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Ipse historiae parens Guichardinus, riconobbe Bodin 1 con un’espressione di tale fortuna da essere riutilizzata in epigrafe ancora nel secolo scorso da un lettore del livello del De Caprariis 2 ; tuttavia, se l’impatto avuto dal- la Storia d’Italia sul percorso evolutivo della storiografia occidentale fu così incisivo da far postulare un nuovo inizio, una rivoluzione di imposta- zione, nondimeno Guicciardini si inserisce, se non come figlio certo co- me attento lettore, nel grande alveo della tradizione, prima classica e poi umanistica 3 . La Storia d’Italia, prima opera storiografica del Guicciardini concepi- ta per la pubblicazione, è infatti decisamente impostata sul principio ci- ceroniano dell’opus oratorium maxime e sulle sue esigenze di decorum ri- flesse nel profilo classicheggiante costituito dall’attenzione agli eventi mi- litari, la scansione annalistica, il largo impiego di orazioni, suggerendo così un impianto tipicamente, ma anche genericamente, liviano 4 . Al con- INTRODUZIONE 1 In realtà la vera formula è sed ex ipso historiae parente Guicciardino (Bodin, p. 72). 2 De Caprariis 1950, p. 87. 3 Sebbene distante dalla figura dell’intellettuale rinascimentale di estesissime lettu- re greche e latine e costretto alla scrittura nelle pause concessegli, o impostegli, dalle sue funzioni, Guicciardini era provvisto, oltre ai presto dimenticati rudimenti della lin- gua greca («ed oltre alle lettere latine imparai qualche cosa di greco, che poi in spazio di qualche anno, per avere altro esercizio, dimenticai», Ricordanze, pp. 53-54), della so- lida cultura latina propria del suo ceto, tanto che si cimentò anche in epistole umanisti- che e versi latini (cfr. Ridolfi 1960, p. 9). Al contrario, sulla complessa relazione con la storiografia fiorentina in volgare, cfr. Phillips 1984b. 4 La teorizzazione umanistica si era condensata nell’Actius del Pontano (p. 193: Eam [i.e. historiam] maiores nostri quandam quasi solutam poeticam putavere, recteque ipsi quidem; pleraque enim habent inter se communia: ut rerum vetustarum ac remotarum

I segni e la storia : modelli tacitiani nella Storia d’Italia del Guicciardini … · 2015. 1. 14. · Guicciardini, probabilmente la prima conoscenza che questi ebbe del-l’opera

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  • Ipse historiae parens Guichardinus, riconobbe Bodin 1 con un’espressionedi tale fortuna da essere riutilizzata in epigrafe ancora nel secolo scorsoda un lettore del livello del De Caprariis 2; tuttavia, se l’impatto avuto dal-la Storia d’Italia sul percorso evolutivo della storiografia occidentale fucosì incisivo da far postulare un nuovo inizio, una rivoluzione di imposta-zione, nondimeno Guicciardini si inserisce, se non come figlio certo co-me attento lettore, nel grande alveo della tradizione, prima classica e poiumanistica 3.

    La Storia d’Italia, prima opera storiografica del Guicciardini concepi-ta per la pubblicazione, è infatti decisamente impostata sul principio ci-ceroniano dell’opus oratorium maxime e sulle sue esigenze di decorum ri-flesse nel profilo classicheggiante costituito dall’attenzione agli eventi mi-litari, la scansione annalistica, il largo impiego di orazioni, suggerendocosì un impianto tipicamente, ma anche genericamente, liviano4. Al con-

    INTRODUZIONE

    1 In realtà la vera formula è sed ex ipso historiae parente Guicciardino (Bodin, p.72).

    2 De Caprariis 1950, p. 87.3 Sebbene distante dalla figura dell’intellettuale rinascimentale di estesissime lettu-

    re greche e latine e costretto alla scrittura nelle pause concessegli, o impostegli, dallesue funzioni, Guicciardini era provvisto, oltre ai presto dimenticati rudimenti della lin-gua greca («ed oltre alle lettere latine imparai qualche cosa di greco, che poi in spaziodi qualche anno, per avere altro esercizio, dimenticai», Ricordanze, pp. 53-54), della so-lida cultura latina propria del suo ceto, tanto che si cimentò anche in epistole umanisti-che e versi latini (cfr. Ridolfi 1960, p. 9). Al contrario, sulla complessa relazione con lastoriografia fiorentina in volgare, cfr. Phillips 1984b.

    4 La teorizzazione umanistica si era condensata nell’Actius del Pontano (p. 193:Eam [i.e. historiam] maiores nostri quandam quasi solutam poeticam putavere, rectequeipsi quidem; pleraque enim habent inter se communia: ut rerum vetustarum ac remotarum

    Barucci G.I segni e la storiaQueste pagine sono tratte da un volume pubblicato da LED Edizioni Universitarie.Cliccando su questa pagina si accede alla pagina web dedicata al volume.

    http://www.lededizioni.com/catalogo/baruccisegni.html

  • 14 INTRODUZIONE

    trario, da un punto di vista ideologico e culturale, grazie anche alle espli-cite menzioni di Guicciardini stesso nei Ricordi, sono state avvertite dailettori piuttosto affinità ideologiche, politiche, esistenziali, spesso persinoumorali con il pensiero di Tacito.

    Se rade e incerte tracce lasciò Tacito nel Medioevo, la sua diffusionefu limitata e travagliata fino a tutto l’Umanesimo, per quanto il manoscrit-to Mediceo II (l’attuale Laurenziano 68, 2, includente ann. XI-XVI e leHistoriae) 5 fosse riaffiorato presumibilmente già nel 1362 a Montecassino;che la sua diffusione a Firenze si debba a Zanobi da Strada (come sostieneBillanovich 6) o direttamente a Boccaccio (come ritengono Mendell7 eSchellhase 8), certo è che Tacito fu utilizzato per i suoi materiali nel De cla-ris mulieribus del 1362, nelle Genealogiae deorum e, esplicitamente, nelCommento sopra la Commedia, entrambi del 1373 9. Fino all’acquisto delMediceo II da parte di Niccolò Niccoli nel 1427, Tacito ricorre tuttaviasolo nelle opere di Benvenuto da Imola (nel commento sulle figure dante-sche di Cleopatra e Seneca), Domenico Bandino di Arezzo (nei ritratti diAgrippina, Messalina, Poppea e Venere contenuti nel suo Fons memorabi-lium universi, in cui compare anche un elogio di Tacito come scrittore),Coluccio Salutati (in una lettera del 1395 al Bessarione, con espressioni pe-raltro limitative nei confronti delle qualità storiche e letterarie di Tacito)10.

    repetitiones, ut locorum, populorum, nationum, gentium descriptiones, quin etiam illo-rum situs, mores, leges, consuetudines, ut vitiorum insectationes, virtutum ac benefacto-rum laudes; utraque enim demonstrativo versatur in genere, nec minus etiam in delibera-tivo, quod ipsum conciones indicant ac consilia, quibus tum poetica tum historia maximeornatur gloriaturque ex iis locupletiorem sese bonis ab auctoribus redditam) e nei Rhetori-corum libri V del Trapezunzio (c. 82v: Cum historia sit rerum gestarum diligens exposi-tio, qui historiam scribit, primum dabit operam, ut rerum et temporum ordinem servet,quod erit si in rebus magnis memoratu dignis, consilia primum, deinde acta, post eventusexequatur, hisque omnibus addet, quod cuiquam proprium est. De consiliis quid probet,quid improbet significabit. In rebus gestis non solum quid actum, aut dictum sit, sed etiamquomodo, et cur demonstrabit. Eventus ita declarabit, ut causae explicentur omnes vel ca-sus, vel sapientiae, vel temeritatis. Hominum quoque ipsorum non tantum res gestas, sedetiam qua fama ac nomine excellant, qua vita atque natura sint, breviter ostendet. Quodnon ubique, neque de omnibus faciet, sed cum de singularibus atque illustribus viris sermohabetur). Sulle teorizzazioni umanistiche sulla storiografia si vedano almeno Cotroneo1971; Regoliosi 1991; Monti Sabia 1992; Vasoli 1992.

    5 Sulla situazione dei manoscritti si veda Tarrant 1990. Sulla marginalità del mano-scritto L, si vedano Goodyear 1965 e Goodyear 1970a, che contestano Mendell 1957,p. 328.

    6 Billanovich 1953, pp. 30-33.7 Mendell 1957, p. 237.8 Schellhase 1976, p. 5.9 Schellhase 1976, pp. 4-7.

    10 Schellhase 1976, pp. 8, 19-21. Si veda anche Mendell 1957, pp. 225-238, 240-241.

  • 15INTRODUZIONE

    Fu però con la Laudatio di Leonardo Bruni che si ebbe per la prima voltaun uso politico dello storico latino, in particolare per il tema della degene-razione dei valori civili e culturali causata dalla tirannide11. Allorquandonel 1441 il Mediceo II, insieme agli altri manoscritti di Niccolò Niccoli,confluì nella neonata biblioteca pubblica di San Marco, persino più limita-to ne rimase l’uso, comunque confinato alla dimensione documentaria olinguistica: l’Alberti se ne avvalse nel De architectura, Biondo nei suoi trat-tati eruditi, Sicco Polenton nei suoi Scriptores illustres linguae latinae per labiografia di Seneca. Né giovarono alla diffusione di Tacito le Elegantiaelinguae latinae del Valla, di osservanza ciceroniana per quanto incrinatadal ricorso a esempi tratti dagli stessi Annales e Historiae nelle Recrimina-tiones in Facium.

