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Corso di Laurea in Lingue e Scienze del Linguaggio Prova finale di Laurea
I segni: ponte verso l’acquisizione linguistica e la comunicazione in bambini con autismo Relatore Proff.ssa Carmela Bertone Laureando Cristina Cavaliere Matricola 810335 Anno Accademico 2009/2010
2
INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dall’esperienza di tirocinio presso il Centro Medico di Foniatria di Padova
con tre bambini autistici di età compresa fra i 3;0 anni e gli 8;0 anni e con un bambino con
un ritardo nella comprensione e produzione linguistica. Durante questa esperienza, che
ancora continua nel lavoro quotidiano a casa, mi sono spesso interrogata sulla natura del
presunto deficit linguistico dei bambini autistici. In più occasioni mi sono chiesta quanto
potesse essere solo un disturbo comunicativo e quanto si potesse riflettere anche un
disturbo linguistico. Tuttavia ancora nessuno di noi possiede una risposta certa a questo
quesito. Solamente la ricerca potrà fornirci sempre nuovi studi e nuove sperimentazioni
come quella recentemente (2010) fornita da Aaron Michael Shield, un dottorando
dell’universit{ di Austin nel Texas: “The signing of Deaf Children with Autism: Lexical
Phonology and Perspective-Taking in the Visual-Spatial Modality”. Ciò che con ogni
probabilità sono in grado di affermare è che per approcciarsi a questi bambini è necessario
dimenticare i nostri metodi di pensiero, i nostri approcci verso il mondo circostante e
accogliere invece la dimensione dell’autismo fatta ogni giorno di quelle che noi
giudichiamo “stranezze”. Prima di iniziare questo percorso, ricordo di aver guardato un
documentario sul comportamento animale presentato da Temple Grandin1. Fui affascinata
da come spiegava i suoi punti di vista, le sue associazioni visive e di come fosse riuscita a
integrarle nel suo lavoro nonostante anch’essa sia una persona con autismo. Allora,
anch’io facevo parte di una fetta di persone che quando sentono la parola “autismo” si
immaginano un bambino chiuso nella sua dimensione e che si dondola avanti e indietro
oppure ad un “savant” come Raymond interpretato da Dustin Hoffman nel film Rain Man.
Temple Grandin è la testimonianza che anche i bambini autistici crescono. Per poterli
preparare ad affrontare la propria vita, noi che ci definiamo “fortunati”, dovremmo cercare
di trovare una chiave per entrare nel loro mondo senza aver le pretese di trasformali in
1 Temple Grandin è un’ affermata studiosa di Scienze del Comportamento Animale e autorevole personalit{ nel campo
dell’autismo. Fra le sue pubblicazioni troviamo: Grandin Temple, (2001;2006), Pensare in immagini e altre testimonianze della mia
vita di autistica. Erickson
3
persone “normali”. Così ogni metodo, terapia o come essa si voglia chiamare dovr{ andare
incontro ai bisogni del bambino ma soprattutto dovrà tenere conto delle sue abilità.
In questa tesi, intendo proporre la lingua dei segni come valida alternativa alla
comunicazione vocale o come integrazione di essa, ma anche come “ponte verso la
comunicazione”. Sar{ divisa in 5 capitoli. Nel primo capitolo affronterò una visione
generale su ciò che definiamo linguaggio e lingua e sulle teorie sulla sua evoluzione
facendo riferimento anche alla scoperta dei “ neuroni specchio” che offrirono nuove
riflessioni sulla lingua. Nel secondo capitolo confronterò la lingua dei segni e il parlato e
proporrò un confronto fra l’acquisizione del lessico e il ruolo dei gesti nel suo sviluppo. Nel
terzo capitolo confronterò i segni con i PECS (Picture Exchange Communication System) e
fornirò la descrizione degli interventi di entrambi i sistemi. Inserirò anche l’ analisi dei
risultati di due esempi di utilizzo dei sistemi di comunicazione aumentativa alternativa
(CAA) dal lavoro di Matt Tincani2. Nel quarto capitolo cercherò di definire la ToM (Theory
of Mind) o Teoria della Mente e di creare delle correlazioni fra essa e lo sviluppo cognitivo
del bambino. Prenderò come riferimento anche la tesi di dottorando di Aaron Michael
Shield.3 Nel quinto capitolo presenterò l’ABA utilizzato con i bambini autistici ed efficiente
per lo sviluppo socio-cognitivo di essi ed inserirò la mia esperienza.
2 Tincani, M. Comparing the Picture Exchange Communication System and Sign Language Training for Children with Autism,
Focus on autism and other developmetal disabilities volume 19, number 3, fall 2004 downloaded from http://foa.sagepub.com
3Aaron Michael Shield (2010) The signing of Deaf Children with Autism: Lexical Phonology and Perspective-Taking in the Visual-
Spatial Modality” University of Texas, at Austin
4
Il bimbo cerca la sua voce
(la teneva il re dei grilli).
In una goccia d’acqua
cercava la sua voce il bimbo
Non la voglio per parlare;
mi farò d’essa un anello
al mio dito minuscolo.
In una goccia d’acqua
cercava la sua voce il bimbo.
(La voce prigioniera, lontano
Si metteva un vestito di grillo).
FEDERICO GARCIA LORCA
5
RINGRAZIAMENTI
E’ per me doveroso ringraziare tutti coloro che sono stati spettatori del mio percorso
universitario. In primis voglio ringraziare la mia famiglia per avermi dato la possibilità di
crescere e di costruire un gradino della mia vita. Ringrazio mio fratello Alberto per avermi
trasmesso la sua sete di conoscenza. Un grazie a Giorgio per aver condiviso i miei timori
ma anche le mie gioie nella speranza di affrontarne nuovamente assieme. Ringrazio anche
tutte le mie compagne e compagni e in particolarmente Valentina e Stefania per la
ricchezza delle nostre giornate universitarie, per aver raccolto le mie debolezze ed avermi
spronato più di una volta a reagire ( “Si lloras por haber perdido el sol, las lágrimas no te
dejarán ver las estrellas”). Un ringraziamento speciale alla log. Debora Stocco per avermi
dato la possibilità di avvicinarmi a questi bambini e per avermi trasmesso un po’ della sua
energia. Ringrazio anche le log. Marta Scarin e Valentina Padoan e la psicologa Morena
Mari per i nostri confronti. Ringrazio Daniela e Michela per il nostro lavoro, i nostri incontri,
le nostre discussioni e riflessioni. Ringrazio tutti gli amici che sono stati e mi stanno
accanto. Ringrazio la mia relatrice, la professoressa Carmela Bertone per la disponibilità e
la fiducia riposta.
Ultimi ma non per importanza voglio ringraziare le famiglie dei “miei bambini” per aver
compreso l’importanza della nostra collaborazione e per riporre fiducia nel mio lavoro
anche quando i risultati compiono una strada in salita. Ai “miei bambini” perché ogni
giornata è resa ricca dalla loro imprevedibilità, perché continuano a non farmi considerare
niente scontato e per farmi guardare sempre il mondo da un’altra prospettiva. Per i sorrisi
rubati di Filippo, per l’affettuosit{ di Davide, la musicalit{ di Federico e per l’energia di
Leonardo.
6
IL RE SOLO
Il mondo è grande, per lui è piccolino noi siamo tanti, lui è un solo bambino vive in un mondo di cui non sappiamo è qui con noi eppure è sempre lontano.
Re del suo regno forse felice
quel regno magico visto da Alice canta sereno e urla di rabbia
passero libero dentro una gabbia.
Oltre un cristallo lo vedi sognare imprigionato in un mondo irreale
eppure un giorno una nota più acuta una canzone dal vento sperduta
come una freccia dalla sua mente
romperà il vetro così resistente e crollerà il muro di incomprensione
travolto dal fiume dell’emozione.
Conoscerà la ragione ed il sogno del nostro affetto avrà bisogno
per fare parte di un mondo sociale non più da re ma da bimbo normale.
Questa vorrei fosse la conclusione
tra la realtà e l’immaginazione e come sempre la favola dice:
per chi ama e spera, la vita è felice.
Stefania Angelini
7
INDICE
Introduzione pag. 2
Ringraziamenti pag. 5
Il re solo pag. 6
I CAPITOLO
1.1 Autismo pag. 9
1.2 Il linguaggio umano pag. 13
1.2.1 Lingua e linguaggio pag. 15
1.2.2 Sull’origine del linguaggio pag. 19
1.3 I neuroni specchio pag. 21
1.3.1 I neuroni specchio e la lingua dei segni pag.23
II CAPITOLO
2.1 Parlato e segni pag. 24
2.2 Le prime teorie a favore dell’utilizzo dei segni
nella sindrome da autismo pag.26
2.3 L’acquisizione del lessico pag.28
2.4 Categorizzazione per immagini e per parole pag. 30
2.5 Il ruolo dei gesti nell’acquisizione del linguaggio pag. 31
III CAPITOLO
3.1 Segni o PECS pag. 33
3.1.1 L’intervento con la lingua dei segni pag. 34
8
3.1.2 L’intervento con i PECS pag. 35
3.2 Analisi di due esempi di intervento pag. 37
IV CAPITOLO
4.1 Theory of Mind pag. 43
4.2 La prospettiva visiva nell’autismo pag. 46
4.3 ToM in bambini sordi autistici pag.47
4.4 La lingua dei segni e lo spazio pag. 49
4.5 I pronomi pag. 53
V CAPITOLO
5.1 La mia esperienza pag. 56
5.2 Che cos’è l’ABA? pag. 66
Conclusioni pag. 68
Bibliografia
9
CAPITOLO I
Autismo
Il termine autismo deriva dalla parola greca “autòs” che significa “sé”. Originariamente è
stato coniato da Eugen Bleuler per riferirsi a un disturbo particolarmente evidente nella
schizofrenia: un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno
talmente estremo da escludere qualsiasi cosa eccetto il proprio sé. Una più tarda
trattazione dell’autismo infantile viene fornita da Leo Kanner e Hans Asperger che
pubblicarono una serie di studi a riguardo. Le loro pubblicazioni contenevano le descrizioni
di vari casi e cercavano nel contempo di fornire delle spiegazioni a questo enigma.
Kanner (1943) utilizzò il termine “autistic disturbances of affective contact”4. Descrisse 11
casi di bambini che presentavano una difficoltà nelle relazioni interpersonali. Ma oltre a
questa difficolt{ nel “gestire” le emozioni, Kanner notò una disfunzione linguistica (se i
pazienti parlavano). Nel loro linguaggio erano presenti principalmente ecolalie (ripetizioni
delle vocalizzazioni di altri) e il rovesciamento del pronome ( tu al posto di io per riferirsi a
se stessi ).
Un anno più tardi (1944) Hans Asperger 5 pubblicò delle osservazioni su dei pazienti in età
pediatrica che esibivano un’ irregolarità negli aspetti sociali ma che a differenza dei
pazienti di Kanner padroneggiavano la lingua.
Al contrario di quanto avveniva per la schizofrenia, entrambi notarono la presenza di
sintomi comuni che già si prospettavano sin dalla nascita ma che non necessariamente
aumentavano di grado e d’intensità nel tempo. Non si andava quindi verso un
deterioramento progressivo.
4 Kanner, L. (1943). Autistic disturbances of affective contact. Nervous Child, 2,217-250
5 Asperger, H. (1994). Die “Autistischen Psychopathen” im Kindesalter. European Archives of Psychiatry and Clinical Neuriscience,
117(1), 76-136
10
I tratti sociali dominanti che vennero associati all’autismo furono:
il ritiro sociale, la grave limitazione delle attività spontanee, il desiderio ossessivo di
immutabilit{, a causa del quale una variazione di routine o l’esposizione a nuovi ambienti
provocava intensa angoscia.
Grazie agli studi di Kanner e Asperger ad oggi possiamo ritenere che l’autismo racchiuda
un insieme di disordini sociali e cognitivi che possono variare da lieve a grave. Ogni
bambino con autismo ha un profilo diverso e non si riscontra nemmeno in due soggetti la
stessa situazione comportamentale e cognitiva. Per questo la diagnosi a volte è difficile e
differenziale. Si basa principalmente sull’analisi di:
Anomalie nel comportamento sociale, nell’interazione reciproca: fra i sintomi ritroviamo lo
scarsa o assenza d’ uso degli sguardi e dei gesti.
Disfunzione comunicativa (verbale o non verbale): di solito si presenta un ritardo
nell’acquisizione del linguaggio o anche la totale assenza.
Comportamento ripetitivo o stereotipato: è presente un repertorio ristretto di attività e di
interessi e sono quasi sempre circoscritti.
Per diagnosticare l’autismo attualmente viene utilizzato uno schema standardizzato:
Diagnostic and Statistical Manual (DSM) della società Americana di psichiatria.
Per ragioni di tracciabilità, inserisco la versione americana :
Diagnostic Criteria for 299.00 Autistic Disorder
[The following is from Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders: DSM IV]
(I) A total of six (or more) items from (A), (B), and (C), with at least two from (A), and one
each from (B) and (C)
(A) qualitative impairment in social interaction, as manifested by at least two of the
11
following:
1. marked impairments in the use of multiple nonverbal behaviors such as eye-to-eye
gaze, facial expression, body posture, and gestures to regulate social interaction
2. failure to develop peer relationships appropriate to developmental level
3. a lack of spontaneous seeking to share enjoyment, interests, or achievements with
other people, (e.g., by a lack of showing, bringing, or pointing out objects of interest to
other people)
4. lack of social or emotional reciprocity ( note: in the description, it gives the following as
examples: not actively participating in simple social play or games, preferring solitary
activities, or involving others in activities only as tools or "mechanical" aids )
(B) qualitative impairments in communication as manifested by at least one of the
following:
1. delay in, or total lack of, the development of spoken language (not accompanied by an
attempt to compensate through alternative modes of communication such as gesture or
mime)
2. in individuals with adequate speech, marked impairment in the ability to initiate or
sustain a conversation with others
3. stereotyped and repetitive use of language or idiosyncratic language
4. lack of varied, spontaneous make-believe play or social imitative play appropriate to
developmental level
(C) restricted repetitive and stereotyped patterns of behavior, interests and activities, as
manifested by at least two of the following:
1. encompassing preoccupation with one or more stereotyped and restricted patterns of
interest that is abnormal either in intensity or focus
2. apparently inflexible adherence to specific, nonfunctional routines or rituals
3. stereotyped and repetitive motor mannerisms (e.g hand or finger flapping or twisting,
or complex whole-body movements)
4. persistent preoccupation with parts of objects
(II) Delays or abnormal functioning in at least one of the following areas, with onset prior
to age 3 years:
(A) social interaction
12
(B) language as used in social communication
(C) symbolic or imaginative play
(III) The disturbance is not better accounted for by Rett's Disorder or Childhood
Disintegrative Disorder
6
In questa tesi il nostro interesse andr{ a concentrarsi sulla “disfunzione comunicativa” che
come conseguenza potrebbe portare ad un ritardo nell’acquisizione del linguaggio o ad
una presunta totale assenza di linguaggio.
