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I Nemici Di Francesco_ Chi Vuol - Nello Scavo

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Bergoglio lo sa. Alcune volte ne ha parlato in privato. Altre voltelo ha lasciato intendere in pubblico. Dentro e fuori la Chiesa cisono ostacoli, resistenze, lotte. I serpenti si annidano negli ambienticuriali come nei centri di potere internazionali. Sugli oppositoriinterni già si scrivono pagine di cronaca e interi tomi, ma è anchela trincea esterna al perimetro del Vaticano a essere foriera dipericoli imprevedibili

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Il libro

Bergoglio lo sa. Alcune volte ne ha parlato in privato. Altre voltelo ha lasciato intendere in pubblico. Dentro e fuori la Chiesa cisono ostacoli, resistenze, lotte. I serpenti si annidano negli ambienticuriali come nei centri di potere internazionali. Sugli oppositoriinterni già si scrivono pagine di cronaca e interi tomi, ma è anchela trincea esterna al perimetro del Vaticano a essere foriera dipericoli imprevedibili.

Francesco non lo ha mai negato. Alla vigilia del viaggio inAmerica Latina ha parlato senza ipocrisia: «Quante forze, lungo lastoria, hanno cercato e cercano di annientare la Chiesa!».

In un’inchiesta giornalistica rischiosa e senza precedenti, NelloScavo ha cercato i nemici del papa «venuto dalla fine del mondo».Alcuni li ha incontrati di persona, anche a loro insaputa. In qualchesacrestia, lungo le rotte dei profughi scacciati, in un paradisofiscale o nell’inferno di una bidonville. Molti continuano anascondersi. Indossano il copricapo da vescovo o il turbante damujaheddin, le cravatte alla moda di certi banchieri d’assalto o lecamicie di lino di petrolieri famelici. Altri, infine, portano gli

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scarponi sporchi di fango dei trafficanti di uomini e di armi. Sonomercenari della maldicenza e capi di stato che razzolano male.

«Se subissi un attentato», ha confidato il papa mentre si recavanelle Filippine, «chiedo solo la grazia che non mi faccia male. Nonsono coraggioso. Ho paura del dolore fisico, ma ho il difetto diavere una bella dose di incoscienza.»

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L’autore

Nello Scavo è reporter internazionale e cronista giudiziario.Lavora per il quotidiano Avvenire. Ha indagato sulla criminalitàorganizzata e il terrorismo globale. Ha scritto La lista diBergoglio (EMI, 2013), tradotto in 15 lingue, I sommersi e isalvati di Bergoglio (Piemme, 2014) e, con Luigi Ciotti, Nontacerò. Con Francesco contro l’economia di rapina e lamafia 2.0 (in collaborazione con Daniele Zappalà, Piemme,2015).

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Nello Scavo

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I NEMICI DI FRANCESCOChi vuole screditare il papa. Chi vuole farlo tacere. Chi

lo vuole morto.

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I NEMICI DI FRANCESCO

A Stella

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Prologo

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BERGOGLIO DOVEVA MORIRE

Getulio Napenas ha studiato anche i minimi dettagli.Sull’isola meridionale di Mindanao sono pronti i corpispeciali. Un blitz a sorpresa dovrà sterminare la linea dicomando del Fronte di liberazione islamica moro,un’emanazione della Jemaah Islamiyah, affiliata alnetwork di Al-Qaeda.

Napenas, già vicino alla pensione, ha in mente un finaledi carriera da vero eroe nazionale. Pochi giorni prima,grazie a una serie di arresti e di operazioni dissuasive, èriuscito a neutralizzare alcune cellule islamiste sospettatedi voler uccidere papa Francesco durante la sua visita aManila, dal 17 al 19 gennaio 2015. L’attacco a Mindanao,però, dev’essere rimandato a dopo la partenza delpontefice. Le Filippine non possono permettersi un bagnodi sangue proprio alla vigilia del viaggio apostolico.

Una settimana dopo, quando il pontefice è di nuovo alsicuro tra le mura vaticane, Napenas dà l’ordine. Le testedi cuoio intervengono di notte. Le comunicazioni sonostate intercettate per giorni, Napenas è ragionevolmentecerto di cogliere di sorpresa i terroristi. La strage che iservizi di sicurezza avevano messo nel conto si verificapuntualmente. Ma dalla parte sbagliata: quarantaquattro

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poliziotti uccisi, numerosi i feriti. E i terroristi ancora alloro posto, nelle foreste di Mindanao.

Tra gli islamisti eliminati c’è anche Zulkifli bin Hir, unmalaysiano che si faceva chiamare Marwan. Era lui lamente dell’attentato al papa. Il comandante Napenas loconfermerà nel corso della sua audizione davanti alsenato, che gli chiede conto del blitz costato la vita a tantitra i migliori militari filippini. Ma in quella circostanzaNapenas non dirà tutto. Molte informazioni sono copertedal segreto e lui non è autorizzato a rivelarle. «Durante lavisita del papa nelle Filippine, abbiamo avuto notiziesecondo cui la Jemaah Islamiyah, in coordinamento conMarwan, aveva progettato di far esplodere una bomba alpassaggio del convoglio pontificio a Manila il 18 gennaio2015» si limita a dire.

L’ordigno sarebbe dovuto esplodere lungo il percorsodel papa verso il parco Rizal, dove sette milioni di fedelierano in attesa di assistere alla messa. Lo scopo eracolpire il papa e con lui centinaia di cristiani.

«Queste informazioni» aggiungerà il direttore uscentedelle forze speciali «mostrano chiaramente il pericolorappresentato dal terrorista malese Zulkifli Marwan binHir. E neanche ora che Marwan è stato eliminatopossiamo dire che il pericolo si sia estinto.»

La strage di poliziotti offusca la gioia appena vissuta

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per l’incontro con Francesco. Nel giro di una settimana leFilippine passano dall’euforia al pianto. L’intero paese siferma per il lutto nazionale. Ma qualche testa deve cadere.E così il comandante Napenas rassegna le dimissioni.

A distanza di qualche mese, qualcosa di più comincia atrapelare. È scritto nei documenti riservati dei servizi diintelligence. Sei pagine nelle quali sono riassunti glisviluppi delle investigazioni sui terroristi islamici. Unparagrafo è dedicato al mancato attentato a Jorge MarioBergoglio: «Sull’isola di Mindanao, Marwan haaddestrato trecento uomini alla produzione e all’uso diesplosivi. Uno di questi gruppi di artificieri era il nostroobiettivo immediato. L’altro obiettivo della nostraoperazione era Abdul Basit Usman».

Quest’ultimo è uno dei più abili bombaroli del Sudestasiatico. Su di lui pende la taglia di un milione di dollariofferta dagli Stati Uniti a chiunque lo prenda. Vivo omorto. I servizi segreti filippini gli arrivano molto vicino,tanto da scoprire che il 18 gennaio, durante il passaggiodel corteo papale, sarebbe dovuto esplodere uno IED (unordigno improvvisato come quelli usati in Iraq e inAfghanistan contro le forze alleate) o in alternativa unkamikaze. Il punto indicato è Kalaw Street, un’arterianell’asfissiante caos del centro di Manila.

L’intera zona viene bonificata e militarizzata per giorni.Probabilmente sarà questo a dissuadere i terroristi dal

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colpire il papa.Quando il piano viene reso noto, le autorità filippine –

che non avevano comunicato nulla alla Santa Sede – siaffrettano a minimizzare. Napenas viene trattato come unosprovveduto e costretto a lasciare la divisa.

Francesco non è stato l’unico papa ad aver rischiato lavita nelle Filippine. Il 27 novembre 1970, sempre aManila, Paolo VI era stato accoltellato da un folle. Lamaglia insanguinata è stata portata come reliquia, il 19ottobre 2014, in occasione della sua beatificazione inpiazza San Pietro. Anche Giovanni Paolo II sarebbedovuto cadere sotto i colpi dei terroristi islamici aManila. A salvarlo fu un banale incidente: un piccoloincendio provocato da due uomini che stavanomaneggiando esplosivi. Uno dei due venne arrestato.Quando la polizia perquisì il suo appartamento, vi trovòalcuni abiti da prete, dei timer e le mappe dettagliate conil programma che il pontefice avrebbe dovuto seguire. Erail 5 gennaio 1995. Sette giorni dopo, Giovanni Paolo IIarrivava a Manila per la celebrazione della Giornata dellagioventù, accolto da quattro milioni di fedeli.

Da allora i mujaheddin asiatici sperano di riuscireladdove i predecessori hanno fallito.

Comunque sia, il caso Bergoglio sembra archiviato.Ma, nella notte tra il 2 e il 3 maggio 2015, il successoredel comandante Getulio Napenas ordina un nuovo blitz. A

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cadere, questa volta, è l’uomo da un milione di dollari:Abdul Basit Usman. L’imprendibile ingegnere dellapolvere esplosiva viene ucciso dalle forze speciali. Altriislamisti vengono catturati. Fin dalle prime ore, dagliarrestati arrivano conferme alle “farneticazioni” diNapenas. Bergoglio doveva morire.

Bergoglio lo sa. Alcune volte ne ha parlato in privato.Altre lo ha lasciato intendere in pubblico. Dentro e fuorila Chiesa ci sono ostacoli, resistenze, lotte. I serpenti siannidano negli ambienti curiali come nei centri di potereinternazionali. Il papa della misericordia è anche un papaavversato. Sugli oppositori interni già si scrivono paginedi cronaca e interi tomi. Ma è anche la trincea esterna alperimetro della Città del Vaticano, quella foriera dipericoli sempre nuovi e talvolta imprevedibili, che meritadi essere esplorata.

Francesco non lo ha mai negato. Mentre la stesura diquesto libro volgeva al termine, Bergoglio è uscito alloscoperto. Alla vigilia del viaggio in America Latina haparlato senza ipocrisia né ritrosia, mostrandosi coscientedi quello che gli accade intorno: «Quante forze, lungo lastoria, hanno cercato e cercano di annientare la Chiesa,sia dall’esterno sia dall’interno, ma vengono tutteannientate e la Chiesa rimane viva e feconda! Rimaneinspiegabilmente salda».

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A volte in questi anni di quotidiana catalogazione diinformazioni, di indizi, di fatti da ricostruire e incrociare,mi sono domandato se certi sospetti fossero giustificati, sealcune deduzioni non fossero eccessive, perfinofuorvianti. È la regola del mestiere. Rimettere sempre indiscussione, anche quando ogni tassello sembracombaciare. Il tarlo del dubbio è un ottimo propellenteper le investigazioni giornalistiche. E molte volte mi sonoanche domandato se i miei interrogativi se li fosse maiposti il papa in persona. Se l’uomo Jorge Mario, se ilgesuita Bergoglio, se il pontefice arrivato «dalla fine delmondo» si domandi chi siano davvero e quanti siano isuoi nemici.

Alcuni li ho incontrati di persona, anche a loroinsaputa. In qualche sacrestia, lungo le rotte dei profughiscacciati, in un paradiso fiscale o nell’inferno di unabidonville. Molti continuano a nascondersi. Indossano ilcopricapo da vescovo o il turbante da mujaheddin. Lecravatte alla moda di certi banchieri d’assalto, le camiciedi lino di petrolieri famelici. O gli scarponi sporchi difango dei trafficanti di uomini. Ci sono mercenari dellamaldicenza e capi di stato che razzolano male.

«Se subissi un attentato» ha confidato il papa mentre sirecava nelle Filippine «chiedo solo la grazia che non mifaccia male. Non sono coraggioso. Ho paura del dolore

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fisico, ma ho il difetto di avere una bella dose diincoscienza.»

Ma non è questo il pericolo principale, né l’unico.«Prima ti screditano, poi ti isolano e dopo ti uccidono»disse una volta il giudice Giovanni Falcone, ucciso dallamafia siciliana.

Ed è seguendo le tracce di questo triste canovaccio chesi possono intravedere I nemici di Francesco.

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Prima Parte

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POTERI FORTI

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CHI HA PAURA DI BERGOGLIO?

Un regalo di Natale avvelenato. Squali della finanza e falchineoconservatori. La nuova tirannia invisibile. Il re è nudo.L’economia che uccide. Un papa leninista? «La bandiera deipoveri è cristiana!»

Il regalo di Natale per Bergoglio il «Financial Times» loinfiocchetta con due giorni d’anticipo. Il 23 dicembre2013 il quotidiano economico-finanziario più letto almondo sferra un attacco al “pensiero economico” di papaFrancesco, colpevole di non capire i benefici della“ricaduta favorevole”. A ruota seguono altri interventidello stesso tipo lungo tutto il 2014, da «Foreign Policy»ai principali think tank foraggiati da rilevanti istituzionifinanziarie. Ma cosa c’è dietro? Chi ha innescato questiattacchi? Perché certi ambienti hanno così paura della“dottrina Bergoglio”?

Dovendo stare addosso a multinazionali e potentatieconomici, una cosa che si impara presto è guardare nellepieghe dei bilanci. Nei rivoli della contabilità corrono gliinteressi reconditi, gli scopi indicibili. A volte solo gliazionisti più attenti o gli osservatori più scafati riescono avenire a capo di voci apparentemente innocue. Lo stesso

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accade nella psicologia di molti grandi finanzieri. Nonbisogna prestare orecchio solo a quello che dicono. Peranni le grandi banche avevano fatto il gioco delle trescimmiette con un truffatore come Bernard Madoff,l’autore della più grande frode dell’era capitalista.Possibile che siano così distratte con un banchiere furfantee così sensibili alle osservazioni di un papa?

Anche quel Natale, ovunque si tira la cinghia. Dairegali al cenone non c’è famiglia che non stia a fare iconti. La credibilità delle istituzioni finanziarie è aiminimi. L’autorevolezza dei banchieri viene messa indiscussione da più parti, in un fuoco di fila di critichetrasversali. Ci mancava solo un papa che, anzichédiscettare di teologia, si mette a piantar grane, riuscendo acoalizzare no-global e movimenti ecclesiali, ex comunistie neosocialdemocratici. Una specie di grande alleanza deipoveri e dei gabbati dal capitalismo, che minaccia lasostenibilità di sistemi di potere fondati sull’opacità dellasupremazia economica.

Quella della “ricaduta favorevole” è una teoriaeconomica in voga dai tempi di Ronald Reagan, ilpresidente americano campione del neoliberismo.Bergoglio ne aveva già parlato a novembre nell’EvangeliiGaudium, ma il 16 dicembre 2013, otto giorni primadell’attacco sferrato dal «Financial Times», il papa tornasull’argomento conversando con Andrea Tornielli. Al

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celebre vaticanista de «La Stampa» e coordinatore delportale Vatican Insider, uno dei più seguiti al mondo,Francesco spiega che per i fautori di questa dottrina «ognicrescita economica, favorita dal libero mercato, riesce aprodurre di per sé una maggiore equità e inclusionesociale nel mondo». Un automatismo, niente di più che unautomatismo: «C’era la promessa che quando il bicchierefosse stato pieno sarebbe trasbordato e i poveri neavrebbero beneficiato. Accade invece che, quando ècolmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così nonesce mai niente per i poveri».

John Allen, fra l’altro è vaticanista di «Vatican affair»per la CNN e la radio pubblica NPR, sostiene cheBergoglio ha toccato un nervo scoperto. «Questa è robaincendiaria, soprattutto in un paese come gli Stati Uniti,dove le aggressioni di tipo etico all’attuale economia dimercato sono rare nel dibattito pubblico. Neanche imanifestanti di Occupy Wall Street hanno avuto ilcoraggio di spingersi fin dove sono arrivate le parole delpapa.»

I privilegiati del “bicchiere magico”, infatti, non lamandano giù. E allora accade proprio come nella favoladi Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Al cospettodel re, che sfila di fronte ai suoi sudditi con un abitoinesistente, nessun ciambellano osa fiatare. Poi un

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bambino, “la voce dell’innocenza”, esclama: «Ma se nonha niente indosso!». E allora, davanti alla folla che ormaiha aperto gli occhi, anziché filarsela per la vergogna, il renudo si impone di procedere comunque: «“Ormai devocondurre questa parata fino alla fine!”, e così si drizzòancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivanoreggendo una coda che non c’era per niente».

