso. A volte il luogo viene indicato in un sogno rivelatore
a qualcuno degli abitanti che seguendo le istruzioni avute, potrebbe di notte penetrare nelle
viscere del monte e impossessarsi del tesoro, ma la paura…
Raccontano gli anziani che tanto tempo fa un signore di Cirò, senza rivelare niente del
sogno fatto a nessuno, segue le istruzioni e attraversate le sei stanze splendenti, finalmente
penetra in un’ ultima sala colma di monete d’oro, di gemme e pietre preziose. E’ incredulo
nel vedere il tesoro, quando si verifica un fatto straordinario: dal fondo della sala si fa avanti
un grosso serpente che strisciando si dirige verso una piccola ampolla e magicamente vi
entra. L’uomo, stupito, non può fare a meno di emettere un’espressione di meraviglia di
fronte al fatto eccezionale contravvenendo a quanto raccomandatogli nel sogno. Il tesoro
sparisce all’istante e l’uomo si ritrova tremante fuori. Ritorna a casa con febbre altissima e
racconta ai familiari l’accaduto. Nessuno gli crede fino a quando con grande sorpresa trova
sul cappello un anello e la notizia si diffonde subito nel paese.
Questa leggenda fa pensare ad un ipotetico tesoro nascosto sul colle d’Itria forse dai
briganti oppure dagli stessi corsari saraceni o turchi che, dopo aver saccheggiato il paese,
inseguiti dagli abitanti, furono costretti a nascondere il ricco bottino. E’ facile anche
immaginare che sull’altura d’Itria, alle prime avvisaglie di persecuzione, i Templari vi
abbiano nascosto il tesoro della commenda.
Attenti! Sono solo delle ipotesi e tali rimangono perché non sono documentate.
Leggende legate alla
Madonna della Catena
Sulla strada che unisce Cirò alla contrada Cappella sorge l’antico Santuario della Madonna
della Catena. Ignota è la data di costruzione dell’antica chiesetta, la cui forma è a capanna
con una piccola cella campanaria al centro, datata 1818. L’interno è spoglio: presenta
soltanto un altare di pietra sormontato da un quadro raffigurante la Madonna che con la
sinistra regge il Bambino Gesù mentre con la destra scioglie dalle catene il corpo di un
piccolo negro perché, secondo un’antica leggenda, i Saraceni, dopo aver seviziato un
piccolo schiavo che si era convertito al cristianesimo, lo lasciarono legato da durissime
catene e quasi agonizzante sulla spiaggia e che la Madonna, ascoltate le sue invocazioni,
accorse in suo aiuto, lo sciolse dalle catene e lo guarì.
Fino a qualche decennio fa il Santuario di Cirò era meta di un notevole afflusso di fedeli che
venivano ogni anno in pellegrinaggio da paesi vicini, salivano sulla collina recitando
preghiere e cantando lodi alla miracolosa Madonna.
IL QUADRO RAFFIGUARANTE LA MADONNA CON IL BAMBINO
La chiccia con i pulcini d’oro
Si narra che una donna, inseguendo una chioccia con pulcini, scappata di casa, e
percorrendo un bel tratto di corsa, si introdusse senza farci caso in una caverna;
all’improvviso dinanzi ai suoi occhi si presentò uno spettacolo inimmaginabile, vide infatti
che la gallina inseguita insieme ai suoi pulcini, in quelle stanze sotterranee delle quali la
donna ignorava l’esistenza, era diventata tutta d’oro.
Vuole un’antica leggenda che nelle viscere del colle della Madonna della Catena di Cirò sia
nascosto un tesoro consistente in una chioccia e i pulcini d’oro.