    Anche la teorizzazione umanistica relegò Tacito a un ruolo di secon-do piano, ben dietro la salda diarchia Livio-Sallustio sancita già da Quin-tiliano, De institutione oratoria 1, 31 e cristallizzata da Pontano 12 e Tra-pezunzio; il primo, infatti, asserisce l’eccellenza dei due nei rispettivi ge-neri storiografici e stili:

    Licet autem in Livio Sallustioque, historiae Romanae principibus, diver-sa splendescant claritate quae historia digna sunt lumina dicendique inaltero maiestas heroica pene quaedam emineat atque uterque fuerit poeti-cae admodum studiosus … tamen Livius in plurimis oratori similior est,Sallustius vero historicis tantum legibus ubique videtur addictus.

    Nam quanquam et Tacitus et Curtius abunde sunt laudibus ac virtutibusornati suis, laus tamen omnis Latinae historiae penes duos putatur exi-stere diversoque in dicendi genere, Livium ac Sallustium. 13

    Parimenti Trapezunzio pone Livio e Sallustio come imprescindibili mo-delli, il primo per opere di ampio respiro e il secondo per le monografie:

    demum Sallustii et T. Livii, quos his diebus in historia solum imitandoscenseo, … T. Livium ergo historico per omnia imitandum putamus, nisiquis carptim historiam conscribit; nam tum et ad demonstrationem decli-nabit, et ab effusa Sallustii copia nonnihil poterit assumere. 14

    Similmente il Panormita, pur allargando lo spettro dei modelli, pone conchiarezza la distanza tra Tacito e quelli che erano percepiti come i massi-mi rappresentanti della storiografia latina:

    11 «To be sure, Tacitus had been used extensively for his theses as well as his infor-mation since the time of Bruni and Poggio», cfr. Cochrane 1981, p. 257.

    12 Eppure Pontano ben conosceva Tacito, cfr. Ullman 1959.13 Actius, pp. 194-195, 231.14 Rhetoricorum, cc. 83r e 84r.

  • 16 INTRODUZIONE

    Nam etsi Livio, Sallustio, Caesari, summis illis viris, magnum ac praelu-stre sit in historia nomen, non propterea Tacitus, Curtius, Svetonius, me-diocres viri, suo honore precioque fraudantur, quin immo ipsis humilibusac propre infimis suo est et laus et adfectio. 15

    Allo stesso modo nell’ultimo decennio del XV secolo il Calco, allorquan-do nella prefazione ai suoi Rerum patriae seu Mediolanensis historiae libriXX ab origine urbis ad a. 1313 introduce Tacito in un lungo e disordinatoelenco di fonti classiche colpevolmente trascurate dal Merula, ne limital’uso a fonte documentaria.

    Profecto pauciora quam debuit, et ex professione eius sperabatur praecep-tor noster transtulit ex Tito Livio, Strabone, Ptolomaeo, Plutarcho, Sue-tonio, Dione, Eusebio, Claudiano, Paulo Diacono. Praeterea excerperealiquid potuisset ex M. Tullij Ciceronis orationibus, Asconio Pediano,Valerio Maximo, Appiano Alexandrino, Cornelio Tacito, Ammiano Mar-cellino, Julio Frontino, Suida, quos intactos penitus reliquit. 16

    Il numero stesso delle edizioni rivela una diffusione relativamente limita-ta; alla princeps veneziana del 1470 ‘per Vindelinum de Spira’ (includenteann. XI-XVI, hist. I-V, Germania, Dialogus de oratoribus), seguirono inItalia nel 1475-1480 l’edizione milanese di Francesco Puteolano (che ag-giungeva l’Agricola) per lo Zarotto, poi ristampata nel 1497 a Venezia 17

    per Filippo Pinzi, e quella veneziana del Rivius nel 1512. Una nuova sta-gione si aprì solo quando il Mediceo I (futuro Laurenziano 68, 1), conte-nente i primi sei libri 18 degli Annales, fu sottratto a Corvey da AngeloArcimbaldo e portato a Roma nel 1508 (o 1509), dove venne affidato daLeone X a Filippo Beroaldo il Giovane 19 che ne curò l’edizione del 1515per i torchi di Stefano Guilleret; a questa seguirono in breve tempo l’edi-zione milanese dell’Alciato nel 1517, una giuntina del 1527, una degli ere-di di Aldo Manuzio nel 1534 e una di nuovo dell’Alciato nel 153520.

    15 Panormita, pp. 66-67.16 Calco, Praefatio, [p. 4].17 Incerte tracce si hanno anche di un’ulteriore edizione veneziana nel 1494, cfr.

    Ruysschart 1949, p. 24.18 Si approfitta per ricordare che sarà solo con Giusto Lipsio nel 1574 che si arrive-

    rà alla distinzione tra Annales e Historiae (mentre precedentemente la numerazione,sulla scorta del Mediceo II, era progressiva e per lo più sotto il titolo complessivo Abexcessu divi Augusti) e al riconoscimento dell’esistenza del frammento di ann. 5; cfr.Mendell 1957, pp. 345-348.

    19 Cfr. Sabbadini 1905, p. 164; Mendell 1957, pp. 239-255; Reynolds - Wilson1987, p. 145; Schellhase 1976, p. 12.

    20 A queste si debbono aggiungere l’edizione del 1519 del Frobenius a Basilea e,sempre a Basilea, l’edizione rivoluzionaria di Beatus Rhenanus del 1533. Per la storiadelle edizioni si vedano Ruysschart 1949, Valenti 1951 e Mendell 1957, pp. 349-374. Si

  • 17INTRODUZIONE

    Soprattutto, però, furono gli stravolgimenti politici successivi alla di-scesa di Carlo VIII a portare nuova rilevanza alle opere tacitiane e ad av-viarne quella lettura politica che costituì parte primaria della cultura deltardo Cinquecento e del Seicento. Se, per Machiavelli, ancora sporadichesono le presenze di Tacito nel Principe (ad esempio ann. XIII 19, 1 e hist.III 86, 5), ben diversi si prospettano i Discorsi (ann. III 55, 5; ann. XV68, 3; hist. II 86, 1; hist. IV 3, 2 e hist. IV 8, 2) di cui molti passi denun-ciano una marcata lettura ideologica 21, così come si ha una progressivaassimilazione della storiografia tacitiana nella riflessione del Guicciardini.Per quanto più che incerta resti l’identificazione dell’edizione usata daGuicciardini, probabilmente la prima conoscenza che questi ebbe del-l’opera di Tacito risale all’edizione da parte di Filippo Beroaldo il Giova-ne nel 1515 22, in cui comparivano anche i primi sei libri degli Annales, aiquali è da restringere l’asserzione che figura nelle Cose fiorentine che Ta-cito venne alla luce «non molti anni sono» 23, probabilmente influenzatadall’indicazione noviter inventi del frontespizio dell’edizione di Beroaldo.Schellhase insiste, invece, sull’influenza su Guicciardini delle Annotatio-nes in Tacitum dell’Alciato, sia per la sua identificazione di Tacito come«great teacher of ragion di stato», sia per la larga diffusione avuta dallasua edizione 24.

    veda anche Burke 1966, a conferma che le edizioni europee di Tacito, pur rimanendoampiamente inferiori per numero a quelle delle monografie sallustiane, registrarono unnotevole incremento dal periodo 1450-1499 a quello 1500-1549.

    21 Sebbene Schellhase riduca sostanzialmente la dimensione tacitiana delle Istoriefiorentine, si vedano comunque Cabrini 1985, p. 302, nota 109 e Anselmi 1979, pp. 15ss. In particolare il passo in cui viene menzionato Tacito, a proposito delle origini dellacittà, si trova in II 2, p. 68: «E quello vocabolo Fluentini conviene che sia corrotto, per-ché Frontino e Cornelio Tacito, che scrissono quasi che ne’ tempi di Plinio […]»; piùampiamente al riguardo si vedano Sasso 1987, pp. 479-489, e l’approfondito Martelli1998, in cui si rintracciano le presenze tacitiane implicite ed esplicite, rilevandone tutta-via i frequenti fraintendimenti, come già fece Schellhase 1976, pp. 67, 78-79. PeraltroTacito, inserito in un lungo elenco di letture storiche, era citato nella lettera del 23 no-vembre 1513 del Vettori a Machiavelli; nella celebre risposta del 10 dicembre 1513questi, in serrata antifrasi, menzionerebbe invece ironicamente solo letture poetiche perrintuzzare l’esibizionismo culturale dell’amico, cfr. Sasso 1980, p. 296.

    22 L’edizione utilizzata da Guicciardini è riconosciuta in quella di Beroaldo adesempio da La Penna 1978, p. 233. È da segnalare, peraltro, che le varianti rispetto altesto stabilito criticamente sono minime, riconducibili soprattutto, oltre che ovviamen-te alla punteggiatura e a varianti grafiche, a occasionali varianti sinonimiche. Alla lucedi ciò, si è scelto di citare direttamente dalle edizioni moderne; tuttavia nei casi, comun-que assai rari, di sostanziale differenza, si indica anche la lezione dell’edizione di Be-roaldo, assunta qui a parametro anche perché il testo non subì variazioni fino all’edizio-ne di Beatus Rhenanus del 1533 (cfr. Goodyear 1972, p. 6), comunque successiva alleprime attestazioni tacitiane in Guicciardini.

