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Il fumetto fra pedagogia e racconto

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Manuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca Il fumetto a… scuola! Non più un piacere segreto di cui vergognarsi e da consultare di nascosto, ma un utile strumento didattico-pedagogico. Fugando ogni dubbio sul valore dei comics, Gianna Marrone ci dimostra in che modo e perché nella nostra scuola dovrebbe essere introdotta la lettura dei fumetti. L’Autrice ci porta per mano nel paese della Pimpa e di Calvin & Hobbes, delle Witch e di Pinky, e ci spiega come, invece che contrastare la crescita dei bambini, la lettura dei fumetti costituisca uno stimolo fondamentale per lo sviluppo della loro personalità.

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Gianna Marrone

Il fumetto fra pedagogia e raccontoManuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca

Prefazione di Marco Pellitteri

Lapilli. Culture 5

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Questo testo è l’edizione completa, rive-

duta e aggiornata del libro Leggere a

fumetti, Roma, Seam, 1996

I edizione: dicembre 2005

II edizione: settembre 2009

Copyright © Tunué Srl

Via Bramante 32

04100 Latina – Italy

www.tunue.com

[email protected]

Diritti di traduzione, riproduzione

e adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN 88-89613-02-5

ISBN-13 GS1 978-88-89613-02-3

Progetto grafico e copertina:

Daniele Inchingoli © Tunué

Stampa e legatura:

Andersen

Pubblicità e Marketing

Via Brughera IV

28010 Frazione Piano Rosa – Boca (NO)

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Prefazione di Marco Pellitteri VII

Premessa 3

I – LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO 7I.1 I linguaggi della comunicazione 7I.2 Il libro a stampa 10I.3 La letteratura per l’infanzia 12I.4 Ascoltare, guardare, leggere 16I.5 La fiaba, depositaria dell’oralità primaria 18I.6 La letteratura a fumetti 26I.7 Albi, giornalini e fumetti 28

II – I LUOGHI DEL FUMETTO 31II.1 Leggere nelle strisce 31II.2 I luoghi del fumetto 32II.3 Linee storiche 35II.4 Fumetti e giornalini 44

III – FUMETTO E COMUNICAZIONE 47III.1 I codici del fumetto 47III.2 Il messaggio culturale 49III.3 I ruoli sociali 55

III.3.1 Da 3 a 6 anni 60III.3.2 Da 6 a 8 anni 61III.3.3 Da 9 a 11 anni 62III.3.4 Da 12 a 14 anni 62

III.4 Il fumetto in biblioteca 65

INDICE

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III.5 Raccontare con le immagini 69

IV – TRAME E STRISCE 73IV.1 Il fumetto va a scuola 74IV.2 Quali fumetti a scuola? 77IV.3 Il fumetto parla tre lingue 82IV.4 Vignetta, striscia, storia 88IV.5 Dentro i contorni della vignetta 94IV.6 Leggere per il piacere di leggere 99IV.7 Esprimersi con i sensi 105IV.8 Costruire con le mani 112IV.9 Animare immagini e parole 115

DUE NOTE A GUISA DI CONCLUSIONE 119

APPENDICE 121Corrierino (già Corriere dei piccoli) 124Dylan Dog – L’indagatore dell’incubo 126Il Giornalino – Il grande giornale dei ragazzi 128Linus – Rivista di fumetti e altro 129Lupo Alberto 131Topolino 132L’Uomo Ragno (Spider-Man) 133

Bibliografia 137

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Prefazionedi Marco Pellitteri

Il mondo accademico è piuttosto strano. La riforma dell’università vista aggiungendo altre anomalie, analogamente a quanto è già avvenutoper quelle toccate alla scuola. Ma l’università è strana già di suo. Fra lemille stranezze del mondo accademico v’è quella di procedere per quel-li che dagli anni Sessanta si suole chiamare «paradigmi»: argomenti fati-cosamente proposti da ricercatori «pionieri» che, con fatica, salgonoun’ideale china e, per insistente pressione progressiva verso l’alto, apoco a poco ricevono attenzione anche dall’establishment accademico,cambiando l’assetto dei paradigmi in vigore e creandone degli altri, chesolo col senno di poi verranno percepiti come scientificamente più cor-retti o completi rispetto a quelli precedenti.Chi, per amore della conoscenza e con una nitida sicurezza della

necessità culturale di indagare determinate tematiche, si dedica a temi distudio verso i quali le posizioni di potere dell’accademia sono magaripoco ben disposte, ebbene chi svolge questo lavoro controcorrente è ilpiù delle volte di età giovanile, agli esordi della sua eventuale carriera diricerca; e malgrado tutto sceglie la via più difficile, non si sa se per quel-la che dall’esterno e forse con superficialità può essere definita «follia»o «scarso senso pratico» o invece se per quello che i più romanticipotrebbero definire «fuoco sacro della scienza», «passione», «coerenzaintellettuale». Forse per una mistura di tutto ciò. Sta di fatto che in moltetradizioni scientifiche chi sussurra «eppur si muove» non è detto cheincontri subito il favore dell’ambiente accademico.Oggi il fumetto è ancora, in folti settori dell’università e in certo

mondo educativo, uno di quegli argomenti che spesso suscitano indiffe-renza o ilarità. Esistono ambienti di lavoro, naturalmente, che favorisco-no o almeno tollerano lo studio di temi oggi considerati ancora anticon-venzionali. Questi ambienti sono per lo più le facoltà di Scienze della

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PREFAZIONEVIII

comunicazione e alcuni settori della sociologia, della psicologia e del-l’antropologia culturale, serbatoi di strategie di ricerca più aperte alnuovo e in cui sono trattate questioni altrove trascurate. Si pensi ai dipar-timenti di semiologia di varie università e alla Scuola superiore di studiumanistici di Bologna, all’Osservatorio sulla comunicazione e allo IULMdi Milano, al Dipartimento di sociologia e comunicazione dellaSapienza di Roma, all’ateneo salernitano e ad altri che non nomino perbrevità, ma che meriterebbero menzione per il fatto di avere affrontatoil fumetto con competenza e sotto i più vari approcci disciplinari. Ma inaltri ambienti è più difficile fare accettare la realtà evidente che il fumet-to è un tema da studiare non perché solletichi l’entusiasmo di questo oquel ricercatore, ma in quanto forma d’espressione e comunicazione frale più potenti del XX secolo, al punto che tutte le sue peculiarità e i suoilinguaggi costitutivi si sono riversati in molti altri veicoli mediatici e/oespressivi quali il cinema, il videogioco, la televisione, i telefoni cellu-lari, i computer domestici, l’internet, i manuali d’istruzioni, i romanzi,la pubblicità, i videoclip musicali.Pensare, nel XXI secolo, che il fumetto sia un semplice insieme di figu-

rine per bambini poco scaltri è uno dei più colossali errori che possanoriguardare la riflessione sulla comunicazione del nostro tempo. Il fumet-to, come ambiente di senso complesso, è penetrato nella vita di chiunqueusi i media sopra citati e dunque, che vi piaccia o no, nella vita dei vostrifigli. Dal momento in cui il vostro pargolo è stato capace di maneggiaregli oggetti, che si trattasse del mouse del vostro PC o del telecomando deltelevisore, è stato anche in grado di prendere fra le dita l’albo a fumettiche voi, proprio voi, gli avete acquistato in edicola. All’inizio è statoTopolino e ancora il vostro batuffolo di ciccia e borotalco forse non sape-va nemmeno leggere; poi è toccato ai fumetti dei supereroi e alle lorofantasie di potenza; in seguito probabilmente vostro figlio stesso, neglianni dell’adolescenza, è passato a comprare fumetti avvincenti e spessomolto ben fatti ma dalle apparenze per voi repellenti come i manga, cioèi fumetti giapponesi; oppure se n’è allontanato, affascinato adesso dalleragazze e dai videogiochi. Ma gli sarà impossibile, per il resto della vita,dimenticare le emozioni, i linguaggi e le strategie comunicative delfumetto, perché senza nemmeno accorgersene coscientemente (o forse sì,

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PREFAZIONE IX

e questo è un quesito che da solo meriterebbe un libro a sé) se li ritrovanell’interfaccia grafica del telefonino o del lettore musicale MP3, nellesuggestioni dinamiche dei film d’azione hollywoodiani e nei coloratispot pubblicitari in televisione. Il fumetto insomma è comunicazione –quindi cultura, il più delle volte popolare ma di frequente anche «alta» –e parti di esso sono presenti in moltissime manifestazioni del mondo deimass media e della narratività, che essa sia verbale o audiovisiva. E ilfumetto è, nella sua fusione perfetta di disegni in sequenza, eventi, dialo-ghi, simboli iconici, un linguaggio estremamente duttile a fini educativi.Nel suo basarsi sull’immagine il fumetto, come Gianna Marrone oppor-tunamente nota in questo libro, è in perfetta sintonia con la mentalitàinfantile, che si trova benissimo nel confrontarsi con tutto ciò che è visi-vo, ben più che con la parte verbale della comunicazione.C’è un vecchio e ormai introvabile libro al quale qui mi rifarò per

diverse citazioni. Quel volume sembra scritto ieri e questo può darel’idea di quanto poco sia cambiata in trent’anni la mentalità di chi gesti-sce la scuola, nonostante il faticoso ma frammentario ingresso negli ulti-mi tempi di una nuova generazione di docenti. Per esempio quando sichiama in causa la responsabilità

non solo degli editori e degli intellettuali preposti a tirare le fila della diffusio-

ne e della qualificazione dei mezzi di comunicazione di massa, ma anche degli

educatori, che [nella prima metà del Novecento, ma anche dopo] non capirono

quanto sarebbe stato utile dentro le pareti scolastiche un discorso educativo che

avesse come argomento il fumetto. [Marco Dallari – Roberto Farné, Scuola e

fumetto. Proposte per l’introduzione nella scuola del linguaggio dei comics,

Milano, Emme Edizioni, 1977, p. 11]

Usare il fumetto con i bambini a fini didattici e di accrescimento cul-turale è non solo qualcosa di auspicabile, ma forse anche di necessario.In quanto il fumetto, proprio perché presente in vario modo un po’ ovun-que nel mondo dei media – anche se i più distratti proprio non voglionoavvedersene – costituisce per certi aspetti un filtro ambientale, unmodello grazie al quale è possibile una più consapevole lettura degli altrimedia.