Nel suo memorandum del dicembre 2013, l’economistaJames Glassman di J.P. Morgan ricorda uno di queiciambellani: «I sistemi economici orientati al mercatostanno facendo di più per curare la povertà globalerispetto a quanto sia mai accaduto in passato». Come tuttele difese d’ufficio, è un’uscita poco convincente. «Chi èpreoccupato per la povertà globale deve avere unatteggiamento più grato, oggigiorno, che non lamentarsi.»

È un rimprovero indirizzato direttamente a papaFrancesco, che pure non viene mai nominatoesplicitamente. Una risposta alle accuse precise ereiterate che il pontefice ha messo nero su bianco,innescando la bomba del pacifico dissenso che i grandipoteri temono. Perché i sistemi democratici, per quantomanipolabili, si basano sul consenso, e le parole del papapossono avere effetti diretti sulla politica.

Il “manifesto” di Francesco è riassuntonell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium,

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promulgata il 24 novembre 2013 a chiusura dell’Annodella fede. Dovendo parlare della “Gioia del Vangelo”, ilpontefice non poteva non denunciare i dolori dellaquotidianità.

Scrive Bergoglio: «Così come il comandamento “nonuccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valoredella vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economiadell’esclusione e della iniquità”. Questa economia uccide.Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoiaassiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentrelo sia il ribasso di due punti in borsa».

Affermare «Questa economia uccide» significapronunciare un prodigioso atto d’accusa. Perché vuol direche ci sono delle vittime e dei carnefici. Che i campionidel capitalismo selvaggio sono essi stessi degli assassini.Che avranno anche le mani pulite, ma le loro coscienzesono sporche del sangue dei poveri. Migranti, profughi,lavoratori sfruttati, imprenditori che si uccidono, bambiniin schiavitù: non è che una parte di un elenco sterminato dicrimini contro l’umanità commessi con il falso pretestodella “ricaduta favorevole”.

«Oggi tutto entra nel gioco della competitività e dellalegge del più forte, dove il potente mangia il più debole.Come conseguenza di questa situazione, grandi masse dipopolazione si vedono escluse ed emarginate: senzalavoro, senza prospettive, senza vie di uscita» scrive

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Francesco. Pur senza armamenti, quella del papa è unadichiarazione di guerra. «Non si tratta più semplicementedel fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma diqualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nellasua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui sivive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi,nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gliesclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.»

Quella di un mercato capace da solo di ridistribuire lericchezze, facendole “ricadere” dai ricchi verso i menoabbienti, è un’illusione. Anzi una truffa. Secondo isostenitori di queste teorie, che andavano particolarmentedi moda durante l’era Reagan-Thatcher e che hanno datouna copertura ideologica alle loro “riforme” economiche,l’arricchimento di pochi è a beneficio di tutti.

«Questa opinione, che non è mai stata confermata daifatti, esprime» si legge ancora nell’enciclica «una fiduciagrossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengonoil potere economico e nei meccanismi sacralizzati delsistema economico imperante.» Bergoglio lo pensava e loha detto. Non ci si può fidare «di coloro che detengono ilpotere economico», i liturgisti dei «meccanismisacralizzati del sistema economico imperante».

Adesso è più chiaro perché le lobby finanziarie stianoprendendo di mira papa Francesco. Non sarà solo unabattaglia ideologica. Di teorici contro teorici. Nei giorni

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successivi arriva il momento in cui le banche passano allevie di fatto, tentando di isolare il Vaticano, ostracizzandolo IOR, come vedremo, e servendo all’entourage delpontefice qualche polpetta avvelenata. Prima, però, serveradunare le forze. E, come scriveva Andersen, «condurrequesta parata fino alla fine!».

L’analisi dell’economista di J.P. Morgan va in questadirezione: «Le rimostranze che si sentono spessosull’incapacità dei sistemi economici di far fronte allapiaga della povertà ignorano alcuni fatti fondamentali». Aquesto punto le iperboli di James Glassman prendono unatraiettoria tragicomica. Innanzitutto, «la povertà non è unfenomeno moderno. Seconda cosa, le economie dei paesiavanzati si stanno ancora riprendendo da profonderecessioni e presto torneranno al loro pieno potenziale.Questo è il motivo per cui le politiche adottate dallebanche centrali rimangono così accomodanti. Chi è statocolpito dalla recessione riuscirà a riprendersi grazie alrecupero continuo dei paesi avanzati. Terzo fattore,nonostante i ciclici problemi delle economie più avanzate,in media il tenore di vita globale viaggia sui massimiassoluti».

Probabilmente il buon James, oltre al privilegio di unostipendio di J.P. Morgan, non è un assiduo frequentatoredegli hard discount e, per sua fortuna, delle mense deipoveri. Insomma, non dev’essere quel tipo d’uomo in

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confidenza con i benefattori dell’Esercito della salvezza.Oppure è uno di quei ciambellani che, pur di non perdereil posto, vedevano il monarca privo di indumenti ma nonavevano il coraggio di far dire alla bocca quello che gliocchi osservavano. Altrimenti non si spiega come faccia aribadire che «i sistemi economici che si basano suimercati stanno facendo molto di più per curare la povertàrispetto a qualsiasi sforzo del passato».

La sensibilità e la consapevolezza dell’opinionepubblica mondiale sono cresciute. Ma la sfida di papaFrancesco al capitalismo globale parte da alcuni dati checonosce a memoria per averli studiati personalmente giàprima del pontificato. Sono informazioni che anche itimonieri delle banche conoscono bene, ma per esserestati complici di chi ha scatenato la tempesta.

La grande crisi finanziaria ha prodotto cinquantamilioni di disoccupati tra USA e UE; il valore di titoli eimmobili evaporati nei primissimi anni della crisi siaggira tra i cinquanta e i sessanta trilioni di dollari, unacifra a diciotto zeri che si avvicina ai settanta trilioni delprodotto interno lordo del mondo intero; il prezzo socialepagato è stato altissimo (la Grecia è un caso da manuale).D’altro canto, per pochissimi eletti la crisi si è rivelatal’ennesima vantaggiosa occasione di arricchimento:secondo le stime della Banca mondiale, la classe più

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benestante del pianeta è costituita da ventinove milioni diadulti, cioè lo 0,6 per cento della popolazione, e detiene il39 per cento della ricchezza (quasi ottantottomila miliardidi dollari).

Alcune centinaia di migliaia di persone hannopeggiorato, quando non distrutto, la vita di decine dimilioni di cittadini. Grazie a un sistema in cui, a eccezionedi pochi, i colpevoli non hanno pagato e i bonus deigrandi manager anziché ridimensionarsi si sonomoltiplicati.

A questo si è aggiunta una truffa sui valori comuni,perpetrata instillando un diffuso senso di colpa, come sela crisi fosse soprattutto l’esito di una vita vissuta al disopra delle proprie reali possibilità, e propalando l’ideache persino lo stato sociale sia un lusso che ci ha fattifinire in bolletta.

Negli stessi mesi in cui dal Vaticano partono orazionimattutine dai contenuti che talvolta spiazzano perfino i no-global di lungo corso, proprio J.P. Morgan ha dovutostaccare un assegno da 1,7 miliardi di dollari alle vittimedi Bernard Madoff, il banchiere truffatore, impegnandosi apagare alle autorità una multa da 893 milioni di dollari.Un conto salato, arrivato complessivamente a 2,6 miliardidi dollari, portando l’ammontare totale dei patteggiamentiraggiunti con il governo statunitense a più di 20 miliardidi dollari. Perché tutti sapevano ma fingevano di non

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vedere, pur di non fermare la bolla speculativa chefagocitava un bilione di dollari dopo l’altro. Per ilgoverno americano, J.P. Morgan ha consentito a Madoff diriciclare denaro per anni: «Ha fallito, e fallitomiseramente» ha affermato il procuratore generale diManhattan, Preet Bharara.

Insomma, sarebbero questi i censori di papaFrancesco.

Il termometro del conflitto sale di grado ogni giorno. Ilpotere finanziario globale si sente in pericolo. Fino a quelmomento solo qualcuno, come “Bernie” Madoff, ha pagatocon il carcere. Altri sono rimasti a piede libero econtinuano a insegnare il mestiere ai giovani squali dellafinanza predatoria.

L’atteggiamento del Vaticano non cambia. Gli attacchidel pontefice ai sistemi economici globali sono pressochéquotidiani. E il 12 novembre 2014, a sorpresa, vieneannunciato che due multinazionali, Unilever e Vodafone,finanzieranno nella City londinese una serie di convegnipromossi dalla Chiesa sulla dottrina sociale cattolica. Ilprimate d’Inghilterra, cardinale Vincent Nichols, non si faillusioni: «Ci vorrà un po’ di tempo prima che la dottrinasociale della Chiesa prenda il posto del neoliberalismo,ma siamo sulla strada giusta». Lo scopo è quello di“formare” i nuovi banchieri. Una ingerenza che la

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comunità finanziaria mal sopporta. La Chiesa è anchecoinvolta nel Banking Standards Review Council, lacommissione internazionale che sta promuovendo nuovicriteri di trasparenza e onestà nel mondo finanziario. Aguidarla è Colette Bowe, cattolica, tra gli amministratoridel settimanale «The Tablet», autorevole periodicocattolico internazionale. La commissione che l’ha sceltaera presieduta da Mark Carney, governatore della Bancadi Inghilterra.

Meno di un mese dopo, accade un fatto che alcune fontivaticane sostengono di «non sapere come interpretare».Sul momento sembrava una notizia come tante, a cui nondare troppo peso, considerata la volatilità dei mercatifinanziari. Ma dopo averlo annunciato alla fine del 2014,a metà febbraio 2015 J.P. Morgan conferma unavalutazione negativa per Unilever e Vodafone.

Il rating di Unilever viene declassato per underweight.Nel linguaggio delle borse significa che il gestore èpessimista su quel titolo. Il termine underweight(letteralmente “sottopeso”), usato dagli analisti dellesocietà di consulenza, è sinonimo di underperform, unasorta di indicazione a vendere un determinato titolo. Alcontrario, su Vodafone scatta un’allerta per l’esattoopposto: overweight, “sovrappeso”. In altre parole,secondo i consulenti di J.P. Morgan la multinazionaledelle telecomunicazioni potrebbe avere eccessivamente

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investito su altri titoli la cui sorte (se negativa) potrebbefar deprezzare il suo valore.

Bastano parole prese in prestito dai dietologi, terminicome “sovrappeso” o “sottopeso”, per costringeregoverni, aziende e istituzioni mondiali a prenderedecisioni indotte dall’esterno. «Una nuova tiranniainvisibile» per usare altre parole del papa «che impone,in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sueregole.»

Forse Bergoglio ci sta dicendo che si deve eliminare ilmercato e tornare a un’economia arcaica?

«Non mi sembra che il pontefice neghi o condanni ilmercato, anzi riconosce che il mercato favorisce lacrescita economica» risponde Flavio Felice, professoreordinario di Dottrine economiche e politiche allaPontificia università lateranense, oltre che presidente delcentro studi Tocqueville-Acton. Secondo l’economista,«opportunamente e correttamente, il papa ci dice una cosamolto semplice e di buon senso che solo chi legge ildocumento in modo ideologico sembrerebbe non cogliere:la crescita, trainata dal mercato, non è immediatamentesinonimo di sviluppo; e come negarlo? Il mercato,dinamico e aperto, è lo strumento migliore perincrementare la crescita, ma tale crescita (elementoquantitativo) non si traduce necessariamente in sviluppoumano integrale (elemento qualitativo), che poi è ciò che

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interessa alla dottrina sociale della Chiesa e che dovrebbeinteressare ciascun cristiano».

Basta leggere le notizie sul caporalato nei campiagricoli europei e sulle rivolte dei nuovi schiavi inSudamerica per farsi un’idea. Ma allora, di chi è la colpadelle diseguaglianze? Chi bisogna tenere fuori dalle stanzedei bottoni? «Leggendo e rileggendo i paragrafi dedicatialla questione economica, non mi risulta che il papaaffermi che tale impossibilità di ridurre in modomeccanico lo sviluppo alla crescita economica siaimputabile al mercato in quanto tale. Il mercato è unmeccanismo-processo per la raccolta e la trasmissione diinformazioni, coordinato dal sistema dei prezzi assuntocome parametro, peraltro sempre cangiante. In pratica, ilmercato è lo strumento di cui si servono gli operatorieconomici e fa il suo mestiere nella misura in cuiottimizza il processo di raccolta e trasmissione delleinformazioni in ordine alla domanda di beni e servizi. Nonpossiamo chiedergli di dire e di fare ciò che non sa dire eche non può fare. In definitiva, secondo la prospettivadella dottrina sociale della Chiesa che dovrebbe animareanche l’azione dei cattolici nella sfera della politica edell’economia, che fortunatamente non sono le uniche e sirelazionano con le altre sfere storico-esistenziali nellequali si concretizza la vita civile di ciascuna persona, lesituazioni di ingiustizia e di malessere sociali dipendono,

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non necessariamente per via intenzionale, dapersonalissimi peccati di chi genera condizioni diiniquità, ma anche da chi più modestamente la favorisce,fino a comprendere coloro che se ne servono, sfruttandola,per il raggiungimento dei loro personalissimi obiettivi.Tutto ciò basterebbe a qualificare il modo di essere deicattolici nella vita civile in maniera tutt’altro che“moderata”, eppure siamo chiamati ad andare ben oltre e,tra i personalissimi peccati che contribuisconoall’edificazione di tali strutture, possiamo comprendereanche le azioni di chi, pur potendo fare qualcosa perevitare, eliminare ovvero limitare situazioni di iniquitàsociale, non lo fa per pigrizia, magari per paura, una paurache può giungere fino all’omertà. Un peccato di omissioneche è spesso giustificato a partire da una culturadell’indifferenza e della complicità con il potere,un’indifferenza e una complicità che fiaccano le nostreenergie e ci fanno desistere dalla fatica dellapartecipazione, accampando scuse quali l’impossibilità dicambiare il mondo ovvero le immancabili ragioni di forzamaggiore: “ragion di stato”, di “partito”, di “nazione”, di“razza” e via dicendo.» Come dire che il mercato èdiventato una divinità pagana a cui ci si è affidaticiecamente. «È l’identificazione del denaro e del poterecome idoli a essere condannata, idoli ai quali inchinarsi ein nome dei quali sacrificare le nostre scelte. Idoli che si

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presentano con le vesti ordinarie e quotidiane delsuccesso professionale, del mors tua vita mea, di chipretende di raccogliere senza aver seminato e di chisemina la morte per il proprio tornaconto. Sono gli idoliaccattivanti e generalmente tollerati perché un po’ tutti cirappresentano, nei confronti dei quali si è solitamente piùindulgenti e autoassolutori. In breve, è un atteggiamento,una predisposizione, un comportamento che diventanocostume, l’aria stessa che respiriamo che giunge aintossicare le nostre coscienze e a corrompere leistituzioni della democrazia e del mercato. È l’insanapretesa di essere assolti anche quando “a ogni costo” e “aqualsiasi prezzo” anteponiamo il nostro interesseimmediato a quello di chi ci vive accanto, fosse anchequalcuno che deve ancora nascere o che vive dall’altraparte del mondo.»

«Lo sviluppo integrale non è riducibile alla meracrescita economica perché» osserva ancora il professorFelice «necessita della dimensione educativa, culturale,valoriale che il mercato non produce da sé, se nonmediante le persone che in esso operano. Come ci hannoinsegnato i padri dell’economia sociale di mercato, apartire da Wilhelm Röpke, ripreso peraltro da papaBenedetto XVI nella Caritas in veritate, ma come delresto ci ha insegnato anche Adam Smith, il mercato nudo ecrudo semplicemente non esiste. Esistono i valori, le

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culture, le fedi, le tradizioni che conformano le istituzioniche, a loro volta, erigono i mercati e qualificano iprocessi di mercato. In breve, sono le scelte e le azionidegli operatori che offrono la cifra umana di un mercato,il suo volto, la sua storia.»

Dunque parlare dei poveri, appellandosi ai ricchi, nonha il valore di una negazione totale del mercato. «Piuttostosignifica pungolare coloro che hanno responsabilitàdecisionali a vari livelli e in vari ambiti (economici,politici e culturali), affinché facciano la loro partenell’incessante opera d’implementazione istituzionale deiprocessi di mercato, affinché siano autenticamente esempre più dinamici e aperti e non il regno chiusooccupato dai detentori delle rendite.»

