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Istituto Comprensivo n. 1 Scuola Secondaria di 1° Grado”Don Bosco” Cirò Marina (KR) IL TERRITORIO INTESO COME UN LIBRO da: vedere , osservare , conoscere , valorizzare ….. Dossier realizzato dagli alunni della classe 1 B Anno scolastico 2011/2012 Il Il Il Il territorio territorio territorio territorio in cui in cui in cui in cui viviamo viviamo viviamo viviamo

Istituto Comprensivo n. 1 Scuola Secondaria di 1° Grado ... · Un posto di primo piano dovevano occupare gli alberi da frutta, l’ ulivo e la vita. ... ma la sua memoria è sempre

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Istituto Comprensivo n. 1

Scuola Secondaria di 1° Grado”Don Bosco”

Cirò Marina (KR)

IL TERRITORIO INTESO COME UN LIBRO

da:

vedere , osservare , conoscere , valorizzare …..

Dossier realizzato dagli alunni

della classe 1 B

Anno scolastico 2011/2012

Il Il Il Il

territorioterritorioterritorioterritorio

in cuiin cuiin cuiin cui

viviamoviviamoviviamoviviamo

Schema di lavoro

finalità

obiettivi

premessa

contenuti

attività

conclusione

Finalità’ : - Comprendere la necessità di conoscere il territorio per salvaguardarlo

Obiettivi: -Saper osservare e descrivere;

-Conoscere attraverso l’analisi e l’uso delle fonti le radici storiche del

proprio territorio;

-Sapersi orientare nello spazio e nel tempo;

-Conoscere l’importanza di un corretto rapporto uomo-ambiente;

-Operare confronti tra passato e presente.

e per conoscere le proprie radici.

Premessa

Grande o piccolo che sia, un territorio è un insieme complesso di elementi naturali e

antropici , ognuno dei quali è in relazione con gli altri. Per analizzarlo bisogna ricorrere a

due metodi :

a. con l’osservazione diretta;

b. con l’osservazione indiretta.

Perche studiare il territorio?

a. per conoscerlo;

b. per comprendere com’ è organizzato;

c. per scoprire i problemi e gli aspetti particolari;

d. per stabilire confronti fra realtà territoriali diverse.

A noi alunni della 1 B, entusiasti di scoprire il territorio in cui viviamo , non resta altro che

impegnarci con interesse in questa attività pluridisciplinare, sicuri di arricchire le nostre

conoscenze , valorizzare le nostre radici e maturare senso civico. Inoltre, ci piacerebbe

realizzare un dossier da inserire sul sito dell’Istituto con lo scopo di pubblicizzare il nostro

territorio, in modo che i coetanei di altre località possano visitarlo e apprezzarne le

particolarità che lo rendono “unico” e meritevole di una attenta scoperta.

Contenuti: -Caratteristiche del territorio;

-Cenni storici;

-Testimonianze architettoniche;

-Resti archeologici;

-Miti, leggende, racconti e tradizioni.

Attività’: -Ricerche e interviste ad anziani;

-Lavoro sulla cartografia (orientarsi, localizzare, leggere);

-Costruzione di schemi e di percorsi.

Conclusione : -Testo scritto;

-Questionario;

-Dibattito.

Carta d’identità della nostra cittadina

Denominazione della località: Cirò Marina

Provincia: Crotone Regione: Calabria

Estensione: 3,5 kmq Ubicazione: sulla costa dell’antica Krimisa

Primo nome: Borgo Baracca Origine del nome: Ypsicron

Comune autonomo dal 1952 Stemma ispirato alla Magna Grecia

Abitanti: 14957 Segni particolari : origini greche

Cenni storici

Krimisa,che sorgeva quasi sicuramente sul luogo dove ora è Cirò Marina,fu fondata come la

maggior parte delle colonie greche, intorno all’VIII sec. a.C. La leggenda, invece , ne fa

risalire l’ origine ad epoca più remota, al 1115 a.C. , ad opera di Filottete approdato sulla

costa ionica dopo la distruzione di Troia. L’insediamento dei coloni greci nel nostro

territorio fu dettato probabilmente dalle favorevoli condizioni ambientali e dalla fertilità del

suolo .La presenza di un’ ampia e fertile pianura , di un facile approdo per la navigazione ,

del fiume Lipuda, di abbondanti acque di risorgive e infine di fitti boschi ricchi di legname e

di selvaggina, rendeva appetibile l’ agro cirotano compreso tra il Lipuda e Punta Alice

.Sorse così un centro abitato che col tempo conobbe una grande fioritura e fama di città

sacra per la presenza del tempio di Apollo Aleo nel quale erano custodite le frecce e l’ arco

di Ercole lasciativi da Filottete.Quali siano state le risorse degli abitanti di krimisa , lo si può

intuire. Un posto di primo piano dovevano occupare gli alberi da frutta, l’ ulivo e la vita. Il

vino assai pregiato di Krimisa era molto noto nell’ antichità. Esiste nei pressi di Cirò Marina

una località denominata Brisi che alcuni storici mettono in rapporto con il culto di Bacco

Briseo, il dio del vino. Essendo poi il territorio assai boscoso, è presumibile che vi fosse

diffuso l’allevamento bovino e ovino. Quando la città di Filottete declinò non si sa con

esattezza , forse l’ inizio della decadenza si ebbe con la seconda guerra punica. Nuovi e

gravi danni subì più tardi, quando fu saccheggiata dagli eserciti ostrogoti bizantini che

ridussero la città ad un ammasso di rovine. I suoi abitanti riuscirono a sopravvivere a tali

distruzioni finchè , oppressi dall’ incubo delle razzie degli Arabi. abbandonarono la costa

malsicura e si ripararono nell’ entroterra a Ypsicron, Cirò. Krimisa, avvolta da un silenzio

di morte, divenne dominio delle acque paludose e della malaria . Dovrà passare quasi un

millennio prima che il suo territorio ritorni ad essere abitato. Nella seconda metà del 700

cominciarono a sorgere le prime ville di campagna , dove i proprietari soggiornavano d’

inverno, nelle località di Salvogara S. Gennaro, Alice , Sottalice, Cannarò e Pozzello.Più

tardi, nella prima metà dell’ ‘800, ne sorsero altre nelle seguenti località: Ceramidio, Brisi,

Casoppero, Sopralice, Mandorleto e Saverona . A questa fase d’insediamento sparso nella

campagna , seguì dopo qualche decennio il sorgere di un villaggio sulla costa. Dopo l’ unità

d’ Italia un gruppo di pescatori provenienti dalla Campania e dalla provincia di Reggio