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PREFAZIONEX

Come si può vedere, siamo quindi di fronte ad una cultura iconica, che ormai

ha tutta una serie di regole […] che hanno nell’immagine un loro supporto, o

comunque un loro rilevantissimo aspetto, e che pure non sono mai stati eleva-

ti alla dignità di materia di studio, in quel tempio del sapere che è la scuola ita-

liana. [Ivi, p. 40]

Ora non si vuole sostenere che bisogna fare del fumetto […] una materia in più

da aggiungere alla scuola per rinnovarla. Il problema si pone […] a livello di

impostazione metodologica. Il fumetto […] è un linguaggio che appartiene con

codici propri alla comunicazione di massa e farlo entrare di diritto nella scuo-

la, deve voler dire soprattutto tendere attraverso la conoscenza, all’appropria-

zione e all’uso di un codice espressivo in più. [Ivi, p. 71]

Non solo. Il fumetto – declinato nelle sue tante storie, scritte da auto-ri validi e seguendo una capillare segmentazione in generi, scuole gra-fiche, intenti poetici o di svago – è un bacino sconfinato di suggestioninarrative e di contenuti formativi sia per i bambini sia per gli adolescen-ti. Lo è anche per gli adulti, naturalmente, perché esiste una vastissimaproduzione di opere letterarie a fumetti, fra cui i graphic novel (sui‘romanzi grafici’ cfr. Daniele Bonomo, Will Eisner. Il fumetto come artesequenziale, Latina, Tunué, 2005), dai contenuti talmente sofisticati econsapevoli da guadagnarsi il plauso della critica letteraria «ufficiale».Ma, rispetto agli scopi del libro che state per leggere e utilizzare, fra ivari tipi di fumetto il più utile per integrare le strategie didattiche dellascuola dell’obbligo è proprio quello indirizzato ai bambini.Il fumetto fra pedagogia e racconto è un manuale molto puntuale su

come potere usare il fumetto con i cuccioli d’uomo che si avviano allascoperta del mondo circostante. Un mondo che è fatto, e il processo èormai irreversibile, di multimedialità, globalizzazione culturale, integra-zione sistematica delle tecnologie e dei loro linguaggi d’uso. La scuolanegli ultimi anni ha mancato molti appuntamenti con il mondo reale.Trincerata dietro a una cultura libresca oggi anacronistica – e gli stipen-di invero troppo bassi o gli scarsi mezzi sono nonostante tutto scuse die-tro alle quali molti insegnanti della vecchia guardia si rifugiano per nonvolere ammettere le proprie carenze culturali o la loro mentalità impie-

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PREFAZIONE XI

gatizia, indirettamente frutto, in parte, di politiche culturali deleterie chesono partite e continuano a partire dai Ministeri – la scuola ha provocatouno scollamento sempre più ampio fra ciò che viene insegnato nel suomondo fittizio e ciò che andrebbe trasmesso per attrezzare correttamentei ragazzi e i bambini alla vita al di là dei banchi. Perché il problema nonè certo insegnare a un fanciullo cosa significhi la nuvoletta di una storiaa fumetti, come si accenda il televisore o come funzioni il sistema ope-rativo di un computer; il punto è insegnare loro il confronto critico contutti questi oggetti e ambienti comunicativi che riversano sulle persone,continuamente, valanghe di messaggi; far capire loro come discriminaretra forma e contenuto e quale sia la differenza fra l’usare davvero qual-cosa rispetto all’esserne usati senza rendersene conto. Questo, è ovvio,tenendo ben saldo anche l’insegnamento canonico.E ciò vale, mi pare, soprattutto rispetto alle differenze culturali e

socio-economiche, quindi anche di accesso ai mass media e a un lorouso consapevole, fra le classi egemoni (in senso gramsciano) o più ingenerale borghesi, e quelle subalterne. Del resto la paura che la scuolaha sempre avuto dei nuovi saperi non è solo il terrore di una fratturainconciliabile fra due tipi di cultura, una canonica e istituzionalizzata eun’altra moderna, o meglio postmoderna e frutto di un forte métissagedi linguaggi. Oggi mi trovo costretto – segno che le politiche culturaligovernative conservano ancora molti difetti endemici – a dovere ancorarichiamare quanto già scritto da Dallari e Farné i quali, nel 1977, da unaposizione ideologica di sapore marxiano, che oggi appare un po’ pole-mica ma che comunque non mi sembra inattuale, definivano tale inevi-tabile frattura soprattutto in senso storico-politico:

la scuola […] continua a fornire […] modelli […] superati ai figli di una clas-

se borghese, che troveranno comunque gli strumenti per avere un adeguato

inserimento culturale ed una adeguata appropriazione di segni storicamente

contemporanei all’interno dell’ambiente di appartenenza […]. Al proletariato

invece tale fumetto [gli autori si riferivano agli albi di bassa lega a cui avevano

accesso le classi popolari in quegli anni, si pensi al fumetto nero ed erotico crip-

tofascisti, come Hessa e altri simili] offre contenuti e segni ai quali il proleta-

riato in quanto tale è completamente impermeabile, e alla proposta dei quali

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XII PREFAZIONE

reagisce o con un atteggiamento di rifiuto […] o con un atteggiamento di assor-

bimento passivo di tutta una serie di messaggi e di segni […] perché questa

scuola, che, secondo la Costituzione, dovrebbe emanciparlo o quantomeno

farlo partire alla pari […] non è o non vuole essere in grado di dargli gli stru-

menti per valutare criticamente e selezionare i messaggi che la società nella

quale vive, e che non è quella di cui parla la scuola, gli propone, e che sono

anche messaggi di fumetto. [Ivi, p. 17]

Ripeto, la lettura di Dallari e Farné oggi, nell’epoca anestetizzata incui viviamo, potrebbe sembrare esasperata, ma in realtà non credo lo sia,dal momento che l’educare è un atto politico e anche sotto questo aspet-to va considerato. E oggi, nonostante la buona volontà di molti inse-gnanti e le iniziative – frammentarie, si badi bene, ma non per colpa delcorpo docente – volte a rendere la scuola più «multimediale», la situa-zione politica dell’educazione non pare migliorata a sufficienza.Ma resta il fatto che il fumetto può servire da strumento di discerni-

mento. Non sarà sensuale come il videogioco, multifunzionale come ilcomputer, roboante come il cinema e attraente come la televisione, peròrichiede al lettore un’attenzione critica, un’elaborazione dei suoi con-tenuti grafici e verbali, l’immaginazione nel ricreare il movimento làdove questo è solo suggerito, e perciò è il coacervo primigenio della piùautentica multimedialità. A ciò aggiungete l’esistenza di narrazionipedagogicamente formative, di personaggi affascinanti e della possibi-lità di usare tutto ciò in classe, e avrete un cocktail didattico esplosivo.Ora il presente volume, scritto qualche anno fa da una dei maggioriesperti italiani nel campo della letteratura per l’infanzia (nella primaedizione si intitolava Leggere a fumetti ed era uscito per i tipi di un altroeditore), si presenta fra le vostre mani in una versione notevolmenteaggiornata con il compito preciso di fornire una guida per gli insegnan-ti e per gli educatori in generale; quindi anche per i genitori. Cioè pertutti coloro che portano sulle spalle il grave e nobile compito di avvia-re alla vita le generazioni di domani. Il fumetto può fornire un validoaiuto per tutte le ragioni che qui ho anticipato rapidamente e cheGianna Marrone spiega con precisione analitica e con la professionali-tà di un’accademica che è stata anche insegnante della scuola dell’ob-

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PREFAZIONE XIII

bligo, e che dunque conosce nel dettaglio le dinamiche e i problemidella classe.Torno ora al tema con cui avevo aperto questa prefazione, i miei pun-

zecchiamenti nei confronti di quella parte dell’accademia che spessosnobba lo studio del fumetto. Uno dei motivi di fondo è, mi pare, unlimite strutturale di certo mondo scientifico e consiste nel tentativo,spesso perfino inconsapevole ma comunque inopportuno, di arginarenuovi filoni di ricerca, perché coloro che detengono le redini della cono-scenza alle volte provano titubanza per i saperi emergenti: dunque untipo di apprensione, rilevo en passant, che accomuna l’università e lascuola, cioè le due principali istituzioni depositarie della trasmissionedella conoscenza. Il fumetto, sia per il colossale equivoco culturale dicui soffre in Italia – a partire dal suo nome, che implicitamente, dalpunto di vista semantico, lo sminuisce – sia per l’oggettivo calo qualita-tivo che lo colpì fra gli anni Sessanta e Settanta e che lo portarono adaccogliere un retrofascismo implicito e un erotismo tutt’altro che spen-sierato (si pensi anche solo al memorabile servizio Fascio e fumettocurato da Umberto Eco su L’Espresso/Colore n. 13 del lontano 1971),ancora oggi non si è del tutto scrollato di dosso le sue ombre e nel set-tore pedagogico continua a incontrare molte resistenze, nonostante cheproprio da quel fatidico 1977 da cui Dallari e Farné scrivevano si siaaperta per il fumetto una stagione straordinaria di sperimentazioni, pic-chi di qualità e maturazione progressiva in senso non solo grafico-arti-stico ma anche, e forse soprattutto, poetico e letterario.Io credo che Il fumetto fra pedagogia e racconto farà, ancora, la sua

parte nel combattere la visione riduttiva e deformata che la scuola ha delfumetto. Nel passato hanno dato il loro contributo – e rimango per sem-plicità al solo ambito scolastico-pedagogico – ricercatori e scrittori digrande valore come Gianni Rodari nei suoi determinanti interventi su LaScuola, Problemi dell’infanzia, Rinascita; Domenico Volpi, con il suobel libro Didattica dei fumetti (anch’esso di quel cruciale 1977 e ormaiintrovabile se non in qualche benemerita biblioteca) e Ermanno Detti,soprattutto con il volume Il fumetto tra cultura e scuola e la direzionedella rivista Il Pepeverde, che dedica spesso ampi spazi agli studi sulfumetto. Gianna Marrone stessa dagli anni Settanta, cioè fin da ragazza

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– e mi ricollego qui al tema della coerenza intellettuale dei giovani ricer-catori, anche condita di un pizzico di temerarietà – all’interno del suolavoro di ricerca in campo letterario e pedagogico e durante la sua espe-rienza da insegnante scolastica ha studiato il fumetto nei suoi rapporticon l’infanzia. Non senza difficoltà. Ma i suoi sforzi nel farlo accettarecome materia di ricerca accademica – e chiaramente in ambito pedago-gico lo studio del fumetto è finalizzato anche al suo uso didattico –hanno dato ottimi frutti. La sua generazione di studiosi e quella appenaprecedente (i pionieri richiamati in apertura), e penso a nomi noti comequelli di Luigi Volpicelli, Romano Calisi, Antonio Faeti, Giulio C.Cuccolini e a pregevoli esperienze della metà degli anni Settanta comela rivista Comicscuola, hanno svolto un lavoro di sensibilizzazione cheè andato per anni controcorrente rispetto a quanto si andava pubblican-do nella stampa generalista. Per esempio sui quotidiani, come notò annifa Umberto Eco, si scriveva la parola «fumetti» fra virgolette, come perpudicizia.Se oggi quegli stessi giornali divulgano curate collane di libri a fumet-

ti come allegati prestigiosi, e se nelle università i direttori dei diparti-menti di ricerca danno ad altri giovani analisti il via libera a progetti diricerca che interessano lo studio del fumetto nei suoi più vari aspetti –sociali, psicologici, estetici, mediologici – be’, credo che in buona partelo dobbiamo a quegli studiosi della prima o della seconda ora, che inqualche caso hanno anche messo a rischio la loro credibilità di fronte ainterlocutori piuttosto dubbiosi ma ai quali, col senno di poi, va se nonaltro ascritto il merito di avere dato fiducia a chi proponeva loro di stu-diare fumetti, figurine e giornaletti.