A spalleggiare le banche d’affari ci sono alcuni thinktank conservatori frequentati da personaggi controversi.Per potervi risalire bisogna percorrere a ritroso lecarriere individuali di alcuni dei critici di papaFrancesco. Le sorprese non mancano. E conducono finoalla porta di alcuni “grandi vecchi”. Uomini che si celanodietro pedine in apparenza innocue, secondo un vecchioschema tipico dei circoli del potere. Uomini che, per laloro storia e il loro ruolo, non possono far finta di nonsapere. Ma lasciano che siano altri a sporcarsi le scarpenel pantano.

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Alcuni centri studi servono anche a questo. L’AmericanEnterprise Institute (AEI) è una gloriosa istituzioneconservatrice. Discetta di tutto. Dalla teologiaall’astrofisica, passando per le politiche sociali e lestrategie militari. È da qui che, davanti alle tesieconomiche di Bergoglio, il blogger americano JamesPethokoukis scrive una lunga analisi nella quale nonrisparmia le perplessità. Pur riconoscendo che le paroledel papa «sono eccellente motivo di riflessione»Pethokoukis afferma che «non devono oscurare la realtà,dato che la libera impresa è il più grande generatore diricchezza mai scoperto fino a ora oltre che il sistemaeconomico più favorevole allo sviluppo umano».

L’intervento viene rilanciato da ambienti vicini alPartito repubblicano e alla destra populista del Tea Party.Il testo con cui Pethokoukis di fatto convalida l’opinionedi James Glassman comincia a circolare nel novembre2013.

Ma chi è Pethokoukis? Un giovane analista, che ha unpassato da giornalista Reuters ed è membrodell’American Enterprise Institute: non un circolo persecchioni dell’alta finanza, ma uno dei più antichi einfluenti “incubatori di idee” della destra statunitense. «Ilsuo scopo» spiegano da Right Wing Watch, unosservatorio indipendente sul neoconservatorismo USA «èquello di promuovere il progresso attraverso il

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capitalismo. Grazie a questo lavoro sono riusciti ainserire i loro uomini specialmente nell’amministrazioneBush.» In altre parole, quelli come Pethokoukis dettano lalinea alla destra degli States.

Tra papa Francesco e questi analisti con il dito puntatocontro l’Obamacare, la riforma sanitaria che dovrebbeestendere l’assistenza medica anche a chi non puòpermettersi un’assicurazione privata, non era difficileprevedere che potesse non correre buon sangue. Specie daquando, grazie alla mediazione vaticana, è stato gettato unponte tra USA e Cuba, iniziativa che gli ambientineoconservatori vedono come fumo negli occhi. Come unaresa al barbuto comunista Fidel Castro.

A sostenere le battaglie dei “neocon” ci sono uominicome Dick Cheney e capitali come quelli messi adisposizione dalla Halliburton. Bastano questi due nomiper farsi un’idea precisa degli ambienti “antipapisti” astelle e strisce da cui partono alcuni degli attacchi a papaBergoglio su vari fronti: economia, teologia, visionegeopolitica.

Dick Cheney, il vicepresidente, era “il falco” perantonomasia del governo Bush. L’uomo della guerraglobale al terrorismo. E, mentre questa guerra venivacombattuta sullo scacchiere mondiale, la Halliburtonmieteva miliardi di dollari scavando pozzi petroliferi e

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beneficiando della gran parte dei fondi per l’infinitaricostruzione dell’Iraq.

Momentaneamente fuori dai giochi politici, oggi “ilfalco” è l’uomo ombra dell’American Enterprise Institute,di cui è stato vicepresidente e nel quale mantiene incarichidirettivi sua moglie Lynne, già consigliered’amministrazione di Lockheed Martin, il principaleproduttore mondiale di sistemi di difesa: dai velivolicaccia ai missili a testata nucleare, dai radar ai blindatiper il trasporto delle truppe. Tra i principali finanziatoridell’AEI, manco a dirlo, figura la Halliburton.

Cheney, Halliburton: prima di arrivare agli attacchi alpapa è interessante ricostruire carriere e interessiincrociati. L’ex vicepresidente USA, che i democraticiamavano paragonare a Dart Fener, il malvagioprotagonista di Guerre stellari, il primo impiego loottiene nel 1969 con Richard Nixon grazie all’aiuto di unfunzionario dell’Office of Economic Opportunity, DonaldRumsfeld. Nel 1973, con il presidente Nixon sotto attaccoper il Watergate, Dick Cheney lascia la politica, ma pocodopo l’amico “Rummy” Rumsfeld, diventato capo digabinetto del presidente Ford, lo porta con sé come vice.Cheney ne eredita il posto quando Rummy diventaministro della Difesa, ma entrambi soccombonopoliticamente quando nel 1976 viene eletto il democraticoJimmy Carter.

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Dopo la batosta, Cheney torna nel Wyoming, statorepubblicano che per dieci anni lo elegge al Congresso.Da deputato della destra vota contro una serie di propostedi legge: aborto in caso di stupro, tutela delle specieanimali a rischio estinzione, controlli di sicurezza perl’acqua potabile e infine contro una mozione che avrebbedovuto impegnare gli USA a fare pressione sul Sudafricaper ottenere il rilascio di Nelson Mandela. Con un talecurriculum, nel 1988 Bush padre lo premia portandolo alPentagono, dove architetta la prima guerra contro SaddamHussein.

Quando George Bush senior viene messo alla porta daidemocratici di Bill Clinton, Cheney trova un buonimpiego. Pur non avendo mai lavorato nel settorepetrolifero, nel 1995 l’ex capo del Pentagono diventaamministratore delegato della Halliburton.

Gli affari a nove zeri della compagnia di Dallas neicampi di battaglia battuti dai marines sono oggetto didecine di investigazioni giornalistiche. Ma più di recentela multinazionale ha fatto parlare di sé per la “mareanera” nel Golfo del Messico, la più gigantesca fuoriuscitadi petrolio della storia: 5 milioni di barili di greggio chesi sono riversati nell’oceano inquinando un’area di circa180.000 chilometri quadrati, con danni incalcolabili allecoste e all’economia degli stati del Golfo.

Nel 2013 si è scoperto che le prove sulle cause del più

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grave disastro ambientale provocato da un pozzopetrolifero in America erano state distrutte. Halliburton,che gestiva insieme alla Transocean la piattaformapetrolifera della British Petroleum esplosa nel Golfo delMessico nell’aprile 2010, lo ha ammesso ufficialmentedopo avere accettato di pagare una multa. L’azienda sioccupava in particolare delle strutture di cemento asostegno dei pozzi di estrazione. Sono state quindi fattesparire tutte le simulazioni fatte al computer dai suoiingegneri nelle settimane successive al disastro, chevertevano proprio sulla resistenza degli anelli di cemento.

I legami di Dick Cheney con la società texana hannocreato qualche problema sul piano dell’immagine. Il falcose n’è uscito assicurando di non avere altre ambizionipolitiche. In realtà, attraverso il think tank conservatore,Cheney continua a essere molto influente, grazie anche aldenaro della multinazionale texana. E con il ritorno dellafamiglia Bush nell’arena elettorale, con Jeb Bush che sicandida alle primarie sperando di seguire le orme delpadre e del fratello George, c’è da stare certi che il falconon resterà in gabbia.

Rileggere gli interventi contro le denunce di Bergogliodopo avere appreso da quali ambienti provengano aiuta aponderare ogni giudizio.

Ma torniamo al “manifesto” di Francesco. «Mentre i

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guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli dellamaggioranza si collocano sempre più distanti dalbenessere di questa minoranza felice. Tale squilibrioprocede da ideologie che difendono l’autonomia assolutadei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano ildiritto di controllo degli stati, incaricati di vigilare per latutela del bene comune. Si instaura una nuova tiranniainvisibile, a volte virtuale, che impone, in modounilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole.Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i paesi dallepossibilità praticabili della loro economia e i cittadini dalloro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge unacorruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, chehanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere edell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tendea fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici,qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimaneindifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato,trasformati in regola assoluta.»

La Grecia è il caso simbolo. Scelte politichespregiudicate e una serie di errori di valutazione hannocondotto un intero popolo sul lastrico. Qualcuno ha presola palla al balzo per demolire una certa idea di WelfareState, cercando di far passare l’idea che lo stato non puòfarsi carico dei più deboli, ma che solo dentro il

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capitalismo duro e puro i bisogni possono trovare unarisposta.

Il 18 settembre 2014 Bergoglio alza il tiro. E lo fa amodo suo. Pur senza dare benedizioni né appoggiarepubblicamente alcun movimento di contestazione, inVaticano arrivano i leader della sinistra antisistema, allaricerca di un dialogo con papa Francesco sui temi dellapace, della difesa dell’ambiente, della lotta alla povertà.Sono queste le ragioni di fondo all’origine dell’udienzaprivata di trentacinque minuti che papa Francesco hariservato al greco Alexis Tsipras, all’epoca leader delpartito di sinistra Syriza, e a Walter Baier, coordinatoredella rete europea Transform! e fino al 2006 capo delPartito comunista austriaco. Un incontro «di carattereprivato», con un dialogo incentrato «sui temi umani esociali» spiegherà al termine il portavoce vaticano, padreFederico Lombardi. L’udienza non aveva «rilievopolitico» ed è nata dai contatti dei due leader di Sinistraeuropea «col movimento dei Focolari nel campo deldialogo».

Il fatto che i focolarini, movimento ecclesialeinternazionale fondato da Chiara Lubich, fossero in buonirapporti con Syriza è più di una notizia. A quanto è statopossibile accertare, l’incontro è stato concordato su

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iniziativa di Baier tramite l’esponente dei focolari FranzKronreif.

Per Alexis Tsipras l’incontro con Bergoglio è stato un«momento storico» per continuare a contrastare «lapovertà» e le ineguaglianze.

«Abbiamo parlato della crisi in Europa dopo lapolitica di recessione e austerità. Abbiamo parlato dellaguerra globale e della necessità di prendere iniziative dipace. Abbiamo parlato dell’immigrazione. Abbiamoparlato della necessità di avere in primo piano gli esseriumani e non la speculazione.» Per quattro volte il giovaneleader greco ha ripetuto quell’«abbiamo parlato», come avoler sottolineare che il dialogo è stato aperto, sincero eniente affatto concluso. Anzi Tsipras ha subito specificatoche insieme al pontefice è stato deciso «di continuare adiscutere, perché oggi, soprattutto di fronte alla crisi, ènecessario continuare questo dialogo tra la sinistraeuropea e la Chiesa».

L’austriaco Baier, dal canto suo, ha riferito le paroledel pontefice senza che dal Vaticano arrivassero smentiteo precisazioni: «Il papa ha detto che è scandaloso che cipreoccupiamo più delle banche che delle persone».

Abbastanza per mettere in allarme mezza Europa, allavigilia delle elezioni che porteranno Tsipras allapresidenza del governo greco.

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L’evento non poteva certo passare inosservato, datol’alto profilo della delegazione ospite. I due esponentidella sinistra si sono sentiti incoraggiati dall’esortazioneapostolica Evangelii Gaudium e dalle diverse iniziativedel papa in favore della pace. E nel colloquio conFrancesco si è cercato di trovare dei punti di vista comunie un modo per restare “a portata di voce” anche nel futuro.

In Vaticano, come si è detto, non si è voluto attribuirealcun carattere politico all’incontro. D’altra parte, lostesso Bergoglio si è dovuto difendere dalle accuse diessere un comunista, «un leninista», come è arrivato ascrivere in copertina l’«Economist» per la sua strenuadifesa dei poveri e per i suoi strali contro «l’economiache uccide». E così neanche l’«Economist» ha resistitoalla tentazione di semplificare il Bergoglio pensieroriconducendolo nel reticolo del post comunismo.

«Asserendo un collegamento diretto tra guerra ecapitalismo» si può leggere nell’edizione del 19 giugno2014 «sembra prendere una linea ultraradicale che,consapevolmente o meno, ricalca quella proposta daVladimir Lenin nell’analisi su capitalismo e imperialismoe di come questi siano stati la causa della Prima guerramondiale, un secolo fa». Poi, la difesa d’ufficio delmodello economico imperante. «La storia è piena diesempi di forme di potere che hanno originato violenza inmodo ancora più evidente di quanto non abbia fatto il

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capitalismo, dal feudalesimo ai regimi totalitari, epensatori come Joseph Schumpeter e Karl Popper hannoaffermato con forza che il capitalismo può consolidare lapace offrendo metodi non violenti per soddisfare i bisogniumani».

Probabilmente lo stesso Bergoglio sarebbe d’accordocon quest’ultima affermazione. Se non fosse che ilcapitalismo e l’economia di mercato non sono guidate daun demiurgo filantropo, ma da esseri umani in carne eossa. Gli stessi che trincerandosi dietro ad asserzionirassicuranti hanno depredato ricchezze e minacciato ledemocrazie.

Prima di recarsi nel Palazzo apostolico, Tsipras avevasottolineato ai suoi collaboratori proprio alcuni passaggidella Evangelii Gaudium, trovando non solo unaconsonanza con le irrequietezze dei manifestanti che daoltre due anni assediano piazza Syntagma, dove si affacciail parlamento di Atene. Alcune riflessioni del papaappaiono alla sinistra europea come una bussola eun’avvertenza: «Non possiamo più confidare nelle forzecieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita inequità esige qualcosa di più della crescita economica,benché la presupponga, richiede decisioni, programmi,meccanismi e processi specificamente orientati a unamigliore distribuzione delle entrate, alla creazione di

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opportunità di lavoro, a una promozione integrale deipoveri che superi il mero assistenzialismo».

Il pontefice, però, mette in guardia dalle faciliscorciatoie: «Lungi da me il proporre un populismoirresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere arimedi che sono un nuovo veleno, come quando sipretende di aumentare la redditività riducendo il mercatodel lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi».

Non basta dunque contestare o agitare bandieresbiadite. La politica deve dare risposte e il giovaneAlexis, che presto diventerà capo di governo, capisce cheda lui e dalla nuova generazione di politici europei ilpapa si aspetta qualcosa di più di uno slogan antisistema:«La necessità di risolvere le cause strutturali dellapovertà non può attendere, non solo per una esigenzapragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, maper guarirla da una malattia che la rende fragile e indegnae che potrà solo portarla a nuove crisi. I pianiassistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, sidovrebbero considerare solo come risposte provvisorie.Finché non si risolveranno radicalmente i problemi deipoveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati edella speculazione finanziaria e aggredendo le causestrutturali della inequità, non si risolveranno i problemidel mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è laradice dei mali sociali».

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Per abbattere la «nuova tirannia», dunque, occorreprendere il toro per le corna, «aggredendo le causestrutturali della inequità». Proprio così: il papa suggeriscedi “aggredire”, perché davanti al falso mito della“ricaduta favorevole” non si può porgere l’altra guancia.Non più. Ma occorre aggredire con decisione eintelligenza. La violenza non serve.

Alcuni mesi prima, intervistato da Franca Giansoldati,vaticanista de «Il Messaggero», Bergoglio era statoesplicito: «Io dico solo che i comunisti ci hanno derubatola bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana. La povertàè al centro del Vangelo. I poveri sono al centro delVangelo».

Ma è con l’enciclica Laudato si’, che il ponteficegesuita mette in chiaro le responsabilità e indica icolpevoli.

«La politica non deve sottomettersi all’economia equesta non deve sottomettersi ai dettami e al paradigmaefficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al benecomune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che lapolitica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamenteal servizio della vita, specialmente della vita umana. Ilsalvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare ilprezzo alla popolazione, senza la ferma decisione dirivedere e riformare l’intero sistema, riafferma undominio assoluto della finanza che non ha futuro e che

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potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa eapparente cura.»

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SOTTO LA LENTE DEI SERVIZI SEGRETI

Occhi puntati sul conclave. La “CIA ombra”. Cacciainternazionale agli hacker. Un buon pastore, un gesuita, unsovversivo? Scheletri nell’armadio della Chiesa argentina. Ilcappellano torturatore. I due fronti opposti di Plaza de Mayo.

Quando viene eletto, Jorge Mario Bergoglio è per moltiuno sconosciuto. Non per i servizi segreti americani, chelo tengono d’occhio dalla fine degli anni Novanta. Glianalisti della CIA lo indicano tra i papabili già nel 2003,due anni prima della morte di Karol Wojtyla. Da allora gli007 americani baderanno a ogni sua parola, compilandouna ventina di dossier riservati trasmessi al Dipartimentodi stato. I memorandum vengono letti, nel tempo, daquattro segretari di stato: Colin Powell e CondoleezzaRice sotto la presidenza repubblicana di George W. Bush,Hillary Clinton e John Kerry durante il primo e il secondomandato di Barack Obama.