Prima di addentrarci in questi argomenti è necessario un breve sguardo su ciò che
intendiamo con la parola “linguaggio”.
6 http://www.autreat.com/dsm4-autism.html
13
Il linguaggio umano
Tipicamente quando pensiamo alla parola “linguaggio” la possiamo associare al “nostro”
linguaggio, al linguaggio animale, a quello dell’arte, dei media, dei gesti. Ognuno di questi
linguaggi possiede un emittente e un destinatario e la loro funzione è quella di trasmettere
un messaggio da un soggetto all’altro.
“Fermati !” : linguaggio umano; indica il preciso messaggio di arrestarsi.
“mano con il palmo aperto davanti a un soggetto”: linguaggio gestuale; contiene la stessa
intenzione dell’esclamazione precedente.
“cane che ringhia di fronte a un soggetto” : linguaggio animale; intima il soggetto ad
arrestarsi
In tutti e tre gli esempi l’informazione che passa è quella di arrestarsi. Tuttavia, sebbene la
loro funzione sia uguale, non hanno la stessa struttura. La struttura del linguaggio umano
è specifica e molto diversa dal linguaggio animale o da quello dei media. Per prima cosa il
linguaggio umano è discreto. I suoi elementi si distinguono per essere degli elementi
discreti (ad esempio /p/ o /b/). Le differenza fra le due parole /pollo/ /bollo/ è evidente
nonostante queste si distinguano solo per un elemento. Esistono quindi dei limiti ben
definiti. In contrasto, i linguaggi animali sono continui. Ad esempio la “danza delle api” si
caratterizza per una possibilità di specializzare sempre più il segnale.
Le piccole unità discrete che compongono una parola vengono chiamati fonemi.
Attraverso la variazione dei fonemi possiamo produrre nuovi significati.
mento manto
cane pane
Quindi attraverso l’utilizzo di unit{ discrete (i fonemi), che non possiedono significato ma
che distinguono i significati, si creano un numero altissimo di parole. Con le parole siamo
in grado di creare continuamente nuove frasi. Ogni persona possiede la capacità di creare
14
una frase nuova, da una frase, inserendo una nuova frase e così all’infinito. Non esiste un
limite alla lunghezza delle frasi. Sono solo le nostre limitazioni di tempo, spazio e memoria
che non ci permettono di continuare all’infinito la nostra produzione. Questa capacità
viene chiamata ricorsività.
1a. Barbara mi ha salutato
1b. Maria dice che Barbara mi ha salutato
1c. La mamma crede che Maria dica che Barbara mi ha salutato
1d. Giorgio dice che la mamma crede che Maria dica che Barbara mi ha salutato.
Il linguaggio umano è quindi un sistema altamente specializzato. Dispone di proprietà
specifiche, possedute solo da esso; è specifico della specie umana e non di altre specie.
Alcuni ricercatori in passato (i coniugi Kellog negli anni trenta, gli Hayes tra gli anni trenta
e quaranta, Gardner nel 1966, Patterson 1972, Herbert Terrace 1979, David Premarck, i
Coniugi Rumbaugh) fecero vari tentativi nel far parlare gli scimpanzé o altri primati, prima
utilizzando la lingua vocale e poi la lingua dei segni, ma i risultati riscontrarono come le
scimmie istruite a parlare un linguaggio umano non riuscivano ad eguagliare il linguaggio
di un bambino e soprattutto non possedevano la capacità di ricorsività. Inoltre, la
situazione di apprendimento era diversa in quanto le scimmie erano state indotte a parlare
mentre un bambino non è sottoposto ad un insegnamento specifico della madre.
15
Lingua e linguaggio
La lingua è la forma più specifica che il nostro sistema di comunicazione (linguaggio)
assume nelle varie comunità. Ci sono molte lingue nel mondo ma un solo linguaggio
umano.
Una qualunque persona, potrebbe assumere che le lingue variano in maniera illimitata e
arbitraria. La totale arbitrarietà con cui una certa sequenza di suoni viene ad associarsi ad
un significato, “cane” associato a “chien” in francese ma “dog” in inglese, potrebbe
portarci a pensare che questa assunzione sia vera. Infatti non c’è una ragione per cui una
parola venga associata ad uno o all’altro significato. Ciò che ci guida nell’ associazione
significato-significante sono le regole create dalla convenzione sulla lingua.
Saussure (1961) “l’atto in cui sarebbero dati i nomi delle cose… noi lo possiamo concepire, ma
esso non è mai stato constatato… Per questo, il problema dell’origine del linguaggio non ha
l’importanza che gli si attribuisce, anzi non è un problema che si debba nemmeno porre: il solo
oggetto reale della linguistica è la vita normale e regolare di un idioma già costituito”
Saussure langue e parole
Quando due individui comunicano si verifica il seguente scambio:
parlante A ascoltatore B
significato mano [mano]
( atto di fonazione)
[mano] significato: arto della mano
Il soggetto A produce dei suoni, un atto di parole che è individuale. Poiché un individuo
non può possedere tutta la lingua, questa sarà patrimonio astratto della collettività e nel
contempo sarà uno strumento sociale.
16
Il sistema di riferimento collettivo viene definito da Saussure “langue” ed è lo strumento
che consente agli atti di parole di essere intellegibili. Il significato di mano sarà stabilito
dalla collettività.
Jakobson: codice e messaggio
Jakobson fornisce una distinzione fra messaggio e codice. Il codice è un insieme di unità
che formano un messaggio rispettando delle regole.
Così nella nostra lingua esistono delle unità (i fonemi) che rispettano delle regole nel
formare le parole. In italiano non è possibile posizionare due consonanti in fine di parola.
pane eanp
Chomsky: competenza ed esecuzione
Chomsky individua una differenza sostanziale, fra competenza ed esecuzione, che
descrive bene la nostra lingua. La competenza si riferisce a tutto ciò che un individuo sa
sulla propria lingua mentre l’esecuzione è ciò che concretamente l’individuo produce. La
competenza è individuale, dipende dall’individuo, dalla sua mente.
Riassumendo le tre analisi possiamo affermare che un individuo produce un messaggio
che è stato costruito attraverso delle regole nell’aggregazione di unit{. I messaggi che
saranno prodotti saranno anche dipendenti dalla competenza individuale nel soggetto che
li produce. Poiché questi poi siano intellegibili dovranno essere prodotti attraverso l’uso
della lingua della comunità in cui si vorrà comunicare.
Un parlante nativo ha in possesso un vocabolario della propria lingua e sa quali
combinazioni sono possibili e quali invece sono improbabili. Un madrelingua italiano è
quindi in grado di riconoscere come adeguata 1a e inadeguata 1b:
2a. La mamma parla con Francesco
2b.* La mamma parlo con Francesco
Sarà anche in grado di conoscere il significato delle frasi e non necessiterà di particolari
istruzioni nel giudicare una frase adeguata o meno.
17
3a. Mario non ha mica vinto più
3b. *Mario non ha più vinto mica
Nessuno di noi è conscio di tutto ciò che “sappiamo” sulla nostra lingua poiché la nostra
conoscenza è inconsapevole. Siamo in grado di dare giudizi di grammaticalità ma non
possiamo spiegare i motivi di tali giudizi.
Il tempo di acquisizione di una lingua è relativamente breve: attorno ai 4/5 anni di età un
bambino completa il processo di acquisizione della propria grammatica senza particolari
istruzioni (intendendo con grammatica la grammatica universale UG e non quella
normativa). Le fasi di apprendimento sono generalmente fisse e costanti e non sono
influenzate da differenze di intelligenza, esperienza o estrazione sociale.
18
7
7 D’Amico S., Devescovi A., Comunicazione e linguaggio nei bambini, 2003, Carocci Editore, Roma
19
Sull’origine del linguaggio
Esistono più teorie rispetto all’evoluzione del linguaggio. Le due principali sono:
- il linguaggio è un prodotto di un organo mentale specie-specifico (Chomsky, 1986;
Hauser e coll., 2002) non legato al processo di comunicazione;
- il linguaggio rappresenta il prodotto finale di un processo più generale di apprendimento,
sotteso da meccanismi neurologici e funzionali in parte comuni ad altri sistemi cognitivi e
neurologici, presenti anche in altre specie animali (Pinker e Jackendoff, 2005);
Senza prendere posizione rispetto a questa discussione, vogliamo invece volgere il nostro
interesse sulla teoria della presenza di un preadattamento antecedente la comparsa del
linguaggio nella specie umana per poter poi proseguire nella nostra analisi linguistica.
Nella fase di preadattamento inseriamo due interessanti capacità : quella simbolica e
l’imitazione di complesse sequenza motorie.
Con il termine capacit{ simbolica ci riferiamo all’abilit{ da parte di un individuo di associare
un segno (o un gesto) ad un concetto (o ad un oggetto percepito). Questa attitudine
sembra essere presente anche in alcuni primati. Il cercopiteco verde (un primate della
famiglia Cercopithecidae) emette dei segnali vocali alla presenza di un pericolo
(principalmente in presenza di un animale predatore).
Tuttavia bisogna dissociare il comportamento animale da quello umano. Mentre i segnali
vocali degli animali vengono emessi nell’immediata presenza di pericolo o dell’evento
particolare da segnalare, un bambino possiede la capacità di utilizzare la lingua anche con
fini di ricerca e previsione. Un bambino infatti, può dire biscotto e riferirsi al bisogno di un
biscotto, al desiderio di un biscotto, alla presenza di un biscotto, alla scatola che contiene il
biscotto. Le parole non sono quindi indissolubilmente legate alla situazione specifica. In
mancanza di uno specifico apprendimento un animale non possiede tali proprietà. I segnali
animali non saranno mai utilizzati come strumento di anticipazione o ricerca.
20
Nonostante questa inabilità, possiamo postulare che i primati posseggano una forma
rudimentale di comunicazione basata principalmente sulla produzione di gesti e, non
possedendo un controllo corticale sul processo di articolazione, su una comunicazione
vocale di tipo affettiva composta da suoni inarticolati (grugniti, urla).
Gli stessi suoni inarticolati possono essere individualizzati nel pianto e nel riso nella specie
umana e per questo si potrebbero ritenere dei fossili di una comunicazione che venne ad
evolversi solo in conseguenza al controllo volontario dei muscoli delle corde vocali che ha
permesso lo sviluppo del nostro sistema fonetico fonologico.
Questa assunzione si basa sulla teoria di un’evoluzione progressiva della comunicazione
gestuale a quella vocale (Gentilucci e Corballis 2006): il comune antenato di uomini e
primati aveva sviluppato un preadattamento allo sviluppo di un sistema di comunicazione
basato sui gesti piuttosto che sui suoni.
21
I neuroni specchio
Ad avvalorare la tesi di un’evoluzione del linguaggio da una componente gestuale a una
vocale, fu la scoperta di particolari neuroni “neuroni specchio”, da parte di Giacomo
Rizzolatti e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell’Universit{ di Parma verso la
metà degli anni 90, nelle scimmie. Questi neuroni si trovano nella corteccia premotoria
frontale e si attivano sia durante l’esecuzione che l’osservazione di azioni.
8 Un cucciolo di macaco imita le espressioni facciali umane
Nel 1995, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti
dimostrano per la prima volta l'esistenza nell'uomo di un sistema simile a quello trovato
nella scimmia. Utilizzando la stimolazione magnetica transcranica trovano infatti che la
corteccia motoria dell'uomo viene facilitata dall'osservazione di azioni e movimenti altrui.
E’ stato riscontrato anche un sistema più ampio che risiede nei lobi parietali e che elabora
dal punto di vista percettivo e interpretativo i gesti legati al movimento biologico.
8 Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio
22
Esperimenti condotti da Giovanni Buccino e altri (2001) dimostrano che nell'uomo
l'attivazione dell'area di Broca e di altre aree in presenza di azioni complesse (afferrare per
scrivere, dare un calcio a un pallone) è senz'altro collegata al linguaggio in un sistema di
"risonanza" più complesso che non quello della scimmia. Attraverso lo studio di RMf
nell’uomo durante azioni con le mani, la bocca, i piedi si è visto come si attivassero zone
della corteccia premotoria corrispondenti alla rappresentazione motoria del movimento
osservato e dei suoni corrispondenti (Buccino e coll.,2001; Kohler e coll., 2002).
Un ulteriore studio di Buccino e coll. (2005) ha riscontrato una modulazione del sistema
motorio durante l’ascolto di frasi che significavo un’azione compiuta dagli arti o dai
muscoli oro-facciali.
Nell’uomo non è necessaria una concreta interazione con gli oggetti poiché i suoi neuroni
specchio codificano sia il tipo di azione che la sequenza di movimenti che la compongono. I
neuroni specchio si attivano anche quando l’azione è solo mimata. Tali neuroni vengono
attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli
arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi.
I neuroni specchio vengono ritenuti importanti per la comprensione delle azioni delle altre
persone e quindi per l’apprendimento attraverso l’imitazione ma si ritiene che concorrano
anche alla costruzione della teoria della mente poiché il sistema specchio simula le azioni
osservate. Alcune teorie si appoggiano ad una relazione dei neuroni specchio con il
linguaggio.