Calabria si stanziava nel luogo designato col nome di Baracca, dando vita ad un borgo

marinaro che in cento anni diventerà una cittadina . Il piccolo centro s’ incrementò

maggiormente con la realizzazione della ferrovia che vide molte famiglie scendere da Cirò

verso il mare. Nel ‘900 i lavori di bonifica e di irrigazione e della riforma agraria

cambiarono il volto di Cirò Marina che si estese tanto da contare ne 1951 ben 7.302 abitanti

. L’ anno seguente ottenne il diritto di eregersi a comune autonomo. In questi ultimi decenni

Cirò Marina sembra risorta a nuova vita . Iniziative agricole, commerciali , industriali e

turistiche hanno esercitato un forte richiamo sugli abitanti dell’ entroterra che ne hanno

raddoppiato la popolazione. Dall’ antica krimisa non è rimasta che qualche traccia,

ma la sua memoria è sempre viva nel cuore degli uomini che con orgoglio ne ricordano

l’ antico splendore .

Sintetizziamo la storia del nostro territorio

Periodo Notizie importanti

XIII sec. a.C -Ritrovamenti risalenti alla cultura Ausonia dell’età del bronzo e…

VIII sec. a.C -a quella degli Enotri dell’età del ferro

VIII-VII sec. a.C

-Con molta probabilità sorge nell’area di Punta Alice Krimisa,

città della Magna Grecia, denominata la città dei ludi, del vino e

dell’oracolo di Apollo

III sec. a.C -Il centro diventa molto attivo, con un incremento del traffico

commerciale grazie ai Bretti.

Dominazione

Romana

-Krimisa appare svuotata della sua vitalità, tuttavia il ritrovamento

di alcune ville rustiche evidenzia un ricco tenore di vita.

VI sec. d.C -Importanti reperti illustrano il periodo bizantino.

VII sec. d.C

Il borgo Alikia riprende vita in epoca normanna con la costruzione

di una Mansio(Santuario di Madonna D’Itria). Il periodo è

documentato da ritrovamenti di ceramiche e monete.

Medioevo

-A causa delle scorrerie arabo-musulmane e turche la popolazione

si ripara a Psychron sulla collina.

Nascono a Cirò: San Nicodemo Abate, Monaco basiliano;

l’umanista Gian Teseo Casopero e lo studioso astronomo Luigi

Lilio, che attuò la correzione del calendario gregoriano.

-Torri di guardia(torre vecchia IX sec. d.C) difendono la costa dalle

incursioni saracene.

Epoca

Risorgimentale

-Dalla collina si ridiscende al piano e ricomincia il commercio. I

Mercati Saraceni ci ricordano questo periodo prospero e felice.

-Dello stesso periodo è la casa del Principe, ora nota col nome di

Castello Sabatini.

Sotti borboni -A causa del malgoverno, si verifica la presenza di predoni e di

briganti e nelle zone malsane dilaga la malaria.

Ottocento

-La pianura cirotana si presenta costellata da fattorie e casolari,

le colline sono coltivate ad uliveto e le pianure a vigneti.

-Alla fine dell’Ottocento si ha la prima planimetria della Marina di

Cirò di Agazzi Giuseppe. L’abitato era costituito da 121 case e

circa 800 abitanti. Nel 1903 erano circa 300 abitanti.

1881 -Fondazione di Cirò Marina

Novecento -La pianura comincia a ripopolarsi dopo le opere di bonifica degli

anni 20. Nel 1952 Cirò Marina ottiene l’autonomia comunale.

Oggi -Cirò Marina è una vivace cittadina a vocazione agri-turistica.

Come nasce Cirò Marina

Verso il 1870 la borgata, formata da pagliai in origine, viene chiamata Borgo, poi Baracca,

Alice, Cremissa, Marina di Cirò ed infine Cirò Marina.

Le caratteristiche del nostro territorio

Bullismo

Illuminazione

Disoccupazione

Rete idrica

Illegalità

Rifiuti

Crisi

Sanità

Alluvioni

Vandalismo

Problemi

emergenti

Edilizia

Agricoltura

Attività

Lavorative

Turismo

Pianura

Collina Fiumara Lipuda

Mare

Costa

Elementi

Fisici

Sorgenti d’acqua

Punta Alice

Case rurali

Pozzi

Ruderi

Interessati

e

Testimonianze Architettoniche

Tempio di

Apollo

Palmenti

Antico

Faro Ponte viario Abbeveratoi

Cepie

Epitaffio

Mercati

Saraceni

Castello

Sabatini

Palazzi

baronali

Fontana del

Principe

Torri di

Guardia

Casamatta

Bar e

gelateria

Porto

Cantine

e frantoio

Scuola

Pineta Parco giochi

Fabbriche

Strutture

sanitarie

Piazze

Strade e

ferrovia

Faro

Negozi

Museo Civico

Archeologico Stabilimenti

balneari

Alberghi

Ristoranti

Pizzerie

Elementi

Antropici

Impianti

sportivi

Centri

Ricreativi

Campeggi

Abitazioni

Villetta

Chiese e

Santuari Banche e

Ufficio

postale

Resti archeologici Il tempio di Apollo Aleo (VI-III sec a.C)

Questo luogo di culto era famoso nell’antichità per i suoi oracoli (gli dei o santi, figurati da

statue con forme umane fatte di legno,pietra o metallo, venivano adorati, portati in

processione ed interpellati). Questo monumento architettonico (o quel poco che ne è ancora

rimasto) risale a diversi secoli a.C. L’edificio sacro è costituito da una cella allungata e

completamente aperta sul lato orientale, divisa in due navate da un colonnato di cui restano

le basi in pietra. Tutte le colonne erano di legno. La cella è conclusa ad ovest da un

ambiente quadrangolare chiuso da un muro divisorio, all’interno del quale ci sono le basi di

quattro pilastri. Questo era lo spazio più sacro del tempio,perché custodiva la statua del Dio

ed il suo accesso era proibito ai fedeli. Nella cella del tempio è stata trovata la “testa

marmorea di Apollo Aleo”,come pure i piedi e la mano destra e un’immagine d’oro di

Apollo Aleo. Questi oggetti preziosi sono esposti al pubblico nel Museo Nazionale di

Reggio Calabria. Probabilmente il dio Apollo era coperto da una lunga veste e seduto in atto

di suonare la cetra.