Dal tono di alcuni cablogrammi si capisce che per gliStati Uniti quello di Bergoglio non è il nome piùdesiderabile. Ovviamente non esprimono un loro favorito,ma si intuisce quali candidati preferirebbero cherestassero fuori. Il gesuita argentino è uno di questi.

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Perciò, da quando Francesco è stato eletto, almeno unavolta alla settimana da Roma partono nuovi report deifunzionari USA, messi sotto pressione dal dualismodiplomatico dell’ambasciata di Roma presso lo statoitaliano e dalla rappresentanza presso la Santa Sede.Talvolta quest’ultima viene ritenuta più compromessa conil Vaticano, perciò a Washington si segue la regola d’orodi incrociare le informazioni provenienti dai due uffici.

Il capocentro della CIA ha la sua base in via Veneto,nel gigantesco edificio tardo ottocentesco noto comepalazzo Margherita, dal nome della regina italiana che visoggiornò all’inizio del XX secolo.

I servizi segreti americani dimostrano di saperla lungafin dal conclave del 2005, quando occorreva affidare a unnuovo papa il peso dell’eredità di Giovanni Paolo II,insopportabile per la maggioranza dei porporati. Anchetra i riformatori, tra quanti cioè avrebbero desiderato uncambio di passo nella gestione del governo della Chiesa,trascurato da un Wojtyla fiaccato dalla lunga malattia,regnava il timore che un cambiamento repentino potessedisorientare i fedeli.

Alle 16.42 di lunedì 18 aprile 2005 le telescriventicominciano a stampare un cablo digitato a Roma e direttoal Dipartimento di stato. A Washington si fanno cosìun’idea di cosa stia accadendo in vista dell’extra omnes

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con cui i cardinali si rinchiuderanno nella CappellaSistina, protetti dal silenzio ultrasecolare degli affreschidi Michelangelo. La processione dei porporati è giàavviata. Negli stessi istanti, i servizi segreti americaniinviano un quadro dettagliato, ma non si sbilanciano inalcuna previsione: «Quando i 115 cardinali elettorientrano nella Cappella Sistina per eleggere il successoredi Giovanni Paolo II, non è chiaro se ci sia un favorito».Nonostante «le speculazioni dei media», nessun candidato«sembra possedere un sostegno interno per ottenere i 77voti (due terzi degli elettori) necessari per l’elezione».Perciò «gli elettori saranno probabilmente alla ricerca diun candidato teologicamente conservatore ma socialmenteimpegnato, in grado di poter affrontare le peculiari sfideregionali che la Chiesa ha di fronte: catturarel’immaginario pubblico, tenere il timone con rigore eampliare il senso di collegialità tra i vescovi».

Poche righe bastano ai funzionari statunitensi perriassumere l’agenda del Vaticano per l’immediato futuro.

Il cablogramma prosegue con un’avvertenzapreliminare: «I molti fattori in gioco nelle elezioni, comela segretezza del processo, rendono l’elezioneimprevedibile, come dimostra il fatto che Giovanni PaoloII non figurava tra i papabili al momento della suaelezione nel 1978». Dopodiché, i funzionari cominciano a

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passare in rassegna i “papabili”, evidentemente dopoavere raccolto informazioni dall’interno.

«Anche se da una settimana le speculazioni dei mediasuggeriscono che il cardinale tedesco Joseph Ratzinger,stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, sia vicino aottenere la maggioranza dei voti, sembra che gli manchi unsostegno sufficiente per raggiungere i necessari due terzi,data la forte opposizione di fazioni che vedono Ratzingercome troppo rigido e geloso delle prerogative di Roma.Alcune di queste forze sembrano riunirsi intorno al“pensionato” arcivescovo di Milano, il cardinale CarloMaria Martini, come portabandiera per i voti di partenzache metteranno alla prova la resistenza dei diversigruppi.»

Fin qui l’intelligence americana dimostra di averebuone informazioni ma di non saperne poi molto più diquanto non scrivessero i più autorevoli vaticanisti.

«Sulla base di queste proiezioni iniziali, i cardinalinelle successive sessioni di voto dovrebbero passare adaltri candidati, che riflettano le opinioni di Ratzinger o diMartini, ma che offrono una migliore speranza diraccogliere il sostegno di altri gruppi. I cardinali italianiRuini o Scola e il cardinale argentino Bergoglioandrebbero bene alla fazione di Ratzinger, mentrel’arcivescovo di Milano cardinal Tettamanzi o il cardinale

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brasiliano Hummes potrebbero ricevere l’appoggio deigruppi anti-Ratzinger.»

Fino a quel momento il nome dell’arcivescovo diBuenos Aires non era pressoché mai comparso nellecronache dalla Santa Sede. Eppure gli 007 di Washingtonmostrano non solo di non sottovalutare il primateargentino, ma di conoscerlo abbastanza a fondo. Come sefosse stato seguito passo passo da qualche buona fonte aBuenos Aires.

Al punto 3 del cablogramma viene ribadito che«nonostante l’attenzione su questi front-runners, la listadei possibili candidati rimane ampia e, data la modalitàdella corsa, a questo punto uno di loro – o qualcuno nonincluso in questa lista – potrebbe emergere come feceKarol Wojtyla nel 1978. Molti italiani, che formano il piùgrande blocco nazionale, sperano di riconquistare ilpapato. Molti latinoamericani, che rappresentano il piùgrande gruppo di cattolici nel mondo, credono che tocchia uno di loro essere eletto». Quanto ad africani e asiatici,«che rappresentano la maggior parte dei paesi con unarapida crescita del cattolicesimo, ritengono che un papascelto tra loro trasmetterebbe un segnale fortedell’universalità della Chiesa».

La prima parte della rassegna viene dedicata agliitaliani, di cui si dice che hanno «tenuto il papatoininterrottamente per 455 anni, prima dell’elezione di

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Karol Wojtyla». Ci sono Bertone, Ruini, Tettamanzi,Scola. «Molti osservatori hanno suggerito che gli elettoriitaliani saranno ansiosi di tornare al papato di un italiano.Il papa è il vescovo di Roma, sottolineano, e quindidovrebbe parlare italiano e capire la cultura italiana.»Alla vigilia del conclave, tuttavia, «non sembra che gliitaliani siano uniti, e alcuni hanno anche pubblicamentedichiarato che non si dovrebbe più considerare il papatocome una prerogativa italiana».

Gli americani si mostrano possibilisti anche riguardoall’ipotesi di un papa proveniente da altri paesi delvecchio continente: «Nonostante il continuo declino dellapopolazione cattolica osservante in Europa e la crescentesecolarizzazione nei paesi con una forte tradizionecattolica, l’Europa rimane il nucleo storico della Chiesacattolica, da cui proviene la metà dei cardinali elettori».Stando alle fonti dell’intelligence, «molti credono che laporta ora sia aperta ad altri candidati europei non italiani.I sostenitori di un papa europeo sottolineano l’importanzadella ricostruzione della Chiesa in Europa, e ritengonoche un papa non europeo potrebbe far credere che laChiesa abbia come cancellato l’Europa».

Infine la previsione, azzeccata: «Il cardinale Ratzingerè il leader tra gli europei non italiani, anche se ilportoghese arcivescovo di Lisbona, Policarpo, è

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recentemente emerso come europeo che potrebbedialogare con l’America Latina».

In quest’ultima valutazione ci sono due previsioniindovinate: l’elezione di Benedetto XVI e la necessità perla Chiesa di guardare al continente sudamericano. Se conla nomina del pontefice tedesco quest’ultimo argomentosembrava non aver prevalso, con la scelta di Bergoglio lacongettura degli agenti segreti di Washington si riveleràesatta.

Prima di arrivare alla scheda biograficadell’arcivescovo di Buenos Aires, gli estensori del cabloriassumono le figure di José da Cruz Policarpo(Portogallo), Godfried Danneels (Belgio) e ChristophSchönborn (Austria). L’Africa viene di fatto trascurata,così come l’Asia, e anche in questo gli analisti di palazzoMargherita mostrano di sapere il fatto loro.

«L’Africa è per la Chiesa la regione con la più rapidacrescita, e conta oggi l’11 per cento dei cattolici di tutto ilmondo. Anche se l’elezione di un papa africano sarebbeun forte segnale in tutto il continente, molti cardinalieuropei hanno fatto chiaramente capire che non sonoancora pronti a eleggere un papa da una regione in cui leradici del cattolicesimo non sono ancora profonde.» Due icandidati elencati: il nigeriano Francis Arinze e ilsudafricano Wilfrid Fox Napier.

Quanto al continente asiatico, gli USA non escludono

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un’elezione a sorpresa di Ivan Dias, ex nunzio earcivescovo di Mumbai: «Al di fuori delle Filippine, ilcui nome più noto è quello del cardinale Sin, anziano e incattive condizioni di salute, la Chiesa in Asia è ancoragiovane e deve ancora produrre dei candidati papabili.L’unica eccezione sembra essere l’indiano Ivan Dias, unveterano del servizio diplomatico vaticano».

Al contrario, lunghi capitoli vengono dedicati alsubcontinente latinoamericano. Al punto 6 si legge:«L’America Latina è la patria del 42 per cento di tutti icattolici del mondo, la seconda casa della Chiesa dopol’Europa. Con il continuo calo della vitalità della Chiesain Europa, molti latinoamericani ritengono sia giunto ilmomento per un papa proveniente dalle loro terre, dove laChiesa è in crescita ed è attiva, nonostante la concorrenzadegli evangelici».

A questo punto il funzionario statunitense scopre un po’le carte. Del resto, mai avrebbe potuto immaginare che ildossier sarebbe divenuto di dominio pubblico. «Cardinalilatinoamericani ci hanno detto che questo conclavepotrebbe produrre il primo papa latinoamericano, anchese sono stati cauti.» In altre parole, l’amministrazionestatunitense non si è limitata ad attingere informazioni dafonti qualificate ma di livello intermedio. Tra gliinformatori, certo non inconsapevoli, ci sono anche deiporporati.

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«Chiaramente, se la decisione fosse basataesclusivamente su considerazioni regionali, un papalatinoamericano per gli elettori sarebbe una sceltalogica.» Ma i numeri non sono dalla parte dei “latini”:«Tra gli elettori, essi sono in 18, rappresentano meno del20 per cento dei voti». Una sproporzione, rispetto allapopolazione di fedeli.

I nomi su cui gli USA preferiscono tenersi pronti sonoquattro. I primi tre sono personalità universalmente noteanche al di fuori del mondo cattolico. L’ultimo è unosconosciuto anche dentro la Chiesa.

Il colombiano Dario Castrillón Hoyos, all’epocaPrefetto della Congregazione per il Clero, è «un realista eun buon amico degli Stati Uniti. Ha espresso fortesostegno agli sforzi degli USA per combattere ilterrorismo».

Ma è il Brasile il paese dal quale potrebbe arrivare ilnuovo pontefice. La figura più in vista, però, non va agenio. Il cardinale di San Paolo, Claudio Hummes, figliodi immigrati tedeschi, «come giovane vescovo si èguadagnato la reputazione di strenuo difensore dei piùdeboli». Ha attivamente difeso il movimento Sem Terra(contadini senza terra), «sostenendo che le personedovrebbero essere incoraggiate a organizzarsi perdifendere i propri diritti». Un atteggiamento battaglieroche secondo il dispaccio si è mitigato nel corso degli

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anni, «anche se [Hummes] ricorda ancora ai capi delgoverno che la Chiesa difende sì la proprietà privata, macon atteggiamento di “responsabilità sociale”».

Un outsider potrebbe essere il messicano NorbertoRivera Carrera, dipinto come «quintessenza della Chiesalatinoamericana: sostiene la giustizia sociale in un quadroteologico conservatore. Ha criticato la globalizzazione ela corruzione politica; ma da vescovo, nella sua primadiocesi, ha anche chiuso un seminario, accusandolo diinsegnare teologia marxista».

Certo non sarebbe un nome a sorpresa quellodell’honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga. «Unsacerdote versatile: possiede un diploma in Psicologiaclinica e Psicoterapia presso l’università di Innsbruck, inAustria. Ha studiato pianoforte, armonia e composizionemusicale in El Salvador, Guatemala e Stati Uniti.» Nel1999 ha avuto un ruolo di primo piano durante il G7 diColonia, nel corso del quale le sette potenze piùindustrializzate hanno affrontato la questione del debitoglobale. Inoltre Maradiaga «è stato attivamente coinvoltoin Transparency International (movimento per un governoaperto e responsabile). Si è espresso in manierafortemente critica riguardo alla copertura dei media USA

sullo scandalo degli abusi sessuali commessi daisacerdoti, sostenendo che si trattava di media anticattolici,motivati da un clima di odio contro la Chiesa, e che sono

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stati usati toni e mezzi che gli ricordano quelli di Stalin eHitler». Atteggiamento, questo, che secondo l’estensoredel cablogramma l’ha fatto cadere in disgrazia, per nonparlare delle sue «frequenti farneticazioni» contro«l’imperialismo degli USA» o il «complotto giudaico»che, a suo dire, controllerebbe i media. Tutto ciò minaccia«la sua “idoneità” a diventare papa».

È a questo punto che, per la prima volta, emerge ilnome dell’arcivescovo gesuita di Buenos Aires. In unascheda di 1.800 parole, i servizi segreti di Washingtonriassumono i tratti essenziali del porporato, in modo taleche, in caso di elezione, il presidente Bush e i suoicollaboratori non si facciano trovare impreparati.

«Bergoglio Jorge Mario: nato il 17 dicembre 1936 aBuenos Aires e ordinato il 13 dicembre 1969. Bergoglioha servito come provinciale gesuita (eletto dall’ordine)per l’Argentina (1973-1979) e come rettore della facoltàdi Filosofia e Teologia di San Miguel (1980-1986). Dopoaver completato la sua tesi di dottorato in Germania,Bergoglio ha servito come confessore e direttorespirituale a Cordoba. Nel 1992, il papa lo ha nominatovescovo ausiliare di Buenos Aires; poi, nel 1997, è statonominato arcivescovo coadiutore (vice arcivescovo condiritto di successione) di Buenos Aires; infine, il 28febbraio 1998 è diventato arcivescovo. Bergoglio è ilvicepresidente della Conferenza Episcopale Argentina e

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fa parte del Comitato Vaticano per il sinodo mondiale deivescovi (un raggruppamento di tutte le conferenzeepiscopali). Parla spagnolo, italiano e tedesco. Bergoglioesemplifica le virtù del pastore saggio che molti elettoriapprezzano. Gli osservatori hanno lodato la sua umiltà: siè mostrato riluttante ad accettare onoreficenze o adassumere alte cariche, e viaggia spesso in autobus.»

Al di là del sunto un po’ superficiale, i pragmaticiagenti statunitensi guardano più a quei comportamenti chepossono determinare la scelta del collegio cardinalizio eche sono propedeutici al governo del papa eletto. Nelcaso di Bergoglio, c’è però anche un elementopotenzialmente “critico” che non sfugge all’attenzionedegli analisti di Palazzo Margherita: «Ciò che potrebbenuocergli è la sua appartenenza all’ordine dei gesuiti».Che cosa voglia dire questa affermazione viene spiegatoimmediatamente dopo: «Alcuni alti prelati, soprattuttoconservatori, guardano con diffidenza una certa venaprogressista dell’Ordine, forse più pronunciata negli StatiUniti ma presente anche altrove».

Comunque sia, Bergoglio resta sotto molti aspetti unmistero: «Ha detto di preferire la vita nella Chiesa locale,in contrapposizione a quella burocratizzata nelle struttureecclesiastiche romane, ma nello stesso tempo è statodisposto a far parte di vari comitati di vigilanza delVaticano».

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Se da una parte mostrano di cadere anch’essi nelvetusto tranello dei pregiudizi sui gesuiti, dall’altra gliamericani una cosa la capiscono prima e meglio di altri.Già nel 2005, quando la maggior parte dei cattolicinemmeno sa chi sia e come si chiami il vescovo di unadelle sedi cardinalizie più lontane e più meridionali delmondo, i funzionari della Casa Bianca a Roma scrivono dilui: «Potrebbe avere la capacità di colmare il divario trala curia e le chiese locali che divide il collegio deicardinali elettori, e questo lo rende un buon candidato dicompromesso».

