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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA TESSILE Economia e Organizzazione Aziendale 1 Economia e Organizzazione Aziendale 89 IL CONTROLLO DIREZIONALE DELLA GESTIONE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO LAUREA TRIENNALE IN INGEGNERIA TESSILE A cosa serve il controllo? Assicurare che le scelte della direzione siano correttamente attuate da parte degli organi esecutivi; A valutare la bontà delle decisioni prese; A valutare la bontà delle decisioni da formulare In via generale si può affermare che il controllo è necessario per assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività aziendale. Esso rappresenta una funzione che si diffonde a qualsiasi livello e a qualsiasi posizione organizzativa. La sua lettura in chiave moderna lo posiziona in uno strumento di “indirizzo” dell’attività gestionale, non di disciplina e di vincoli. Un mezzo per individuare le eventuali insufficienze dell’azione allo scopo di stimolare automaticamente gli interventi di correzione, un mezzo di guida del lavoro e delle funzioni svolte a qualsiasi piano della struttura. Si usa distinguere il controllo direzionale da quello esecutivo. Il controllo direzionale si riferisce soprattutto al processo decisorio, in quanto fornisce gli elementi per assumere o correggere le scelte definite in sede di organizzazione e di programmazione della gestione. Il controllo esecutivo si attua invece sulla base di misurazioni strettamente quantitative e non comporta solitamente analisi complesse sulle cause delle disfunzioni e sulle aree di attribuzione delle stesse (i centri di responsabilità sono facilmente identificabili). Si basa su meccanismi pressochè automatici di verifica rispetto ai quali non interviene il giudizio soggettivo. Si impernia sulla fissazione di regole precise per lo svolgimento di compiti specifici e si traduce, quindi, nella constatazione del rispetto o meno di tali regole.

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Economia e Organizzazione Aziendale

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Economia e Organizzazione Aziendale

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IL CONTROLLO DIREZIONALEDELLA GESTIONE

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A cosa serve il controllo? • Assicurare che le scelte della direzione siano correttamente attuate da parte degli

organi esecutivi; • A valutare la bontà delle decisioni prese; • A valutare la bontà delle decisioni da formulare In via generale si può affermare che il controllo è necessario per assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività aziendale. Esso rappresenta una funzione che si diffonde a qualsiasi livello e a qualsiasi posizione organizzativa. La sua lettura in chiave moderna lo posiziona in uno strumento di “indirizzo” dell’attività gestionale, non di disciplina e di vincoli. Un mezzo per individuare le eventuali insufficienze dell’azione allo scopo di stimolare automaticamente gli interventi di correzione, un mezzo di guida del lavoro e delle funzioni svolte a qualsiasi piano della struttura. Si usa distinguere il controllo direzionale da quello esecutivo. Il controllo direzionale si riferisce soprattutto al processo decisorio, in quanto fornisce gli elementi per assumere o correggere le scelte definite in sede di organizzazione e di programmazione della gestione. Il controllo esecutivo si attua invece sulla base di misurazioni strettamente quantitative e non comporta solitamente analisi complesse sulle cause delle disfunzioni e sulle aree di attribuzione delle stesse (i centri di responsabilità sono facilmente identificabili). Si basa su meccanismi pressochè automatici di verifica rispetto ai quali non interviene il giudizio soggettivo. Si impernia sulla fissazione di regole precise per lo svolgimento di compiti specifici e si traduce, quindi, nella constatazione del rispetto o meno di tali regole.

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Es. nei confronti di un addetto ad una macchina operatrice, il controllo esecutivo consiste nel verificare il rispetto delle quantità di produzione attribuite alla macchina, del tempo di funzionamento della macchina, della quantità degli scarti di lavorazione, del rapporto tra tempo produttivo e improduttivo (manutenzione, guasti, ecc.). Il controllo esecutivo si basa su standard, generalmente espressi in prestazioni quantitative non monetarie, e sfocia in interventi di correzione soltanto in casi eccezionali, allorchè le deviazioni dagli standard eccedono i limiti prefissati di tolleranza. In ultima analisi il sistema di controllo procura una struttura per la formulazione delle decisioni e per gli interventi direzionali. Il fine ultimo è quello di correggere decisioni passate o azioni in coso di svolgimento (tempestività).

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Tipologie di controllo

Analisi strategica

Analisi organizzativa

Controllo strategico

Misurazione di efficacia

Misurazione di efficienza

Valutazioni direndimento

Preventivo

ConcomitanteControllo operativo

CONTROLLODI DIREZIONE

Articolazione del controllo di direzione

Il processo di controllo si svolge in tre momenti successivi e complementari: a) In via antecedente, rispetto all’azione (analisi di mercato, tecniche di ricerca

operativa, ecc.); Serve a valutare preventivamente la bontà di certe scelte. Nel processo di programmazione rappresenta una forma di controllo anticipato delle future linee di gestione.

b) In via concomitante allo svolgimento dell’azione (analisi degli scostamenti tra

prestazioni realizzate e obiettivi di programmazione); Si lega alla programmazione perché ha lo scopo di guidare, a tutti i livelli dell’organizzazione, l’attuazione dei piani formulati.

c) In via susseguente attraverso la costruzione di indici di rendimento o di efficienza

aziendale; Va inteso come valutazione dell’efficienza e dell’efficacia della gestione, cioè come strumento di indirizzo per la formulazione delle decisioni future.

Il processo di controllo assumerà aspetti diversi da impresa a impresa, per via delle differenti strutture e situazioni. Tuttavia alcuni controlli sono diffusi in ogni tipologia d’impresa: organizzativi (studio dei tempi e metodi, analisi delle procedure, ecc.), contabili (rilevazioni sistematiche), operativi (su prestazioni lavorative, attraverso statistiche, rapportini, ecc.) sugli obiettivi (analisi periodica degli scostamenti, ecc.). Sulla base dei processi direttivi ed operativi specifici dell’impresa, si costruirà un vero e proprio sistema di controlli di gestione, il cui fine dovrà essere il miglioramento dell’efficienza aziendale.

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Per fare questo bisogna assumere una serie di scelte riguardanti: le aree e le attività da controllare, i tipi di controllo da esercitare in ciascuna area o attività, modalità di attuazione dei controlli (tempi, luoghi e standard di riferimento per i riscontri da effettuare), gli organi cui affidare il controllo, i sistemi di comunicazione e di informazione. Nel controllo economico si può inserire, con carattere di eccezionalità, il controllo strategico. Esso è rivolto a valutare le prospettive di sviluppo dell’azienda, in funzione della strategia adottata, per incontrare la futura evoluzione dell’ambiente. Il controllo direzionale comprende, come si vede nella figura, tre tipi di controllo: 1. Controllo operativo: può essere antecedente o concomitante e riguarda la verifica

del raggiungimento dei risultati di gestione; 2. Le valutazioni di rendimento rientrano nel controllo susseguente allo svolgimento

delle prestazioni e misurano l’efficacia e l’efficienza delle politiche e delle risorse impiegate nell’azienda;

3. Il controllo strategico è il controllo globale della strategia e della struttura aziendale, inteso a verificare la congruenza interna ed esterna dell’azione imprenditoriale.

Il controllo preventivo può essere definito un controllo di realizzabilità in quanto teso a verificare la raggiungibilità degli obiettivi, prima di assumere le decisioni atte al loro conseguimento. Si verifica in modo anticipato la congruenza tra obiettivi, decisioni e attività programmate, tenuto conto dei risultati già ottenuti e dell’evoluzione dell’ambiente esterno all’impresa. Appare strettamente legato a quello concomitante perchè accresce la sua efficacia segnaletica.

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Sistema di controllo operativo

OBIETTIVIDA RAGGIUNGERE

RILEVAZIONE DEIRISULTATI

ANALISI CAUSALEDEGLI SCOSTAMENTI

INTERVENTI DI CORREZIONE

Una gestione programmata rende necessaria l’attivazione di una funzione “concomitante” di controllo operativo, allo scopo di assicurare, nei limiti del possibile, il rispetto degli obiettivi fissati in sede di costruzione dei piani. La programmazione fornisce gli elementi di riferimento o standard su cui applicare i controlli, cioè gli obiettivi. Attraverso l’articolazione del piano, gli obiettivi vengono scomposti tra i principali segmenti operativi (centro di produzione, filiale, singolo operatore, ecc.) e nel tempo. In base ai risultati effettivamente ottenuti, sarà poi possibile analizzare gli eventuali scostamenti verificatisi e proporre le opportune misure correttive. Il controllo preventivo si sostanzia nel raffronto, a scadenze ravvicinate, fra obiettivi programmati e prestazioni ottenute e serve, quindi, ad indirizzare l’azione futura in base ai risultati prefissati. In questo senso il controllo preventivo di certi fenomeni (produzione, vendita, scorte, ecc.) non è “a posteriori”, bensì concomitante, in quanto inteso a modificare il corso futuro dei fenomeni controllati nell’ipotesi di una loro deviazione dall’andamento programmato. L’analisi degli scostamenti può infatti rivelare, oltre ad eventuali inefficienze organizzative, la necessità di modificare gli obiettivi e le politiche di gestione. Ogni sistema di controllo si compone di 4 elementi (vedi figura): 1. Obiettivi da sottoporre a controllo:

Possono essere obiettivi di produzione, di vendita, di costo, ecc. Vengono desunti dalla programmazione formulata o fissati in fase di attuazione di specifiche politiche o azioni operative. Devono essere realistici e chiaramente definiti, altrimenti vanificano l’efficacia delle successive fasi di misurazione e di analisi dei risultati conseguiti.

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2. Rilevazione dei risultati:

Per rilevare i dati è necessaria una organizzazione efficiente. Occorre infatti ottenere tempestivamente i dati sulle prestazioni, raccogliendoli dove si generano e sottoponendoli al necessario processo di elaborazione. Bisogna infatti realizzare un sistema di reporting in grado di far giungere con regolarità i dati sui risultati di gestione ai dirigenti interessati.

3. Analisi degli scostamenti: Si tratta di una fase molto importante perché deve fornire elementi preziosi sulla genesi delle deviazioni rilevate. Un’analisi non corretta può, ovviamente, orientare in modo sbagliato gli interventi di gestione.

4. Interventi di correzione: Servono a controllare e verificare la concordanza tra obiettivi e risultati, preservandola o ristabilendola qualora dovessero crearsi delle difformità. E’ chiaro che il controllo operativo, quale completamento della programmazione, deve assicurare il mantenimento dell’equilibrio tra obiettivi e risorse impiegate nell’attività di gestione. In tal senso esso si traduce in un controllo preventivo o antecedente nei confronti delle prestazioni ancora da realizzare.

L’attuazione del controllo operativo è stata notevolmente agevolata, specialmente nelle grandi imprese o gruppi dotati di una molteplicità di sedi di produzione e di vendita, dalle potenti tecnologie dell’ Information Communication Technology e dalle sofisticate ma “amichevoli” soluzioni applicative in formato ASP (Application Solution Provider).

