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Paola e David La Fede - Gianfranco Lazzaroni ICONE SULLA VITA DI GESÙ CRISTO per la nuova evangelizzazione www.paoline.it

ICONE SULLA VITA DI GESU’ CRISTO Per la nuova evangelizzazione - estratto - Paoline

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Ogni icona è descritta soprattutto sui particolari, approfondita nel suo significato catechetico e “celebrata” con una liturgia comunitaria della Parola o con la riflessione personale, grazie ai testi dei Padri della Chiesa.

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Paola e David La Fede - Gianfranco Lazzaroni

ICONE SULLA VITA DI GESÙ CRISTOper la nuova evangelizzazione

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« Queste icone, qui spiegate con dovizia di riferi-menti biblici e patristici, vengono in soccorso a noidistratti consumatori di realtà caduche, per cogliere il“santo” che si annuncia e si celebra nella liturgia eper immergici, quasi percettibilmente, nel mondo de-finitivo che viene offerto “nei riti e nelle preci” dellasanta Chiesa, Sposa di Cristo, risvegliando in tal mo-do la nostalgia dell’homo aeternus e mostrando losplendore dell’uomo nuovo. Si aprono all’accoglienzadell’annuncio cristiano, che intende trasformare ogniuomo che viene a questo mondo in icona vivente delFiglio dell’Altissimo e dell’umile Vergine Maria ».

(Dalla Prefazione di Pier Giordano Cabra)

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11PAOLA E DAVID LA FEDE, marito e mo-glie, sono titolari dal 1984 di una ditta didecorazioni e restauro che opera sul terri-torio nazionale. Vantano una pluriennaleesperienza nel settore dell’iconografia conricerche particolari sui pigmenti antichi(purificazione e utilizzo) e sulla mineralo-gia nel settore pittorico. Insegnano tecno-logia e tecnica della decorazione pressol’Accademia di Belle Arti San Giulia aBrescia. Hanno lasciato frutto della loroarte in Italia e all’estero. A Brescia hannoimpreziosito la chiesa della SS. Trinitàcon tre icone absidali e le quattordici sta-zioni della Via Crucis racchiuse in unaiconostasi che abbraccia la rotonda dell’e-dificio. I coniugi La Fede esprimono la lo-ro arte in assoluta fedeltà alla tradizioneiconografica (hanno consultato diretta-mente centinaia di icone dei monasterirussi); non solo fedeltà esecutiva, anchese ripensata per il nostro tempo, ma so-prattutto fedeltà di spirito e di fede in uncontesto fondamentale dello scrutare laScrittura in costante preghiera.

GIANFRANCO LAZZARONI, parroco del-la chiesa parrocchiale di Sant’AntonioAbate in Corti di Costa Volpino (Berga-mo), ha commissionato ai coniugi La Fedeil ciclo iconografico absidale presentato inquesto volume.

In copertina: Pantocratore, di Paola e David La Fede(chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate in Corti diCosta Volpino).

Sulle icone esistono già innumerevolilibri riguardanti la loro storia, la teologia,l’interpretazione delle immagini ecc. Per-ché, allora, un nuovo libro?

Semplicemente perché questo cicloiconografico dipinto dai coniugi Paola eDavid La Fede per la chiesa parrocchialedi Sant’Antonio Abate in Corti di CostaVolpino (provincia di Bergamo e diocesidi Brescia) è « nuovo » e a servizio dellanuova evangelizzazione.

Si tratta praticamente di sette icone(Natività, Battesimo, Crocifissione, Pan-tocratore, Risurrezione, Apparizione sullago di Tiberiade, Pentecoste) che costi-tuiscono la corona misterica sull’architra-ve del presbiterio della suddetta chiesa.

Queste sette icone, presentate in que-sto libro, sono completamente libere daogni forma di archeologismo, non vengo-no da alcuna « moda iconografica », noncopiano schemi che poi devono esserespiegati, ma nascono dal basso, cioè dalcammino di fede, dalla lettura attenta del-la Scrittura e dalla celebrazione comuni-taria della stessa, dalla gioia di essere cri-stiani oggi.

Sono icone « nuove », nate dalla Chie-sa che cammina sulla via indicata dalConcilio Vaticano II. Sono icone per lanuova evangelizzazione, adatte per la ca-techesi e soprattutto capaci di unire i « mi-steri » della salvezza con la vita, per aiu-tarci a cogliere il passaggio del Signore,affinché la sua gloria trasfiguri il nostrocuore, la nostra mente e le nostre forze. Èimportante, infatti, per la nuova evange-lizzazione, che la comunità cristiana siavisibile, sappia manifestare in ogni ambi-to dell’esistenza la bellezza e lo splendoredella vita in Cristo.

Ogni icona viene descritta dagli auto-ri (preludio e lettura dell’icona), soffer-mandosi soprattutto sui particolari, ap-profondita nel suo significato (commentocatechetico) e « celebrata » con una litur-gia comunitaria della Parola o con la pre-ghiera personale grazie ai numerosi e ric-chi testi dei Padri della Chiesa.

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ICONE vita gesu_COP 26-09-2012 11:48 Pagina 1

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Paola e David La Fede - Gianfranco Lazzaroni

Icone sulla vita

di gesù Cristo

per la nuova evangelizzazione

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PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2006 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it [email protected] Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

A cura di Paola e David La Fede:

L’icona e la bellezzaParola - Liturgia - Comunità in relazione all’iconaPreludio, commento degli artisti e analisi dei particolariRelazione tecnica

A cura di Gianfranco Lazzaroni:

Le icone della chiesa parrocchiale di S. Antonio abate in Corti di Costa VolpinoIcone per la nuova evangelizzazioneLettura delle iconeCatechesi sulle singole iconeTraccia per la Liturgia

A cura di Ferdinando Capra:

Pregare con la Scrittura

Si ringraziano:

Studio fotografico Rizzieri AbelardoLaboratorio di falegnameria « Alto arredo » (BS)La Fede Elisebath e Misaele per l’aiuto della stesura al computerCastelli Giulia per la trascrizione al computerMazzesi Carla per la revisione del manoscrittoComunità parrocchiale di Corti S. Antonio per il sostegno al « progetto icone »

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Le icone della chiesa parrocchiale

di S. Antonio Abate

in Corti di costa volpino

Le sette icone che vengono presenta-te in questo libro si trovano nella nuova chiesa parrocchiale di S. Antonio abate in Costa Volpino (frazione Corti), provincia di Bergamo, diocesi di Brescia.