Senza voler troppo setacciare il significato di ognisingola parola, oggi possiamo dire che la CIA aveva benchiaro fin dagli ultimi anni del pontificato di KarolWojtyla quali fossero i nervi scoperti nella Chiesacattolica e il tipo di pontefice di cui c’era bisogno.

Bergoglio, però, non era un nome apparso per casonell’elenco dei candidati suggeriti dal Dipartimento distato. Già da molti anni i servizi segreti statunitensiseguivano le mosse dell’arcivescovo di Buenos Aires,annotando i messaggi, le reazioni, lo stile di vita e leinimicizie che andava conquistandosi in Argentina.

La lettura dei dispacci della CIA è sorprendente.“Siddharta”, il nome in codice dietro cui si cela l’agentesegreto che per primo, appena dopo l’elezione di

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Francesco, mi aveva messo sulla pista dei poterieconomico-politici preoccupati dalle mosse del nuovopontefice, me li aveva commentati più volte, sostenendoche gli americani «in realtà sul conto di Bergoglio nonhanno nient’altro che carta straccia. Hanno provato in ognimodo a cercare qualche scheletro nel passato del papa, elo cercano ancora, solo che non trovano nulla». Quandogli chiedo se ne confezioneranno qualcuno, magarisperando di poter in qualche modo ricattare il Vaticano,Siddharta chiude gli occhi per uno di quei brevi istanti incui non capisci se sta meditando la risposta oppure se haidetto una scemenza tale che si sta preparando a mandarti aquel paese con uno di quei congegni esplosivi indossati daJames Bond.

«Il problema, amico mio, è che tu, oltre a non saperscrivere, non sai neanche leggere. Perché se sapessileggere conosceresti già la risposta. E la risposta, somarodi un giornalista, è in otto caratteri: S t r a t f o r.»

Vorrei rispondergli che io e lui non siamo amici né losaremo mai. Perché gli amici sono gratis, ma lui è unaspia e io un reporter. E in alcuni casi l’uno ha bisognodell’altro, dunque l’uno può rifilare una fregaturaall’altro. Semplicemente perché qualcuno ci consideracome strumenti: il giornalista per agitare le acque o tantoper vedere l’effetto che fa una certa notizia; lo spioneperché un reporter ha bisogno di notizie che per vie

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ufficiali si sognerebbe di ottenere. La sproporzione stanella consapevolezza. Il cronista può diventare vittima diuna notizia falsa o, come dice Siddharta, «parzialmentevera». Ma l’uomo dell’intelligence difficilmente puògiocarsi la carriera a causa di un giornalista. «A meno chetu un giorno non riveli la mia vera identità» osserva lospione.

«Ma da quel momento nessuna fonte riservata sifiderebbe più di me» gli faccio notare per rassicurarlocome faccio sempre quando questi interrogativi tornano afrapporsi tra me e lui.

Stavolta però non voglio battibeccare. Incasso il colpoe passo oltre. Soprattutto perché “Stratfor” non è una siglaqualsiasi. La Stratfor Global Intelligence è una delle piùimportanti e potenti agenzie di spionaggio private delmondo. Ne fanno parte ex agenti segreti governativi,analisti di ogni genere, avventurieri in cerca di un posto alsole. Insomma, mercenari delle informazioni riservate.Oppure, per citare i media americani, possiamo definirla«The CIA Shadow».

In effetti, la “CIA ombra” fa di tutto per non passareinosservata. In apparenza produce report per abbonati viainternet. In apparenza. Dietro ogni dossier, però, ci sonofonti confidenziali, investigazioni, utenti a cui offrireanalisi attendibili e previsioni credibili. Tra i clienti nonci sono solo aziende e studiosi, ma governi come gli USA

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e la Russia. In alcuni casi ci si limita alla lettura delle“analisi”. In altri, i report sono su commissione.

Il ponte di comando di Stratfor – che sta per “Strategicforecast” – mette in soggezione gli 007 dell’intero pianeta.Tra i responsabili delle “previsioni strategiche” c’è MarkOzdarski. La sua biografia dice che ha una laurea iningegneria nucleare e due master, a Cambridge e Harvard.Ma, se non bastasse, per venticinque anni Ozdarski è statoun Navy Seal, l’élite dei corpi speciali del Pentagono, conmissioni in combattimento e operazioni di spionaggiosotto copertura in oltre quaranta paesi. Con lui lavoranopersonaggi del calibro di Bret Boyd, già ufficiale pressoil Comando unificato per le operazioni speciali delleforze armate USA, e Shea Morenz, campione di baseballdei New York Yankees e per dieci anni tra i massimidirigenti della banca d’affari Goldman Sachs.

Sapere che in uno degli archivi portatili a me affidatiun anno prima da Siddharta ci sono alcuni riferimenti aStratfor non mi rassicura più di tanto. Tuttavia, per quantopossa immaginare che un’organizzazione del genere vogliatenere d’occhio il Vaticano, nei file che ho letto mille emille volte non ci sono riferimenti diretti né alla SantaSede né a Bergoglio.

«Avresti dovuto chiedermeli» sbuffa lo spione mentresbircia in fondo al bicchiere di Fernet & Coca. «Hoimparato a berlo in Argentina. Lì credono che sia un drink

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italiano, ma dev’essere stato qualche emigrato in vena discherzi a inventarsi un miscuglio del genere. Non è male,sa di Italia e di America.» Non mi aveva mai detto diessere stato in Argentina. Ma non era necessario. Avreifatto prima a chiedergli dove non aveva mai lavorato.

Ricominciamo da Stratfor. «WikiLeaks e Anonymoushanno pubblicato solo una parte dell’archivio. Forse nonlo hanno preso tutto, come invece dicono. In ogni caso,hanno prodotto report sul papa e il Vaticano anche dopoquel furto. Buona lettura.»

Questa volta niente chiavette: su un post-it rossoSiddharta mi lascia i codici d’accesso a una cartellainternet che dopo quarantotto ore sparirà per sempre.

Sono tre analysis e alcune schede di approfondimentoche hanno per oggetto papa Francesco. Nel 2012WikiLeaks aveva già pubblicato online migliaia di mailattribuite all’agenzia Stratfor. Lo scambio di messaggidenota un interesse strategico per l’Italia e la Santa Sede.E, per dirla tutta, la lettura di quelle email lasciavacredere che anche dentro le Mura Leonine ci fossero degliabbonati alle “previsioni” della CIA ombra. Ma ilmateriale che vedo apparire sul display del tablet è piùrecente, dunque mai finito tra le mani di Julian Assange edegli altri attivisti di WikiLeaks.

La prontezza di riflessi di Stratfor è proverbiale. Alle02.13 GMT del 14 marzo 2013, quando Bergoglio è già

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Francesco da circa sei ore, viene redatta la prima notadell’agenzia. L’incipit è di un’ovvietà disarmante: «Lanomina del cardinale argentino Jorge Mario Bergogliocome nuovo papa potrebbe indicare un cambio di strategiadella Chiesa cattolica romana».

«Dopo un conclave durato solo due giorni, il Vaticanoha eletto il primo papa non europeo in più di tredicisecoli. La scelta di Bergoglio, che ha preso il nome diFrancesco, è stata una sorpresa a causa della suanazionalità e perché non rientrava tra i candidati topindicati dai media dopo le dimissioni di papa BenedettoXVI.

A causa della sua storia coloniale spagnola eportoghese, l’America Latina ha il più alto numero dicattolici nel mondo. Si stima che circa 483 milioni dicattolici vivano in paesi dell’America Latina: 200 milioniin più rispetto all’Europa. Inoltre, negli Stati Uniti vivonocirca 50 milioni di ispanici, la maggior parte dei qualisono cattolici.

I tassi di natalità così marcatamente differenti traEuropa e America Latina rendono probabile che il divarionella popolazione cattolica continuerà ad ampliarsi neiprossimi decenni. Il cattolicesimo in America Latina è inpericolo a causa dell’espansione delle chiese evangelichee dei vari credi afroamericani. Tuttavia, la scelta di unpapa latinoamericano conferma che la Chiesa ha cessato

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di essere un’istituzione eminentemente europea e stacercando di rafforzare la sua influenza al di fuori delcontinente.

Un’altra sorpresa è il background religioso del nuovopapa. Francesco è un gesuita. Fondata da un leaderreligioso di nome Ignazio di Loyola nel 1540, laCompagnia di Gesù è stata in prima linea nell’espansionedella Chiesa cattolica in America e nel Sudest asiatico. Igesuiti sono caratterizzati da due elementi: i loro profondisforzi educativi – l’ordine ha fondato migliaia di scuole euniversità in tutto il mondo – e la loro partecipazioneattiva alla politica. A causa di quest’ultimo tratto, laCompagnia di Gesù spesso si è scontrata con le monarchieeuropee, al punto che l’ordine è stato temporaneamentesoppresso nel tardo XIX secolo.»

La breve ricostruzione storica è certamente indirizzataai non addetti ai lavori, a cui viene ricordato che «laChiesa cattolica ha svolto un ruolo politico importante inAmerica Latina, per ragioni che vanno oltre il suo numerodi aderenti. Quando la maggior parte della regione erasotto il dominio spagnolo, la Chiesa era una pietra miliaredella gestione sociale e un importante contrappuntoistituzionale per i colonizzatori. Più di recente, nel 1950 e1960, una fazione della Chiesa cattolica ha avuto un ruolopolitico attivo in molti paesi della regione attraverso un

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movimento che divenne noto come teologia dellaliberazione.

Una caratteristica fondamentale della teologia dellaliberazione è la critica aperta all’ingiustizia sociale inAmerica Latina, una posizione che ha portato moltisacerdoti a criticare i governi della regione, un grannumero dei quali sono stati dittature. Questo tipo diattivismo ha spinto molti governi ad accusare i sostenitoridella teologia della liberazione di flirtare con il marxismo(in alcuni casi era un’accusa realistica, dal momento chealcuni sacerdoti erano membri di gruppi come i sandinistiin Nicaragua), e diversi preti di spicco sono stati uccisi».

Quanto al nuovo papa, Stratfor mette in guardia:«Sebbene abbia criticato la teologia della liberazione,Bergoglio è stato anche un critico attivo e costante delledisuguaglianze sociali nella sua Argentina. Questoatteggiamento ha portato la Chiesa argentina a scontrarsipiù volte con i governi di Néstor Kirchner e di suamoglie, Cristina Fernández de Kirchner. In linea con lafilosofia di san Francesco d’Assisi, Francesco saràprobabilmente molto attivo nel dare voce alla denunciacontro le disuguaglianze. La sua scelta del nome è stataaltamente simbolica e senza dubbio voluta».

Per la “CIA ombra” non sono affatto notizierassicuranti: «Questo approccio può essereparticolarmente controverso, non solo in America Latina,

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ma anche in Europa, dove la crisi economica ha portato alivelli record la disoccupazione. Criticando le misure diausterità in Europa, il nuovo papa si allineeràprobabilmente alle richieste dei governi periferici»avverte Stratfor riferendosi con tutta probabilità a paesicome la Grecia.

La condizione fisica di Bergoglio viene presentatacome una grossa incognita. Senza citare le proprie fonti,l’agenzia di intelligence informa già poche ore dopo lafumata bianca che «Francesco, 76 anni, gode di una saluterecentemente rivelatasi fragile. Di conseguenza, questosarà probabilmente motivo di preoccupazione costante peril Vaticano, come è avvenuto con Benedetto XVI».

Dopo la morte nel 2005 di Giovanni Paolo II, «forse ilpapa più geopolitico nella storia moderna grazie al suoruolo di primo piano nel crollo del comunismo in Europacentrale e orientale», la «breve permanenza» di BenedettoXVI ha segnato un periodo di transizione; ora, tuttavia,«Francesco affronta la sfida di guidare una Chiesa che èancora fisicamente e politicamente presente in tutto ilmondo, ma la cui influenza è notevolmente diminuita nelcorso dell’ultimo secolo». Una valutazione, quest’ultima,che sembra suggerire un imminente cambio di passo dellaSanta Sede per tornare a giocare un ruolo di primo pianosenza accontentarsi di una parte da comprimaria.

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Ma la CIA come vede il papa gesuita? Come unoutsider da studiare, un amico dell’Occidente o unsovversivo travestito da riformatore? Per quanto non siaindicato tra i “papabili” dalla maggioranza delle testategiornalistiche, all’epoca del conclave padre Bergoglio èoggetto delle attenzioni della Central Intelligence Agencyda almeno dieci anni.

Cinque mesi prima delle presidenziali argentinedell’ottobre 2003 l’ambasciata USA a Buenos Airesinforma l’allora segretario di stato Colin Powell aproposito delle forti tensioni tra la Chiesa cattolica e ilgoverno uscente di Néstor Kirchner: «Il presidenteKirchner non ha ancora annunciato se si ricandiderà o,come si ipotizza, lascerà il posto alla moglie, la senatriceCristina Fernández de Kirchner» premette l’autore delcablo protocollato come RISERVATO.

«Con gli scioperi degli insegnanti nella provincia diSanta Cruz, che hanno portato alle dimissioni delgovernatore il 9 maggio, e con la tensione ormai pubblicatra la Chiesa cattolica e il governo, oltre all’ostilità deiministri per un possibile coinvolgimento nello “scandaloSkanska” [la multinazionale svedese delle costruzioni cheavrebbe pagato funzionari pubblici per aggiudicarsi ricchiappalti, N.d.A.] Kirchner si è trovato ad affrontarefrequenti minacce alla sua popolarità.»

Entrando nel merito delle accidentate relazioni con i

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vertici dell’episcopato, gli americani insistono su alcunidettagli. «Néstor Kirchner potrebbe essere irritato per viadell’appoggio del cardinale Bergoglio e della Chiesacattolica argentina a politici contrari al settorekirchnerista.» I rapporti si sarebbero compromessipressoché irrimediabilmente dal momento in cui ha presoavvio «la campagna dell’ex vescovo Joaquín Piña, volta asconfiggere il governatore kirchnerista della provincia diMisiones, Carlos Rovira, che mirava alla rielezione».

Al futuro pontefice viene rivolta un’accusa precisa: «Ilcardinale Jorge Bergoglio ha detto che la Chiesa sarebberimasta fuori dalla politica, invece sostiene gli sforzi delvescovo emerito Piña. Bergoglio ha recentementeespresso la sua preoccupazione per la concentrazione dipotere in poche mani e per l’indebolimento delleistituzioni democratiche».

Secondo gli 007 USA, la Casa Rosada, sede dellapresidenza argentina, sembra irritata «dall’apparentepreferenza del cardinale Bergoglio per l’opposizioneproprio in questo anno elettorale». A tal punto che «ilsindaco di Buenos Aires, Jorge Telerman, e la sua alleatae candidata presidenziale Elisa Carrió hanno incontratoBergoglio ad aprile». Nel corso di quel faccia a faccia, idue avversari dei Kirchner prendono una decisione chesecondo la CIA è ispirata personalmente dal cardinale

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arcivescovo: includono il leader musulmano Omar Abudnella lista dei candidati alla legislatura.

Da quella faccenda Bergoglio uscirà più forte di prima.Le classi sociali più deboli lo percepiscono come uno diloro. La politica comincia a temerlo sul serio.

Nella storia della Chiesa argentina, tuttavia, ci sonopagine che sarebbe stato meglio fossero rimaste in bianco.Proprio in una di queste gli analisti statunitensiindividuano un punto debole del futuro pontefice. Sono ipostumi della Guerra Sucia, la sporca guerra combattutain Sudamerica con le armi delle dittature. Bergoglio è ilcapo dei vescovi e gli tocca in qualche modo rispondereanche delle malefatte commesse dai membri del clero inquell’epoca.

Nel 2007, quando la giustizia argentina si decide arimuovere la polvere, cominciano a emergere leresponsabilità di diversi membri del clero negli abusiperpetrati dalla dittatura. Emblematica in tal senso è lafigura di Christian von Wernich, l’ex cappellano dellapolizia di Buenos Aires tra il 1976 e il 1983 (quando lapolizia era sotto il controllo dell’esercito), che ora finisceprima sotto indagine e poi agli arresti.