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Es. controllo rapporto costi di produzione/ricavi

+ 4

- 1

0

+ 1

+ 2

+ 3intervento di emergenza dell’alta direzione

intervento della direzione operativa

intervento di primo livello

variazione tollerata

tempo

scar

ti(6

0%)

Per rendere più automatico il sistema di controllo, si usa spesso prevedere delle fasce di tolleranza degli scostamenti e dei livelli successivi di intervento in rapporto alla misura delle deviazioni verificatesi. Ad esempio si può determinare di accettare uno scarto massimo dell’1% tra quota teorica di vendita e quota effettiva e, allo stesso tempo, stabilire dove dovranno essere impostate le azioni di correzione nelle ipotesi di scostamenti via via crescenti. Il grafico si riferisce al caso di un’impresa che ha posto sotto controllo il rapporto tra costo di produzione e ricavi di vendita, stabilendo il livello normale al 60% e la necessità di interventi di sempre maggiore impegno allorchè l’indice superi il 61%. Dal grafico si rileva che per scarti tra l’1 e il 2% gli interventi saranno promossi al primo livello di supervisione; per scostamenti maggiori qualsiasi misura dovrà essere invece assunta al livello della direzione operativa e, in casi di emergenza, a quello dell’alta direzione. Da azienda a azienda il controllo operativo può essere attuato a intervalli diversi di tempo: in alcune imprese (soprattutto nel settore dei beni di largo consumo) esso è realizzato settimanalmente, in altre mensilmente. Quest’ultima è la ricorrenza più frequente, in quanto la rilevazione mensile dei dati sulle attività svolte non appesantisce eccessivamente il sistema informativo aziendale e consente, allo stesso tempo, di adottare interventi efficaci su azioni in corso. Come detto, la difficoltà del controllo operativo non consiste tanto nella tempestiva rilevazione dei dati necessari per i riscontri da effettuare periodicamente, quanto piuttosto nell’analisi degli scostamenti verificatisi. Le cause degli scostamenti possono essere di diversa origine. Esempio:

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Se le vendite risultano inferiori alle quote stabilite, ciò può essere dipeso dall’inefficienza dell’organizzazione di vendita, da eventi sfavorevoli presentatisi sul mercato, dall’insuccesso di certi prodotti o forme distributive, da errori di valutazione compiuti nella redazione del piano. A seconda della causa, bisogna adottare provvedimenti diversi ed appropriati. Come migliorare l’organizzazione e la produttività del lavoro di vendita, lanciare campagne promozionali, ribassi di prezzo, oppure rettificare il piano data l’impossibilità di porre rimedio in tempi brevi ad errori di marketing o ad errate valutazioni previsionali. Gli interventi di correzione quindi possono incidere sul livello delle prestazioni ottenibili dall’organizzazione (gli obiettivi prefissati rimangono confermati e si tende a riportare l’attività in linea con la programmazione) oppure direttamente sui piani (riadeguamento alle condizioni interne ed esterne di svolgimento della gestione).

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Controllo operativo del piano di vendita

ORGANI PERIFERICIDI VENDITA

REPARTOPROGRAMMAZIONE

E CONTROLLO

REPARTOVENDITE

REPARTO AMMINISTRAZIONE

VENDITE

REPARTOPROMOZIONE

VENDITE

REPARTO PROGRAMMAZIONE

E CONTROLLO

REPARTO VENDITE

ALTRE LINEEFUNZIONALI

ORGANICIPERIFERICIDI VENDITA

DIREZIONECOMMERCIALE

Analisi degli scostamenti

Interventi organizzativi Modifiche ai programmi Interventi promozionaliInformazioni per la predisposizione diinterventi di correzione

Dati analitici di vendita Dati riassuntivi di vendita

Dati sui costi e ricavi di vendita

feed- back

La procedura schematizzata nella slide mostra il flusso dei dati e degli interventi previsti per tenere sotto controllo lo svolgimento dell’attività commerciale. • Invio periodico dei dati riguardanti i contratti di vendita stipulati e i relativi costi –

ricavi all’organo incaricato del controllo operativo (Reparto programmazione e controllo) da parte del Reparto Vendite e del Reparto Amministrazione Vendite;

• Analisi degli scostamenti rispetto al piano e al budget e trasmissione dei risultati alla Direzione commerciale;

• In caso di scostamenti che richiedono azioni correttive, sono possibili tre ipotesi di intervento:

• di natura organizzativa (Reparto vendita – organici) • di natura promozionale (Reparto promozione vendita) • di modifica degli obiettivi programmati (Reparto programmazione e controllo)

Come si vede la Direzione Commerciale attiva un flusso di informazioni di ritorno, inteso a riportare il sistema in equilibrio (meccanismo di feed-back o retroazione). L’attuazione della programmazione e del controllo operativo consentono di realizzare la direzione per obiettivi e il controllo per risultati (M.B.O. = Management by Objectives).

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La misurazione di efficienza della gestione

Ricavi e Costi relativi allagestione caratteristica

Proventi e oneri relativi allagestione patrimoniale che integra quella caratteristica

RISULTATO DELLAGESTIONE OPERATIVA

CARATTERISTICA

RISULTATO DELLAGESTIONE OPERATIVA

PATRIMONIALE

RISULTATO DELLA GESTIONE OPERATIVA

AZIENDALE

RISULTATO LORDODELLA GESTIONEDI COMPETENZA

GESTIONE STRAORDINARIARISULTATI ESTRANEI

ALLA GESTIONE CARATTERISTICA O DI COMPETENZA DI PASSATI

ESERCIZI

REDDITOANTE-IMPOSTE

Fatti non imputabili alla gestioneoperativa dell’esercizio e fatti dicompetenza di passati esercizi

Oneri per finanziamentoattività svolte nella gestioneoperativa

a) c)

b)

d)

La funzione di controllo della gestione non si esaurisce nello svolgimento del controllo operativo concomitante, ma si completa con l’attuazione delle valutazioni di efficienza-efficacia sulla gestione aziendale. Queste vengono compiute solitamente a conclusione dell’esercizio annuale o dei cicli fondamentali di gestione e rappresentano dei controlli “a posteriori” del rendimento dei vari fattori impegnati nella combinazione produttiva. Efficienza Capacità di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione. E’ misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impegnate. Efficacia Grado di raggiungimento degli obiettivi aziendali. E’ misurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbe dovuto conseguire. Noi, per comodità, attribuiremo al concetto di efficienza un significato più ampio che abbraccia anche quello dell’efficacia, per affrontare il problema del controllo susseguente (post-azione) in modo unitario. Non è facile misurare l’efficienza, perché comprende una molteplicità di aspetti da valutare in modo distinto. Si può parlare di efficienza interna od organizzativa, efficienza esterna o di mercato, ma anche di efficienza della funzione di produzione, finanziaria, di vendita, oppure ancora dell’efficienza degli uomini, degli impianti, delle tecnologie impiegate dall’impresa, ecc. E’ pertanto difficile trovare un indice, un valore che sia rappresentativo del risultato della gestione aziendale. Il reddito di esercizio?

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Solo in apparenza il reddito d’esercizio può risultare il valore di sintesi ricercato. In realtà è soltanto un valore residuale di natura contabile, espressivo delle politiche di bilancio e condizionato dalle scelte passate e dalle prospettive di gestione. Il reddito infatti è un elemento significativo solo nel lungo periodo, al limite solo in riferimento all’intera vita dell’azienda. Nella realtà esso rappresenta il risultato economico di un segmento annuale, difficilmente enucleabile dai segmenti precedenti e da quelli successivi, condizionato dai criteri di valutazione e dalle finalità del bilancio. Anche se la redazione del bilancio deve attenersi a corretti principi contabili, bisogna pur affermare che il reddito d’esercizio è sempre un valore residuale, decisamente influenzato dalla previsione dei futuri eventi di gestione. In particolare gli accantonamenti e gli ammortamenti incidono sulla misura finale del reddito. Quali elementi di valutazione dell’efficienza aziendale, si considerano più significativi il cash-flow e il margine (o utile) operativo. COMPONENTI DELLA GESTIONE AZIENDALE a) Gestione tipica o caratteristica: costituita da tutte le operazioni destinate a

raggiungere l’obiettivo finale per cui l’impresa stessa è stata creata; b) Gestione finanziaria: è rappresentata dalle operazioni di reperimento e di impiego

dei fondi occorrenti o prodotti dall’attività aziendale. E’ comune tanto alla gestione caratteristica quanto alla gestione patrimoniale;

c) Gestione patrimoniale (o accessoria): è riferibile all’impiego dei capitali disponibili in attività diverse da quelle della gestione caratteristica e di beni non strumentali per l’esercizio della gestione tipica (es. un immobile dato in locazione a terzi, capital-gains all’atto dei disinvestimenti di partecipazioni di gruppo, ecc.);

d) Gestione straordinaria: è composto dagli eventi estranei alla gestione operativa ed imprevedibili nel loro verificarsi o nella misura degli effetti prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale dell’impresa (sopravvenienze, insussistenze, plusvalenze e minusvalenze).

Ciascun tipo di gestione è destinato dunque a produrre dei risultati e questi ultimi andranno a comporre il risultato globale dell’attività aziendale. L’indice più significativo è il risultato relativo alla gestione operativa, cioè quello scaturente dall’attività tipica o propria dell’impresa, anche se in non pochi casi questo risultato potrà essere modificato per il verificarsi di eventi non ordinari (gestione straordinaria), per la messa a frutto del patrimonio non impiegato strumentalmente nell’attività caratteristica e per gli esiti della gestione finanziaria. Specie nelle attuali condizioni di mercato dei capitali, è infatti importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestione industriale e quant’altra da quella finanziaria e accessoria. In molti casi la situazione di sottocapitalizzazione dell’impresa (forte squilibrio tra mezzi propri e di terzi) può pregiudicare l’esito dell’attività puramente industriale. Il margine operativo (a) rappresenta il risultato della gestione caratteristica dell’impresa (uguale alla differenza tra ricavi e costi dell’attività tipica aziendale, al lordo degli oneri fiscali). Gli effetti negativi dell’indebitamento si leggono nella gestione finanziaria.

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Margine operativo e cash flow

= Cash-flow finanziario

+ Accantonamenti

= Cash flow reddituale

+ Ammortamenti

Risultato netto d’esercizio

Risultato lordo di gestione=

Quote di ammortamento-

Cash-flow reddituale=

Quote di accantonamento-

Cash-flow finanziario=

Costi commerciali, amministrativi e finanziari

Margine lordo industriale

Costi di produzione (esclusi ammortamenti)

Ricavi d’esercizio

Margine netto industriale o margine operativo

Costi commerciali e amministrativi dell’attività tipica (esclusi gli oneri finanziari)

Margine lordo industriale

Costi di produzione attivitàtipica (esclusi ammortamenti)

Ricavi dell’attività tipica

=

--

==

--

CASH-FLOWMARGINE OPERATIVO

CASH FLOW E’ la sommatoria dell’utile netto, degli ammortamenti e degli accantonamenti (cash-flow finanziario), oppure la somma dell’utile netto e degli ammortamenti (cash-flow reddituale). Indica l’ammontate delle disponibilità di gestione da cui trarre le quote di ammortamento, quelle di accantonamento e il reddito da distribuire ai titolari dell’impresa. Si ritiene più significativo del reddito d’esercizio perché spesso, proprio mediante la dilatazione o la compressione delle politiche di ammortamento o di accantonamento, si determina il risultato di esercizio, che, se esaminato a sé stante, può trarre in inganno sull’efficienza economica della gestione. In altri termini il cash-flow vuole essere un valore indicativo dell’autofinanziamento aziendale e, in quanto tale, è considerato meglio espressivo del risultato della gestione, anche se risente dei criteri di valutazione applicati nella redazione del bilancio d’esercizio e dalla presenza di componenti estranee alla gestione tipica o caratteristica. Il cash-flow può essere ricavato sommando al risultato netto dell’esercizio tutte le quote d’ammortamento, al netto degli usi e tutte le quote di accantonamento, sempre al netto degli usi (TFR, svalutaz. crediti, rischi diversi). Oppure detraendo dai ricavi di esercizio tutti i costi che comportano l’erogazione di mezzi finanziari (esclusi i costi di ammortamenti e gli accantonamenti). I valori sintetici ora richiamati non rivelano tuttavia la misura dell’efficienza interna ed esterna e poco dicono sul contributo della struttura al raggiungimento degli obiettivi di gestione. Il management ha interesse ad approfondire le analisi per tenere distintamente sotto controllo l’efficienza organizzativa, economica e di mercato dell’azienda:

