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BIBBIA Eco dei Barnabiti 1/2016 2 «L a misericordia è il pri- mo attributo di Dio. È il nome di Dio. Non ci sono situazioni dalle quali non pos- siamo uscire, non siamo condannati ad affondare nelle sabbie mobili, dentro le quali più ci muoviamo e più andiamo giù. Gesù è lì, con la sua mano tesa, pronta ad afferrarci e a tirarci fuori dal fango, dal peccato, anche dall’abisso del male in cui sia- mo caduti. Dobbiamo soltanto pren- dere coscienza del nostro stato, esse- re onesti con noi stessi, non leccarci le ferite. Chiedere la grazia di ricono- scerci peccatori, responsabili di quel male. Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di Grazia. Gesù ci aspetta, ci precede, ci tende la mano, ha pa- zienza con noi. Dio è fedele». Queste parole, tratte dal libro-inter- vista a papa Francesco Il nome di Dio è misericordia di Andrea Torniel- li, esplicitano ancora una volta, con grande semplicità e deli- catezza, quanto sia cen- trale il messaggio della misericordia nel pontifi- cato del Santo Padre. Una centralità, del resto, annunciata e resa evi- dente sin dalla scelta del motto, Miserando atque eligendo, costantemente ribadita in ognuno dei suoi interventi e che ora culmina nella celebra- zione del Giubileo stra- ordinario, inaugurato l’8 dicembre 2015. Già nel- la Evangelii gaudium pa- pa Francesco parlava del «desiderio inesauribile» della Chiesa di «offrire misericordia, frutto del- l’aver sperimentato l’infi- nita misericordia del Pa- dre e la sua forza diffusi- va» (EG, 24) e lo slancio di questo desiderio ades- so invita ciascuno pro- prio a riscoprire il volto del Padre come volto misericordioso. Misericor- diae vultus è infatti il titolo significativo della Bolla di indizione del Giubileo; perché «Il Pa- dre, “ricco di misericordia” (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mo- sè come “Dio misericordioso e pieto- so, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura di- vina» (MV, 1). Il significato e lo scopo ultimo del Giubileo della Misericordia è proprio questo: mostrare, rivelare e testimo- niare al mondo la vera natura, il vero volto di Dio così come il Padre stesso lo ha rivelato. Il volto che anche noi, quest’anno, insieme, cercheremo di contemplare. la misura della misericordia L’annuncio della misericordia per- vade l’intera storia della salvezza, dalla rivelazione di Dio a Mosè sul monte Sinai, fondamento della Allean- za, sino ai testi profetici e salmici, che esprimono come la misericordia di Dio sia non solo legata al passato del popolo d’Israele ma costituisca il fondamento del suo presente e l’essenza della sua speranza. Anche quando l’uomo è infedele, infatti, Dio mantiene inalterata la sua fedel- tà, che è parte integrante e impre- scindibile della sua natura: «Perché sono Dio e non un uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9). La santità e il volto di Dio si manifestano nella sua misericordia. La sua collera non dura per sempre (cf. Sal 30,6), perché l’amore con il quale Egli si fa incon- tro all’uomo supera di gran lunga la misura del suo peccato. Come dice san Giovanni Crisostomo: «Dio è un giudice che non sa calcolare esatta- mente i peccati e ne ignora molti». Il metro del Padre non è infatti quello della giustizia retributiva, ma quello dell’amore. È l’amore a ristabilire la giustizia. E il cuore di Dio è «un cuo- re di Padre che va al di là del nostro piccolo concetto di giustizia per aprirci agli orizzonti sconfinati della sua misericordia. Un cuore di Padre che non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Papa Francesco, Udienza generale 3 febbraio 2016); infatti «Forse che io ho piacere della morte del malvagio […] o non piutto- IL NOME DI DIO È MISERICORDIA Con questo primo intervento, il biblista p. Giuseppe Dell’Orto ci accompagnerà durante quest’anno di grazia a scoprire Il significato e lo scopo ultimo del Giubileo della Misericordia: mostrare, rivelare e testimoniare al mondo la vera natura, il vero volto di Dio così come il Padre stesso lo ha rivelato.