Gli USA non si fanno sfuggire l’occasione per valutarequanto questa vicenda possa indebolire il battaglieroarcivescovo della capitale: «Von Wernich è il terzo exufficiale dell’esercito (e la prima personalità

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ecclesiastica) a essere processato per questi crimini dopola sentenza del 2005 con cui la corte suprema ha rimossol’immunità agli ex membri delle forze armate. I verticilocali della Chiesa cattolica hanno diffuso un comunicatonel quale invitano von Wernich a pentirsi e rivolgerepubbliche scuse, ricordando le precedenti richieste diperdono e riconciliazione sociale da parte della Chiesacattolica».

La CIA riassume così il caso von Wernich, conclusosicon l’ergastolo: «Christian von Wernich è statocondannato il 9 ottobre per complicità in sette omicidi,trentuno casi di tortura e quarantadue sequestri. Iltribunale federale di La Plata ha stabilito che von Wernichebbe una parte decisiva nel sistema della repressione cheoperò nella provincia di Buenos Aires, abusando delsacramento della confessione per strappare informazioniai prigionieri, prima che venissero sottoposti a tortura,uccisi o fatti finire tra i desaparecidos. La corte hagiudicato le azioni di von Wernich come parte del“genocidio” commesso in Argentina».

Il processo è stato seguito con il fiato sospesodall’intera nazione: «I parenti dei presunti torturati o “fattiscomparire”, gli attivisti dei diritti umani e la gentecomune hanno applaudito il verdetto all’esterno deltribunale». E, dopo gli anni delle ambiguità politiche deisuoi predecessori, «il presidente Kirchner e altri

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esponenti del governo argentino hanno elogiato la sentenzadella corte». Per gli americani è chiaro che l’opinionepubblica si sta ricompattando intorno al tema dellagiustizia per i desaparecidos. Sentimenti che rendono piùforte la leadership di Néstor Kirchner, il presidente chenon ha ostacolato la resa dei conti giudiziaria. Neldocumento dell’ambasciata americana, due paragrafivengono dedicati al ruolo della gerarchia ecclesiale.Titolo: L’intervento della Chiesa cattolica.

«Dopo il verdetto, l’arcidiocesi di Buenos Aires hadiffuso un comunicato, sollecitando von Wernich a pentirsie a chiedere pubblicamente perdono. L’arcidiocesiafferma che la Chiesa cattolica argentina è rimasta turbatadal dolore causato dalla partecipazione di uno dei suoisacerdoti a crimini così gravi. Il comunicato aggiunge chela persecuzione di tali reati dovrebbe rappresentare unpasso avanti verso la riconciliazione e spingere i cittadinia gettarsi alle spalle ogni elemento di impunità, odio evendetta.»

I funzionari di Washington cercano a questo punto didare una risposta a una domanda chiave: quali ricadutepotrebbe avere sulla leadership episcopale la sentenzavon Wernich? «La condanna e la sentenza a carico di vonWernich sono pietre miliari. Significative degli sforzi perottenere giustizia nei casi di gravi violazioni dei dirittiumani. Ma attirano anche l’attenzione sul sostegno offerto

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dal clero cattolico a entrambi gli schieramenti dellaguerra sporca. Molti, nella sinistra politica, accusano laChiesa di essere stata complice delle atrocità commessedallo stato: ritengono che non abbia risposto delle sueazioni o fatto ammenda per averle commesse. Comesegnalato, la Chiesa non ha ancora punito [lo farà dopo lasentenza, N.d.A.] né sospeso a divinis von Wernich, ma hapreso le distanze dalle operazioni non autorizzate,eretiche, di sacerdoti disonesti. Nonostante ciò, sebbenealcuni osservatori considerino il primate cattolico romanoBergoglio come il capo dell’opposizione al governoKirchner, per le sue posizioni sui problemi sociali, siritiene che il caso von Wernich potrebbe avere anchel’effetto di minare l’autorità morale della Chiesa (e,dunque, del cardinale Bergoglio) e la sua capacità diintervenire su questioni politiche, sociali ed economiche.»

Con il trascorrere degli anni, secondo la CIA, i rapportidi forza non cambieranno. Alla Casa Rosada, NéstorKirchner cede la presidenza della Repubblica alla moglie(e poi vedova) Cristina Fernández; l’inossidabileBergoglio resta al suo posto. Il conclave del 2005 è ormaiacqua passata. A quel punto, il cardinale bonaerensepensa piuttosto all’età della pensione, che stando al dirittocanonico scatterà nel 2011.

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Alla vigilia dello scrutinio che avrebbe annunciato lafumata bianca in favore di Ratzinger uno strano dossierpassa di mano in mano. Alcuni osservatori vi vedono unadelle cause della mancata elezione dell’arcivescovo diBuenos Aires, altri pensano invece che sia statoininfluente. Nel 2005 il gesuita era stato l’unicaalternativa forte al nome di Ratzinger, su cui il collegiocardinalizio aveva infine deciso di convergere anche suindicazione, a quanto se ne sa, dello stesso Bergoglio.

Contro l’arcivescovo di Buenos Aires era stato peròconfezionato un rapporto anonimo che faceva riferimentoa fonti giornalistiche e giudiziarie argentine. Il gesuitaveniva accusato di silenzi, omissioni e persino dicomplicità con il regime del generale Videla. Inparticolare, si alludeva alla tormentata vicenda dei padrigesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, arrestati nel1976 a Buenos Aires e scarcerati dopo sei mesi di torturee vessazioni . Una storia campata in aria che avevopersonalmente ricostruito, dopo l’elezione di Francesco,prima con una lunga inchiesta giornalistica pubblicata su«Avvenire», poi nel libro La Lista di Bergoglio e infinenel lungo reportage investigativo I sommersi e i salvati diBergoglio.

Sebbene papa Francesco continui a perseverare nel suoostinato ma evangelico silenzio sulle eroiche azioni da luicompiute alla fine degli anni Settanta, quand’era il

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giovane capo dei gesuiti argentini, ciò che ero riuscito ascoprire nella mia indagine su quelle vicende andava indirezione diametralmente opposta rispetto a quantosostenevano i suoi detrattori. Bergoglio, come poi è statoaccertato, non solo non li denunciò, ma riuscì a ottenernela restituzione da vivi, rischiando la sua stessa vita, edevitando che finissero fra i trentamila desaparecidos.Negli stessi anni almeno un centinaio di perseguitati, convari stratagemmi, furono nascosti da padre Bergoglio esottratti all’epurazione.

Nonostante il malcelato tentativo di screditarlo, ilcardinale gesuita torna dal conclave e non indietreggia diun pollice. In un altro dettagliato rapporto inviato martedì8 aprile 2008 al segretario di stato Condoleezza Rice eredatto dagli analisti del dipartimento di stato e della foltastazione CIA nella capitale argentina, emerge conchiarezza il conflitto tra il governo di Cristina Fernándezde Kirchner e la Chiesa cattolica.

L’informativa, classificata come CONFIDENZIALE eintitolata Rapporto tra il governo argentino e la Chiesa,sottolinea il tentativo da parte di CFK (Cristina Fernándezde Kirchner) di riaprire il dialogo con la Chiesa cattolica,sospeso per oltre tre anni da NK (Néstor Kirchner): «Neldicembre 2007 CFK ha incontrato il cardinale Bergoglio,riaprendo così un dialogo con le alte sfere della Chiesacattolica argentina».

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Una cosa, però, i previdenti analisti americani nonpossono preconizzare. Che di lì a pochi anni padre JorgeMario Bergoglio, il gesuita, l’arcivescovo, il cardinaleprimate d’Argentina, diventerà un osservato speciale tantoper la CIA ufficiale quanto per la CIA ombra.

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NEMICI A STELLE E STRISCE

Ultraconservatori all’attacco. Potere ai ricchi, guerra al papadei poveri. Il mistero degli auguri mai spediti. Un’enciclica cheterrorizza i signori del petrolio. «È puro marxismo!» La sfida diFrancesco nel “cortile di casa” degli USA.

Quello statunitense resta un fronte caldo. Il Tea Party nondigerisce il “papa marxista”. E Rush Limbaugh,commentatore tra i più ascoltati dalla “pancia” delladestra USA, invia un messaggio chiaro: «La Chiesacattolica americana ha un bilancio annuale da 170 miliardidi dollari. Penso sia più di quello che la General Electricincassa ogni anno. La Chiesa è il principale proprietarioedile a Manhattan. Voglio dire: hanno un sacco di soldi.Raccolgono un sacco di soldi. Non potrebbero operarecome fanno, senza tutti quei dollari». Più cheun’osservazione dai toni bellicosi, ha il sapore di unaminaccia. Qualcosa come: “Facciamo in modo che nonabbiano tutto quel denaro e poi vediamo cosa sono capacidi combinare”.

Il Tea Party non è più un’opposizione folkloristica. Isentimenti che esprime non vanno sottovalutati. Perché ilmovimento ultraconservatore è un serbatoio di milioni di

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voti che i repubblicani vogliono riconquistare per tornarealla Casa Bianca.

I toni ruvidi e gli slogan sparati a tutto volume contro ilpapa “comunista” fanno proseliti. È l’altra faccia dellemosse orchestrate nell’ombra da certi settori del poterepolitico e finanziario. Fox News, storica emittenteplatealmente repubblicana, ha fatto a Bergoglio quello cheviene considerato il complimento peggiore: «È l’Obamadella Chiesa cattolica». E sapendo che per i conservatoria stelle e strisce il primo presidente di colore èl’avversario numero uno, si comprende quanta acrimoniaci sia in questa affermazione.

Il paragone tra Obama e Bergoglio non è stato soltantoun’efficace trovata giornalistica. Ha avuto lo stesso effettodi una chiamata alle armi. Mai un’emittente come la Foxavrebbe potuto attaccare in quei termini il pontefice senzapoter contare sulla copertura dell’establishment delPartito conservatore. Quel Grand Old Party che si èsentito chiamato in causa quando dal pontefice argentinosono venute espressioni come «idolatria del denaro»,«capitalismo dogmatico» e «nuova tirannia».

Anche Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska ederoina dei movimenti antiabortisti che ama farsiriprendere mentre punta la canna del fucile contro laselvaggina, non l’ha presa bene: «Dal papa sono venute

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alcune frasi che suonano in qualche modo liberal» ha dettoriferendosi alla Evangelii Gaudium.

Siccome tuttavia molti dei detrattori USA di Bergoglioappartengono a chiese protestanti, per alzare il tirooccorreva che una voce critica si alzasse anche dal mondocattolico. Qualcuno che fosse noto e rispettato. Peter King,che passa per essere un politico tutto casa e chiesa, eral’uomo giusto: cattolicissimo, eletto a New York elaureato alla celebre Notre Dame University. Queste sonostate le sue parole: «Purtroppo il papa giudica male ilnostro sistema di ridistribuzione del reddito, come fannomolti progressisti». Due colpi in uno: Bergoglio cheguarda storto il modello americano come fanno «moltiprogressisti». Tolta la patina di cortesia verbale, è comedire che il papa la pensa come i marxisti. Argomenti chericordano molto da vicino quelli espressi dalla bancad’affari J.P. Morgan e dai salotti del sottobosco politico-finanziario.

Che in seno al mondo politico USA stesse maturando unradicale e risentito dissenso nei confronti del nuovo papa,lo si è capito con chiarezza quando anche John McCain siè schierato contro di lui. McCain, eroe di guerra ed excandidato alla presidenza degli Stati Uniti, fino all’epocadi Benedetto XVI ha sempre espresso posizioni tuttosommato moderate nei confronti della Chiesa di Roma.Forse perché sperava di venire eletto alla Casa Bianca, da

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dove non si sarebbe certo potuto permettere uno scontrocon la Santa Sede. Ma anch’egli all’inizio del 2014 rompegli indugi e attacca il pontefice. La vecchia volpe McCainla prende alla larga: «Il suo esempio di vita, la suaattenzione per i poveri mi hanno molto impressionato.Tuttavia non mi piace particolarmente la sua visioneeconomica».

Poco prima, anche il cattolico Paul Ryan, uno cheaspirava a ottenere l’investitura repubblicana percandidarsi a presidiare lo studio ovale, resuscita la“superiorità” americana per spiegare le ragionidell’intollerabile anticapitalismo di Bergoglio: «Il papaviene dall’Argentina, dove non c’è un vero capitalismo,ma una versione familistica, senza un reale sistema dilibera impresa come in America».

L’ambiguità e il disagio della politica statunitense neiconfronti di Bergoglio si manifestano in manieraclamorosa con alcune decisioni schizofreniche. Ilpontefice viene prima invitato a parlare al Congressodegli Stati Uniti, dove la visita viene messa in agenda peril settembre 2015. Ma poi lo stesso Congresso non riescea sbloccare l’approvazione di una risoluzione con cui irappresentanti del popolo americano dovrebberotrasmettere gli auguri al nuovo papa, ferma alla camera daoltre due anni.

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L’accidentato percorso di questa risoluzione, comevedremo più avanti, rivela tutta l’antipatia che buona partedella politica americana nutre per il papa. Una partitagiocata sul filo dei sondaggi e della doppiezza tipica deicentri di potere. L’invito a parlare nella sede delCongresso con le due camere riunite in seduta comune,cosa del tutto inedita nella storia (la prima volta di unpontefice), è una decisione epocale a cui i repubblicani, acaccia di consensi, non possono dire di no. PapaFrancesco, infatti, gode di una crescente simpatiapopolare.

Alla vigilia delle elezioni di medio termine delnovembre 2014, la CNN diffonde i risultati di unsondaggio che spiazza la destra: Francesco è molto amatoanche in America, dove tre statunitensi su quattro logiudicano favorevolmente e l’88 per cento dei cittadini difede cattolica si dicono entusiasti di lui. Tra questi ultimi,molti hanno sull’uscio di casa la coccarda del Partitorepubblicano. I conservatori capiscono che non è il casodi tirare la corda, e durante la campagna elettorale ilfantasma di Francesco non viene agitato. Una mossa cheserve a radunare le forze in vista di un voto chel’opposizione trasforma in un referendum contro Obama.Scelta azzeccata, dato che i repubblicani riescono aegemonizzare il parlamento con una maggioranza mai

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ottenuta neanche dopo la vittoria della Seconda guerramondiale.

Da problema, l’osteggiato Bergoglio diventa unmodello da seguire. Non nella condotta politica, manell’immagine pubblica. Negli Stati Uniti vivono ormaioltre 50 milioni di ispanoamericani, su una popolazionecomplessiva di 310 milioni di abitanti. La lingua diCervantes è la seconda più parlata della nazione e, nelgiro di pochi anni, l’etnia latina potrebbe diventare laprima in assoluto. Ovvio che tra i cittadini USA di originesudamericana e il pontefice scattasse una naturaleempatia. In altre parole, chi vuole arrivare alla CasaBianca non può prescindere dall’“effetto Francesco”. Atal punto che i consulenti elettorali già al lavoro per lepresidenziali del 2016 hanno fornito ai conservatori lelinee guida del “Bergoglio style”, giudicatoindispensabile per ottenere un vasto consenso. Secondovoci raccolte in ambiente repubblicano, occorre ripartireda tre parole chiave individuate dalla rivista «Time»quando alla fine del 2013 ha nominato Francesco “Man ofthe Year”, uomo dell’anno: apertura, umiltà, coraggio.

Esponenti conservatori come Newt Gingrich ol’attivista Ralph Reed guardano adesso con ammirazioneai passi del pontefice argentino, convinti che un’iniezionedi “bergoglismo” potrebbe aiutare l’Old Party aguadagnare i voti necessari per le prossime presidenziali.

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«Francesco ha rilanciato il messaggio della Chiesacattolica sottolineando la missione pastorale delle operedi bene e del servizio alla gente prima dell’ideologia.Non ha toccato di un centimetro la dottrina cattolica.Perché questo modello non potrebbe applicarsi airepubblicani?» ha argomentato Reed.

Gingrich, che fu speaker della Camera (una sorta dipresidente dei deputati) all’epoca della presidenzaClinton, va invece al sodo. «Il Grand Old Party deveessere altrettanto inclusivo» ha detto in riferimento allacapacità del papa di riformare il governo e l’immaginedella Chiesa, avvicinandola ai più deboli e aprendo ildialogo anche con mondi con cui prima non vi eracomunicazione. «Chi non tiene conto del 47 per centodegli americani che generalmente votano democratico nonè un buon leader politico.»