Costa Volpino è un centro formato da sette frazioni esteso sul versante bergamasco all’inizio della Valcamonica e toccato dalle acque del Sebino, dove il fiume Oglio inter-rompe la sua corsa.

Corti S. Antonio prende il nome dalla « Curtis » medievale e, nella parte antica, è composto da un complesso di edifici situati prevalentemente sullo sperone del monte chiamato « La Costa ».

In questo primo nucleo abitativo era posta anche l’antica chiesa parrocchiale eret-ta nel 1507 e ricostruita nel 1848.

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, per il forte sviluppo edilizio della parte bassa del paese adiacente alla Statale n. 42 del Tonale e della Mendola, diven-ne necessaria la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale con la casa canonica e l’oratorio.

Il parroco don Giovanni Lazzaroni nel 1971 affidò la progettazione dell’opera al-l’architetto Luigi Cottinelli di Lovere, e le vetrate alla dottoressa Franca Ghitti.

Nella Pasqua di Risurrezione del 1973 venne celebrata, per la prima volta, l’Eucari-stia nella grande aula della nuova parrocchia-le, che sarà consacrata il 12 febbraio 1984.

L’edificio, a pianta rettangolare, è co-struito con materiali poveri, in gran parte prefabbricati di produzione industriale.

La parte absidale di fondo, costituita da una vetrata di 18 metri di lunghezza per 5 di altezza, si affaccia sulla natura (prato, olivi,

bosco e roccia) con i suoi colori cangianti a seconda delle stagioni.

Le vetrate policrome dell’artista Franca Ghitti ornano la parte alta delle pareti laterali, raffigurando i sette giorni della creazione (lato sinistro) e le sette piaghe (le coppe dell’ira di Dio) dell’Apocalisse (lato destro).

Il presbiterio, definito da tre arcate, vede al centro la mensa eucaristica con l’ambone (mensa della Parola), a sinistra il battistero e a destra il Tabernacolo caratterizzato dai segni del pane e del pesce.

Le icone sono state aggiunte dopo trent’anni e sono state dipinte da Paola e David La Fede.

L’esecuzione delle sette opere, che costi-tuiscono la corona misterica sull’architrave del presbiterio (tre metri per quindici), è iniziata nel 2002 e si è conclusa nella pri-mavera del 2006.

Per quale motivo sono state aggiunte queste immagini?

La scelta non è stata « decorativa » o semplicemente « riempitiva », ma liturgica.

Anzitutto la grande vetrata di fondo, nel presbiterio, portava lo sguardo in modo obbligato sulla natura, stupenda nei con-trasti tra la vegetazione e la roccia chiara, ma esagerata nella sua centralità, tanto da catturare sempre l’occhio durante la litur-gia. La mensa con il celebrante, il luogo della proclamazione della Parola, ma anche il battistero e il Tabernacolo, risultavano inevitabilmente secondari.

Le icone, con al centro il grande Pantocratore, non tolgono nulla alla vi-sibilità della vetrata e lasciano spazio alla natura di fondo, ma riportano lo sguardo

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dell’assemblea sul luogo della celebrazione, impedendo la fuga sull’esterno.

Non è la natura che salva, ma il Signore Risorto che si fa presente nell’assemblea riu-nita e si comunica al cuore e alla vita delle persone attraverso la Parola proclamata, il celebrante, i segni sacramentali, il canto e i vari momenti liturgici.

Oltre all’eccessivo peso della vetrata di fondo, la nuova chiesa parrocchiale risultava mancante di immagini che potessero aiutare la preghiera, l’accoglienza della parola di Dio e la celebrazione.

Le vetrate colorate laterali sono mol-to interessanti nell’effetto cromatico, ma poco leggibili (soprattutto le raffigurazioni dell’Apocalisse) e inadatte a favorire l’incon-tro con la « Parola fatta carne », con Gesù Cristo, che ha manifestato in modo visibile, nella storia, il mistero di Dio.

Le vetrate policrome rimandano al « re-ligioso »; le icone manifestano l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua opera, e liberano dalla sensazione di essere in una cappella New Age, oppure in una indefinita aula per congressi umanistico-religiosi.

L’annuncio del mistero pasquale viene confermato dalle immagini iconografiche e in modo chiaro e diretto interpella la vita dei fedeli.

Gesù Cristo non è una vaga idea, una evanescente presenza, ma è « scandalosamen-te » dentro la storia: incarnato nel grembo di una vergine per opera dello Spirito, immerso nelle acque del battesimo e nella dura realtà dei nostri peccati, rifiutato e crocifisso, in-speratamente risorto e fonte di vita nuova per coloro che credono in lui e accolgono il suo santo Spirito per la missione.

Le sette icone, disegnate e dipinte dai coniugi La Fede, sono opera di credenti che sono « realmente », non « formalmente », nel cammino della fede; sono frutto di una esperienza segnata dall’ascolto della Parola, dalla liturgia, dalla comunione ecclesiale, dalla preghiera.

Non sono « copie » delle forme bizantine oppure orientali, ma opere nuove: lo stile ico-nografico è attualizzato da una originale tec-nica nella stesura dei colori, da una compo-sitività dell’immagine che potremmo definire maggiormente « battesimale », postconciliare, centrata sulla storia della salvezza che ha il suo compimento nel mistero pasquale.

