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recuperoeconservazione 121 – marzo 2015 – art. 16 – ISSN 2283-7558 | © DELETTERA WP 1 INFRASTRUTTURE SENZA PAESAGGIO di Giovanni Vecchio Dottorando in Urban Planning, Policy and Design presso il Politecnico di Milano. Laureato in Pianificazione Territoriale e Politiche Urbane, collaboratore di Amat, si occupa in particolare di mobilità e sviluppo territoriale [email protected] Infrastrutture e paesaggio sembrano spesso in contrasto tra loro. Le prime sono considerate indispensabili per lo sviluppo di un territorio, ma appaiono come corpi estranei, con impatti che spesso alterano i caratteri dei paesaggi esistenti e attirano l'opposizione locale. Eppure, se il paesaggio è il modo in cui l'uomo trasforma il mondo, le infrastrutture hanno e possono avere un ruolo primario in questa opera di trasformazione. Recenti esempi del nostro paese, come l’alta velocità ferroviaria, mostrano quelle che sembrano infrastrutture senza paesaggio: raccontarne le caratteristiche e le criticità può allora servire a individuare nuove modalità di azione, che facciano tornare a dialogare infrastrutture e paesaggi tanto nel dibattito pubblico quanto negli interventi sul territorio.

INFRASTRUTTURE SENZA PAESAGGIO - core.ac.uk · Eppure, se il paesaggio è il modo in cui l'uomo trasforma il mondo, le infrastrutture hanno e possono avere un ruolo primario in questa

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INFRASTRUTTURE SENZA PAESAGGIO

di Giovanni Vecchio

Dottorando in Urban Planning, Policy and Design presso il Politecnico di Milano. Laureato in Pianificazione Territoriale e

Politiche Urbane, collaboratore di Amat, si occupa in particolare di mobilità e sviluppo territoriale

[email protected]

Infrastrutture e paesaggio sembrano spesso in contrasto tra loro. Le prime sono considerate indispensabili per lo sviluppo

di un territorio, ma appaiono come corpi estranei, con impatti che spesso alterano i caratteri dei paesaggi esistenti e

attirano l'opposizione locale. Eppure, se il paesaggio è il modo in cui l'uomo trasforma il mondo, le infrastrutture hanno e

possono avere un ruolo primario in questa opera di trasformazione. Recenti esempi del nostro paese, come l’alta velocità

ferroviaria, mostrano quelle che sembrano infrastrutture senza paesaggio: raccontarne le caratteristiche e le criticità può

allora servire a individuare nuove modalità di azione, che facciano tornare a dialogare infrastrutture e paesaggi tanto nel

dibattito pubblico quanto negli interventi sul territorio.

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ABSTRACT INFRASTUCTURES WITHOUT LANDSCAPE Infrastructures and landscapes often seem to be at odds with each other. The former are seen as fundamental for territorial

development, but appear as foreign bodies, whose impacts often alter existing landscapes and foment local oppositions.

Nevertheless, if landscape is the way in which mankind shapes the world, then infrastructures have and can have a primary role

in this transformation. Recent examples from Italy, like the high speed rail, show “infrastructures without landscape”: the

description of their features and issues may then help to find new courses of action, which can make promote again the dialogue

between infrastructure and landscapes, both in the public debate and in the territorial interventions.

PAROLE CHIAVE | KEYWORDS paesaggio, infrastrutture, sviluppo del territorio, mobilità, alta velocità

landscape, infrastructures, territorial development, mobility, high speed rails

Alassio, Savona

Tutte le fotografie di questo articolo, qui pubblicate su concessione dell'Autore, sono di Giorgio Stagni, che si ringrazia per la disponibilità. L'autore si occupa di pianificazione e politiche dei trasporti; le immagini, insieme a molte altre fotografie ed articoli dedicati ai temi delle ferrovie e del paesaggio, si possono trovare nel suo sito www.stagniweb.it

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Genova Pegli Vievola, Francia