Un giorno arrivò a Cirò una vecchia cieca, dotata di poteri magici,che fu ospitata da una
contadina di nome Mariantonia. Diffusasi la notizia dei poteri sovrannaturali della donna,
molti cirotani afflitti da varie traversie si recarono da lei per essere aiutati. Il parroco del
tempo, fiutando il lucroso affare, la convinse ad abbandonare la casa di Mariantonia e ad
accettare la sua ospitalità. In verità il suo intento segreto era quello di riuscire, con l’aiuto
della vecchia cieca, a scoprire il tesoro della Madonna della Catena. Era opinione comune
che il tesoro poteva essere scoperto soltanto da chi avesse saputo sciogliere l’incantesimo. E
chi meglio della vecchia poteva farlo? Un giorno, di buon mattino, i due uscirono di casa e
si avviarono verso la collina, ma con grande sorpresa vi trovarono Mariantonia con le sue
amiche, decise anch’ esse a non farsi sfuggire il ricco bottino. La vecchia, costretta, operò
diversi sortilegi per trovare il tesoro ma invano. A tarda ora, deluse, le donne con il prete si
avviarono per rientrare in paese. Intanto la notizia si era diffusa e quando il piccolo corteo
raggiunse le prime case di Cirò, in località Arenacchio, trovò una marea di gente che lo
accolse con urla e fischi. Il povero prete se la dette a gambe levate e a stento riuscì a
rifugiarsi in una cappella privata.
Non si conosce l’epilogo della vicenda, ci si augura che questa storia insieme alle numerose
leggende che aleggiano nella zona, tramandateci oralmente dagli anziani, non vadano
perdute, ma conservino sempre il fascino del mistero e continuino a vivere nella memoria
del paese.
La chioccia con i pulcini d’oro
La leggenda di San Paolo
a leggenda di San Paolo
Si dice che Paolo, il grande apostolo, nel
venire in Italia sia sbarcato e si sia f
suolo di Punta Alice.
La leggenda, che riallaccia la diffusione del
Cristianesimo alla predicazione di Paolo
confermare che la zona di Punta Alice doveva
godere di un’alta considerazi
cosmopolita e probabilmente per
questo motivo la zona vie
di San Paolo tramite lettera del Genio Civile di
Catanzaro, datata 1- 4 - 1923.
Si dice che Paolo, il grande apostolo, nel
venire in Italia sia sbarcato e si sia fermato sul
che riallaccia la diffusione del
Cristianesimo alla predicazione di Paolo, sta a
confermare che la zona di Punta Alice doveva
ta considerazione e di una fama
e probabilmente per
iene denominata Isola
tramite lettera del Genio Civile di
1923.
La leggenda di Lusitania
Sul castello di Cirò Marina c’è una spiacevole leggenda. L’imperatore Costantino venne a
sapere che nel Santuario dell’ Uria vi era una Madonna miracolosa. Volle salire sul colle e,
ammirato il panorama meraviglioso, decise di costruire lì un castello.
La costruzione, iniziata in fretta, non andava avanti perché ogni mattina si trovava distrutto
tutto ciò che era stato costruito il giorno prima.
All’imperatore Costantino apparve innanzi un vecchio che gli disse: “Se vuoi che il castello
venga ultimato devi sacrificare una giovinetta dal nome singolare e che venga seppellita
viva nella mura del castello”. Una giovinetta di nome Lusitania, strappata ai genitori, fu
murata viva in quelle pareti e il castello venne completato. Nel 1970 gli attuali proprietari
Sabatini divisero il castello in due appartamenti,dei muratori trovarono una nicchia con
poche ossa, un pezzo di stoffa rossa e un orecchino: si capì che forse quella storia non era
un leggenda.
Secondo un’altra leggenda, si narra nel paese che sempre nel castello sia stata murata viva,
da parte del marito, una bellissima nobildonna di nome Lusitania.
Pare che il marito giungesse a questa decisione divorato dalla gelosia, la sua follia sarebbe
stata tale che egli riteneva ogni uomo un potenziale amante della moglie. Questo pensiero lo
assaliva giorno e notte. Cosa fare di meglio se non allontanare quella donna dagli occhi
indiscreti di tutti, per ritrovare la pace perduta? Solo murando viva la donna che lo aveva
distrutto, avrebbe avuto la mente sgombra da cattivi pensieri.
La decisione era ormai presa: Murò la donna viva per non ritrovarsi sulla coscienza anche il
peso di averla uccisa con le sue mani.
Ancora oggi nel castello è possibile vedere il muro dove pare sia stata sepolta viva la
donna.
San Cataldo tra leggenda e mistero
Cataldo nacque a Canty, in Irlanda,”isola di Santi”.