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1) EFFICIENZA ORGANIZZATIVA Si riflette sul livello di produttività del lavoro aziendale. Riguarda la struttura, le procedure e gli uomini impegnati nel sistema aziendale. Il rendimento dell’organizzazione può essere infatti influenzato dal modello di organigramma adottato, dalle procedure definite per l’attività direzionale ed esecutiva e dalle capacità del fattore umano disponibile. La misurazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la misurazione del rendimento del personale sia per mezzo di appropriate analisi organizzative. a) Il rendimento del personale si può misurare:

con indici quantitativi , tra cui il più importante è l’indice di produttività, cioè il rapporto tra risultato conseguito e sforzo sostenuto: es. per un operaio addetto allo stampaggio di pezzi di lamiera, il raffronto sarà tra il numero dei pezzi stampati (risultato) e il tempo impiegato (sforzo). Se lo stampaggio dovesse essere automatico, senza l’intervento dell’uomo, lo stesso rapporto si potrebbe costruire per il rendimento della macchina operatrice. Utile è la comparazione della produttività per i vari addetti agli stessi lavori e la valutazione delle variazioni dell’efficienza lavorativa all’interno dell’impresa.

con indici qualitativi. La produttività non rivela nulla sulla qualità delle prestazioni rese. Si potrebbe ad esempio verificare che l’operaio A stampi in un’ora 60 pezzi mentre l’operaio B ne stampo 50, ma che il primo abbia una percentuale di sfridi del 10% e il secondo del 5%. Ciò significa in altri termini che ad una più elevata produttività dell’operaio A fa riscontro una migliore resa di lavorazione dell’operaio B. Quali aspetti qualitativi andrebbero tenuti sotto controllo? La quantità di materie prime impiegate, il corretto impiego di macchine e utensili, i costi sostenuti per ottenere i risultati, ecc.)

b) le analisi organizzative attengono alla struttura e alle procedure di lavoro. Non

originano indici. Sono condotte attraverso analisi piuttosto complesse, mediante interviste ai responsabili dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ricostruzione delle procedure mediante diagrammi di flusso. Sono analisi che generalmente richiedono l’impiego di specialisti in organizzazione aziendale, in grado di valutare l’adeguatezza della struttura alle strategie che l’impresa intende attuare, con particolare riguardo al corretto impiego delle capacità personali presenti nell’azienda.

2) EFFICIENZA ECONOMICA Può essere misurata con riferimento a tre parametri fondamentali: costi, ricavi, reddito. Gli indici quantitativi più frequentemente usati sono:

• L’indice di economicità: al numeratore i costi afferenti a singole funzioni o all’intera attività aziendale, al denominatore i ricavi della gestione. Viene così valutata in modo sintetico la situazione di equilibrio o di squilibrio esistente nel conto economico dell’azienda. Il suo valore è sempre più positivo quando più si attesta al di sotto dell’unità;

• L’indice di redditività: al numeratore il reddito registrato dall’impresa, al denominatore il capitale investito. Ne parleremo più avanti.

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3) EFFICIENZA DI MERCATO (O ESTERNA) L’indice che meglio fornisce valutazioni sintetiche è la quota di mercato. Infatti il solo tasso di sviluppo delle vendite non dice nulla circa il mutamento di posizione rispetto ai diretti concorrenti. Pere ottenere questa misurazione, come si deve definire il mercato dell’impresa? Quali marche includere, quali tipologie produttive, quale area geografica considerare per determinare il denominatore del rapporto? In realtà la quota di mercato è più indicativa nell’ipotesi di prodotti del tutto similari (automobili, abiti confezionati, elettrodomestici, detersivi, ecc.) e per marche che coprono l’intero mercato nazionale, meglio se in presenza di un elevato grado di concentrazione dell’offerta. Un’impresa piccola avrà scarso interesse a conoscere la propria quota di mercato molto frazionato o addirittura locale. A differenza degli indici di efficienza illustrati in precedenza, che risultano costruibili su dati interni, la determinazione della quota di mercato comporta la conoscenza di un dato esterno (vendite globali) che spesso richiede apposite indagini di mercato. Di fronte alla difficoltà di reperire i dati esterni, le aziende spesso si limitano a valutare l’efficienza esterna in rapporto a dati prevalentemente interni (incremento globale del fatturato, immissione di nuovi prodotti nel mercato, acquisizione di nuovi segmenti di clientela, ampliamento degli sbocchi distributivi raggiunti, ecc.). Si costruiscono pertanto indici di sviluppo del fatturato nel suo complesso, per classi di prodotti e di clienti, di penetrazione distributiva, di ampliamento della clientela. Sono indici utili nel valutare l’efficienza commerciale, ma non hanno lo stesso grado di significatività della quota di mercato. Bisogna infine distinguere l’incremento reale da quello puramente monetario. In un’epoca di sostenuta inflazione, la crescita del fatturato può dipendere più dalla dinamica dei prezzi di vendita che non da quella delle quantità vendute.

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Diagramma di redditività

AREA DEI PROFITTI

AREA DELLEPERDITE

COSTI VARIABILI

COSTI FISSI

QUANTITA’

CO

STI E

RIC

AVI

F

O

L

L’P

G’

G

V’

F’

R

q’ q q’’

C’

C

Ricordiamo ancora una volta che l’efficienza gestionale in senso stretto consiste nel rapporto tra risultato e sforzo. L’efficacia consiste nel rapporto tra risultati conseguiti e conseguibili. Raccogliendo entrambi i concetti, parleremo di efficienza in senso lato. Per misurare aspetti specifici della funzionalità di parti o dell’intero sistema aziendale, analizziamo le tecniche per:

a) Misurare la potenzialità economico strutturale dell’impresa; b) Valutare la redditività e l’economicità della gestione; c) Valutare l’efficienza della funzione di vendita.

a) La misurazione della potenzialità economico-strutturale mediante il

diagramma di redditività La capacità di reddito di un’impresa deriva, oltre che dai comportamenti che essa attua nei confronti del mercato, dai vincoli entro cui si svolge la sua gestione. I vincoli si collegano alla struttura stessa dell’impresa e a quella dell’ambiente esterno. Tra le condizioni vincolanti interne, si ricorda:

• La capacità di produzione (sia quantitativa che qualitativa); • La capacità finanziaria; • La capacità organizzativa; • La potenzialità economico-strutturale.

Quest’ultima dipende dalla struttura dei costi e dei ricavi aziendali, per quanto attiene in particolare al rapporto che intercorre tra costi fissi, costi variabili e ricavi. Lo strumento per misurare la potenzialità economico-strutturale è il diagramma di redditività, utilizzato per valutare in via preventiva o consuntiva gli effetti delle scelte aziendali sulle relazioni costi-volumi-risultati.

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Il grafico si costruisce rilevando o stimando l’altezza dei ricavi e dei costi fissi e variabili al livello massimo della potenzialità produttiva o di vendita dell’azienda. La cifra dei ricavi è desumibile abbastanza agevolmente dalla contabilità (se la misurazione è consuntiva) ed è stimabile, seppur con un cero grado di approssimazione, in relazione alle presunte quote di vendita dei vari prodotti. Più difficile è la determinazione dei costi fissi e dei costi variabili, sia in via preventiva che consuntiva. Per farlo è necessario analizzare il comportamento durante un periodo non breve di tempo (cinque-dieci anni). Dalle situazioni economiche relative a questo intervallo possono dapprima enuclearsi i costi fissi e, successivamente, i costi variabili. Per costruire il grafico bisogna tuttavia determinare il coefficiente di variabilità di tali costi in funzione di una certa unità di misura, che può essere ad esempio la quantità prodotta o venduta nei vari anni del periodo considerato. In questo modo è infatti possibile controllare se il coefficiente di incidenza dei singoli costi variabili rispetto all’unità di misura prescelta sia rimasto costante al variare dei valori da questa assunti oppure se sia mutato, ed entro quali limiti. La determinazione della potenzialità economico-strutturale viene pertanto tutta a poggiare sull’identificazione della variabilità del costo rispetto al volume di attività. Il rischio, in caso contrario, è quello di appoggiarsi su stime largamente empiriche ed arbitrarie. L’analisi della variabilità dei costi si complica in periodi di elevata inflazione. Poiché questa non si abbatte in modo omogeneo sui vari tipi di costo, è intuibile la maggiore difficoltà connessa con l’individuazione di rapporti tendenziali di variabilità per ciascuno di essi. Su un diagramma cartesiano ora si pone sull’asse delle ordinate i costi ed i ricavi (in termini monetari o in percentuale del volume massimo del fatturato, sull’asse delle ascisse la base di riferimento di tali costi, che può essere il grado di utilizzazione degli impianti o, come accade più frequentemente, il volume di produzione o di vendita espresso in termini monetari o di quantità fisiche di prodotti (volume di attività). La line FF’ parallela all’asse delle ascisse rappresenta l’ammontare complessivo dei costi fissi. L’andamento dei costi variabili è rappresentato dalla linea OV’ con una inclinazione influenzata dal coefficiente di proporzionalità rispetto al volume. La linea C C’ rappresenta i costi totali dell’azienda. I ricavi sono rappresentati dalla linea OR, che esce dall’origine degli assi, anch’essa con una certa inclinazione, variando i ricavi proporzionalmente al variare del volume di vendita. Il punto P di incontro dei costi complessivi e dei ricavi complessivi è chiamato punto critico o punto di pareggio (break even point) e segnala la grandezza del volume produttivo o di vendita per la quale costi e ricavi si eguagliano, cioè il profitto è pari a zero. Il punto P definisce due triangoli che rappresentano rispettivamente l’area delle perdite (triangolo OCP’) e l’area dei profitti (triangolo PRC’). Con la quantità di produzione o di vendita uguale e q’ l’azienda subirebbe una perdita pari al segmento LL’. Se il volume fosse invece uguale a q il profitto conseguito sarebbe uguale al segmento GG’.