23
I neuroni specchio e la lingua dei segni
Il sistema dei neuroni specchio viene associato a numerose funzioni cognitive alla cui base
sottende l’osservazione e l’azione, come per la comprensione del linguaggio e delle
intenzioni altrui. Questa considerazione implica la ricerca di un rapporto fra la lingua dei
segni e i neuroni specchio.
L’area corticale F5 della scimmia corrisponde all’area di Broca negli umani. Una lesione
dell’area di Broca dovrebbe portare a un deficit linguistico simile sia in produzione che in
comprensione dei segni. Tuttavia tale ipotesi non è confermata dallo studio di pazienti
affetti da afasia di Broca nei quali il deficit compare solo a livello di produzione.
Anche gli studi di neuroimaging rivelano l’attivazione di diverse “popolazioni neurali” a
seconda di una produzione linguistica o di una comprensione linguistica segnate. Nel caso
della produzione si attiva l’emisfero sinistro mentre nella comprensione c’è un’attivazione
bilaterale.
Questi dati non potrebbero accordarsi con la visione di un sistema specchio. Tuttavia
attraverso gli studi di neuroimaging funzionale sono state riscontrate a sinistra aree di
attivazione comuni (frontali e parietali) durante la produzione e osservazione di azioni
(generali e linguistiche). E’ quindi ipotizzabile una similarit{ tra sistemi che si adoperano
per l’elaborazione di azioni e i sistemi sottostanti il linguaggio segnato.
Corina e Krapp (2006) in uno studio di confronto fra segnato e parlato ipotizzano come la
lingua dei segni sia più adatta ad un sistema di esecuzione/osservazione di azioni rispetto
alla lingua parlata. Mentre nel linguaggio parlato avviene una coordinazione dei tratti
fonatori e orali che producono un evento acustico, nella lingua dei segni la percezione
linguistica sottostà ad una sequenza di movimenti manuali. Si conclude quindi che la
lingua dei segni si installi direttamente all’interno di un sistema visivo di
esecuzione/osservazione comportando meno tempo di transizione
24
CAPITOLO II
Parlato e segni
A differenza della lingua parlata, la percezione della lingua dei segni avviene attraverso
l’osservazione e il confronto dei comportamenti corporei del segnante con le forme
linguistiche depositate in memoria e non di movimenti fono-articolatori. In produzione
devono essere pianificati ed eseguite le stesse forme linguistiche con gli articolatori
manuali.
La lingua dei segni necessita di uno spazio segnico che si estende di fronte al segnante in
lunghezza, dalle anche a sopra la testa, e in larghezza nello spazio compreso fra i due
gomiti estesi. E’ quindi necessaria un’organizzazione visuo-spaziale.
Come ogni lingua, la lingua dei segni è una lingua naturale a tutti gli effetti e non può
essere paragonata alla comunicazione gestuale. Molti fattori infatti distinguono i segni dai
gesti. Dall’opera di Stokoe9 ricaviamo che i segni possono essere organizzati in strutture
fonologiche e dimostrano anche una struttura sub lessicale, al contrario dei gesti. In più
similmente alle parole, il cambio di un fonema (cherema) all’interno della parola modifica il
significato. Come dalla combinazione di un numero di unità prive di significato, i fonemi, si
crea un vasto numero di unità dotate di significato, le parole, così dalla combinazione di un
numero ristretto di unità minime, i cheremi, si può creare un ampio numero di unità dotate
di significato, i segni. Inoltre Klima e Bellugi (1979) e Padden hanno dimostrato come le
lingue dei segni siano organizzate in strutture grammaticali.
9 William Stokoe, Sign Language Structure: An Outline of the Visual Communication Systems of the American Deaf, Stati Uniti,
1960
25
Un segno può essere scomposto in riferimento ad alcuni parametri fonologici: il luogo, la
configurazione, il movimento e l’orientamento.
10
Informazioni a livello morfologico e sintattico possono essere ricavate dall’osservazione:
dell’uso dello spazio, della modificazione del movimento con cui viene prodotto il segno,
della produzione di movimenti non manuali (capo, occhi, espressioni facciali,
orientamento e postura di tutto il corpo).
L’unica differenza sostanziale che viene individuata rispetto alla lingua parlata è l’utilizzo
di un sistema visuo-spaziale rispetto ad uno vocale.
10 http://www.enstrento.it/ENS/Lis.htm
26
Le prime teorie a favore dell’utilizzo dei segni nella sindrome da autismo
L’evidenza di come la lingua dei segni si basi su un sistema visivo di
esecuzione/osservazione, e quindi su una diversa modalità, portò ad avanzare diverse
ipotesi, da parte di alcuni studiosi, che ritenevano proficuo l’utilizzo della lingua dei segni
nella sindrome autistica.
Webster e coll. (1973) sostennero l’ipotesi di Hermellin & O’Connor (1970) i quali
interpretavano i deficit presenti nell’autismo come dipendenti dalla modalità di utilizzo
della lingua. Asserivano anche come fosse maggiormente colpito il canale auditorio-
vocale rispetto a quello vocale e anche l’attività motoria e quindi la lingua dei segni poteva
ovviare al problema.
Fulwiler e Fouts (1976) consideravano che il bambino autistico fosse in grado di
padroneggiare la lingua se gli si proponeva lo strumento giusto. Di conseguenza questa
assunzione vedeva come possibile causa dell’autismo un malfunzionamento percettivo e
non cognitivo e la lingua dei segni poteva essere un valido strumento alternativo per
comunicare.
Tuttavia l’attuale scoperta della presenza degli stessi sintomi sia in bambini con autismo
udenti che in bambini sordi con autismo provano come queste teorie risultino
insoddisfacenti. Altre ipotesi individuano alcune caratteristiche della lingua dei segni come
fautrici di una migliore acquisizione in lingua dei segni piuttosto che nel parlato. Fra
queste ritroviamo l’iconicit{ dei segni. Per iconicità si intende l’insieme dei tratti di una
lingua che fanno corrispondere alcune caratteristiche sul piano del significante a quelle del
significato. Ad esempio sono iconiche le parole onomatopeiche “miao”, “bau”. Queste
richiamano la sonorit{ del verso dell’animale e hanno una componente raffigurativa che
collega il significante al significato. Nella lingua dei segni ritroviamo singoli “segni iconici”
(es. bicchiere) ma vediamo realizzazioni iconiche anche legate all’organizzazione
strutturale dei segni o delle frasi (es. bere dal bicchiere o bere dalla bottiglia). Poiché la
lingua dei segni è ricca di segni iconici venne postulato che il bambino autistico, esposto
27
alla lingua dei segni, fosse maggiormente abile nell’ acquisire i segni iconici piuttosto che
quelli arbitrari e ciò aveva portato a considerare un aumento dei segni iconici in parallelo
con il parlato per facilitare lo sviluppo del vocabolario. Tuttavia la stessa iconicità non
deve essere messa in contrasto con la nozione di convenzionalità e arbitrarietà. Infatti gli
stessi suoni iconici onomatopeici delle lingue vocali (“miao” e “bau”) assumono forme
diverse nelle altre lingue sebbene rimandino sempre allo stesso referente. Pur essendo
dotate di proprietà raffigurative, sono arbitrarie in quanto rientrano nel sistema fonologico
di una lingua particolare (ammettono solo quegli elementi sonori propri di quella lingua).
“Chicchirichì” corrisponde a “cocoricot” in francese e “miao” a “mieow” in inglese.
Sebbene l’iconicit{ dei segni possa aiutare un bambino autistico ad associare un segno ad
un’immagine più facilmente, la stessa iconicit{ non è di così gran vantaggio per i bambini
sordi dato che i segni sono soggetti ad “un’evoluzione linguistica” e le associazioni
iconiche con un oggetto costruite anni prima non sono sempre rintracciabili (es telefono).
Possiamo invece continuare a sostenere l’ipotesi che i bambini autistici possano avere una
maggior preferenza per gli stimoli visivi rispetto a quelli uditivo-vocali. Diversi studi
comprovano questi ipotesi: in presenza di entrambi gli stimoli i bambini autistici
preferiscono i visivi.
Se quindi manteniamo questa idea, possiamo postulare di conseguenza un possibile
malfunzionamento di integrazione sensoriale. La normale acquisizione delle parole, che si
basa sull’integrazione di più modalit{, potrebbe essere veramente difficile per un bambino
autistico. Infatti per poter “etichettare” gli oggetti della propria lingua serve un’abilit{ di
mappaggio fra sequenze di suoni e stimoli visivi mentre le lingue segnate mappano da
etichette visive alla visione diretta dell’oggetto.
28
“… Io penso in immagini. Le parole sono come una seconda lingua per me. Io traduco le
parole, sia pronunciate che scritte, in filmati a colori, completi di suono, che scorrono come
una videocassetta nella mia mente. Quando qualcuno mi parla, traduco immediatamente le
sue parole in immagini11…”
Temple Grandin
L’acquisizione del lessico
Il bambino inizia a produrre le prime parole attorno ai 12 mesi. Le prime parole che udiamo
da esso sono parole “inventate” o per meglio definirle, sono “protoparole” che usa per
riferirsi sempre allo stesso oggetto e con scopo comunicativo. Assieme alle protoparole
compaiono anche le prime parole che possono essere legate al contesto. Inizialmente solo
chi vive a contatto con il bambino può comprendere facilmente le sue produzioni che si
avvicinano sempre più alla parola convenzionale (es. cappa per scarpa). Il contesto in cui il
bambino impara le parole è vario e complesso. Ad esempio pensiamo ad una papà e ad un
bambino spettatori di uno spettacolo per burattini. Il papà commenterà le scene dello
spettacolo con delle frasi quali “hai visto il mago?” nel momento in cui il mago compier{
un’azione. Per imparare la parola mago il bambino dovrà estrarla dalla sequenza di parole
che il papà produce e identificare nella scena il mago. In aggiunta, dopo aver segmentato
in unità discrete il flusso continuo del parlato e il flusso continuo degli eventi ed aver
individuato dei possibili referenti, dovrà associare le parole a ciò per cui le parole stanno.
La parola mago andr{ ad associarsi all’immagine di quel mago in quella determinata
situazione ma sarà necessaria una generalizzazione della parola da parte del bambino per
poter definire mago anche altri soggetti. E’ quindi ipotizzabile che un bambino debba:
saper individuare parole e referenti, avere un’idea sull’organizzazione di ciò che gli sta
attorno ed essere sensibile agli indizi sociali. Per poter far ciò saranno necessarie delle
11 Grandin Temple, (2001;2006), Pensare in immagini e altre testimonianze della mia vita di autistica. Erickson (cap 1 pag 23)
29
specifiche abilità percettive, concettuali e linguistiche da coordinare nel modo
appropriato. Già dal primo anno di età un bambino possiede delle capacità innate e delle
conoscenze essenziali circa gli oggetti fisici: è in grado di rappresentarsi gli oggetti in
quanto corpi solidi, completi, connessi che permangono tali anche quando sono nascosti e
che mantengono la loro identità nel tempo (Spelke 2000).
Wynn (1992) ha condotto un esperimento nel quale mostrava ad alcuni bambini di 5 mesi
un animale che successivamente nascondeva dietro ad un sipario. Subito dopo ha
mostrato un animale identico al primo ed anche il secondo animale è stato nascosto dietro
al sipario. A quel punto il sipario è stato alzato e i bambini divisi in due gruppi. Un gruppo di
bambini ha visto solo un animale mentre un altro gruppo ne ha visti due. Quando veniva
mostrato un solo animale i bambini lo fissavano per un tempo relativamente più lungo e
questo può essere analizzato come un comportamento di sorpresa. Il bambino è stato in
grado di seguire l’evento, di identificare i due oggetti, di rappresentarli simultaneamente
anche quando uno di questi non era visibile e di mostrare sorpresa quando nella scena
finale era presente un solo animale. In conclusione possiamo dire che è sulla base di
sistemi di conoscenza essenziali e specifici che il bambino segmenta il continuum di eventi
e inizia a trovare un insieme di concetti che possono essere utilizzati nel determinare i
significati delle parole.
30
Categorizzazione per immagini e categorizzazione per parole
Possedere il concetto di “cane” significa possedere l’abilit{ di dividere gli animali in
categorie. E’ importante sottolineare che l’uso delle parole può influenzare la formazione
di categorie e quindi l’organizzazione concettuale del bambino.
Waxman e Markow (1995) dimostrano nel loro studio come un bambino di 12-14 mesi
risponda in modo diverso a seconda della presenza o meno di etichette verbali usate in
presenza di oggetti. E’ quindi ipotizzabile che le parole aiutano il bambino a formare
categorie e ad espandere il repertorio dei concetti. Lo sperimentatore presentava ai
bambini 4 animali differenti. Mentre presentava ciascun animale pronunciava le frasi:
4a guarda questo
4b questo è un goto (nome)
4c questo è gotoso (aggettivo)
Veniva presentato un nuovo animale e un nuovo oggetto di un’altra categoria (trenino).
Nella fase di familiarizzazione venivano usate le parole nuove /goto/ e /gotoso/ che
indirizzavano ipoteticamente il bambino nel discriminare gli aspetti comuni tra gli oggetti
presentati e che gli permettevano di formare una nuova categoria. La dimostrazione di
questa discriminazione è data dall’osservazione più a lungo da parte del bambino del
nuovo oggetto (trenino). Questo comportamento avveniva solo quando nella fase di
familiarizzazione venivano introdotte le due parole /goto/ e /gotoso/ portando alla
conclusione che le parole hanno agevolato il bambino nel formare una categoria. Tuttavia
solamente i suoni linguistici inducono a delle categorizzazioni. Balaban e Waxman (1997)
in una fase di familiarizzazione presentavano al bambino animali diversi mentre veniva
prodotto un suono, anziché un nome. Il bambino non riuscì a formare una categoria. Se le
parole ci aiutano a formare delle categorizzazioni allora possiamo affermare che pensiamo
in parole e non in immagini al contrario dei bambini autistici che utilizzano probabilmente
31
altre forme di analisi come sostiene Temple Grandin nell’affermazione che abbiamo
inserito precedentemente.