IL NOME DI DIO È MISERICORDIA - barnabiti.net · BIBBIA 2 Eco dei Barnabiti 1/2016 «L a misericordia è il pri- mo attributo di Dio. È il nome di Dio. Non ci sono situazioni dalle

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BIBBIA

Eco dei Barnabiti 1/20162

«L a misericordia è il pri-mo attributo di Dio. Èil nome di Dio. Non ci

sono situazioni dalle quali non pos-siamo uscire, non siamo condannatiad affondare nelle sabbie mobili,dentro le quali più ci muoviamo epiù andiamo giù. Gesù è lì, con lasua mano tesa, pronta ad afferrarci e

a tirarci fuori dal fango, dal peccato,anche dall’abisso del male in cui sia-mo caduti. Dobbiamo soltanto pren-dere coscienza del nostro stato, esse-re onesti con noi stessi, non leccarcile ferite. Chiedere la grazia di ricono-scerci peccatori, responsabili di quelmale. Più ci riconosciamo bisognosi,

più ci vergogniamo e ci umiliamo,più presto veniamo inondati dal suoabbraccio di Grazia. Gesù ci aspetta,ci precede, ci tende la mano, ha pa-zienza con noi. Dio è fedele».Queste parole, tratte dal libro-inter-

vista a papa Francesco Il nome diDio è misericordia di Andrea Torniel-li, esplicitano ancora una volta, con

grande semplicità e deli-catezza, quanto sia cen-trale il messaggio dellamisericordia nel pontifi-cato del Santo Padre.Una centralità, del resto,annunciata e resa evi-dente sin dalla scelta delmotto, Miserando atqueeligendo, costantementeribadita in ognuno deisuoi interventi e che oraculmina nella celebra-zione del Giubileo stra-ordinario, inaugurato l’8dicembre 2015. Già nel-la Evangelii gaudium pa-pa Francesco parlava del«desiderio inesauribile»della Chiesa di «offriremisericordia, frutto del-l’aver sperimentato l’infi-nita misericordia del Pa-dre e la sua forza diffusi-va» (EG, 24) e lo slanciodi questo desiderio ades-so invita ciascuno pro-prio a riscoprire il voltodel Padre come voltomisericordioso. Misericor-diae vultus è infatti il titolo significativo dellaBolla di indizione delGiubileo; perché «Il Pa-

dre, “ricco di misericordia” (Ef 2,4),dopo aver rivelato il suo nome a Mo-sè come “Dio misericordioso e pieto-so, lento all’ira e ricco di amore e difedeltà” (Es 34,6), non ha cessato difar conoscere in vari modi e in tantimomenti della storia la sua natura di-vina» (MV, 1).

Il significato e lo scopo ultimo delGiubileo della Misericordia è proprioquesto: mostrare, rivelare e testimo-niare al mondo la vera natura, il verovolto di Dio così come il Padre stessolo ha rivelato. Il volto che anche noi,quest’anno, insieme, cercheremo dicontemplare.

la misura della misericordia

L’annuncio della misericordia per-vade l’intera storia della salvezza,dalla rivelazione di Dio a Mosè sulmonte Sinai, fondamento della Allean-za, sino ai testi profetici e salmici,che esprimono come la misericordiadi Dio sia non solo legata al passatodel popolo d’Israele ma costituiscail fondamento del suo presente el’essenza della sua speranza. Anchequando l’uomo è infedele, infatti,Dio mantiene inalterata la sua fedel-tà, che è parte integrante e impre-scindibile della sua natura: «Perchésono Dio e non un uomo; sono ilSanto in mezzo a te e non verrò date nella mia ira» (Os 11,9). La santitàe il volto di Dio si manifestano nellasua misericordia. La sua collera nondura per sempre (cf. Sal 30,6), perchél’amore con il quale Egli si fa incon-tro all’uomo supera di gran lunga lamisura del suo peccato. Come dicesan Giovanni Crisostomo: «Dio è ungiudice che non sa calcolare esatta-mente i peccati e ne ignora molti». Ilmetro del Padre non è infatti quellodella giustizia retributiva, ma quellodell’amore. È l’amore a ristabilire lagiustizia. E il cuore di Dio è «un cuo-re di Padre che va al di là del nostropiccolo concetto di giustizia peraprirci agli orizzonti sconfinati dellasua misericordia. Un cuore di Padreche non ci tratta secondo i nostripeccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Papa Francesco,Udienza generale 3 febbraio 2016);infatti «Forse che io ho piacere dellamorte del malvagio […] o non piutto-