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Dalla posizione del punto di pareggio si può dunque evincere il grado di potenzialità economico-strutturale dell’azienda. Esso delimita infatti l’ampiezza dimensionale dell’area delle perdite e dei profitti. Un incremento dei costi o una diminuzione dei ricavi sposta il punto di pareggio a destra, riducendo l’area dei profitti e ampliando quella delle perdite. Effetto contrario si crea diminuendo i costi e aumentando i ricavi. Più il punto di pareggio si sposta verso sinistra più migliora la potenzialità economico-strutturale, in quanto si amplia l‘area dei profitti. Se si muove verso destra , cioè si avvicina al punto di massimo sfruttamento degli impianti, minore risulta la potenzialità economico-strutturale dell’azienda, la quale corre in questa situazione il rischio di trovarsi, anche per una lieve flessione delle vendite, immediatamente nell’area perdite Al punto di pareggio è legato in sostanza il concetto di leva operativa, intesa come il rapporto tra la variazione percentuale del reddito operativo e quella delle unità vendute. Può essere definita come il grado in cui vengono sfruttati i costi fissi nell’attività operativa. In sostanza un’azienda che ha una elevata proporzione di costi fissi rispetto ai costi totali e ai ricavi ha un’alta leva operativa, perché, al crescere della quantità prodotta, vede crescere più rapidamente il suo reddito operativo rispetto ad un’altra azienda con una leva operativa più bassa. Il concetto di leva operativa si collega, quindi, alla struttura dei costi e misura le conseguenze di un miglior sfruttamento dei costi fissi sul risultato operativo aziendale. E’ chiaro del resto che un’azienda con alti costi fissi sopporta un rischio più elevato rispetto ad un’impresa con minore incidenza di tali costi, perché i costi fissi globali sono indipendenti dal volume di produzione, mentre l’incidenza di questi costi sulle unità prodotte diviene sempre più bassa all’aumentare dei volumi prodotti con le potenzialità di produzione disponibili. Variazione percentuale del reddito operativo Leva operativa = ----------------------------------------------------- Variazione percentuale delle vendite Oltre che graficamente, il punto di pareggio può essere determinato anche in via analitica: x = ricavi y = volume produttivo o di vendita (nell’ipotesi di una perfetta uguaglianza tra valore del volume di produzione e di vendita e valore di ricavi) La linea dei costi complessivi può essere espressa da n’equazione del tipo: x’ = ay + k x’ = costo complessivo a = coefficiente angolare della linea dei costi variabili (rapporto tra costi variabili totali e ricavi complessivi) k = costi fissi Per avere il punto di equilibrio è necessario che i ricavi siano uguali ai costi, cioè: y = ay + k

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da cui si ottiene:

k y = ------ 1 – a Analiticamente dunque, il volume di produzione o di vendita, corrispondente al punto di equilibrio espresso in volume monetario di produzione e di vendita, è dato dal rapporto tra costi fissi e la differenza tra i ricavi unitari ed il coefficiente di variabilità dei costi variabili (questa differenza è denominata “margine di contribuzione” , in quanto sta ad indicare in quale misura i ricavi di vendita “contribuiscono” all’assorbimento dei costi fissi). Nell’ipotesi di produzioni omogenee la determinazione del punto di equilibrio può essere ottenuta sulla base di valori totali, partendo dalla cosidetta “equazione del profitto”. Questa si esprime ponendo i ricavi complessivi pari ai costi complessivi più il profitto. Cioè: RQx = Cf + CvQx + PQx Qx = volume di produzione o di vendita; R = ricavo per unità di prodotto; Cf = costi fissi complessivi; Cv = costi variabili per unità di prodotto; P = profitto per unità di prodotto. Il punto di pareggio si ha quando PQx è uguale a zero; cioè l’equazione diventa RQx = Cf + CvQx da cui si ottiene Cf Qx = -------- R - Cv Qx esprime il volume di produzione o di vendita (misurato questa volta in termini di unità di prodotto) al quale corrisponde il punto di pareggio: volume che si ottiene dal rapporto tra i costi fissi complessivi e la differenza tra ricavi e costi variabili unitari. In questo modo non è necessario il calcolo dei coefficienti di variabilità, potendosi utilizzare direttamente i valori unitari dei ricavi e dei costi variabili. Il grafico di redditività serve, oltre che come strumento di budget flessibile (fornisce per qualsiasi volume di produzione e di vendita, sempre nei limiti della capacità massima degli impianti,il previsto risultato reddituale) , per valutare gli effetti delle scelte aziendali sul rapporto costi-volumi-risultati. In quest’ultimo caso è utile per stimare, in via anticipata o posticipata, i risultati in termini di equilibrio economico-strutturale di ciascuna decisione aziendale.

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Questa infatti può incidere sia sui costi fissi che su quelli variabili o ancora sull’altezza dei ricavi, di modo che la sua attuazione finisce per spostare il punto di pareggio in senso più favorevole o sfavorevole per l’impresa. L’impiego del diagramma, oltre che offrire un elemento di giudizio ai fini decisionali, risulta ancor più utile nell’ipotesi di comparazione di soluzioni alternative, dato che, a parità di reddito futuro e di altre condizioni, all’azienda conviene scegliere il comportamento che migliora la sua potenzialità economico-strutturale. Nel costruire il grafico si è fatto ricorso alle tre seguenti semplificazioni: 1. La costanza dei ricavi unitari di vendita, ossia la diretta proporzionalità dei ricavi

complessivi rispetto al volume venduto. Si riscontra nella realtà solo quando l’impresa rimane nelle sue decisioni di prezzo, sconti e abbuoni per qualsiasi volume di vendita: in questo caso il ricavo resta infatti sempre lo stesso per ciascuna unità di prodotto e la proporzionalità dei ricavi complessivi rispetto al volume venduto diviene un dato di fatto. Ma di solito accade che l’impresa modifica queste due scelte e allora la linea dei ricavi tracciata nel grafico non corrisponde alla realtà e se ne discosta tanto più quanto più marcata è la siffatta modificazione.

2. L’invariabilità della composizione quali-quantitativa della gamma di produzione realizzata: Nel caso della produzione e della vendita di una gamma di prodotti, la determinazione dei costi è operata o stimata in funzione di una certa struttura della produzione e, quindi, si ipotizza che tale struttura rimanga inalterata nel periodo durante il quale il grafico sarà utilizzato. E’ chiaro che una variazione della gamma si riflette sui costi, potendo provocare un’alterazione del rapporto tra costi fissi e variabili.

3. Assumendo l’esistenza di soli costi variabili proporzionali in tutto l’insieme di costi variabili tipici di ciascuna azienda, si opera una considerevole forzatura della realtà, dimenticando tra i costi variabili quelli che mutano in misura più o meno proporzionale al variare di una certa unità di misura. La semplificazione consiste nel riportare nel grafico una linea di costi variabili totali al posto di una curva di costi variabili complessivi risultante dalle curve dei diversi tipi di costi variabili.

L’utilizzazione del grafico di redditività è possibile solo nel tempo breve perché è difficile che le grandezze che sono alla base della sua costruzione (costi fissi, ricavi, ecc.) si mantengano invariate nel medio-lungo termine. In conclusione, va sottolineato che i limiti descritti non annullano i vantaggi del ricorso a questo strumento di controllo, ma restringe soltanto la portata indicativa delle sue risultanze.

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I quozienti di bilancio

I quozienti di bilancio servono a valutare l’andamento della redditività e dell’economicitàdell’attività aziendale.

I quozienti si possono comparare nel tempo e gli indici “utili” vanno scelti finalizzandoli agli scopo delle valutazioni da compiere e al grado di affinamento delle analisi.

L’analisi della efficienza aziendale si avvale di varie tecniche e strumenti, tra cui i quozienti di bilancio o “ratios”. Questi sono basati su dati interni aziendali e rappresentano indicatori economico-finanziari tratti dal bilancio di esercizio o da situazioni contabili opportunamente predisposte. Si costruiscono mediante rapporti tra le poste dello stato patrimoniale e/o del conto economico e tendono a rivelare soluzioni ed andamenti nel tempo della gestione. Sono in pratica uno strumento per l’interpretazione del bilancio d’esercizio e costituiscono una base per le valutazioni prospettiche delle situazioni patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda. Prima di procedere alla determinazione dei “ratio” è quasi sempre necessario riclassificare le poste di bilancio, in modo da rendere omogenei i criteri di esposizione dei dati. I “ratio” sono un elemento importante anche per la lettura e l’interpretazione del bilancio d’esercizio attuate all’esterno dell’azienda, per valutare la sua struttura economico-patrimoniale. La comparazione nel tempo e nello spazio (cioè rispetto ad altre aziende similari) dei “ratio” fornisce indicazioni utili per individuare i punti di forza e di debolezza dell’impresa e per impostare gli interventi di correzione. Gli indici di bilancio sono particolarmente significativi se costituiti in sistema, cioè se collegati ad altri indicatori della struttura patrimoniale, economica e finanziaria. Sono particolarmente efficaci inoltre se elaborati con criteri omogenei nel tempo. Se cambiano, per esempio, i criteri di valutazione, se cambia l’entità degli ammortamenti, se nel periodo considerato si determina un diverso grado di inflazione, anche gli indicatori di bilancio risultano fortemente compromessi.

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Rappresentazione “a zone” dello Stato Patrimoniale

ATTIVITA’LIQUIDE

PASSIVITA’CORRENTI

DEFICIT DI TESORERIA

PASSIVITA’CONSOLIDATE

(DEBITI AM/L TERMINE)

MEZZI PROPRI

ATTIVITA’FISSE NETTE

(IMMOBILIZZ.TECNICHE,

IMMATERIALIE FINANZIARIE)

ATTIV.CORR.

CAP.CIRCOL.NETTO

CCN

ATTIVITA’DISPONIBILI

(CREDITI ERIMANENZE)

ATTIVITA’ PASSIVITA’ E NETTO

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Indici di redditività

Reddito netto

Capitale netto iniziale + Capitale netto finale2

Reddito netto

(Tap – Fr)i + (Tap – Fr)f

2

ROE =

ROA =

Reddito operativo

Capitale investitoROI =

Reddito operativo

Ricavix

Ricavi

Capitale investito=

ROS =Reddito netto

Ricavi di vendita

Tap = totale attivo patrimoniale (o capitale mediamente investito)

Fr = fondi rettificativi

La redditività si calcola rapportando il reddito o utile d’esercizio al capitale impiegato ed esprime, in senso globale, il risultato ottenuto dai mezzi destinati all’attività aziendale. L’indice al numeratore espone sempre il reddito netto. Al denominatore può esporre diverse figure di capitale: capitale netto, capitale investito, totale attivo patrimoniale. Mentre il reddito è un valore di flusso, il capitale è invece un fondo: sembra pertanto opportuno prendere a base del rapporto non il capitale esistente all’inizio o alla fine del periodo considerato, ma la media aritmetica semplice dei due valori. Ecco alcuni brevi esempi sulla costruzione degli indici di redditività. Nelle pagine successive esamineremo i più indicativi. ROE (return on equity = redditività sui mezzi propri) Si fonda sul concetto che il reddito di periodo è stato generato da un totale di mezzi propri mediamente pari alla semisomma dei valori risultanti all’inizio e alla fine del periodo. ROA (return on assets = redditività sull’attivo patrimoniale) E’ costruito sulla base del capitale mediamente investito (totale attivo patrimoniale), pari alla semisomma delle attività meno i fondi rettificativi. Secondo alcuni studiosi al denominatore dell’indice andrebbero considerate le attività totali e non quelle nette, perché l’incidenza maggiore degli ammortamenti con il passare del tempo farebbe sottostimare l’indice nella fase degli investimenti e sovrastimarlo negli anni successivi. Si potrebbe anche ottenere un indice di redditività industriale, ponendo al numeratore l’utile operativo, rapportandolo al capitale investito (attività al netto dei fondi rettificativi) ROI (return on investment = redditività del capitale investito) Più che essere un indice, il ROI rappresenta un modo particolarmente significativo di costruzione dell’indice di redditività, come vedremo nella slide successiva.

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ROS (return on sale = redditività dei ricavi di vendita) Misura io margine di guadagno su ciascun euro di venduto ed è particolarmente utile per valutare l’efficienza di segmenti diversi di vendita (es. divisioni di prodotto o territoriali).