Il ruolo dei gesti nell’acquisizione del linguaggio
Quando il bambino comincia a utilizzare le prime parole ,verso il primo anno d’et{, è gi{ in
grado di comunicare attraverso comportamenti vocali e gestuali. Di solito sono i gesti ad
essere compresi per primi dai genitori. Dai nove mesi di età possiamo rintracciare alcuni
gesti con funzione comunicativa. Ad esempio il protendersi del bambino verso un oggetto
e l’apertura ritmata della mano in richiesta di questo rivolto verso l’adulto; il bambino
mostra o consegna un oggetto sul quale vuole richiamare l’attenzione; il bambino tende il
braccio e indica in una certa direzione alternando lo sguardo fra l’oggetto e la persona con
cui tenta di comunicare. Questi gesti sono chiamati “deittici" in quanto esprimono
un’intenzione comunicativa di richiesta o di attenzione e l’oggetto di interesse viene
recuperato nel contesto dall’interlocutore. I gesti deittici sono spesso accompagnati da
produzioni vocali che si avvicinano sempre più alle parole e che vengono maggiormente
compresi dagli adulti. Vediamo anche la comparsa di alcuni gesti che si riferiscono a
qualcosa o che rappresentano qualcosa e hanno un significato semantico. Per questo
vengono chiamati referenziali, rappresentativi, simbolici. Alcuni di essi derivano
direttamente dalle azioni che il bambino compie con il proprio corpo; ad esempio ballare o
dormire. Altri gesti si rifanno a delle azioni che il bambino compie con degli oggetti; ad
esempio telefonare o guidare. Ancora altri gesti mantengono il loro contenuto semantico
anche fuori da un determinato contesto e possono essere definiti gesti “convenzionali”.
Nascono dal gioco con l’adulto, dall’interazione con l’adulto. Questi gesti sono ad esempio
“no”: il bambino scuote la testa; “più”: il bambino allarga le braccia e rivolge i palmi verso
l’alto; fare ciao. Questi gesti subiscono un’evoluzione: dall’uso solo in determinati contesti
e in situazioni di routine, cominciano ad essere usati simbolicamente. Se prima il bambino
utilizza il gesto “guidare” solo quando usa la sua automobilina giocattolo, poi esegue lo
stesso gesto per ricordare che qualcuno è andato via o perché vuole andare in macchina. In
32
seguito utilizzerà quel gesto anche per categorizzare nuovi oggetti, eventi o persone. Ad
esempio esegue lo stesso gesto quando trova un’immagine di automobile. Gradualmente
attraverso un processo di decontestualizzazione il gesto che sta per un determinato
referente è in grado di sostituirsi al referente stesso. Nel bambino crescerà la
consapevolezza che il simbolo non è la stessa cosa del referente. Tra i 9 e i 16 mesi il
bambino possiede un repertorio comunicativo basato su gesti e parole ma utilizza molto
più spesso la modalità gestuale. I genitori nonostante siano in grado di comprendere il
bambino tendono a favorire la comunicazione vocale. E’ così che l’input diviene
importante nel determinare il successo di uno o l’altro metodo. Verso i 20 mesi avverrà il
sopravvento delle parole sui gesti anche se la componente gestuale non scomparir{. E’
dunque chiaro che sebbene il bambino sia esposto ad un input vocale, egli attraversi una
fase di comunicazione gestuale che predilige rispetto alla comunicazione vocale.
Questa analisi ci porta a considerare l’utilizzo di una comunicazione aumentativa
alternativa (AAC), con i bambini autistici, che possa ripercorrere le fasi di apprendimento
normale del lessico. I due principali sistemi usati come comunicazione aumentativa
alternativa sono: la lingua dei segni e un sistema basato sullo scambio di figure-simbolo, i
PECS (Picture Exchange Communication System). Qui di seguito intendiamo mettere a
confronto questi due sistemi e analizzare i risultati ottenuti utilizzando l’uno o l’altro
sistema. Per far ciò inseriremo parte dello studio di Matt Tincani12.
12
Tincani, M. Comparing the Picture Exchange Communication System and Sign Language Training for Children with Autism,
Focus on autism and other developmetal disabilities volume 19, number 3, fall 2004 downloaded from http://foa.sagepub.com
33
CAPITOLO III
Segni o PECS
Come abbiamo osservato i bambini autistici dimostrano una certa difficoltà nel
padroneggiare la lingua vocale. Approssimativamente il 50% dei bambini con diagnosi di
autismo, rimarrà muto nell’età adulta (Peeters & Gillberg, 1999). Un intervento precoce
basato su istruzioni vocali sembra non poter bastare in quanto alcuni bambini continuano
a fallire nell’uso della lingua. Per questo vengono usate principalmente due modalità di
intervento che possono aiutare ad avviare la comunicazione in bambini non vocali.
Vengono definite “Augmentative and alternative communication (AAC)” e sono la lingua
dei segni e i PECS (Picture Exchange Communication System). Nell’ “addestramento” in
lingua dei segni, il bambino è incentivato a richiedere un oggetto preferito e ad emettere
un comportamento verbale. Nonostante non sia ancora presente una vasta ricerca rispetto
all’intervento in lingua dei segni, c’è evidenza che l’uso simultaneo di segni e parlato
produce effetti positivi nella comunicazione di bambini con autismo e altre disabilità. L’uso
del PECS prevede lo scambio di immagini nelle richieste e denominazioni. Anche questo
sistema riporta risultati significativi nella comunicazione: il bambino usa in modo
indipendente le immagini e può anche acquisire la lingua parlata in modo funzionale. Se
guardiamo solo ai risultati, ai miglioramenti dopo l’uso di questi differenti sistemi non è
facile poter decidere fra l’uno o l’altro soprattutto perché sar{ sempre necessario guardare
ai bisogni dei bambini e alle loro abilità. Alcuni fattori come le abilità cognitive e motorie
potrebbero influenzare l’acquisizione di un sistema di comunicazione alternativa
aumentativa.
Hodges e Schwethelm (1984) impartirono, a 52 bambini non vocali con un ritardo mentale,
la lingua dei segni e due tipi di sistemi basati sulle figure. Quando veniva usata la lingua dei
segni si chiedeva di richiedere gli oggetti desiderati con un segno. Nel sistema di figure
invece veniva chiesto di accoppiare le figure simbolo agli oggetti (cibo o non cibo) e di
34
assemblare le figure nelle frasi. L’utilizzo della lingua dei segni produsse un’acquisizione
più rapida e con meno errori rispetto al sistema di figure.
Estendendo lo studio di Hodges e Schwethelm, Sundberg e Sundberg e Wraikat (1990),
Sundberg e Michael (1991) educarono alcuni adulti con un ritardo mentale da lieve a
moderato, a nominare, indicare, e rispondere ad alcune semplici domande di un gruppo di
oggetti senza senso attraverso l’uso della lingua dei segni e con un sistema di figure. I
partecipanti dimostrarono meno problemi e rispondevano con più accuratezza attraverso
l’uso dei segni. Tuttavia è anche ipotizzabile che queste persone preferissero i segni ad un
sistema di figure in quanto le stesse figure non venivano scambiate come prevede il
sistema dei PECS ma solo indicate. Inoltre questi soggetti presentavano una particolare
destrezza mentre in altri soggetti l’uso dei segni potrebbe non essere così immediato a
causa di una disabilità motoria.
L’intervento con la lingua dei segni
Questa modalità di presentazione dei segni viene ripresa da Sundberg e Partington
(1998)13. Generalmente vengono utilizzati segni più semplici da articolare e quando
possibile si preferiscono dei segni iconici. Per evitare fraintendimenti non vengono
utilizzati segni troppo simili nei loro tratti. Gli oggetti selezionati per le richieste con i segni
vengono presentati in modo casuale. Lo sperimentatore per essere sicuro che il bambino
sia realmente interessato all’oggetto lo presenta al partecipante prima di iniziare con
l’insegnamento. Se il bambino cerca di raggiungere l’oggetto lo sperimentatore fa
attendere il bambino per 10-20 secondi durante i quali propone il segno. In una situazione
ottimale è necessario che siano presenti due persone oltre al bambino: una che siede di
fronte al bambino e l’altra che siede dietro e che in caso di necessità suggerisca il segno.
13
Sundberg e Partington (1998) Teaching Language to Children with Autism or Other Developmental Disabilities.
35
Lo sperimentatore presenta l’oggetto, poi segna il nome dell’oggetto e simultaneamente
offre un modello vocale (es. biscotto). E’ buona norma non chiedere vocalmente ai
bambini quali sia il loro desiderio (es. che cosa vuoi?) poiché ci potremmo trovare di fronte
a una ripetizione della nostra domanda nel caso in cui un bambino sia vocale. Se il
bambino al primo tentativo non segna correttamente, la persona che siede dietro di lui
suggerirà il segno aiutandolo fisicamente (es. mette le mani nella giusta posizione). Nel
momento in cui il bambino riesce a segnare correttamente, con o senza aiuto, riceverà
immediatamente l’oggetto. “L’allenamento” con il segno continuer{ per più volte finchè il
bambino non ci indurr{ a capire che è saturo di quell’oggetto. Egli infatti non mangier{,
non giocherà, non berrà, non segnerà.
L’intervento con i PECS
La procedura viene adattata dal lavoro di Bondy e Frost
(2002)14. Anche in questo caso sono necessarie due
persone: una che siede di fronte al bambino e la
seconda dietro. Il lavoro con i PECS viene diviso in tre
fasi.
Nella prima fase, colui che siede di fronte al bambino
presenta un oggetto particolarmente preferito. La
persona che siede di fronte al bambino non darà nessun
suggerimento, ne fisico ne vocale, mentre la persona che siede dietro al bambino darà
aiuto nel prendere la figura e consegnarla. Inizialmente l’aiuto fisico sar{ totale (si
prenderanno le mani del bambino) poi a man mano verrà sfumato (si toccherà
leggermente il braccio) fino ad estinguerlo quando il bambino riuscirà in modo
indipendente a scambiare le figure. Quando il bambino riuscirà a scambiare le figure in
modo indipendente (in misura 80 % delle volte) si passerà alla seconda fase.
14
Bondy, A., & Frost, L. (2002). The picture exchange communication system. Newark, DE: Pyramid Educational Products.
36
Nella seconda fase le figure verranno inserite in un libro di fronte al bambino e
gradualmente la persona di fronte si sposterà dal bambino. Anche il libro verrà spostato
distante dal bambino gradualmente. La persona dietro aiuterà il bambino nel dirigersi
verso l’altra persona o verso il libro e sfumer{ sempre di più l’aiuto. Anche in questo caso si
procederà alla successiva fase solo quando il bambino sarà in grado di essere indipendente
e di muoversi a varie distanze fra il libro e l’educatore.
Nell’ultima fase verranno predisposte più figure tra cui scegliere nel libro posto di fronte al
bambino. La fase tre si suddivide in altre due fasi. Nella prima verrà chiesto al bambino di
scegliere fra una figura che rappresenta un oggetto desiderato e una in cui è raffigurato un
oggetto non desiderato. Se il bambino prender{ la figura con l’oggetto desiderato verr{
consegnato l’oggetto. Se invece prender{ la figura con l’oggetto non desiderato sar{
considerato come errore e si passerà alla correzione: si rimuove la figura corretta dal libro
la si presenta al bambino e se ne indica il nome; si suggerisce al bambino la figura corretta
indicandola e dandogli la possibilità di scambiarla (ma non si consegnerà immediatamente
l’oggetto); si fa una pausa di tre secondi ritirando il libro; si ripropone il libro chiedendo di
scegliere nuovamente la figura desiderata. Se vengono commessi due errori consecutivi si
ripropone la sequenza appena descritta ma non si attenderanno i tre secondi e la figura
incorretta verrà rimossa dal libro. Si passerà alla fase successiva solo quando il bambino
sarà in grado di scegliere in modo indipendente la figura corretta. Successivamente si
chiederà al bambino di scegliere fra due o più oggetti preferiti presentati nelle figure. Si
inizia con due figure. La persona posta di fronte al bambino farà un test per vedere se
effettivamente il bambino sta eseguendo la giusta discriminazione delle figure: dopo che il
bambino consegna la figura verranno presi entrambi gli oggetti e proposti nelle due mani.
L’educatore dir{ “prendilo”. Se il bambino si muover{ in direzione dell’oggetto
corrispondente alla figura l’educatore lo consegnerà altrimenti se il bambino sbaglierà si
andrà a correggere nello stesso modo appena descritto sopra. Se ci saranno due errori
consecutivi si salterà nuovamente la fase di pausa di tre secondi. La procedura continuerà
finchè il bambino sarà in grado di discriminare fra due figure rappresentanti gli oggetti
preferiti (per l’ 80% delle volte).
37
Analisi di due esempi di intervento
Voglio ora inserire due esempi ripresi dal lavoro di Matt Tincani15 in cui possiamo
analizzare due interventi programmati in due bambini: Carl e Jennifer.
Carl è un bambino di 5;10 anni con diagnosi di autismo e ritardo mentale. Può imitare
vocalmente alcune parole sebbene non utilizzi il parlato per comunicare senza
suggerimenti specifici. Jennifer è una bambina di 6;8 anni con una diagnosi di disturbo
pervasivo dello sviluppo e con un moderato ritardo mentale. Può imitare vocalmente
alcune parole e frasi sebbene non utilizzi il parlato per comunicare senza suggerimenti
specifici. Entrambi i bambini sono inseriti in una scuola privata in una classe in cui sono
inseriti bambini con disabilità multiple. Entrambi utilizzano un sistema gestuale come
primario mezzo di comunicazione. In questo esperimento ad entrambi i bambini vengono
presentati sia i segni che i PECS in trattamenti alternati. Si è decisa una “baseline” per
poter poi render conto dei miglioramenti e si è anche tenuto conto dell’abilit{ motoria di
entrambi i bambini facendo delle prove di motricità: al bambino veniva detto “fai così” e
veniva richiesta un’imitazione pura. Carl dimostra una moderata imitazione motoria con
43% di risposte corrette su una percentuale di tentativi pari al 76%. Jennifer al contrario
dimostra una scarsa abilità motoria imitativa con il 20% di risposte corrette su una
percentuale di tentativi pari al 78%. Per poter seguire meglio la discussione inseriremo dei
grafici (rintracciati dal lavoro di Matt Tincani) e li commenteremo.