Nel Museo Civico Archeologico di Cirò Marina sono esposti molti reperti rivenuti nell’area

del santuario di Apollo Aleo: un capitello,elementi architettonici,una maschera di

terracotta,frammenti di una statua di bronzo,monete di bronzo,statuine… Nel Museo

Archeologico di Crotone sono esposti ritrovamenti del santuario di Apollo Aleo:alcuni

capitelli dorici,un’ antefissa (tegola di terracotta) a disco,delle terracotte votive e frammenti

di statuetta arcaica di un giovinetto in pietra calcarea.

Le torri di guardia

Torre Vecchia (IX sec.)

Torre di avvistamento, in località Madonna di Mare, di origine normanna;

Torre Nuova (XV sec.)

Fu costruita dagli spagnoli. Questa torre a forma cubica si trova alla foce del fiume Lipuda,

in contrada Brisi. Era una piccola fortezza che serviva da torre di avvertimento militare

Mercati Saraceni (XV sec.)

In località Madonna di Mare, di fianco alla chiesetta dedicata alla “Regina del cielo”,

risalente ai tempi dei monaci basiliani, sorge un complesso,di recente restaurato,di

caratteristici porticati chiamato “Mercati Saraceni”, costruiti verso il 1500.

Molto tempo fa, in questo luogo veniva svolto annualmente dall’uno al tre maggio “la fiera

di Santa Croce”, molto frequenta dai commercianti e mercanti viaggiatori di tutta la

Calabria, Sicilia ed oltre. Le invasioni saracene fecero cessare purtroppo il seguito di questo

fiorente mercato.

Castello Sabatini

Nelle vicinanze del Santuario di Madonna d’Itria sorge il castello medievale con quattro

torri angolari : Palazzo Alice o Villa Alice, fatto costruire dai Carafa, marchesi di Cirò,

come fortezza militare nel XV sec. Il nome originale sarebbe stato sostituito nel tempo dal

nome della famiglia che lo acquistò nel 1.845. Oggi ancora lo abitano gli eredi dei nobili

Sabatini originari.

Curiosità

Quando Carlo III si recò a Palermo per essere incoronato re, passando per la Calabria si

fermò tre giorni a Cirò. Ospite degli Spinelli, fu alloggiato nel Palazzo Alice dal 31 gennaio

al 2 febbraio 1735

La Fontana del Principe (XVIII sec)

Epitaffio (parola greca che significa iscrizione) Nel luogo detto dell’Alice il feudatario di

Cirò possedeva un agrumeto misto ad altra frutta; questi giardini erano intorno al castello e

il barone esigeva dai forestieri che attraversavano la strada una tassa per il ius di passo, ciòè

il diritto di passaggio. Erano state sistemate a tale passaggio due squadre armate e, perché

tutti potessero vederlo, fecero costruire sul posto un grosso pilastro a forma di parete, sulla

quale era scalfita la tariffa da pagare e lo stemma del feudario.

La fontana si trova ai piedi della zona Alice e fa parte dei giardini del castello

Sabatini. E’ una fontana a specchio con tre archi, sopra gli archi vi è una lastra di

marmo con lo stemma dei nobili signori Spinelli.

La pineta: il polmone verde di Cirò Marina

Con il termine pineta indichiamo zone boschive prevalentemente composte da specie di pini

e altri alberi. La flora pineta comprende spesso il rovo e le felci. In particolare si trova

vicino al mare come la pineta di Cirò Marina, che fa da cornice al suggestivo scenario

offerto da Punta Alice. Purtroppo si è assistito al deturpamento di questo patrimonio

boschivo naturale, dovuto all’incuria di cittadini e istituzioni che avrebbero dovuto

preservare questo luogo.

Sarebbe bello far comprendere alla gente l’importanza di questo polmone verde!

La pineta e la natura vanno rispettate ed amate! La furia distruttiva dell’uomo ha

danneggiato 6.000 mq di macchia mediterranea composta da piante e arbusti della

vegetazione tipica per parcheggi, non ha lasciato scampo nemmeno agli alberi che

circondavano il faro, le cui cime crescevano piegate a terra dalla violenza della tramontana.

Ebbene, qualcuno ha pensato anche di dare fuoco a quelle piante secolari e suggestive e a

fiori così particolari, come lo erano fino a qualche anno fa, i bellissimi gigli marini. La

pineta è minacciata , oltre che dall’ avanzata del cemento, anche dai taglialegna abusivi e

dagli incendiari che entrano in azione soprattutto d’estate. Si è parlato anche dell’ipotesi di

vendere una parte della pineta e con il ricavato costruire la “Casa della Cultura”.

Un’iniziativa lodevole ma che mette a repentaglio un bene prezioso che appartiene a tutti i

cittadini. Possibile che non si trovi un progetto per l’utilizzo adeguato della pineta

soddisfacendo così i desideri e le aspettative di tutti i cittadini?

Il Lipuda

La Calabria è uno dei molti territori più ricchi di fiumi tra questi il Lipuda che si estende dal

monte Mazzagullo e il Cozzo di Perticaro in cui sorge il comune di Umbriatico. Il fiume ha

una superfice di 157Kmq e sfocia a sud di Cirò Marina con un bacino lungo 26 km. Alla

foce il Lipuda forma un ampio piano alluvionale.

Il Lipuda è anche avvolto in un alone di mistero, di storia e di leggenda.

Secondo la leggenda, alla sua foce, a pochi chilometri da Punta Alice, è stata seppellita la

bellissima regina Aretha, moglie di Alcinoo, re dei Feaci, e per questo alcuni storici

ritengono che Alice possa derivare proprio da Alcinoo. Sarà vero?....

Cirò Marina: nel cuore del Mediterraneo

tra miti, leggende e…….. miracoli.

La storia è costellata di mille leggende e miti che sono serviti, da sempre, a rendere eroiche

le azioni degli uomini che quelle storie hanno vissuto, trasformandoli in esseri semidivini, in

eroi. Soprattutto nel mondo antico gli uomini sentirono la necessità di nobilitare le loro

origini ed imprese avvolgendole in un alone di mistero e di favola.

Ma gli studiosi oggi sanno che questi miti non sono racconti totalmente fantastici,sono,

spesso,narrazioni di avvenimenti realmente accaduti. Basti ricordare la colonizzazione greca

dell’Italia meridionale e della Sicilia considerata da molti un’impresa epica: fu così che

coloro che furono proposti dalla fondazione delle nuove colonie, non furono comuni mortali

ma eroi, sempre protetti da una divinità. Non si sottrae a questo fenomeno il fondatore di

Krimisa, Filottete.