I dati biografici di Cataldo non hanno alcuna rilevanza,
essi si muovono tra leggende e mistero. Monaco di
Lismore, fu subito chiamato per la sua saggezza e la
sua virtù a dirigere il monastero. La sua figura viene
presto circondata da un alone di santità. Egli compie
molti miracoli. La sua stessa nascita viene segnata
dallo splendore divino: “lui nasce e muore la madre,
la quale, grazie all’intervento di Dio, ritornerà in vita quando il piccolo Cataldo viene
portato dalla madre stesa sul letto di morte”. Il padre è felice perché intravede nel figlio un
luminoso avvenire. Cataldo ama i poveri e i sofferenti e riceve da loro stima e ammirazione,
però questo suo comportamento suscita odio e invidia dei malvagi, che controllano la sua
vita. E così quando egli guarirà gli ammalati e risusciterà i morti, c’è chi lo accusa di magia
e di pratiche diaboliche. Ma il giovane monaco non teme le calunnie dei cattivi ed anche
quando il re di Munster, sollecitato dalle accuse di uomini potenti, farà imprigionare
Cataldo, egli non temerà perché sa che la sua difesa verrà da Dio. Infatti due angeli
appariranno in una visione al re a proclamare l’innocenza, la grandezza e la santità di
Cataldo. Liberato dal carcere, viene proclamato vescovo di Lismore. E intanto il
monachesimo, trapiantato in Irlanda da San Patrizio, si diffonde in tutta l’isola al punto che
la vita monastica diventa per i giovani un ideale, un sogno. Monasteri e luoghi di preghiera
vengono costruiti nei punti più belli dell’Irlanda. Ad un certo momento, il monachesimo
irlandese riceve un forte desiderio di emigrare alla ricerca di gente e di terra da
evangelizzare.
Il sogno di ogni monaco è quello di vedere e toccare la terra dove Gesù ha svolto la sua
missione di salvezza. Ed il vescovo Cataldo partecipa a questo peregrinare, la cui ultima
meta resta quella di Gerusalemme. Cataldo si inginocchierà sulle pietre del sepolcro vuoto
di Cristo, andrà pure alla ricerca della stalla di Betlemme e visiterà Nazareth. Quanto tempo
sia rimasto in Palestina nessuno lo saprà mai. Quando Cataldo avverte il richiamo forte della
sua terra natia, si mette sulla via del ritorno. Il suo spirito è pieno di luce e di propositi per la
sua terra, ma non sempre i progetti dell’uomo coincidono con il progetto che Dio ha per
ogni uomo. Cataldo è chiamato a nuove fatiche, egli non sceglie la terra dove deve
operare,viene mandato. Una tempesta farà naufragare la sua imbarcazione e Cataldo si
ritroverà nelle vicinanze di Taranto. Anche qui regna un alone di leggenda e di miracolo.
“Approdato sulla spiaggia, una fanciulla sorda di nascita, ma che acquisterà la parole per
intervento del Santo, gli indicherà la strada che porta alla città di Taranto”. Qui Cataldo
viene accolto con la gioia dal popolo di Dio e alla morte del Vescovo lo proclameranno
Vescovo della città.
Una visione angelica aveva manifestato a Cataldo che egli si sarebbe dovuto fermare a
Taranto. La tradizione racconta che quando Cataldo entra per la prima volta a Taranto, sulla
porta della città si sia incontrato con un cieco e che gli abbia dato con un miracolo il dono
della vista. Quel cieco diventa il simbolo di tanti ciechi spirituali, ai quali Cataldo avrebbe
dato la vista dell’anima. Infatti il suo apostolato di Vescovo fu così fecondo che subito in
città rifiorì la fede.
Il suo culto si diffuse rapidamente in molte città e paesi d’Italia.
Cirò Marina lo venera come Protettore e come fratello e modello di vita e spiritualità. La
festa, che si celebra in suo onore l’8-9-10 Maggio, è esplosione di gioia e di fede che
coinvolge profondamente l’intera popolazione.
l viaggio di San Cataldo: Irlanda - Terrasanta - Taranto
Cirò Marina:la processione di San Cataldo
La leggenda dell’acqua di San Nicodemo
Sul ciglio del torrente Ritissa, in località Santa Venere, si trova uno scoglio grande di pietra
viva. In mezzo la pietra ha la forma di un boccale d’acqua: c’è un incavo dove ci vanno due
mani a coppa. Si racconta, a Cirò, che San Nicodemo da bambino andava spesso con il
padre in campagna.