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ROI = Redditività del Capitale Investito

ROI

Tasso di rotazione

del capitaleinvestito

Redditivitàdel venduto

(R.O.S)

Ricavidi

vendita

Capitaleinvestito

Redditooperativo

Ricavi di

vendita

Attivitàcorrenti

Attivitàfisse

Ricavi

Crediti correnti

Rimanenze dimagazzino

Disponibilitàliquide

Costo di fabbrica

Costo del

venduto

Spese di vendita

Noli e trasporti

Spese amministrative

più

meno

RORV

RVCI

ROCI

diviso

diviso

RV = Ricavi VenditeCI = Capitale InvestitoRO = Reddito Operativo

moltiplicato

Il ROI permette di valutare se le variazioni dell’indice di redditività sono dovute ad una modificazione del tasso di redditività sul venduto oppure ad un mutamento del tasso di rotazione (capital turnover) del capitale e lega le due grandezze fondamentali di questi rapporti alle relative voci di bilancio. Bisogna sottolineare che il ROI solitamente è costruito in funzione del reddito operativo, in modo da misurare la redditività della gestione industriale. In tal caso il capitale investito dovrebbe essere rappresentato dalle sole attività operative (escludendo cioè quelle non utilizzate per la gestione industriale dell’azienda). Il tasso di rotazione esprime la velocità di trasformazione in “danaro” dei mezzi investiti in azienda ed è rappresentato da un rapporto tra vaori del conto economico e dello stato patrimoniale. A titolo esemplificativo possiamo citare, oltre all’indice in questione, anche l’indice di rotazione dei crediti (Ricavi/Crediti). Quando il ROI è costruito sulla base del reddito operativo, il suo valore minimo soddisfacente dovrebbe essere pari al costo medio del danaro. E’ chiaro infatti che, se si escludono dal calcolo del reddito operativo gli oneri finanziari e le partite straordinarie, il ROI rappresenta il saggio di redditività della gestione industriale, che dovrebbe essere almeno uguale al tasso corrente rappresentativo del costo medio del danaro.

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ROE = Redditività del Capitale Proprio

ROE = UTILE NETTO

CAPITALE NETTO=

UTILE NETTO

VENDITEx

VENDITE

CAP. INVESTITOx

CAP. INVESTITO

CAPITALE NETTO

RNCN

RNRV

RVCI

CICN

RN = REDDITO NETORV = RICAVI VENDITECI = CAPITALE INVESTITO (ATTIVITA’)CN = CAPITALE NETTO

x x=

= RNCI

x CICN

Margine operativo netto x Rotazione delle attività x Leva finanziaria sul capitale netto

Il ROE esprime la redditività dei mezzi propri (reddito netto / patrimonio netto). E’ uno tra i principali indici di redditività e il suo campo di variabilità è molto ampio. Costituisce la sintesi dell’analisi reddituale dei quozienti di bilancio coordinati in un sistema organico. Evidenzia le relazioni tra redditività e struttura finanziaria. Il ROE dovrebbe essere superiore al tasso di rendimento del danaro a breve termine esente da rischi (vale a dire il tasso di rendimento di titoli del debito pubblico). A differenza del ROI, il ROE risente delle scelte finanziarie dell’azienda, in quanto è in rapporto con il Risultato Netto che è condizionato anche dalla gestione non caratteristica e quindi dalla dimensione dell’indebitamento e dal relativo costo. Il ROE, in effetti, è uguale al ROI (però costruito sulla base del reddito netto d’esercizio anziché del reddito operativo) moltiplicato per il quoziente di indebitamento aziendale (leva finanziaria). Il ROE dipende quindi molto dal quoziente d’indebitamento. Assumendo che i fondi ottenuti a prestito si impieghino ad un tasso di rendimento superiore all’interesse da pagare, il ROE crescerà con il crescere del quoziente d’indebitamento, anche se ne supera il livello ottimale, oltre il quale però il valore economico della società cala per l’aumento del rischio finanziario (questo è uno dei casi in cui un parametro contabile non si trova in sintonia con il punto di vista dell’azionista).

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Relazione tra redditività e struttura finanziaria

CN

CTx)

CT

OF-

CI

RO

CI(+

ROROE =

ROI (ROI i) grado di indebitamento

RO = REDDITO OPERATIVOOF = ONERI FINANZIARICI = CAPITALE INVESTITOCT = CAPITALE DI TERZICP = CAPITALE PROPRIO+ - x

la redditività del Capitale Proprio ROE è uguale alla redditività del Capitale investito ROI

• Se (ROI – i) = 0

la redditività del Capitale Proprio ROE è minore della redditività del Capitale investito ROI

• Se (ROI – i) < 0

la redditività del Capitale Proprio ROE è maggiore della redditività del Capitale investito ROI

• Se (ROI - i) > 0

Il rapporto tra ROE e ROI consente di osservare che il ROE sarà superiore al ROI nel caso di leva finanziaria favorevole (quando il rendimento del capitale investito è superiore al costo di indebitamento), mentre risulterà inferiore nell’ipotesi di leva finanziaria negativa. EFFETTO LEVA Se il ROI è maggiore di “i” (costo di indebitamento medio del capitale di terzi), l’impresa avrà convenienza a svilupparsi accrescendo l’indebitamento verso terzi. La redditività del Capitale Proprio o Netto (ROE) è tanto più alta quanto più elevato è il rapporto di indebitamento.

• Se (ROI - i) > 0 la redditività del Capitale Proprio ROE è maggiore della redditività del Capitale Investito ROI;

• Se (ROI – i) < 0 la redditività del Capitale Proprio ROE è minore della redditività del Capitale Investito ROI;

• Se (ROI – i) = 0 la redditività del Capitale Proprio ROE è uguale alla redditività del Capitale Investito ROI.

La scelta di un indice anziché di un altro, dunque, fornirà giudizi diversi sulla redditività aziendale. L’importante è, però, che le modalità di costruzione del rapporto rimangano le stesse, altrimenti qualsiasi confronto nel tempo e nello spazio perderebbe valore.

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Esempio sulle relazioni ROI - ROE

1,70%5%1456040100SOC. B

5%5%5-5100-100SOC. A

ROEROI

ANNO 3

10%10%64106040100SOC. B

10%10%10-10100-100SOC. A

ANNO 2

18,3%15%114156040100SOC. B

15%15%15-15100-100SOC. A

ANNO 1

87654321

INDICE REDDITIVITA’UTILE NETTO

10%INT.

PASSIVI

UTILE OPERAT.

CAPITALE NETTOPRESTITIATTIVITA’

NETTE

Soffermandoci all’anno 1, calcoliamo gli indici: ROI = Reddito operativo/Attività nette Società A: 15/100 = 15% Società B: 15/100 = 15%

ROE = Reddito netto/Capitale netto Società A: 15/100 = 15% Società B: 11/60 = 18,3%

Applichiamo la relazione: ROE = ROI + (ROI – i) x CT/CN (grado di indebitamento)

ROE Società A: 15 + (15 – 10) x 0/100 = 15% ROE Società B: 15 + (15 – 10) x 40/100 = 18,3%

Applicando la formula a tutti e tre gli anni possiamo esprimere le seguenti valutazioni:

• Nell’anno 1 il ROI è superiore al tasso di interesse per capitali di terzi. Le società hanno convenienza a svilupparsi accrescendo l’indebitamento verso terzi. Il ROE appare maggiore del ROI per la società B, mentre per la società A è identico in quanto non si è ricorso a capitali di terzi.

• Nell’anno 2 il ROI è pari al tasso di interesse per capitali di terzi. L’indebitamento per le società ha un effetto neutro. Il ROE appare sempre uguale al ROI, sia in caso di prestiti che non.

• Nell’anno 3 il ROI è inferiore al tasso di interesse per capitali di terzi. Le società non hanno convenienza a ricorrere a capitali di terzi. Infatti il ROE appare inferiore per la Società B a causa del ricorso al capitale di terzi.

La redditività del capitale proprio (ROE) è tanto più alta quanto più è elevato il rapporto di indebitamento.

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LE POLITICHE FINANZIARIE

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Gestione Aziendale II 105

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LA FUNZIONE FINANZIARIA

La gestione aziendale è basata su tre “equilibri”

MONETARIOFINANZIARIOECONOMICO

DIREZIONE COMMERCIALE DIREZIONE FINANZIARIAALTRE FUNZIONI

• Programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine• Gestione del piano finanziario• Governo della liquidità

La funzione finanziaria sta assumendo una crescente importanza in ambito aziendale e ampliando i suoi confini organizzativi. Ai tradizionali compiti di reperimento dei fondi occorrenti per coprire il fabbisogno finanziario dell’impresa, si sono aggiunte le responsabilità di impiego dei capitali, soprattutto le responsabilità di programmazione degli investimenti. Reperire e impiegare i fondi aziendali significa indubbiamente occupare una posizione centrale nella definizione della strategia aziendale. E’ infatti nei piani a lunga scadenza che si affrontano i problemi relativi all’elaborazione di un programma di investimento e di finanziamento. Oltre che sul piano strategico, la gestione finanziaria è inquadrabile anche sotto il profilo tattico ed operativo. Se da una parte si fa riferimento a decisioni finanziarie di lungo periodo per ottimizzare l’impiego e la raccolta dei fondi, dall’altra si evidenziano i compiti di attuazione e controllo delle decisioni prese. La gestione del piano finanziario richiede, infatti, la creazione e il mantenimento dell’equilibrio fra fonti e impieghi nel lungo, nel breve e nel brevissimo termine. Basti ricordare la particolare importanza del governo della liquidità, ovvero la cosidetta “gestione di tesoreria”. Tre sono gli equilibri che deve rispettare la gestione aziendale:

• Equilibrio economico tra ricavi e costi; • Equiibrio finanziario tra impieghi di capitale e fonti di provvista dello stesso; • Equilibrio monetario tra entrate e uscite di cassa, preservando la liquidità.

I tre equilibri, pur diversi, sono interdipendenti tra loro in quanto il ciclo di formazione dei costi e dei ricavi incide sull’altezza del fabbisogno del capitale e sul ciclo dei movimenti monetari. Solo nel tempo lungo il totale dei costi corrisponde al totale delle uscite e il totale dei ricavi a quello delle entrate, perché nella gestione corrente lo sfasamento tra momento economico e monetario costituisce la norma. Secondo un processo logico la formazione del preventivo economico deve precedere quello del preventivo finanziario, anche se poi quest’ultimo finirà per incidere sul primo.

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A sua volta la costruzione del preventivo finanziario dovrà tener conto dei tempi di verifica delle entrate e delle uscite: l’entità e i tempi in cui queste si combinano generano un avanzo o un disavanzo finanziario, che richiederà di essere impiegato o coperto dall’azienda. Il momento della pianificazione finanziaria è di competenza dell’alta direzione. Quello dell’attuazione delle scelte di piano può essere delegato a livelli inferiori della struttura direzionale. Data la complessità dei compiti che ricadono in quest’area, che richiede un maggior accentramento organizzativo rispetto alle funzioni di produzione o di vendita, è sempre più frequente la costituzione di una Direzione finanziaria, collocata in una posizione di “line” all’interno della struttura direttiva aziendale. Questa Direzione possiede competenze esclusive e partecipa, insieme con le altre direzioni di funzione, alla definizione delle politiche generali di gestione. Oltre ai compiti propri definiti in precedenza, spetta agli uomini di finanza:

• curare, di concerto con la linea commerciale, i rapporti di credito con la clientela; • fissare, d’accordo con l’ufficio approvvigionamenti, le condizioni di pagamento

con i fornitori; • gestire, su indicazione della direzione generale, il patrimonio mobiliare ed

immobiliare dell’azienda; • esprimere pareri in tema di fissazione di prezzi di vendita e dei termini di

pagamento da applicare alla clientela, di operazioni di gestione straordinaria, di operazioni con l’estero, ecc.

In sintesi, rimanendo nel solo ambito delle decisioni di natura strettamente finanziaria, i suoi compiti fondamentali sono:

1. La programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine; 2. La gestione del piano finanziario; 3. Il governo della liquidità.