Uno degli spin doctor repubblicani, il consulenteelettorale Scott Reed (nessuna parentela con il deputatoRalph), sostiene che Bergoglio è un “populista” capace dientrare in sintonia con gli scettici. Tradotto: se Francescoriesce ad avvicinare alla Chiesa anche i non credenti,perché i repubblicani non dovrebbero provare a sedurrechi di politica non vuole saperne oppure vota attestandosidall’altra parte della barricata? «Mi ha colpito comecapisce che la gente vede con sospetto le istituzioni,governi e partiti compresi» osserva ancora Scott Reed.

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Secondo Marc Thiessen, uno degli autori dei discorsidel presidente George W. Bush, «i repubblicani sonoconsiderati difensori dei ricchi e dei potenti, non deipoveri e dei vulnerabili»; ma per modificare questapercezione esiste una «semplice soluzione: essere piùsimili a papa Francesco».

Per lo stratega repubblicano John Feehery, infine,l’immagine di un papa che paga il conto dell’albergo e sene va in giro con una utilitaria fuori produzione puressendo un capo di governo «potrebbe essere da esempioper un partito di egomaniaci» come quello repubblicano.

Ma esiste un tema caldo della politica internazionale incui la “dottrina Bergoglio” potrebbe presto portarescompiglio e tornare a scontentare diversi gruppi dipotere, negli Stati Uniti e non solo: quello inerente allequestioni climatiche e ambientali. La nuova enciclica diFrancesco, arrivata nell’estate 2015, come preannunciatoè dedicata al creato. Quando il testo è ancora in fase dipreparazione, dagli USA sono già cominciati ad arrivare iprimi avvertimenti al papa.

A iniziare è un think tank conservatore di Chicagochiamato Heartland Institute. Mentre il segretario generaledelle Nazioni Unite Ban Ki-moon si recava in Vaticanoper incontrare papa Francesco e aprire un convegno sulriscaldamento globale alla Pontificia Accademia delle

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Scienze, lo Heartland Institute organizzava incontri etavole rotonde proprio a Roma per sensibilizzarel’opinione pubblica circa la necessità di convincere ilpapa che «non c’è alcuna crisi di riscaldamento globale».«Sebbene il cuore di papa Francesco sia sicuramente nelposto giusto» dice Joseph Bast, presidente del gruppo«farebbe un servizio ai suoi fedeli e al mondo ponendo lasua autorità morale dietro l’agenda non scientifica delleNazioni Unite sul clima».

A questo proposito, l’«Economist» si domanda se ilpontefice possa diventare un leader mondialedell’ecologismo: «papa Francesco potrebbe diventare ilprincipale attivista sul riscaldamento globale? È di certol’appassionata speranza – o in alcuni casi il più cupotimore – di molte persone coinvolte da vicino nelledeliberazioni sul futuro del pianeta» scrive il settimanalebritannico.

Secondo il Public Religion Research Institute, solo il21 per cento dei cattolici repubblicani ritiene che ilcambiamento climatico sia conseguenza delle azioniumane (e il numero cala ulteriormente tra i sostenitori delTea Party), mentre la percentuale sale al 69 per cento tra icattolici democratici.

La testata specializzata «Inside Climate News» ritienepiù probabile che i cattolici romani presenti tra iparlamentari del Congresso «ascoltino gli interessi dei

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combustibili fossili e i loro leader di partito piuttosto cheil pontefice». Tra i «più eminenti negazionisti climatici»si contano il senatore della Florida Marco Rubio, unpolitico con ambizioni da Casa Bianca, l’ex candidatoalla vicepresidenza Paul Ryan e lo speaker della CameraJohn Boehner, che accoglierà papa Francesco alCongresso il 24 settembre, poche settimane dopo lapubblicazione dell’enciclica.

Per l’economista Jeffrey Sachs, membro molto attivodella Pontificia Accademia delle Scienze, negli Stati Unitici sono tre gruppi di scettici riguardo ai cambiamenticlimatici: se il 69 per cento dei cattolici afferma che ilfenomeno è indiscutibile, esso viene messo in dubbio «daiconservatori del mercato libero, che sembrano temere gliinterventi del governo più del cambiamento climatico»;dai fondamentalisti religiosi, che «negano il cambiamentoclimatico perché rigettano interamente la scienza»; infinedal «gruppo politicamente più potente», i rappresentantidegli interessi del petrolio e del carbone, «che hannocontribuito con milioni di dollari alla campagnarepubblicana del 2014».

Il mancato messaggio di auguri a Bergoglio per la suaelezione resta un grande giallo politico. Il testo, cheavrebbe dovuto ottenere la firma congiunta di tutti i partitidel Congresso, è stato depositato l’11 dicembre 2013 dal

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deputato democratico John Larson, esponente dellacorrente “New Democrat Coalition”, l’ala moderata edialogante del Partito progressista. Ma, sui 280parlamentari repubblicani, ben 221 hanno votato contro lamozione.

Nonostante vari altri tentativi, la risoluzione non è maistata approvata. E approvarla adesso, dopo oltre due annidi pontificato, sarebbe ridicolo.

A Washington perfino ottenere la bozza non è facile,perché fino a quando non verrà approvato, il documento èpassibile di modifiche. Immaginavo che il testocontenesse qualcosa di non negoziabile per i repubblicani,magari dei riferimenti economici o ideali che la destraconservatrice non avrebbe mai potuto accettare. Quandofinalmente ne ottengo una copia, tutto mi diventa molto piùchiaro. Sotto un titolo piuttosto formale, Congratulazionia papa Francesco, il messaggio è scontato solo inapparenza:

«Considerato che il 13 marzo 2013 l’arcivescovoJorge Mario Bergoglio di Buenos Aires, Argentina, èstato eletto Sommo Pontefice della Chiesa cattolica;

che la sua elezione ha costituito per la prima volta lascelta di un papa dalle Americhe;

che egli è il primo gesuita a diventare SommoPontefice della Chiesa cattolica;

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che ha preso il nome di Francesco, diventando ilprimo papa a scegliere il nome di san Francescod’Assisi, conosciuto per l’umiltà e la devozione aipoveri;

che egli ha dimostrato la sua umiltà scegliendo divivere non nel sontuoso Palazzo apostolico, ma con ilclero e i laici in una pensione del Vaticano;

che il 28 marzo 2013 ha rivoluzionato la tradizionalecelebrazione del Giovedì Santo, lavando i piedi di 12carcerati, tra cui due donne, e diventando così il primopapa a includere le donne nel rito;

che il 6 novembre ha mostrato la sua caritàaccarezzando un uomo gravemente sfigurato, con ungesto paragonabile a quelli del suo omonimo, sanFrancesco, che baciando un lebbroso cambiò per semprela propria vita e consolidò il suo impegno per i piùpoveri tra noi;

che, quando gli è stato chiesto di descrivere se stessonel corso di un’intervista a una rivista dei gesuiti, harisposto: “Io sono un peccatore”;

che la sua insistenza sugli sforzi umanitari peralleviare la sofferenza è fonte di ispirazione per ilCongresso e per tutti gli americani;

che la sua umiltà, il suo impegno per la giustiziaeconomica e per il miglioramento della vita dei poveri, ela sua apertura verso persone provenienti da tutti i ceti

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sociali sono stati universalmente lodati e sono esempiviventi del messaggio di Gesù Cristo;

che il suo appello per eliminare le disuguaglianze haecheggiato in tutto il mondo e unito milioni di personenella solidarietà;

per tutte queste ragioni la Camera dei Rappresentantisi congratula con papa Francesco e apprezza le sueispirate dichiarazioni e azioni».

Per i repubblicani sarebbe stato davvero troppo. Ipoveri, gli emarginati e una vita austera che contrasta conl’opulenza non sono certo priorità del Grand Old Party.

Ciò nonostante, e malgrado l’affossamento delmessaggio di auguri, i democratici sono riusciti come si èdetto a ottenere il sì condiviso a ricevere Bergoglio inassemblea. Un’ambiguità, quella dei repubblicani, che siriassume nel desiderio di imitare Francesco per drenarevoti ma non certo per seguirne l’esempio.

Per capire cosa pensino veramente i conservatori delle«dichiarazioni e azioni» di Bergoglio, basta ascoltare letrasmissioni radiofoniche di Rush Limbaugh, uncommentatore e giornalista seguitissimo, la cui audiencenon scende mai sotto i quindici milioni di ascoltatori: «Ilpapa si sbaglia in maniera drammatica, imbarazzante esconcertante». E ancora: «È triste, perché questo papamostra chiaramente che non sa di cosa sta parlando

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quando si tratta di capitalismo, socialismo e cose delgenere».

Per rassicurare il pubblico sull’inconsistenza dellaEvangelii Gaudium, Rush ha raccontato di essere statovarie volte in Vaticano. Lo ha descritto come uno che va eviene da Marte, confidando nel fatto che la maggior partedei terrestri gli creda, come una volta credeva ai cavalierierranti che raccontavano di terre remote e mostri a treteste. «Io sono stato varie volte in Vaticano: nonesisterebbe, senza tonnellate di soldi. Ma a parte ciò,qualcuno ha scritto questa roba per lui, o gliel’ha fattaarrivare. È puro marxismo, quello che esce dalla boccadel papa. Capitalismo senza limiti? Non esiste da nessunaparte. Il capitalismo senza limiti è una frase socialista perdescrivere gli Stati Uniti.»

Che i passi di Francesco potessero mettere scompiglionella politica americana è stato confermato dalle reazioniall’enciclica Laudato si’, sbrigativamente definita“ecologista”. In realtà da tempo un papa non si esprimevain modo così politico. Proprio per questo la Laudato si’sta costringendo molti nemici del pensiero di Bergoglio avenire allo scoperto. Gli Stati Uniti sono il principalecampo di battaglia delle campagne ambientaliste. Potenzaeconomica, industriale e culturale, gli States sononecessari al cambiamento invocato dal papa. Senza un

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coinvolgimento attivo delle grandi potenze (che poi sonoanche i grandi avvelenatori del pianeta) ogni speranzarischia di venire mortificata.

E bisogna guardare alla Florida per capire appienocosa temano i conservatori. Nello stato più caraibico ditutti gli USA, a poche bracciate di mare da Cuba,Bergoglio ha già dovuto incassare la reazione negativa digran parte della lobby cubana (e cattolica) di Miami,contraria a qualsiasi accordo con Fidel Castro. Ma laFlorida è anche la casa di Jeb Bush e Marco Rubio,entrambi cattolici, entrambi repubblicani, entrambicandidati alle primarie per la nomination alla successionedi Obama nel 2016.

Dopo aver preventivamente bocciato l’atteggiamentodel nuovo papa e l’impostazione che avrebbe datoall’enciclica, entrambi hanno fatto intendere di noncondividere l’analisi e le conclusioni di Francesco nellasua Laudato si’.

Un tentativo di mediazione lo conduce l’arcivescovocattolico di Miami, Thomas Wenski, «Questo non è untema di destra o di sinistra», semmai l’enciclica «è piùimportante delle battaglie ideologiche». I repubblicanihanno però un problema. Per riprendersi la Casa Biancanon basterà tenere unito il fronte conservatore,canalizzando anche il consenso del Tea Party. Jeb Bush hasubito alzato la voce: «Spero di non venire redarguito dal

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mio sacerdote per quello che sto per dire, ma a dettare lamia politica economica non sono il mio vescovo, il miocardinale o il mio papa». Quanto all’enciclica, ilrampollo della dinastia di presidenti è stato sprezzante:«Credo che la religione abbia più lo scopo di rendercimigliori come persone e meno a che fare con quantorientra nell’ambito della politica». L’astro nascente MarcoRubio non è stato da meno: «Non sono gli umani iresponsabili del cambiamento climatico, come qualcunosta tentando di farci credere».

Per quanto ammantato da un atteggiamento rispettoso, iltentativo è quello di screditare Francesco. Se non lo sipuò incastrare per mancanza di scheletri nell’armadio, losi può colpire minimizzando le sue parole, perfinosostenendo che si tratta di frasi fatte, scritte da qualcheguru ecologista per un papa credulone. Abbastanza perfare inconsciamente appello alla superiorità yankee, che ilprimo pontefice sudamericano vorrebbe mettere indiscussione come fosse un qualsiasi velleitariolibertador.

Non è solo questione di effetto serra o foreste dasalvare. C’è anche da sfamare un pianeta. Alcuneinnovazioni biotecnologiche promettevano questo. Con lecolture geneticamente modificate per anni sono statipreannunciati successi contro la fame nel mondo. Ecco,Francesco ha detto di non credere del tutto alla favola

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bella degli OGM che salveranno il mondo. E quando siparla di organismi geneticamente modificati, si ha inmente il nome di una controversa multinazionale:Monsanto.

Il colosso delle biotecnologie alimentari non bada aspese per ottenere quel che vuole. Nel 2014 in Coloradostava per passare una norma che avrebbe obbligato iproduttori a indicare nell’etichetta l’eventuale presenza diOGM negli alimenti. Monsanto spese quattro milioni didollari per finanziare direttamente e indirettamente (negliUSA non è illegale) alcuni uomini politici perchévotassero contro un provvedimento che avrebbe messo inguardia i consumatori e fatto calare le forniture di sementidella multinazionale agli agricoltori locali. Qualche tempoprima, sempre a suon di bigliettoni verdi, Monsanto erariuscita a farsi approvare dal Congresso federale unalegge che protegge i produttori di OGM nel caso in cuivengano scoperte in futuro ricadute negative per la salutedell’uomo. Negli ultimi anni la compagnia di Saint Louis,nel Missouri, ha investito nella politica nazionale quasiquaranta milioni di dollari. Tutto sommato un buoninvestimento, per aver ottenuto in cambio l’immunitàperpetua e la certezza che oggi il 90 per cento delleproduzioni agricole “Made in USA” sono frutto diingegneria genetica.

Si tratta di un argomento chiave per lo sviluppo

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dell’umanità e la custodia del creato. Scrive il papa: «Èdifficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo diorganismi geneticamente modificati (OGM), vegetali oanimali, per fini medici o in agricoltura, dal momento chepossono essere molto diversi tra loro e richiedere distinteconsiderazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempreattribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata oeccessiva applicazione». In realtà, «le mutazioni genetichesono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa.Nemmeno quelle provocate dall’essere umano – prosegueFrancesco nell’enciclica – sono un fenomeno moderno. Ladomesticazione di animali, l’incrocio di specie e altrepratiche antiche e universalmente accettate possonorientrare in queste considerazioni».

Anche secondo Bergoglio, per quanto la pratica non siada demonizzare, non ci sono ancora certezze sulle ricadutedella manipolazione genetica in agricoltura: «Quella degliOGM è una questione di carattere complesso, che esige diessere affrontata con uno sguardo comprensivo di tutti isuoi aspetti, e questo richiederebbe almeno un maggioresforzo per finanziare diverse linee di ricerca autonoma einterdisciplinare che possano apportare nuova luce».

È chiaro che per Francesco gli studi disponibili nonsono ancora esaustivi. Ricerche che spesso sonofinanziate da chi ha un interesse diretto. Da qui lanecessità di finanziare semmai la «ricerca autonoma e

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interdisciplinare», che valuti la sicurezza alimentare, lericadute economiche e politiche, le questioniantropologiche, per dire degli interrogativi principali.

Due anni prima, il tentativo di arruolare Bergoglio asua insaputa stava quasi per riuscire. Il tranello erascattato il 7 novembre 2013. In piazza San Pietro, perpochi istanti, papa Francesco incontra Ingo Potrykus,ricercatore tedesco che negli anni Novanta avevainventato il “Golden rice”, con il quale introdurre la pro-vitamina A, che il metabolismo umano trasforma invitamina A, nelle popolazioni che normalmente sialimentano di quasi solo riso, assumendo una quantitàinsufficiente di betacarotene, della cui carenza, secondol’Organizzazione mondiale della sanità, soffrono oltre 100milioni di bambini poveri, provocando in molti di essi lacecità o gravi deficit visivi, e alle cui cure le famiglie nonpossono in alcun modo accedere.