    23 Cose fiorentine, p. 6.24 Schellhase 1976, pp. 84 ss.

  • 18 INTRODUZIONE

    Guicciardini, di per sé, menziona Tacito tre volte nei Ricordi 25, unavolta nell’Oratio accusatoria sulle indicazioni lasciate da Augusto a Tibe-rio sulle persone di cui non si dovesse fidare 26 e due volte nelle Cose fio-rentine sul tema dell’origine e del nome di Firenze 27, concedendogli dun-que un rilievo come fonte davvero eccezionale all’interno della sua opera.Proprio per Tacito, che pure tanto a fondo era stato meditato da Guic-ciardini, scarse sembrano essere invece le tracce di un influsso anche nar-rativo e formale; se però la dimensione concettuale di un’opera storiogra-fica non prescinde dalla sua rappresentazione narrativa 28, che ne è anziparte costitutiva, allora è ipotizzabile che l’ombra tacitiana sia riconduci-bile anche a elementi formali identificabili. Posto dunque che, come os-serva Biondi, all’interno della Storia d’Italia «all’articolatissima diegemati-ca dei fatti si alterna, con discrezione, l’assiomatica delle sezioni valutati-ve: nelle forme classiche della digressione, del ritratto, del discorso» 29,sarà allora soprattutto in quest’ultime, depositarie dell’istanza meditativa

    25 Ricordi C 13, C 18 e, poi escluso dalla stesura definitiva, B 101, tutti casi inoltreche risalgono sostanzialmente immutati già alla redazione A, e quindi anteriori al 1525;è dunque da correggere l’asserzione di Schellhase 1976 che individua in una lettera del23 ottobre 1526 la prima attestazione esplicita della conoscenza di Tacito da parte diGuicciardini. Condivisibili invece le sue obiezioni a Ridolfi 1960, p. 9, che aveva asseri-to che lo storico fiorentino avrebbe letto Tacito prima dei sedici anni, cfr. Schellhase1976, p. 207, nota 97.

    26 C 13 e l’Oratio accusatoria sono strettamente connessi; in C 13 si cela infatti unadéfaillance mnemonica, poiché Guicciardini asserisce: «Chi vuole vedere quali sieno epensieri de’ tiranni legga Cornelio Tacito, quando referisce gli ultimi ragionamenti cheAugusto morendo ebbe con Tiberio» mentre Tacito non fa cenno ad alcuna conversa-zione tra i due imperatori (vixdum ingressus Illyricum Tiberius properis matris litteris ac-citur; neque satis conpertum est spirantem adhuc Augustum apud urbem Nolam an exani-mem reppererit, sono le uniche parole di Tacito in ann.(a) I 5, 3), che invece ritorna inSuet. Aug. 98, 5 e Tib. 21, 1; tuttavia proprio questo passo così contestabile è stato ad-dotto da Varotti per mostrare quanto profonda fosse la riflessione del Guicciardini sultesto tacitiano, tanto da avere contaminato il brano della morte di Tiberio con ann. I13, in cui Augusto espone le sue opinioni su quali fossero tra la nobiltà i più pericolosioppositori (Varotti 1987, pp. 191 ss.). Poiché tale indicazione si ha già in Schellhase1976, p. 206, nota 76, sorprende che questi non accolga invece il richiamo ad ann. I 13proprio per l’Oratio accusatoria, in cui si asserisce esplicitamente che Augusto «lasciòper ricordo a Tiberio, successore suo, chi erano quegli di chi non doveva fidarsi». Pe-raltro Goodyear 1972, p. 181, considera proprio i supremi sermones di ann. I 13 comerivolti a Tiberio.

    27 «Et nondimeno Cornelio Tacito, hystorico assai vicino a quella età, et SextoFrontino, dove accade loro fare menzione di Firenze […]», «Et Cornelio Tacito confer-ma el nome medesimo di Florentia» (Cose fiorentine, pp. 4 s.).

    28 «For a historian, especially one as rigorously concerned with narrative as Guic-ciardini, narrative is itself a major form of explanation» (Phillips 1977, p. 121). Sulleconnessioni tra storiografia e racconto di finzione si veda anche Barthes 1988.

    29 Biondi 1984, p. 1087.

  • 19INTRODUZIONE

    di Guicciardini in uno stato anfibio in cui la classicità si innerva dellanuova elaborazione, da cercare l’emersione della memoria di Historiae eAnnales.

    All’interno della tessitura dell’opera, Guicciardini si cimenta infatti inun organico recupero di elementi tacitiani che ricorrono in alcuni ganglireferenziali, come il proemio, o strutturali, come in certe battaglie, assedi,discorsi, che scandiscono l’evolversi degli eventi, oppure nelle descrizionidi taluni protagonisti esemplari, o ancora in certe tecniche rappresentati-ve e investigative di azioni e pensieri utilizzate per moltissimi personaggi.Si tratta dunque di un sistema di modelli che attribuiscono all’opera guic-ciardiniana un’impronta tale da permettere al lettore contemporaneo diriconoscere, anche inconsapevolmente, il timbro del grande precursore,in un apporto di idee, umori, concezioni molteplice e multiforme, da unimmediato parallelismo intertestuale a una più occulta strategia elaborati-va di elementi topici della storiografia classica.

    Se infatti a Guicciardini, ormai interamente rivolto alla gloria lette-raria, la forma classica si imponeva in ossequio ai parametri del genereormai consolidati e alle aspettative del pubblico 30, non siamo mai però difronte a una inerte trasposizione di frasi o espressioni rivolte al conse-guimento di un puro decorum; assistiamo invece a un’operazione di estre-ma complessità letteraria per la quale si può parlare di «trascendenza te-stuale del testo» 31 così da permettere di riconoscere, tra le opere dellostorico latino da una parte e la Storia d’Italia dall’altra, una polarizzazio-ne ipotesto-ipertesto 32; si verifica dunque un intenso dialogo tra Tacito eGuicciardini, con quest’ultimo impegnato in una rilettura dell’opera delgrande storico e scrittore latino reinterpretato, se non nello stile, nellapartitura.

    Si può dunque parlare di scelta letteraria da parte dello storico fio-rentino nel senso che la Storia d’Italia vive, oltre che della propria origi-nalità, anche della memoria del precursore, dei suoi espedienti, delle suestrutture, delle sue immagini 33. Inoltre, a prescindere dalle categorie e

    30 In tale ottica la selezione di «sentenze frasi modi vocaboli di Livio per ornarnel’opera sua», cfr. Ridolfi 1960, p. 324.

    31 «Il fatto è che i confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente delimita-ti: al di là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazioneinterna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di riman-di ad altri libri, ad altri testi, ad altre frasi: il nodo di un reticolo […] la sua unicità è re-lativa e variabile. Perde la sua evidenza non appena la si interroga; incomincia ad indi-carsi e a costruirsi soltanto a partire da un campo complesso del discorso» (Foucault1971, p. 31).

    32 Naturalmente si fa riferimento per la terminologia alla capitale opera di Genette1997.

    33 Emanuella Scarano riconosce invece la letterarietà del genere storiografico nel

  • 20 INTRODUZIONE

    dalle forme imposte dal genere, quest’opera si svincola, forse anche piùdi altre opere precedenti, dal puro genere storiografico, non solo perchéin quanto testo narrativo è per ciò stesso una fabula ficta, ma anche pro-prio perché ben viva agisce e opera in essa la consapevolezza dei legami edegli influssi letterari che sottostanno all’elaborazione e alla riflessionedell’autore; come infatti osserva Roberto Bigazzi nella Prefazione a I rac-conti di Clio, la letterarietà del testo storiografico possiede una dimensio-ne sua propria che, pur senza raggiungere le radicalizzazioni proprie diHayden White 34, apporta un significato aggiuntivo articolandosi in varimodelli narrativi contraddistinti da un proprio spessore culturale35. Nonpoteva infatti sfuggire a Guicciardini che il portato concettuale di un’o-pera storica non viene veicolato solo dalle sezioni più puramente ideo-logiche, ma che le stesse tecniche rappresentative arricchiscono, sia purein forma mediata, la costellazione di idee attive all’interno dell’opera36.L’opzione per moduli tacitiani, nel recupero di un filone storico diversoda quello liviano allora certo maggioritario, comporta dunque un ulterio-re addensamento di significati che costituiscono il risvolto più eminente-mente ‘storiografico’ dell’opera. Gli elementi tacitiani divengono alloraper il lettore più accorto e consapevole una sequenza di indizi che per-mette di innestare nella riflessione sulla decadenza italiana l’elaborazionetacitiana sulla degenerazione di Roma, cogliendone affinità e divergenze,riconoscendone premesse e anticipazioni 37.

    Naturalmente, il margine di contrattualizzazione autore-lettore è am-plissimo, in quanto, se pure ogni testo è sempre e comunque ipertestuale,in questo caso nessun elemento paratestuale favorisce il lettore nell’identi-ficazione di tale relazione così che questi ne possa trarre qualche indiziointerpretativo. Lo storico nasconde infatti i suoi maestri; sta al lettore cer-

    suo essere un «discorso regolato da specifiche convenzioni formali, codificate dall’uso eben riconoscibili nei testi» (Scarano 1990, p. 69). In tale prospettiva, la selezione di talielementi e modelli costituisce una chiara opzione letteraria.

    34 White 1973.35 Bigazzi 1989b.36 All’interno della contrapposizione tra ‘racconto’ e ‘discorso’ nella storiografia

    fiorentina, a proposito della propensione di Guicciardini per la tecnica rappresentati-va Phillips 1986, p. 59, osserva: «Behind this narrative marked by unusual intricacyand compression stands a reticent author. His judgments are expressed impersonallyin character studies, the artful juxtaposition of speeches, or the occasional flash ofaphorism».

    37 Simile operazione riconosce Momigliano in Machiavelli: «Mostravano [le citazio-ni di Tacito in Machiavelli] che i libri di Tacito avevano senso solo se usati per spiegareperché anche la Roma repubblicana – con tutta la sua capacità di trasformare lotte poli-tiche in fonti di forza politica – cadde sotto il controllo dei monarchi […]» (Momiglia-no 1992, p. 125).

  • 21INTRODUZIONE

    care di individuare le reminiscenze suggerite dal brano e, risalendo all’i-potesto, delineare il processo ricostruttivo operante nella mente dell’auto-re, arricchendo quindi in questa maniera le proprie potenzialità di inter-pretazione sul singolo brano alla luce dell’archetipo ricostruito.

  • Nella tradizione classico-umanistica il proemio, come noto, era il luogodeputato alla selezione dei modelli stilistici e metodologici; in ossequio atale paradigma la Storia d’Italia enuncia, attraverso un’articolata trama dirimandi ai proemi dei grandi storici latini, lungo quali linee ispirative simuoverà l’elaborazione dell’autore, permettendo di individuare tracce ri-conducibili ad almeno tre opere: il De coniuratione Catilinae e il De belloIugurthino di Sallustio e le Historiae di Tacito.