15
Tincani, M. Comparing the Picture Exchange Communication System and Sign Language Training for Children with Autism,
Focus on autism and other developmetal disabilities volume 19, number 3, fall 2004 downloaded from http://foa.sagepub.com
38
Questo grafico rappresenta le richieste spontanee di Carl durante una sessione. Durante la
“baseline” si può vedere come Carl non faccia richieste . Si può vedere come dalla sessione
4 fino alla 14 l’uso dei PECS offre migliori risultati nelle richieste. Tuttavia nella fase 15-25
l’intervento con i segni subisce delle modifiche per poter aumentare il numero di risposte
indipendenti. Da quel momento la situazione sembra ribaltarsi e la lingua dei segni
produce maggiori risultati e per questo si è deciso di mantenere l’approccio con i segni per
Carl. Vediamo ora il caso di Jennifer.
39
Questo grafico riflette una situazione differente rispetto alla prima. Come Carl anche
Jennifer nella “baseline” non ha prodotto richieste indipendenti. Tuttavia a differenza di
Carl sembra preferire il sistema dei PECS producendo maggiori richieste indipendenti.
Dall’osservazione dei dati si è mantenuto l’uso dei PECS come comunicazione
aumentativa alternativa. Dalla sessione 22 alla 24 è stata iniziata la seconda fase di lavoro
con i PECS (PECS II). Dalla sessione 25 alla 27 si lavora sulla prima fase della fase 3 (PECS
IIIa) mentre la seconda fase della fase 3 (PECS IIIb) viene iniziata dalla sessione 28 fino alla
sessione 33.
Passiamo ora ad analizzare altri due grafici che illustrano le prime vocalizzazioni di Carl e
Jennifer durante le fasi di intervento.
40
Come sopra nella fase “baseline” Carl non produce vocalizzazioni. Nella sessione di
intervento con la lingua dei segni dalla sessione 5 alle sessione 24 Carl emette una
percentuale media di 46,3% di vocalizzazioni mentre dalla sessione 4 alla 25, sessioni in cui
vengono utilizzati i PECS, Carl produce una percentuale media di vocalizzazioni pari al
22,3%. In media Carl produce il doppio delle vocalizzazioni nell’intervento con la lingua dei
segni che in quello con i PECS.
Vediamo ora la situazione di Jennifer.
41
Come Carl, Jennifer non produce vocalizzazioni nella fase di “baseline”. Nell’ intervento
con la lingua dei segni (dalla sessione 5 alla 21) Jennifer produsse una media in percentuale
di 93,4% di vocalizzazioni. Nella sessioni di intervento con i PECS (4-20) emise una
percentuale di 77,9% vocalizzazioni. Un declino nelle vocalizzazioni avvenne durante le
sessioni di intervento con i PECS (13, 14, 16, 17 e 20). Al contrario la percentuale delle
produzioni vocali nell’intervento con la lingua dei segni (12, 15, 18, 19 e 21) rimane
relativamente alta dall’ 88% al 100%. Questi dati indicano che per Jennifer la lingua dei
segni ha un riscontro positivo sulla produzione vocale migliore rispetto a quello che può
avere l’utilizzo dei PECS. Si può notare dal grafico come le vocalizzazioni continuino a
diminuire nelle fasi di trattamento con i PECS. Dalla sessione 31 alla 33 venne deciso di
procedere con una modifica nel trattamento inserendo un ritardo nella consegna del
rinforzatore per poter stimolare la produzione vocale. Da quel momento le produzioni
vocali ritornarono a crescere significativamente.
42
Riassumendo questi dati possiamo notare come l’intervento con la lingua dei segni possa
portare a più produzioni vocali per entrambi i bambini. Anche se una modifica procedurale
nell’intervento con i PECS può portato a raggiungere gli stessi livelli di produzione che si
riscontrano con la lingua dei segni. La ragione per cui la lingua dei segni produce maggiori
risultati nelle produzioni vocali rispetto all’uso dei PECS non è ancora chiara. Potrebbe
essere relazionata agli effetti evocativi che hanno i segni manuali nelle vocalizzazioni. Si è
riscontrato come spesso i bambini abbiano delle produzioni vocali subito dopo aver
segnato. Questo potrebbe portare alla conclusione che i segni funzionano come auto-
suggerimento per la parola.
Nello studio di Tincani come in quello di altri ricercatori si tende a dare un peso consistente
alle abilit{ motorie del bambino nella scelta fra l’utilizzo del sistema dei PECS o della
lingua dei segni. Generalmente si preferisce optare per una comunicazione alternativa
aumentativa basata sul sistema dei PECS per quei bambini che presentano scarse abilità
motorie mentre la lingua dei segni per quei bambini che presentano moderate abilità
motorie. Tuttavia, ritengo più utile riflettere sulle capacità di mentalizzazione, di
organizzazione dello spazio, nonché delle abilità nel percepire le prospettive di un
bambino come indici di scelta fra l’una o l’altra comunicazione aumentativa alternativa.
Per poter comprendere questa affermazione fornirò un’analisi della Teoria della Mente e
delle sue implicazioni nello sviluppo linguistico di un bambino.
43
CAPITOLO IV
ToM (Theory of Mind)
All’inizio di questa tesi abbiamo visto come il nostro linguaggio si differenzi da quello dei
media, dell’arte e anche da quello degli animali. Una delle caratteristiche che abbiamo
sottolineato essere preponderante nel distinguere il linguaggio animale da quello umano è
la capacità di utilizzo della parola come strumento di previsione degli stati mentali altrui.
Come abbiamo visto nella nostra analisi sull’acquisizione del lessico gi{ dal primo anno un
bambino possiede delle capacità innate e delle conoscenze essenziali circa gli oggetti fisici:
è in grado di rappresentarsi gli oggetti in quanto corpi solidi, completi, connessi che
permangono tali anche quando sono nascosti e che mantengono la loro identità nel tempo
(Spelke 2000).
La ToM (Theory of Mind) o teoria della mente si riferisce all’abilit{ che normalmente una
persona possiede nel capire i “concetti” della mente di un’altra persona. E’ un’abilit{
unicamente umana che consente ad una persona qualsiasi di osservare i comportamenti
altrui e scoprire le motivazioni, gli intenti e i sentimenti. Un bambino è capace di costruire
delle copie del mondo reale, delle rappresentazioni di persone, cose ed eventi. Al
compimento del secondo anno di età è in grado di capire ciò che la gente ha intenzione di
comunicare per mezzo di una capacità innata che distingue le rappresentazioni dalla
realtà, le quali cesseranno anche di essere delle copie del mondo reale. Potranno altresì
essere attribuite ai pensieri, ai desideri e alle memorie di una persona.
Un bambino sarà in grado di capire che la mamma sta pensando ad un cubo giocattolo
come ad un cappello e riderà.
Le rappresentazioni saranno indispensabili per l’immaginazione e il meccanismo di
mentalizzazione dovr{ guidare il bambino nell’analisi di credenze ed inganni. All’età di
cinque anni un bambino è già in grado di padroneggiare al meglio la propria teoria della
44
mente. Nell’autismo ritroviamo una possibile incapacità nella mentalizzazione che
potrebbe essere dovuta a un difetto nel meccanismo del distacco. Di conseguenza è
presente un deficit nell’apprendere il concetto degli stati mentali in modo normale anche
se diversi studi (come quello di Baron-Cohen 1989) confermano come la Teoria della
mente non sia completamente assente ma molto danneggiata.
Un deficit nella teoria della mente potrebbe portare ad escludere la possibile acquisizione
della lingua dei segni da parte di un bambino autistico. Nelle lingue visuo-spaziali come le
lingue dei segni è necessario comprendere la prospettiva visuale dell’altro segnante e fare
una sorta di transizione fra la visione del segno da parte del segnante-emittente a quella
del segnante-ricevente. La prospettiva visiva di un altro segnante può essere correlata alla
teoria della mente in quanto un segnante deve immaginare la visione di un’altra persona.
Se quindi un bambino autistico non padroneggia la teoria della mente allora non potrà
nemmeno comprendere la visione di un altro segnante.
Uno dei primi a prendere atto della ToM fu Piaget il quale osservava una sorta di visione
egocentrica del mondo da parte dei bambini piccoli: l’analisi del mondo solo dalla propria
visione. Tuttavia riteneva anche che questa abilità andasse a formarsi con la crescita;
attraverso l’ esperienza i bambini imparano ad analizzare i punti di vista delle altre
persone. Flavell e coll. fecero numerosi studi su come i bambini potessero imparare ad
analizzare la prospettiva di altre persone e principalmente evidenziarono due stadi di
sviluppo: il bambino capisce che un’altra persona non può vedere nello stesso modo un
oggetto se fra l’oggetto e la persona si frappone un ostacolo; un bambino comprende che
un oggetto visto simultaneamente da due persone (se stesso ed un’ altra) comporta due
impressioni o esperienze nei due soggetti se la loro visione è diversa. Melot, Houdé,
Courtel and Soenen (1995) dimostrarono come il secondo livello di sviluppo citato da
Flavell e coll. precedeva sempre l’abilit{ nell’elaborare credenze e inganni.
In uno studio di Courtin (2000) si riscontra come alcuni bambini sordi nati da genitori sordi
riuscivano ad interpretare una serie di inganni considerevolmente meglio rispetto ad un
gruppo di bambini udenti della stessa età anagrafica. Questo studio propone come la
lingua dei segni sia molto utile nel sviluppare la propria abilità di analisi delle prospettive
altrui. Nelle lingue dei segni infatti è necessario comprendere la visione da parte dell’altro
45
segnante. Quindi i bambini sordi sono abituati a credere che l’altro segnante non ha la
stessa visione degli oggetti e proprio questa abilità determina il successo nel comprendere
le falsità.
Sebbene quindi un bambino autistico possa avere un gran deficit di mentalizzazione e ciò
potrebbe portarlo a non acquisire correttamente la lingua dei segni, la stessa lingua dei
segni potrebbe facilitare lo sviluppo della ToM.
Per poter comprendere quanto la mentalizzazione sia realmente inficiata nell’autismo è
necessario porre uno sguardo ai bambini sordi con autismo. Se la ToM è carente in
presenza di autismo, allora i bambini sordi con autismo potrebbero avere problemi con le
strutture della lingua dei segni che utilizza la prospettiva visiva.
46
La prospettiva visiva nell’autismo
E’ stata fatta una distinzione fra due tipi di percezione di prospettiva: visiva (o percettiva) e
cognitiva (o concettuale) (Reed & Peterson, 1990: 556) . La prima si riferisce alla possibilità
di immaginare la visione di un’altra persona che guarda da un altro lato. La seconda invece
all’abilit{ nel valutare gli aspetti degli stati mentali di un’altra persona, come conoscenza,
ignoranza, credenza. Solo la seconda sembra coinvolgere la ToM in quanto la prima abilità
può essere ovviata attraverso una strategia di rotazione mentale. Quindi se l’abilit{ di
creare rappresentazioni mentali nell’autismo è inficiata, allora un bambino autistico
potrebbe dimostrare difficoltà solamente nella percezione della prospettiva cognitiva
altrui ma non in quella visiva. Hobson (1984) e Reed e Peterson (1990) dimostrarono come
i bambini autistici fossero capaci di superare alcuni compiti di prospettiva visiva e
indicarono come questi non fossero inabili in questo dominio.
Reed e Peterson (1990) testarono alcuni bambini autistici in compiti di prospettiva visuale
e prospettiva cognitiva. Nel compito di prospettiva visiva due bambole erano posizionate
in un tavolo e separate da un divisorio. Al bambino veniva chiesto di nascondere una
bambola in modo che l’altra bambola non potesse vederla. 12 su 13 bambini (di et{ media
12;0) passarono questo compito con successo. In un secondo compito vennero posizionati
quattro oggetti (una tigre, un orsetto, un macchinina, un camion con rimorchio), uno alla
volta su una tavolo girevole. In ognuno di questi oggetti si poteva rilevare la distinzione
davanti/dietro o testa/coda. Venne chiesto al bambino di girare il tavolo in modo che lo
sperimentatore potesse vedere fronte/retro, naso/coda a seconda dell’oggetto che era
stato scelto. Tutti i bambini a parte uno superarono con successo la prova. Le prove di
prospettiva cognitiva vennero divise in due livelli ma entrambe si basavano sull’analisi di
false-credenze (ovvero su una credenza che il bambino avrebbe dovuto riconoscere come
falsa). L’esempio più famoso sulla falsa credenza è il “Sally-Anne test”16 approntato nel
1983 da Perner e Wimmer che si svolge come un gioco. Ai soggetti vengono presentate
16
In Wimmer, H., & Perner, J. (1983). "Beliefs about beliefs: Representation and constraining function of wrong beliefs in young
children's understanding of deception.". Cognition
47
due bambole: Sally e Ann. Sally porta un cestino e Ann ha una scatola. Sally ad un certo
punto uscirà a passeggio dopo aver messo una biglia nel suo cestino e averla coperta con
un panno. Nel frattempo Ann prenderà la biglia dal cestino e la metterà nella sua scatola.
Quando Sally torner{ con l’intenzione di giocare con la biglia verr{ chiesto al bambino
dove avrebbe guardato Sally per prendere la biglia. Se il bambino risponde che Sally
l’avrebbe cercata nella scatola di Ann, allora il bambino non è in grado di formulare false
credenze. Non è in grado di conoscere gli stati mentali altrui.