IL NOME DI DIO È MISERICORDIACon questo primo intervento, il biblista p. Giuseppe Dell’Orto ci accompagnerà durantequest’anno di grazia a scoprire Il significato e lo scopo ultimo del Giubileo della Misericordia:mostrare, rivelare e testimoniare al mondo la vera natura, il vero volto di Dio così come il Padrestesso lo ha rivelato.

sto che desista dalla sua con-dotta e viva?» (Ez 18,23). «Mi-sericordia non sta contro ilmessaggio della giustizia. Nel-la sua misericordia Dio trattie-ne piuttosto la sua giusta ira,anzi trattiene se stesso, e lofa per dare all’uomo un’altrapossibilità di convertirsi. Lamisericordia di Dio concede alpeccatore una proroga, e vuo-le la sua conversione; essa è infondo una grazia che mira allaconversione… La misericordiaè la giustizia fattiva e creativadi Dio» (W. Kasper).La misericordia, in altri ter-

mini, non si limita a rimetterele cose a posto (come se nullafosse successo), ma ri-crea, ri-stabilisce l’armonia della crea-zione, dell’originario progettodi Dio, apre una nuova e ine-dita possibilità di vita. Ed è quanto viene mirabilmentecantato da Davide nel Misere-re, là dove l’uomo si rivela ca-pace di dire e riconoscere tut-ta la verità su stesso perché sa– nel contempo – riconoscereed abbandonarsi all’infinito,eterno e fedele amore con cui Diol’ha guardato e lo guarda.A questo volto siamo chiamati dun-

que a guardare per assumerne a nostravolta le fattezze: «Vivere la misericor-dia vuol dire riflettere nel proprio esse-re qualcosa del volto di Dio, viverel’immagine e somiglianza con Lui perla quale l’uomo è fatto, vivere da figliperché il figlio assomiglia al padre»(P. Rota Scalabrini).

dalla totalità del peccato …

«Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;/ nella tua grande misericordia / can-cella la mia iniquità. Lavami tutto dal-la mia colpa, / dal mio peccato ren-dimi puro» (Sal 51,3-4).L’apertura del Salmo ci pone da-

vanti a una serie di termini impor-tanti. Prima di tutto la terminologiadel peccato, descritto con tre diversivocaboli.Il primo, in ebraico pesha’, indica

propriamente la «ribellione» (resodalla CEI con «iniquità»). Contienein modo accentuato l’idea di ostilitàe rancore. Usato nei confronti diDio, presuppone che fra Dio e l’uo-mo vi sia un legame, un’alleanza,

un patto, di cui il peccato è rottura,infedeltà, trasgressione. Il suo usoreligioso inizia nel libro dell’Esodo erichiama in particolare le grandi in-fedeltà d’Israele. La sua nota più sa-liente è la ingratitudine: «Udite, ocieli, ascolta, o terra, perché il Signo-re parla: ho allevato dei figli e li horesi grandi, ma si sono ribellati con-tro di me. Il bue conosce il suo pa-drone, e l’asino la greppia del suopossessore: Israele invece non miconosce, il mio popolo non com-prende» (Is 1,2-3).Il secondo, in ebraico ‘awôn («col-

pa»), deriva dalla radice ‘wh che si-gnifica «torcere». Il peccato, allora èla «distorsione» di ciò che è retto.Non indica tanto l’atto della trasgres-sione quanto piuttosto la situazionedel peccatore: situazione disordinatae meritevole di pena. Il suo sensoprimitivo contiene probabilmentel’immagine di una cosa contorta,piegata, schiacciata sotto un peso (cf.Sal 38,5: «le mie colpe mi schiaccia-no il capo, gravano su di me comeun pesante fardello»).Infine, il terzo vocabolo, chatta’