Trento, novembre 2005

XIV PREFAZIONE

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IL FUMETTO FRA PEDAGOGIA E RACCONTO

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Premessa

Questo libro, indirizzato a insegnanti, genitori, bibliotecari, animatoriculturali e studenti universitari dell’area educativa, desidera porsi comestrumento di lavoro dedicato al fumetto e al suo ricco rapporto con la let-tura. Il volume si concentra sulla letteratura per ragazzi, sull’educazio-ne all’immagine, sul passaggio dall’oralità primaria alla scrittura, sualcuni dei cambiamenti più rilevanti che negli ultimi decenni hannopositivamente influito sulla comunicazione. Al centro del discorso,comunque, rimane sempre il fumetto, del quale si esaminano le poten-zialità linguistiche e iconografiche e i vantaggi che, da medium versati-le qual è, si rivela in grado di offrire agli insegnanti dal punto di vistadidattico e ai genitori sotto il profilo educativo. Sempre che essi nei confronti del fumetto non abbiano pregiudizi.Questa forma espressiva infatti, tranne qualche rara eccezione, non è

accettata a scuola, sui suoi contenuti sono stati espressi spesso giudizinegativi e si è arrivati persino a dire che allontanerebbe dalla «buona» e«sana» lettura. A parte il paradosso implicato – la fruizione di un fumet-to è lettura a tutti gli effetti – è importante sottolineare che è anche let-tura impegnata e impegnativa, che prevede la decodifica di almeno trediversi linguaggi principali: immagine, parola scritta e simbologia gra-fica (si pensi anche solo all’onomatopea visuale), che convivono in unastessa narrazione e quindi nelle strisce disegnate che le danno vita.Quando il bambino è agli inizi dell’apprendimento della lettura la pre-senza dell’immagine può aiutarlo a comprendere più facilmente il mes-saggio scritto, e questo principio è valido sia per il libro illustrato sia peril fumetto; ma nel caso del fumetto il rapporto tra parola e immagine èmolto più diretto e immediato, quindi può favorire il processo di appren-dimento rendendolo meno faticoso e più piacevole.

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PREMESSA4

Gli aspetti positivi del fumetto non finiscono qui. Esaminando la suaricca tipologia e la sua articolata struttura scopriamo di avere a disposi-zione materiali con i quali è possibile costruire percorsi didattici, racco-gliere documentazione scientifica, progettare unità di apprendimento.Come raggiungere questi obiettivi è dettagliatamente descritto nei quat-tro Capitoli che compongono il volume. Risultera però utile, in questaPremessa, spendere due parole su tipologia e struttura del fumetto, perdefinire meglio i contorni di una produzione che i profani non voglionoriconoscere come letteraria e invece letteraria è.Parlando di tipologia scopriamo che esistono diversi tipi di supporti

comunicativi propri al fumetto. In particolare, la distinzione più impor-tante in questo contesto è tra giornalino e albo a fumetti, ma se operia-mo un breve excursus storico scopriamo che formati della narrazione afumetti quali la tavola, la vignetta e la striscia hanno occupato spazianche nei quotidiani, nelle riviste e in altri veicoli tipografici. Del restoil Corriere dei Piccoli, il primo giornalino italiano a proporre vignette erelative strisce, nacque nei primi del Novecento come supplementodomenicale del Corriere della Sera, un settimanale nel quotidiano, unalettura per i figli dei lettori adulti, un intento positivo e di grande valoreculturale poiché il giornalino, sia quello di ieri sia quello di oggi, offreuna varietà di rubriche, allegati, inserti, schede, che sono già di per sédidatticamente validi; il suo formato può essere variabile, da quello delquotidiano a quello della rivista, ed è comunque normalmente più gran-de di un albo a fumetti. Topolino per esempio, che racchiude caratteri-stiche sia del giornalino che dell’albo a fumetti – poiché è entrambi allostesso tempo – è passato dal grande formato dei primi anni ai piccoli albicon un solo fumetto al formato che ancora oggi è in commercio, checontiene storie a fumetti alternate a rubriche d’informazione e di giochi.L’albo a fumetti seriale, a differenza dei precedenti tipi di pubblicazio-ne, contiene invece una o più storie a fumetti e lascia pochissimo spazioalle rubriche, dedicate di solito solo allo spazio della posta: «tuttofumetto» quindi, ma ciò non esclude assolutamente che se ne possa fareun buon uso, specie quando i contenuti hanno un buon livello culturalee stimolano approfondimenti su argomenti trattati all’interno delle sto-rie proposte. Ottimi esempi di fumetto culturalmente valido sono, per

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PREMESSA 5

rimanere all’ambito di produzione occidentale, Martin Mystère, Julia,Elf Quest, Magico Vento, I Classici Disney; ma l’elenco potrebbe esten-dersi, tenendo conto che il fumetto ha una potenza fascinatoria e, inpotenza, un valore narrativo analoghi a quelli della letteratura solo scrit-ta o solo orale, anzi superiori, se si tiene conto della triplice funzioneiconico-scrittoria-sonora che rimane prerogativa indiscussa di questomedium.Il fumetto fra pedagogia e racconto vuole insomma essere una guida

per capire e rispettare la «letteratura disegnata», riconoscerne il valoreculturale e narrativo, imparare a utilizzarla proficuamente nella scuola,in generale con i bambini e i ragazzi e, naturalmente, goderne per il pia-cere di leggere.

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I. La comunicazione nel tempo e nello spazio

I.1 I linguaggi della comunicazione

La storia della cultura è un processo tempo-spaziale complesso e pro-fondo, nato con l’uomo e cresciuto con esso e che, fin dalla preistoria,ha impresso i segni della sua presenza nei tempi e nei luoghi in cui si èmaterializzato e modificato.I graffiti rinvenuti nelle caverne preistoriche rappresentano il primo

esempio di trasmissione della cultura umana, da cui si snodano le inte-ressanti tappe evolutive che culminano nell’invenzione della stampa,momento di partenza della informazione diffusiva e di declino dell’ama-nuense la cui opera, pur essendo già un mezzo di diffusione e trasmis-sione della cultura, aveva però il difetto di essere rivolta a una élite chenon poteva e non voleva coinvolgere la massa. Il grande passaggio, usando una suggestiva definizione di Fulchignoni,

«dal primo universo magico dei primi riti mortuari, fino ai personaggiombra del cinematografo» ha permesso «la dematerializzazione dell’ido-lo nella impalpabile fugace parvenza dell’ombra».1 Il concetto stesso disimbolismo, definito da Fulchignoni «processo psicologico incosciente,primitivo, rudimentale, che predomina nelle forme più elementari delpensiero, nell’uomo primitivo, nel bambino, nel sognatore»,2 ha assuntoun carattere convenzionale che, identificandosi con particolari elementidel reale, si inserisce sotto forma di mediazione nella comunicazioneorale diffusiva e multimediale della civiltà contemporanea.La stessa trasmissione orale della cultura che caratterizzava i popoli

primitivi e quelli appartenenti alle civiltà più antiche è giunta sino a noi

1Enrico Fulchignoni, L’immagine nell’era cosmica, Roma, Armando, 1972, p. 39.

2Ivi, p. 207.

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LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO8

non solo attraverso un messaggio esclusivamente verbale, ma anche gra-fico, pittorico, artistico. Né si può affermare che questo antico sistema,impiegato per tramandare usanze, tradizioni, valori culturali di singoleciviltà, sia andato perduto nel passaggio verso nuovi modelli di comuni-cazione. Le tesi proposte negli anni Sessanta da Fulchignoni possonocostituire un valido momento di riflessione:

Quando tutte le forme d’espressione più caratteristiche delle differenti culture

e civiltà, dai geroglifici d’Egitto ai templi Maya, dai vitraux alle cattedrali goti-

che agli ipogei delle civiltà sumere e mediorientali, non erano accessibili che a

qualche privilegiato, tutto il processo conoscitivo finiva per limitarsi al valore e

al contenuto iconografico. Oggi invece, grazie alla possibilità di un contatto

diretto o sensibile offerto dalle riproduzioni è possibile passare da questa anti-

ca forma di pedagogia concettuale a nuove prospettive di carattere più articola-

to e meno dogmatico. Il pubblico si moltiplica grazie alla moltiplicazione delle

informazioni.3

La prima vera rivoluzione legata alla possibilità di «mantenimento»della trasmissione della cultura è però di gran lunga precedente l’inven-zione della stampa, infatti, come fa notare William V. Harris nella suaelaborata ricerca sulla lettura nel mondo antico, «la scrittura possiedeuna dignità intrinseca, derivante dalla sua sfida contro il tempo».4

Naturalmente, nel momento in cui alla scrittura è stata offerta l’oppor-tunità di poter utilizzare canali di diffusione più efficaci, come è avve-nuto con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, la possibilità dicostruire nuove strade comunicative da far percorrere alla cultura è stataampiamente sfruttata dall’uomo per raggiungere traguardi sempre piùvantaggiosi e proficui.È indiscutibile che ancora oggi venga riconosciuta all’invenzione

della stampa a caratteri mobili un posto da leader, ciò che invece nonappare altrettanto ovvio è il complesso di variabili che tale tecnica è

3Ivi, p. 11.