In compiti simili a quello sopra citato, solo tre di dodici bambini autistici passarono il primo
livello e solo due il secondo. Questi esperimenti appoggiavano quindi l’ipotesi di Baron-
Cohen e coll (1985) su come la prospettiva visuale fosse intatta mentre le prospettive
cognitive altamente deficitarie.
Per poter realmente confermare l’ipotesi di una prospettiva visiva intatta è utile volgere
uno sguardo alla ToM di bambini sordi con autismo.
ToM in bambini sordi autistici
Quando parliamo di ToM nei bambini sordi autistici è necessario distinguere due
sottogruppi: I bambini sordo autistici nati da genitori sordi; e i bambini sordo autistici nati
da genitori udenti. Questa distinzione è necessaria in quanto i bambini sordi autistici nati
da genitori sordi saranno stati esposti alla lingua dei segni fin dalla nascita mentre gli altri
solo in un tempo successivo e con modalità differenti. La lingua dei bambini nati da
genitori udenti sarà molto meno ricca rispetto a quella dei bambini esposti sin da subito
alla lingua dei segni. I genitori udenti sebbene imparino la lingua dei segni non riescono a
raggiungere gli stessi contenuti linguistici di un segnante dalla nascita e la lingua dei segni
non sarà imparata dal loro bambino come una lingua madre. Alcuni studi (Courtin & Melot,
1998; Courtin, 2000; Peterson & Siegal, 1999, 1995; Remmel, Bettger, & Weinberg, 2001)
rintracciarono una certa differenza anche nello sviluppo della ToM: i bambini autistici sordi
nati da genitori sordi superano più facilmente i compiti relativi alla mentalizzazione. Il
48
fatto che la ToM risultava deficitaria nei bambini autistici sordi nati da genitori udenti, ha
portato ad ulteriori studi e a diverse interpretazioni.
Peterson e Siegal (1995, 2000) attribuirono il deficit di mentalizzazione ,nei bambini sordi
autistici nati da genitori udenti, a cause di povertà linguistica; il bambino potrà avere meno
accesso alle conversazioni e ai discorsi più affinati, come discussioni sui sentimenti o su
cose astratte.
Altra ipotesi di de Villiers & de Villiers; (2000,2003); de Villiers; (2005) prevede che
padroneggiare la grammatica di una lingua porta allo sviluppo della teoria della mente,
poiché alcune strutture sintattiche sono costruite su rappresentazioni di credenze o false
credenze ( ad esempio le costruzioni con “io credo… “, “io penso…”).
Senza soffermarci troppo su queste due ipotesi possiamo concludere che la Teoria della
Mente di bambini autistici sordi, nati da genitori udenti è particolarmente deficitaria sia a
causa dell’autismo di per sé, che a causa di una “lingua domestica impoverita” o di
entrambi.
In netto contrasto con i sordi con genitori udenti, i bambini sordi con genitori sordi
potrebbero avere molti più vantaggi rispetto ai loro coetanei. Infatti alcuni studi
confermano come la lingua dei segni possa facilitare alcuni aspetti dello sviluppo della
ToM. Diversi studi (Bellugi e coll, 1990; Lillo-Martin, Bellugi, Struxness, & O’Grady, 1985;
petitto & Bellugi, 1988) dimostrano come i bambini sordi con genitori sordi comprendano
strutture linguistiche, che dipendono da una complessa struttura cognitiva relazionata alla
vista, gi{ all’et{ di 3 anni. Queste strutture includono la comprensione della flessione
verbale e la descrizione di un ordine non presente gi{ all’et{ di tre anni. Per poter
comprendere queste strutture un bambino deve poter disporre dell’abilit{ di rotazione
mentale degli oggetti nello spazio e deve anche padroneggiare le prospettive. Courtin &
Melot (1998:86) sostengono che i bambini autistici sordi di genitori sordi potrebbero
distinguersi dai bambini udenti come anche dai bambini sordi orali nelle loro abilità visive-
prospettive.
In conclusione, finché l’esposizione alla lingua dei segni di bambini sordi autistici nati da
genitori sordi sembra privilegiare lo sviluppo delle prospettive visive necessarie per la ToM,
49
allora la ToM è danneggiata nell’autismo. Se quindi la ToM è implicata nell’acquisizione
della lingua dei segni, in modo diverso rispetto alla lingua parlata, allora è possibile che i
bambini sordi con autismo che imparano i segni si trovino di fronte ad alcuni ostacoli che
non figurano invece in bambini autistici udenti che imparano la lingua vocale. Ciò
porterebbe a ritrovare degli errori nelle produzioni di bambini autistici segnanti poiché la
prospettiva è necessaria per poter acquisire la fonologia, morfologia e la sintassi di una
lingua dei segni.
La lingua dei segni e lo spazio
Un bambino che debba acquisire una lingua dei segni dovrà approcciarsi ad essa mediante
la vista. Il bambino sordo deve guardare un altro segnante per poter percepire la lingua.
Inoltre anche i movimenti delle labbra e del volto sono importanti per la comprensione
nella lingua dei segni.
I due segnanti (parlante e interlocutore) devono occupare differenti punti nello spazio e
quasi sempre sono posti uno di fronte all’altro. Le loro prospettive sono quindi differenti e
per poter produrre o comprendere le realizzazioni fonologiche lessicali o grammaticali
nello spazio devono imparare a traslare i segni osservati nello spazio da differenti punti di
vista. La “rotazione mentale” e la prospettiva visiva non sono necessarie per poter
determinare le rappresentazioni fonologiche delle parole nelle lingue vocali, se non in
alcuni casi ad esempio con i pronomi.
Le lingue dei segni utilizzano lo spazio per poter parlare dello spazio. A differenza delle
lingue vocali, le lingue dei segni localizzano gli elementi nello spazio analogamente allo
spazio degli stessi nel mondo reale. Courtin e Melot (1998:85) fanno notare come questa
situazione richieda un cambio nella prospettiva visiva. Facciamo un esempio: supponiamo
che un segnante emittente debba spiegare le posizioni nello spazio di un bicchiere ed un
libro ad un altro segnante. Ciò che farà sarà usare dei classificatori per poter posizionare gli
elementi nel giusto ordine senza utilizzare delle etichette istruzioni come destra o sinistra.
50
Tuttavia il segnante ricevente dovrà fare un transfert, una rotazione mentale dello spazio
dal punto di vista del segnante emittente al suo punto di vista.
Bicchiere
Segnante ricevente segnante emittente
Libro
Tuttavia potrebbe anche essere necessario descrivere il movimento di alcuni oggetti nello
spazio. Anche il movimento nello spazio dovrà essere mentalmente rotato per essere
correttamente percepito.
Nei bambini autistici generalmente si possono ritrovare errori in alcune forme fonologiche
a causa di un deficit nella ToM (nella prospettiva visiva e nell’analisi del se e l’altro):
- rovesciamento dell’orientamento interno o esterno del palmo
- rovesciamento del movimento interno o esterno
- rovesciamento della direzione del movimento
- sostituzione locativa contro laterale
I bambini sordi con un normale sviluppo non commettono questi errori. Ciò ci porta alla
conclusione che il reale deficit cognitivo nell’autismo debba essere rintracciato in questi
processi.
Dato che la grammatica della lingua dei segni si realizza nello spazio, la teoria proposta da
Courtin e Melot (1998:85) ci porta a concludere che le lingue dei segni potrebbero essere
limitanti per un bambino autistico.
Tuttavia uno studio sulla grammatica dello spazio nella LIS (Lingua dei Segni Italiana)
condotto da Bertone e Cardinaletti (2009) ci fa riflettere sull’uso dello spazio da parte di un
segnante. L’uso dello spazio è molto importante nella determinazione dell’accordo nella
51
morfologia della LIS. Inoltre il segno dell’indicazione, elemento per manifestare l’accordo
e la referenzialit{, costituisce l’esplicitazione dei tratti dello spazio. Studi condotti su
segnanti con lesioni cerebrali dimostrano che c’è una netta distinzione fra capacit{ visivo-
spaziali e uso linguistico dello spazio (Hickok, Bellugi e Klima 1998).
Da un punto di vista fonologico non è necessario distinguere più punti nello spazio neutro
poiché non esistono coppie minime di segni differenti per un diverso luogo di articolazione
nello spazio. Mentre in morfologia e sintassi è necessaria la distinzione in quanto
l’individuazione di un punto dello spazio lo specifica e definisce rispetto ad altri punti
indistinti. Inoltre i punti specifici dello spazio equivalgono ai morfemi che rendono
possibile la concordanza fra predicato e nome. La grammaticalizzazione dello spazio si
nota nella flessione verbale ma anche nell’esplicitazione della persona che viene indicata
con l’indice puntato verso il referente. La grammaticalizzazione dei tratti dello spazio
viene definita dell’ostensione dell’indicazione ed è costituita dall’accordo verbale e dalla
definitezza dell’indicazione. Anche gli aggettivi e i classificatori devono essere articolati
nello stesso punto dello spazio in cui è stato articolato il nome al quale si riferiscono.
Lo spazio non è un luogo fisso ma viene di volta in volta delineato dal segnante in relazione
al suo interlocutore individuabile grazie alla direzione dello sguardo. L’interlocutore non
necessariamente è davanti al segnante ma potrebbe trovarsi anche di lato. In questo caso
non potremo sostenere l’ipotesi di una “rotazione mentale” in quanto l’interlocutore avr{
la stessa visione del segnante.
Molte volte nelle elicitazioni spontanee la concordanza fra spazio e elementi non è così
marcata. Un esempio è quando in un discorso vengono introdotte più persone e alcune
non sono presenti. Per fare riferimento ad ognuna di esse sarà necessario aggiungere un
elemento determinante, ad esempio un aggettivo. Se l’indicazione non è un determinante
ma un locativo (e le persone sono quindi presenti) allora la concordanza dello spazio è
necessaria. Se c’è solo una terza persona l’indicazione verso l’esterno è sufficiente e non è
necessario accordare con il tratto del luogo.
Nelle esplicitazioni spontanee, in alcuni casi, l’accordo spaziale tra il luogo puntato
dall’indicazione (nel caso in cui adempia alla funzione di determinante) e il luogo di
52
articolazione del predicato non sempre coincidono. Quindi normalmente la coincidenza
geometrica dei punti dello spazio è una prerogativa dei segnanti più che una norma
sintattica. Tuttavia la coincidenza geometrica si rende necessaria quando bisogna
distinguere due elementi nello spazio.
Sebbene quindi […il segno dell’indicazione assume un valore grammaticale e la referenza
non necessariamente è inferibile dal luogo puntato, ma sottostà alle regole determinate
dalla teoria della reggenza e del legamento. Questo fatto fa intuire che la funzione
grammaticale delle deissi prescinde dalle ostensioni dalle quali sicuramente deriva. In
realtà punti dello spazio e indicazione vanno analizzati sotto diversi punti di vista perché
(dagli esempi evidenziati) è chiaro che l’indicazione non necessariamente è un’ostensione,
soprattutto quando è anaforica…]17
Quando un punto nello spazio viene associato ad un referente diventa visibile e per questo
anche referenziale, specifico e identificabile. Il segnante indicando consegna a quel punto
significato di specificità e di identificabilità perché tutti gli interlocutori riconosceranno
quell’elemento. Un sintagma nominale è definito quando è identificabile e invece
anaforico se durante la conversazione viene ripreso.
Nella mia esperienza l’uso dei segni rimane a livello fonologico dove non è necessario
distinguere vari punti nello spazio neutro e non posso dare delle tesi certe per quanto
riguarda l’uso grammaticale dello spazio. Tuttavia mi capita di osservare delle produzioni
spontanee in cui un bambino segna e accompagna un’indicazione nel caso in cui il
referente sia presente. Quindi un’indicazione è usata con scopo locativo. In questi casi la
concordanza fra l’indicazione e l’elemento avviene. Se l’elemento è invece assente molto
spesso il bambino utilizza solo il segno. E’ da notare che l’indicazione in questo caso non è
stata indotta.
17 Bertone C., Cardinaletti A. (a cura di ) (2009) “Alcuni capitol della grammatica della LIS”. Venezia, Cafoscarina. 79-99.
53
I pronomi
Generalmente i bambini autistici tendono a rovesciare il pronome, particolarmente il
pronome di prima persona singolare “io” con il pronome di seconda persona singolare “tu”.
Questi errori vengono spesso identificati con una scarsa capacità di percezione della loro
identità.
5a. Cosa fai Federico? Mangi?
Si , mangi
5b. “Vuoi biscotto?” al posto di “Voglio un biscotto”
5a e 5b sono delle frasi di un bambino con cui lavoro. In 5a rispose alla mia domanda con
“si, mangi”: ciò può essere visto come il risultato di un’interferenza da parte del disturbo
ecolalico. 5b è un esempio di richiesta di un biscotto che gli è stata insegnata nei giorni
precedenti. Questo bambino generalmente in compiti scritti o esercizi finalizzati
all’accordo del pronome con il verbo commette meno errori. Gli errori sono molto più
frequenti quando si cerca di interagire con lui in una situazione quotidiana. Mentre
possiamo ritenere 5a il risultato di un’interferenza a causa dell’ecolalia, per 5b dobbiamo
ricorrere ad analizzare la situazione specifica in cui ha prodotto questa frase. Quel giorno
stavo chiedendo se desiderasse un biscotto e come reazione egli ripeté la mia produzione
poiché probabilmente aveva associato la frase con il pregresso evento del “chiedere un
biscotto”. Con ogni probabilità ogni qualvolta qualcuno gli chiederà, nello stesso contesto,
se vuole un biscotto egli ripeter{ la medesima frase. L’esempio 5b non può essere
ricondotto solo alla presenza di ecolalia.
Sono state avanzate principalmente due ipotesi rispetto al fenomeno di rovesciamento del
pronome: la “self and other” hypothesis (l’ipotesi del sé e l’altro) e la “spatial perspective”
hypothesis (l’ipotesi delle prospettiva spaziale).