(«peccato», ripetuto ben 6 volte al-l’interno del Salmo) che deriva dal

verbo chata’, il cui significatooriginario è quello di «manca-re il bersaglio», oppure «venirmeno, non raggiungere» e insenso traslato «trasgredire, an-dare fuori strada». Come si ve-de, il senso fondamentale èquello di «azione mancata»: èla posizione di chi sbagliastrada o bersaglio, e quindiperde lo scopo. Tale senso ri-mane anche quando il voca-bolo è trasportato sul pianoetico: il peccato è uno sba-gliare direzione, un venir me-no, un perdere.Scrive Luciano Manicardi: «i

tre termini mostrano le diversemaniere del peccare umano:

– peccato è ribellione, rivol-ta, rottura dell’alleanza, disob-bedienza (pesha’);– peccato è deviazione, tra-

viamento, perversione (‘awôn);– peccato è fallimento, in-

successo, smarrimento, perdi-zione (chatta’)».

Poiché la meta (la vocazio-ne) dell’uomo, di ogni uomo èquella di essere «a immagine

e somiglianza di Dio» (cf. Mt 5,48:«Voi, dunque, siate perfetti come /perché è perfetto il Padre vostro cele-ste»), il peccato appare come unospegnere il proprio dinamismo versola pienezza di Cristo, un mortificarela propria natura, la propria vocazio-ne, la propria maturazione.«Questa piena e totale confessione

è un atto di grande sapienza, perchéè un atto di verità (1Gv 1,8) … ilpeccatore se lo pone davanti (v. 5;Sal 32,5), non per abbandonarsi alladepressione, ma per “riconoscere” inprofondità la sua condizione biso-gnosa di salvezza» (P. Bovati).L’immensità della colpa viene dun-

que chiaramente riconosciuta, macontemporaneamente messa in rap-porto fiducioso con l’abisso delcuore misericordioso di Dio (cf. Ger31,20), percorrendo l’intera gammadella terminologia con cui nell’Anti-co Testamento si descrive la miseri-cordia di Dio verso la sua creatura.Anzi, la confessione del Nome delDio misericordioso e compassione-vole precede la confessione delpeccato. In altri termini, il perdonoprecede e fonda il pentimento, nonviceversa!

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Eco dei Barnabiti 1/2016 3

Girolamo dai Libri - Capolettera del Salmo 51

alla totalità dell’amore!

(Abbi) pietà di me (chonneni): opiù precisamente «fammi grazia».Nel verbo chanan significa essere be-

nevolo e dimostrarsi benevolo, a par-tire dal significato-base del termine,e cioè “leggiadria”. È il bene che simanifesta in modo leggiadro, con le-vità. La richiesta è dunque che il Si-

gnore si mostri lieve, benevolo, cle-mente. «Se ho trovato grazia ai tuoiocchi» è espressione frequentissimanell’Antico Testamento, spesso con-nessa all’umiltà con la quale ci si ri-conosce in posizione di inferiorità esi fa domanda (o si ringrazia) dellabenevolenza altrui. Ha come notaessenziale la gratuità del gesto divi-no. [Illuminante, in questo senso, lavicenda di Esaù e Giacobbe. Que-st’ultimo trova infine il coraggio didire al fratello «se ho trovato graziaai tuoi occhi, accetta dalla mia manoil mio dono, perché io sto alla tuapresenza, come davanti a Dio, e tumi hai gradito» (Gn 33,10). Giacob-be menziona qui e altre due volte(vv. 8.15) quella grazia/chen trovataagli occhi di Esaù e non può non ri-collegarla alla benevolenza/chananche lui stesso ha così abbondante-mente appena ricevuto da Dio. Pro-prio la benevolenza di cui è stato og-getto lo ha reso capace di deporreogni rancore ed ogni risentimento. Lagrazia si riceve gratuitamente e gra-tuitamente si dona].Nel tuo amore (ke hasde-ka): più