4William V. Harris, Lettura e istruzione nel mondo antico (ed. or. Ancient Literacy, 1989), Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 33.

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I LINGUAGGI DELLA COMUNICAZIONE 9

stata in grado di introdurre. Infatti alla parola «stampa» viene istintiva-mente abbinata la parola «libro», mentre questo processo mentale sna-tura il significato degli effetti: fin dagli inizi l’arte tipografica si aprìversi altri prodotti che più facilmente del libro avrebbero potuto rag-giungere le masse. I manifesti e i fogli volanti rappresentarono i primiesempi di una letteratura di informazione che, nel corso dei secoli suc-cessivi, continuò non solo ad affiancare il libro ma ad ampliarsi versoaltre forme e altri contenuti. Dispense, giornali, lunari, riviste, giornali-ni per bambini e fumetti furono a pieno titolo mezzi di diffusione dellastampa di informazione e di divulgazione, ma essendo rivolti al popolofurono sempre considerati letteratura «di serie B». Questo errore di valu-tazione ha segnato secoli di cultura e ha in molti casi anche stravolto ilsignificato intrinseco del concetto di comunicazione, poiché sono i«contenuti» e non le «forme» che hanno sostenuto l’uomo nel suo cam-mino verso la conoscenza. È una certezza che i numerosi millenni che sono intercorsi tra l’uso

del graffito e la nascita del fumetto e fra la tradizione di narrare oralmen-te riti e miti e la loro trascrizione sotto forma di fiabe, sono la nostra«storia» e i nostri «contenuti», ma quando sono stati tramandati attraver-so quelle «forme» alle quali viene riconosciuto un posto secondario, inquanto appartenenti alla letteratura etichettata come «minore», hannocorso il rischio di scatenare polemiche e di essere deragliati su binarimorti.La letteratura dedicata all’infanzia e la letteratura a fumetti, ma anche

prodotti più recenti come i libri-gioco, il cinema d’animazione e i video-giochi, continuano a soffrire le conseguenze di questi pregiudizi cheguardando alla forma, anomala rispetto al libro classico, perdono divista il forte carisma contenuto nel messaggio che sono in grado di tra-smettere, sia in termini di cultura che di comunicazione. Partendo quin-di dalla storia della stampa è interessante verificare le peculiarità di que-ste forme letterarie, perché tali sono, e sottolinearne i valori storici eeducativi altrettanto validi di quelli offerti dal «formato» libro.

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I.2 Il libro a stampa

L’invenzione della stampa a caratteri mobili, realizzata da JohannGutenberg nel XV secolo, permise all’uomo di assumere con la culturascritta un rapporto diverso da quello che, nei secoli precedenti, solo unesiguo numero di privilegiati era stato in grado di instaurare. Le anticheforme di governo, infatti, non favorivano una diffusione ampia dellaconoscenza della scrittura, poiché tale politica permetteva di mantenerei cittadini all’oscuro sugli affari comuni e, ad agevolare questa situazio-ne, contribuiva la mancanza di strumenti atti a favorire la diffusione diopere e documenti scritti. L’arte scrittoria assunse quindi caratteristichediverse a seconda della cultura storica di riferimento; per lo scriba,5 adesempio, era una semplice «professione», anche se prestigiosa, mentreper i monaci amanuensi era «depositaria di un sapere» che doveva esse-re protetto ma non diffuso.Visto con l’ottica moderna il libro a stampa può, quindi, a ragione

essere definito il primo mezzo di comunicazione di massa poiché, a dif-ferenza dei tomi manoscritti, non richiede tempi lunghi e un pazientelavoro di copiatura per essere riprodotto in più copie e raggiungere stra-ti ampi di popolazione. Mentre la preziosità e la rarità dei manoscritti siavviava a diventare un ricordo, il processo di diffusione dei volumi astampa continuò comunque, per lungo tempo, a interessare soprattuttoquei ceti della popolazione che possedevano i mezzi e la cultura per inte-ressarsi a questo nuovo prodotto. Possedere un libro, cento libri, unabiblioteca, continuò a rappresentare, nei secoli che seguirono l’invenzio-ne di Gutenberg, un segno di prestigio più che di cultura, soprattutto per-ché l’accesso all’istruzione continuava a essere prerogativa di pochi pri-vilegiati. Infatti, anche se il libro potenzialmente avrebbe potuto esserestampato in migliaia di copie, le istituzioni scolastiche non offrivanopari opportunità. Si era ancora ben lontani dall’idea di un’istruzione pertutti. Il libro, in sostanza, pur avendo acquisito le caratteristiche di un

5Sulla professione di «scriba» cfr. Marcel Detienne, Sapere e scrittura in Grecia (ed. or. Les savoirsde l’écriture en Grèce ancienne, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1988), Bari, Laterza, 1989, pp.34-41.

LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO10

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prezioso mezzo di diffusione della cultura, non era alla portata di ciascu-no: l’analfabetismo era dilagante, le classi sociali erano chiuse entroschemi rigidi che non favorivano la crescita sociale delle frange più indi-genti. I confini entro cui le produzioni a stampa potevano trovare con-senso rappresentavano anche il limite entro cui venivano definiti gliargomenti da trattare per essere accettati dagli editori. Lettori colti e adulti regolavano il mercato editoriale di quei tempi.

Tomi massicci, legati in pelle, stampati su carta spessa e resistente, raris-sime le illustrazioni. Donne e bambini non facevano parte del numerodei potenziali lettori. Per le donne non era prevista una istruzione che lepotesse avvicinare al libro. I bambini, se destinati a essere istruiti, dove-vano dedicarsi a letture finalizzate a prepararli al genere di vita decisaper loro. Se volevano leggere liberamente dovevano attingere dallebiblioteche di famiglia. Ma cosa trovavano i bambini in quelle bibliote-che? Jean-Jacques Rousseau commenta nelle sue Confessioni le caratte-ristiche dei libri che erano appartenuti al nonno materno:

Per fortuna ve ne erano dei buoni e non poteva essere diversamente poiché que-

sta biblioteca era stata raccolta da un ministro, anche dotto, come era di moda

in quel tempo, e uomo di gusto e di spirito. La storia della Chiesa e dell’impe-

ro, di Le Sueur, il discorso di Bossuet su La storia universale, gli Uomini illu-

stri di Plutarco, La storia di Venezia di Nani, Le metamorfosi d’Ovidio, […]. Vi

presi un interesse veramente raro ed eccezionale per la mia età. Plutarco, tra

tutti, divenne la mia lettura favorita […].6

Esperienze di questo tipo erano abbastanza diffuse tra i fanciulli cheprendevano amore per la lettura, poiché non potevano che attingere abiblioteche così strutturate. Ma tali letture spesso potevano rivelarsitroppo mature per una mente infantile procurando nel lettore cresciutopiù rimpianti che ricordi piacevoli. Così fu infatti per Rousseau ed eglilo espresse apertamente quando nel suo trattato sull’educazione ritenneche il suo discepolo non dovesse leggere altro che il Robinson Crusoe.

6Jean-Jacques Rousseau, Opere, a cura di Paolo Rossi, Firenze, Sansoni, 1972, in Le Confessioni,Libro I, p. 749.

IL LIBRO A STAMPA 11

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Rousseau, probabilmente, non sarebbe arrivato a scrivere «Io odio ilibri; essi non insegnano che a parlare di quello che non si sa»7 se dabambino avesse potuto leggere libri più confacenti alla sua età. Infatti,sempre nell’Emilio, sottolinea l’importanza del rispetto dell’infanziacon termini quasi appassionati:

Per non correre dietro a delle chimere, non dimentichiamo ciò che conviene alla

nostra condizione. L’umanità ha il suo posto nell’ordine delle cose; l’infanzia

ha il suo nell’ordine della vita umana: bisogna considerare l’uomo nell’uomo,

e il fanciullo nel fanciullo. Assegnare a ciascuno il suo posto e fissarvelo, ordi-

nare le passioni umane secondo la costituzione dell’uomo, è tutto quanto noi

possiamo fare per il suo benessere.8

Indicando come lettura da offrire a Emilio il Robinson Crusoe, poichéin esso poteva trovare insegnamenti che coincidono con quelli dellanatura, Rousseau anticipa una teoria pedagogica che prenderà piede solonel XIX secolo, cioè offrire al bambino libri scritti appositamente per lui,destinati non solo a istruirlo ma anche a divertirlo.

I.3 La letteratura per l’infanzia

La volontà di creare una produzione letteraria rivolta ai ragazzicomincia a concretizzarsi nel pensiero pedagogico dell’Ottocento ma,come era prevedibile, non trova grande consenso tra i maggiori letteratidel tempo poiché non esisteva tra le due correnti, pedagogica e lettera-ria, uniformità di pareri sui contenuti da dare a tale produzione. Il rischio di poter alterare la struttura estetico-artistica di un’opera let-

teraria con contenuti didascalici preoccupava non poco i letterati, pur-troppo a giusta ragione, infatti i primi libri scritti per ragazzi, quelli cioèche dovevano datare la nascita di un nuovo genere, in realtà si configu-ravano come un sottoprodotto scadente sia nella struttura sia nei conte-

7Ivi, p. 472.

8Jean-Jacques Rousseau, op. cit., in Emilio o dell’educazione, p. 384.

LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO12

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nuti, quindi non ancora idoneo a ricevere il riconoscimento ufficiale digenere letterario per i più giovani. Ciò spiega perché, ancora per decen-ni, la letteratura per l’infanzia continuò a essere considerata una pseudo-letteratura e la produzione che ne faceva parte era esclusivamente quel-la definita «letture per ragazzi». Per ben intendere come questo proces-so si sviluppò e si affermò è utile riflettere sulla descrizione di come taleiniziativa fu avviata:

Nel 1833 la Società fiorentina dell’istruzione elementare di cui facevano parte

Gino Capponi, Neri Corsini, Cosimo Ridolfi e altri illustri uomini i quali, insie-

me al Lambruschini e al Thouar guardavano alla scuola popolare come al ful-

cro d’ogni rinnovamento civile e politico, bandì il concorso per un libro che ser-

visse di lettura e d’istruzione morale per ragazzi dai sei ai dodici anni.9

Il primo concorso, senza vincitori, fu rinnovato nel 1836 e il premiofu assegnato al Giannetto di Parravicini, che i critici del tempo definiro-no però «opera scialba ove né vita, né storia si coloriscono mai, fila-strocca di pedanti lezioni senza che un soffio d’arte e di amore susciti uncarattere, una personalità, un educatore, un fanciullo vero, in tanto mate-riale accumulato».10

Neanche libro di lettura, quindi, ma piuttosto una piccola enciclope-dia che, secondo la pedagogia del tempo, poteva accompagnare il ragaz-zo per mantenere vivi gli insegnamenti morali che vi venivano imparti-ti. Questo concetto si mantenne saldo nei suoi principi ancora per decen-ni ed era soprattutto alla scuola che veniva demandato il compito diassolverlo. Nella scuola popolare della prima metà dell’Ottocento eancora nelle prime scuole comunali post-risorgimentali questi libricostituivano un mezzo per istruire, non un diletto. La letteratura per l’in-fanzia nacque in sostanza non nel senso in cui viene considerata normal-mente la «letteratura» ma come materia di educazione; di conseguenzail contenuto dei libri che venivano scritti appositamente per i ragazzidoveva essere esclusivamente educativo.9Vincenzina Battistelli, La letteratura infantile moderna. Guida bibliografica, Firenze, Vallecchi,1923, p. 9.10Ivi , p. 15.

LA LETTERATURA PER L’INFANZIA 13

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LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO14

Dal momento in cui nacque e fin quasi a tutta la prima metà del XXsecolo, questa letteratura continuò a essere proposta come rinforzo degliinsegnamenti morali da dare al bambino. Questo stato di cose chiarisceanche la ragione per cui questi libri molto spesso venivano utilizzaticome libri di lettura nelle scuole, ma proprio per questi motivi riescemolto più naturale considerarli libri di testo piuttosto che di letteraturaper l’infanzia.Secondo la storia della letteratura il settore dedicato all’infanzia deve

quindi essere considerato materia relativamente giovane ma, una voltaaffermata l’idea, anche materia a cui non si può più prescindere dall’as-segnare significati e limiti entro i quali deve operare. Dalla secondametà dell’Ottocento a oggi struttura e contenuti della letteratura per l’in-fanzia si sono ampliati e modificati, di conseguenza gli studiosi dellamateria hanno dovuto fermare la loro attenzione sulla necessità di valu-tare seriamente quanto, di una produzione già esistente, potesse entrarea far parte di questo nuovo genere letterario dedicato esclusivamente airagazzi. E limitare i contenuti di questa materia esclusivamente alle pro-duzioni tramandate dalla tradizione scritta ne avrebbe ridotto fortemen-te le potenzialità di sviluppo e di affermazione, tant’è vero che i sogget-ti narrativi che oggi si ritiene debbano essere rivolti all’infanzia deriva-no principalmente dalla tradizione orale e popolare. Ne consegue che,anche se ufficialmente in campo letterario non esiste una specifica lette-ratura per ragazzi prima del XIX secolo, i contenuti delle letture che oggicompongono la struttura complessiva della materia hanno origini moltopiù antiche.Infatti se includiamo, come del resto avviene, la fiaba classica nel

genere, e riflettiamo sulle antiche origini che la contrassegnano, questestesse origini debbono essere rapportate anche alla letteratura per l’in-fanzia. Se invece limitiamo i contenuti alle produzioni che sono natecome letture dedicate specificamente all’infanzia, potremmo realmentefissarne la data di nascita nell’Ottocento. Ma la prima ipotesi, oltre aessere molto più affascinante, perché allarga l’orizzonte di studio e diricerca di una materia che merita di essere approfondita non solo sottoil profilo letterario ma anche e soprattutto educativo, è anche più reali-stica in quanto lega le sue origini a contenuti mitologici e rituali che

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hanno accompagnato l’«infanzia del mondo» e che, quindi, a maggiorragione possono rivolgersi oggi al «mondo dell’infanzia».Non bisogna però dimenticare che la produzione letteraria che oggi

viene considerata adatta ai bambini e agli adolescenti, che deriva,appunto, prevalentemente dalla mitologia classica e dal racconto popo-lare, fu scritta e fu rivolta per secoli a un pubblico prevalentemente adul-to. Autori come Perrault o i fratelli Grimm, che oggi sono consideratiscrittori per l’infanzia, nel tempo in cui scrissero le loro opere non lofecero con l’intenzione di rivolgerle a una specifica fascia d’età. La pro-duzione dei Grimm, per esempio, fu il risultato di ricerche e studi con-dotti nel loro ambiente per ricomporre materiali tratti dalle tradizionipopolari. Il loro intento fu cioè quello di non far cadere nell’oblio la sto-ria del loro popolo così come il popolo stesso amava tramandarla oral-mente. Perrault e i fratelli Grimm, e come loro molti altri scrittori che lihanno preceduti o seguiti, non pensarono affatto di scrivere per l’infan-zia, anche perché, come è stato già evidenziato, durante i secoli passatil’infanzia non era oggetto di particolari attenzioni. Oggi, che il rappor-to adulto-bambino si è modificato, si guarda all’infanzia come a un’etàche ha il diritto di essere vissuta con le sue caratteristiche, i suoi biso-gni, i suoi desideri, che sono diversi da quelli dell’età adulta. Ma finchéqueste riflessioni non si sono concretizzate in studi e ricerche che hannocominciato a esaminare tali bisogni e desideri, il bambino rimaneva unapotenzialità dell’adulto e non c’era ragione di dedicargli, ad esempio, unparticolare settore della letteratura.Quando Comenio, nel XVII secolo, scrisse che «non vi è via più effi-

cace per correggere la corruzione umana che una retta educazione dellagioventù»11 o che «si può insegnare più facilmente ai fanciulli che aglialtri, perché non sono ancora corrotti dalle cattive abitudini»,12 compì ungrande passo nella storia dell’educazione, poiché riconobbe il ruolo del-l’infanzia, ma soprattutto perché le riconobbe il diritto di essere condot-ta «senza difficoltà, senza tedio, senza grida o bastonature, quasi perdivertimento o per gioco verso gli alti gradi del sapere».13 Anche i libri11Comenio, Grande Didattica, a cura di Anna Biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993, p. 23.

12Ivi , p. 25.

13Ivi , p. 37.

LA LETTERATURA PER L’INFANZIA 15

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LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO16

scolastici dovevano quindi diventare, secondo Comenio, piacevolimezzi di apprendimento utilizzando accanto alla parola l’immagine,poiché la sua maggiore rappresentatività del reale poteva semplificare lacomprensione delle materie di studio. Comenio affrontò una tematicanuova per i suoi tempi e l’attenzione che rivolse alla struttura del librodi testo è ancora oggi motivo di riflessione; anzi, nella seconda metà delnostro secolo, si è riscoperta l’importanza dell’immagine a livelli chesono andati oltre i limiti del rapporto con l’infanzia.Al di fuori dei libri di testo non esisteva però ancora, ai tempi del

Comenio, un interesse verso una letteratura rivolta specificamenteall’infanzia. Il problema in realtà si pone concretamente per la primavolta solo sul finire della prima metà dell’Ottocento ma, in verità, inmaniera non proprio consona ai bisogni del bambino, poiché ci si pre-occupò piuttosto di avviare una nuova produzione che fosse a un tempodidascalica e piacevole alla lettura. Ciò che ne derivò fu un tentativopedagogico mal riuscito che mise a disposizione dei fanciulli una lette-ratura moraleggiante e noiosa.

I.4 Ascoltare, guardare, leggere

Il contenuto di quella che oggi viene considerata la produzione da rac-cogliere sotto il nome di letteratura per l’infanzia attinge, quindi, le sueorigini al mondo dell’oralità primaria, quando l’uomo doveva fare affi-damento sulla memorabilità per poter tramandare le sue conoscenze e lasua storia.Le ricostruzioni di questa memorabilità, che le prime culture scrittorie

hanno cercato di trascrivere mantenendo intatti i valori e le credenze chele civiltà precedenti avevano trasmesso oralmente, si sono concretizzatein forme letterarie che le culture più vicine a noi hanno classificato comemiti, riti, leggende, racconti popolari. È comunque da queste narrazioni,caratterizzate da un connubio quasi perfetto tra realtà e fantastico – datoche quello che per noi oggi è fantastico per quelle civiltà era il reale – cheprende origine la produzione favolistica e fiabesca a cui successivamen-te hanno a loro volta attinto autori come Perrault, Andersen, i fratelli

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ASCOLTARE, GUARDARE, LEGGERE 17

Grimm, che curarono delle raccolte originariamente considerate narra-zioni popolari. Nati come letteratura popolare, i generi fiabesco e favoli-stico sono entrati a far parte a pieno titolo di una letteratura per l’infan-zia che, nel XX secolo, ha cominciato a qualificarsi con caratteristichemolto diverse da quelle che ne avevano decretato la nascita.L’ottocentesco libro didascalico già sul finire del secolo comincia a

spogliarsi dei suoi pedanteschi insegnamenti per far posto a opere comeil Pinocchio di Collodi e il Cuore di De Amicis le quali, pur mantenen-do intenti moraleggianti, offrono al giovane lettore anche piacevolimomenti di fantasia e di avventura. La letteratura per l’infanzia da que-sto momento trova finalmente una sua definizione: non solo si è spoglia-ta dell’etichetta di sottoprodotto della letteratura ma ha acquistato carat-teristiche ben definite che accolgono in un unico riconoscimento i valo-ri letterario e pedagogico. Agli scopi didascalici che la fecero nascere sisono sostituiti i principi di una pedagogia più matura che si propone dioffrire all’infanzia e all’adolescenza delle letture che possano stimolarepositivamente i naturali processi di sviluppo.I limiti entro cui questa letteratura è rimasta confinata per più di un

secolo hanno quindi cominciato a estendersi, occupandosi non più solodelle teorie pedagogiche e psicologiche che li avevano precedentemen-te regolati, ma guardando con sempre maggiore attenzione agli interes-si dei giovani lettori. Un maggiore rispetto per l’infanzia ha favoritoanche un orientamento più rispondente alle sue preferenze e questo hapermesso a scrittori e editori di scoprire un mondo nuovo, ricco di un’ar-te, fatta di parole e immagini, che parla lo stesso linguaggio dell’etàverso cui è rivolta.L’editoria per ragazzi, in particolare, ha dedicato un’attenzione accu-

ratissima al potere che l’immagine ha sulle fasce di età interessate allasua produzione, riuscendo ad ampliare il settore verso due nuove dire-zioni:– quella del pubblico dei non lettori, comprendente le due fasce d’età

da 0 a 3 e da 3 a 6 anni, al quale vengono offerti libri-gioco, le cui carat-teristiche variano nei materiali, nella forma, nella struttura, ma sonocomunque sempre illustratissimi e coloratissimi;– quella del testo non-testo, cioè produzioni editoriali con caratteristi-