Un giorno, durante la mietitura il padre gli dice: “Nicodè, vai a mettere il vino al fresco”;
Nicodemo prende l’orcio e svuota il vino nell’acqua, poi torna dal padre il quale, vedendolo
con l’orcio in mano, gli chiede: “Nicodè, il vino l’hai messo al fresco?Sì – E come hai
fatto?” L’ho svuotato nell’acqua così si fa fresco, risponde ed egli continua: “E poi come lo
riprendi dall’acqua?” Quando è fatto fresco lo vado a prendere. Il padre meravigliato dice a
sé stesso: “Ma come fa a prendere il vino dall’acqua?” Dopo un paio d’ore, dice al figlio di
andare a prendere il vino. Nicodemo prende l’orcetto vuoto e va. Dopo un po’ torna con
l’orcetto pieno e il padre beve e rimane stupito: il vino era davvero fresco! Come avrà fatto?
Forse quello è stato il primo miracolo di San Nicodemo.
La sera l’uomo, tornato in paese, in piazza racconta quanto successo e da allora quella
sorgente è chiamata l’acqua di San Nicodemo.
Trascorsi tutti questi secoli ancora oggi a Santa Venere si semina e le persone vanno
sempre a prendere l’acqua alla sorgente di San Nicodemo.
Dallo scoglio, che ha almeno un metro e mezzo di spessore, come fa l’acqua ad uscire?
Succede, dicono i cirotani, che uno prende un litro d’acqua e la sorgente si prosciuga, poi
bisogna attendere circa un quarto d’ora, si forma nuovamente l’acqua e si può riempire un
boccale, come se l’acqua trasudasse dalla pietra. Ed è molto fresca!
Questa è l’acqua di San Nicodemo!!!
San Nicodemo nasce nel 900 a Ypsicron, attuale Cirò. Intraprende da giovanissimo la vita
monacale fatta di preghiere, di patimenti fisici e di isolamento sul monte Kellerano, nel
comune di Mammola(RC) dove muore il 25 marzo 990.
L’insegnamento di San Nicodemo è avvicinabile a quello di San Francesco, infatti i racconti
pervenutici ce lo descrivono mentre difende un lupo dai contadini che lo vogliono uccidere
dimostrandone la socievolezza, impedisce ad un confratello di colpire una vipera in quanto
anch’essa “creata da Dio per stare sulla Terra” oppure in compagnia del cinghiale suo
inseparabile compagno
Cirò
Mammola
La leggenda del lupo mannaro
L'UOMO-LUPO, detto anche licantropo, lo ritroviamo in numerose popolazioni e il mito
dell'uomo-lupo continua ancora ad essere un tema dibattuto su cui numerosi film e
racconti,ora anche videogiochi continuano a nascere. Degli uomini-lupo si parla fin dai
tempi più antichi, infatti la mitologia greca narra di un tiranno assetato di sangue,Licaone,re
greco, che aveva arrecato offesa al padre degli dei, Zeus, e fu trasformato da quest'ultimo in
lupo mantenendo parvenze umane. L'uomo-lupo o licantropo, secondo la leggenda, è un
essere umano che nei momenti di luna piena si trasforma in un lupo mannaro,un uomo con
le sembianze di lupo, attaccando ed uccidendo di notte, senza riuscire a
controllarsi,uomini,donne,bambini,animali e trasformando in lupo mannaro qualunque
essere umano che subisce il suo morso. Anche presso gli antichi Romani e nel Medioevo le
leggende sui lupi mannari erano molto diffuse . Nel XVI secolo in Europa centinaia di
persone furono arrestate, processate e messe a morte con l'accusa di essere un lupi mannari.
I cacciatori di streghe sostenevano che essi fossero in realtà stregoni,i quali avevano stretto
con il diavolo un patto che consentiva loro di trasformarsi in lupi .
In tempi più recenti,il lupo mannaro sembra invece la vittima di una maledizione. Secondo
alcuni, inoltre, la legenda del lupo mannaro è legata all'esistenza di una rara malattia
genetica,chiamata ipertricosi,che fa crescere un folto pelo dappertutto,in particolare sul viso
e sulle mani.