    I proemi delle due operette sallustiane presentano infatti con quellodella Storia d’Italia, al di là della evidente differenza di stile, alcune analo-gie strutturali suffragate da riecheggiamenti tematici e spie semantiche.In entrambe le monografie sallustiane è riconoscibile una scansione rego-lare, che al proemio vero e proprio 1 – incentrato sulle idee dell’autoresulla storia, la società e la natura umana e sulla presentazione della pro-pria figura 2 – giustappone il ‘prologo’ o presentazione del tema dell’ope-ra; benché solo per quest’ultimo sia possibile un puntuale raffronto conla Storia d’Italia, nel caso della De coniuratione Catilinae già la prima se-

    I

    «IO HO DELIBERATO»VALORE PROGRAMMATICO

    E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    1 Sullo slittamento dei confini posti dai vari lettori per le monografie di Sallustio siveda Giancotti 1971, pp. 16 ss. e pp. 95 ss. Al contrario, se la Storia d’Italia appare for-temente scandita in capitoli, in realtà la suddivisione in capitoli e paragrafi (nonché l’ap-posizione dei comodi riassuntini introduttivi e una revisione della punteggiatura) del-l’opera del Guicciardini fu eseguita dal Rosini nella sua fortunatissima edizione: Istoriad’Italia di Messer Francesco Guicciardini, alla miglior lezione ridotta dal professor Gio-vanni Rosini, Pisa, presso Nicolò Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1819-1820, cfr. Lu-ciani 1949, p. 19.

    2 Giancotti 1971, p. 181 parla di ripartizione in «considerazioni filosofiche generi-che (Catil. 1-2; Iug. 1-2), e considerazioni sul proprio tempo e sulla propria persona(Catil. 3-4; Iug. 3-4)».

  • 24 VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    zione, impostata sul tema del collasso morale dei potenti e, nella instabili-tà delle cose umane, il passaggio del potere a nuove più salde mani, per-mette di cogliere alcune affinità con la Storia d’Italia che legittimano unpiù puntuale riscontro 3.

    Inoltre, dopo il tema delle inclinazioni della natura umana e dei meri-ti del servizio allo Stato e dell’impegno storiografico, nel terzo paragrafoSallustio ricorda la sua giovanile passione per la politica in una società incui impudenza, prodigalità e avidità erano prevalsi su modestia, tempe-ranza e virtù (pro pudore, pro abstinentia, pro virtute audacia largitio avari-tia, Catil. 3, 3), delineando un quadro in cui l’ormai vecchio diplomaticocon il suo bagaglio di esperienze e amarezze doveva riconoscersi4. Il ri-cordo 17 («Non crediate a coloro che fanno professione d’avere lasciatole faccende e le grandezze volontariamente e per amore della quiete, per-ché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessità» 5), peraltro,sembra entrare in indiretta polemica proprio con un passo di questa se-zione, una coincidenza accentuata da un passo affine nel proemio del Debello Iugurthino, smentito dal ritiro forzato di Sallustio dalla vita pubbli-ca 6:

    Igitur ubi animus ex multis miseriis atque periculis requievit et mihi reli-cuam aetatem a re publica procul habendam decrevi, non fuit consiliumsocordia atque desidia bonum otium conterere, neque vero agrum colun-do aut venando, servilibus officis, intentum aetatem agere. 7

    Atque ego credo fore qui, quia decrevi procul a re publica aetatem agere,tanto tamque utili labori meo nomen inertiae inponant, certe quibus ma-xuma industria videtur salutare plebem et conviviis gratiam quaerere.

    3 Quod si regum atque imperatorum animi virtus in pace ita ut in bello valeret, ae-quabilius atque constantius sese res humanae haberent, neque aliud alio ferri neque muta-ri ac misceri omnia cerneres (Catil. 2, 3) e Verum ubi pro labore desidia, pro continentiaet aequitate lubido atque superbia invasere, fortuna simul cum moribus inmutatur. Ita im-perium semper ad optumum quemque a minus bono transfertur (Catil. 2, 5-6).

    4 Al riguardo dell’attività storica come compensazione delle delusioni politiche al-l’interno dell’intero panorama storiografico fiorentino si veda Phillips 1983, pp. 191-206.

    5 Lo stesso concetto ricorreva già nelle redazioni A 32 e B 57 e ritorna nella Conso-latoria, p. 180.

    6 Non propriamente immacolata – ma le fonti, la pseudociceroniana Invettiva con-tro Sallustio, una satira di Pompeo Leneo, la biografia di Asconio Pediano, gli sono vio-lentemente avverse – fu la carriera politica di Sallustio Crispo. Espulso nel 50 a.C. dalSenato per immoralità, vi fu riammesso nel 48 per intervento di Cesare, che l’anno se-guente gli evitò un’accusa di concussione dovuta al suo abnorme arricchimento duran-te il proconsolato in Africa. Nel 44, infine, alla morte del suo potente protettore, nonpoté che ritirarsi.

    7 Catil. 4, 1.

  • 25VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    Qui si reputaverint, et quibus ego temporibus magistratus adeptus sum[et] quales viri idem adsequi nequiverint et postea quae genera hominumin senatum pervenerint, profecto existumabunt me magis merito quamignavia iudicium animi mei mutavisse … 8

    Nella seconda sezione dei proemi, più strettamente programmatica, evi-dente è invece il rapporto tra le due opere sallustiane e la Storia d’Italia,rintracciabile già nella dichiarazione dell’impegno storiografico (statui …perscribere 9, poi rafforzato da igitur … absolvam 10, nel De coniurationeCatilinae e Bellum scripturus sum 11 nel De bello Iugurthino) che ha un im-mediato riscontro nella dichiarazione «Io ho deliberato di scrivere» 12.Tale rapporto è ribadito nell’enunciazione dell’argomento e della sua lo-calizzazione (res gestas populi romani 13, poi specificato da de Catilinae co-niuratione 14 nel Catilina e bellum … quod populus Romanus cum Iugurtharege Numidarum gessit 15 nel Iugurtha), che richiama «le cose accadutealla memoria nostra in Italia, dappoi che l’armi de’ franzesi», e infine nel-la motivazione di tale scelta (nam id facinus in primis ego memorabile exi-stumo sceleris atque periculi novitate 16 e primum quia magnum (scil. bel-lum) et atrox variaque victoria fuit, dein quia tunc primum superbiae nobi-litatis obviam itum est 17). Il corrispondente passo guicciardiniano («mate-ria, per la varietà e grandezza loro, molto memorabile e piena di atrocissi-mi accidenti») evidenzia infatti coincidenze nell’attenzione alla ‘memora-bilità’ del fatto e alla sua ‘eccezionalità’ e ‘grandezza’ (si osservi in parti-colare la compresenza di atrox - «atroce», variaque - «varietà», magnum -«grandezza», memorabile - «memorabile»).

    Inoltre, all’interno del De bello Iugurthino l’argomento è illustrato daun passo in cui vengono accentuate le conseguenze e il generale sconvol-gimento (quae contentio divina et humana cuncta permiscuit eoque vecor-diae processit, ut studiis civilibus bellum atque vastitas Italiae finem face-ret 18), e che trova riscontro nella Storia d’Italia («avendo patito tanti anniItalia tutte quelle calamità con le quali sogliono i miseri mortali, ora perl’ira giusta d’Iddio ora dalla empietà e sceleratezze degli altri uomini, es-

    8 Iug. 4, 3-4.9 Catil. 4, 2.

    10 Catil. 4, 3.11 Iug. 5, 1.12 Storia d’Italia I 1, p. 5.13 Catil. 4, 2.14 Catil. 4, 3.15 Iug. 5, 1.16 Catil. 4, 4.17 Iug. 5, 1.18 Iug. 5, 2.

  • 26 VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    sere vessati»). Benché non sia possibile un raffronto puntuale, si incontrala citazione delle due sfere, umana e divina, coinvolte nel conflitto, perquanto siano in Guicciardini concause dello sconvolgimento e viceversain Sallustio lo subiscano; a ciò è poi accostabile il riferimento, nel primoparagrafo della Storia d’Italia, all’alterazione violenta della situazione ita-liana (permiscuit - «perturbarla» 19).

    In tutte e tre le opere il racconto vero e proprio viene rinviato, antici-pato prima dalla descrizione di un personaggio e delle premesse storicheattraverso una clausola che permette un confronto incrociato fra i treproemi 20.

    Ma le calamità d’Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora lostato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbeno l’origine tanti mali)cominciorono con tanto maggiore dispiacere […] quanto le cose uni-versali erano allora più liete […].

    Sed prius quam huiusce modi rei initium expedio, pauca supra repetam,quo ad cognoscendum omnia illustria magis magisque in aperto sint. 21

    De quoius hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam initiumnarrandi faciam. 22

    Comuni risultano il forte senso di cesura dato dall’avversativa («Ma», Sed,ma anche la brusca relativa De quoius hominis moribus), la negatività dellamateria (implicita nel riferimento ai costumi di Catilina), la sua contestua-lizzazione storica («cominciorono […] quanto le cose universali erano al-lora più liete»), la specificazione della funzione pragmatica della digres-sione al fine di meglio chiarire gli eventi, con imposizione dell’Io storico(«acciocché io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le ca-gioni dalle quali ebbeno l’origine tanti mali» e implicita in Sallustio nelgerundivo explananda), l’accenno alle «calamità» e ai «tanti mali».

    Il ritratto che costituisce elemento costante di tale analisi è riconosci-bile nel De coniuratione Catilinae nel primo ritratto di Catilina, da cuimuove lo storico per rievocare nostalgicamente l’antica repubblica nella‘archeologia’ di stampo tucidideo, seguendone poi il rovinoso declino

    19 «Dappoi che l’armi de’ franzesi […] cominciorono con grandissimo movimentoa perturbarla», Storia d’Italia I 1, p. 5.