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Nel dibattito pubblico sui temi del territorio italiano, spesso infrastrutture e paesaggio si ritrovano contrapposti. Da una

parte, si sostiene che per garantire lo sviluppo di un territorio sia indispensabile realizzare nuove infrastrutture, che si

tratti di autostrade, ferrovie o altri manufatti. Dall’altra, si interviene a difesa del paesaggio, patrimonio tipicamente

italiano da tutelare rispetto agli sconvolgimenti che i nuovi interventi possono comportare. Le due posizioni – la prima

giustificata con l’argomento della crescita economica, la seconda declinata in senso spesso conservativo – si ritrovano così

opposte l’una all’altra. Anche la storia recente delle infrastrutture in Italia conferma in qualche modo questa

contrapposizione. I più recenti interventi non sembrano dialogare con i territori circostanti, sia a causa delle proprie

caratteristiche progettuali, sia a motivo della scarsa interazione con le pratiche d’uso del territorio. Sempre più, insomma,

sembra di avere a che fare con infrastrutture senza paesaggio.

Quella tra paesaggio e infrastruttura è una frattura consumatasi a partire dal secondo dopoguerra. L’infrastruttura è

sempre stata uno dei segni che l’uomo ha utilizzato per imprimere una trasformazione al mondo circostante: ben prima

che intervenissero i grandi manufatti del ventesimo secolo, infatti, strade, ponti e canali hanno contribuito a quell’

”architettura del mondo” [1] che, fatta di segni grandi e piccoli, ha modellato paesaggi e orientato sguardi. Il loro

contributo è stato spesso decisivo per definire i caratteri dei paesaggi del nostro paese - basti pensare al reticolo di strade

delle centuriationes romane, su cui si è impostato lo sviluppo del sistema agrario emiliano, o ad infrastrutture dell’acqua

come i Navigli lombardi e i Regi Lagni campani.

A partire dalla seconda metà del Novecento invece l’infrastruttura ha acquisito sempre più un’immagine a sé stante: viadotti,

gallerie e rettilinei sono diventati opere di ingegneria portatrici di significati propri, sia simbolici che politici. L’infrastruttura è

stata considerata da sé un segno di progresso, un fondamentale volano per lo sviluppo in grado di generare abbondanti

benefici collettivi non solo per i territori coinvolti, ma anche per l’intero paese (se non addirittura per la Comunità Europea,

come nel caso dei progetti legati ai corridoi delle reti di trasporto trans-europee); a partire dall’importanza simbolica delle

infrastrutture, se ne comprende il ruolo anche politico che hanno avuto in molti casi: quante elezioni e carriere politiche si

sono giocate grazie a nuove autostrade, dighe progettate o aeroporti mantenuti in attività?

Anche oggi intanto, nonostante una crisi non più congiunturale, prosegue la realizzazione di infrastrutture. Diversi progetti

sono arrivati a conclusione, soprattutto nell’ambito della mobilità, facendo osservare quelle che a pieno titolo sembrano

infrastrutture senza paesaggio. Le infrastrutture della crisi, giunte a compimento dopo gestazioni decennali, permettono di

osservare questa sorta di negazione del paesaggio tanto nelle loro caratteristiche formali quanto nel rapporto che

intrattengono con i territori circostanti.

Tra i diversi esempi recenti di infrastrutture senza paesaggio, la realizzazione forse più emblematica è l’alta velocità

ferroviaria. La rete, che già oggi garantisce collegamenti rapidi e frequenti tra le principali città del paese, ha cominciato

le operazioni nel 2008, al completamento di alcune nuove tratte dedicate esclusivamente ai treni ad alta velocità: si tratta

delle linee Milano – Torino, Milano – Bologna – Firenze e Roma – Napoli, mentre tra Firenze e Roma viene utilizzata la

linea direttissima realizzata negli anni Trenta del secolo scorso; eccettuata quest’ultima tratta, le linee mostrano

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caratteristiche molto simili, in virtù delle loro specifiche costruttive, dei contesti attraversati e dei rapporti instaurati con i

paesaggi circostanti. Da diverse prospettive, le linee percorse ogni giorno dai Frecciarossa sembrano purtroppo un buon

esempio di infrastruttura senza paesaggio.