correttamente «secondo la tua tene-rezza». Il termine chesed, infatti, ag-giunge al concetto di “benevolenza”una sfumatura più profonda. Desi-gna, infatti, innanzitutto un atto con-creto, un sentimento che si traducein azione, «un profondo atteggia-mento di “bontà”. Quando esso siinstaura tra due uomini, questi sononon soltanto benevoli l’uno versol’altro, ma al tempo stesso recipro-camente fedeli in forza di un impe-gno interiore» (Dives in misericordia, 4n. 52). È dunque bontà costante efedele, bontà cosciente, voluta; rispo-sta a un dovere interiore, fedeltà a sestesso. «Perché il suo amore è persempre» (ki le-’olam chasdô), cantail salmista per ben 26 volte, comeun ritornello (Sal 136). Se è vero chela chesed divina è gratuita, non mo-tivata giuridicamente, ma frutto diun atto puramente benevolo, è al-trettanto vero che essa è “fedele”,cioè duratura.Nella tua grande misericordia (ra-

chane-ka). Nel testo originale trovia-mo un termine di difficile resa in ita-liano: rachamim che indica propria-mente «le viscere materne». Dunque,un vocabolo profondamente maternoe indica la capacità di portare qual-cuno dentro, di immedesimarsi in

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 1/20164

Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, Il ritorno del figliol prodigo, SanPietroburgo, Museo dell’Ermitage (particolare)

una situazione così da viverla nellapropria carne, da soffrirne o godernecome di cosa propria. Il Card. Marti-ni ne proponeva questa bella para-frasi: «secondo la tua grande passio-ne per l’uomo, abbi misericordia, oDio». È il termine della tenerezzamaterna di Dio. «Di questo amore sipuò dire che è totalmente gratuito,non frutto di merito, e che sotto que-sto aspetto costituisce una necessitàinteriore: è un’esigenza del cuore …rahamim genera una gamma di sen-timenti, tra i quali la bontà e la tene-rezza, la pazienza e la comprensio-ne, cioè la prontezza a perdonare.L’Antico Testamento attribuisce al Si-gnore appunto tali caratteri, quandoparla di lui servendosi del termine ra-hamim. Leggiamo in Isaia: «Si di-mentica forse una donna del suobambino, così da non commuoversiper il figlio del suo seno? Anche seci fosse una donna che si dimenti-casse, io invece non ti dimenticheròmai» (Is 49, 15)» (Dives in misericor-dia, 4 n. 52).Il Sal 51, dunque, non è tanto un’av-

vilente meditazione sul peccato del -l’uomo, quanto piuttosto un cantodella misericordia e dell’amore diDio; solo di fronte a questo amore èpossibile davvero parlare del nostropeccato e comprenderlo, senza piùdisperare, come ricorda ancora laDives in misericordia: «In tal modo,ereditiamo dal Primo Testamento – chesi compirà nella persona del Cristo,volto misericordioso del Padre –, unaspecifica, ovviamente antropomorfi-ca, “psicologia di Dio”: la trepidanteimmagine dell’amore, che a contattocon il male e, in particolare, con ilpeccato dell’uomo e del popolo, simanifesta come misericordia».

conclusione

Ecco dunque che sin dall’inizio, eper tutto il suo prosieguo, il Salmo sipresenta come un testo di confessio-ne e di lode. Al v. 5 si legge infatti:«Sì, le mie iniquità io le riconosco, / ilmio peccato mi sta sempre dinanzi».Il verbo «riconoscere» in ebraico èjada’, da cui deriva un termine parti-colare: tôdah. Etimologicamente, ilvocabolo significa «confessione».Come in latino (confiteor), così an-che in italiano si può usare il termine«confessare / confessione» in unaduplice accezione: in riferimento al-