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Gestione Aziendale II 106

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LA PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO

PROCESSO LOGICO DI ASSUNZIONE DELLE DECISIONI FINANZIARIE

1. Decisioni attinenti alla gestione corrente e agli investimenti

2. Analisi del tipo di fabbisogno necessario in termini di entità, qualità e permanenza nel tempo

3. Determinazione della struttura finanziaria ottimale (rapporto tra mezzi propri e di terzi; tra mezzi a breve, medio e lungo termine)

4. Scelta delle modalità di acquisizione delle risorse nell’ambito della struttura finanziaria individuata

5. Riconsiderazione del complesso di scelte via via ipotizzate e definizione del piano finanziario

Come visto, le decisioni finanziarie concernono l’impiego di capitali e la raccolta dei fondi. L’impiego di capitali può riguardare la gestione operativa (attività tipiche legate al raggiungimento dell’oggetto sociale), quella patrimoniale o accessoria (operazioni di carattere patrimoniale, non strumentale rispetto al raggiungimento dell’oggetto sociale). Restando nell’ambito della sola gestione operativa, l’impiego di capitali può essere causato da processi d’investimento e dall’attuazione della gestione corrente. Questo crea l’esigenza, per tutte l aziende, di capitale fisso e di capitale circolante. Il fabbisogno finanziario può infatti derivare da cause differenti e generare problemi diversi in rapporto alle condizioni del mercato finanziario e alle situazioni interne d’impresa. Qual è dunque il processo logico di assunzione delle decisioni finanziarie? Si può individuare nelle seguenti cinque fasi:

1. Decisioni attinenti alla gestione corrente e agli investimenti; 2. Analisi del tipo di fabbisogno necessario in termini di entità, qualità e

permanenza nel tempo; 3. Determinazione della struttura finanziaria ottimale (rapporto tra mezzi propri e di

terzi; tra mezzi a breve, medio e lungo termine); 4. Scelta delle modalità di acquisizione delle risorse nell’ambito della struttura

finanziaria individuata (scelta delle fonti di finanziamento); 5. Riconsiderazione del complesso di scelte via via ipotizzate e definizione del

piano finanziario. Si può notare che, come qualsiasi processo di programmazione, la formulazione delle decisioni finanziarie avviene gradualmente e con metodo iterativo, che trasforma le ipotesi in scelte e queste, definite nella loro sequenza, in un piano.

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Nel processo di pianificazione sussistono vincoli molto stretti tra la gestione finanziaria e l’evoluzione dell’ambiente perché i processi di investimento e di finanziamento risentono del cambiamento sia delle condizioni economiche generali sia dell’offerta di capitali. In questo contesto assume un’importanza del tutto rilevante l’esistenza di informazioni fondamentali per supportare le decisioni, quali la situazione del mercato dei capitali, la previsione delle del costo del denaro, la comparazione delle alternative di impiego di mezzi monetari. L’incidenza degli oneri finanziari sul risultato economico e il continuo mutare delle regole imposte dall’autorità monetaria (si pensi ad esempio alla variazione del tasso di sconto) impongono il costante aggiornamento delle conoscenze. La rapidità dei cambiamenti richiede un controllo assiduo non solo delle scelte di medio e lungo periodo, ma anche della liquidità. Si sottolinea al riguardo il ruolo centrale rivestito dalla gestione di tesoreria rispetto alla stessa gestione strategica, con la conseguenza che spesso l’attenzione maggiore è rivolta ai problemi della liquidità, che finiscono per condizionare i piani di gestione a lungo termine. Come si è accennato, il processo di programmazione finanziaria comporta una sequenza circolare di decisioni di investimento e di finanziamento, che andremo ad indagare, puntando soprattutto all’analisi dei problemi di finanziamento.

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Gestione Aziendale II 107

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LE DECISIONI FINANZIARIE

La dinamica finanziaria abbraccia gli aspetti economici e finanziari della gestione.La sua analisi serve a stimare il fabbisogno sia in termini di capitale circolante che di

liquidità, raggiungendo i seguenti risultati:

• Valutare il fabbisogno finanziario per capitale circolante e capitale fisso• Stimare l’ammontare delle fonti di gestione• Misurare l’ammontare delle risorse finanziarie residue da reperire o da impiegare • Individuare le soluzioni per assicurare un soddisfacente equilibrio finanziario di lungo

periodo• Garantire, nel brevissimo, lo stesso equilibrio tra entrate e uscite monetarie

1. analisi dei flussi di capitale circolante2. analisi dei flussi monetari (o di cassa)

Ogni impresa necessita di capitali per finanziare i processi di investimento e per far fronte alla gestione corrente. Il fabbisogno finanziario aziendale è infatti uguale alla somma del capitale fisso, necessario per acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali, e del capitale circolante, occorrente per alimentare il ciclo acquisti-produzione-vendita. L’ammontare del fabbisogno varia, nella sua entità e nella sua genesi, a seconda che ci si trovi in fase di costituzione o di funzionamento dell’impresa. Nel primo caso si tratta di determinare il fondo di capitali necessario per creare la struttura aziendale e per coprire le esigenze di finanziamento dell’esercizio. Nel secondo, invece, il problema si concreta nell’individuazione del fabbisogno differenziale necessario per alimentare il processo di investimento nelle immobilizzazioni aziendali e per soddisfare le ulteriori esigenze finanziarie poste dall’eercizio. Non solo, ma nell’ipotesi di azienda in funzionamento non si può escludere l’incidenza delle operazioni di gestione accessoria (o patrimoniale, cioè non legate strumentalmente alla gestione ordinaria) e straordinaria sul fabbisogno globale dell’impresa. Ogni azienda presenta un differente rapporto di composizione tra capitale fisso e circolante, in relazione alle caratteristiche della sua gestione. Il fabbisogno di capitale fisso è legato, infatti, al grado di capitalizzazione dei processi operativi, cioè alle esigenze di disporre di maggiori immobilizzazioni per lo svolgimento delle funzioni di produzione, di commercializzazione, di amministrazione, ecc. Più cresce la presenza degli impianti e delle attrezzature più aumenta il fabbisogno di capitale fisso, vincolato all’impresa per l’intera vita utile delle immobilizzazioni con esso acquisite.

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Il fabbisogno di capitale circolante, ossia di mezzi finanziari che si rigenerano al massimo nei 12 mesi dell’esercizio gestionale, è correlato, invece, al ciclo di reintegro dei ricavi, detto anche ciclo di reintegro del circolante. A parità di volume di attività, esso sarà tanto minore quanto più breve è questo ciclo, vale a dire quanto più rapido è il processo acquisto-produzione-vendita e,soprattutto, quanto più veloce è il corrispondente ciclo monetario che intercorre tra il sostenimento dei costi e il correlativo incasso dei ricavi. Quest’ultimo dipende dalle condizioni di riscossione dai clienti e di pagamento ai fornitori: condizioni più favorevoli per l’impresa (ovvero incassi più veloci rispetto ai pagamenti) contribuiscono a limitare il fabbisogno di circolante correlato al processo di gestione Il capitale circolante è formato dalla differenza tra attività correnti e passività correnti, rappresentate dai seguenti componenti:

a) Scorte necessarie per alimentare i processi di produzione e di vendita (scorte di materie prime, ausiliarie, semilavorati, parti, componenti e prodotti finiti);

b) Crediti commerciali verso i clienti; c) Debiti commerciali verso i fornitori; d) Altri crediti e debiti a breve termine, accantonamenti per imposte, quote correnti

di debiti a lungo termine, ecc. e) Attività finanziarie (cassa, banche e altri mezzi monetari) necessarie per

assicurare, in ogni istante, la liquidità aziendale. Nell’impresa bisogna stimare il fabbisogno finanziario netto, in modo da prevedere tempestivamente l’esigenza di reperire nuove fonti di copertura, nell’ipotesi di un disavanzo finanziario, oppure di individuare le migliori opportunità di impiego di fondi esuberanti. La previsione di questo fabbisogno deve discendere dall’analisi della dinamica finanziaria, all’interno della quale si legano gli aspetti economici e finanziari della gestione. Gli strumenti per conoscere tale dinamica sono:

• L’analisi dei flussi di capitale circolante; • l’analisi dei flussi monetari (o di cassa).

L’utilizzo di queste analisi conduce ai seguenti risultati:

a) Valutare il fabbisogno finanziario (per capitale circolante e capitale fisso), collegato ai programmi di gestione dell’azienda;

b) Stimare l’ammontare delle fonti di gestione, intese come risorse finanziarie producibili dalla gestione e disponibili per la copertura del fabbisogno finanziario;

c) Misurare l’ammontare delle risorse finanziarie residue da reperire o da impiegare (a seconda del saldo tra fabbisogno e fonti individuati in precedenza);

d) Individuare le soluzioni per assicurare un soddisfacente equilibrio finanziario di lungo periodo;

e) Garantire, nel tempo brevissimo lo stesso equilibrio tra entrate e uscite monetarie.

In sostanza possiamo ripetere che la gestione finanziaria deve preservare la solvibilità (equilibrio finanziario) dell’impresa e la sua liquidità (equilibrio monetario). Da qui l’esigenza di compiere le due già accennate analisi.

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L’analisi dei flussi di circolante considera anche i processi di investimento e disinvestimento, oltre a quelli della gestione corrente e, ponendo a raffronto i movimenti patrimoniali con quelli economici, esprime in sintesi il risultato finanziario della gestione (surplus o deficit di fondi). L’analisi dei flussi monetari ricostruisce il ciclo delle entrate e delle uscite di cassa, con l’intento di far emergere la situazione di liquidità dell’azienda. L’analisi dei flussi di circolante si diffonde per periodi più lunghi e consente di provvedere al reperimento di fonti residue, allorchè il fabbisogno eccede le capacità finanziarie create dalla gestione corrente. Va notato che si comprendono anche le operazioni patrimoniali estranee alla gestione corrente, di modo che il saldo finale rappresenti l’aumento o la diminuzione del capitale circolante netto impegnato nell’azienda. L’analisi dei flussi monetari si riferisce, nel tempo brevissimo (giorno, settimana o al massimo mese) ai saldi di cassa e permette di prevedere e controllare in modo continuo la situazione di liquidità dell’azienda. L’analisi dei flussi di circolante consente di determinare (o di valutare in via preventiva) l’incremento o il decremento del capitale circolante netto tra l’inizio e la fine dell’esercizio considerato. Nell’ipotesi di incremento del circolante netto, il flusso di cassa si contrae perché il flusso monetario prodotto dalla gestione non è in grado di coprire il fabbisogno finanziario. L’inverso accade nell’ipotesi di decremento, che, liberando risorse finanziarie, dilata il flusso di cassa. La differenza e, allo stesso tempo, la complementarietà tra le due analisi risiede nel fatto che la prima consente di correlare gli andamenti economici e finanziari della gestione, mentre la seconda permette di programmare e tenere sotto controllo la liquidità aziendale. L’analisi dei flussi monetari considera in effetti soltanto le operazioni di gestione che si traducono in un materiale esborso o introito di denaro.

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LE POLITICHE FINANZIARIE

VARIABILI DI INCIDENZA SUL FABBISOGNO FINANZIARIO

• livello delle scorte di magazzino• condizioni di pagamento applicate ai clienti• condizioni di pagamento stabilite con i fornitori• livello di liquidità

COPERTURA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO

• dotazione di mezzi propri;• risultato economico della gestione (autofinanziamento);• finanziamento interno dei soci;• finanziamento esterno ( risparmiatori, banche, clienti, fornitori e dipendenti)

ATTRIBUTI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA

• omogeneità• flessibilità• elasticità• economicità

Le variabili più direttamente incidenti sul fabbisogno finanziario dell’impresa sono:

a. le operazioni di investimento e di cessione nei beni impiegati nella gestione corrente o patrimoniale;

b. il livello delle scorte di magazzino; c. le condizioni i pagamento applicate ai clienti; d. le condizioni di pagamento stabilite con i fornitori; e. il livello di liquidità.