A partire dal racconto dell’alta velocità ferroviaria, l’intento di queste righe allora è di provare a capire se e come sia possibile

ricostruire il nesso, oggi sempre più compromesso, tra le infrastrutture e i paesaggi in cui si inseriscono; del resto, se il

paesaggio è il modo in cui l’uomo trasforma il mondo, le infrastrutture hanno avuto anche in passato un ruolo fondamentale

in questo senso. In una condizione di crisi che ha tutte le caratteristiche di una mutazione più profonda, l’infrastruttura chiede

di essere ripensata, adottando nuovi modelli di intervento. È proprio a partire da questa occasione che si possono esplorare

modalità diverse per intervenire sui territori, facendo tornare a dialogare infrastrutture e paesaggi.

Genova, viadotto Morandi

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INTERVENTI STANDARDIZZATI: INFRASTRUTTURE E SCELTE PROGETTUALI La dorsale ferroviaria ad alta velocità si è sviluppata perlopiù grazie a nuove linee dedicate. I contesti in cui si sono

inserite sono molto diversi: dalla pianura irrigua ai piedi delle Alpi alle montagne dell’Appennino Tosco-Emiliano;

dalla campagna del basso Lazio alla pianura asciutta emiliana. Le differenze sono visibili ai passeggeri in transito, a

cui si mostrano in successione paesaggi agrari e urbani diversi tra loro; eppure, l’infrastruttura ferroviaria non

sembra prendere atto di tali diversità, limitandosi a riproporre le stesse soluzioni progettuali lungo tutte le linee

dell’alta velocità.

Su tutte le tratte, sviluppate in zone di pianura, i binari non si limitano a correre al livello del piano di campagna. Le rotaie

si alzano su terrapieni e percorrono lunghi tratti sopraelevati, con viadotti che si ergono sulle campagne circostanti con la

loro successione di pilastri in calcestruzzo. Che si tratti di attraversare fiumi, strade o piccole asperità del terreno, le linee

ad alta velocità adottano pressoché sempre le stesse soluzioni progettuali, ricorrendo a strutture massicce che non

dialogano con i contesti circostanti ma replicano scelte di intervento standardizzate. La ferrovia si impone sui paesaggi

che attraversa, quasi come fosse un incontestabile monolite le cui caratteristiche non dipendono dal territorio in cui si

inserisce, ma da scelte tecniche già formalizzate e applicabili pressoché ovunque.

Strutture tanto imponenti nascono per rispondere agli standard imposti da diverse esigenze, che riguardino le

prestazioni delle linee o le normative per la sicurezza dell’esercizio. L’evoluzione tecnologica che permette oggi di

viaggiare ad oltre 300 km orari richiede che le infrastrutture ferroviarie si adeguino per garantire transiti frequenti,

rapidi e sicuri: le caratteristiche delle linee tradizionali, concepite inizialmente nel corso dell’Ottocento, non

rispondono alle esigenze del trasporto ferroviario di oggi. La sola applicazione degli standard progettuali porta però ad

un impoverimento della qualità estetica delle nuove infrastrutture così realizzate. Ne dà un esempio efficace il

giornalista e viaggiatore Paolo Rumiz [2] che, descrivendo la discesa in treno verso Sulmona, coglie l’occasione per

confrontare due infrastrutture, la ferrovia realizzata a fine Ottocento e l’autostrada costruita negli anni Settanta: “A un

tratto, la ferrovia che scende incrocia l'autostrada che sale e le due pendenze, sommandosi, si esaltano. Ma il confronto

è senza storia. Calcestruzzo contro mattoni, viadotti contro ponti, piloni contro arcate romane. La ferrovia segna

l'ultima alleanza tra funzionalità ed estetica. L'autostrada, invece, decreta la sconfitta della bellezza”. I manufatti

dell’alta velocità ferroviaria sembrano appartenere, purtroppo, a questa seconda categoria, funzionale ma estranea alla

bellezza e ai fragili equilibri dei paesaggi che attraversa1.