Sono icone per la nuova evangelizzazio-ne, adatte per la catechesi e soprattutto capaci di unire i « misteri » della salvezza con la vita, per aiutarci a cogliere il passaggio del Signore, affinché la sua gloria trasfiguri il nostro cuore, la nostra mente e le nostre forze.

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Icone nuove

per la nuova evangelizzazione

Abbiamo già innumerevoli libri sul-le icone riguardanti la storia, la teologia, l’interpretazione delle immagini; libri sulle icone di Cristo, di Maria, delle feste più importanti ecc…

Perché un nuovo libro?Semplicemente perché questo ciclo ico-

nografico dipinto dai coniugi David e Paola La Fede per la parrocchia di S. Antonio aba-te a Costa Volpino (provincia di Bergamo e diocesi di Brescia) è « nuovo », per la nuova evangelizzazione.

Ci è sembrato importante far cono-scere icone « nuove » che non riproducono pedissequamente forme antiche e legate al gusto orientale ma, pur tenendo presen-te i canoni tipici dell’iconografia, partono dall’esperienza di fede della Chiesa in Italia che, in questo preciso momento storico, nell’ascolto della Parola, nella liturgia e nella vita della comunità, incontra il Signore della vita, Cristo Risorto, che apre all’amore di Dio e del prossimo mediante il dono dello Spirito Santo.

Il maggior numero di icone e di ripro-duzioni delle stesse che troviamo nelle case dei cristiani e nelle cappelle per la preghiera derivano da modelli della Chiesa ortodossa.

Fino al Trecento, l’Italia ha avuto una sua tradizione dell’icona che rielaborava in modo autonomo i precetti della pittura sa-cra, che poi sono stati come dimenticati.

È importante ritrovare una nuova e originale via occidentale all’icona, perché, in realtà, ogni comunità cristiana locale, in ogni tempo della sua storia, esprime se stessa, la sua esperienza di fede nelle im-magini che poi usa per la liturgia e per la preghiera.

Le sette icone che vengono presentate in questo libro sono completamente libere da ogni forma di archeologismo, non ven-gono da alcuna « moda iconografica », non copiano schemi che poi devono essere spie-gati, perché incomprensibili, ma nascono dal basso, cioè dal cammino di fede, dalla lettura attenta della Scrittura e dalla celebra-zione comunitaria della stessa, dalla gioia di essere cristiani oggi, chiamati alla verità, alla comunione e alla missione.

Icone nuove, nate dalla Chiesa che cam-mina sulla via indicata dal Concilio Vaticano II, icone per la nuova evangelizzazione.

Ogni singola icona nasce da una « Parola », e intende mostrarne il compi-mento oggi: annuncia una speranza, apre al futuro, all’azione fedele di Dio che non si dimentica mai del suo popolo, ma provvede in ogni tempo.

Ogni icona fa riferimento al Battesimo che urgentemente i nostri fedeli sono chia-mati a riscoprire, come dono prezioso i cui frutti sono la vita in Cristo e la possibilità di amare come lui ci ha amati.

Ogni icona rinsalda la gioia di essere parte della comunità cristiana che non è frutto di sforzi umani, ma dell’azione dello Spirito Santo che rinnova il nostro cuore e ci apre alla comunione.

Queste icone inoltre sono una testimo-nianza dell’attualità della fede. Non sono ri-piegate sul passato e sulle sue forme (per altro stupende e artisticamente eccelse), ma, appog-giate sulla salda roccia della tradizione della Chiesa, esprimono la forza « attuale » della fede nella vita delle persone di questo nostro tempo.

Un periodo storico di crisi dell’imma-gine sacra, un tempo di fastidio, anche mo-

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tivato, verso certe forme sentimentali, ha portato a preferire la figura astratta, il sem-plice colore, l’allusione al soprannaturale… Con modalità diverse abbiamo rinnovato verso l’immagine sacra un atteggiamento tipico dei secoli iconoclasti, quando i Padri della Chiesa notavano, sottostante a questa tendenza, il rifiuto stesso dell’incarnazione.

Anche nel nostro tempo molti prefe-riscono ridurre Cristo a un’idea non raffi-gurabile.

È bene ricordare che, difendendo l’im-magine del Dio fatto uomo, il Concilio di Nicea II (787) ha voluto salvare anche l’im-magine divina presente nell’uomo.

C’è una strana consonanza tra coloro che propugnano una cultura di morte (abor-to, uso degli embrioni, eutanasia) e il rifiuto dell’immagine umana nell’arte.

È importante, per la nuova evangelizza-zione, che la comunità cristiana sia visibile, sappia manifestare in ogni ambito della vita la sua originalità, che è la vita in Cristo. Incarnazione nella realtà concreta, visibilità e rispetto della vita umana, come prezioso dono di Dio, vanno insieme e si accordano perfettamente con l’icona, che si appoggia sull’incarnazione del Figlio di Dio e sulla sua testimonianza.

Con la loro bellezza le icone sono an-nuncio della verità in un tempo nel quale non si accetta che esista una « verità », e si assiste al dominio della « dittatura del rela-tivismo ».

Le immagini esprimono lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia

tra verità e bellezza e tra bontà e bellezza, in un tempo dove conta l’utile e si rifiuta qual-siasi riferimento etico a quanto la tecnica può produrre.

Notiamo freddezza verso l’immagine sacra anche in coloro che vivono la fede come un volontarismo, come se l’arte icono-grafica fosse alternativa alle opere di carità. Non è così.

Solo chi è cambiato nel cuore da Cristo Redentore può dare se stesso, senza riserve, per l’amore al prossimo, nella giustizia e nella pace.

La bellezza dell’arte è l’unguento ver-sato dalla donna sui piedi di Cristo, l’atto gratuito che risana le ferite della bruttezza, offrendo il viatico della bellezza, « ciò a mag-gior ragione nella civiltà dell’immagine così bisognosa – secondo un’espressione di papa Wojtyla – di riscoprire l’icona cristiana che sappia purificare i nostri occhi ».