la propria fede (e allora diventa sino-nimo di professare), o in riferimentoai propri peccati, e allora ha il sensopiù comune di «confessione». Lostesso avviene per l’ebraico: riferitoa YHWH sta per la professione di lo-de e si riferisce sempre a un’azioneche Dio ha compiuto nei riguardi dicolui che così si esprime. «La profes-sione è lode a Dio come risposta alsuo agire che salva, esaudisce e libe-ra» (Westermann). Riferito a un ter-mine designante la colpevolezzadell’uomo, il verbo significa che il

soggetto ammette, confessa il pro-prio peccato.Il riconoscimento sincero delle

proprie colpe è dunque strettamenteconnesso al riconoscimento dell’infi-nito, tenero, fedele amore di Dio perla sua creatura. Se lo sguardo è fissa-to direttamente sul peccato, è peròalla luce della misericordia divinache lo si considera, e lo si affida allapremurosa misericordia di Dio: «co-me il cielo: noi guardiamo tante stel-le, ma quando viene il sole al matti-no, con tanta luce, le stelle non si ve-

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 1/2016 5

Sieger Köder, Nelle mani di Dio

dono. Così è la misericordia di Dio:una grande luce di amore, di tene-rezza, perché Dio perdona non conun decreto ma con una carezza»(Papa Francesco).È proprio la certezza del perdono

a suscitare le condizioni perchél’uomo possa riconoscere la suacolpa. Il perdono è la condizioneche permette di riscoprire sempre esempre di nuovo di essere avvoltida un amore fedele, che mai viene

meno, qualsiasi ferita si sia staticapace di infliggere a Dio con lapropria infedeltà. Rivolgendosi alDio che è misericordia l’uomo sa e riconosce che in Lui vi è già ilperdono.«La misericordia non è un obbli-

go. Scende dal cielo come il refri-gerio della pioggia sulla terra. Èuna doppia benedizione: benedicechi la dà e chi la riceve. È più po-tente nei più potenti. Al monarca

sul trono essa si addice meglio del-la sua corona. Lo scettro di lui mo-stra la forza del potere terreno, è ilsegno della riverenza e l’attributodella maestà. Ma la misericordia èpiù in alto del dominio scettrato,essa ha trono nel cuore dei re, è unattributo di Dio stesso» (W. Shake-speare», Il mercante di Venezia, At-to IV, Scena I).

Giuseppe Dell’Orto

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 1/20166

MISERICORDIA E MISTERO PASQUALE

Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed attuazione della misericordia, che è capace digiustificare l’uomo, di ristabilire la giustizia nel senso di quell’ordine salvifico che Dio dal principioaveva voluto nell’uomo e, mediante l’uomo, nel mondo. Cristo sofferente parla in modo particolareall’uomo, e non soltanto al credente. Anche l’uomo non credente saprà scoprire in lui l’eloquenza dellasolidarietà con la sorte umana, come pure l’armoniosa pienezza di una disinteressata dedizione allacausa dell’uomo, alla verità e all’amore. La dimensione divina del mistero pasquale giunge, tuttavia,ancor più in profondità. La croce collocata sul Calvario, su cui Cristo svolge il suo ultimo dialogo colPadre, emerge dal nucleo stesso di quell’amore di cui l’uomo, creato ad immagine e somiglianza diDio, è stato ratificato secondo l’eterno disegno divino. Dio, quale Cristo ha rivelato, non rimane soltantoin stretto collegamento col mondo, come creatore e ultima fonte dell’esistenza. Egli è anche Padre: conl’uomo, da lui chiamato all’esistenza nel mondo visibile, è unito da un vincolo ancor più profondo diquello creativo. È l’amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre,Figlio e Spirito Santo. Infatti, colui che ama desidera donare se stesso. La croce di Cristo sul Calvariosorge sulla via di quel meraviglioso scambio, di quel mirabile comunicarsi di Dio all’uomo, in cui è altempo stesso contenuta la chiamata rivolta all’uomo, affinché, donando se stesso a Dio e con sé tutto ilmondo visibile, partecipi alla vita divina, – e affinché come figlio adottivo divenga partecipe della veritàe dell’amore che è in Dio e che proviene da Dio. Proprio sulla via dell’eterna elezione dell’uomo alladignità di figlio adottivo di Dio, sorge nella storia la croce di Cristo, Figlio unigenito, che, come «luceda luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), è venuto a dare l’ultima testimonianza della mirabile alleanzadi Dio con l’umanità, di Dio con l’uomo, con ogni uomo. Questa alleanza, antica come l’uomo – risaleal mistero stesso della creazione – e ristabilita poi più volte con un unico popolo eletto, è ugualmentel’alleanza nuova e definitiva, stabilita là, sul Calvario, e non limitata ad un unico popolo, ad Israele, maaperta a tutti e a ciascuno.Che cosa dunque ci dice la croce di Cristo, che è, in un certo senso, l’ultima parola del suo messaggio e