I volumi dei manufatti ferroviari e delle opere accessorie, come viadotti, raccordi e cavalcavia, rendono quella dell’alta

velocità una presenza imponente, sia che ricavi il suo spazio all’interno di contesti urbani consolidati, sia che si inserisca

negli spazi aperti delle pianure. Rispetto a certe infrastrutture che hanno punteggiato il paesaggio urbano italiano dagli

anni Sessanta in poi, come alcune sopraelevate stradali costruite sovrastando le abitazioni sottostanti, le nuove linee

ferroviarie ad alta velocità hanno provato in realtà a contenere il proprio impatto sui territori circostanti. È così che nelle

realizzazioni più recenti le ferrovie sono state realizzate in affiancamento alle autostrade già esistenti, creando dei corridoi

NOTA 1. L’impatto dovuto alla presenza della ferrovia in alcuni casi arriva ben prima della linea ferroviaria stessa. Ad esempio, come evidenziato anche da inchieste della magistratura, i cantieri per il tratto appenninico dell’alta velocità si sono resi responsabili del prosciugamento di diverse sorgenti presenti nell’area dei lavori. L’impatto di tale prosciugamento sull’ecosistema appenninico è forse reso ancora più grave dal fatto che, come accertato dalle inchieste, da parte delle ditte costruttrici “non c’è stata coscienza, intenzione, e nemmeno un dolo eventuale, cioè l’accettazione consapevole del rischio, l’andare avanti a ogni costo. Tecnici e ingegneri si sono soltanto sbagliati, sbagliati, sbagliati ancora” (Wu Ming 2, Il sentiero degli dei, Edilibro, Bologna 2010).

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infrastrutturali multimodali. La scelta forse salvaguarda le aree attraversate limitando l’impatto ad una fascia ridotta di

terreno (anche se rimangono alcune aree intercluse, ottimi esempi di quel “terzo paesaggio” teorizzato da Gilles Clement

[3]), anche se contribuisce a far percepire le infrastrutture come sistemi specializzati, dedicati esclusivamente al

movimento e incapaci di relazionarsi con il territorio circostante.

Corsico, Milano

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OLTRE LA BARRIERA: INFRASTRUTTURE E SGUARDI La presenza delle linee ad alta velocità ha impatti particolarmente forti sui territori attraversati, che vengono aggravati

dalla scelta di soluzioni progettuali standardizzate incapaci di adattare i manufatti ferroviari ai paesaggi in cui si

inseriscono. Anche la relazione che la ferrovia intrattiene con le quinte retrostanti del paesaggio sembra critica. In

partenza, le infrastrutture della mobilità veloce – che si tratti di autostrade o ferrovie - potrebbero dare un respiro più

ampio allo sguardo di chi è in transito. Come scrive Marc Augè [4], “le autostrade fanno vedere paesaggi a volte quasi

aerei, molto diversi da quelli che può cogliere il viaggiatore che percorre le strade statali e provinciali. Con esse si è

passati dal film intimista ai grandi orizzonti del western”. Il passaggio ad alta velocità, che avvenga in auto o in treno, può

allargare l’orizzonte del paesaggio, racchiudendo in un unico sguardo elementi vicini e lontani.

Eppure, nel caso dell’alta velocità ferroviaria, sembra che l’infrastruttura si nasconda dai paesaggi attraversati, o che ne

rimanga quantomeno indifferente. Entrando nelle città – come nelle nuove stazioni di Torino Porta Susa, Bologna e, in

futuro, Firenze Belfiore – la ferrovia scende sottoterra, scomparendo allo sguardo dei suoi abitanti con i quali non

intrattiene più alcun rapporto. La stessa relazione tra passeggeri e città è mediata da scale mobili, rampe o ascensori,

indispensabili per risalire il dislivello tra il piano stradale e i binari sotterranei a cui si fermano i treni. La ferrovia,

percepita come barriera, viene nascosta o allontanata, venendo interrata o attestata in nuove stazioni realizzate a distanza

dai centri abitati che vanno a servire (ad esempio, la nuova stazione di Napoli Afragola sorgerà a diversi chilometri di

distanza dal capoluogo).