Il mito di Filottete

Vuole il mito che Filottete fosse legato alla morte di Eracle (Hercole). Eracle, l’eroe delle

dodici fatiche, forte ed invincibile, morì a causa di un inganno; indossando una tunica intrisa

del sangue del centauro Nesso, suo nemico, sangue a cui era stato mescolato un potente

veleno che a contatto con la pelle, la corrodeva provocando dolori terribili giungendo a

scoprire le ossa. Straziato da dolori lancinanti e sentendo ormai vicina la morte, Eracle si

fece portare sul monte Età, nella Trachinia, dove fu innalzata una catasta di legno di quercia

ed oleandro su cui l’eroe si distese per essere bruciato, secondo le usanze del tempo. Ma

nessuno dei suoi compagni ebbe il cuore di dare fuoco alla pira, finché non passò di lì per

caso un pastore, Peante, che ordinò al proprio figlio Filottete di fare ciò che Eracle chiedeva.

In segno di gratitudine l’eroe donò a Filottete l’arco e le frecce, che fecero di lui un famoso

arciere. Filottete partecipò alla spedizione dei greci contro Troia, ma ancora prima di

sbarcare nella Troade, fu morso al piede da un serpente d’acqua e la ferita divenne così

infetta e puzzolente e le sue grida così possenti che i compagni decisero di abbandonarlo

sull’isola di Lemno, con l’arco e le frecce, e lì sopravvisse cacciando. La guerra contro

Troia durò dieci anni. Dopo la morte di Achille per mano di Paride, i greci cominciarono a

disperare. Calcante, l’indovino del campo greco, profetizzò che Troia non sarebbe caduta

senza l’aiuto dell’arco e le frecce di Eracle. Perciò i greci Ulisse e Diomede ebbero l’ordine

di raggiungere l’isola di Lemno per chiedere aiuto a Filottete. Dopo un tentativo di sottrarre

le armi con l’inganno, i due condottieri lo convinsero a tornare con loro a Troia. Giunto

all’accampamento greco, egli si bagnò il piede malato nell’acqua corrente e dormì nel

tempio di Apollo. Durante il sonno, Macaone il chirurgo, tagliò la carne putrida dalla ferita,

vi versò del vino e vi applicò un impacco di erbe salutari. Una volta guarito, Filottete sfidò

Paride a duello con l’arco e lo ferì mortalmente, vendicando così la morte di Achille.

Conclusasi la guerra, che sappiamo vittoriosa per i greci grazie allo stratagemma del cavallo

di legno, escogitato da Ulisse, Filottete tornò in patria, in Tessaglia, ma a causa di una

rivolta ivi scoppiata, finì in Italia nella Corotoniatide, nei pressi della quale egli fondò e

consacrò un tempio ad Apollo Aleo, dove furono deposte, dopo la sua morte, l’arco e le

frecce ricevute da Eracle.

Legata a questo tempio era Krimisa, che Filottete fondò insieme alla soprastante Chone, da

cui la popolazione locale avrebbe tratto il nome.

L’isola di Ogigia

Ogigia, l’isola di Calipso immaginata un po’ ovunque, nel cuore del Mediterraneo, è invece

collocata nella stampa di una carta del 1500, redatta dall’architetto Pino Ligorio per conto

dei sovrani spagnoli, di fronte Punta Alice, nei pressi dell’attuale Cirò Marina.

Se la carta è attendibile, Ulisse ha vissuto una bella storia d’amore con la ninfa Calipso,

proprio vicino alla nostra costa. Che bello se fosse vero! Il nostro territorio è senza dubbio

misterioso, affascinante e sorprendente, scopriamolo insieme e valorizziamolo!

Sulla collina, detta d’Itria o anche Monte Tabor (in dialetto M. Tamburu), si venera sin dai

tempi remoti la Madonna d’Itria, detta anche di Costantinopoli, per indicare la sua

provenienza dalla capitale dell’Impero d’Oriente. Il culto della bizantina Hodighitria, che

significa condottiera o guida, è molto caro ai Templari. Ricostruire le vicende del Santuario

eretto sul colle e più volte distrutto nel corso dei secoli, è piuttosto arduo per difetto di fonti

documentarie. Le origini risalgono probabilmente all’epoca della diffusione del

monachesimo basiliano in Calabria (VIII sec.), quando numerosi monaci per sfuggire alle

persecuzioni dei Teonoclasti, si rifugiarono nella nostra terra portando con loro l’icona

veneratissima dell’Itria.Col passare dei secoli, la chiesa costruita probabilmente dai

basiliani, fu distrutta dai Saraceni. In epoca posteriore, per sentire parlare della collina

d’Itria, bisogna giungere fino al 1115 quando viene nominata per la prima volta in un

documento storico, in cui il nipote del Guiscardo, il normanno Riccardo Senescalco, fa

donazione di alcuni beni all’abate Raimondo. I beni concessi comprendevano tra l’altro, il

M. Tabor, cioè l’intera collina della Madonna d’Itria, dove egli desiderava creare un

Mansio. Pertanto è probabile che i Templari abbiano costruito sui resti della primitiva

struttura una nuova chiesa ed affiancata ad essa una torre che aveva funzioni difensive e di

vedetta per controllare un lungo tratto di strada e di mare. L’avere costruito in questa

località un’opera di difesa e di assistenza ai pellegrini ed ai crociati in transito durante il

viaggio verso i luoghi santi, fu suggerito da diversi motivi, tra cui: il territorio di Cirò

registrava all’epoca numerosi episodi di attività barbaresca, quindi la necessità di reprimere

le sanguinose scorrerie di Saraceni e di rendere più sicura la navigazione che si svolgeva sul

mare Ionio. Inoltre al largo della costa, i vascelli corsari erano sempre pronti ad assalire i

pellegrini che andavano in Palestina a visitare il tempio di Gerusalemme. Nella lotta contro i

musulmani, i Templari, che erano un ordine militare e religioso, combattevano con lealtà

perché convinti di combattere, protetti da Dio, una vera e propria guerra Santa. Un altro

motivo da considerare è che tra i cavalieri del Tempio si trovavano molti calabresi passati in

Terrasanta che si distinsero per virtù militari, tra cui il templare Alessandro Amarelli di

Rossano, morto nel 1103 durante la prima crociata. Era dunque naturale che i Templari

proteggessero la chiesa d’Itria. Nel 1312, sciolto l’ordine dal Papa Clemente V, la

Commenda Templare passò successivamente ai Cavalieri di Malta, di cui si hanno notizie

precise. La leggenda diventa storia in quanto lo si evince da un documento del 1444: il re

Alfonso D’Aragona accordò al Comune di Cirò di poter celebrare il 3 maggio di ogni anno

un mercato franco (esente da dazi) sul Colle dell’Itria, in ricorrenza della festa della

Madonna nei pressi del Santuario. Seguirono secoli di saccheggi, di distruzioni, di scorrerie

e la chiesa era ormai in uno stato di completo abbandono. La torre, che aveva protetto il sito

per secoli, in parte diroccata dalle scosse del terremoto del 1831, fu demolita per ordine del

Vescovo di allora, e, a conferma delle sue lontane origini, nell’interno della chiesa ormai in

rovina, sul pavimento era rimasta scolpita su una lastra di pietra la croce di Malta. Dopo

I Templari a Cirò Marina:

storia o leggenda?

circa un secolo, nel 1971, grazie ai Padri Passionisti, ha preso il posto dell’antica chiesa

l’attuale Santuario.