Ecco allora un libro che presenta icone « nuove » per la nuova evangelizzazione.

Ogni icona viene descritta dagli autori (preludio e lettura dell’icona), approfondita nel suo significato (commento catechetico).

Dopo la presentazione di ogni singola icona, vengono proposte diverse piste di preghiera: l’approfondimento biblico, la ri-flessione personale con testi dei Padri della Chiesa, una celebrazione comunitaria della Parola.

Il Signore, anche attraverso questo sem-plice strumento, accompagni la Chiesa nel suo cammino e la renda capace di generare nuovi figli alla fede.

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L’icona e la bellezza

Quale uomo non ha sentito nella sua vita il desiderio di pienezza?

Chi non si è ritrovato nei fatti della vita a cercare quale fosse la verità?

Chi, ancora, non ha cercato a fatica nel quotidiano di discriminare il buono dal cattivo per scegliere la parte migliore?

E quale uomo, infine, in ogni avve-nimento, sogno o scelta non ha rincorso spasmodicamente la felicità?

Alcuni si sono soffermati con insisten-za, altri addirittura hanno vissuto la loro vita in funzione di questo, altri ancora sono riusciti solo qua e là, obbligati dai fatti della vita a pensare al senso profondo dell’esistere; ma queste acque che si agitano nel nostro intimo si acquietano solo in presenza di una realtà che sintetizza tutti gli atteggiamenti sopra elencati: la bellezza.

Biblicamente, bontà - verità - pienezza - perfezione sono un tutt’uno traducibile con il termine « bellezza ».

« Tardi t’amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi t’amai » grida dal pro-fondo sant’Agostino; e san Basilio così si esprime: « per natura gli uomini desiderano il bello ».

Lo Pseudo Dionigi Areopagita afferma: « l’uomo è creato secondo il modello eterno, l’Archetipo della bellezza ».

San Gregorio Palamas chiarisce l’origine della bellezza: « la bellezza perfetta viene dall’alto, dall’unione con la luce più che risplendente e che è l’unica origine di una teologia sicura ».

Per Nikolaj Berdjaev: « la bellezza è la caratteristica suprema dell’esistenza ».

Per Pavel Florenskij, cantore della bel-lezza: « la vita spirituale, in quanto procede

dall’io e ha nell’io il fulcro, è la verità; apper-cepita come azione immediata dell’altro è il bene; contemplata oggettivamente dal terzo come irradiazione all’esterno è la bellezza. La verità manifestata è l’amore. L’amore realizzato è la bellezza ».

« Ciò che rallegra si chiama bellezza; l’amore come oggetto di contemplazione è bellezza. La mia vita spirituale, la mia vita nello spirito, il mio divenire “simile a Dio” è bellezza, quale bellezza della creatura origina-ria di cui è detto “e Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” ».

Qui Florenskij parla anche dell’amo-re per la bellezza: « la conoscenza teorica è l’amore per la sapienza; la conoscenza contemplativa data dall’ascetica è invece amore per la bellezza. Le antologie ascetiche portano il nome di filocalie, ma non si tratta tanto di perfezione morale quanto di amore per la bellezza ».

Anche Dostoevskij entra profonda-mente nell’argomento e ci lancia una pro-vocazione, attraverso un suo personaggio, con una affermazione che diviene poi una domanda: « La bellezza salverà il mondo ». Quale bellezza salverà il mondo?

Come mai l’uomo è così attratto dalla bellezza? Perché la bellezza lo incanta a tal punto che per essa è disposto a dare tutti i suoi beni, a giocarsi per essa tutta la vita? Perché la bellezza è l’unica cosa che lo cat-tura a tal punto da fermarlo anche quando il vortice della vita lo ha già immerso nel-l’alienazione del « non senso »? Penso che la bellezza già ci appartenga, perché qualcosa di essa è già dentro di noi. Noi siamo unici, e questa unicità è la radice della mia e tua bellezza.

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La massificazione distrugge l’uomo e abbiamo osservato questo in tante espe-rienze recenti della storia. Se l’uomo perde la propria identità, perde la sua unicità, si allontana anche dalla sua felicità. Noi siamo un « pezzo unico », un’opera d’arte, e per questa nostra bellezza possiamo essere ama-ti… anzi siamo sempre stati amati.

Il libro della Genesi inizia con un inno alla bellezza: Dio crea e vede che ciò che ha fatto è buono (kalos), ma in realtà questo ter-mine greco significa anche bello. Possiamo rileggere tutto il racconto della creazione.

« Dio vide che la luce era cosa buona-bella…

Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona-bella…

E così avvenne: la terra produsse ger-mogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la pro-pria specie. Dio vide che era cosa buona-bella…

Dio fece le due luci grandi… Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona-bella…

Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona-bella…

Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona-bella…

Dio creò l’uomo a sua immagine; a im-magine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò…

E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona-bella » (Gen 1).

L’uomo è considerato da Dio « molto buono », « molto bello », di lui Dio si è inna-morato. Subito emerge un progetto, un per-corso che Dio realizza per incontrarsi con la creatura, per unirla a sé, alla sua bellezza.

Già si sente annunciare la « bella noti-zia »: Dio lo ama, ama te come unico.

« La bellezza » si è manifestata all’uomo e l’uomo, specchiandosi in essa, vede la sua bellezza e ha la possibilità di creare cose belle.

Il libro della Genesi, parlando della creazione dell’uomo, proclama: « E Dio dis-se, facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine a immagine di Dio lo creò, ma-schio e femmina li creò » (Gen 1,26-27).

La Scrittura mostra l’uomo creato con impresso questi due sigilli, l’immagine e la somiglianza, che ne definiscono la sua uni-cità e la sua identità.

Florenskij afferma: « Nella Bibbia si di-stingue l’immagine di Dio dalla somiglianza a Dio; e la tradizione ecclesiastica spiegò che la prima si doveva intendere come qualcosa di attuale – un dono ontologico di Dio – mentre la seconda come potenza, possibilità di perfezione spirituale, cioè la possibilità che l’immagine di Dio s’incarni nella vita, nella personalità e in tal modo si mostri in volto » (Le porte regali).