Ancora più frequentemente, la cifra delle nuove infrastrutture è la presenza di lunghe barriere antirumore, considerate

indispensabili per mitigare il rumore dei treni in transito. Lunghissimi tratti di ferrovia, sia in città che in aperta campagna,

sono affiancati da barriere: così, se da fuori la ferrovia appare come un manufatto chiuso specializzato nel gestire flussi di

passeggeri in transito, da dentro il paesaggio circostante non è più visibile e si limita, nel migliore dei casi, ai tetti delle

case più vicine alla ferrovia. Il risultato, come scrive Paolo Rumiz [5], è che “viaggiare sparati sul rettilineo significa non

guardare nulla, annoiarsi, non vedere l'ora che finisca”.

La ferrovia diventa così una presenza autoreferenziale, che quando non si nasconde è indifferente al territorio attraversato.

Lo sguardo di chi abita il territorio percepisce solo la presenza di un manufatto imponente, mentre lo sguardo di chi è in

transito coglie solo il poco che non è nascosto alla ferrovia. Barriere, sopraelevazioni e interramenti rendono impossibile

sia guardare ciò che è più vicino (le case, le strade, i passeggeri in attesa nelle stazioni di transito), sia osservare quel che

si staglia sullo sfondo (gli elementi delle campagne, i paesi più lontani, le montagne a chiudere la scena). Il grande

orizzonte da film western è schiacciato negli interstizi tra una barriera e l’altra. Emblematico in questo senso è il tratto

ferroviario appenninico: appena riemersi dalla stazione sotterranea di Bologna, comincia una successione di lunghe

gallerie, brevemente intervallate da tratti all’aperto (con le immancabili barriere antirumore) che si susseguono fin quasi

all’arrivo a Firenze. Che si tratti di pianure o montagne, l’occhio del viaggiatore difficilmente può andare oltre la barriera.

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Genova Pra Erstfeld

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LINEE AD ALTRA VELOCITÀ: INFRASTRUTTURE NEL TERRITORIO Lo sguardo dei passeggeri non può cogliere i paesaggi attraversati, mentre quanti si muovono in quegli stessi paesaggi vedono

nell'infrastruttura una presenza estranea al territorio. Eppure, la realizzazione di tali opere e i benefici che comportano hanno

delle ricadute positive. Con lessico evocativo, la nuova metropolitana d'Italia percorsa dai Frecciarossa ha cambiato la percezione

che molti italiani hanno del trasporto pubblico: anche il treno può essere una valida alternativa modale, in grado di garantire

collegamenti rapidi tra le principali città italiane. Nelle ore di punta, ogni quindici minuti un treno collega in sole tre ore Milano e

Roma, portando i passeggeri direttamente nel centro città ed evitando loro i rituali aerei di check in e metal detector.

Il successo che l'alta velocità ferroviaria ha ottenuto, anche a livello di immagine, si riflette nella rapidità con cui il

Frecciarossa è entrato nell'immaginario collettivo quale servizio veloce e confortevole; oltre ai viaggiatori, anche gli

investitori sono stati attirati dai potenziali del mercato ferroviario ad alta velocità, come dimostra l'introduzione dei servizi

di Italo da parte di alcuni imprenditori italiani di punta. I tempi di viaggio sono spesso paragonabili a quelli del

pendolarismo, tanto da poter osservare la nascita di una Tav-landia “nata con i treni che viaggiano a 300 all'ora e in cui si

muovono, per andare a lavorare, 115mila superpendolari. Casa a Torino, azienda a Milano. Famiglia a Napoli, ufficio a

Roma” [6]. Eppure, basta muoversi ai margini dei servizi ad alta velocità per osservare un'immagine molto meno idilliaca

dei collegamenti su ferro. Se Milano e Roma sono collegate tra loro con tempi brevi e elevate frequenze (per non parlare

delle città intermedie, in alcuni casi raggiungibili in tempi inferiori all'ora), la gran parte delle restanti relazioni ferroviarie

sono vere e proprie linee ad altra velocità, con frequenze inferiori e tempi di percorrenza ben più alti.

