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INDICE - seismoatschool.ethz.ch · 1.1 Che cos’è un terremoto 2 Principi di tettonica 2.1 Concetto di faglia 2.2 Tipologia di faglia 2.3 Faglie sismogenetiche e capaci 3 La tettonica

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Nicola  Pedrani     4B   2  

INDICE :

Introduzione

1 I terremoti

1.1 Che cos’è un terremoto

2 Principi di tettonica

2.1 Concetto di faglia

2.2 Tipologia di faglia

2.3 Faglie sismogenetiche e capaci

3 La tettonica delle placche

3.1 Limiti tra le placche

3.1.2 Margini convergenti

3.1.3 Margini trasformi

3.2 I moti delle zolle

4 Localizzazione dei terremoti

4.1 Epicentro e Ipocentro

4.2 Misura della distanza epicentrale

4.3 Localizzazione dell’epicentro

4.4 Parametri di sorgente

5 Magnitudo di un terremoto

6 Intensità di un terremoto

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7 Caratteristiche delle onde

7.1 Trasmissione delle onde elastiche P e S

7.2 Le onde superficiali

8 L’era sismologica e le tre discontinuità

8.1 Problemi diretti e inversi

9 Le onde sismiche attraverso la terra

10 Gli strati principali della terra

10.1 La crosta

10.2 Il mantello

10.3 Il nucleo esterno

10.4 Il nucleo interno

11 Densità e temperatura

11.1 Come si ricava la densità dalle velocità sismiche

11.2 Come si ricava la Temperatura

12 Sommario della sezione trasversale della Terra

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Introduzione

Lo scopo di questo mio lavoro di maturità è di spiegare dapprima quali siano le

caratteristiche principali dei terremoti, in seguito le proprietà delle onde sismiche e

infine come sia possibile, dall’analisi dei terremoti e dei rispettivi sismogrammi,

caratterizzare in modo approfondito, restando sempre nel dubbio, la struttura

interna del nostro pianeta Terra. Infatti, tramite le velocità delle onde sismiche che

si propagano attraverso il nostro pianeta, è possibile, eseguendo analisi e studi

approfonditi, decifrare lo “scheletro” di quest’ultimo.

La cosa interessante resta che l’immaginaria concezione dell’interno terrestre che

ogni persona ha, non rispecchia, in sostanza, in alcun modo la realtà. Infatti, non

molte persone sono a conoscenza della vera struttura interna terrestre e quello che

ancor più fa senso, è che non si preoccupano nemmeno di scoprirlo. È proprio per

questo motivo che ho scelto di cimentarmi nello studio dei terremoti perché sono

eventi della quotidianità, ma dei quali raramente si parla. Ogni giorno, infatti, ci

sono piccoli sismi che per noi sono impercettibili ma che allo stesso tempo

caratterizzeranno in un futuro lontano le nostre terre emerse, ma tutto ciò all’essere

umano non da nessuna preoccupazione e pochi saranno interessati da questi

eventi. Ciò che invece ha suscitato in me un interesse particolare, è che noi, come

esseri umani, viviamo sulla superficie del pianeta e, come tali, non abbiamo la

possibilità di dare uno sguardo a ciò che realmente sta sotto i nostri “tremanti”

piedi, per questo cercherò di scoprirlo.

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1 I TERREMOTI

1.1 Che cos’è un terremoto1

Il terremoto è il movimento vibratorio di una porzione circa vasta della crosta

terrestre provocato da onde elastiche provenienti da un punto, più o meno profondo

della terra.

La scienza esatta che ne studia i comportamenti è chiamata sismica, questa,

analizzando la natura delle vibrazioni che si propagano all’interno del pianeta e

sulla sua superficie, ragiona sui risultati che si possono ottenere dall’analisi di

questi fenomeni. Tutto questo permette di comprendere le varie cause e gli effetti

dei terremoti. Per capire meglio come un terremoto viene percepito, dobbiamo

inoltrarci nella scienza che studia la trasmissione di queste onde, dette elastiche,

nel suolo e negli effetti che vengono prodotti all’interno del globo terrestre. Prima

però di imbattermi nell’argomento onde, porterò un’introduzione sui concetti

fondamentali della sismica.

2 Principi di tettonica 2

La tettonica è uno dei rami della geologia che studia la struttura della crosta

terrestre, la diversa collocazione che ha subito nel corso degli anni e il mutamento

delle rocce che la compongono. Queste mutazioni sono suddivise in due categorie:

quelle avvenute senza aver superato il limite di rottura e quelle che invece si sono

manifestate tramite una discontinuità di fratturazione. Per l’appunto, quest’ultima

categoria comprende le cosiddette faglie, cioè gli elementi strutturali di primaria

importanza per lo studio dei terremoti.

                                                                                                               1 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 12-15

2 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielabo3razione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 14

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2.1 Concetto di faglia3

Sulla superficie terrestre, dovute a terremoti, si possono osservare delle esposizioni

rocciose, dalle quali si può notare che tutte le rocce in questione si presentano

fratturate più o meno intensamente. Per questo motivo possiamo distinguere le

fratture dalle faglie. La differenza è sostanzialmente semplice: le prime, non

mostrando uno spostamento considerevole dei due lati (labbra della frattura), sono

denominate fratture in senso lato o diaclasi (fig. A), invece le seconde, dove è

evidente un movimento relativo delle due labbra, sono chiamate faglie e la

corrispondente superficie su cui avviene il movimento è denominata piano di faglia.

L’ampiezza del movimento contrapposto delle due labbra viene chiamata rigetto

(fig. B). Ovviamente lo spostamento può avvenire sia verticalmente (faglia verticale)

sia diagonalmente (faglia inclinata) e in questo secondo caso, la parte che si trova

sopra al piano di faglia viene denominata « tetto » mentre la parte sottostante

« muro » (fig. C).

Figura A

Figura A 4: Qui rappresentata abbiamo un tipo semplicissimo di frattura in senso

lato.

                                                                                                               3 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 14

4 Fonte Immagine: Temes de Biologia i Geologia http://www.xtec.cat/~ajimeno/cn1eso/04lalitosfera/04lalitosfera.htm Antonio Jimeno Fernàndez Copyright © 2004 ajimeno. Última actualització: 23 - maig - 2005

 

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Figura B

Figura B 5: La freccia rappresenta il rigetto della faglia. Il primo caso rappresenta

una rara tipologia di faglia, dove l’entità dello spostamento può essere paragonato

al dislivello esistente tra le due labbra. Il secondo caso invece rappresenta la

moltitudine delle faglie esistenti in natura.

Figura C

Figura C 6 : Faglia inclinata con i rispettivi muri e tetti

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                5 Fonte Immagine: Appunti per le lezioni del Corso di Geologia Processi e Prodotti geologici http://www.dipgeopa.com/?structure=processigeologici&section=prodotti&sub=7.3.2&lang=it Dipartimento di Geologia e Geodesia, Università degli studi di Palermo 6 Fonte Immagine: Appunti per le lezioni del Corso di Geologia Processi e Prodotti geologici http://www.dipgeopa.com/?structure=processigeologici&section=prodotti&sub=7.3.2&lang=it Dipartimento di Geologia e Geodesia, Università degli studi di Palermo

 

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2.2 Tipologia di faglia7

Come visto in precedenza, il modello più semplice di faglia esistente è quello

verticale, ma in natura ci sono altre varianti come, ad esempio, si ha il piano

parzialmente inclinato. Lo spostamento del tetto e del rispettivo muro permette di

distinguere due tipi principali:

• Faglie dirette o normali dove il tetto è sottostante al muro (fig. CCD)

• Faglie inverse nelle quali il tetto è sollevato rispetto al muro (fig. CAB)

Nella figura DB abbiamo un esempio di situazione iniziale della roccia. Le faglie

dirette sono l’effetto di un fenomeno distensivo, infatti, portano a un allungamento

del volume di roccia interessato alla dislocazione (fig. DA). D’altro canto nella figura

DC abbiamo il conseguente effetto di un’azione di compressione della roccia che ne

determina un accorciamento rigoroso.