In questo inno della bellezza, che è il racconto della creazione, per la prima volta nella Scrittura si incontra la parola immagi-ne (eikon) che equivale a icona.

L’uomo è icona di Dio e l’impronta che Dio ha lasciato in lui lo rende « il più bello ».

Questo però ancora non basta perché l’uomo possa essere familiare di Dio e avere la sua stessa natura, c’è bisogno di un’altra « somiglianza », di un’altra capacità che è unicamente dono di Dio: « non solo siamo stati fatti belli, ma capaci di produrre la bellezza » (Florenskij).

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Nel Vangelo di Matteo Gesù dice: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre ce-leste » che equivale a « siate belli com’è bel-lo il Padre vostro celeste ». San Gregorio Nazianzeno afferma: « Dio ha fatto l’uomo cantore del suo irradiamento ».

Vivere della bellezza diventa per ogni uomo fonte di realizzazione e di felicità: questo desiderio per l’uomo è « ontologico », impresso nelle profondità del proprio essere, radice delle sue azioni, dei suoi impulsi, dei suoi pensieri e dei suoi sogni.

A questo punto s’impone con forza una domanda: ma che cosa è la bellezza?

Molti hanno affermato l’ambiguità del-la tensione verso la bellezza: la tendenza ad amare più le creature del Creatore, a rima-nere affascinati dalla produzione artistica dell’uomo fino a spostarne il punto di riferi-mento dalla natura all’uomo stesso: l’uomo si innamora della sua bellezza e si esalta come un « dio » nel notare la sua capacità di ricrearla.

La bellezza come fenomeno cosmico (Kant) o come trasposizione artistica del fe-nomeno (Hegel) trova nell’uomo moderno motivo di discussione, anche se poi la bellez-za, come trasposizione, si banalizza e si mo-difica maggiormente in relazione alla moda.

La ricerca di stereotipi che assumano valore assoluto di bellezza si sussegue, si modifica in continuazione, anche in tempi brevi, assoggettata oggi più a un aspetto commerciale che filosofico o ideologico, e il cuore dell’uomo si confà a nuove forme, a nuovi amori.

Come allora comprendere quale sia la vera bellezza?

La bellezza è unica come lo è la bontà e la verità, e possederla, come dice il Vangelo, ci rende liberi, senza condizionamenti.

Come non riconoscerla con facilità, se per lei siamo stati fatti? Come non essere

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attirati da quella vera? Perché l’uomo con fatica deve discernere? Perché molte volte le « due vie » appaiono entrambe vere, belle, buone? Chi ci inganna? Quale nemico ci rende incapaci di scegliere ciò che, come abbiamo visto, già ci appartiene?

Nel Medioevo il nemico dell’uomo ve-niva chiamato « scimmia di Dio », cioè colui che adesca l’uomo « scimmiottando » Dio, rivestendosi delle caratteristiche di Dio. Il profeta Ezechiele dice: « Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto di ogni pietra preziosa… il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore… » (28,12-13.17).

Ecco che il nemico si riveste di luce per far sembrare buono ciò che non lo è; si riveste di giudizio per accusare, anziché cor-reggere e indirizzare, si riveste di falso amore per adulare, anziché avere misericordia; si riveste infine di bellezza per « sedurre », an-ziché fare innamorare.

Questa imitazione, questa « recita » del ruolo di Padre ben si addice a lui che ha fat-to esperienza delle cose del cielo, ma di esse poi ne ha fatto un’autentica perversione.

Giustamente sottolinea Dostoevskij: « la cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero, è qui che Satana lotta con Dio e il loro campo di battaglia è il cuore dell’uomo ».

Per confondere l’uomo basta chiudere in lui l’occhio: « La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! » (Mt 6,22).

Ecco perché nel ciclo iconografico, al centro della fronte di Cristo, della Vergine e dei santi viene posto un segno, il terzo occhio centro della sapienza, l’occhio del-

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la fede. Chiudere all’uomo questo occhio significa deformare completamente in lui l’immagine della vita.

Quando il nemico riesce a chiudere in noi questo occhio, non vediamo più la bellezza o forse ne leggiamo solo una sua interpretazione, un suo « recitativo ».

La confusione diviene totale, non di-stinguiamo più la via del bello e la via del « brutto », le due vie ci appaiono uguali, entrambe buone.

Quale bellezza dunque salverà il mondo?Pilato chiede a Cristo: « Che cosa è la

verità? » e Cristo non parla, non discute, non recita, ma mostra quale sia la bellezza.

Egli, « il più bello dei figli dell’uomo », rende bello ciò che Isaia aveva definito senza bellezza: « Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi ».

Egli inganna « l’ingannatore » sceglien-do una via che questi non conosce, una via di bellezza sconosciuta anche agli angeli: perdersi totalmente, senza riserve, senza ri-torno, esercitando il potere di dare la vita per l’uomo e poi riprenderla di nuovo.

Questo diventa possibile anche per l’uomo, perché Gesù Cristo gli ha aperto la strada: l’uomo si fa uno con « l’amato » e riceve in dono questo cambio di natura, si apre a una nuova cosmologia avviandosi con l’universo alla « pienezza ».

Tommaso d’Aquino così esprime la via della nuova bellezza:

« Exitus a Deo »: Dio esce da sé e s’in-carna.

« Exitus a se »: il Figlio esce da sé fino alla morte di croce.

« Reditum ad Deum »: nella risurrezione di Cristo, attraverso lo Spirito Santo, l’uomo ritorna a Dio.

La bellezza diviene « extasis »: come Cristo per amore è uscito da se stesso per « entrare » nell’uomo, così l’uomo per amore esce da sé per entrare in Dio.