Abitare a ridosso delle stazioni dell'alta velocità apre quindi le porte a collegamenti rapidi in grado di avvicinare tra loro le

principali città italiane, almeno dal Piemonte alla Campania. Il riflesso di questi territori veloci così ben collegati tra loro

sono invece i territori lenti attraversati e non serviti dalle reti; territori che vengono come rallentati dal passaggio di una

ferrovia i cui servizi non sono direttamente disponibili se non nelle stazioni principali, a loro volta raggiungibili soltanto

con collegamenti lenti e insoddisfacenti. Al di fuori dei nodi in cui sono previste le fermate, i treni ad alta velocità sono

soltanto una presenza in transito, mentre le loro infrastrutture rimangono sole a stagliarsi sui paesaggi circostanti.

Anche a causa del servizio che offre, la rete ad alta velocità non è parte dei paesaggi e dei territori che attraversa, ma

sembra piuttosto una presenza estranea che risponde ad altre esigenze di mobilità. Spesso la realizzazione delle

infrastrutture è giustificata in nome di flussi sovraordinati, con traiettorie nazionali e corridoi europei che si limitano a

transitare per i territori senza mai intercettarne pratiche e bisogni. Non fornendo alcun servizio se non ai principali nodi,

l’infrastruttura non è nemmeno percepibile come un capitale fisso sociale, che per quanto sgradevole alla vista risulti

almeno utile ai territori che attraversa. Al contrario, diventa, come già affermato, un sistema specializzato destinato ai soli

flussi a lunga distanza, che non dialoga con le traiettorie locali dei territori.

La mancanza di dialogo e la specializzazione dell'infrastruttura forse incidono, anche se in modo implicito, anche sui paesaggi

attraversati. La linea ad alta velocità diviene presenza estranea: il treno non si ferma, a volte nemmeno si vede; ma se ne

sente il rumore al suo passaggio, e si ha continuamente di fronte allo sguardo la grigia presenza delle sue strutture.

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Milano Greco Milano Bovisa

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SEGNI DI RICONOSCIMENTO: INFRASTRUTTURE E SIGNIFICATI SIMBOLICI L'infrastruttura ha anche significati simbolici. Può essere un segno di potere politico, come per la autostrade fatte

transitare nel proprio feudo elettorale (ad esempio, l'A1 e il suo passaggio da Arezzo, voluto da Fanfani). Può essere

un'affermazione di supremazia nel campo della tecnica, come per la ferrovia direttissima fatta realizzare dal regime

fascista tra Firenze e Roma, e ancora oggi utilizzata. Può anche servire come elemento di distinzione rispetto ad altre

realtà territoriali, come accade in occasione di grandi eventi: è il caso, tra gli altri, di Torino, dove l’Arco Olimpico segnala

ai treni in transito il sito dei giochi invernali del 2006.

Le infrastrutture possono incidere sul paesaggio circostante non solo generando esternalità positive o negative, ma anche

contribuendo alla produzione di nuovi significati. È quanto accade con la nuova stazione ferroviaria Mediopadana,

realizzata lungo la linea ad alta velocità in corrispondenza di Reggio Emilia. Si tratta forse di un esempio in

controtendenza rispetto a quelli citati in precedenza, visto l’interesse che caratterizza il progetto di cui la stazione fa parte.

La Mediopadana fa parte di un progetto più ampio ideato da Santiago Calatrava, che oltre a progettare la stazione ha

anche disegnato i tre ponti che attraversano, in successione, l’autostrada A1 e la linea ferroviaria. La stazione e i ponti

intendono rappresentare un fortissimo segno di riconoscimento in grado di emergere dalla campagna: ai flussi in transito

nella pianura emiliana, il complesso indica in maniera inequivocabile la presenza della città, imponendosi alla vista di

quanti passano da Reggio. La scelta consapevole è quella di instaurare una relazione con il contesto circostante, creando

un “territorio esteso” segnalato dalla presenza della stazione (da cui il nome del progetto, RETE - Reggio Emilia Territorio

Esteso).

Il complesso della stazione Mediopadana si presta a interpretazioni differenti. Si possono apprezzare le linee dei ponti di

Calatrava o il ritmo della stazione, evidente soprattutto a quanti la osservano transitando a velocità sostenuta in treno o in

auto; ma si può anche criticare l’imponenza di manufatti che svettano altissimi sulla pianura circostante. Può essere

apprezzato l’accesso che la stazione garantisce ai territori intermedi della Pianura Padana, per i quali non è più necessario

recarsi a Milano o Bologna per salire sui treni dell’alta velocità; oppure si può notare che l’intero nodo è effettivamente

servito da pochissime corse al giorno, mentre la maggior parte dei convogli attraversa la stazione in velocità.