Figura D

Figura D 8: I vari tipi di faglia. A = faglie dirette, B = situazione iniziale, C = faglie

inverse.

                                                                                                               7 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 15-17

8 Fonte Immagine: Appunti per le lezioni del Corso di Geologia Processi e Prodotti geologici http://www.dipgeopa.com/?structure=processigeologici&section=prodotti&sub=7.3.2&lang=it Dipartimento di Geologia e Geodesia, Università degli studi di Palermo

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Finora si è parlato solamente di faglie con dislocamenti prevalentemente verticali,

ora invece ci concentreremo sul movimento orizzontale che le faglie possono

compiere. Queste vengono denominate faglie trascorrenti (fig. E); propriamente si

possono distinguere due tipi di queste faglie orizzontali e cioè quelle destre e quelle

sinistre, dove i due termini sono relativi al presunto osservatore che, posto su di un

labbro, guarda l’altro oltre il piano di faglia. Un tipo particolare di queste faglie

trascorrenti, le cosiddette faglie trasformi, si possono localizzare prevalentemente

nell’area delle dorsali oceaniche, dove secondo la teoria della tettonica delle

placche, si attua l’espansione del fondo oceanico con creazione di nuova crosta

oceanica.

Figura E

Figura E 9: D = faglia trascorrente destra e S = faglia trascorrente sinistra.

L’immagine rappresenta il caso in cui lo spostamento orizzontale è massimo senza

avere un rispettivo spostamento verticale.

                                                                                                               9 Fonte Immagine: Appunti per le lezioni del Corso di Geologia Processi e Prodotti geologici http://www.dipgeopa.com/?structure=processigeologici&section=prodotti&sub=7.3.2&lang=it Dipartimento di Geologia e Geodesia, Università degli studi di Palermo

 

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2.3 Faglie sismogenetiche e capaci10

Propriamente non tutti i tipi di faglie che si conoscono possono produrre dei

rispettivi terremoti, infatti, queste, che producono scosse sismiche, vengono

chiamate faglie sismogenetiche o attive. Di conseguenza nelle varie aree terrestri

avremmo una differenza di pericolosità a livello sismico. Per valutarne questa

proprietà è necessario localizzare, all’interno dell’insieme delle strutture tettoniche

di una certa area, quelle che realmente sono attive, cioè quelle che negli ultimi

tempi hanno dato origine a terremoti con la magnitudo più elevata, alle quali è

attribuito il nome di faglie sismogenetiche primarie o principali. Viste le numerose

definizioni di faglia attiva che al giorno d’oggi esistono, si è concordato che

solamente quelle che, in tempi socialmente rappresentativi, sono in grado di

provocare potenziali effetti dannosi con i loro spostamenti sono chiamate in questo

modo.

Alle singole strutture presenti in superficie, che solamente in occasione di un

evento sismico si attivano e che puramente provocano deformazioni permanenti nel

terreno, viene semplicemente attribuito il termine faglie capaci. Detto in altre parole,

con questo termine viene indicata una porzione di faglia per la quale si può

ottenere un’attivazione co-sismica, cioè che si attiva solamente nel corso di un

sisma, con ovviamente una conseguente dislocazione del terreno. Queste faglie

capaci sono in pratica la rappresentazione superficiale di ciò che succede in

profondità. Per questo motivo, questo tipo di faglie costituiscono un elemento

indispensabile per il riconoscimento e la classificazione delle faglie sismogenetiche

principali. Per quanto riguarda la pericolosità, la facoltà più elevata è associata

proprio a queste strutture primarie con chiara espressione superficiale.

3 La tettonica delle placche11

                                                                                                               10 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 17-18

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“La tettonica delle placche o tettonica a zolle (dal greco τέκτων, tektōn che significa "costruttore") è il modello fisico sulla dinamica della Terra, su cui concorda la maggior parte degli scienziati che si occupano di Terra”.12

Figura F

Figura F: Le placche terrestri

Questa teoria ha completamente rivoluzionato la comprensione della dinamica del

pianeta Terra. Questa, infatti, ha fornito chiarimenti convincenti a questioni, sulle

quali sono stati fatti nel corso degli anni molti dibattiti, come, ad esempio, perché i

terremoti e le eruzioni vulcaniche si verificano in parti ben definite del pianeta e

come e perché si siano formate le grandi catene montuose come le Alpi e

l’Himalaya. Questa teoria è sicuramente essenziale per la scienza della Terra basti

pensare che può essere paragonata alla scoperta dell’atomo, nell’ambito chimico e

fisico oppure alla teoria dell’evoluzione che ha rivoluzionato le scienze biologiche.

Uno degli aspetti che caratterizza sicuramente questa teoria è relativo alla natura

delle forze che permettono gli spostamenti delle zolle, ma di quest’argomento la

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               11 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 22-24

12 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto, “Tettonica delle Placche” http://it.wikipedia.org/wiki/Tettonica_delle_placche

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scienza non è giunta ancora a una vera e propria conclusione e per questo

occorrono ancora approfondimenti e chiarimenti sul tema. Quello che reputo più

importante e opportuno per cominciare è chiarire che cosa sia una placca o zolla

tettonica.

Una placca tettonica, detta anche placca litosferica non è altro che una piastra di

roccia solida, massiccia e di forma irregolare. Questa può essere composta sia da

litosfera continentale sia oceanica. Le dimensioni in larghezza variano da placca a

placca, ce ne possono essere di grandi o piccole dimensioni, variando da quelle di

poche centinaia di chilometri fino a quelle che possono essere anche dieci volte più

grandi, come la placca Pacifica e Antartica (fig. F). Ciò che al giorno d’oggi ci è

permesso fare, è di tracciare i confini delle zolle oceaniche tramite i satelliti. Quello

che recentemente si è scoperto è che le placche tettoniche terrestri si sono formate

solamente 500 milioni di anni dopo la sua origine, modellando così la superficie del

pianeta. Come si sa, all’inizio esisteva un unico continente (Pangea), che con il

corso degli anni e per mezzo di lenti spostamenti delle zolle, si è separato ma

d’altro canto anche riunito, per formare gli odierni continenti. Infatti, una delle

caratteristiche principali delle placche è la loro continua modificazione nel tempo.

Non avendo una stessa massa, siccome non tutte le placche sono composte di

ugual materiale, le placche più pesanti, come quelle composte interamente o in

parte da litosfera oceanica, tenderanno a sprofondare rispetto a quelle continentali

e in certi casi essere addirittura completamente assorbite dal mantello. Per

l’appunto, quando due o più placche vengono a contatto e una delle due sprofonda

rispetto all’altra, in superficie vengono riscontrate attività sismiche. Per questo

motivo, gli scienziati possono affermare che le fasce sismiche siano corrispondenti

alle zone dove questi movimenti e scontri tra placche avvengono. È proprio grazie

a questi studi che si è riusciti a pervenire e suddividere il globo terrestre in placche

tettoniche.

Un terremoto quindi, può essere definito come la fratturazione di crosta terrestre

dovuto al fatto che le rocce sottoposte a uno sforzo persistente raggiungono e

oltrepassano il limite di resistenza e di conseguenza si spezzano. Tutto ciò accade

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vista la composizione rigida delle placche, poiché, se diversamente queste fossero

state costituite da materiale plastico, le tensioni accumulate non causerebbero una

fratturazione, ma verrebbero lentamente assorbite, subendo cosi variazioni minime.

Si può concludere che i terremoti avvengono unicamente tra i confini delle placche

e gli eventi sismici rilevati sulla Terra sono la manifestazione superficiale dei

movimenti sotterranei delle placche.

3.1 Limiti tra le placche13

I tre principali tipi di margini sono suddivisi in :

1. Margini divergenti (o in accrescimento), le due placche coinvolte tendono ad

allontanarsi l’una dall’altra, permettendo cosi di dar luogo alla formazione di

nuova crosta terrestre.

2. Margini convergenti (o in consunzione), solitamente avendo due placche

diverse, che tendono ad avvicinarsi, una tenderà a infilarsi sotto l’altra,

avendo cosi una distruzione di crosta terrestre.