della sua missione messianica? Eppure, questa non è ancora l’ultima parola del Dio dell’alleanza: essa saràpronunciata in quell’alba, quando prima le donne e poi gli apostoli, venuti al sepolcro di Cristo crocifisso,vedranno la tomba vuota e sentiranno per la prima volta l’annuncio: «È risorto». Essi lo ripeteranno agli altrie saranno testimoni del Cristo risorto. Tuttavia, anche in questa glorificazione del Figlio di Dio continua adesser presente la croce, la quale – attraverso tutta la testimonianza messianica dell’Uomo-Figlio, che su diessa ha subito la morte – parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al suoeterno amore verso l’uomo, poiché «ha tanto amato il mondo – quindi l’uomo nel mondo – da dare il suoFiglio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Credere nel Figlio croci-fisso significa «vedere il Padre», significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore èpiù potente di ogni genere di male in cui l’uomo, L’umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amoresignifica credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suosecondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti dellarealtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo«perire nella Geenna».

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica “Dives In Misericordia”, Cap. V, 7

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Eco dei Barnabiti 4/2015

ESOTERISMO - 1 – Esoterico è un termine familiareal linguaggio sapienziale dell’antichità, indicante ciòche sta all’interno (in greco: “eso”) e si contrappone aciò che sta all’esterno (in greco: “exo”), da cui exotericoo anche essoterico. Non ci stupisce di conseguenza ilfatto che questi termini si ritrovino nel magistero degliantichi Padri. In un breve trattato cristiano risalente allafine del ’300, leggiamo un’espressione che può risul-tarci singolare: «mistagogia esoterica». È di GregorioNisseno (c. 335-395), uno dei più profondi teologidell’età patristica, che ne scrive in un immaginariodialogo con la defunta sorella Macrina (L’anima e larisurrezione). Egli parla di quanti fanno ingresso nel«tempio di Dio» e afferma come «fra coloro che vientrano grazie alla professione di fede, vengono prefe-riti quelli che si sono purificati con aspersioni e altrepratiche purificatorie; e fra questi ultimi, si distinguonocoloro che si sono consacrati – al termine del catecu-menato, concluso con il battesimo e la cresima, cheabbraccia l’iniziazione exoterica – in modo da essereritenuti degni della mistagogia esoterica». Si allude inquesto testo alle scansioni dell’esperienza iniziaticaconducente alla progressiva penetrazione del mistero,e cioè dell’esperienza facente capo alla rivelazionecristiana: la professione di fede, la celebrazione batte-simale, la consacrazione crismale.Ciò fatto, l’animo si apre alla conoscenza esperien-