Gli anziani raccontano...
In passato nel nostro paese c’erano persone che si trasformavano in lupi mannari e,
consapevoli del male che avrebbero potuto fare, esortavano i familiari a non aprire la porta
per nessun motivo .Sembra impossibile, ma proprio al papà di una nostra compagna è
capitato qualcosa che ancora oggi lo fa tremare…
Egli così racconta:"Durante la mia infanzia non esisteva né il computer né il cellulare né i
videogiochi e i programmi della tv erano solo tre Rai1-Rai2-Rai3 .
La sera quando alla tv non c'erano programmi interessanti,i grandi raccontavano
fatti,favole,e leggende che si tramandavano di generazione in generazione .Quella del lupo
mannaro era particolare perché ci terrorizzava,ma nello stesso tempo ci incuriosiva e tutti
l'ascoltavamo attentamente:
“Ogni venerdì di luna piena, a mezzanotte,qualche persona affetta da licantropia si
trasformava in lupo mannaro .Si diceva che proprio nel nostro rione ci fosse un uomo che la
sera uscendo raccomandava ai familiari e ai vicini di casa di non aprire la porta a nessuno .Il
lupo mannaro non era in grado di salire più di tre gradini perchè cadeva all'indietro .Se era
periodo delle castagne bisognava tirargli i ricci addosso ,e se si insanguinava ritornava ad
essere un uomo .Una sera di venerdì la luna era piena,io e due miei amici volevamo
verificare di persona se questi racconti fossero reali .Verso le 11di sera ci incamminammo
per quei vicoli stretti e bui .Verso mezzanotte, sistemati sulla scala di una casa, sentimmo
degli ululati che ci fecero venire i brividi per tutto il corpo .Io e i miei amici ci guardammo
negli occhi, sapevamo che il lupo mannaro non avrebbe potuto salire ma, appena tornò il
silenzio, ci mettemmo a correre come pazzi verso casa .Il cuore ci batteva forte dalla paura
e nella notte nessuno di noi riuscì a dormire .Il mattino seguente raccontammo ad altri amici
quanto accaduto e da tutti loro fummo derisi e dai genitori rimproverati e puniti per essere
usciti di casa a loro insaputa".
Facciamo il punto
Le caratteristiche della nostra cittadina
Resti archeologici di un
glorioso passato
Mare pulito, limpido,
pescoso
Cibi sani e
specialità
gastronomiche
locali
Campagne
lussureggianti coperte
da vigneti, orti e
giardini
Colline verdeggianti da
pascoli e ulivi
Stabilimenti
balneari,
ristoranti,
pizzerie,
pineta...
10 km di costa sabbiosa Vegetazione
spontanea, odorosa
di essenze tipiche
della macchia
mediterranea
Il Cirò il vino
d.o.c
12° Bandiera
Blu
Conclusione
All’inizio dell’anno scolastico, quando la prof.ssa di Lettere ha presentato i programmi, ha
tenuto a precisare che durante l’ora di “quota locale” avremmo trattato in modo
pluridisciplinare la tematica ”Conosciamo il nostro territorio”. Tutti eravamo entusiasti ed
impazienti di conoscere i diversi aspetti (geografico – storico – artistico - culturale) nonché
miti, leggende e tradizioni. Quando finalmente abbiamo iniziato, ci siamo subito resi conto
che pensavamo sì di conoscere il nostro territorio, ma solo superficialmente, pertanto,
interessati e armati di buona volontà, ci siamo impegnati a collaborare attivamente ( ricerca
su internet- consultazione testi- indagine- intervista agli anziani) per recuperare più
materiale possibile sul nostro territorio. Il tutto poi è stato letto, selezionato, sintetizzato,
commentatoe trascritto sul quaderno di quota locale. L’attività si è rilevata coinvolgente e
tutti abbiamo avuto l’opportunità di:- arricchire le nostre conoscenze, - esprimere i nostri
pensieri; - scoprire il senso di appartenenza;- acquisire la consapevolezza che possediamo
un patrimonio comune che ci rende orgogliosi e nello stesso tempo ci sprona ad essere più
sensibili e più operativi per salvaguardarlo e valorizzarlo.