    20 Ciò rientrava tra i precetti della storiografia umanistica, come indica l’Actius, p.217: Quodque causis iis quae propinquae quidem sunt aliquid tamen sese quandoqueostendit antiquius, huius quoque tanquam principii nobiliorisque originis facienda est re-petitio, antiquitasque atque obliteratio ipsa in memoriam revocanda et tanquam exponen-da in lucem, a cui segue proprio l’esempio sallustiano.

    21 Iug. 5, 3.22 Catil. 4, 5.

  • 27VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    causato da primo pecuniae, deinde imperi cupido 23. Similmente, in Guic-ciardini ricorre, benché in ordine inverso, il medesimo accostamento diuna descrizione (dei tempi felici anteriori alla morte del Magnifico) e unritratto. La descrizione del Guicciardini è meno concreta di quella del Deconiuratione Catilinae; nondimeno, gli elementi addotti sono quasi i me-desimi: potere autoctono, ricchezza, magnificenza dei principi, bellissimecittà, maestà della religione, virtuosi amministratori, nobili ingegni, gloriamilitare.

    Il ritratto – quello vituperoso di Catilina 24 per Sallustio, quello vir-tuoso del Magnifico per Guicciardini 25 – si sviluppa secondo il medesi-mo schema: in primo luogo la condizione familiare (L. Catilina, nobili ge-nere natus 26 – «cittadino tanto eminente sopra il grado privato nella cittàdi Firenze» il de’ Medici), poi il tratto intellettuale e morale (magna vi etanimi et corporis, sed ingenio malo pravoque 27 - «industria e virtù di Lo-renzo de’ Medici […] per consiglio suo si reggevano le cose»), quindi unbrevissimo resoconto biografico huic ab adulescentia bella intestina cae-des rapinae discordia civilis grata fuere 28 e hunc post dominationem L. Sul-lae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae 29 - «congiunto conparentado, e ridotto a prestare fede non mediocre a’ consigli suoi Inno-cenzo ottavo»), il comportamento quotidiano (Agitabatur magis magi-sque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum 30 eIncitabant praeterea conrupti civitatis mores 31 - «procurava con ogni stu-dio che le cose d’Italia in modo bilanciate si mantenessino […] vegghiarecon somma diligenza»). Invece, la più approfondita descrizione morale ecaratteriale dell’uomo, inclusa per Catilina nella generale descrizione ini-ziale (animus audax subdolus varius, quoius rei lubet simulator ac dissimu-lator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus 32), per il Ma-gnifico è rinviata al momento della morte che, pur preceduto da una for-te cesu- ra, è fortemente legato al proemio («per la riputazione e pruden-za sua e per lo ingegno attissimo a tutte le cose onorate e eccellenti […]era mezzo a moderare e quasi uno freno ne’ dispareri e ne’ sospetti» 33).

    23 Catil. 10, 3.24 Catil. 5, 1-8.25 Storia d’Italia I 1, p. 6. De Caprariis 1950, p. 117, parla di «trasfigurazione».26 Catil. 5, 1.27 Catil. 5, 1.28 Catil. 5, 2.29 Catil. 5, 6.30 Catil. 5, 7.31 Catil. 5, 8.32 Catil. 5, 4.33 Storia d’Italia I 2, p. 10.

  • 28 VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    L’articolazione dei due ritratti, impostati sugli stessi elementi, così comeil loro contesto, delinea allora una stridente contrapposizione tra il se-minatore di scismi e odî della res publica e il pacificatore e conservatoredella concordia italiana, suggerendo così in controluce il generale deca-dimento che già si profila dietro la morte del Magnifico. La medesimaintelaiatura dell’antefatto, sebbene più labilmente, ricorre anche nel Debello Iugurthino con la contrapposizione della presentazione morale e in-tellettuale del protagonista (pollens viribus, decora facie, sed multo maxu-me ingenio validus, non se luxu neque inertiae conrumpendum dedit …plurumum facere, [et] minumum ipse de se loqui) 34 e della descrizione de-gli eventi storici antecedenti, sebbene con impostazione diacronica e nonsincronica.

    Più articolata, ma ancor più ricca di prospettive, si rivela la medesimaoperazione eseguita sulle Historiae di Tacito, portando alla luce sovrap-posizioni, trasposizioni, smontaggi. All’indicazione del termine post quemnel consolato di Galba e Tito Vinio e a una riflessione sull’avvilimentodella storiografia nell’epoca del principato, in cui l’autore si sofferma sul-la propria carriera e sulla materia dell’opera, segue, con un netto cambiodi tono e argomento, il prologo, che specialmente nella lezione delle cin-quecentine presenta elementi destinati a modellare il proemio guicciardi-niano 35: Opus aggredior plenum variis casibus, atrox proeliis, discors sedi-tionibus, in ipsa etiam pace saevum 36. Ritorna nel proemio della Storia delGuicciardini in primo luogo la dichiarazione di scrittura, sia pur con unaformula leggermente diversa, con l’attenzione concentrata sull’atto («Ioho deliberato di scrivere le cose accadute in Italia») mentre in Tacito lo èsull’opera. Nondimeno, proprio il sintagma opus plenum variis casibus ri-suona nel capolavoro rinascimentale poche righe dopo, allorché, enun-ciato il termine post quem nella discesa di Carlo VIII, lo storico specificail tema definendolo «materia, per la varietà e grandezza loro [scil. le coseaccadute], molto memorabile e piena di atrocissimi accidenti» 37; espres-

    34 Iug. 6, 1.35 Pur in forma dubitativa vi fa cenno Questa: «Tracce di tacitismo sono avvertibili

    già in Guicciardini (Tacito è citato nel ricordo 18) ed eco di hist. I 2-3, pur nella topici-tà del contesto, a me pare di vedere nelle prime righe della Storia d’Italia», cfr. Questa1975, p. 35, nota 7.

    36 Tacito 1515, c. 136r, corrispondente a hist. I 2, 1. Il testo ristabilito criticamenterecita opimum casibus e ipsa etiam pace saevom.

    37 È da segnalare che proprio questa frase viene utilizzata da Canfora 1972, pp. 78-81, per dimostrare, in una ricca carrellata attraverso i secoli e le opere, la topicità del ri-ferimento alla ‘grandezza’ all’interno dei proemi delle opere storiche. Credo peraltroche la molteplicità di elementi eminentemente tacitiani rintracciabili in così poche righevalga comunque a dimostrare come queste pagine respirino di un continuo richiamoproprio al proemio delle Historiae, tanto più che, se indubbiamente il principio della

  • 29VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    sione che racchiude il senso di molteplicità implicito in plenum variis ca-sibus, tanto più che l’aggettivo possessivo «loro» si riferisce a un «coseaccadute» in cui riecheggia il tacitiano casibus; così il ricorso di atrox nel-la menzione dell’argomento e delle motivazioni della scelta da parte del-l’autore permette di ricostruire quasi una ‘tradizione’ Sallustio – Tacito –Guicciardini.

    La dichiarazione di scrittura è solo il primo dei tre momenti nei qualiè scandito il proemio tacitiano, a cui segue l’enumerazione dei casus: quat-tuor principes ferro interempti; trina bella civilia, plura externa ac plerum-que permixta; prosperae in Oriente, adversae in Occidente res: turbatum Il-lyricum, Galliae nutantes 38. Questo secondo segmento che chiarisce la na-tura degli eventi è correlato al seguente periodo guicciardiniano: «avendopatito tanti anni Italia tutte quelle calamità con le quali sogliono i miserimortali, ora per l’ira giusta d’Iddio ora dalla empietà e sceleratezze deglialtri uomini, essere vessati», che riveste la medesima funzione pragmaticadi anticipare e stringere in poche righe l’argomento dell’opera. Nel terzomovimento troviamo invece nelle pagine del Guicciardini una nostalgicarievocazione dell’Italia laurenziana in cui ritornano ribaltati tutti i temiche contrassegnavano una cruda rappresentazione tacitiana dell’Italiasconvolta dalla decadenza. Gli stessi moduli con i quali i due storici intro-ducono le descrizioni presentano molte somiglianze:

    grandezza dell’argomento è topico, assai diverso se ne rileva l’utilizzo nelle varie operemenzionate da Canfora. Per limitarsi agli altri autori latini o italiani, lo studioso cita perLivio il passo con valore proemiale alla guerra annibalica del libro 21, 1 bellum maximeomnium memorabile, quae umquam gesta sint, me scripturum, esplicitamente ricalcatosulla prassi di plerique … rerum scriptores (Liv. 21, 1). Tralascia invece un altro branoproprio della praefatio: Ceterum aut me amor negotii suscepti fallit, aut nulla unquam respublica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior fuit per la quale peraltro sonoevidenti le divergenze dal passo guicciardiniano in questione (Liv. I, praefatio, 11).Estremamente asettico il corrispondente brano del Rucellai, p. 3 (rem huius aevi longeomnium maximam, neque sine motu maximo generis humani) che effettivamente pro-duce una sensazione di semplice topos; per Machiavelli il concetto della ‘grandezza’ èespresso in maniera assai meno icastica ed incisiva, a favore delle ragioni per cui le di-visioni di Firenze furono «notabilissime». Infine Paolo Giovio, l’unico per il quale sipossa rintracciare una qualche somiglianza – quum bellum, opinione hominum maius acatrocius, in Italia exarsit (vol. III, p. 7) – pur restando assai palesi le dissomiglianze.Benché presenti alcuni dei termini caratterizzanti, ben diversa è poi la costruzione nellatraduzione valliana di Tucidide: Thucydides Atheniensis bellum Peloponnensium Athe-niensiumque, quod inter se gesserunt, conscripsit, exorsus statim ab eo moto: speransetiam fore tum magnum, tum superioribus memorabilius, certis hinc signis, quod et utri-que florebant omni ad bellum apparatu, et caetera Graecia e suis finibus ad alterutros ac-cessit, alii quidem protinus, alii vero post consultationem (Thuc., p. 1). Proprio la «con-notazione dell’argomento come notabile» rappresenta uno dei parametri di letterarietàdella storiografia, cfr. Scarano 1990, p. 75.