I Templari di Cirò Marina

“Commenda San Francesco d’Assisi”

I Templari di Cirò Marina

“Commenda San Francesco d’Assisi”

Il 18 Dic. 2010 nella Chiesa di San Cataldo

Vescovo si è celebrato il Capitolo aperto

dei cavalieri e, dopo la messa, il Gran

Priore d’Italia ha nominato il Precettore

della nuova Commenda “San Francesco

d’Assisi” di Cirò Marina assieme

all’investitura di due dame e quattro

scudieri.

L’emblema è rappresentato da una croce rossa con al

centro l’effige di San Francesco d’Assisi, sullo sfondo

del vessillo bianco e nero dei cavalieri templari.

La Commenda si impegna nella difesa dei bisognosi,

degli emarginati, dei senza voce, nel silenzio e nel

rispetto della dignità altrui.

Non è un cammino facile, ma aspro e solitario, con

poche discese e nessuna scorciatoia ma

Gli ideali dell’ordine ai quali si richiama la

Commenda sono sintetizzati dal motto templare ”Non

a noi, o Signore, non a noi,ma dà g

“Commenda San Francesco d’Assisi”

Il 18 Dic. 2010 nella Chiesa di San Cataldo

Vescovo si è celebrato il Capitolo aperto

dei cavalieri e, dopo la messa, il Gran

Priore d’Italia ha nominato il Precettore

della nuova Commenda “San Francesco

d’Assisi” di Cirò Marina assieme

due dame e quattro

L’emblema è rappresentato da una croce rossa con al

centro l’effige di San Francesco d’Assisi, sullo sfondo

del vessillo bianco e nero dei cavalieri templari.

La Commenda si impegna nella difesa dei bisognosi,

degli emarginati, dei senza voce, nel silenzio e nel

rispetto della dignità altrui.

Non è un cammino facile, ma aspro e solitario, con

poche discese e nessuna scorciatoia ma verso il futuro

Gli ideali dell’ordine ai quali si richiama la

Commenda sono sintetizzati dal motto templare ”Non

à gloria al tuo nome”

La leggenda della Madonna d’Itria

A Cirò, da tempo immemorabile, si tramanda una leggenda che viene raccontata dallo

storico Francesco Pugliese:”Ad una giovinetta che si era recata a raccogliere la legna nel

sovrastante colle apparve un vecchio che, rassicuratala dalla sorpresa e dal timore, le

raccomandò che ritornando a casa, dicesse alla madre di recarsi nel lido del mare, nel sito

detto la Fossa del Lupo, perché lì avrebbe trovato una cassa nella quale era chiusa

l’immagine della Madonna, di prenderla e portarla sul quel colle ove avrebbe dovuto

costruirle un Tempio. La giovane non riferì nulla a sua madre, e ritornata il giorno appresso

vide il vecchio dal quale ebbe lo stesso comando e neanche questa volta lo eseguì. Sorpresa

in casa da apoplessia, dalla quale a stento si riprese, si ricordò, e raccontandolo alla madre,

guarì. La madre, avvertito il sacerdote, andò con lui sul luogo e trovarono che la cassa

galleggiava sulle onde, per cui il sacerdote entrò nel bosco per prendere un lungo bastone ad

uncino per tirarla all’asciutto. Gli si presentarono due eremiti, i quali si offrirono di aiutarlo

e nella cassa trovarono una bambola dentro la quale si trovò l’immagine su tela. Gli eremiti

aiutarono il sacerdote e la donna a recare la cassa coll’ Itria sul colle. Resa pubblica la

notizia, tutti i cittadini salirono per adorare quell’immagine, e in breve tempo fu costruita la

chiesa e collocatavi l’immagine. Oggi nel Santuario non troviamo l’effigie originale ma una

che rappresenta la Vergine e la cassa sostenuta da due eremiti. L’attuale tela è recente ,

infatti risale al 1854 e ricorda l’antica leggenda: due monaci sostengono una cassa da cui

sbalza l’immagine della Madonna con il Bambino. Per terra un’anfora e sullo sfondo un

veliero.

Il tesoro del Monte Tabor

La fantasia popolare ci tramanda una leggenda ancora viva, oggi, a Cirò che parla di

sotterranei e di tesori nascosti sul monte Tabor. Vuole la leggenda che nelle sue viscere

giace un immenso tesoro, custodito da un grosso serpente, difficile da scoprire perché non

se ne conosce il passaggio di accesso. A volte il luogo viene indicato in un sogno rivelatore

a qualcuno degli abitanti che seguendo le istruzioni avute, potrebbe di notte penetrare nelle

viscere del monte e impossessarsi del tesoro, ma la paura…

Raccontano gli anziani che tanto tempo fa un signore di Cirò, senza rivelare niente del

sogno fatto a nessuno, segue le istruzioni e attraversate le sei stanze splendenti, finalmente

penetra in un’ ultima sala colma di monete d’oro, di gemme e pietre preziose. E’ incredulo

nel vedere il tesoro, quando si verifica un fatto straordinario: dal fondo della sala si fa avanti

un grosso serpente che strisciando si dirige verso una piccola ampolla e magicamente vi

entra. L’uomo, stupito, non può fare a meno di emettere un’espressione di meraviglia di

fronte al fatto eccezionale contravvenendo a quanto raccomandatogli nel sogno. Il tesoro

sparisce all’istante e l’uomo si ritrova tremante fuori. Ritorna a casa con febbre altissima e

racconta ai familiari l’accaduto. Nessuno gli crede fino a quando con grande sorpresa trova

sul cappello un anello e la notizia si diffonde subito nel paese.