3. Margini trasformi (o conservativi), in questo caso le due placche non si

avvicinano né divergono una dall’altra, dunque non c’è composizione né

disintegrazione di crosta terrestre.

Oltre a questi tre margini (limiti) ne esiste un quarto denominato « zona di limite tra

placche », questo viene indicato così poiché rappresenta una zona dove i limiti

delle placche non sono ben definiti e le interazioni tra esse non sono ben chiare

vista l’estensione molto ampia delle deformazioni legate al loro movimento.

3.1.1 Margini divergenti14

                                                                                                               13 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 24

14 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 24-25

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Questo tipo di limite si può trovare lungo i centri di espansione (assi delle dorsali

oceaniche, Fig. G) dove la crosta viene prodotta grazie al magma che dal mantello

sale in superficie e viene raffreddato. Il margine maggiormente conosciuto è la

dorsale medio-atlantica, catena montuosa giacente sott’acqua che si estende

dall’oceano Artico fin oltre la punta meridionale dell’Africa, giungendo fino

all’Islanda. La velocità con la quale questa dorsale si allarga è pari a 2,5 cm l’anno.

Questo dato sembra molto basso, ma basti pensare che questo procedimento di

espansione proceda ormai da milioni di anni e che quindi corrisponde a miliardi di

chilometri si spostamento. Infatti, ciò che oggi noi conosciamo come oceano

Atlantico non è altro che frutto dello spostamento delle due placche negli ultimi 100-

200 milioni di anni. Un’altra curiosità interessante è che, siccome l’isola vulcanica

d’Islanda è attraversata completamente da questa dorsale, questa si sta

completamente spaccando in due, dividendosi tra la placca nordamericana e quella

euroasiatica. Lo stesso procedimento è stato attuato in Arabia Saudita, dove

appunto, con il proprio distacco dal continente africano, si è formato l’attuale Mar

Rosso.

Figura G

Figura G15 : Dorsale dell’oceano Atlantico

                                                                                                               15 Fonte Immagine:                            http://www.altrementi.com/la_dorsale_medio.htm Altre Menti Edizioni

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3.1.2 Margini convergenti16

Il fatto che le dimensioni della Terra non sono rimaste parzialmente costanti negli

ultimi 600 milioni di anni, ci fa capire che a un momento in cui si forma della crosta

terrestre ce ne sia un opposto che ne distrugge la medesima quantità. Infatti, le

stime di variazione della costante gravitazionale G, indicano un’espansione

massima della circonferenza terrestre dell’ordine di 0.1 mm l’anno, cioè un

accrescimento di 60 km in questi ultimi 600 milioni di anni. Questo valore però è

insignificante, basti pensare che la circonferenza attuale sia di 40.000 km.

Tale distruzione, appunto, si ritrova nei punti di convergenza di due placche dove

una penetra sotto l’altra (subduzione). Questo luogo della Terra dove questo

sviluppo si manifesta è chiamato zona di subduzione. Di tipi di convergenza

ovviamente ce ne possono essere di tre tipi perché le placche terrestri sono

composte di litosfera continentale oppure da litosfera oceanica. Per questo motivo,

gli effetti che questi « incontri » possono creare sono rispettivamente tre :

1) Convergenza oceanica-continentale 17

Quando queste due placche convergono, quella oceanica tenderà a infilarsi sotto

quella continentale (fig. H). Questo processo possiamo descriverlo tramite

l’esempio della subduzione della placca oceanica di Nazca, che, venendo spinta

sotto la parte continentale della zolla sudamericana, fa sollevare quest’ultima

dando origine all’elevata catena delle Ande (spina dorsale del continente). Allo

stesso tempo, come si può vedere dall’immagine, c’è una formazione di una piccola

fossa dovuta alla formazione delle montagne (« Trench »).

Figura H :

                                                                                                               16 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 25

17 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 26

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Figura H 18: Convergenza tra una placca oceanica e una continentale

2) Convergenza oceanica-oceanica19

Anche in questo caso, come in quello dove a incontrarsi sono una placca oceanica

e una continentale, succede la stessa cosa, cioè una delle due zolle tenderà a

scivolare sotto l’altra. Quello che varia è il risultato che si ottiene da questa

subduzione. Infatti, nel corso di questo processo viene a formarsi una fossa

oceanica, all’altezza del punto di subduzione di una delle due placche. Un esempio

è la famosa Fossa delle Marianne, dove la veloce placca pacifica converge con

quella più lenta delle Filippine. La cosa interessante è che all’estremità meridionale

di questa fossa si è formato il cosiddetto abisso Challenger, che si spinge

addirittura fino a 11'000 m all’interno della Terra. Con il formarsi di queste fosse si

ha una conseguente formazione di archi d’isole, come appunto le Marianne o le

Isole Aleutine, alle quali si associano numerosi terremoti. Il termine utilizzato per

denominare queste isole, deriva dal fatto che la placca discendente viene, con il

calore interno della Terra, fusa, dando origine al magma, che in un secondo

momento risalirà in superficie dando origine a una catena di vulcani (prima

sottomarini e in seguito affioranti in superficie) disposti ad arco.

                                                                                                               18 Fonte Immagine: The Encyclopedia of Earth http://www.eoearth.org/article/Plate_tectonics?topic=50013 The Author, Michael Pidwirny

19 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 26-27

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Figura I :

Figura I 20 : Convergenza tra due placche oceaniche

3) Convergenza continentale-continentale21

Essendo scomparsa completamente la litosfera oceanica, quando due placche

continentali s’incontrano non tenderanno più ad andare una sotto l’altra, ma, vista

la loro leggera massa, queste si opporranno a vicenda il movimento verso il basso.

Questo comporta ovviamente al fatto che entrambe, continuando comunque a

spingersi contro, cominceranno ad andare verso l’alto, infatti, è proprio in questo

modo che si formano le montagne. Un chiaro esempio è ovviamente la catena più

alta al mondo, quella dell’Himalaya. Questa rappresenta indubbiamente una delle

più spettacolari conseguenze della tettonica delle placche. Un dato, che

sicuramente suscita interesse è il fatto che, spingendo ancora la placca indiana

verso quella asiatica, la catena montuosa continua a sollevarsi di circa 1 cm l’anno,

con un tasso di 10 km in un milione di anni.

3.1.3 Margini trasformi 22

                                                                                                               20 Fonte Immagine: The Encyclopedia of Earth http://www.eoearth.org/article/Plate_tectonics?topic=50013 The Author, Michael Pidwirny

21 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 27-28

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Nella zona terrestre dove abbiamo due placche che scorrono orizzontalmente l’una

rispetto all’altra, il fenomeno è chiamato margine di faglia trasforme o, più

semplicemente detto, margine trasforme. Questo lo ritroviamo, come aveva

ipotizzato il geofisico J. Tuzo Wilson, nei centri di espansione oceanica, dove

troviamo i margini di placche divergenti o meno spesso quelli di placche

convergenti. Pure essendo questo evento tipico dei fondi oceanici, lo possiamo

riscontrare anche sulla terraferma e un chiaro esempio è la famosa faglia di

Sant’Andrea in California. Immutabilità delle due superfici a contatto crea queste

linee di movimento, denominate appunto margini trasformi. Dal parallelismo del

movimento delle due faglie a contatto è possibile ricavare la direzione del moto

relativo tra le placche, ciò che può avvenire unicamente tramite queste linee di

faglie trasformi.

Figura L :

Figura L 23: Convergenza tra due placche continentali

3.2 I moti delle zolle24                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                22 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 28

23 Fonte Immagine: The Encyclopedia of Earth http://www.eoearth.org/article/Plate_tectonics?topic=50013 The Author, Michael Pidwirny

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Il movimento delle placche terrestri è dovuto a delle forze che, per venire

comprese, si confrontano con un modello teorico che tiene conto dei moti delle

zolle di tutto il globo. In sostanza tutti i grandi terremoti prendono forma dal moto

delle placche e dalla loro interazione, quindi le forze che spostano le zolle

forniscono l’energia liberata durante questi avvenimenti naturali. Comprendere ciò

che funge da motore delle zolle, equivale a scovare la sorgente dei terremoti. Viste

le proprietà plastiche delle rocce presenti all’interno del mantello superiore, si è

ipotizzato che queste siano rimescolate lentamente in ampie celle convettive che

risalendo in certe zone del pianeta formano le dorsali oceaniche e, al contrario,

sprofondando in corrispondenza di altre, danno vita alle zone di subduzione.