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LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO18

che che si discostano dal libro classico, come nel caso dell’ipertesto o dilibri che possono essere fruiti contemporaneamente a DVD, CD-ROM,videocassette.Il potere dell’immagine, il linguaggio più antico del mondo, che per-

mise anche agli uomini primitivi di comunicare tra loro e con i posteri,sta riacquistando i suoi diritti in una civiltà in cui l’iconografia, le tec-nologie audiovisive e l’informatica hanno permesso di estendere l’infor-mazione senza limiti di tempo e di spazio.Uno dei capitoli più interessanti della storia della letteratura per l’in-

fanzia potrebbe essere dedicato proprio all’illustrazione, sia perché per-mette al bambino di avvicinarsi al libro ancora prima di saper leggere,sia perché rende il rapporto con la lettura più piacevole e distensivo. Ilbambino si avvicina con grande spontaneità a tutto ciò che è molto illu-strato e molto colorato, è attratto dal movimento delle linee disegnateche permettono un dialogo comunicativo più diretto e immediato rispet-to a quello offerto dalle linee statiche della parola scritta.Questo rapporto tra il bambino e l’immagine spiega anche la preferen-

za di bambini e adolescenti per il fumetto, infatti la sua particolare strut-tura rende più dinamica anche la parola scritta, poiché si muove accan-to all’immagine e con l’immagine rispettando il piacere della lettura.Sebbene oggi il fumetto occupi un posto di rilievo tra i diversi tipi di

lettura a cui bambini e adulti possono rivolgersi, è comunque considera-to una forma e un prodotto prevalentemente commerciale e solo margi-nalmente interessante sotto il profilo educativo. In realtà, dato chel’utenza infantile che lo fruisce è molto ampia, dovrebbe entrare a farparte a pieno titolo della letteratura rivolta/rivolgibile (anche) all’infan-zia e all’adolescenza.

I.5 La fiaba, depositaria dell’oralità primaria

Quando si cerca di risalire alle origini della fiaba si entra immancabil-mente in un’area di ricerca antica e complessa. Settori di studio chehanno una loro consistenza solida e concreta diventano terreni di inda-gine a cui occorre necessariamente fare riferimento per trovare risposte

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LA FIABA, DEPOSITARIA DELL’ORALITÀ PRIMARIA 19

documentabili sul passato di un genere che, in tempi moderni, è entratoa far parte della letteratura pedagogica. Mito, rito, folklore, tradizionipopolari, fabulae diventano altrettanti settori di ricerca nei quali si rendenecessario immergersi per indagare tra i percorsi che la fiaba ha seguitoper diventare quella che noi oggi conosciamo.Quale, quindi, il contesto di più immediato incontro con la fiaba? La

storia o la tradizione?Ponendo la «storia» sul piano della ricostruzione documentata di even-

ti che hanno determinato mutamenti, sconvolgimenti, o comunque tappeben definite nel cammino dell’uomo, e la «tradizione» sul piano dellemodalità con cui l’uomo ha di volta in volta impostato la propria vita direlazione, si intuisce che nella stessa misura in cui le tradizioni influisco-no nel determinarsi dei fatti storici, questi a loro volta possono inciderefortemente sul modificarsi delle tradizioni. Nonostante ciò i resocontistorici, o più semplicemente quella che noi comunemente chiamiamo«storia», assume un carattere documentario con caratteristiche oggettive,con lo scopo di escludere dalla descrizione degli avvenimenti ogni pos-sibile intervento interpretativo, al fine di non alterare, inquinandola conopinioni, giudizi o pregiudizi, la realtà dei fatti. Il pathos che caratteriz-za l’essenza di una tradizione potrebbe quindi alterare l’oggettività stori-ca se ne entrasse a far parte, arricchendola di tutte quelle presenze chefioriscono dalle usanze e conferiscono a un determinato aggregato socia-le quelle specifiche tipologie che lo differenziano da tutti gli altri.Quelli che noi comunemente chiamiamo usi e costumi di un popolo

rappresentano l’insieme di norme che tale popolo si è dato nel corsodegli anni per individuare regole di convivenza comune finalizzate alrispetto del singolo e del gruppo. Il consolidarsi di tali regole dal pianosociale si allarga a quello culturale e educativo, fornendo un quadrogenerale di riferimento all’interno del quale ciascuna popolazione trovauna sua collocazione di tradizione e di storia. In altre parole, la tradizio-ne segna il passo dei tempi e rende tangibili gli effetti che i mutamentisociali producono sui comportamenti e più in generale sui costumi deipopoli. E sebbene lo studio delle tradizioni non coincida totalmente conlo studio degli avvenimenti storici, siamo comunque di fronte a duefacce della stessa medaglia.

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La fiaba, nel collocarsi all’interno di questo cammino della storia conla sua duplice componente fantastica e reale, offre una rielaborazione diquelle tradizioni che l’uomo ha mantenuto più saldamente e più a lungo,poiché legate alle leggi naturali della sopravvivenza e della conservazio-ne, alla vita di aggregazione, alla ricerca di un elemento forte a cui fareriferimento (capogruppo), alla necessità di «deificare» gli elementimisteriosi (eroi, dèi, pratiche religiose ecc.).Ci si potrebbe chiedere quale necessità abbia ormai l’uomo moderno,

tanto più ricco per scienza e tecnologia, di ricorrere all’elemento fanta-stico con cui la fiaba ripropone le primordiali tappe della civiltà. Larisposta è contemporaneamente dentro e fuori di noi.Dentro di noi perché, come direbbe Bettelheim,

Certe fiabe e storie popolari si evolsero dai miti; altre s’incorporarono in essi.

Entrambe le forme racchiusero l’esperienza globale di una società, perché gli

uomini vollero ricordare la saggezza degli antichi a proprio beneficio e trasmet-

terla alle future generazioni. Queste storie offrono profonde intuizioni che

hanno sostenuto l’umanità attraverso le lunghe vicissitudini della sua esistenza:

un retaggio che non è rivelato in nessun’altra forma in un modo così semplice

e diretto, o così accessibile ai bambini.14

Ma anche fuori di noi, poiché nella nostra vita di relazione siamocomunque dominati dal sentimento oltre che dalla ragione, e viviamo ilnostro rapporto con l’esterno attraversando continuamente uno specchiosimile a quello di Alice15 che ci trasporta dalla realtà alla fantasia e daquesta a quella.Nell’uomo, e ancor di più nel bambino, permane ancora oggi molto

forte il bisogno di trovare risposte al mistero della propria esistenza eall’incapacità di controllare alcune profonde angosce interiori dominate

14 Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (ed.or. The Uses of Enchantement. The Meaning and Importance of Fairy Tales, New York, Alfred A.Knopf, 1976), Milano, Feltrinelli, 1977, p. 30.15Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio di Lewis Carroll sono due racconti che col-

gono a piene mani nel mondo del fantastico, permettendo di uscire dai confini della realtà pur mante-nendo viva la consapevolezza di potervi rientrare in qualsiasi momento.

LA COMUNICAZIONE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO20

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LA FIABA, DEPOSITARIA DELL’ORALITÀ PRIMARIA 21

da sentimenti di paura (della morte, del buio, dell’abbandono, della soli-tudine ecc.). Queste risposte raramente sono presenti sul piano dellarealtà e non sempre è possibile razionalizzarne le forme e i contenuti.Ma queste angosce sono primordiali, hanno accompagnato l’uomo findalle origini della sua esistenza, e anche se l’uomo oggi si sforza didominarle e capirle, è difficile sradicarne le radici profonde che alligna-no nel subconscio e sfuggono troppo spesso al controllo umano.La migliore difesa che l’uomo ha saputo frapporre fra sé stesso e la

maestosità del mistero delle sue origini e della sua fine, è stata la crea-zione dei miti e dei rituali, nei quali si celavano «non giustificati» i gran-di dogmi della «non conoscenza», ma permettevano di costruire queigrandi ideali, o percorsi di vita, verso i quali l’uomo poteva indirizzarsiper riconoscersi e realizzarsi. Questa profonda forza vitale, che non pos-siamo fare a meno di riconoscere alla mitologia, è altrettanto intensanella fiaba, poiché muovendosi in un’atmosfera fantastica e magicaripropone continuamente i più intensi problemi interiori con il precisoscopo di avviarli a soluzione.L’esistenza della fiaba, come ha sottolineato ripetutamente anche

Bettelheim, può essere una risposta molto efficace a numerosi problemidell’umanità, da risolversi durante l’infanzia, poiché quanto più unaradice diventa forte e profonda, tanto più sarà difficile sradicarla.La citazione che segue è già abbastanza indicativa del pensiero e della

posizione di questo autore, ma vuole anche rappresentare uno stimoloper il lettore ad avvicinarsi alla sua opera Il mondo incantato, che tantiinsegnamenti può offrire sul tema «fiaba»:

Attraverso i secoli (se non i millenni) durante i quali, con le successive rielabo-

razioni, diventarono sempre più raffinate, le fiabe finirono per trasmettere nello

stesso tempo significati palesi e velati: finirono cioè per parlare simultaneamen-

te a tutti i livelli della personalità umana, comunicando in modo tale da raggiun-

gere la mente ineducata del bambino nonché quella del sofisticato adulto.