Questa leggenda fa pensare ad un ipotetico tesoro nascosto sul colle d’Itria forse dai

briganti oppure dagli stessi corsari saraceni o turchi che, dopo aver saccheggiato il paese,

inseguiti dagli abitanti, furono costretti a nascondere il ricco bottino. E’ facile anche

immaginare che sull’altura d’Itria, alle prime avvisaglie di persecuzione, i Templari vi

abbiano nascosto il tesoro della commenda.

Attenti! Sono solo delle ipotesi e tali rimangono perché non sono documentate.

Leggende legate alla

Madonna della Catena

Sulla strada che unisce Cirò alla contrada Cappella sorge l’antico Santuario della Madonna

della Catena. Ignota è la data di costruzione dell’antica chiesetta, la cui forma è a capanna

con una piccola cella campanaria al centro, datata 1818. L’interno è spoglio: presenta

soltanto un altare di pietra sormontato da un quadro raffigurante la Madonna che con la

sinistra regge il Bambino Gesù mentre con la destra scioglie dalle catene il corpo di un

piccolo negro perché, secondo un’antica leggenda, i Saraceni, dopo aver seviziato un

piccolo schiavo che si era convertito al cristianesimo, lo lasciarono legato da durissime

catene e quasi agonizzante sulla spiaggia e che la Madonna, ascoltate le sue invocazioni,

accorse in suo aiuto, lo sciolse dalle catene e lo guarì.

Fino a qualche decennio fa il Santuario di Cirò era meta di un notevole afflusso di fedeli che

venivano ogni anno in pellegrinaggio da paesi vicini, salivano sulla collina recitando

preghiere e cantando lodi alla miracolosa Madonna.

IL QUADRO RAFFIGUARANTE LA MADONNA CON IL BAMBINO

La chiccia con i pulcini d’oro

Si narra che una donna, inseguendo una chioccia con pulcini, scappata di casa, e

percorrendo un bel tratto di corsa, si introdusse senza farci caso in una caverna;

all’improvviso dinanzi ai suoi occhi si presentò uno spettacolo inimmaginabile, vide infatti

che la gallina inseguita insieme ai suoi pulcini, in quelle stanze sotterranee delle quali la

donna ignorava l’esistenza, era diventata tutta d’oro.

Vuole un’antica leggenda che nelle viscere del colle della Madonna della Catena di Cirò sia

nascosto un tesoro consistente in una chioccia e i pulcini d’oro.

Un giorno arrivò a Cirò una vecchia cieca, dotata di poteri magici,che fu ospitata da una

contadina di nome Mariantonia. Diffusasi la notizia dei poteri sovrannaturali della donna,

molti cirotani afflitti da varie traversie si recarono da lei per essere aiutati. Il parroco del

tempo, fiutando il lucroso affare, la convinse ad abbandonare la casa di Mariantonia e ad

accettare la sua ospitalità. In verità il suo intento segreto era quello di riuscire, con l’aiuto

della vecchia cieca, a scoprire il tesoro della Madonna della Catena. Era opinione comune

che il tesoro poteva essere scoperto soltanto da chi avesse saputo sciogliere l’incantesimo. E

chi meglio della vecchia poteva farlo? Un giorno, di buon mattino, i due uscirono di casa e

si avviarono verso la collina, ma con grande sorpresa vi trovarono Mariantonia con le sue

amiche, decise anch’ esse a non farsi sfuggire il ricco bottino. La vecchia, costretta, operò

diversi sortilegi per trovare il tesoro ma invano. A tarda ora, deluse, le donne con il prete si

avviarono per rientrare in paese. Intanto la notizia si era diffusa e quando il piccolo corteo

raggiunse le prime case di Cirò, in località Arenacchio, trovò una marea di gente che lo

accolse con urla e fischi. Il povero prete se la dette a gambe levate e a stento riuscì a

rifugiarsi in una cappella privata.

Non si conosce l’epilogo della vicenda, ci si augura che questa storia insieme alle numerose

leggende che aleggiano nella zona, tramandateci oralmente dagli anziani, non vadano

perdute, ma conservino sempre il fascino del mistero e continuino a vivere nella memoria

del paese.

La chioccia con i pulcini d’oro

La leggenda di San Paolo

a leggenda di San Paolo

Si dice che Paolo, il grande apostolo, nel

venire in Italia sia sbarcato e si sia f

suolo di Punta Alice.

La leggenda, che riallaccia la diffusione del

Cristianesimo alla predicazione di Paolo

confermare che la zona di Punta Alice doveva

godere di un’alta considerazi

cosmopolita e probabilmente per

questo motivo la zona vie

di San Paolo tramite lettera del Genio Civile di

Catanzaro, datata 1- 4 - 1923.

Si dice che Paolo, il grande apostolo, nel

venire in Italia sia sbarcato e si sia fermato sul

che riallaccia la diffusione del

Cristianesimo alla predicazione di Paolo, sta a

confermare che la zona di Punta Alice doveva

ta considerazione e di una fama

e probabilmente per

iene denominata Isola

tramite lettera del Genio Civile di

1923.

La leggenda di Lusitania

Sul castello di Cirò Marina c’è una spiacevole leggenda. L’imperatore Costantino venne a

sapere che nel Santuario dell’ Uria vi era una Madonna miracolosa. Volle salire sul colle e,

ammirato il panorama meraviglioso, decise di costruire lì un castello.

La costruzione, iniziata in fretta, non andava avanti perché ogni mattina si trovava distrutto

tutto ciò che era stato costruito il giorno prima.

All’imperatore Costantino apparve innanzi un vecchio che gli disse: “Se vuoi che il castello

venga ultimato devi sacrificare una giovinetta dal nome singolare e che venga seppellita

viva nella mura del castello”. Una giovinetta di nome Lusitania, strappata ai genitori, fu

murata viva in quelle pareti e il castello venne completato. Nel 1970 gli attuali proprietari

Sabatini divisero il castello in due appartamenti,dei muratori trovarono una nicchia con

poche ossa, un pezzo di stoffa rossa e un orecchino: si capì che forse quella storia non era

un leggenda.

Secondo un’altra leggenda, si narra nel paese che sempre nel castello sia stata murata viva,

da parte del marito, una bellissima nobildonna di nome Lusitania.

Pare che il marito giungesse a questa decisione divorato dalla gelosia, la sua follia sarebbe

stata tale che egli riteneva ogni uomo un potenziale amante della moglie. Questo pensiero lo

assaliva giorno e notte. Cosa fare di meglio se non allontanare quella donna dagli occhi

indiscreti di tutti, per ritrovare la pace perduta? Solo murando viva la donna che lo aveva

distrutto, avrebbe avuto la mente sgombra da cattivi pensieri.