54
La prima delle due si riferisce agli aspetti pragmatici e in particolare alla nozione del se e
l’altro che gioca un ruolo fondamentale nello scambio di ruoli nei discorsi fra parlante e
ascoltatore.18 Il bambino dovrebbe comprendere che il pronome è relativo alla persona che
lo usa in un particolare contesto, che è inerente allo spazio e al tempo e che esiste
un’alternanza parlante-interlocutore . Se quindi riguardiamo all’esempio 5b il problema
potrebbe risiedere in un’incapacit{ nell’uso deittico del pronome e non a un problema
nell’identificazione della propria identit{ o nell’incapacit{ di accordo con il verbo. L’uso
deittico del pronome è relazionato al parlante e all’ascoltatore.
Il corretto uso dei pronomi personali in un compito guidato e l’uso adeguato dei nomi
propri confermano tale ipotesi. Frequentemente i bambini autistici usano i pronomi come
dei nomi. Anche i bambini con un normale sviluppo qualche volta, nelle prime fasi di
sviluppo linguistico, tendono a rovesciare i pronomi. Tuttavia è una fase transitoria che non
persiste.
La seconda ipotesi coinvolge maggiormente la lingua dei segni. Ritiene che l’uso dei
pronomi personali richieda la capacità di riconoscere le differenti prospettive spaziali delle
persone. In uno studio, Loveland (1984) testò un gruppo di 27 bambini di età compresa fra i
2;0 e3;3 anni in compiti di comprensione e produzione della prima e seconda persona
soggetto, dei pronomi possessivi e anche nella comprensione delle differenti prospettive
visive. Come risultato solo i bambini che comprendevano i differenti punti di vista di altre
persone non commettevano errori con i pronomi. Quindi ciò farebbe supporre che la
comprensione delle prospettive spaziali è un prerequisito cognitivo per l’acquisizione
adeguata della forma pronominale. La prospettiva visiva è molto più importante nelle
lingue dei segni che nel parlato.
Nella lingua dei segni troviamo due tipi di segni per indicare i pronomi: manuali e non
manuali.
I manuali possono essere divisi in altri due gruppi:
18
“ the notion of self and other as it is embedded in shifting discourse roles between speaker and listener” da Lee, A., Hobson,
R.P., & Chiat, S. (1994). I, you, me, and autism: An experimental study. Journal of Autism and Developmental Disorders, 24(2),
155-176
55
alcuni corrispondono ai pronomi personali, ai possessivi e ai dimostrativi e sono segnati
con la configurazione G (indice). La differenza fra “io”, “tu”, “lui”/“lei” deve essere
rintracciata nei tratti di spazio e nella direzione dello sguardo parlante interlocutore. Vale a
dire che la prima persona è segnalata sul corpo del segnante e la seconda persona punta
verso la direzione dello sguardo. La terza punta in un qualsiasi punto esterno all’asse
segnante–interlocutore (Bertone C., Cardinaletti A. 2009).
Il tratto dello spazio è molto importante nelle lingue dei segni in quanto rintraccia differenti
funzioni linguistiche. Basti pensare che le lingue dei segni utilizzano lo spazio per parlare
dello spazio mentre le lingue vocali necessitano delle parole per parlare dello spazio.
Utilizzando la lingua dei segni si possono individuare gli elementi semplicemente
posizionando i referenti nello spazio. Tuttavia il punto di vista dovrebbe essere quello del
segnante e questo potrebbe comportare qualche problema ai bambini autistici anche se
come visto sopra si dovrebbe tener conto della grammatica dello spazio della LIS per poter
compiere un’ analisi completa su questo punto.
56
CAPITOLO V
“Un essere umano privo di linguaggio non è privo della mente o mentalmente deficiente [...] ma l‘
orizzonte delle sue capacità di pensiero è gravemente limitato e lo confina, in pratica, in un mondo
angusto, immediato”
(Sacks, 1989)
La mia esperienza
Il mio primo contatto con in bambini autistici è avvenuto durante il mio tirocinio al Centro
Medico di Foniatria di Padova. Grazie al sostegno della log. Debora Stocco ho iniziato a
rapportarmi con alcuni bambini anche individualmente fino ad arrivare al mio lavoro
quotidiano a casa con quattro bambini. Ognuno di loro ha delle caratteristiche individuali
ed una propria personalit{. Nonostante non posseggano un’abilit{ comunicativa adeguata
esprimono i loro sentimenti e le loro attese in modo “originale”. Così Filippo tocca i miei
capelli e li osserva nel minimo dettaglio per esprimermi il suo affetto, Federico al mio
arrivo corre per tutta la stanza entusiasta e Davide gira intorno alle mie gambe finchè non
gli chiedo di entrare nella stanza. Leonardo non è un bambino con autismo ma con un
deficit nella comprensione e produzione. Ora comincia a utilizzare le prime forme di
cortesia come un “ometto” e mi saluta con “Buongiorno Cristina, come stai?” anche se
qualche volta la risposta la fornisce lui prima che io possa parlare. E’ vero che tutte questi
comportamenti risultano alquanto “strani” ma non per questo non bisogna prestarci la
massima attenzione perché questi bambini gli attribuiscono un significato. Sebbene quindi
sia necessario raccogliere dati e analizzarli in maniera tecnica, è pur necessario non
dimenticarci mai che chi abbiamo davanti è un bambino con un proprio temperamento.
Parlerò dei miei casi soprattutto dal punto di vista linguistico poiché la mia analisi critica si
basa soprattutto in questi termini. Infatti, non posseggo la competenza per poter
compiere un analisi dal punto di vista neurologico, psicologico, neuropsicologico o altro.
57
FILIPPO
Il primo caso che mi è stato affidato nel lavoro a casa è stato Filippo.
Filippo è un bambino di 7 anni che frequenta il primo anno della scuola elementare. E’
seguito da due insegnanti di sostegno e un’ operatrice socio assistenziale. Inoltre segue un
lavoro a casa corrispondente a 4 ore alla settimana e una terapia psicomotoria.
Inizialmente Filippo era stato preso in carico da un’altra educatrice. Non posseggo i primi
dati relativi al lavoro fatto in quel periodo ma mi sono state date alcune informazioni.
In data 18 dicembre 2008 (riferendoci all’intervista Vineland19 fatta alla mamma) il livello di
funzionamento globale di Filippo è paragonabile a quello di un bambino di poco più di 2;0
anni, con picco di funzionamento nell’area motoria e dell’autonomia, e maggiori difficolt{
nell’ambito della socializzazione e della comunicazione. La sua comunicazione era pari a
quella di un bambino con età inferiore ai 18 mesi. La comprensione, puramente verbale,
era limitata a poche etichette e comandi (mucca, mani, piedi, bicchiere, palla, vieni, siediti)
e al “no” che tendenzialmente Filippo rispettava. In generale Filippo si basava sulla
gestualit{ che l’adulto associava al messaggio per comprendere le istruzioni ricevute. La
sua comunicazione spontanea era tendenzialmente gestuale: chiedeva usando la deissi e il
gesto dammi, a cui si poteva associare il contatto oculare. Rifiutava urlando e spingendo
via, e chiedeva aiuto tirando l’adulto verso l’oggetto con cui era in difficolt{. Riporto ora
una considerazione della psicologa Dott.ssa Morena Mari:
[… Come strumento di comunicazione aumentativa è stato introdotto lo scambio di
immagini (PECS), che Filippo può usare correttamente. In via di discussione l’introduzione
del linguaggio dei segni a sostituire il PECS, che non è stato proposto con regolarità né a
casa che a scuola. Al momento sarebbe il sistema di comunicazione aumentativa che
Filippo potrebbe usare con maggiore indipendenza, ma se l’uso funzionale non viene
insegnato e mantenuto a casa e a scuola, lo strumento diventa inutile per il bambino.
19
The Vineland Adaptive Behaviour Scales, Sparrow et al., 1984; adattamento italiano OS, 2003. Le scale Vineland valutano il
comportamento adattivo, cioè l’interazione dell’individuo con il proprio ambiente. Poiché viene descritto il livello di adattamento
alle aspettative dell’ambiente familiare, sociale e culturale, l’attenzione è posta non su cosa il soggetto sia in grado di fare, ma su
ciò che egli fa abitualmente. Da notare quindi che la somministrazione di questa intervista non fornisce un quoziente intellettivo,
ma definisce un livello di adattamento del bambino in quattro aree principali: comunicazione, abilità quotidiane, socializzazione e
abilità motorie.
58
L’insegnamento dell’uso del linguaggio dei segni è al momento possibile per le abilit{ di
imitazione motoria emergenti, ma di più difficile gestione da parte di Filippo poiché la sua
produzione finomotoria non è precisa, ed il linguaggio dei segni più simbolico e astratto
rispetto al PECS, che prevede lo scambio di foto. E’ importante tenere questi aspetti
presenti: se Filippo si mostrasse in difficoltà con i segni, sarà necessario rivalutare il PECS,
che viene al momento sostituito non perché “per il bambino non funziona”, ma perché
l’ambiente educativo del bambino non ne ha supportato l’uso, e potrebbe invece facilitare
l’uso dei segni per la richiesta. …]
Come rileviamo da questo estratto, i PECS non potevano più essere impiegati
principalmente a causa della poca praticit{ d’uso nei vari ambienti educativi. I genitori
giudicavano, e giudicano a tutt’oggi, i PECS non pratici: le figure all’interno del quaderno
diventano molte ed è necessario portare con se il quaderno che contiene le foto in ogni
occasione. Sebbene oggi esistano nuove tecnologie (pensiamo agli i-phone, i-pad) e nuovi
software molto pratici che possono rendere più agevole l’utilizzo dei PECS, i segni
risultano a mio parere uno strumento più comodo: le mani sono sempre con noi. Ma ci
sono altre ragioni per cui sceglierei, e ho già scelto più volte, i segni:
-Le foto daranno sempre un’immagine statica al contrario di un segno.
-Le costruzioni come pane + buono comporter{ l’utilizzo di due foto e quindi la ricerca
delle foto nel quaderno, la discriminazione corretta delle figure e quindi un consistente
lasso di tempo in cui compiere tutte queste azioni con una possibile rinuncia nel
comunicare. Anche se il bambino potr{ non essere un buon segnante, l’utilizzo dei segni
comporterà molto meno tempo di esecuzione.
-Se un bambino fosse in difficolt{ nel cercare una figura sar{ molto difficile per l’adulto
capire l’intenzione del bambino. Mentre probabilmente un bambino in difficolt{ con un
segno procederà per tentativi che potranno dare un aiuto nel capire le sue intenzioni e ci
sarà subito un aiuto fisico nel completare il segno nel modo corretto.
-I segni non comportano un lavoro di ricerca, reperimento, condivisione con tutti gli
operatori e stampa delle foto.
59
-“I segni costituiscono la lingua dei segni”: i bambini potranno arrivare ad acquisire una
lingua con propriet{ fonologiche, grammaticali, semantiche…
Dato la mia preferenza per i segni e il precedente esperimento negativo con i PECS si è
avanzata l’ipotesi di utilizzare alcuni segni per le richieste di Filippo. Anche i genitori si
dimostrarono concordi.
L’unica preoccupazione risultava essere una certa rigidit{ nelle mani di Filippo, e come
vediamo anche nelle parole della psicologa Morena Mari, la sua produzione finomotoria
non precisa destava alcuni dubbi sui possibili risultati. Tuttavia “un segno è modellabile”.
Le mani possono essere posizionate nel modo corretto ed inoltre è possibile intervenire
integrando il lavoro di Filippo con alcuni esercizi per la fine motricità. In qualche caso si
preferisce semplificare il segno per agevolare il bambino. Voglio specificare che l’uso del
segno nella maggior parte dei casi non ha l’intenzione di far acquisire al bambino la lingua
dei segni ma di usarla come ponte verso la comunicazione preferibilmente vocale.
Possiamo quindi giustificare la semplificazione del segno in questi termini.
Il primo segno che abbiamo introdotto è stato “Nutella” utilizzando il segno di
CIOCCOLATO B> x B < Øᶦ (mano sinistra piatta verso destra a contatto con la mano
destra piatta verso sinistra entrambe con un movimento avanti e indietro alternato
articolato nello spazio neutro). Successivamente abbiamo aggiunto i segni per caramella,
pane, acqua, palla, coccole, libro. Qui sotto inserirò una “tabella di presa dati" per le
richieste con i segni da me usata e fornitami dalla Dott.ssa Morena Mari, per tenere
sottocontrollo i progressi di Filippo. Come indicato nella leggenda “I” indica indipendente:
il bambino usa il segno senza aiuti o suggerimenti; “M” indica modello: l’educatore fa
vedere il segno e il bambino lo imita; “F-P” fisica parziale: il bambino viene aiutato
dall’educatore parzialmente, ad esempio tocca l’avambraccio in modo che il bambino si
attivi oppure posiziona meglio le mani; “F-T” fisica totale: l’educatore aiuta totalmente e
fisicamente il bambino, prende le sue mani e le posiziona.
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Programma: RICHIESTE CON I SEGNI Presa dati quotidiana prova per prova. Data:
Legenda: I indipendente; M modello; F-P guida fisica parziale; F-T guida fisica totale
NUTELLA I F-P
M F-T
I F-P
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I F-P
M F-T I F-P
M F-T
I F-P
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COCCOLE I F-P
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M F-T I F-P
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I F-P
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CARAMELLA I F-P
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I F-P
M F-T
I F-P
M F-T I F-P
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ACQUA I F-P
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I F-P
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M F-T I F-P
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I F-P
M F-T
I F-P
M F-T
Ho voluto inserire anche un diagramma in cui si possa vedere visibilmente la crescita
nell’acquisizione dei segni. Prenderemo in esame il segno per “Nutella” che per la prima
volta è stato introdotto il giorno 07/07/2010. Nei miei appunti ritrovo come in quella
giornata il segno di nutella sia stato “impartito” per 10 volte e come poi Filippo lo abbia
prodotto 14 volte senza suggerimento nella stessa sessione. Nel grafico ho preso come
campione il periodo dal 03 agosto 2010 al 03 settembre 2010.