    38 hist. I 2, 1.

  • 30 VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    Gli elementi comuni sono molteplici: le particelle disgiuntive in inizio difrase (iam vero - «Ma»), l’ambientazione panitaliana in posizione mnemo-nica, il nesso semantico fortemente rilevato «Italia» - clades/«calamità»(né è da escludere che possa avere giocato una risorgenza fonica), il ri-chiamo adflicta - «dispiacere» (benché riferiti a termini diversi), l’accennoalla novità delle sventure (per Guicciardini totalmente nuove, per Tacitosolo in parte) abbattutesi su un’Italia proveniente da un lungo periodo difelicità. Guicciardini può così rimarcare il concetto di ciclicità con il suc-cessivo riferimento al parallelo implicito dell’«imperio romano, indeboli-to principalmente per la mutazione degli antichi costumi».

    Questo parallelismo si delinea meglio in una puntuale corrisponden-za dei parametri presi in considerazione per esaminare due situazioni op-poste:

    Iam vero Italia novis cladibus velpost longam saeculorum seriem re-petitis adflicta.

    Ma le calamità d’Italia […] comin-ciorono con tanto maggiore di-spiacere e spavento negli animidegli uomini quanto le cose uni-versali erano allora più liete e piùfelici.

    haustae aut obrutae urbes, fecun-dissima Campaniae ora; et urbs in-cendiis vastata … 39

    … consumptis antiquissimis delu-bris … Pollutae caerimoniae, ma-gna adulteria;

    plenum exiliis mare, infecti caedi-bus scopuli

    nobilitas, opes, omissi gestique ho-nores pro crimine, et ob virtutescertissimum exitium. Nec minuspraemia delatorum invisa quamscelera, cum alii sacerdotia et con-sulatus ut spolia adepti, procura-

    […] dallo splendore di molte no-bilissime e bellissime città […] 40

    […] coltivata non meno ne’ luo-ghi più montuosi e più sterili chenelle pianure e regioni sue piùfertili […]

    […] illustrata sommamente […]dalla sedia e maestà della religio-ne […]

    […] abbondantissima d’abitatori[…]

    […] ridotta tutta in somma pacee tranquillità […]

    Fioriva d’uomini prestantissiminella amministrazione delle cosepubliche, e di ingegni molto no-bili in tutte le dottrine e in qua-lunque arte preclara e industrio-sa; né priva secondo l’uso di quel-

    39 hist. I 2, 2.40 Storia d’Italia I 1, p. 6.

  • 31VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    tiones alii et interiorem poten-tiam, agerent verterent cuncta o-dio et terrore. Corrupti in dominosservi, in patronos liberti; et quibusdeerat inimicus, per amicos op-pressi. 41

    41 hist. I 2, 3.42 Stackelberg 1960, p. 70.43 Può essere interessante rammentare che proprio al termine di tale brano si ritro-

    va una delle più celebri e accorate sententiae di Tacito (hist. I 3, 2: adprobatum est nonesse curae deis securitatem nostram, esse ultionem). Non accidentalmente, l’immagine diDio, sostanzialmente assente dalla Storia, compare proprio nel proemio e per di più as-sociata al concetto della punizione («l’ira giusta di Dio»).

    44 Giancotti 1971, p. 33.

    la età di gloria militare e ornatissi-ma di tante doti, meritamente ap-presso a tutte le nazioni nome efama chiarissima riteneva.

    Proprio il senso di ciclicità che pervade il proemio guicciardiniano avva-lora l’ipotesi di una libera ispirazione al proemio delle Historiae, rivolta aprodurre un’anamnesi antifrastica ben diversa dalla fedeltà osservata daMachiavelli nella descrizione dei Discorsi I, 10, 5 42, peraltro svincolata daun qualsivoglia impianto narrativo o funzione proemiale; l’opzione diGuicciardini proietta dunque sull’idealizzata Italia del 1490 le ombre del-l’opera di Tacito, anticipando attraverso il filtro della memoria letterariale sventure destinate a piagare l’Italia come già accadde per l’impero ro-mano 43. È inoltre da osservare che l’immagine guicciardinana dell’Italiapuò essere fatta corrispondere a Catil. 36, 4 in cui si insiste sull’apice del-la fortuna economica e militare dello Stato nel momento della congiura;l’affinità è inoltre rafforzata dal rilievo strutturale del passo sallustiano,poiché segue immediatamente una sorta di proemio interno presente nel-l’operetta sallustiana 44.

    Ea tempestate mihi imperium populi Romani multo maxume miserabilevisum est. Quoi quom ad occasum ab ortu solis omnia domita armis pare-rent, domi otium atque divitiae, quae prima mortales putant, adfluerent,fuere tamen cives, qui seque remque publicam obstinatis animis perdi-tum irent.

    Già si è osservato che la malinconica evocazione guicciardiniana di un’I-talia ancor florida e pacificata è introdotta da un modulo che, implicita-mente, dichiara di risalire addietro nel tempo a un’epoca anteriore. Di ta-le formula è possibile individuare l’archetipo in un passo delle Historiae:

    Ceterum antequam destinata componam, repetendum videtur, qualis sta-tus urbis, quae mens exercituum, quis habitus provinciarum, quid in tototerrarum orbe validum, quid aegrum fuerit, ut non modo casus eventu-

  • 32 VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    sque rerum, qui plerumque fortuiti sunt, sed ratio etiam causaeque no-scantur. 45

    In particolare si noti come l’esigenza di soffermarsi sull’antefatto si arti-coli su un duplice piano di profondità: apprendimento della situazione e,a un secondo livello, della causa che la modifica; una distinzione che si ri-flette in quella analoga del Guicciardini («acciocché io faccia noto qualefusse allora lo stato suo, e insieme le ragioni dalle quali ebbeno l’originetanti mali»).

    Come già si disse, il paragrafo proemiale della Storia prosegue con ilritratto di Lorenzo de’ Medici cui si affiancano, a esso complementari eopposti, quelli di tutti gli altri principi italiani in una rapida rassegna lun-go la penisola. Allo stesso modo procedono le Historiae, in cui al ritrattodi Galba si accostano in chiave minore quelli di una costellazione di per-sonaggi secondari turpi e spregevoli 46. Inoltre la tecnica del ragguaglio avolo d’uccello utilizzata dal Guicciardini per le signorie italiane comparenelle Historiae immediatamente dopo il ritratto di Galba per chiarire lasituazione delle province, soffermandosi su ciascuna di esse e fornendonesovente un giudizio moralistico.

    Si noti infine che la frase con cui comincia l’attuale secondo capitolodella Storia d’Italia (ossia la parte più propriamente narrativa) si presentasimile nella costruzione a quella con cui in genere si fa terminare il prolo-go delle Historiae; abbiamo infatti:

    45 hist. I 4, 1.46 Cfr. Mendell 1957, pp. 116-117, sui fini drammatici dei personaggi introdotti nel

    prologo delle Historiae.47 hist. I 11, 3.48 Storia d’Italia I 2, p. 10.

    Hic fuit rerum Romanarum status,cum Servius Galba iterum TitusVinius consules … 47

    Tale era lo stato delle cose, talierano i fondamenti della tranquil-lità d’Italia […]. Quando, nel me-se di aprile dell’anno mille quat-trocento novantadue, sopravennela morte di Lorenzo de’ Medici. 48

    Le due frasi si presentano entrambe ripartite in due membri: il primo checon valenza retrograda sancisce la conclusione della ‘archeologia’ (e sinoti che la costruzione, l’utilizzazione e, per quanto possibile, la disposi-zione delle parole sono i medesimi, in particolare il nesso rerum status e«stato delle cose» e che inoltre il Romanarum, ossia la localizzazione geo-grafica, è stato, nell’opera guicciardiniana, trasposto nel «tranquillità d’I-

  • 33VALORE PROGRAMMATICO E REFERENZIALE DEL PROEMIO

    talia»); il secondo membro, con una temporale, dà avvio alla narrazionecon una nota cronologica precisa.

    L’evidente affinità del proemio guicciardiniano con quelli delle treopere classiche è dovuta a due elementi: in primo luogo, come è ampia-mente assunto, il proemio tacitiano rimanda a quelli sallustiani come im-mediato suggerimento di interpretazione al lettore 49; in secondo luogo iproemi di entrambi gli autori latini sono impostati su una teoresi diffusae affermata in ambito latino che aveva trovato la sua espressione, se nonrigorosa, certo più completa e celebre in alcune opere ciceroniane. Nel-l’enorme archivio cartaceo di casa Guicciardini, infatti, è stato ritrovatoun foglio su cui lo storico ha trascritto un passo del De oratore 50 che co-stituisce una delle poche teorizzazioni classiche sulla storiografia:

    Rerum ratio ordinem temporum desiderat, regionum descriptionem; vultetiam – quoniam in rebus magnis memoriaque dignis consilia primum,deinde acta, postea eventus expectentur – et de consiliis significari quidscriptor probet, et in rebus gestis declarari non solum quid actum aut dic-tum sit sed etiam quo modo, et cum de eventu dicatur, ut causae explicen-tur omnes, vel casus vel sapientiae vel temeritatis, hominumque ipsorumnon solum res gestae sed etiam, qui nomine ac fama excellant, de cuiu-sque vita atque natura. Verborum autem ratio et genus orationis fusumatque tractum et cum lenitate quadam aequabili profluens, sine hac iudi-ciali asperitate et sine sententiarum forensium aculeis persequendum est.