La decisione era ormai presa: Murò la donna viva per non ritrovarsi sulla coscienza anche il

peso di averla uccisa con le sue mani.

Ancora oggi nel castello è possibile vedere il muro dove pare sia stata sepolta viva la

donna.

San Cataldo tra leggenda e mistero

Cataldo nacque a Canty, in Irlanda,”isola di Santi”.

I dati biografici di Cataldo non hanno alcuna rilevanza,

essi si muovono tra leggende e mistero. Monaco di

Lismore, fu subito chiamato per la sua saggezza e la

sua virtù a dirigere il monastero. La sua figura viene

presto circondata da un alone di santità. Egli compie

molti miracoli. La sua stessa nascita viene segnata

dallo splendore divino: “lui nasce e muore la madre,

la quale, grazie all’intervento di Dio, ritornerà in vita quando il piccolo Cataldo viene

portato dalla madre stesa sul letto di morte”. Il padre è felice perché intravede nel figlio un

luminoso avvenire. Cataldo ama i poveri e i sofferenti e riceve da loro stima e ammirazione,

però questo suo comportamento suscita odio e invidia dei malvagi, che controllano la sua

vita. E così quando egli guarirà gli ammalati e risusciterà i morti, c’è chi lo accusa di magia

e di pratiche diaboliche. Ma il giovane monaco non teme le calunnie dei cattivi ed anche

quando il re di Munster, sollecitato dalle accuse di uomini potenti, farà imprigionare

Cataldo, egli non temerà perché sa che la sua difesa verrà da Dio. Infatti due angeli

appariranno in una visione al re a proclamare l’innocenza, la grandezza e la santità di

Cataldo. Liberato dal carcere, viene proclamato vescovo di Lismore. E intanto il

monachesimo, trapiantato in Irlanda da San Patrizio, si diffonde in tutta l’isola al punto che

la vita monastica diventa per i giovani un ideale, un sogno. Monasteri e luoghi di preghiera

vengono costruiti nei punti più belli dell’Irlanda. Ad un certo momento, il monachesimo

irlandese riceve un forte desiderio di emigrare alla ricerca di gente e di terra da

evangelizzare.

Il sogno di ogni monaco è quello di vedere e toccare la terra dove Gesù ha svolto la sua

missione di salvezza. Ed il vescovo Cataldo partecipa a questo peregrinare, la cui ultima

meta resta quella di Gerusalemme. Cataldo si inginocchierà sulle pietre del sepolcro vuoto

di Cristo, andrà pure alla ricerca della stalla di Betlemme e visiterà Nazareth. Quanto tempo

sia rimasto in Palestina nessuno lo saprà mai. Quando Cataldo avverte il richiamo forte della

sua terra natia, si mette sulla via del ritorno. Il suo spirito è pieno di luce e di propositi per la

sua terra, ma non sempre i progetti dell’uomo coincidono con il progetto che Dio ha per

ogni uomo. Cataldo è chiamato a nuove fatiche, egli non sceglie la terra dove deve

operare,viene mandato. Una tempesta farà naufragare la sua imbarcazione e Cataldo si

ritroverà nelle vicinanze di Taranto. Anche qui regna un alone di leggenda e di miracolo.

“Approdato sulla spiaggia, una fanciulla sorda di nascita, ma che acquisterà la parole per

intervento del Santo, gli indicherà la strada che porta alla città di Taranto”. Qui Cataldo

viene accolto con la gioia dal popolo di Dio e alla morte del Vescovo lo proclameranno

Vescovo della città.

Una visione angelica aveva manifestato a Cataldo che egli si sarebbe dovuto fermare a

Taranto. La tradizione racconta che quando Cataldo entra per la prima volta a Taranto, sulla

porta della città si sia incontrato con un cieco e che gli abbia dato con un miracolo il dono

della vista. Quel cieco diventa il simbolo di tanti ciechi spirituali, ai quali Cataldo avrebbe

dato la vista dell’anima. Infatti il suo apostolato di Vescovo fu così fecondo che subito in

città rifiorì la fede.

Il suo culto si diffuse rapidamente in molte città e paesi d’Italia.

Cirò Marina lo venera come Protettore e come fratello e modello di vita e spiritualità. La

festa, che si celebra in suo onore l’8-9-10 Maggio, è esplosione di gioia e di fede che

coinvolge profondamente l’intera popolazione.

l viaggio di San Cataldo: Irlanda - Terrasanta - Taranto

Cirò Marina:la processione di San Cataldo

La leggenda dell’acqua di San Nicodemo

Sul ciglio del torrente Ritissa, in località Santa Venere, si trova uno scoglio grande di pietra

viva. In mezzo la pietra ha la forma di un boccale d’acqua: c’è un incavo dove ci vanno due

mani a coppa. Si racconta, a Cirò, che San Nicodemo da bambino andava spesso con il

padre in campagna.

Un giorno, durante la mietitura il padre gli dice: “Nicodè, vai a mettere il vino al fresco”;

Nicodemo prende l’orcio e svuota il vino nell’acqua, poi torna dal padre il quale, vedendolo

con l’orcio in mano, gli chiede: “Nicodè, il vino l’hai messo al fresco?Sì – E come hai

fatto?” L’ho svuotato nell’acqua così si fa fresco, risponde ed egli continua: “E poi come lo

riprendi dall’acqua?” Quando è fatto fresco lo vado a prendere. Il padre meravigliato dice a

sé stesso: “Ma come fa a prendere il vino dall’acqua?” Dopo un paio d’ore, dice al figlio di

andare a prendere il vino. Nicodemo prende l’orcetto vuoto e va. Dopo un po’ torna con

l’orcetto pieno e il padre beve e rimane stupito: il vino era davvero fresco! Come avrà fatto?

Forse quello è stato il primo miracolo di San Nicodemo.

La sera l’uomo, tornato in paese, in piazza racconta quanto successo e da allora quella

sorgente è chiamata l’acqua di San Nicodemo.

Trascorsi tutti questi secoli ancora oggi a Santa Venere si semina e le persone vanno

sempre a prendere l’acqua alla sorgente di San Nicodemo.

Dallo scoglio, che ha almeno un metro e mezzo di spessore, come fa l’acqua ad uscire?

Succede, dicono i cirotani, che uno prende un litro d’acqua e la sorgente si prosciuga, poi

bisogna attendere circa un quarto d’ora, si forma nuovamente l’acqua e si può riempire un

boccale, come se l’acqua trasudasse dalla pietra. Ed è molto fresca!