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
nutella
nutella 10 15 34 23 44
03/08/010 07/08/010 10/08/010 14/08/010 03/09/010
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Nel giorno 07 settembre 2010 (non indicato nel grafico) Filippo produce 40 volte il segno
per “Nutella” ma la cosa più interessante è che compaiono alcune vocalizzazioni che
assomigliano al lemma nutella: /nu/, /e-ea/, /tee/, /tea/. Anche una mia collega riporta un
caso analogo20. Ciò ci fece sperare che Filippo potesse arrivare a controllare
volontariamente i suoni. Accompagnammo allora un esercizio per il controllo volontario
dei suoni: in un gioco in movimento che gli piace molto (Filippo è in braccio e giriamo su
noi stessi) io continuo a dire /a:/, il gioco si interrompe e io richiedo a Filippo di riprodurre
/a:/ per ricominciare a girare. In qualche occasione Filippo riprodusse il suono. Tuttavia non
perdurò nel tempo. A tutt’oggi Filippo è un bambino non vocale (produce solo dei suoni
senza controllo) anche se sporadicamente ripete alcune parole che sente nel contesto
familiare. Il nostro lavoro con i segni continua e si arricchisce di nuovi segni. Bisogna
ricordare che in questo caso l’utilizzo dei segni è strettamente collegato alla richiesta di un
oggetto o cibo da parte del bambino. Con Filippo utilizziamo soprattutto cibi e quindi
spesso la produzione spontanea dipende anche dalla voglia di quel determinato cibo. Per
poter ovviare anche a questa situazione si è introdotta la comprensione degli oggetti (che
generalmente Filippo richiede con il segno). L’attivit{ consiste nel presentare due oggetti
a Filippo e richiedere, mediante il segno, la consegna di uno. Nelle prime sessioni il
compito viene facilitato per poter far comprendere a Filippo il compito. L’educatrice
richiede con il segno e apre la mano in attesa dell’oggetto. Se il bambino non lo consegna,
o consegna quello errato si da un suggerimento adeguato: un’indicazione o si prende la
mano del bambino e la si accompagna sopra la nostra. Attualmente Filippo discrimina in
comprensione il segno tea, pane, caramella, palla.
20
Zanatta, F. “Lo sviluppo del linguaggio in presenza di sindrome autistica – la lingua dei segni un aiuto per l’autismo”
in prova finale di laurea. Università Cà Foscari. Venezia (2009-2010)
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DAVIDE
Davide è un bambino di 5;0 anni. Frequenta la scuola materna ed è seguito all’interno
dell’asilo da un insegnante di sostegno che cerca di rimanere in linea con il lavoro che viene
svolto quotidianamente a casa. Davide segue l’ABA e lavora dal lunedì al sabato per 1h e
30 al giorno con me ed un’altra “educatrice”. Sono previsti degli incontri mensili fra le
educatrici e i genitori per la programmazione che viene supervisionata da un
“supervisore”. Anche i genitori seguono un programma per poter essere in grado di
lavorare con Davide. Ogni 15 giorni avviene un incontro con la logopedista in cui anche le
educatrici sono presenti e in cui si concorda il programma logopedico. In data 02 aprile
2010, dalla somministrazione dell’intervista Vineland, il livello di funzionamento globale è
paragonabile a quello di un bambino di circa 1;7 anni con un picco di funzionamento
nell’area motoria e maggiori difficolt{ nelle aree di comunicazione, abilit{ quotidiane e
socializzazione. La comunicazione di Davide è pari a quella di un bambino di età inferiore
ai 18 mesi. Dalla valutazione delle abilità comunicative e sociali della Dott.ssa Morena Mari
ricaviamo che Davide riesce a utilizzare un proprio metodo di comunicazione basato su
deissi e aggiunta del vocalizzo al gesto. Inoltre appaiono le prime abilità di interazione
sociale come seguire la deissi verso oggetti di interesse e rimanere coinvolto in giochi
sociali sensoriali (solletico, cucù). Anche per Davide è stato deciso l’utilizzo dei segni.
Davide ha avuto grande giovamento dal punto di vista vocale grazie all’utilizzo dei segni.
Bisogna osservare che Davide aveva già cominciato spontaneamente a creare un tipo di
comunicazione basata sul gesto accompagnato da vocalizzo. Attualmente padroneggia
vari segni che elenchiamo qui sotto assieme alle produzioni vocali associate:
Cioccolato /kako/
Coccole /kɔke/
Video /io/
Meringa /ia/ o /ghia/
Avanti /aki/
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Altri sono ancora in fase di miglioramento:
Bolle /oe/ o /bo-e/
Su /ʃu/
Pesce /kɛke/
Macchina /ma/
Caramella /ka/
Biscotto /kɔko/
Giraffa /aga/
Quando Davide desidera richiedere qualcosa per cui non ha ancora un segno, utilizza la
deissi spesso accompagnata da una produzione vocale o cerca di produrre un segno
sempre accompagnando un vocalizzo. Siamo molte volte costretti a interpretare i suoi
desideri e cerchiamo di introdurre sempre nuovi segni che possano aiutarlo a richiedere gli
oggetti preferiti e allo stesso tempo ampliare il proprio vocabolario.
All’inizio le richieste di Davide erano considerevolmente meno o non intellegibili. Infatti
Davide utilizzava la parola /gaga/ per richiedere più cose. Con l’utilizzo dei segni sono
aumentate le richieste, sono diminuiti i comportamenti problema e sono aumentate le
vocalizzazioni. Anche il contatto oculare è molto migliorato: segnare comporta guardare
la persona che ci sta di fronte.
Nelle ultime sessioni registriamo più di 100 richieste. Ciò significa che Davide utilizza
diversi segni nel modo appropriato per 100 volte e più poiché probabilmente alcune
richieste non verranno segnate perché non eseguite correttamente. Davide richiede
“cioccolato”, “meringa”, “coccole”, “video”, “avanti” con il segno e il vocalizzo senza aiuto
specifico e spontaneamente; “su”, “macchina”, “pesce”, “biscotto”, “giraffa” con un
minimo aiuto. Mentre richiede vocalmente e spontaneamente /agua/ = acqua, /keke/ =
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cracker. Con Davide utilizziamo la procedura di intervento con i segni indicata sopra nel
paragrafo “l’intervento con la lingua dei segni”.
FEDERICO
Federico è un bambino di 7 anni che frequenta il primo anno di scuola elementare. E’
seguito da una logopedista, da me a casa e da un centro per l’autismo di Padova. Segue
anche delle sessioni di psicomotricità. Dall’ osservazione clinica della Dott.ssa Morena Mari
ricaviamo come Federico sia capace di richiedere usando la verbalit{ e l’indicazione.
Federico è un bambino vocale che però non costruisce spontaneamente degli enunciati. Le
sue richieste si fermano alla richiesta mediante il nome dell’oggetto. Se un adulto trattiene
un oggetto da lui desiderato, comincia a richiedere a ripetizione formule come “si”, “palla
si”, “dammi palla”, “si, palla blu”. Federico è molto ecolalico (ripete frasi di cartoni ma
soprattutto suoni: il suono della macchinina, del treno…). E’ in grado di risolvere vari
compiti senza grosse difficoltà fra cui: classifica per categorie, posiziona l’articolo
determinativo/indeterminativo di fronte ai nomi, è in grado di rispondere a diverse
domande nell’immediato, quali “che cos’è?” “dov’è?” “di che colore è?” “chi è?”, flette il
verbo e il suo vocabolario è in espansione. Tuttavia non è in grado di utilizzare le sue
conoscenze ai fini linguistici. Di particolare rilevanza è la sua difficolt{ nell’utilizzare i
pronomi e gli scambi di ruolo. Molto spesso richiede ripetendo i nostri suggerimenti. Ad
esempio può richiedere la cioccolata con questo enunciato “vuoi cioccolata”. Ricordiamo
che Federico conosce i pronomi ed è in grado di completare diversi esercizi di
completamento con i pronomi. Per poter lavorare sull’uso dei pronomi, nel caso di
Federico ma anche in altri casi di bambini molto ecolalici è necessario utilizzare il segno e
non la parola orale. Infatti proviamo a immaginare quanto possa essere complesso
spiegare ad un bambino che deve dire “io” per indicare sé stesso e “tu” per indicare
qualcun’altro. Proviamo solo ad immaginare di dire ad un bambino ecolalico “di tu”; quello
che farà sarà ripetere “di tu” e non gli attribuirà alcun significato. Ecco allora che il segno
può aiutarci. Diremo “io” quando il bambino toccher{ il suo petto e preferibilmente nelle
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prime fasi di apprendimento dovremmo aiutare il bambino da dietro. Per far comprendere
il significato di “tu” saranno necessarie due persone. Una che dietro il bambino lo aiuta nel
distendere il braccio e indicare la persona di fronte e che contemporaneamente dice “tu”.
E una che fa il referente posto di fronte. L’utilizzo dei segni ha apportato un contributo
discreto anche nella discriminazione delle domande. Infatti per aiutare Federico a
rispondere quando gli viene chiesto “dov’è il piatto?”, l’utilizzo del segno “dove” d{ un
contributo significativo. Infatti, il bambino avrà un aiuto visivo soprattutto perché il segno
potrà essere rallentato nel movimento al contrario della parola. Inoltre, assocer{ “dove” a
un particolare segno mentre “che cosa?” ad un altro e riuscirà a distinguere più in fretta
queste due domande. Ancora di più il segno ci aiuta nell’ allungare l’enunciato di Federico.
Infatti quando egli tende a creare produzioni brevi come “mamma palloncino”, è utile
utilizzare il segno ad esempio di un colore per poter far arrivare Federico a dire “mamma
palloncino blu” senza intervenire vocalmente e innescare il meccanismo di ecolalia.
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Che cos’è l’ABA?
L’ABA è l’acronimo per Applied Behavior Analysis o meglio Analisi del Comportamento
Applicata. Si basa sull’ uso dei principi della scienza del comportamento. Non è applicata
solo nell’autismo ma anche in altri campi ma oggi è più riconosciuta per i benefici che
comporta dalle sue tecniche con i bambini autistici. Un programma ABA consiste
nell'applicazione intensiva dei principi comportamentali per l'insegnamento d’abilit{
sociali (linguaggio, gioco, comunicazione, socializzazione, autonomia personale, abilità
accademiche, ecc...) e la correzione di comportamenti problematici (autostimolazioni,
aggressività, autolesionismo, ossessioni, ecc...).
L’utilizzo dell’ ABA comporta un programma intensivo, applicato quotidianamente e per
un numero specifico di ore, coinvolgendo tutte le persone nella vita del bambino dai
genitori agli insegnanti, fino ai parenti o alle baby sitter. Un programma intensivo
comportamentale per bambini con autismo deve possedere i seguenti elementi:
Intervento Intensivo: minimo di 25 - 30 ore settimanali
Coinvolgimento massiccio della famiglia
Curriculum individualizzato e comprensivo
Insegnamento strutturato
Insegnamento Incidentale
Generalizzazione programmata
Insegnamento nell’area della comunicazione
Gestione costante dei comportamenti problema
Supervisione frequente e qualificata
Ma perché affidarsi all’ ABA? Innanzitutto con questi bambini è necessario un intervento
mirato, intensivo e che coinvolga tutte le persone della loro vita. L’insegnamento
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mediante l’ABA è strutturato ed è impartito da diverse figure competenti che gestiscono
gradualmente tutto il percorso analizzandolo e raccogliendo dati oggettivi che danno
un’idea del lavoro svolto e ancora da svolgere. Ogni giorno vengono compilate varie
tabelle che definiscono il risultato della giornata di insegnamento. Oltre ad esserci quindi
una completa attenzione al lavoro individuale del bambino, c’è anche una presa in carico di
analisi del lavoro degli operatori. L’insegnamento non finisce dentro la stanza di lavoro o in
una particolare sessione, ma viene continuato e generalizzato, in tutti i luoghi e in tutte le
situazioni, che il bambino vive. E’ quindi un intervento a 360 gradi.
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CONCLUSIONI
In questa tesi sono stati analizzati vari aspetti della nostra lingua, del suo sviluppo e i
sistemi di acquisizione di essa per poter arrivare all’analisi linguistica nell’autismo. Da
questo lavoro ricaviamo come un bambino autistico possieda un metodo di codifica
linguistica diversa da chi è abituato a usare il linguaggio parlato. Mentre noi pensiamo con
le parole, un bambino autistico tende a preferire gli stimoli visivi e quindi, è più ipotizzabile
che preferisca pensare in immagini. Abbiamo una conferma di ciò nelle parole di Temple
Grandin. Poiché spesso ci si scontra con una realtà in cui un bambino non possiede un
sistema di comunicazione adeguato, si preferisce utilizzare due sistemi di comunicazione
aumentativa alternativa (AAC): i PECS (Picture Exchange Communication System) e la
lingua dei segni. Dallo studio di Matt Tincani abbiamo visto come la lingua dei segni sia il
sistema più adatto per raggiungere una comunicazione vocale. Volgendo invece uno
sguardo alla ToM (Theory of Mind) abbiamo visto come l lingua dei segni possa essere utile
allo sviluppo di essa. Tuttavia potrebbero esserci delle difficolt{ nell’acquisizione della
lingua dei segni a causa di una difficolt{ nell’analisi delle prospettive di altri referenti nello
spazio da parte dei bambini autistici anche se bisognerebbe approfondire le ricerche
mediante lo studio dell’uso grammaticale dello spazio nelle lingue dei segni per poter
confermare tale ipotesi.
Dalla mia esperienza con tre bambini autistici posso ritenere che l’utilizzo dei segni sia
stato proficuo per tutti e tre i bambini nonostante i loro casi siano diversi e le loro abilità
motorie, sociali, linguistiche differenti. In particolar modo in Filippo c’è stata una
diminuzione dei comportamenti problema in seguito all’utilizzo dei segni e una maggiore
apertura verso la comunicazione. In Davide l’utilizzo dei segni ha dato la possibilit{ di
creare una comunicazione intellegibile e ha aumentato le produzioni vocali. Mentre in
Federico risulta un supporto linguistico sia per prevenire l’ecolalia che per evitare
fraintendimenti con i pronomi.
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