In questo percorso la bellezza appare sulla terra: il Padre sacrifica il Figlio, e il Figlio obbediente si dona…

Vivere adagiati nelle braccia di Dio si-gnifica recuperare la pienezza della dimen-sione umana e ritrovare l’ambito per cui siamo stati creati. Veniamo così sospinti alla contemplazione totale della bellezza, rimaniamo sbalorditi dall’immenso splen-dore di una luce, che illumina il nostro essere e tutta la storia della nostra vita. La bellezza per cui siamo stati creati viene fatta vibrare all’unisono dalla bellezza che con-templiamo fatta carne nella nostra vita, so-spesi nell’estasi della vita nuova in cui il Creatore ci ha rigenerato. Allora tutto ci appare desiderabile per acquistare saggezza; recuperiamo la dimensione totale e profon-da della bellezza, dove godiamo appieno di ciò che abbiamo detestato, desideriamo ciò che abbiamo fuggito: si apre una nuova strada nella contemplazione della croce che ci introduce nelle viscere della misericordia, dove riposiamo come bimbi divezzati in braccio alla madre.

Ma in quale ambito cresce e si consoli-da questa bellezza? Qual è il luogo in cui la bellezza viene comunicata, perché l’uomo possa poi ricrearla nella sua vita? Non si può parlare di bellezza cristiana senza parlare del giardino.

Il giardino, luogo della bellezza

Quando Dio crea l’uomo, lo immerge nella bellezza: « Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse » (Gen 2,15).

Sant’Ireneo di Lione afferma: « E questo giardino era tanto bello e tanto buono, che il Verbo di Dio vi passeggiava costantemente e si intratteneva con l’uomo, prefigurando gli eventi futuri: cioè affermando che con

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l’uomo avrebbe abitato, avrebbe conversa-to, con lui sarebbe rimasto a insegnargli la giustizia ».

Nelle abitudini del popolo d’Israele i giardini sono zone interne della casa molto riservate, normalmente circondati da alti muri che non solo non ne consentono l’in-gresso, ma ne custodiscono l’intimità. Sono luoghi per eccellenza dove gli amici si confi-dano e dove l’amato si ritrova con l’amata.

Normalmente sono coltivati con cura e custodiscono frutti e fiori che nella Scrittura hanno assunto innumerevoli significati e sono caratterizzati da un’infinità di aromi e di profumi, che aiutano a conservarne il ricordo degli incontri.

Questa immagine del giardino è stret-tamente legata alla bellezza, non solo per la relazione diretta con la meraviglia suscitata dalle forme e dai colori o dallo stupore che si vive nel seguire la crescita di fiori e piante, ma soprattutto per l’esperienza profonda che si vive all’interno del giardino: l’incontro.

Tutto il cammino della fede inizia, si evol-ve e ha il suo epilogo nell’« appuntamento »: la vita cristiana è una storia di appuntamenti concreti, esistenziali, storici, attraverso i quali Dio s’incontra nella vita con l’uomo. Questi memoriali hanno con l’immagine del giardino una profonda relazione.

Il giardino è il luogo dell’intimità con Dio, il luogo dove Dio spiega all’uomo il significato dei fatti incomprensibili della sua esistenza, dove si intessono patti, alleanze, legami, segreti.

Il Cantico dei Cantici, che esalta la bel-lezza nelle varie sue forme e trova nell’incon-tro sponsale la sua più bella realizzazione, parla in continuazione del giardino. L’amato dice: « Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata » (Ct 4,12).

L’amata risponde: « Levati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia nel mio giardino, si

effondano i suoi aromi. Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti » (Ct 4,16).

Giardino è quella stanza in cui ci riti-riamo nel segreto (come dice il Vangelo) e possiamo aprirne e chiuderne la porta.

Giardino è il recinto dove la porta è Cristo stesso, e dove il pastore ci conduce ai pascoli rigogliosi (Sal 22) per nutrirci della vita eterna.

Ancora nel Cantico dei Cantici si procla-ma: « Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli » (Ct 6,2).

Questo è il giardino che ogni uomo è chiamato a coltivare e a custodire.

Nessuna bellezza nella vita passa dall’ef-fimero all’eterno se non trova nel dialogo, nella quiete del giardino il suo significato profondo, e il suo dispiegarsi in un progetto di un nuovo cammino.

Il giardino però non si realizza esclu-sivamente nella luce taborica o nella risur-rezione, come nell’icona dell’apparizione a Maria Maddalena, ma anche nel segreto, e silenziosamente, nella scena della crocifissio-ne: il significato più profondo della bellezza si svela nella croce. Nella apparente assenza totale di bellezza, nel non senso della morte, nella completa sconfitta per la fede in Cristo può aprirsi la porta del giardino, e si ritrovano i frutti migliori, ma è soprattutto lì che gli aromi e i profumi divengono indimenticabili. Si realizza l’incontro senza riserve.

È nel giardino del Getsemani che Cristo entra nella sua passione, ed è crocifisso di-nanzi a un giardino dove ritrova l’intimità con il Padre, infine la sua tomba è posta in un giardino, dove dalla morte passa alla risurrezione.

Il giardino è quindi il luogo profetico che prepara l’uomo al passaggio finale.

È in questa esperienza che si riceve il bacio santo (« che mi baci coi baci della

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sua bocca »: Ct 1), quel bacio che, come dice san Bernardo, « lo conosce solo chi lo riceve ».

Il libro del Siracide lancia un invito: « Ho detto: “Innaffierò il mio giardino e ir-righerò la mia aiuola”. Ed ecco il mio canale è diventato fiume, il mio fiume è diventato un mare » (Sir 24,29).

Nel giardino s’incontra lo sguardo del-l’amato, del più bello: è in questo luogo che i « puri di cuore vedranno Dio », che il cuore

unificato può scoprire un volto; è lì che la Chiesa costruisce le sue immagini interiori: le « belle » icone.