La prima di queste voci incide sul fabbisogno di capitale fisso, mentre le altre sono correlate al fabbisogno di capitale circolante in senso stretto. Il fabbisogno finanziario globale può essere coperto:

a) dalla dotazione di mezzi propri; b) dal risultato economico della gestione (autofinanziamento); c) dal finanziamento interno dei soci; d) dal finanziamento esterno presso i risparmiatori, le banche, i clienti, i fornitori e i

dipendenti. La gestione finanziaria in sostanza si attua attraverso decisioni e scelte che incidono sul fabbisogno e sulle vie di copertura. La struttura finanziaria aziendale deve tendenzialmente possedere quattro qualità basilari: omogeneità, flessibilità, elasticità, economicità. Omogeneità Una regola fondamentale e speso disattesa della gestione finanziaria suggerisce di impiegare capitali omogenei rispetto al tipo di fabbisogno da coprire. Ciò significa, ad esempio, che nell’ipotesi di finanziamento di immobilizzazioni dovrebbero essere attinti

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mezzi finanziari a lungo termine, mentre nel caso di fabbisogno d’esercizio sarebbe opportuno farvi fronte con mezzi a breve. Questo allo scopo di assicurare una maggiore corrispondenza tra i due fenomeni (bisogno e copertura), evitando di finanziare i processi di investimento con risorse destinate, per la loro natura, a permanere nell’azienda solo per la durata di un esercizio oppure, ma il fatto è più raro, evitando di finanziare il circolante con fondi a lungo termine. Flessibilità La caratteristica dell’omogeneità si lega a quella della flessibilità, cioè alla possibilità di modificare la struttura finanziaria in rapporto all’evoluzione del fabbisogno. Ciò vale sia per il livello globale sia per la composizione delle risorse finanziarie aziendali, che dovrebbero poter variare a seconda dei programmi e della redditività della gestione. La possibilità di modificare la struttura finanziaria si traduce nell’opportunità di migliorare il risultato finanziario della gestione, liberando o attraendo fondi in funzione delle prospettive di ritorno economico. Elasticità Anche l’attributo dell’elasticità si lega ai primi due e in particolare a quello della flessibilità, concretandosi nell’opportunità di dilatare l’area di manovra nelle scelte finanziarie. Una struttura finanziaria è infatti tanto più elestica quanto maggiori sono le possibilità quali-quantitative di espanderla. Ciò significa che i responsabili della gestione finanziaria avranno più scelte disponibili per incrementare i fondi aziendali e potranno ottimizzare il processo di copertura del fabbisogno. L’incremento dell’elasticità finanziaria fa crescere la cosidetta “riserva finanziaria” ossia la capacità di poter accedere rapidamente al finanziamento qualora si presentassero buone opportunità di investimento. Flessibilità ed elasticità non sono simili, come potrebbe apparire, perché la prima definisce la capacità di riprodurre un costante equilibrio tra le fonti e gli impieghi di capitale, mentre la seconda si riferisce all’ampiezza del processo di scelta delle fonti di finanziamento. Una struttura finanziaria insomma è tanto più flessibile quanto più è in grado di modellarsi in rapporto alle esigenze della gestione ed è tanto più elastica quanto più facilmente può essere espansa. Due esempi per chiarire meglio i concetti. Se all’interno della struttura finanziaria cresce il peso dei mezzi propri, la struttura diventa più rigida ce, allo steso tempo, più elastica. Più rigida perché i mezzi propri si consolidano nella dotazione finanziaria dell’impresa. Più elastica perché un’azienda più capitalizzata ha maggiori possibilità di espandere la sua struttura finanziaria ricorrendo all’indebitamento. Al contrario, se tra le fonti di finanziamento cresce il peso dell’indebitamento bancario a breve, la struttura nel suo compleso non si irrigidisce mentre sicuramente diviene meno elastica perché, essendo aumentato il peso dei mezzi di terzi, sarà più difficile reperire ulteriori risorse finanziarie. Economicità L’ottimizzazione delle scelte finanziarie è basata sulla massimizzazione dei differenziali tra rendimenti dell’investimento e costo del capitale.

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Naturalmente gli attributi di flessibilità e di elasticità possono comportare un maggior costo che andrà valutato alla luce dei vantaggi assicurabili da una gestione finanziaria più flessibile ed elastica. Questi tenderanno ad essere più elevati in funzione di un più intenso dinamismo delle condizioni del micro-ambiente in cui opera l’impresa. In particolare, la variabilità delle condizioni dei mercati (di approvvigionamento e di vendita) e il ritmo del progresso tecnologico influenzano il fabbisogno finanziario e possono far trarre un vantaggio più o meno consistente dalla flessibilità della struttura finanziaria. Per quanto attiene invece all’elasticità, si ricorda che essa è fondamentalmente legata alla dotazione di mezzi propri e che questi ultimi comunque comportano un onere figurativo per l’impresa.

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LE FONTI DI FINANZIAMENTO

Quattro tipologie di fabbisogno di capitali:

1. Strutturale2. Corrente3. Straordinario4. Occasionale

Il livello di indebitamento è legato alle prospettive di redditività degli investimenti e dipende da fattori qualitativi concernenti la rischiosità e la rigidità, oltre che dall’effetto del fattore leva finanziaria, cioè dalla capacitàdell’indebitamento di ampliare la redditività aziendale.

La scelta delle fonti di finanziamento si basa sull’analisi del fabbisogno di capitali e sulla conoscenza del mercato dell’offerta dei capitali stessi. Ogni impresa ha bisogno di un fondo di capitale che le serve a coprire le esigenze di costituzione della struttura e di alimentazione della gestione corrente. Questo fondo è destinato a crescere di livello in funzione dell’aumento delle dimensioni aziendali ed è soggetto a variazioni periodiche in rapporto a necessità mutabili della gestione. Classificando il fabbisogno di capitali in base alla natura e alla permanenza nel tempo, possiamo individuare quattro tipi differenti di esigenze:

a) un fabbisogno strutturale, permanente nel tempo perché legato alle dimensioni della struttura dell’impresa;

b) un fabbisogno corrente, permanente nel tempo perché correlato al volume di attività della gestione corrente;

c) un fabbisogno straordinario, legato ad esigenze di più lungo periodo, ma presente solo nell’arco di questo periodo;

d) un fabbisogno occasionale, collegato a fenomeni congiunturali ed imprevedibili, i cui effetti si producono solamente nel breve periodo.

A seconda delle esigenze del fabbisogno l’azienda dovrà reperire capitali a diversa scadenza e con differenti modalità di vincolo. La scelta delle fonti di finanziamento, partendo dalle previsioni dell’ammontare e della composizione del fabbisogno, deve poter ottimizzare le possibilità offerte dal mercato finanziario in funzione degli obiettivi di economicità, omogeneità, flessibilità ed elasticità posti alla gestione finanziaria nel suo complesso. Il carattere circolare e iterativo del processo di formulazione delle strategie d’impresa si sviluppa mediante un affinamento delle ipotesi di partenza e la ricerca del miglior coordinamento tra opportunità esterne di mercato e risorse disponibili.

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La finanza è una componente da considerare nelle combinazioni produttive poste a base del piano di gestione, è una variabile interdipendente e pertanto non subordinata alle scelte di programma. Il fabbisogno può considerarsi come vincolo fisso nelle scelte di copertura e tradursi nel reperimento di mezzi propri o di terzi atti a fronteggiarlo, oppure le scelte stesse di copertura possono incidere nella determinazione del livello di risorse finanziarie da porre a disposizione della gestione, in funzione di ipotesi alternative e della valutazione delle opportunità di conveniente reperimento di risorse finanziarie aggiuntive. In questa seconda ipotesi assume un ruolo centrale la decisione sul livello di indebitamento da raggiungere in rapporto alle prospettive di redditività degli investimenti. Il livello di indebitamento accettabile per l’impresa, oltre che dipendere da fattori qualitativi concernenti la rischiosità e la rigidità connesse con un appesantimento della situazione debitoria, deve essere orientato dal presumibile effetto del fattore leva finanziaria. La redditività del capitale proprio investito nell’azienda può essere di fatto migliorata o peggiorata dal “fattore leva”, a seconda che risulti superiore o inferiore al costo dell’indebitamento. Si parla di “leva finanziaria” per sottolineare la capacità dell’indebitamento di ampliare la redditività aziendale. In tal senso, il ricorso a capitali di terzi funge da moltiplicatore delle opportunità di investimento e, nel caso di differenziali favorevoli tra ritorno dell’investimento e costo del capitale preso a prestito, da generatore di reddito addizionale per l’impresa. La scelta del livello di leva finanziaria s’inquadra nel disegno strategico e può dunque indurre, sulla base delle previsioni circa gli andamenti della redditività aziendale e del costo del capitale preso a prestito, a dilatare o restringere le risorse finanziarie globali da mettere a disposizione della gestione.

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LE FONTI DI FINANZIAMENTO

MEZZI PROPRI O MEZZI DI TERZI ?

Le scelte sono ancorate alle prospettive di variazione dei tassi di redditivitàdella gestione e dei costi di indebitamento, oltre che da condizioni vincolantinon modificabili.Autofinanziamento e finanziamento diretto dei soci assimilabili ai mezzipropri.

Concetti di rischiosità e di tempo (breve/medio/lungo) del finanziamento.

Tra i mezzi di terzi assume maggior rilievo il credito bancario.Altre fonti creditizie sono i fornitori, i dipendenti, i risparmiatori e gli investitori istituzionali (prestiti obbligazionari).

Il problema dell’indebitamento non si esaurisce solo nel decidere il livello di indebitamento per ampliare la redditività aziendale, ma interviene anche nella scelta tra il ricorso a mezzi propri e mezzi di terzi, correlandosi sia a fattori generali, che possono far propendere a favore dell’una o dell’altra forma, sia a fattori specifici di costosità delle varie fonti di finanziamento. La determinazione della struttura di capitale è legata a fattori previsionali e di vincolo. Le scelte interesseranno, infatti, periodi non brevi di tempo e dovranno essere ancorate alle prospettive di variazione dei tassi di redditività della gestione e dei costi dell’indebitamento, oltre che all’esistenza di condizioni vincolanti alla partenza (es. indisponibilità di capitali propri). Per quanto concerne l’aspetto della rischiosità, appaiono diverse le conseguenze di scelte relative a fonti differenti di acquisizione dei capitali, in dipendenza del fatto che il ricorso a certe fonti, anziché altre, crea impegni più o meno lunghi nel tempo. L’investimento di capitale proprio rappresenta una fonte di finanziamento a lungo termine perché i mezzi così immessi nella gestione sono destinati a permanervi durevolmente. Assimilabile al capitale di rischio è l’autofinanziamento, cioè il reinvestimento dei profitti nell’attività aziendale. In condizioni di normalità, vale a dire in presenza di una gestione economica e finanziaria equilibrata, parte cospicua dei nuovi investimenti dovrebbe essere coperta mediante l’autofinanziamento. Nell’ipotesi, invece, di un fabbisogno occasionale, cioè destinato a permanere per periodi non lunghi di tempo, i soci possono far affluire i propri fondi sotto forma di finanziamento diretto. In tal caso essi concedono anticipazioni all’azienda, oppure sottoscrivono direttamente un prestito obbligazionario. Il finanziamento dei soci giuridicamente è un finanziamento esterno, ma di fatto si concreta nell’immissione di ulteriori mezzi propri nell’azienda

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In entrambe le alternative i soci si possono riservare il diritto di richiedere la restituzione dell’anticipazione o il rimborso delle obbligazioni in qualsiasi momento, anche se la logica prevalente di queste operazioni finanziarie è quella del medio-termine. In alternativa al ricorso ai mezzi propri (aumento di capitale, autofinanziamento, finanziamento diretto), si pongono le fonti esterne, tra cui il maggior rilievo è assunto dal credito bancario. Tra le fonti creditizie bisogna inserire anche i risparmiatori o gli investitori istituzionali, i fornitori e gli stessi dipendenti dell’azienda. Quest’ultima può procurarsi mezzi finanziari emettendo prestiti obbligazionari, sottoscrivibili da risparmiatori e investitori istituzionali, chiedendo credito ai fornitori, attingendo a conti di deposito alimentato dai suoi dipendenti. La prima via è però accessibile solo per le aziende di grandi dimensioni, in grado di lanciare con successo prestiti obbligazionari, collocabili nel mercato mobiliare da consorzi di banche e rimborsabili in tempi lunghi (anche 20-25 anni). Va detto che in un periodo di inflazione il ricorso a questa fonte di provvista è difficile, a meno che non si garantisca al risparmiatore l’automatica rivalutazione del rendimento dei titoli collocati (obbligazioni indicizzate, cioè obbligazioni a reddito variabile, in quanto il capitale e/o l’interesse possono essere agganciati ad un indice rappresentativo delle variazioni di valore della moneta) o la possibilità di tramutarli in titoli azionari (obbligazioni convertibili). Più frequente il ricorso al credito bancario, che può assumere una differente estensione temporale e concretarsi in forme tecniche diverse:

• Finanziamento ottenuto per tempi lunghi (operazioni di mutuo) • Finanziamento ottenuti per tempi brevi (aperture di credito, sconti di effetti,

anticipazioni su titoli e merci, ecc.)