Essendoci sotto le placche litosferiche del mantello parzialmente fuso, questo può

fluire come risposta alle forze cui è sottoposto continuamente per lunghi periodi.

Infatti, se una roccia solida del mantello stesso viene sottoposta a elevate

temperature per milioni di anni, questa tenderà a essere malleabile e in grado di

assumere variegate forme. Detto tutto ciò che ripercorre l’ipotesi fondamentale

ormai accettata su scala mondiale della teoria della tettonica delle placche, entra in

gioco la cosiddetta convezione. Si parla di convezione termica quando il calore non

viene trasportato per diffusione o per irraggiamento ma per effetto del movimento

d’insieme del materiale, in modo analogo a quanto avviene in una pentola d’acqua

messa a bollire. Il flusso verso l’alto è dato dal fatto che persiste una differenza di

densità fra il fluido caldo astenosferico e quello freddo degli strati superiori del

mantello. Il processo che spiega come venga da una parte accumulata della nuova

crosta terrestre e da un’altra a sua volta distrutta è il seguente : le zolle di litosfera

si spostano lateralmente sull’astenosfera ; il materiale dell’astenosfera risale sotto

le dorsali oceaniche, fonde e produce lava che viene eruttata a va a formare nuova

crosta nel fondo oceanico. Le zolle divergono e man mano il materiale che risale

forma nuova litosfera ; la formazione di nuova litosfera viene bilanciata dalla

distruzione di una quantità equivalente ai margini delle zolle che convergono, dove

la piastra viene assorbita nel mantello.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               24 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 28-30

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Il moto che una placca compie dalla dorsale medio-oceanica fino alla zona di

subduzione è la parte visibile della circolazione convettiva. Ciò che parifica la

massa di crosta che si distrugge è la circolazione di quella che si crea tramite una

corrente profonda di materiale che si muove in direzione opposta, dalla fossa alla

dorsale. Il motore delle zolle è dunque costituito dalla convezione termica, la quale

è anche colei che fornisce l’energia ai terremoti. Un fatto tratto da dati geofisici ci

presuppone che, non essendo mai stato registrato l’epicentro di un terremoto al di

sotto dei 720 km di profondità, il flusso appena spiegato avvenga a una profondità

non superiore ai 700 km.

4 Localizzazione dei terremoti25

Per localizzare un terremoto si utilizza un principio molto semplice : ogni tipo

diverso di onda viaggia a una velocità differente dalle altre, quindi ciascuna di

queste arriverà in un tempo determinato alla stazione di registrazione. Come si era

visto in precedenza le prime onde ad arrivare sono le P, seguite dalle S che

arriveranno quindi in un secondo momento vista la loro minor velocità. Per le

stazioni ubicate nelle vicinanze della zona epicentrale, è difficile differenziare i due

tipi di onde, dato che queste arriveranno in rapida successione, ma se prendiamo

delle stazioni situate più lontane la registrazione può avvenire più facilmente,

avendo appunto una differenza di tempo maggiore tra i due arrivi (indicata con ts –

tp). Poiché si conosce la relazione che lega questa differenza alla distanza che

separa la stazione del terremoto (distanza epicentrale), questa può essere

calcolata una volta che dai sismogrammi si misura ts – tp.

4.1 Epicentro ed Ipocentro26

                                                                                                               25 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 63

26 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte:

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La differenza che c’è tra i termini epicentro e ipocentro sta nel fatto che il primo è la

proiezione in superficie del secondo che è il punto all’interno della terra dal quale

cominciano a propagarsi le onde di un futuro terremoto. A dipendenza della

profondità dell’ipocentro si distinguono i terremoti superficiali, profondità da 0 a 70

km, terremoti medi, profondità da 70 a 300 km e terremoti profondi, oltre i 300 km.

4.2 Misura della distanza epicentrale27

Per distanza epicentrale (Δ) s’intende la distanza che c’è tra una stazione di

rilevamento e l’epicentro del sisma. Si determina, come prima approssimazione,

mediante la relazione:

! =Vp0, 73

.(ts" tp)

con Vp la velocità delle onde P, ts il tempo di arrivo delle onde S e tp quello delle

onde P.

Una volta determinata la distanza epicentrale, questa viene preferibilmente

espressa in gradi, anziché in Km, secondo questa relazione :

!(!) = !.180°"R

Con Δ la distanza epicentrale calcolata in Km, R il raggio medio terrestre (6370

Km) e Δ(α) la distanza epicentrale in gradi.

In questo secondo caso invece che distanza si preferisce parlare di angolo

epicentrale. I sismologi classificano i terremoti in base alla distanza epicentrale e

quindi abbiamo :

                                                                                                               27 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 63-64

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• Locali, se Δ < 100 km (α < 1°);

• Regionali, se 100 km < Δ < 1400 km (1° < α < 13°);

• Telesismi, se Δ > 1400 km (α > 13°).

I primi due tipi di terremoti, in termini di comparsa sul sismogramma, si registrano

tramite le onde che si propagano attraverso gli strati della crosta terrestre (onde

superficiali), invece i telesismi sono generalmente caratterizzati dalla presenza

delle onde di volume che viaggiano all’interno della Terra (mantello e nucleo).

4.3 Localizzazione dell’epicentro28

Modo più veloce per localizzare un epicentro è utilizzare una strategia grafica. Una

volta che si sono trovate almeno tre distanze epicentrali di tre diverse stazioni di

registrazione, è possibile ricavare la posizione circa esatta dell’epicentro.

Utilizzando un compasso, si disegna un cerchio di raggio pari alla distanza della

stazione, ponendo il centro su di essa. Il punto d’intersezione tra questi tre cerchi

determinerà approssimativamente la posizione epicentrale.

4.4 Parametri di sorgente29

Questa sorgente di onda si può definire mediante quattro parametri, detti parametri

di sorgenti, che si suddividono in:

• Parametri cinematici:

- Tempo origine (t0)

- Coordinate epicentrali (latitudine e longitudine)

- Profondità focale (h)

                                                                                                               28 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 64

29 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 65

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• Parametro dinamico:

- Magnitudo (M)

5 Magnitudo di un terremoto30

La magnitudo, rappresentata con la lettera M, è una delle due grandezze con cui si

può determinare la forza di un terremoto. Per mezzo di questa grandezza la

definizione di un sisma può essere completata poiché non basta indicarne

l’intensità (seconda grandezza) giacché gli effetti che produce un terremoto sono

associati a più fattori. Infatti, se ci dovessero essere due terremoti di ugual

magnitudo, ma a differenti profondità epicentrali, questi non avranno stessa

intensità ma solamente la stessa magnitudo. Ci sono due tipi di terremoti, forti e

deboli. Il modo in cui vengono percepiti non indica la loro vera grandezza, quindi la

loro intensità è relativa. Come esempio si possono portare i terremoti che

avvengono nei deserti, dove nessuno li vede o sente, ma che possono essere di

gran lungo molto forti. Per questi motivi nel 1935 fu proposta da un sismologo

californiano, Charles F. Richter, una scala di misura della magnitudo, chiamata

appunto scala Richter (fig. M) oppure scala delle magnitudo. Fondamentalmente

questa scala si basa sul fatto che, la magnitudo è la misura assoluta dell’energia,

che si libera nell’ipocentro e quindi non ha dipendenze né di vicinanza o lontananza

dalla stazione di registrazione, né dallo strumento di registrazione utilizzato. In

sostanza, la scala Richter non è più fondata su di una valutazione soggettiva ma

bensì sulla misura delle ampiezze delle onde sismiche che appaiono sui

sismogrammi. La magnitudo fu definita da Richter come la differenza tra i logaritmi

dell’ampiezza massima (in mm) delle oscillazioni del suolo misurata da uno

strumento standard (A) e quella che avrebbe fatto registrare il terremoto campione

(A0) :

                                                                                                               30 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 67-73

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Nicola  Pedrani     4B   24  

M = logA! logA0 = logAA0

Il terremoto campione è quello che, su di un sismogramma standard (cioè registrato

a una distanza di 100 Km dall’epicentro), produrrebbe un’ampiezza massima delle

oscillazioni pari a un micron (vale a dire A0 = 0,001 mm).