In questo colloquio, che poi diventa co-stante, l’uomo diviene un « vero adoratore » (Gv 4) e inizia a trasformarsi e a incarnare una liturgia continua di lode: « Offrite i vo-stri corpi come sacrificio a Dio: è questo il vostro culto spirituale » (Rm 12,1).

Nasce l’uomo liturgico, e nasce nel giar-dino.

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Parola - Liturgia - Comunità

in relazione all’icona

La frase famosa dei Padri della Chiesa « quello che la parola dice l’icona lo espri-me silenziosamente » non è certo da inten-dersi semplicemente come traduzione in immagini di ciò che si è ascoltato, quasi fosse una sequenza cinematografica per rendere in qualche modo maggiormente memorizzabile ciò che può risultare sfug-gente all’ascolto. È quel « silenziosamente » che esprime il passaggio dalla parola all’im-magine. « Silenziosamente » è uno spazio di tempo nel quale la Parola ascoltata è… ingerita, ruminata, e si fa carne in colui che l’accoglie.

Il silenzio è il tempo dell’incarnazione, il tempo in cui il potere di Dio crea.

Quando si dice « Parola di Dio » si fa riferimento a ciò che Dio ha attuato e attua nella storia dell’uomo.

Dio dice: « sia la luce »… e la luce fu.Dio dice a Mosè: « stendi la mano » e il

mare si aprì.Dio dice: « colui che nascerà da te sarà

santo » e il santo prende forma umana.Dio si manifesta all’uomo con una « pa-

rola » scegliendo il canale dell’udito per esse-re compreso; senz’altro il mezzo più debole, che però lascia all’uomo la libertà di ascolta-re-ricordare o non ascoltare e dimenticare.

La Scrittura segue la parola che si rea-lizza e si concretizza nella storia.

Sapiente è la proclamazione liturgica della Scrittura in assemblea che si conclu-de dicendo « Parola di Dio » come se fosse un’esortazione, un augurio, nella speranza che la Scrittura proclamata diventi per qual-cuno « Parola di Dio », si concretizzi nella vita. Accogliere la Parola è far sì che questa diventi parte della vita e si compia in noi.

La risposta dell’uomo, che con stupore assiste a questo intervento di Dio, è il canto, l’esultanza, la « gioia incontenibile ».

Israele oltrepassa il mare all’asciutto, vede i suoi nemici affogare, dalla paura passa alla meraviglia, dallo stupore al canto, alla benedizione, alla lode. Questo « passaggio » introduce l’uomo nella liturgia, dall’espe-rienza del « passaggio » alla nuova vita, l’uo-mo articola un « contesto » per dialogare e ascoltare, per benedire ed essere benedetto, amare ed essere amato; un luogo dove rice-lebrare all’infinito questo incontro storico, per poterlo rivivere (sacramentalmente) per sempre.

La liturgia è il luogo dove la bellezza si dà, si riceve e si ricrea.

In questo contesto la bellezza si molti-plica, si confronta e si arricchisce, si sviluppa e si canonizza divenendo estetica; nasce e prende forma un’immagine.

Una comunità ecclesiale traduce in li-turgia ciò che ha sperimentato e traduce in immagini ciò che ha « visto » e interiorizzato.

L’icona diviene l’espressione di una co-munità che, dopo aver ascoltato la Parola di Dio, dopo averla ascoltata e resa « fatto », la traduce anche in immagine. Questa imma-gine, che l’artista ha il carisma di « fissare » o « ritrascrivere », è resa « canonica » dalla corri-spondenza con immagini che già risiedono nell’esperienza dell’assemblea e che il vesco-vo, come colui che gestisce beni comuni (ca-rismi), le rende credibili e le conferma.

Prima di addentrarci maggiormente nella relazione esistente fra icona e litur-gia è bene ricordare come si sia sviluppata nell’ambito cristiano la rappresentazione iconografica. Poche pennellate ci aiutano a

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comprendere il passaggio dal simbolo all’im-magine e quindi l’utilizzo dell’immagine in sede liturgica.

Dal simbolo all’immagine

Molto importante è la relazione esi-stente fra esperienza concreta di Cristo, cioè incarnazione della dottrina cristiana e icona, immagine dell’incarnazione.

Sappiamo tutti che nei primi secoli, per l’influsso della tradizione ebraica, il cul-to delle immagini e la rappresentazione di Dio erano praticamente proibiti e visti con grande preoccupazione, per timore di una contaminazione con i culti pagani molto ricchi di raffigurazioni soprattutto statuarie. Successivamente la riflessione teologica sul-l’incarnazione di Cristo ha aperto possibilità nuove di fissare un’immagine visibile di ciò che i discepoli avevano toccato e visto.

Il passaggio in realtà non fu così sempli-ce e automatico, tanto che le prime rappre-sentazioni cristiane presenti nelle catacombe furono sempre simboliche: pani, pesci, buon pastore ecc…

Le sembianze reali umane di Cristo e della Vergine sono ancora lontane, e so-prattutto lontana è l’immagine come evo-cazione dell’archetipo; e la teologia della presenza non è ancora stata approfondita. Molto interessante è vedere il percorso devo-zionale-liturgico che parte da queste prime rappresentazioni, unicamente simboliche, e arriva a quelle iconografiche vere e proprie.

L’adorazione della croce fu il primo segno nella direzione simbolica, essendo, appunto, la croce l’elemento costitutivo della fede cristia-na. Successivamente ci vollero testimonianze di fede forti come il martirio, perché iniziasse un percorso verso la rappresentazione.

È interessante notare il fatto che la na-scita del culto per le reliquie dei martiri,

segno tangibile dell’incarnazione nella storia dello spirito di Cristo e quindi dell’inabita-zione di Dio nell’uomo, fece sì che si aprisse un varco per la rappresentazione umana di Dio, attraverso l’immagine di Cristo Gesù.

Iniziarono in seguito ricerche sul vero volto di Cristo, sulle sembianze reali di Maria e sulla ritrattistica dei santi.

Timidamente, alle soglie del quarto se-colo, nasce l’iconografia.