Forse, nel caso di Reggio Emilia e della sua stazione dell’alta velocità, ad essere interessante è il tentativo consapevole di

utilizzare l’infrastruttura anche per i significati simbolici di cui è portatrice. Non ci si è limitati ad accettare il passaggio

dell’infrastruttura negoziando la sola concessione di interventi di compensazione, ma è stata chiesta la realizzazione di un

accesso privilegiato ai collegamenti in transito; la stessa stazione, oltre a fornire un servizio, è diventata occasione di un

intervento di ampia scala sul paesaggio. Passando da Reggio Emilia oggi, non si può fare a meno di notarne la stazione e i

suoi ponti. La stazione intende sottolineare la sola presenza della città, sembra semplicemente affermare che “qui siamo a

Reggio”: un intento semplicissimo che pure non si ritrova altrove nella stessa pianura compresa tra Milano e Bologna. Pur

senza esprimerne un giudizio positivo o negativo, del progetto è interessante osservare la consapevolezza con cui ha

provato a incidere sul paesaggio circostante e sui significati di cui è portatore.

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RIPENSARE LE INFRASTRUTTURE NEL PAESAGGIO L’alta velocità ferroviaria è solo un esempio tra i recenti interventi infrastrutturali realizzati in Italia. Il suo difficile

rapporto con il paesaggio è purtroppo una caratteristica condivisa anche da altri progetti, qualunque sia il loro campo

d’azione – dalla mobilità alla produzione di energia, dal governo delle acque allo smaltimento di rifiuti. Eppure, quello

presente sembra un momento propizio per un ripensamento profondo degli interventi infrastrutturali: da una parte, le

criticità che caratterizzano anche gli ultimi interventi sono sempre più evidenti, mettendone in evidenza gli impatti

negativi o il troppo frequente sottoutilizzo (si pensi solo alla nuova Bre.Be.Mi, autostrada che a mesi dall’apertura registra

ancora flussi di traffico notevolmente inferiori rispetto a quelli previsti in fase di progetto); dall’altra, la crisi – non più

congiunturale – richiede di adottare nuove procedure di intervento, che scelgano come impiegare le poche risorse a

disposizione in modo più attento che in passato. Spesso infatti non sono necessarie nuove realizzazioni infrastrutturali, ma

piuttosto operazioni di efficientamento o potenziamento delle dotazioni già a disposizione.

È forse il momento di ripensare le infrastrutture nel paesaggio, cercando di riorientare i progetti già portati a compimento

e le infrastrutture in via di realizzazione. Un primo spunto riguarda l’idea stessa di infrastruttura. Le opere sono quasi

sempre concepite come manufatti monofunzionali, mentre portano in sé occasioni di integrazione con altre funzioni. Un

campo potenzialmente interessante, tra gli altri, riguarda la produzione di energia legata alle infrastrutture stradali,

spaziando da sperimentazioni immaginifiche (come il manto stradale in grado di sfruttare il calore prodotto dal transito

delle auto per produrre energia), a semplici possibilità di riutilizzo degli spazi marginali oggi lasciati pressochè a se stessi

(ad esempio, riutilizzando gli spazi interclusi tra le rampe degli svincoli introducendo pannelli solari). La molteplicità di

funzioni non solo può arricchire il ruolo che l’infrastruttura ha per un determinato territorio, ma può anche accrescerne

l’accettabilità sociale, contribuendo a ridurre l’opposizione delle comunità locali ai nuovi progetti.

Un’altra possibilità di azione mette invece al centro il paesaggio stesso, concentrandosi sul disegno di sequenze di

paesaggio. A proporre questo specifico intervento di urban design è l’architetto americano Kevin Lynch [7]: il viaggio è

un’esperienza sequenziale, che può essere modellata per tenere coerentemente insieme movimenti, spazi e viste. Secondo

lo stesso Lynch, questa dovrebbe essere una considerazione scontata nel momento in cui si progetta una nuova

infrastruttura; del resto, la percezione di sequenze paesaggistiche è un’esperienza comune a tutti quanti si trovino a

viaggiare. La stessa alta velocità ferroviaria mostra sequenze vecchie e nuove: che si tratti delle campagne del Centro

Italia o del nuovo skyline milanese, l’infrastruttura permette di osservare paesaggi da prospettive nuove.