Figura M :

Figura M 31 : La

scala Richter

6 Intensità di un terremoto32

                                                                                                               31 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto http://neanderthal.bloog.it/mercalli-vs-richter.html

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Nicola  Pedrani     4B   25  

Quello che è l’effetto provocato dal movimento del suolo, è l’intensità I di un

terremoto. Questa grandezza viene espressa in gradi (indicati con numeri romani)

ed è stabilità soggettivamente, mediante la comparazione degli effetti visibili

prodotti dal terremoto con la descrizione di una delle diverse scale di misura

utilizzate. La scala d’intensità maggiormente conosciuta e utilizzata è la Mercalli-

Cancani-Sieberg (scala MCS) (fig. N) che comprende 12 gradi.

Figura N :

Figura N 33 : La scala Mercalli-Cancani-Sieberg

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               32 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie), pag 75-79

33 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto  http://pro.unibz.it/staff2/fzavatti/corso/corso2-bz.html

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7 Caratteristiche delle onde34

Un’onda sismica è una vibrazione che, secondo i principi del moto ondulatorio

sinusoidale e seguendo le leggi del moto armonico, si trasmette nel terreno (vedi

fig. O). Le oscillazioni sono semplicemente definite dalla lunghezza d’onda (λ) che

rappresenta la distanza che separa due punti nello stesso stato di vibrazione, cioè

nella stessa fase, come ad esempio due massimi. L’ampiezza d’onda invece, non è

altro che la metà della distanza che intercorre fra un minimo e un massimo di

oscillazione. Per l’appunto, la frequenza del moto è data dal numero di oscillazioni

nell’unità di tempo.

Figura O :

Figura O 35: Diffusione di un’onda

                                                                                                               34 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 39-42

35 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto  http://www.astronomia.com/2007/06/04/la-luce-e-lo-spettro-elettromagnetico/

 

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7.1 Trasmissione delle onde elastiche P e S36

Per capire come queste onde possano propagarsi all’interno di sostanze solide,

come le rocce, è importante ricordare come queste siamo formate da particelle,

disposte in modo ordinato, avendo distanze fisse tra loro. Infatti, pur venendo

colpite da queste onde, la loro struttura rimane invariata poiché mantengono

inalterate le distanze fra le molecole. Quindi quando, ad esempio una roccia, viene

sollecitata da un impulso prodotto da una forza esterna, le sue particelle vengono

messe in movimento, ma restano pur sempre attorno alla posizione che

occupavano allo stato di quiete, facendo così variare le distanze che però

rimangono costanti. Infatti, riassumendo in altre parole questo processo, si può

esemplificare il tutto dicendo che quando una particella viene spostata e quindi

avvicinata ad un’altra, quest’altra tenderà ad allontanarsi da essa per ripristinarne

la distanza iniziale, cosi facendo questa seconda particella in movimento causerà lo

spostamento di un’altra particella adiacente ad essa. Questo processo permette

così la propagazione delle onde, nel suolo per successive compressioni, che ne

permettono la percorrenza per un lungo tratto, ovvero fino a quando le forze

verranno smorzate, per mezzo degli attriti interni della roccia stessa. Chiameremo

P queste onde, poiché sono le più veloci e quindi quelle che per prime vengono

registrare con un sismografo. L’indicazione con questa lettera sta per primae

undae, dal latino. D’altro canto lo stesso effetto di compressione comporta un’altra

sollecitazione delle particelle. Infatti, mentre una di queste molecole di avvicina alla

successiva, varia pure la distanza che essa ha da quella che le sta affiancata,

facendola aumentare. Anche in questo caso, per ripristinarne l’equilibrio, questa è

costretta a muoversi per riavvicinarsi e produce un effetto analogo su tutte le altre

particelle che seguono. Così facendo si genera un’altra onda, meno intensa e con

minor velocità, che raggiungerà di conseguenza più tardivamente i sismografi.

Questo tipo di onda è chiamata S, secunda unda.

                                                                                                               36 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 42-43

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Nicola  Pedrani     4B   28  

7.2 Le onde superficiali37

In questi tipi di onde, la maggior parte del moto ondulatorio è propriamente

localizzata sulla superficie esterna e ovviamente man mano che si scende verso il

centro terrestre, l’ampiezza delle onde andrà in diminuendo. I principali tipi di onde

di superficie sono sostanzialmente due, le onde di Love e le onde die Rayleigh,

come illustrato nelle figure P e Q.

Figura P :

Figura P 38 : Onde di Love

Figura Q :

                                                                                                               37 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 55-57 38 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto http://web.tiscali.it/edusism/terremoti.htm

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Nicola  Pedrani     4B   29  

Figura Q 39 : onde di Rayleigh

Le prime onde, cosiddette del matematico di Cambridge, A.E.H Love (fig. P),

poiché fu il primo a portarne una descrizione, sono quelle più semplici. Con queste

il terreno si muove lateralmente in un piano orizzontale, moto simile alle onde P,

che rispetto alla direzione di propagazione, forma un angolo retto e di conseguenza

non c’è movimento verticale. La differenza che c’è tra queste onde e le onde P è

dovuta al fatto che il movimento delle prime viene smorzato all’aumentare della

profondità, venendo dunque annullato in corrispondenza della discontinuità

(mantello).

Le seconde onde, vengono chiamate le onde di Rayleigh (fig. Q), anch’esse

denominate secondo la descrizione di un matematico, appunto Lord Reyleigh. A

differenza delle altre, queste onde superficiali, fanno vibrare le particelle della

roccia su di un piano verticale, in modo ellittico e retrogrado rispetto alla direzione

di propagazione, senza però generare alcun movimento trasversale o

perpendicolare. Come si può vedere della fig. 9, l’orbita ellittica è concentrata

unicamente a un piano verticale puntato della direzione in cui le onde di propagano.

Questo tipo di onde ha come caratteristica, quella di riuscire a penetrare all’interno

della terra tanto più la loro lunghezza d’onda è grande.

                                                                                                               39 Fonte Immagine: Autore Sconosciuto http://web.tiscali.it/edusism/terremoti.htm

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Nicola  Pedrani     4B   30  

Poiché la velocità delle onde sismiche aumenta al crescere della profondità, si ha,

come già visto in precedenza, la conseguenza che un’onda lunga (avendo

un’elevata lunghezza d’onda) si propagherà a una velocità maggiore di una corta :

questo fenomeno viene chiamato dispersione e le onde soggette vengono

chiamate dispersive. Detto ciò, possiamo capire quali e in che ordine vengano

registrate le onde dai sismografi. Poiché, la velocità di propagazione delle onde

longitudinali (P) è maggiore a quella delle onde trasversali (S), che a loro volta

sono più veloci delle onde superficiali (L e R), e le onde L in questione sono più

veloci delle onde R, verranno, in un sismogramma, registrate per prime le onde P,

subito dopo le onde S e infine, a breve distanza le onde L e le rispettive onde R.

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Nicola  Pedrani     4B   31  

COME I TERREMOTI RIVELANO LA STRUTTURA

INTERNA DELLA TERRA

8 L’era sismologica 40 e le tre discontinuità 41

Nel corso dell’ormai secolo scorso, si cominciò ad avere la possibilità di studiare

l’architettura, fino allora insolvibile, dell’interno della terra. Come in medicina, dove

attraverso i raggi X è possibile visionare la struttura interna del corpo, nello studio

dell’interno terrestre la questione è molto analoga, infatti, quando le onde di un

terremoto si propagano attraverso il corpo della Terra, vengono registrate da

sismografi negli osservatori sismici. Le informazioni, portate da queste onde

sismiche, ci permettono di studiare la struttura che hanno attraversato. Il problema

sta nel sapere decifrare le onde registrate e quindi per ottenere una visione più

chiara occorre dedicarvi molta analisi ed esperienza.