Questa è l’acqua di San Nicodemo!!!

San Nicodemo nasce nel 900 a Ypsicron, attuale Cirò. Intraprende da giovanissimo la vita

monacale fatta di preghiere, di patimenti fisici e di isolamento sul monte Kellerano, nel

comune di Mammola(RC) dove muore il 25 marzo 990.

L’insegnamento di San Nicodemo è avvicinabile a quello di San Francesco, infatti i racconti

pervenutici ce lo descrivono mentre difende un lupo dai contadini che lo vogliono uccidere

dimostrandone la socievolezza, impedisce ad un confratello di colpire una vipera in quanto

anch’essa “creata da Dio per stare sulla Terra” oppure in compagnia del cinghiale suo

inseparabile compagno

Cirò

Mammola

La leggenda del lupo mannaro

L'UOMO-LUPO, detto anche licantropo, lo ritroviamo in numerose popolazioni e il mito

dell'uomo-lupo continua ancora ad essere un tema dibattuto su cui numerosi film e

racconti,ora anche videogiochi continuano a nascere. Degli uomini-lupo si parla fin dai

tempi più antichi, infatti la mitologia greca narra di un tiranno assetato di sangue,Licaone,re

greco, che aveva arrecato offesa al padre degli dei, Zeus, e fu trasformato da quest'ultimo in

lupo mantenendo parvenze umane. L'uomo-lupo o licantropo, secondo la leggenda, è un

essere umano che nei momenti di luna piena si trasforma in un lupo mannaro,un uomo con

le sembianze di lupo, attaccando ed uccidendo di notte, senza riuscire a

controllarsi,uomini,donne,bambini,animali e trasformando in lupo mannaro qualunque

essere umano che subisce il suo morso. Anche presso gli antichi Romani e nel Medioevo le

leggende sui lupi mannari erano molto diffuse . Nel XVI secolo in Europa centinaia di

persone furono arrestate, processate e messe a morte con l'accusa di essere un lupi mannari.

I cacciatori di streghe sostenevano che essi fossero in realtà stregoni,i quali avevano stretto

con il diavolo un patto che consentiva loro di trasformarsi in lupi .

In tempi più recenti,il lupo mannaro sembra invece la vittima di una maledizione. Secondo

alcuni, inoltre, la legenda del lupo mannaro è legata all'esistenza di una rara malattia

genetica,chiamata ipertricosi,che fa crescere un folto pelo dappertutto,in particolare sul viso

e sulle mani.

Gli anziani raccontano...

In passato nel nostro paese c’erano persone che si trasformavano in lupi mannari e,

consapevoli del male che avrebbero potuto fare, esortavano i familiari a non aprire la porta

per nessun motivo .Sembra impossibile, ma proprio al papà di una nostra compagna è

capitato qualcosa che ancora oggi lo fa tremare…

Egli così racconta:"Durante la mia infanzia non esisteva né il computer né il cellulare né i

videogiochi e i programmi della tv erano solo tre Rai1-Rai2-Rai3 .

La sera quando alla tv non c'erano programmi interessanti,i grandi raccontavano

fatti,favole,e leggende che si tramandavano di generazione in generazione .Quella del lupo

mannaro era particolare perché ci terrorizzava,ma nello stesso tempo ci incuriosiva e tutti

l'ascoltavamo attentamente:

“Ogni venerdì di luna piena, a mezzanotte,qualche persona affetta da licantropia si

trasformava in lupo mannaro .Si diceva che proprio nel nostro rione ci fosse un uomo che la

sera uscendo raccomandava ai familiari e ai vicini di casa di non aprire la porta a nessuno .Il

lupo mannaro non era in grado di salire più di tre gradini perchè cadeva all'indietro .Se era

periodo delle castagne bisognava tirargli i ricci addosso ,e se si insanguinava ritornava ad

essere un uomo .Una sera di venerdì la luna era piena,io e due miei amici volevamo

verificare di persona se questi racconti fossero reali .Verso le 11di sera ci incamminammo

per quei vicoli stretti e bui .Verso mezzanotte, sistemati sulla scala di una casa, sentimmo

degli ululati che ci fecero venire i brividi per tutto il corpo .Io e i miei amici ci guardammo

negli occhi, sapevamo che il lupo mannaro non avrebbe potuto salire ma, appena tornò il

silenzio, ci mettemmo a correre come pazzi verso casa .Il cuore ci batteva forte dalla paura

e nella notte nessuno di noi riuscì a dormire .Il mattino seguente raccontammo ad altri amici

quanto accaduto e da tutti loro fummo derisi e dai genitori rimproverati e puniti per essere

usciti di casa a loro insaputa".

Facciamo il punto

Le caratteristiche della nostra cittadina

Resti archeologici di un

glorioso passato

Mare pulito, limpido,

pescoso

Cibi sani e

specialità

gastronomiche

locali

Campagne

lussureggianti coperte

da vigneti, orti e

giardini

Colline verdeggianti da

pascoli e ulivi

Stabilimenti

balneari,

ristoranti,

pizzerie,

pineta...

10 km di costa sabbiosa Vegetazione

spontanea, odorosa

di essenze tipiche

della macchia

mediterranea

Il Cirò il vino

d.o.c

12° Bandiera

Blu

Conclusione

All’inizio dell’anno scolastico, quando la prof.ssa di Lettere ha presentato i programmi, ha

tenuto a precisare che durante l’ora di “quota locale” avremmo trattato in modo

pluridisciplinare la tematica ”Conosciamo il nostro territorio”. Tutti eravamo entusiasti ed

impazienti di conoscere i diversi aspetti (geografico – storico – artistico - culturale) nonché

miti, leggende e tradizioni. Quando finalmente abbiamo iniziato, ci siamo subito resi conto

che pensavamo sì di conoscere il nostro territorio, ma solo superficialmente, pertanto,

interessati e armati di buona volontà, ci siamo impegnati a collaborare attivamente ( ricerca

su internet- consultazione testi- indagine- intervista agli anziani) per recuperare più

materiale possibile sul nostro territorio. Il tutto poi è stato letto, selezionato, sintetizzato,

commentatoe trascritto sul quaderno di quota locale. L’attività si è rilevata coinvolgente e

tutti abbiamo avuto l’opportunità di:- arricchire le nostre conoscenze, - esprimere i nostri

pensieri; - scoprire il senso di appartenenza;- acquisire la consapevolezza che possediamo

un patrimonio comune che ci rende orgogliosi e nello stesso tempo ci sprona ad essere più

sensibili e più operativi per salvaguardarlo e valorizzarlo.