Considerando poi la portata di alcuni progetti infrastrutturali appena completati o ancora in corso, si capisce il potenziale

che il disegno delle sequenze paesaggistiche legate a queste nuove infrastrutture potrebbe avere: si tratta di un’occasione

unica per mettere in mostra le peculiarità del paesaggio italiano, esaltandole attraverso un’attenta progettazione delle

sequenze visibili in movimento. Cercare una relazione anche visiva tra infrastrutture e territori attraversati, per quanto

difficile, potrebbe portare a molteplici ricadute positive – dal punto di vista educativo come, più semplicemente da quello

turistico. Nel caso italiano, i grandi orizzonti da film western citati da Marc Augè comprendono elementi difficilmente

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ritrovabili altrove: dalla cupola di Santa Maria del Fiore che appare transitando da Firenze in treno, al profilo della Sicilia

che si delinea man mano scendendo in autostrada verso sud; da elementi eccezionali, come la città di Orvieto che sovrasta

i convogli di passaggio, a paesaggi ordinari, come la distesa pianeggiante nella Valle del Po. E ciascuno potrebbe

continuare all’infinito questo elenco, aggiungendo le sequenze osservate nei propri spostamenti lungo il paese.

Anche altri accorgimenti potrebbero contribuire a ridefinire il rapporto tra infrastrutture e paesaggio. Alcune sono

indicazioni di buona progettazione, osservabili nel modo in cui manufatti infrastrutturali sono armoniosamente inseriti in

paesaggi delicati (è il caso delle autostrade ticinesi e delle loro opere, progettate da Rino Tami); altri sono aspetti di buona

pianificazione, come la creazione di migliori relazioni tra sistemi infrastrutturali locali e nazionali (prevedendo ad esempio

migliori possibilità di accesso ai grandi corridoi infrastrutturali dai territori intermedi che ne sono attraversati); altre

ancora sono frontiere esplorate forse solo da alcuni progetti, che si tratti del disegno di significative sequenze

paesaggistiche e ambientali legate ad una nuova infrastruttura (come per l’autostrada Pedemontana in costruzione) o del

riutilizzo di infrastrutture minori in disuso.

Nel rapporto tra infrastrutture e paesaggio, molti sono gli aspetti critici, come il racconto dell’alta velocità ferroviaria ha

provato a mostrare. Allo stesso tempo, sono molteplici le opportunità per ripensare questo rapporto, come dimostrano gli

spunti di questa parte finale – ai quali potrebbero essere dedicate altrettante pagine. In un momento di crisi, sia le

infrastrutture che i paesaggi sono elementi potenzialmente fondamentali intorno a cui pensare una nuova idea di sviluppo,

soprattutto in un paese come l’Italia, storicamente povero di dotazioni infrastrutturali ma ricchissimo di qualità

paesaggistica. Far tornare a dialogare i due termini, nel dibattito pubblico come negli interventi sul territorio, diventa

allora una priorità strategica per il paese.

BIBLIOGRAFIA | REFERENCES [1] A. Ferlenga, B. Albrecht e M. Biraghi (a cura di), L’Architettura del mondo. Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi,

Compositori, Bologna 2012.

[2] P. Rumiz, L’Italia in seconda classe, Feltrinelli, Milano 2009.

[3] G. Clement, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005.

[4] M. Augè, Non luoghi, Eleuthera, Milano 1996.

[5] S. Ceccanti, “Tutti viandanti in cerca di noi stessi”, Il Segno, luglio – agosto 2006.

[6] F. Tonacci, “I superpendolari”, Repubblica, 16 gennaio 2014.

[7] K. Lynch, “The immature arts of city design”, Places, 1(3), 1984.

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Pettorano – Cansano Nibbia, Novara