Le seguenti teorie di discontinuità mostrano tre esempi di un’analisi, ancora molto

superficiale, delle onde sismiche:

• La discontinuità di Mohorovicic:

Nel 1910 il fisico iugoslavo, analizzando dei sismogrammi che apparivano dalle

registrazioni di vari punti di rilevamento posti anche a 1000 km di distanza

dall’ipocentro del terremoto, che situava il rispettivo epicentro nei pressi di

Zagabria, poté notare che, per distanze inferiori a 300 km, la velocità delle onde P

era di 5,6 km/s, mentre per distanze superiori raggiungeva addirittura una velocità

pari a 7,7 km/sec. La stessa disuguaglianza si poteva rilevare per le onde S. Visti

questi risultati, ipotizzò che una parte del percorso delle onde provenienti dalle

località più lontane, doveva essere avvenuto in un mezzo con più elevata velocità

                                                                                                               40 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 19-26

41 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 19-26

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di propagazione. Infatti, nell’interno terrestre la composizione delle rocce varia a

dipendenza della profondità. Basandosi su dati geofisici, si può definire la

profondità media della crosta sotto i continenti, circa 30-40 km e quella sotto i mari,

10-15 km. A queste profondità quindi le onde sismiche si propagano al confine fra

la porzione superficiale del pianeta (la crosta) e la zona sottostante, chiamato

mantello. Per l’appunto, Mohorovicic chiamerà questo limite fra le due zone

« discontinuità ».

• La discontinuità di Gutenberg

Un sisma può produrre delle onde che possono propagarsi ed essere rilevate a

distanze anche maggiori ai 1000 km e spesso vengono registrate dai vari punti di

rilevamento sparsi in tutto il globo. Quello che però fa strano è che le stazioni

situate a una distanza angolare compresa tra 103° e 141° d’arco, rispetto al punto

di origine, non potranno registrare alcun effetto. In poche parole esiste un intervallo

di circa 38° d’arco, cioè circa 4000 km in superficie, dove le perturbazioni dovute

alle onde non vengono percepite. Questo spazio, nel quale le onde non riescono a

passare, poiché la struttura è fluida, corrisponde alle dimensioni del nucleo del

pianeta. Infatti, quando un’onda incontra il nucleo, questa verrà deviata se si tratta

di un’onda di tipo P o verrà distrutta se di tipo S, poiché le onde trasversali non

possono propagarsi nei liquidi. Oltre ai 142° però, ritroviamo gli impulsi solamente

delle onde P, poiché le S sono state distrutte. Questo comporta al fatto che la

composizione del nucleo è ben differente da quella del mantello, che lo stesso

geofisico tedesco, situa a 2920 km rispetto alla superficie.

• La discontinuità di Lehmann

La teoria di Lehmann, aiutato da altri geofisici, consiste nel fatto di ipotizzare la

possibilità che, da 5030 km di profondità, il nocciolo del pianeta sia molto denso,

probabilmente composto di ferro fuso. Questo è stato possibile provarlo tramite gli

esperimenti che negli anni 50’ e 60’, negli USA e in URSS, venivano svolti. I test di

svolgevano semplicemente in questo modo: venivano prodotte delle esplosioni

all’interno del nucleo terrestre e per mezzo di sismografi predisposti per ricavare

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informazioni all’interno della terra, poterono costatare che la velocità delle onde

sismiche provocate dalle esplosioni cresceva progressivamente.

8.1 Problemi diretti e inversi42

La sicurezza e la certezza, che noi possiamo avere quando facciamo affermazioni

riguardanti la struttura dell’interno della terra, sono limitate dal fatto che queste

proprietà non possono essere misurate direttamente, come può avvenire per

l’altezza di una montagna. Le difficoltà in questo campo sono molteplici e quindi

bisogna prima di tutto stabilire fino a che punto ci si può spingere nel trarre

conclusioni sulla struttura terrestre. Nel corso dello scorso secolo, forze

economiche hanno stimolato l’uso di tecniche geofisiche allo scopo di ricercare

risorse minerarie ed energetiche nel sottosuolo. Questo procedimento è sì, legato

all’esplorazione della struttura profonda del pianeta, ma assai molto più semplice.

La difficoltà che incombe, man mano che si cerca di studiare il profondo interno, sta

nel fatto che le onde prodotte da sorgenti artificiali di energia elastica usate nel

sondaggio minerario, non hanno un’intensità tale da produrre segnali che penetrino

a grandi profondità e che permettano alle postazioni superficiali più lontane di

rilevarle ottimamente e quindi di ricavarne informazioni. Consideriamo ora il tipo

d’informazioni che ci servono per trovare strutture nella profondità della terra.

Supponiamo che la velocità delle onde sismiche attraverso la Terra sia conosciuta,

in questo caso, dividendo la distanza del percorso per la velocità, sarebbe

abbastanza semplice calcolare il tempo di percorrenza dalla sorgente a un

sismografo. Più semplicemente detto, potremmo sapere quando le onde

arriveranno all’osservatorio. Questo tipo di problema è detto « diretto ». Purtroppo

la situazione reale è pressoché l’opposta. Abbiamo a disposizione le misure dei

tempi di propagazione delle onde sismiche in un numero finito di luoghi sulla

superficie terrestre, e da queste dobbiamo determinare sia la velocità delle onde

nelle rocce sia le variazioni strutturali dentro la Terra. Questo tipo di problema,

ricorrente in molti campi della scienza e dell’esperienza quotidiana, si chiama                                                                                                                42 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 26-34

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« inverso ». Riassumendo, quando la deduzione delle proprietà nascoste

dell’interna parte da misure fatte in superficie, avremmo sempre il problema

dell’approssimazione delle ipotesi e ci dovremmo sempre accontentare di valori

medi.

9 Le onde sismiche attraverso la terra43

La velocità delle onde P, attraverso rocce resistenti superficiali, come il granito, è di

5,5 Km/sec mentre quella delle onde S è di circa 3 Km/sec. Nell’interno profondo,

dove le rocce diventano sempre più compresse, le misure del tempo di

propagazione delle onde sismiche P e S su distanze note, indicano che le rispettive

velocità sono pari a 11 km/sec e 7 km/sec. Infatti, la velocità di un’onda dipende

essenzialmente dalle proprietà elastiche e dalle densità delle rocce attraversate. Le

formule di queste relazioni:

L’elasticità di un solido omogeneo e isotropico può essere definita da due costanti,

κ e µ, dove κ è il modulo d’incompressibilità e µ il modulo di rigidità. All’interno di un

corpo solido elastico con densità δ, si possono propagare due onde elastiche con

velocità α e β:

Onde P: velocità ! = (" + 43µ /#

Onde S: velocità ! = µ /"

Da queste formule è ovvio che la velocità delle onde P dipende dalla resistenza

delle rocce alla compressione (modulo di compressibilità), dalla resistenza alla

distorsione (modulo di rigidità) e dalla densità. Gli ultimi due parametri citati sono

caratteristici per la velocità delle onde S. I valori dei rapporti tra incompressibilità

elastica, rigidità e densità, sono dati dalle misure delle velocità di P e S nella Terra.

Questi dati sono notevolmente i più importanti che abbiamo sulle proprietà

dell’interno della Terra. Dal concetto di polarizzazione della luce si può passare al

                                                                                                               43 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 47-52

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caso analogo che succede con le onde all’incontro con discontinuità strutturali.

Prendendo il caso delle onde S, queste incontrando queste strutture, vengono

rifratte o riflesse e le loro vibrazioni polarizzate. Quando un’onda S viene

polarizzata, in modo che le particelle di roccia di muovano solo su un piano

orizzontale, viene indicata con il simbolo SH. Se invece le particelle si muovono

tutte verticalmente, l’onda viene chiamata SV. Un caso unico si ha quando su di

una superficie interna alla Terra le onde sismiche sono incidenti. Un’onda P, ad

esempio, colpendo una superficie limite a un certo angolo, si divide sia in un’onda

P riflessa sia in un’onda P rifratta, ma essa genera allo stesso tempo un’onda S

riflessa e una rifratta. Una ugual trasformazione di un tipo di onda in un altro si ha

quando un’onda SV colpisce obliquamente un limite interno; ne derivano sia onde

P sia onde SV riflesse e rifratte.