    Il rapporto tra questo brano e i proemi di Tacito, principalmente, e diSallustio è stato studiato con particolare attenzione da Woodman. Gliaspetti consigliati da Cicerone e presenti nel proemio tacitiano sono mol-ti e, non a caso, riemergono in quello della Storia d’Italia 51. Nell’ordine,citando uno a uno gli elementi tacitiani e guicciardiniani secondo i pa-rametri di Woodman, ritroviamo: eventi importanti e memorabili, gran-di uomini (Tacito menziona subito quattor principes ferro interempti eGuicciardini accentra la propria attenzione sui principi italiani), eventi«fluctuating and suspenseful» (hist. I 2, 1 prosperae; adversae; nutantes;perdomita Britannia et statim missa, cladibus mutuis 52 e per Guicciardi-ni «a quanta instabilità, né altrimenti che uno mare concitato da’ venti,siano sottoposte le cose umane») 53, interesse per drammatiche scene di

    49 Si veda già Fabia 1901, p. 50; più recentemente ad esempio Leeman 1973, pp.169-208 e Woodman 1988, a cui si aggiunge Woodman 1992.

    50 Cfr. Ridolfi 1939, p. 8. Il passo del De oratore corrisponde a II 15, 63-64.51 Woodman 1988, pp. 165-166.52 Perdomita Britannia, et statim missa cohorte in Roxolanos Sarmatarum ac Svevo-

    rum gentes, nobilitatus cladibus mutuis Dacus in Tacito 1515, p. 136r.53 Il riferimento all’instabilità delle cose umane come elemento fondamentale della

    storiografia ritorna anche nella ciceroniana lettera a Lucceio (nihil est enim aptius ad

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    guerra, il ruolo giocato dalla sorte negli affari umani (praeter multiplicesrerum humanarum casus caelo terraque prodigia et fulminum monitus etfuturorum praesagia, laeta tristia, ambigua manifesta 54 - «non si ricordan-do delle spesse variazioni della fortuna»), e ancora, nel caso di conse-guenze, la spiegazione di tutte le ragioni (come già visto: ut non modo ca-sus eventusque rerum, qui plerumque fortuiti sunt, sed ratio etiam cau-saeque noscantur 55 - «acciocché io faccia noto quale fusse allora lo statosuo, e insieme le ragioni dalle quali ebbeno origine tanti mali»).

    Guicciardini aveva ovviamente colto l’importanza di questa paginaper un’opera modellata secondo i parametri classici 56. A questo riguar-do è fondamentale una lettera indirizzatagli dal Corsi che lascia intra-vedere una viva e intensa riflessione sui principali testi teorici paradig-matici per la scrittura della storia: infatti, accennando a una discussionesull’identità dei generi di storia, commentari e annali, si citano l’Actius diPontano e l’epistola a Lucceio 57. Se questi testi vengono richiamati perdisquisizioni sulle distinzioni categoriali all’interno del genere storico, sipuò credere che gli stimoli classici siano tanto più operanti nel proemio,dove più consapevole e in un certo senso obbligata si fa l’esposizione diuna metodologia e di una concettualizzazione del divenire e del fare sto-rico.

    Anche Leeman ha sostenuto che i tre proemi classici qui presi in con-siderazione siano fortemente connessi tra loro 58. Sulla base dei proemi diDe coniuratione Catilinae, De bello Iugurthino, Historiae e Annales, vistiin contrasto con l’approccio di Livio «manner-relaxed, balanced, mod-est», lo studioso elabora una diversa griglia di confronto individuando

    delectationem lectoris quam temporum varietates et fortunaeque vicissitudines), Fam. V12, 4. Tale elemento compare peraltro anche nella lettera di Coluccio Salutati sulla sto-ria, che costituisce per certi versi la prima riflessione umanistica sulla storiografia (for-tunas hominum et invictas fatorum leges, renovationes gentium vertiginesque regnorum,Salutati, p. 293) e nell’Actius (p. 193: Ad haec repentini casus successusque, ipsi variiatque incerti, consilia item diversa quaeque praeter hominum ipsorum opinionem plurimacontingunt in vita ac rebus gerendis).

    54 hist. I 3, 2.55 hist. I 4, 1.56 «Non voglio dire che il Guicciardini scrisse così la storia perché vi fu indotto dai

    precetti ciceroniani: dico che mai, forse, precetto letterario e natura di scrittore s’incon-trarono in modo così mirabile e singolare» (Ridolfi 1939, p. 8).

    57 In realtà nella lettera si menziona l’Aegidius, che però tratta altre tematiche. Cete-rum quod ad historiam attinet, non est in animo in praesentia referre quid historia sit:quid Comentaria; quid Annales, et quid inter se differant: nam memini me alias apud tePontani Aegidio plura loqui, ubi multa de historiae lege enarrantur, praesertimque Livii,Salustii ac Caesaris scripta enucleantur. Nec praeter rem fuerit epistulam Ciceronis perle-gere ad Lucceium in I. Epist. famil. (citata da Rostagno 1919, pp. LXXIII-IV).

    58 Leeman 1973.

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    cinque classi: informazioni sull’autore (il suo nome, la sua carriera, le suepersonali ambizioni), informazioni sull’argomento (sua natura e impor-tanza), informazioni sull’approccio dell’autore al suo argomento e suaconcezione della storiografia in generale (memoria, veritas, documentum),informazioni sulla concezione della storia da parte dell’autore; riassun-to degli eventi antecedenti (ciò che è chiamato ‘archeologia’ nel caso diTucidide). Anche secondo questa griglia il proemio guicciardiniano ap-pare nell’alveo dei due grandi precursori con la compresenza degli ultimiquattro nuclei 59.

    Procedendo a un’analisi a ritroso dall’ultima delle tematiche, chiara-mente riconoscibile è l’‘archeologia guicciardiniana’. Più complessa maevidente è la trattazione per quanto riguarda la concezione della storia daparte dell’autore; infatti sia pure senza alcuna sottolineatura tale funzioneè adempiuta dal passo:

    onde per innumerabili esempli evidentemente apparirà a quanta insta-bilità, né altrimenti che uno mare concitato da’ venti, siano sottopostele cose umane; quanto siano perniciosi, quasi sempre a se stessi masempre a’ popoli, i consigli male misurati di coloro che dominano,quando, avendo solamente innanzi agli occhi o errori vani o le cupiditàpresenti, non si ricordando delle spesse variazioni della fortuna, e con-vertendo in detrimento altrui la potestà conceduta loro per la salutecomune, si fanno, o per poca prudenza o per troppa ambizione, autoridi nuove turbazioni.

    Come osserva Scarano, «vengono fornite al lettore due coordinate ideolo-giche: la miseria della condizione umana e l’instabilità della fortuna, dicui la narrazione offrirà ‘innumerabili esempli’. L’oggetto della narrazio-ne viene quindi inserito preliminarmente entro due recinti interpretativi;l’uno specifico e strettamente legato alla materia, l’altro universale, scatu-rente dai principi generali di una concezione pessimistica della realtà, ri-spetto alla quale il racconto ha la funzione di exemplum probante» 60. Perquanto riguarda il tema della concezione della storiografia è emblematicoil «per sé proprio e per bene pubblico, prendere molti salutiferi docu-menti». Infine l’argomento, del quale si è già detto. L’unico aspetto tradi-zionale assente nel prologo della Storia d’Italia è dunque l’informazione

    59 Ancora diversi i sei elementi identificati da Mendell 1957, p. 111: «the expositionof the utility of history in general; insistence on the unique importance of the subjectmatter of the particular history in hand; submission of the qualifications of the writerwith assurances of his conscientious accuracy and freedom from bias; a résumé of thefactual antecedents; a definition of the field to be covered; and perhaps the name of thewriter».

    60 Scarano 1981, p. 181.

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    fornita dall’autore su se stesso e i rapporti con i suoi predecessori61. L’au-tore della Storia d’Italia dunque, distinguendosi dalla prassi, si presentaquasi anonimo 62, benché, certo, la sua attivissima partecipazione ai gran-di avvenimenti storici del primo terzo del secolo avrebbe consentito unospazio ben più ampio.

    Un raffronto con opere contemporanee alla Storia d’Italia permettedi apprezzare appieno l’originalità e l’ampiezza della rilettura guicciardi-niana dei classici. Considerando le Istorie fiorentine di Machiavelli è faci-le riscontrare che il proemio, tra l’altro fortemente isolato e avulso dalcomputo dei libri e quindi già in ciò distinto dalle opere tacitiane, segueun’impostazione assolutamente differente. Manca, del tutto o in parte, dinon poche delle tematiche individuate dal Leeman, quali le concezionidell’autore sulla storia e l’archeologia. Si incentra, piuttosto, su una lungaanalisi degli antecedenti storici di Bruni e Salutati nel loro disinteresseper la politica interna fiorentina, causa della decisione di Machiavelli diavviare la propria opera non dall’avvento del potere mediceo, ma dallacaduta dell’impero romano, affrontando così nuovamente periodi giàtrattati dai due precursori. L’analisi, dunque, della frammentazione inter-na di Firenze è ben lungi da un’archeologia, poiché concerne un’epocasuccessiva alla data da cui inizia la narrazione ed è finalizzata non a illu-strare gli antefatti, ma piuttosto a motivare la necessità di tale completariscrittura sotto il segno dell’utilità per la scienza politica sulla base del-l’asserzione che «se di niuna repubblica furono mai le divisioni notabili,di quella di Firenze furono notabilissime». Manca inoltre ogni accennospecifico all’importanza dell’argomento. Al contrario, inusualmente per iproemi classici, si riscontra un’anticipazione, peraltro inesatta, della ri-partizione della materia all’interno dei libri e un non breve passaggio sufama e grandezza, non comparabile con Tacito e che non può certo esse-re, per struttura, posizione, senso, finalità, collegato al tema della gloriain Catil. 1, 1. Le Cose fiorentine di Guicciardini presentano, inoltre, fortidivergenze dalla scelta in seguito operata nella Storia d’Italia, dovute so-stanzialmente alla loro natura di riscrittura delle precedenti cronache, ein primo luogo proprio delle Istorie fiorentine; già la scelta di porre «inluogo di prohemio» il primo libro, per di più con esplicito riferimento alcanone della brevitas, rafforza tale differenza, a cui si affianca lo svolgi-

    61 La soppressione nella Storia d’Italia dell’elemento autobiografico è indubbia-mente facilitata dal fatto che esso ricorre in tutte e quattro le opere classiche in primis-sima sede, non compromettendo con la sua esclusione l’organicità del proemio.