ziale degli aspetti interiori e profondi della propriafede, che, lo si intuisce, culminano con l’eucaristia.Infatti «dopo il catecumenato e la celebrazione deisacramenti dell’iniziazione, c’è il tempo della cate-chesi ai neofiti e cioè della mistagogìa – quando si ècondotti (“-agogia”) alla penetrazione del “mistero(“mist-”) –, per rivelare loro il senso nascosto e vitaledei riti celebrati. All’inizio, questa catechesi era fattadal vescovo, normalmente durante la settimana cheprolunga la Veglia e la festa di Pasqua. In questo modo,la catechesi rituale si fonda sull’esperienza già vissutanella celebrazione, per evidenziarne la portata in tut-ta l’esistenza cristiana. Sotto questo profilo, la cate-chesi eucaristica, evidentemente, occupa un postoprivilegiato nella mistagogia. A ogni modo, era questala situazione durante i secoli “dell’età d’oro” dell’ini-ziazione sacramentale dei battezzati adulti (IV e V secolo). Molti grandi vescovi e catecheti di quel-l’epoca hanno anche prodotto alcune Catechesi mista-gogiche, assai note».Facendo un balzo di secoli, ascoltiamo lo studioso

contemporaneo più accreditato in materia, il celebre“iniziato” René Guénon (1886-1951): «...Lungi dall’es-sere solo la religione o la tradizione exoterica – ossialegata alla ritualità nel suo aspetto esteriore – che siconosce attualmente, il cristianesimo delle origini aveva,

in forza dei suoi riti e della sua dottrina, un carattereessenzialmente esoterico e quindi iniziatico». Di con-seguenza egli parla di «esoterismo cristiano» e non di«cristianesimo esoterico», perché – precisa – «non sitratta per niente di una speciale forma di cristianesimo,ma dell’aspetto “interno” della tradizione cristiana». Inrealtà, l’accento va posto, come vedremo, non su eso-terismo ma su cristianesimo.La tradizione cristiana conosce dunque l’aggettivo

esoterico, come qualifica di un aspetto e di una dimen-sione della dottrina e della prassi religiosa; aggettivoche però nell’accezione corrente ha finito con l’indi-care una branca a sé stante del sapere e dell’agireumano, una sorta di super-religione. Ne segue che«la questione dell’esoterismo cristiano è una di quelleche, ai nostri giorni, sembra presentare delle enormidifficoltà, sia in ordine alla sua importanza in seno alcristianesimo, sia in relazione alla sua stessa esistenza,soprattutto ove si pensi che negli ultimi secoli si è anda-ta sempre più affermando la strana idea che esso nonsarebbe mai potuto esistere».Accingiamoci dunque a scandagliare questo capito-

lo, una volta familiare e ora pressoché inedito dellatradizione cristiana. Infatti «il cristianesimo è esoterico,essendo un messaggio d’interiorità: per esso la virtùinteriore prevale sull’osservanza esteriore» o, permeglio dire, l’esoterismo cristiano «è l’insieme dei sim-boli – ritualità liturgiche, formulazioni dogmatiche, pre-cettistica morale, aspetti istituzionali e disciplinari, ecc. –in quanto esprimono o manifestano» il mistero rivelato,poiché, come è stato affermato, «il compito del Cristostorico è di risvegliare e di attuare il Cristo interiore».L’attualità della nostra indagine è legata anche

all’esplosione delle «nuove religioni» a carattere mar-catamente esoterico e gnostico. Un testimone degli«smarrimenti» e delle ricerche che segnano oggi ilcammino dell’anima, Jacob Needleman, ravvisa in talefenomeno, di dimensioni ormai planetarie, «l’urgenzadi portare all’aperto quello che era nascosto». E preci-sa: «A tal riguardo il problema è immenso. Il nascosto,il segreto, l’esoterico si riferiscono non a ciò che è eso-tico e bizzarro ma alla parte profonda dell’uomo, laparte che in noi è ricoperta dalle emozioni dell’io. Pertoccare questa parte nascosta è necessario un certolinguaggio... che obbedisca a una logica spirituale,incomprensibile alla mente exoterica. [...] Come fareappello, nello stesso tempo, sia all’io che all’ignotoche è in noi?». E conclude affermando che «scritticome La nube della non-conoscenza o la Filocalia sono“l’Oriente” della tradizione cristiana, che corrispondo-no all’“Oriente” che è all’interno della nostra natura».

Antonio Gentili

Vocabolario ecclesiale

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Eco dei Barnabiti 1/2016 7