Applicando il modello psicanalitico della personalità umana, le fiabe recano

importanti messaggi alla mente conscia, preconscia e subconscia, a qualunque

livello ciascuna di esse sia funzionante in quel dato momento. Queste storie si

occupano di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano

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la mente del bambino, e quindi parlano al suo Io in boccio e ne incoraggiano lo

sviluppo, placando nel contempo pressioni preconsce e inconsce. Le storie, nel

loro svolgimento, ammettono a livello conscio e manifestano le pressioni

dell’Es, e indicano dei modi per soddisfare quelle che sono in accordo con le

esigenze dell’Io e del Super-io.16

Le fiabe svolgono quindi un ruolo fondamentale non solo in un rap-porto diretto con l’infanzia, ma anche con l’età adulta, almeno nellamisura in cui quest’ultima sarebbe opportuno prendesse coscienza delloro valore e dell’utilità del loro uso. Ciascun elemento della fiaba assu-me significati precisi sia all’interno del racconto, sia ribaltato in un rap-porto di risoluzione nel reale. In egual misura, ciascun elemento presen-ta riflessi delle tradizioni che sono alla base dell’origine della fiaba.Nel primo caso, per esempio, la costante della morte di uno o entram-

bi i genitori, gli ostacoli che il/la protagonista dovrà superare, gli aiuti chericeverà dall’esterno (elemento umano o magico), la vittoria finale (ilbene che sconfigge il male), rappresentano di volta in volta problema darisolvere e insegnamento, consiglio, percorso da seguire per risolverlo.Nel secondo caso, nel parlare del riflesso delle tradizioni, si entra in un

settore in cui l’evidenza dell’elemento è meno palese, ma altrettantoforte. Gli esempi a cui fare riferimento potrebbero essere numerosi (lupo,bambino-adulto, Principe azzurro, bosco, ecc.), ma per amore di chiarez-za è opportuno concentrare l’attenzione su uno solo di essi, toccando solomarginalmente gli altri. Facendo cadere la scelta sul «bosco», ci si trovaalle prese con un elemento che assume caratteristiche più forti in alcunefiabe rispetto ad altre. Nella fiaba di Pollicino ad esempio è un elementodominante (i genitori che abbandonano il bambino e i suoi fratelli nelbosco per indigenza), quasi altrettanto lo è nella fiaba di Biancaneve (ilcacciatore lascia la bambina nel bosco per allontanarla dalla matrignacrudele) o in quella della Bella addormentata (il bosco che circonda ilcastello diventa sempre più intricato e insuperabile), mentre è una pre-senza meno forte in Cenerentola o nella Bella e la Bestia, dove l’azionesi svolge prevalentemente in ambienti interni (la casa, il focolare dome-

16B. Bettelheim, op. cit., pp. 11-12.

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stico). Ma il significato recondito di questo elemento ha origini lontane esignificative, vere e proprie origini tribali, risale infatti ad antiche usanze(ancora in uso in alcune tribù) che segnavano il passaggio dall’età infan-tile all’età adulta (bambino-adulto) con l’allontanamento del ragazzodalla tribù per avviarlo a una totale autonomia e alla conquista di capaci-tà di difesa e sopravvivenza. Se il ragazzo riusciva a tornare nella suatribù aveva superato la prova e conquistato il diritto di «essere adulto»diventando anche maturo per il matrimonio (Principe azzurro).Anche nelle fiabe i personaggi che all’inizio della storia sono di soli-

to bambini alla fine quasi sempre si sposano, ma non c’è crescita nel rac-conto. Cenerentola è una bambina che vive con la matrigna e le sorella-stre, ma quando a mezzanotte fuggirà dal ballo sarà già matura per ilmatrimonio. Quando Pollicino viene abbandonato con i fratelli nelbosco è addirittura il più piccolo di loro, ma quando riuscirà a tornare acasa dopo tante peripezie, sarà lui a mantenere tutta la famiglia.La fine dell’infanzia, sia nei riti primitivi sia nelle tradizioni popolari

più antiche, rappresentava un momento culminante della vita, o megliol’inizio della vita, poiché ogni preparativo, ogni rituale, veniva affrontatoin funzione del momento in cui si poteva finalmente entrare a far partedella vita sociale della tribù. Tutto il periodo precedente era una prepara-zione al momento dell’iniziazione. Il tipo di infanzia, così come noi laconcepiamo oggi, spensierata e serena, era assolutamente inesistente nelpassato. Il bambino e poi il ragazzo veniva semplicemente avviato e pre-parato per poter affrontare e superare la prova di iniziazione che gli avreb-be permesso di attraversare il confine che lo separava dal ruolo adulto.Questi aspetti sono rimasti a lungo consolidati nel corso delle variabi-

li che hanno caratterizzato le componenti più solide delle nostre tradi-zioni popolari, e il loro riproporsi durante gli innumerevoli mutamentiche hanno segnato il cammino della civiltà ne hanno rafforzato lamemoria storica e la sua trasmissione orale nel corso dei secoli, giun-gendo fino a noi sotto forma di narrazione mitologica o popolare, aseconda che si trattasse di argomenti sacri o profani. Questo lungo percorso, nell’attraversare secoli di storia, storia spesso

non documentata e non documentabile, ha dovuto in molti casi accettareuna ricostruzione in cui fantastico e reale, divino e umano coesistono in

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maniera inscindibile, costruendo la storia dell’uomo in una mescolanzadi conoscenza e di mistero. Questo spiega il motivo per cui la maggiorparte dei temi narrativi che ritroviamo nelle leggende e nelle fiabe hannoorigini infinitamente lontane nel tempo, che possono essere collocate17

nei primordiali ricordi dell’umanità quando lo sforzo maggiore era la lotta per

la sopravvivenza: i fenomeni e le grandi forze della natura, gli animali e le fiere

vi hanno gran parte o ne sono addirittura i protagonisti. Sono i temi più elemen-

tari, i temi dell’uomo nudo, del nomade, del cacciatore e del pescatore, il quale

nel raccontare l’impresa ingigantisce ai suoi stessi occhi e si batte contro belve

enormi, contro orridi mostri, cattura prede incredibili. Il meraviglioso dà inge-

nuamente o abilmente coloritura a quei temi antichissimi dove esseri piccoli e

naturalmente indifesi riescono ad avere la meglio contro avversari più forti ed

il racconto di un avvenimento straordinario, passando di bocca in bocca, si

modifica, si arricchisce, si trasforma già in leggenda. La funzione è evidente

nella stessa contrapposizione.18

Una componente, quella dello «straordinario», del «mistero», che hasempre accompagnato e sempre accompagnerà l’uomo, sul piano del-l’inconoscibile e delle domande che non trovano risposta. Questo atteg-giamento, questo bisogno di muoversi sul confine tra storia e tradizione,tra fantastico e reale, tra sogno e realtà, trova la sua risposta più moder-na nella fiaba, che racchiude in sé tutte queste verità esteriori e interio-ri, consce e inconsce. Che pur nella sua semplicità di esposizione e dicontenuti, accoglie tutti gli elementi del vivere umano: paure e ansie dasuperare, mostri da sconfiggere, mete da raggiungere. Attraverso lafiaba riscopriamo noi stessi, assorbiamo a livello inconscio i primordia-li istinti di conservazione e di difesa, e acquisiamo i meccanismi interio-ri per superare le nostre angosce e le difficoltà esterne.

17Sulle origini dei temi narrativi molto è stato scritto e costituisce tuttora un interessante argomento di

ricerca. Si sarebbero potute introdurre citazioni interessanti, originali, innovative, ma la scelta è cadu-ta su un brano di un saggio del Petrini per la straordinaria semplicità con cui questo studioso di lette-ratura giovanile è riuscito a infondere nell’elemento della memorabilità la trasposizione magica delreale che si trasforma in leggenda.18Enzo Petrini, «Dai temi narrativi alla letteratura giovanile», Letteratura giovanile. Schedario, n. 133,

gennaio-febbraio 1975, pp. 1-2.

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Ed è soprattutto nell’infanzia che questi meccanismi scattano conmaggiore naturalezza e semplicità, poiché è in questa età che i mostriinteriori fanno più paura; ma se il bambino impara a conoscere quellidelle fiabe e a comprendere come sconfiggerli, avrà acquisito un mezzodi difesa molto forte per combattere conflitti interiori, emozioni e istin-ti primordiali (una delle eredità delle nostre origini che nemmeno lascienza è in grado di annientare).Il rapporto tra bambino e fiaba può offrire all’osservatore elementi di

estremo interesse per comprendere che il bambino trova più risposte allesue domande in un racconto di magia che in situazioni concrete cheancora non è in grado di capire, infatti le regole che l’adulto cerca diimporre all’infanzia molto spesso contrastano con la logica del bambi-no, che è portato ad agire in maniera più naturale e spontanea e quindinon riesce ad afferrare le complicate norme di comportamento socialestabilite dagli adulti. Nelle fiabe, al contrario, ogni azione rappresentauna tappa per giungere alla meta finale. Anche J.R.R.Tolkien, nel ribadire l’importanza della fiaba, descrive

quelli che ritiene fattori indispensabili in una buona fiaba con i termini«fantasia», «recupero», «fuga» e «consolazione»: recupero dalla profon-da disperazione, fuga da qualche grave pericolo ma, soprattutto, consola-zione. Parlando del lieto fine, Tolkien sottolinea che tutte le fiabe com-plete devono averlo. Esso costituisce «un’improvvisa e felice “svolta”»:

Per quanto fantastica o terribile sia l’avventura, può far sì che a un bambino o

a un uomo che l’ascolta, quando si determina la «svolta», manchi per un atti-

mo il respiro, il cuore batta più in fretta e più forte, gli occhi s’inumidiscano.19

Anche il fumetto, in moltissimi casi, possiede questa caratteristica.I suoi personaggi, le sue storie, sono una rappresentazione della vita,dei problemi grandi e piccoli che ogni giorno ci investono, ci coinvol-

19 J.R.R. Tolkien, Il Signore degli anelli. Trilogia, a cura di Quirino Principe, introduzione di ElemireZolla, Milano, Rusconi, 1991. Dello stesso autore, si possono leggere Albero e foglia, Lo Hobbit, IlSilmarillion, Le avventure di Tom Bombadil, Le lettere di Babbo Natale, Racconti incompiuti diNúmenor e della Terra-di-mezzo, Mr. Bliss, Racconti ritrovati, Racconti perduti, Immagini (nelle edi-zioni Rusconi).

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gono. Molti dei suoi personaggi seriali non invecchiano e non muoio-no, ma la loro vita presenta le caratteristiche di riferimento di cui ilbambino ha bisogno per riconoscere le debolezze, le aspirazioni, le dif-ficoltà che dovrà affrontare crescendo.Il fumetto si presenta in questo contesto non solo come una forma di

lettura ma anche come una forma di vita, ha un suo fondamentale ruolopsicologico che assume una configurazione educativa molto profondanel momento in cui, catturando l’attenzione del bambino, lo coinvolge,lo aiuta a capire le sue emozioni e gli offre delle soluzioni. I percorsi diquei personaggi del fumetto da cui il bambino è maggiormente attrattosono gli stessi percorsi che affronta giornalmente o dovrà affrontare suc-cessivamente.