Per la crescente importanza assunta nella struttura finanziaria delle imprese, col tempo il credito bancario si è andato sempre più specializzando. In particolare, hanno assunto un peso considerevole i cosidetti crediti di firma, vale a dire gli avalli, le fidejussioni, i crediti documentari e le accettazioni bancarie. Queste ultime sono divenute un mezzo ricorrente di regolazione degli scambi, sono in effetti tratte emesse da un imprenditore all’ordine proprio su una banca e da questa accettate. Il traente può poi offrire il titolo sul mercato monetario. Il trasferimento avviene mediante girata con la clausola “senza garanzia”, cioè configura una cessione del credito “pro-soluto”. E’ noto peraltro che ogni impresa, per poter essere ammessa al credito bancario, deve ricevere un affidamento in base alle garanzie che è in grado di offrire alla banca. La valutazione del cosidetto “merito creditizio” è dunque funzione della solidità patrimoniale e reddituale dell’azienda e dell’imprenditore. Per agevolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese operano, solitamente a livello locale, i Consorzi Fidi, che sono delle organizzazioni consortili tra imprenditori, create per supplire all’eventuale mancanza di garanzie reali degli associati e per abbassare i saggi di interesse praticati dalle banche.

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Gestione Aziendale II 111

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CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO

StrutturaleStrutturaleOccasionaleStraordinarioStraordinarioStraordinario e occasionaleCorrente e occasionaleCorrenteCorrenteCorrente

LunghissimaLunghissimaMedio-breveLungaLungaMediaBreveBreveBreveMedio-breve

Capitali propriAutofinanziamentoFinanziamento sociObbligazioniMutuo bancarioLeasingCredito bancario a breveFactoringForfaitingPrestiti dipendenti

Tipo di fabbisogno copertoScadenzaFonte

Accanto alle forme tradizionali di finanziamento esterno, bancario e non, da qualche tempo si sono affiancate forme nuove ed originali, il leasing, il factoring, il forfaiting. IL LEASING Il leasing può essere:

• Finanziario: attuato da società finanziarie, che acquistano il bene oggetto di leasing;

• Operativo: realizzato dalle società produttrici del bene (rappresenta un vero e proprio finanziamento diretto di tipo commerciale).

Il leasing si è diffuso rapidamente perché presenta dei vantaggi, a volte rilevanti, rispetto alle forme più note di finanziamento. L’impresa infatti non è costretta a sopportare immediatamente il peso dell’investimento perché ottiene il bene di cui abbisogna (un impianto completo, una macchina operatrice, un computer, un automezzo, ecc.) mediante un contratto di locazione con diritto di riscatto del bene dopo un certo numero di anni e ad un prezzo prefissato, di solito molto basso. In tal modo l’impresa può utilizzare immediatamente il bene, pagando un canone periodico e riservandosi alla fine del contratto di assumere una decisione circa l’acquisto dell’oggetto dell’operazione di leasing. Gli oneri finanziari si scaglionano nel tempo in forma di canone. Una formula particolare di leasing è il cosìdetto “lease-back”, che consiste nel vendere a una società di leasing un bene posseduto (ad esempio l ‘immobile in cui sono ubicati gli uffici dell’azienda), con l’impegno però di richiederlo, successivamente, in leasing alla stessa società acquirente. In tal modo, l’azienda venditrice riesce ad ottenere due vantaggi:

1. ottenere un finanziamento a fronte dell’alienazione di un bene di proprietà, di cui non perde l’uso;

2. sfruttare l’effetto fiscale delle operazioni di leasing (deduzione rapida del costo).

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IL FACTORING Anche questa forma di finanziamento si è estesa notevolmente perché consente di rendere liquidi crediti verso la clientela non suffragati da documenti (titoli di credito) scontabili commercialmente. Il factoring ha infatti luogo su fatture o titoli di credito imperfetti (tratte non accettate), solitamente con la cessione del credito al “factor”. Nel factoring la norma più comune di cessione del credito è “pro solvendo”, cioè con il rischio di insolvenza condiviso tra il debitore e il cedente del credito stesso. Nella realtà l’operazione consiste nell’affidare ad istituti specializzati la gestione del portafoglio crediti, delegando i “factors” ad esperire tutta la procedura per il recupero dei crediti stessi (invio degli estratti conto, solleciti per l’incasso, incasso delle fatture, azioni contro i debitori insolventi, ecc.). Per tale compito al “factor” spetta una commissione di factoring. Nel contratto poi può essere previsto l’ottenimento di anticipazioni (solitamente fino alla concorrenza dell’80% del valore del credito) da parte di colui che ricorre al factoring e che, per questa operazione finanziaria, è tenuto a corrispondere degli interessi, sotto forma di sconto. Spesso le aziende ricorrono al factoring per l’intero complesso dei loro rapporti di credito con la clientela e il “factor” espleta direttamente la gestione di tali rapporti. L’aspetto del servizio, quindi, finisce per assumere un ruolo essenziale nel rapporto di factoring che, sotto questo profilo, si differenzia nettamente dallo sconto bancario. IL FORFAITING Un’altra forma recente e piuttosto sofisticata di finanziamento a breve è il “forfaiting”, cioè la vendita pro-soluto di effetti cambiari che, in rapporto alla loro scadenza e al grado di rischio d’incasso, vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato in ragione di un tasso di sconto “a forfait” (da qui il nome di forfait financing). Solitamente i titoli di credito sono tratte emesse da esportatori e accettate dagli imprenditori esteri o pagherò emessi direttamente da quest’ultimi. I vantaggi per l’esportatore sono rappresentati dalla rapidità d’incasso del credito e dall’eliminazione di qualsiasi rischio finanziario conseguente all’operazione di vendita all’estero. ALTRE FORME DI FINANZIAMENTO Tra le fonti di finanziamento dovremmo collocare anche il credito mercantile, vale a dire il credito collegato ad operazioni di scambio (il credito ottenuto dai fornitori o gli anticipi ricevuti dai clienti), rappresenta spesso una voce importante del bilancio finanziario. Il ricorso al credito diretto è una via per comprimere il fabbisogno finanziario che le imprese più forti sfruttano nei rapporti di scambio con le altre imprese. Nella pratica però tale tipologia di credito non è catalogabile tra le fonti di finanziamento, bensì tra le voci del capitale circolante, concorrendo a determinarne la misura. Un accenno merita anche il cosidetto credito agevolato. Sino a qualche tempo fa era riservato alle imprese del Mezzogiorno, poi via via è stato esteso, con specifiche leggi, anche ad imprese ubicate in altre zone d’Italia. Secondo la legislazione vigente, per quanto riguarda in particolare le imprese che intendono avviare o ampliare iniziative industriali nel Mezzogiorno, sono previste delle particolari agevolazioni finanziarie, che si concretano nella concessione di mutui a tasso largamente inferiore a quello correlato nel mercato e nell’attribuzione di contributi a fondo perduto.

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Considerazioni finali Dopo aver analizzato le fonti di finanziamento possibili, si può intuire come all’impresa si offrano strade diverse, in certi casi alternative ed in altri complementari, per approvvigionarsi dei capitali necessari. La scelta dovrà aver luogo tenendo presente: 1. gli obiettivi futuri di politica aziendale; 2. la convenienza comparata delle varie vie di acquisizione della provvista finanziaria. Sotto il primo aspetto peseranno soprattutto l’intenzione di conservare il controllo della gestione: Sotto il secondo aspetto assumerà un peso determinante la comparazione della presunta redditività dell’investimento. Si è già sottolineato come le scelte finanziarie debbano essere assunte in corrispondenza delle esigenze di investimento. Ogni progetto di investimento dovrà essere attentamente valutato in termini economico-finanziari, in modo da stimarne l’accettabilità (anche sotto il profilo dei rischi di rientro del capitale da investire) e la sopportabilità , cioè la possibilità di corrispondere gli interessi e la quota di rimborso del prestito. Bisogna inoltre , nella comparazione tra le fonti alternative di provvista dei capitali, tener presente i riflessi fiscali delle scelte finanziarie, in quanto nelle ipotesi di indebitamento il costo sarà pari al tasso di interesse al netto del risparmio ottenuto per la deducibilità della voce “interessi” ai fini dell’imposta sul reddito. In certi casi, dunque, il beneficio fiscale potrà far preferire il ricorso a capitali di terzi rispetto all’impiego di capitale proprio. L’indebitamento, inoltre, verrà incentivato in presenza di processi accelerati di inflazione: è chiaro, infatti, che il costo reale dell’indebitamento spesso risulterà pari al tasso d’interesse corrisposto al finanziatore al netto del tasso di inflazione avutosi nel periodo di accensione del debito. Negli anni di maggiore inflazione, in Italia, gli interessi passivi risultavano alla fine negativi, vale a dire inferiori al tasso di svalutazione dei capitali. Se infatti si considerava anche l’effetto fiscale dell’indebitamento, non v’erano dubbi sulla convenienza del ricorso al capitale di prestito. Facendo un’ulteriore considerazione sulle scelte finanziarie, abbiamo visto che esse riguardano sia l’entità sia le fonti di finanziamento a cui fare ricorso. A seconda dei casi, la dimensione delle risorse finanziarie potrà essere un vincolo o una variabile. Sarà una variabile allorchè per l’impresa non esisteranno problemi di disponibilità di capitali, propri ed acquisibili, mentre – come accade soprattutto in epoche di crisi e di restrizioni creditizie – rappresenterà un ostacolo all’espansione degli investimenti allorquando non sarà possibile dimensionare liberamente la raccolta dei capitali. La finanza porrà, in questo caso, dei problemi di scelta degli obiettivi e delle politiche aziendali, rendendo possibili e convenienti solo determinate scelte di gestione e non altre. Ciò vale soprattutto per le imprese più piccole e per quelle che si trovano nei primi anni di vita: il ricorso, specialmente al credito bancario ma anche al credito mercantile all’acquisto, è infatti meno agevole per le imprese di dimensioni modeste e senza una storia alle spalle. Gli organismi nascenti sono, peraltro, quelli che hanno bisogno di una

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maggiore proporzione di mezzi finanziari perché è ovvio che non potranno contare sull’autofinanziamento. E’ stato accertato anche da indagini di mercato che la fonte principale di finanziamento varia in rapporto allo stadio di sviluppo (ciclo di vita) dell’impresa.