9.1 La nomenclatura dei raggi P e S44

Le rifrazioni e le riflessioni delle onde P e S alla superficie terrestre e alle sue

interfacce sotterranee (mantello, nucleo esterno, nucleo interno), producono una

pluralità di raggi sismici. Questa nomenclatura c’è utile per indentificare

velocemente i corrispondenti arrivi delle onde sismiche registrati dai sismogrammi.

Se il segmento del raggio, che parte dall’ipocentro e arriva alla stazione di

rilevazione, compie il suo percorso interamente nel mantello, questo raggio verrà

semplicemente indicato con il simbolo P o S. Ogni segmento di raggio delle onde P

che giace nel nucleo esterno, viene contrassegnato con K (dal tedesco Kernwelle,

cioè onde del nucleo) e ogni segmento di tipo P in quello interno con I. Se

prendiamo l’esempio PKIKP, avremmo un’onda che parte come P dal mantello, è

rifratta nel nucleo esterno come onda P (tratto K), è rifratta nel nucleo interno come

onda P (tratto I), rifratta di nuovo nel nucleo esterno come onda P (secondo tratto

K) e infine rifratta nel mantello come P. Ovviamente non esiste un corrispondente

simbolo a K per le onde S, poiché non si sono mai registrati questi tipi di raggi nel

nucleo esterno. D’altro canto viene adottato il simbolo J per le onde S che                                                                                                                44 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 52-55

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attraversano il nucleo interno. Naturalmente le onde possono essere riflesse anche

dalla superficie esterna. Le onde P riflesse in due tratti saranno chiamate PP,

quelle in tre PPP, e così via. Alla stessa maniera avremmo SS, SSS. Tutto ciò è

riassunto nella figura R.

Figura R

Figura R45: Raggi sismici campione attraverso la Terra. Si parte dall’ipocentro del

terremoto F. Il simbolo c indica un’onda riflessa alla superficie del nucleo esterno;

quindi PcP è un’onda P che attraversa il mantello e viene riflessa dal nucleo; PcS è

un’onda P riflessa come onda S. I simboli K e I si riferiscono, rispettivamente, a

un’onda P che si propaga attraverso il nucleo esterno e quello interno. Il simbolo

SP designa un’onda S che ha attraversato il mantello ed è stata riflessa in

superficie come onda P. L’onda PKS si propaga attraverso il mantello e il nucleo

come onda P e di nuovo attraverso il mantello verso l’alto come onda S. Il raggio

                                                                                                               45 Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 53

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contrassegnato PKJKP, che viaggia come onda S attraverso il nucleo interno, non

è stato osservato.

10 Gli strati principali della terra46

Figura S:

Figura S: 47Strati principali dell’interno della Terra

                                                                                                               46 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 87

47 Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 93

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10.1 La crosta48

Come visto nel capitolo 9, la scoperta che la Terra possiede una crosta fu fatta da

A. Mohorovicic. Ipotizzò che sotto i nostri piedi vi è una crosta di circa 50 Km. In

molti altri paesi si lavorò molto nella stessa direzione utilizzando appunto onde

rifratte, dalle quali è risultato il quadro di una crosta continentale di spessore da 25

a 40 Km, presente in tutto il mono. Attraverso metodi sismologici, più

recentemente, è stato scoperto che la crosta sotto gli oceani è molto più sottile,

circa 5 km. Esistono due metodi per individuare questa crosta. Il primo è quello

adottato da Mohorovicic, attraverso onde rifratte, invece per il secondo metodo

vengono utilizzate onde riflesse dai limiti dell’interno, anziché appunto rifratte lungo

gli stessi. Questo tipo di sismologia di riflessione è molto efficace purché la

superficie riflettente sia in grado di rimandare ai sismografi onde forti da poter

registrare. Nei primi tempi tramite il lavoro sismologico si diffuse tra i geologi

l’impressione che la crosta avesse un’architettura, dolce, e semplice. Ma, soltanto

recentemente, si sta affrontando la domanda: qual è la tessitura delle rocce

crostali? Per rispondere ci rivolgiamo a una tecnica che utilizza le riflessioni, detta

VOBROSEIS, sviluppata dalla Continental Oil Company. Questa consiste in un

congegno vibratorio, montato su un autocarro azionato da un potente motore, che

funziona da sorgente ondulatoria. Questi vibratori applicano forze verticali fino a 30

tonnellate su un’area di 2 Km della superficie del terreno. I segnali riflessi vengono

registrati da numerosi sismografi allineati sul terreno. Tecniche come queste hanno

permesso all’uomo di determinare quali tipi di rocce costituiscono lo strato

superficiale, la crosta.

                                                                                                               48 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 87-92

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10.2 Il mantello49

Il mantello si estende dalla crosta fino al limite mantello-nucleo esterno. Ricordiamo

che, essendo questo attraversato sia dalle onde P sia da quelle S, la sua struttura

deve puramente essere allo stato solido. Studi dettati alla base delle onde sismiche

hanno condotto una nuova suddivisione in strati del mantello. I primi due,

sottostanti alla crosta, sono denominati, litosfera noncrostale e astenosfera. Questi

due strati non sono propriamente definiti, infatti sembrano variare di proprietà

fisiche e spessore da luogo a luogo. Attualmente si deve identificare questo primo

strato come una parte di litosfera sottostante alla crosta terrestre. La sua base non

è un’interfaccia netta e definita, ma attraverso prove sismologiche, si può stimare

una sua profondità a circa 80-100 km. L’astenosfera, su cui galleggia la litosfera, è

a sua volta composta di due strati (come confermano sempre prove sismologiche),

con la prima interfaccia posta a circa 400 km. Infine, la base di questo strato

coincide con un altro limite rimarcato in vario modo dalle onde sismiche, situato a

640 km. Al di sotti dei due strati del mantello superiore, abbiamo il mantello

inferiore che si presenta con una struttura molto più continua. Entrambe le onde, P

e S, si propagano per tutto lo strato in maniera poco complicata e soltanto

minimamente vengono attenuate. Ci sono prove dirette dell’esistenza di un limite

netto alla base del mantello. Queste ci vengono fornite dalle riflessioni PcP e ScS,

che si registrano comunemente durante terremoti a varie distanze epicentrali e

indicano decisamente una superficie, a circa 2885 km di profondità, in grado di

riflettere onde P e S con lunghezze d’onda di soli 5 km. Ci sono comunque

complicazioni nei tempi di arrivo e nelle ampiezze delle onde P e S. La conclusione

più esatta è, probabilmente, che vi sia un sottile strato di transizione proprio sopra il

limite del nucleo. Per l’appunto (vedi fig. S) il mantello inferiore è suddiviso in D’ e

D’’, l’ultimo dei quali ha uno spessore di soli 100 km.

                                                                                                               49 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 92-98

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10.3 Il nucleo esterno50

Inoltrandoci sempre più all’interno della Terra, incontriamo l’enorme nucleo esterno

liquido. Il primo che, in modo convincente, dedusse il suo stato liquido fu, Sir Harold

Jeffrey dell’Università di Cambridge; questo suo stato di aggregazione è provato da

vari indizi: uno, le deformazioni che avvengono per effetto delle maree richiedono

appunto la presenza di un esteso strato centrale con rigidità zero; due, i toni di

risonanza richiedono anch’essi uno strato liquido; tre, nonostante tutte le ricerche

fatte, non si sono mai registrate dai sismogrammi onde sismiche che abbiano

attraversato questo strato sotto forma di onde S; quattro, la spiegazione del campo

magnetico terrestre si basa sullo stato liquido del nucleo esterno, infatti, si pensa,

che questo sia dovuto a correnti elettriche circolanti all’interno della Terra e

generate in un qualche modo da movimenti idrodinamici di un liquido conduttore

presente nel nucleo; cinque, qualsiasi onda di tipo P può propagarsi efficacemente

attraverso il nucleo liquido e le prove più affidabili indicano che la loro velocità varia

in modo regolare e uniforme verso il basso a partire dal limite mantello-nucleo, per

almeno 1700 km.