I.6 La letteratura a fumetti

La letteratura fumettistica ha caratteristiche ben definite, sia nella strut-tura che nei contenuti. I protagonisti delle storie a fumetti occupano deglispazi racchiusi in vignette e queste, a loro volta, si compongono in unaserie di strisce che, nella loro logica continuità, danno vita a una trama.Una struttura particolare e un modo per narrare una storia che si impon-gono al lettore in maniera diversa da quella di altre forme letterarie.Leggere un fumetto non è come leggere una fiaba o un racconto d’av-

ventura poiché propone un tipo di lettura dell’immagine che si differen-zia profondamente anche da quella dei libri illustrati. Nel fumetto, infat-ti, è presente una dinamicità iconica che lo rende diverso da qualsiasialtro tipo di immagine fissa (disegno, illustrazione, fotografia, pitturaecc.). Il movimento dei personaggi all’interno di una striscia è molto piùsimile a quello dei disegni animati poiché in entrambi i casi la strutturadel disegno deve dare l’idea dello spostamento nello spazio, anche se,naturalmente, nel caso dell’animazione il movimento è di natura pro-priamente cinematografica mentre nel fumetto il passaggio spazio-tem-porale è suggerito da una vignetta all’altra.La letteratura fumettistica tra le sue numerose caratteristiche possiede

anche quella di fornire al lettore una vasta varietà di generi, dal comico-

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satirico al poliziesco, dall’avventuroso al western, dal fantascientificoall’horror,20 e per soddisfare il desiderio di conoscenza degli appassio-nati comprende anche pubblicazioni a carattere saggistico.Il numero di testate oggi in commercio è tale che riesce difficile offri-

re una indicazione quantitativa precisa, soprattutto riguardo alle pubbli-cazioni rivolte all’infanzia e all’adolescenza che, oltre al fumetto vero eproprio, comprendono anche albi e giornalini. Si tratta cioè di letture chehanno successo tra il pubblico giovanile e come tali entrano a far partedella letteratura a cui questo pubblico si rivolge maggiormente. Nonostante ciò, quando si parla di letteratura per l’infanzia molto

spesso il fumetto viene dimenticato, nella stessa misura in cui vienevolutamente trascurato nel mondo della scuola.Eppure i ragazzi «leggono» i fumetti e non è vero, come viene affer-

mato da chi non vuole riconoscerne la validità, che li «guardano» soltan-to. E questa resistenza verso l’ingresso del fumetto nella letteratura perl’infanzia e nell’aula scolastica è provocata principalmente dalla invete-rata abitudine degli insegnanti a usare esclusivamente i libri di testo o,tutt’al più, qualche volume di narrativa o di approfondimento degli argo-menti previsti dai programmi scolastici, senza tenere conto che al di fuoridella scuola i loro alunni scelgono altri generi di lettura più vicini ai lorointeressi e finiscono con l’utilizzare i libri di testo quasi esclusivamenteper svolgere i compiti. Ne consegue che, rifiutando o mantenendo volu-tamente al di fuori dell’ambiente scolastico alcune specifiche preferenzedell’alunno, quest’ultimo può perdere interesse per la lettura, arrivando aconsiderarla una dimensione astratta e un onere piuttosto che un piacere. La proposta di considerare il fumetto un tipo di lettura compreso nella

letteratura per ragazzi e di introdurlo nella scuola a scopi didattici sipone come un invito a ricercare nuove modalità di stimolo all’apprendi-mento, individuando forti corrispondenze tra gli interessi di bambini eadolescenti e le materie di insegnamento, e come una guida di educazio-

20Per un approfondimento sui generi del fumetto cfr. Franco Fossati, Cosa leggere sui fumetti.

Bibliografia e fumettografia, Milano, Ed. Bibliografica, 1980; Alberto Pellegrino, Il mondo a strisce,Firenze, Bulgarini, 1973; Gianna Marrone, «Problematica pedagogica della catalogazione del fumettonella biblioteca giovanile», in Per una pedagogia della biblioteca giovanile, a cura di Anna MariaBernardinis, Padova, Imprimitur, 1995, pp. 129-80.

LA LETTERATURA A FUMETTI 27

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ne alla lettura, per conoscere il mondo sconfinato del fumetto e impara-re ad apprezzarne le qualità nascoste.Uno sguardo alla nostra infanzia, tra i personaggi del Corrierino e di

Topolino, o alla nostra adolescenza, immersa nel mondo fantastico deisupereroi, ci dovrebbe far sorridere serenamente quando vediamo inostri figli o alunni sprofondati nella lettura di un fumetto. Immagine, fantasia e fantastico sono i linguaggi dell’infanzia, lin-

guaggi che l’adulto ha dimenticato o relegato in una memoria lontana,ma se prova a rispolverare i suoi ricordi può far fiorire un dialogo in cuianche il bambino può diventare protagonista.Il messaggio iconico che il fumetto invia ai suoi lettori ha, insieme a

quello audiovisivo della televisione, un indice di gradimento molto alto.Raggiunge strati di popolazione di ogni classe sociale, nella lettura di alcu-ne testate accomuna adulti e bambini (Topolino ne è l’esempio più classi-co) e ha stretti legami con altre forme, in particolare con i film d’animazio-ne e d’avventura e con la narrativa. In questi ultimi decenni ha assunto unruolo didattico che sollecita l’uso dell’immagine e del linguaggio dialoga-to della nuvoletta all’interno delle aree disciplinari e nella realizzazione diunità di intervento programmato sia curricolare che di recupero.La presenza del fumetto nei libri di testo per la scuola elementare e

l’approfondimento dei nuovi codici linguistici fanno ben sperare anchein una legittima e più estesa entrata di queste pubblicazioni nell’aula enella biblioteca scolastica e in una loro diffusione nelle bibliotechecomunali con settori per ragazzi, al fine di poterle utilizzare direttamen-te sfruttando le numerose possibilità informative, linguistiche, iconichee programmatiche che è in grado di offrire.

I.7 Albi, giornalini e fumetti

Indipendentemente dai dettami letterari e pedagogici il fumetto rap-presenta comunque una lettura a cui bambini e adolescenti si avvicina-no volentieri e senza che debbano intervenire pressioni esterne. La suaproduzione è molto ricca e suddivisa in generi che possono soddisfare igusti e le richieste di diverse fasce di età. Dall’albo solo illustrato per i

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più piccoli, al giornalino ricco di rubriche per giocare oltre che per leg-gere, al fumetto vero e proprio (comico-satirico, western, poliziesco,fantascientifico, horror ecc.), fino alla produzione per soli adulti.Questa grande varietà di materiali è stata naturalmente oggetto di

numerosi studi e, soprattutto negli ultimi trent’anni, la saggistica sull’ar-gomento ha curato molti degli aspetti che interessano il fumetto: le ori-gini e la storia, i generi, i personaggi, la struttura, il linguaggio, il dise-gno.21 Tutte tematiche fondamentali se si considera l’aspetto tecnicodella realizzazione del fumetto, ma che evidenziano una carenza di studirivolti a esaminare la possibilità di inserirlo in ambito scolastico, in par-ticolare all’interno delle aree di educazione alla lettura e educazioneall’immagine, per sfruttare in ambito didattico le numerose potenzialitàche è in grado di offrire.Sebbene non particolarmente numerose, le ricerche22 che affrontano

l’analisi di una rilevanza educativa del fumetto sono comunque valide einteressanti, poiché dimostrano che, nonostante la ritrosia degli ambien-ti scolastici, il problema è stato affrontato ed esaminato sotto diversipunti di vista ed è considerato tuttora aperto, soprattutto in relazione aun contesto educativo oggi particolarmente in tensione per l’atmosferadi riforme a cui è sottoposto e che coinvolge non più solo l’istituzionescolastica primaria e secondaria, ma molto più profondamente quelladella formazione universitaria e professionale.Il fumetto si inserisce in questo percorso formativo con il duplice

obiettivo di poter essere utilizzato in ambito scolastico come strumentodidattico autonomo e di configurarsi come uno delle forme della lettera-tura per ragazzi.In relazione al primo obiettivo, è importante rilevare che, pur avendo

fatto capolino sui libri di testo, affacciandosi di tanto in tanto in qualche

21Cfr. la Nota precedente.

22Tra gli studi che analizzano il fumetto sotto un profilo pedagogico e didattico particolarmente signi-

ficativi sono i testi di Antonio Faeti, La bicicletta di Dracula e I tesori e le isole (Firenze, La NuovaItalia, rispettivamente 1985 e 1986) e Dacci questo veleno! Fiabe, fumetti, feuilletons, bambine(Milano, Mondadori, 1998), in cui il fumetto entra a far parte di un contesto più ampio che lo vede inrapporto con altri media. Per un approfondimento del rapporto con la scuola cfr. Ermanno Detti, Ilfumetto tra cultura e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1987, e del rapporto con la didattica cfr.Domenico Volpi, Didattica dei fumetti, Brescia, La Scuola, 1977.

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pagina con una vignetta o una striscia, ne rimane comunque al di fuorinel suo complesso. Leggere una storia su un fumetto oltre che un rac-conto su un libro rappresenta un binomio ancora non attuato, sebbeneanche il fumetto sia ricco di storie interessanti e spesso anche ricchesotto il profilo culturale (si veda ad esempio la testata Martin Mystère,costruita su trame che si muovono tra storia, mitologia e fantastico).Il secondo obiettivo in fondo potrebbe considerarsi raggiunto, poiché

bambini e adolescenti hanno già da tempo acquisito il fumetto tra la loroletteratura, considerandolo lettura piacevole ma comunque lettura. Lodimostra il fatto che non disdegnano di leggere anche le numerose rubri-che inserite tra le storie disegnate e che, da quando la nuova editoria perragazzi ha arricchito i libri di illustrazioni, si avvicinano sempre di piùanche a questi. L’immagine gioca un ruolo fondamentale nell’impattoche il ragazzo ha con la lettura, lasciandogli quindi una maggiore auto-nomia di scelta sia in famiglia sia a scuola e riconoscendo che anche ilfumetto fa parte della letteratura prodotta per l’infanzia e l’adolescenzasicuramente si otterrebbe una crescita non solo di lettori ma anche diamanti della lettura.

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Stampato per conto di Tunué. Editori dell’immaginariopresso Andersen, Frazione Piano Rosa – Boca (NO)

nel mese di settembre 2009

Stampato in Italia – Printed in Italy

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