    62 Unica eccezione è nel riferimento alla sua missione come ambasciatore presso ilre d’Aragona: «Francesco Guicciardini, quello che scrisse questa istoria, dottore di leg-ge, ancora tanto giovane […]» (Storia d’Italia X, 8, p. 998).

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    mento del «summario» per argomenti disposti cronologicamente63.Un altro proemio da analizzare è quello della storia di Paolo Giovio,

    gli Historiarum sui temporis, ritenuta all’epoca un capolavoro, che si av-via proprio con la morte del Magnifico, costituendo quindi per ciò stessoun termine di raffronto obbligato. Ciascuno dei due storici, peraltro divi-si da forti divergenze nelle scelte politiche e strategiche in occasione degliepisodi che poi portarono alla crisi del 1527, ebbe senz’altro modo di leg-gere ampi stralci dell’opera dell’altro 64.

    Quiescebat terrarum orbis nullis bellorum procellis agitatus ac in primisItalia, quassata paulo ante intestinis malis, opima pace florebat quumbellum, opinione hominum maius ac atrocius, in Italia exarsit: quod po-stea Europam non modo omnem verum Asiae atque Aphricae longinquaspartes, concussis ubique vel eversis clarissimarum gentium imperiis, pau-corum annorum curriculo perturbavit. Quin et pervagata quoque est ea-dem fatalis bellorum lues quicquid terrarum Oceano alluitur; incognitos-que antea populos nobis aperuit, ad quos neque romana virtus neque ul-lae priscorum literae penetrarant. Ita ut, his quinquaginta annis in quosuniversa confertur historia, nihil reliquum, tot cladibus afflicto terrarumorbi, Mars et Fortuna fecisse videantur: quum remotissima quaeque pro-vinciarum, ab ortu solis ad occasum per ipsos etiam paulo ante fabulososAntipodas, bello tacta suo vel externo cruore maduerit. 65

    Il primo paragrafo del proemio di Giovio è seguito da una formula stret-tamente assimilabile a quella guicciardiniana, per la quale già sono stateindividuate le suggestioni classiche: Sed, priusquam tantarum rerum initiamemoriae prodantur, ut omnia ad cognoscendum clara atque illustria inaperto sint, operae pretium erit quaenam gentium opes, quive reges nostratempestate floruerint, ordine recensere. Il passo presenta forti somiglianzecon quello del De bello Iugurthino (si pensi a ad cognoscendum, illustria,in aperto che ritornano identici rispetto a 5, 3). Quello corrispondentedella Storia d’Italia, però, aderisce maggiormente alla tradizione classicanell’esplicita dichiarazione di risalire indietro nel tempo e nella scomposi-zione in due membri dell’esigenza di meglio comprendere gli eventi. Se-gue poi nel Giovio una concisissima storia dell’Italia dalla caduta dell’im-pero e un’esposizione sincronica della situazione di tutti gli stati di cui al-lora si avesse notizia, per poi trapassare quasi insensibilmente al raccontodelle trame di Ludovico il Moro. Sono evidenti gli elementi che distin-

    63 Cabrini 2001, pp. 295-296.64 Cfr. Zimmerman 1984, p. 38; poi ampliato da Moreno 2002. La distanza tra Gio-

    vio e Guicciardini è epigraficamente stabilita già da Bodin: cuius scripta si cum Iovioconferantur, non magis congruent, quam rotunda quadratis (Bodin, p. 72).

    65 Historiarum vol. III, p. 7.

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    guono il proemio di Giovio da quello di Guicciardini: mancano ad esem-pio nell’opera dello storico comasco l’enunciazione degli intenti dell’au-tore, il luogo e l’evento da cui prenderà l’avvio, la descrizione concretadelle ricchezze dello Stato (che corrispondeva al quadro delle devastazio-ni delle Historiae), la fisicità nell’accentuazione della devastazione, unqualunque giudizio morale e intellettuale, ogni qualsivoglia forma di ri-tratto. Sono al contrario presenti nell’opera di Giovio il riferimento ai po-poli nuovi toccati dalla guerra, l’insistenza, anche tramite elementi mito-logici, sull’universalità delle conseguenze: tutti elementi che l’allontananodal modello tacitiano.

    Un’opera che costituisce un inevitabile termine di riferimento è il Debello Italico commentarius di Bernardo Rucellai, che costituì una dellefonti di Guicciardini per quanto concerne la spedizione di Carlo VIII e dicui si ritrovano stralci nelle sue carte 66. L’incipit dell’opera del Guicciar-dini risente marcatamente del corrispondente passo del De bello Italico,con evidente sovrapponibilità di termini e sintagmi. Di seguito, però, Ru-cellai si sofferma sugli artisti che ebbero la fortuna di poter ritrarre dèi ederoi, affrontando poi distesamente alcuni temi tipicamente tacitiani conuna fedeltà talora pedissequa: le leggi della storia, l’atteggiamento del let-tore al riguardo delle scelte narrative dello storico 67, l’impegno all’impar-zialità da parte dello studioso 68, la fortuna degli antichi che potevano rac-contare eventi più nobili 69, passi che non presentano nessuna corrispon-denza all’interno del maggiormente rielaborato proemio guicciardiniano.

    La sezione successiva, invece, permette un concreto esame compara-to con il proemio della Storia d’Italia:

    Adventum Caroli regis Gallorum in Italiam (per ducentesimum annumquam barbarus hostis: et ipse magnis copiis magnoque ad bellum appara-

    66 Cfr. Gherardi 1919, p. LI.67 Quin imo incidisse in obtrectatorum invidiam necesse est, siquid paulo accuratius

    reprehenderis laudaverisque supra vires eius, qui laudem egregiam assequi nequiverit. Vi-tia enim per se crimini obnoxia; laus invidiae opportuna est (Rucellai, p. 2). Un passo af-fine a hist. I 1, 2: sed ambitionem scriptoris facile averseris, obtrectatio et livor pronis au-ribus accipiuntur; quippe adulationi foedum crimen servitutis, malignitati falsa species li-bertatis inest.

    68 Nam cum prima lex sit, nequid falsi dicere, nequid veri tamen tacere audeamus(Rucellai, p. 2) che ricorda da presso hist. I 1, 3: sed incorruptam fidem professis nequeamore quisquam et sine odio dicendus est, a cui è accostabile il sine ira et studio di ann. I1, 3.

    69 Fortunati igitur illi fuisse videntur, quibus contigit ea descripsisse tempora, unde vi-rorum praeclara facinora magis quam insignia scelera illustrarentur (Rucellai, p. 2), stret-tamente riconducibile a ann.(b) IV 32, 1-2: sed nemo annales nostros cum scriptura eo-rum contenderit, qui veteres populi Romani res composuere. Ingentia illi bella, expugna-tiones urbium, fusos captosque reges … memorabant: nobis in arto et inglorius labor.

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    tu Alpes transcendit) scribere aggredior: rem huius aevi longe omniummaximam, neque sine motu maximo generis humani: quippe bellicolagens atque olim pervagata armis universum prope orbem terrarum, om-nium undique animos concussit. Quibus tempestatibus propterea quodplurima bella gesta cum opulentis populis regibusque, unde strages, indu-ciae, pax, bellum rursum exortum est, atque in extremas terras penetra-tum est; non alienum videbitur consilia, acta, eventusque rerum, ut quae-quae memoria digna extiterunt, aperire, ac, quantum ingenio possim,ante oculos ponere: et quoniam pleraque simultate atque ambitione prin-cipum magis quam bonis artibus acta gestaque sunt, hinc maxime sumerenarrandi initium; ut illorum solertia temeritasque veluti exemplar adimitandum cavendumque in aperto proponerentur. Verum prius, quis re-rum status, quis animorum habitus, antequam Gallus Italiam invaderet,paucis disserendum. 70

    In questo proemio si rintracciano elementi già individuati nel Guicciardi-ni: l’eccezionalità dell’evento (rem huius aevi longe omnium maximam,neque sine motu maximo generis humani), le drammatiche conseguenze(bella gesta cum opulentis populis regibusque, unde strages, induciae, pax,bellum rursum exortum est), l’intenzione di affrontare una descrizione de-gli eventi prima di addentrarsi nel tema (Verum prius, quis rerum status,quis animorum habitus, antequam Gallus Italiam invaderet, paucis disse-rendum). Tuttavia, i passi guicciardiniani corrispondenti rivelano, al di làdella contiguità tematica, un’assai maggiore aderenza testuale al riferi-mento tacitiano, trascendendo quindi la dimensione del semplice luogocomune. Guicciardini infatti, pur recuperando il proemio del De belloItalico in certe sue forme, contemporaneamente lo trascende alla ricercadelle fonti primarie, seguendo con fedele ma critica attenzione i proemisallustiani e, soprattutto, tacitiani, in un elaborato intreccio di suggestioniformali e richiami concettuali. Per quanto riguarda dunque il rapportotra Guicciardini e gli storici latini (soprattutto Tacito) si ripropone il gio-co di citazioni e richiami già applicato da Tacito nelle Historiae nei con-fronti di De bello Iugurthino e di De coniuratione Catilinae, che permette-va al lettore contemporaneo di riconoscere fin dalle prime battute, tantopiù trattandosi di una sezione programmatica come il proemio, lungoquale filone storiografico e ideologico si ponesse l’opera tacitiana e inquale ottica dovessero esserne lette le vicende.

    70 Rucellai, p. 3.