L’intenzione non è tanto di rappre-sentare la « fotografia » di Cristo, quanto l’immagine trasfigurata dell’uomo nuovo. Nasce la teologia della presenza e l’utilizzo dell’immagine in ambito liturgico.

Immagine e liturgia

Joseph Ratzinger nel suo testo Introduzione allo spirito della liturgia ricorda che nonostante il divieto contenuto nella Scrittura di realizzare qualsiasi immagine sacra, si siano manifestate già in ambito giudaico alcune rappresentazio-ni, presenti nelle più antiche Sinagoghe (vedi ad esempio Edessa).

Queste raffigurazioni di scene bibliche non avevano la funzione di semplici foto-grammi storici, ma, come afferma Ratzinger: « una forma di racconto che, facendo memo-ria, attualizza una presenza (Haggadah) ».

Le grandi narrazioni (Haggadah di Pasqua) rappresentano per Israele un pas-saggio fondamentale per la trasmissione della fede ai figli, poiché hanno una rela-zione con il rendere nuovamente presente la forza redentrice dell’intervento divino (memoriali).

Esiste paradossalmente una continuità, sottolinea Ratzinger, fra le immagini nella Sinagoga e le immagini nella Chiesa dove ciò che è più importante non è l’aspetto didattico o narrativo (insegnamento della storia attraverso le immagini): « Nelle feste

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Paola e David La Fede - Gianfranco Lazzaroni

ICONE SULLA VITA DI GESÙ CRISTOper la nuova evangelizzazione

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« Queste icone, qui spiegate con dovizia di riferi-menti biblici e patristici, vengono in soccorso a noidistratti consumatori di realtà caduche, per cogliere il“santo” che si annuncia e si celebra nella liturgia eper immergici, quasi percettibilmente, nel mondo de-finitivo che viene offerto “nei riti e nelle preci” dellasanta Chiesa, Sposa di Cristo, risvegliando in tal mo-do la nostalgia dell’homo aeternus e mostrando losplendore dell’uomo nuovo. Si aprono all’accoglienzadell’annuncio cristiano, che intende trasformare ogniuomo che viene a questo mondo in icona vivente delFiglio dell’Altissimo e dell’umile Vergine Maria ».

(Dalla Prefazione di Pier Giordano Cabra)

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11PAOLA E DAVID LA FEDE, marito e mo-glie, sono titolari dal 1984 di una ditta didecorazioni e restauro che opera sul terri-torio nazionale. Vantano una pluriennaleesperienza nel settore dell’iconografia conricerche particolari sui pigmenti antichi(purificazione e utilizzo) e sulla mineralo-gia nel settore pittorico. Insegnano tecno-logia e tecnica della decorazione pressol’Accademia di Belle Arti San Giulia aBrescia. Hanno lasciato frutto della loroarte in Italia e all’estero. A Brescia hannoimpreziosito la chiesa della SS. Trinitàcon tre icone absidali e le quattordici sta-zioni della Via Crucis racchiuse in unaiconostasi che abbraccia la rotonda dell’e-dificio. I coniugi La Fede esprimono la lo-ro arte in assoluta fedeltà alla tradizioneiconografica (hanno consultato diretta-mente centinaia di icone dei monasterirussi); non solo fedeltà esecutiva, anchese ripensata per il nostro tempo, ma so-prattutto fedeltà di spirito e di fede in uncontesto fondamentale dello scrutare laScrittura in costante preghiera.

GIANFRANCO LAZZARONI, parroco del-la chiesa parrocchiale di Sant’AntonioAbate in Corti di Costa Volpino (Berga-mo), ha commissionato ai coniugi La Fedeil ciclo iconografico absidale presentato inquesto volume.

In copertina: Pantocratore, di Paola e David La Fede(chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate in Corti diCosta Volpino).

Sulle icone esistono già innumerevolilibri riguardanti la loro storia, la teologia,l’interpretazione delle immagini ecc. Per-ché, allora, un nuovo libro?

Semplicemente perché questo cicloiconografico dipinto dai coniugi Paola eDavid La Fede per la chiesa parrocchialedi Sant’Antonio Abate in Corti di CostaVolpino (provincia di Bergamo e diocesidi Brescia) è « nuovo » e a servizio dellanuova evangelizzazione.

Si tratta praticamente di sette icone(Natività, Battesimo, Crocifissione, Pan-tocratore, Risurrezione, Apparizione sullago di Tiberiade, Pentecoste) che costi-tuiscono la corona misterica sull’architra-ve del presbiterio della suddetta chiesa.

Queste sette icone, presentate in que-sto libro, sono completamente libere daogni forma di archeologismo, non vengo-no da alcuna « moda iconografica », noncopiano schemi che poi devono esserespiegati, ma nascono dal basso, cioè dalcammino di fede, dalla lettura attenta del-la Scrittura e dalla celebrazione comuni-taria della stessa, dalla gioia di essere cri-stiani oggi.

Sono icone « nuove », nate dalla Chie-sa che cammina sulla via indicata dalConcilio Vaticano II. Sono icone per lanuova evangelizzazione, adatte per la ca-techesi e soprattutto capaci di unire i « mi-steri » della salvezza con la vita, per aiu-tarci a cogliere il passaggio del Signore,affinché la sua gloria trasfiguri il nostrocuore, la nostra mente e le nostre forze. Èimportante, infatti, per la nuova evange-lizzazione, che la comunità cristiana siavisibile, sappia manifestare in ogni ambi-to dell’esistenza la bellezza e lo splendoredella vita in Cristo.

Ogni icona viene descritta dagli auto-ri (preludio e lettura dell’icona), soffer-mandosi soprattutto sui particolari, ap-profondita nel suo significato (commentocatechetico) e « celebrata » con una litur-gia comunitaria della Parola o con la pre-ghiera personale grazie ai numerosi e ric-chi testi dei Padri della Chiesa.

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ICONE vita gesu_COP 26-09-2012 11:48 Pagina 1

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