10.4 Il nucleo interno51

Oltrepassati tutti gli strati, giungiamo a quello più interno, il nucleo interno. Questo,

come già visto nel capitolo 9, fu scoperto dalla danese Inge Lehmann. Prima di

questa scoperta si pensava ci fosse un solo e unico nucleo e questa era la teoria:

le prime osservazioni sismologiche fecero notare una zona d’ombra, per gli arrivi

delle onde P, oltre distanze epicentrali di 105°. Eppure, nell’emisfero opposto, a

distanze superiori ai 140°, si ritrovavano impulsi sismici sconosciuti che si

estendevano fino agli antipodi (180°). Questi era onde di tipo P ritardati di circa 5

                                                                                                               50 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 98-101

51 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 101-106

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minuti rispetto a quelli che arrivavano in superficie per le distanze da 0° a 105°.

Come si può vedere dalla figura T, c’è una calotta “illuminata” sull’altro lato della

Terra (da B a A) che viene “rischiarata” dai due tipi di onde PKP. Questa calotta, è

delimitata a 142°. Siccome, negli ultimi anni, tramite strumenti più raffinati, furono

individuate delle onde nella zona d’ombra la teoria citata sopra (di un nucleo

unitario) venne smentita. Due furono le intuizioni decisive che chiarirono questo

problema. Dapprima, la Lehmann dimostrò che l’intero andamento delle onde PKP

osservate da 105° a 180° si poteva spiegare se il nucleo era suddiviso in due strati,

uno esterno e appunto uno interno. Tutto questo fu immediatamente confermato da

Gutenberg e Richter, collaboratori all’Istituto di tecnologia della California, e

indipendentemente da Jeffrey. Questi dimostrarono che le loro informazioni

riguardanti i tempi di propagazione delle onde del nucleo si adattavano alla

perfezione all’ipotesi del nucleo doppio.

11 Densità e temperatura52

11.1 Come si ricava la densità dalle velocità sismiche53

Per prima cosa bisogna ricordare che la velocità delle onde sismiche dipende dalle

proprietà fisiche delle rocce attraverso le quali si propagano e che, appunto, una di queste

proprietà è la densità. Nonostante che, le due proprietà elastiche delle rocce, rigidità e

incompressibilità, sono sconosciute all’interno della Terra e che quindi le velocità sismiche,

da sole, non ci permettono di avere risultati solidi, è possibile ugualmente utilizzare le

variazioni della velocità sismica come guide ai cambiamenti di densità, poiché le variazioni

delle proprietà elastiche e della densità avvengono di solito contemporaneamente e sono

di simile entità. Infatti, non appena furono individuati i bruschi salti di velocità sismiche che

avvenivano tra due strati interni, l’ipotesi prevalente fu che, in corrispondenza di questi,

anche i valori della densità aumentassero. La figura T ci mostra il calcolo della densità in

una regione omogenea dell’interno terrestre.

                                                                                                               52 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 159

53 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 159-165

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FIGURA T:

FIGURA T54: Calcolo della densità in una regione omogenea dell’interno terrestre.

Un secondo aspetto è sicuramente riguardante il fatto di sapere che cosa

realmente ci dicono le densità dell’interno sulla composizione. Tutto questo però

non è per niente facile come sembra. Infatti, non è sufficiente confrontare le densità

presunte con quelle di elementi, minerali, rocce note poiché sorge una

complicazione. Questa è dovuta al fatto che all’interno della Terra le temperature e

le pressioni sono talmente alte che finora non è stato possibile misurare in

laboratorio, in condizioni appropriate, la densità delle rocce interne. Al contempo

però sono stati fatti alcuni geniali raffronti tra le velocità sismiche delle onde

osservate e le densità stimate di elementi abbondanti, come si vede nella figura U.

                                                                                                               54 Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 162

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Figura U:

Figura U55: Densità dell’interno della Terra e velocità delle onde sismiche. Da

questo grafico si può dedurre la composizione del mantello e del nucleo.

                                                                                                               55 Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 164

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11.2 Come si ricava la temperatura56

Prendendo in considerazione prove sismologiche sulla temperatura si può

concludere che, siccome le onde sismiche trasversali si propagano nel mantello, le

rocce non sono fuse. Basandosi quindi su ciò (evidenza sismiche dell’assenza di

fusione) sembra improbabile che, a una profondità di 100 km, la temperatura superi

i 1200 °C e che, alla base del mantello, sia superiore ai 5000 °C (vedi figura V).

Figura V:

Figura V57: temperatura in relazione alla profondità. La considerazione dei fattori di

incertezza attuali, sembra meglio dare un ambito di variazione plausibile, come

dato dalle linee continue.

                                                                                                               56 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 172-180

57 Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 176

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12 Sommario della sezione trasversale della Terra58

A questo punto è opportuno riassumere le principali proprietà fisiche all’interno

della Terra tramite la figura Z.

Figura Z

Figura Z 59: Curve riassuntive che illustrano la variazione media delle velocita

sismiche, della densità, della pressione e della temperatura all’interno della Terra.

                                                                                                               58 Le informazioni contenute nel seguente paragrafo sono una rielaborazione della seguente fonte: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 180-181  

59  Fonte Immagine: Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi), pag. 179

Liceo  Bellinzona                                          Lavoro  di  Maturità:  Fisica/sismologia   Anno  2011/2012  

Nicola  Pedrani     4B   46  

-CONCLUSIONE

Il percorso, intrapreso per arrivare fino alla stesura di questa conclusione, non è

stato per nulla semplice. C’è voluto tempo, forza di volontà e sicuramente impegno

per raggiungere un non così facile traguardo. Sono felice di aver terminato questo

mio lavoro di maturità, da un canto per il tempo che occupa ma sicuramente perché

è stata un’esperienza di vita. Ho imparato molte cose scrivendo queste pagine e

spero mi servano in futuro.

All’inizio non è stato facile scegliere l’argomento da approfondire e devo dire che il

tema precedente l’ho dovuto sostituire poiché le informazioni non erano sufficienti.

Lo scopo del lavoro prefissato credo che l’abbia raggiunto e spero che la lettura di

questo lavoro sia stata interessante da un punto di vista scientifico. Devo dire che

le mie aspettative sono state un po’ smentite ma quantomeno ho appreso nuovi

concetti. Grazie a questo lavoro ho potuto scoprire molte realtà nuove e

sicuramente interessanti che prima non immaginavo neppure.

Liceo  Bellinzona                                          Lavoro  di  Maturità:  Fisica/sismologia   Anno  2011/2012  

Nicola  Pedrani     4B   47  

-WEBLIOGRAFIA

• P.Augliera, “Parliamo di terremoti” http://www.dipteris.unige.it/geofisica/ITA/didattica/didattica.html sito gestito dal personale della RSNI-Regional Seismic network of Northwwestern Italy

• http://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto Autore Sconosciuto, “Terremoto”

• http://it.wikipedia.org/wiki/Faglia Autore Sconosciuto, “Faglia”

• http://it.wikipedia.org/wiki/Onde_sismiche Autore Sconosciuto, “Onde sismiche”

• http://www.raffaeledavinci.it/prevenzionesismica.htm Autore Sconosciuto, “Prevenzione sismica”

• http://www.fmboschetto.it/didattica/Anno_della_Terra/deriva/Come_muta_la_Terra.htm Autore Sconosciuto, “Come muta la Terra”

-BIBLIOGRAFIA

• Tedesco, G. (2005) : Introduzione allo studio dei terremoti, Milano, Alpha Test (Gli spilli fissano le idee. Monografie)

• Bruce A. Bolt (1986) : L’interno della terra, Come i terremoti ne rivelano la struttura, Bologna, Zanichelli (Le Ellissi)