Il Golden rice è stato sviluppato con il sostegno diMonsanto, che ha concesso l’uso libero e gratuito dellasua tecnologia, senza pretendere in cambio neanche uncent. Una meritoria operazione filantropica, sebbene nonmanchino critiche e boicottaggi. Ma proprio quel 7novembre, poco dopo il fugace incontro tra il padre del“Riso dorato” e il papa, Monsanto inonda le redazioni deigiornali con la foto appena scattata a Roma e un

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comunicato stampa: «papa Francesco benedice il Goldenrice».

Dopo aver attaccato nuovamente Greenpeace el’attivista indiana Vandana Shiva, l’ufficio comunicazionedella multinazionale chiosa: «L’ideologia cieca può avereun costo. E a volte sono altri a pagare quel prezzo».

La notizia fa il giro del mondo, ma in Vaticanocapiscono che, al di là delle buone intenzioni delricercatore tedesco, altri avrebbero voluto rifare il truccoalla propria immagine facendosi scudo con quella delpontefice. Da quel momento gli interventi di Francesco suquesti argomenti si fanno più circostanziati e la letturadella Laudato si’ non lascia dubbi.

La società di Saint Louis non viene mai citata, ma non èdifficile provare a indovinare a chi Francesco si riferiscain questo passaggio dell’enciclica: «In diversi paesi siriscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nellaproduzione di sementi e di altri prodotti necessari per lacoltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera laproduzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare icontadini a comprarne dalle imprese produttrici».

La maggior parte dei repubblicani al Congresso negal’esistenza dei cambiamenti climatici e si oppone aregolamenti per ridurre le emissioni di gas serra. Con gliultraconservatori del Tea Party l’irrigidimento è ancorapiù forte: circa l’80 per cento dei supporter, secondo

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diversi sondaggi, non crede a un peggioramento climaticoquale effetto delle attività umane. Piaccia o no questa è lapercezione di una parte consistente del popolo americano.

Convincimenti radicati nel tempo, a causadell’incessante opera dei think tank, foraggiati persostenere una tesi o l’altra. Gli USA sono la culla delnegazionismo climatico. I primi gruppi organizzatinacquero già negli anni della Guerra Fredda. Il partitodegli scettici ritiene che la paura del riscaldamentoglobale, non di rado indicata come «isteria di massa»,fosse favorita dai governi per poter «guidare il mondo» epoter aumentare le tasse.

Qualcosa del genere scrisse Michael Crichton nel suobest seller State of Fear, al termine del quale elenca venti“prove scientifiche” della non esistenza del problema.Oltre a quelli che negano totalmente il riscaldamentoglobale, si devono annoverare anche gli scienziatisecondo cui il global warming non è un’invenzione, ma unfenomeno naturale ingovernabile.

Ma il negazionismo viene corroborato da alcunimacroscopici errori dei ricercatori. Uno dei più noti èquello relativo alle stime sul completo scioglimento delghiacciaio himalayano, pronosticato entro il 2035. Daun’analisi di alcuni scienziati, pubblicata da «Science»,emerse che la previsione poggiava su rilevazionisbagliate.

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L’autorevolezza del papa potrebbe però aprire unabreccia e questo i croupier che governano i tavoli dellaroulette politica non possono permetterselo. Non resta chescreditare Bergoglio. Con toni bellicosi, come fanno iguru dell’ultradestra, o con mellifluo garbo, come avvieneper bocca dei baroni del Grand Old Party.

Per raggiungere lo scopo sono necessarie opinionitravestite da autorevolezza scientifica. Presagendo icontraccolpi dell’enciclica alcuni centri studi ricevonol’ordine di scendere in trincea e combattere una guerrapreventiva. Tra i primi a farsi sotto c’è l’HeartlandInstitute di Chicago. Joseph Bast, presidente della notaistituzione filantropica, è stato categorico: «Gli esseriumani non sono la causa di una crisi climatica sulpianeta», l’uomo sta semplicemente adempiendo «aldovere biblico di proteggere la terra e di usarla per ilbene dell’umanità. Sebbene il papa sia mosso da buoneintenzioni nell’appoggiare le posizioni non scientifichedell’ONU sui cambiamenti climatici, Francesco non stafacendo un buon servizio al suo gregge». Poil’apocalittica conclusione con cui si mettepreventivamente in guardia dalle probabili ricadute della“dottrina Bergoglio”: «Se l’accesso all’energia, che è ilmotore della prosperità e di una vita migliore, diventeràsempre più costoso e sempre meno affidabile a causa di

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norme imposte dall’alto, i poveri ne soffrirannoterribilmente».

Che si sia d’accordo o meno con queste osservazioni,la preoccupazione per il futuro dei poveri espressa dalcentro studi di Chicago, di questi tempi, è ammirevole.Ma come si mantiene l’Heartland Institute?

Sul suo sito internet l’istituto non scende neiparticolari. Ma i bilanci di alcune multinazionali rivelano,per esempio, che giganti del petrolio come Chevron edExxonMobil hanno versato quasi un milione di dollarisolo negli ultimi anni. Altri finanziamenti, in quantità nondichiarata, sono stati elargiti dai fratelli Koch, diventatiricchi con gli idrocarburi, oltre che da Philip Morris, lacompagnia leader mondiale nel commercio di sigarette.Questi benemeriti finanziatori sprecherebbero il propriodenaro per sentirsi dire d’essere tra i responsabili deiguasti al pianeta?

Quando l’enciclica è finalmente stata divulgata, JimLakely, altro nome importante dell’Heartland Institute, haspiegato che Bergoglio «non è ben consigliato dall’ONU»,e che i cattolici dovrebbero rassegnarsi all’idea che «ilSanto Padre è una autorità spirituale, non scientifica».Un’affermazione piuttosto velenosa, perché suggerisce cheFrancesco si farebbe sobillare dalle Nazioni Unite, comese l’ONU fosse un pericoloso ricettacolo di sovversivi.

In fondo è quello che pensa anche Rick Santorum, altro

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candidato repubblicano alle presidenziali: «Quando laChiesa si cimenta con teorie politiche e dibattiti scientificicredo perda influenza e credibilità».

L’elenco di quanti, tra l’assertivo e l’irridente, hannocriticato l’enciclica del papa per il suo chiaro sottofondoantimperialista è sterminato. Bergoglio non riscuote solosimpatie. Al contrario, le parole di Francesco riescono asaldare alleanze inedite. È questo, in genere, il sintomodell’escalation con cui si tende a emarginare l’avversario.Criticato, screditato, deriso, il nemico viene cosìfacilmente isolato. Il papa c’è passato in altre occasioni.Da giovane, quando fu mandato per alcuni anni in “esilio”tra i gesuiti di Cordoba. E di nuovo in anni recenti,quando venne ingiustamente accusato di collusione con ilregime militare argentino.

A differenza che in quelle circostanze, oggi Francescogode di un vasto, trasversale e crescente consenso. Unaconsiderazione che potrebbe ritorcersi contro i suoicritici. Anche per questo la nutrita guarnigione diantipapisti sta serrando i ranghi, prima che sia troppotardi. Senza neanche attendere l’uscita della Laudato si’,l’analista politico Steve Moore ha scritto il 1° maggio su«Forbes», la prestigiosa rivista economica di New York,che «alla base di molte affermazioni del papa non c’èl’intenzione di risollevare il povero, semmai dicondannarlo a più povertà e meno libertà», avendo

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sposato sulle questioni ambientali «l’ordine del giorno deifanatici». Alludendo ai gruppi della sinistra radicale eanticlericale, l’opinionista Doug McKelway ha sostenutodavanti alle telecamere di Fox News che, intervenendo sulcambiamento climatico, «papa Francesco si è allineatosulle posizioni di alcuni nemici della Chiesa». Mentre ilcattolico Bob George, docente a Princeton, ha volutoessere dissacrante: «Il papa non sa se, e in che misura, icambiamenti climatici degli ultimi decenni sono di origineantropica. E Dio non ha intenzione di dirglielo».

Per dirla con l’American Petroleum Institute, la lobbyche riunisce i padroni americani dell’oro nero, le «fontifossili restano vitali per risollevare i popoli dalla povertàe questo è il nostro impegno». Che in molte delle regioniafricane trivellate dalle “sette sorelle” del greggio gliindici di sviluppo umano rimangano in fondo allestatistiche mondiali dev’essere solo una sfortunatacoincidenza.

Questi giudizi peseranno durante il viaggio diFrancesco negli USA, in agenda per il settembre 2015. Maè alla Casa Bianca che guardano i più. Ed è lì che guardaanche Francesco.

Barack Obama desidera che tutto fili liscio. DopoWashington Bergoglio andrà a Philadelphia, dove sisvolge la seconda decisiva parte del Sinodo per lafamiglia. Ad attenderlo ci saranno un dibattito vivace e

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molte resistenze. Già il “primo tempo” si era svolto aRoma tra manifestazioni di dissenso e qualche sabotaggio,come alcuni documenti a carattere teologico e pastorale (aproposito dei divorziati risposati e delle unioni gay) fattitrapelare prima ancora che venissero dibattuti. Un modoper azzerare la discussione e fermare ogni ipotesi diriforma. «Francesco ha imparato la lezione» confida unconsigliere del pontefice «e difficilmente questa volta sifarà prendere alle spalle».

Prima, però, ci sarà il faccia a faccia in casa dell’uomopiù potente del pianeta.

In vista dell’incontro, gli americani hanno deciso diaumentare il livello di sicurezza intorno al pontefice. Nonera mai accaduto, neanche con Benedetto XVI, che nel2008 fu il primo papa a mettere piede nello studio alloraabitato da George W. Bush. Su suggerimento del SecretService, che ha caldeggiato anche la realizzazione di unefficiente servizio elettrico e di comunicazionid’emergenza, la nunziatura a Washington, dove Bergogliosoggiornerà, ha presentato all’inizio di aprile 2015 unaregolare domanda al servizio urbanistico della città perottenere l’autorizzazione, fra l’altro, a costruire intorno alperimetro dell’ambasciata vaticana una barriera in ferroalta 182 centimetri. A chi riteneva che la misura indicatadall’intelligence (l’equivalente di 6 piedi) non fossequella di una barriera invalicabile, il Secret Service (a

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cui appartiene la sicurezza personale del presidenteamericano) ha risposto ricordando che la White House èprotetta da un recinto di 7,5 piedi (228 centimetri).

I preparativi e gli incontri tra i delegati delle rispettivediplomazie sono incessanti. Che attualmente al potere cisiano i democratici non è granché rassicurante. Non soloper le contraddizioni interne al partito – che, soprattuttoper demerito degli avversari, ha cercato di appropriarsidel “Bergoglio-pensiero” per scopi tutto sommato nontroppo diversi dalle mire elettorali dei conservatori –, maanche perché di recente il Grand Old Party hariconquistato la parte maggiore degli stati, ha ottenuto lamaggioranza al Congresso e si prepara a riprendersil’America.

Uomini come Dick Cheney non battono la fiacca. Sumolti fronti caldi i conti sono ancora aperti. E si tratta dioperazioni pianificate dai repubblicani all’epoca diGeorge W. Bush e che in un prossimo futuro potrebberoconoscere una svolta, visto che l’ex governatore dellaFlorida Jeb Bush, rampollo cadetto della potente dinastiatexana, ha già cominciato la sua lunga marcia perdiventare il terzo inquilino della famiglia con in mano lechiavi della Casa Bianca. Il settantenne Cheney non èabbastanza giovane per poter correre un’altra maratona

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presidenziale, ma neanche così vecchio da rintanarsi in uncottage a lucidare i trofei di una vita.

Se Bergoglio non teme di inginocchiarsi e baciare ipiedi di un carcerato, il boss repubblicano ha ben altreidee, e lo ha fatto capire chiaramente pochi giorni dopo lavittoria elettorale repubblicana di midterm.

Il 12 dicembre 2014, nel pieno dello scandalo per letorture commesse dalla CIA dopo gli attacchi terroristicidell’11 settembre 2001, il capo dell’intelligence JohnBrennan ammette: «Sono stati usati metodi ripugnanti nonautorizzati» e non è stato fatto a sufficienza «perperseguire le responsabilità di alcuni funzionari che hannocommesso errori». E nessuno può dire se le brutalitàcompiute durante gli interrogatori dei prigionieri – dalwaterboarding (affogamento simulato) all’«alimentazionerettale» – siano state realmente efficaci ai fini dei risultatiraggiunti nel corso della guerra al terrorismo: «Non cisono prove. Non c’è modo di sapere se quei metodiabbiano prodotto importanti informazioni di intelligenceper evitare nuovi attentati» ha insistito Brennan aproposito delle «tecniche rafforzate di interrogatorio».

Prima ancora che i giornalisti lo interpellassero suquesta vicenda, Dick Cheney ha rilasciato una serie didichiarazioni che non lasciano adito a dubbi sul suopensiero: «Quei metodi sono serviti a catturare queibastardi che hanno ucciso tremila persone l’11 settembre.

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Quei metodi hanno di fatto aiutato a produrre informazionivitali per mantenere il paese al sicuro da ulterioriattacchi». Foss’anche orribile e disumano, «quello chedoveva essere fatto è stato fatto. Eravamo perfettamentegiustificati nel farlo. E lo rifarei in un minuto».

Fino a quando gente come Dick Cheney avrà il poteredi dettare l’agenda della politica conservatrice, è evidenteche i rapporti tra Francesco e l’establishment USA

resteranno improntati alla reciproca diffidenza. Acominciare dalla visione dell’America del Sud.

La vera paura, presso il Dipartimento di stato, è che ilpontefice argentino sia riuscito a risvegliare il vecchiosogno della Patria Grande latinoamericana. Un’utopiache fa temere agli USA di perdere il controllo su unsubcontinente che di fatto hanno sempre considerato comeil “cortile di casa”. L’attivismo della diplomaziapontificia a Cuba, in Venezuela, in Bolivia e nell’estremoSud ne è la riprova.

Cuba è stato il primo passo, e il fatto che Bergoglioabbia deciso di recarvisi in occasione del viaggio negliStati Uniti, anziché prolungando quello precedente inSudamerica, viene interpretato come una sfida diretta delpapa a chi a Washington ancora si rifiuta di riconoscerloappieno e perfino di indirizzargli un formale“Congratulations”.

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MERCANTI DI MORTE

Gli affari sporchi delle democrazie. Il Vaticano in guerra controla guerra. «Gli imprenditori delle armi hanno scritto nel cuore:“A me che importa?”». Un mondo senza bomba atomica èpossibile.

Certi nasi arricciati davanti alle parole del papa devonoessere anche il riflesso condizionato di chi vedeminacciato uno dei grandi business sui cui si fondano laricchezza economica e l’egemonia politica.

«La guerra non è che commercio» disse una volta loscrittore britannico Evelyn Waugh. Ma il sangue degliinnocenti è fuori dal tariffario.

«Mi domando come fanno ad avere certe armi cosìsofisticate questi gruppi considerati terroristici. Non sonoproduttori di armamenti, quindi da qualche parte devonopur arrivare»: l’interrogativo del nunzio vaticano in Iraq èretorico. Monsignor Giorgio Lingua sa bene da dovearrivano quelle armi. Ma con la sua domanda ha volutocoinvolgere i principali protagonisti del disastro iracheno.Un messaggio fin troppo esplicito per gli stantii canoni dibon ton tuttora vigenti nelle relazioni internazionali. Conlo stile della diplomazia che brandisce il fioretto e

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impugna le stilografiche, l’inviato della Santa Sede (nelfrattempo promosso alla nunziatura di Cuba) ha lasciatointendere che il doppiogiochismo di alcuni governi nonpoteva più essere tollerato.

A chi si riferiva? Solo agli USA, che in fondo nonammantano di moralismo la loro industria bellica? InEuropa c’è chi dovrebbe saperne qualcosa. L’Isis riceverifornimenti da importanti donatori sauditi. E l’ArabiaSaudita, con ordinazioni da 3,5 miliardi all’anno, è ilcliente più coccolato dai fabbricanti di armi di tutto ilVecchio Continente.

Non si tratta di esportazioni illegali, ma di affari allaluce del sole. Approvati dalle autorità governative e ingran parte conosciuti dai vertici dell’Unione Europea.

In barba alla crisi, gli affari per le forniture belliche“Made in Europe” hanno sfiorato i quaranta miliardi, sistima che siano in crescita del 6 per cento e le previsioniappaiono allettanti anche per gli anni a venire. Ormai èl’euro la moneta ufficiale di questo business. Conoperazioni autorizzate per un valore di 13,7 miliardi, laFrancia è il principale esportatore, seguito da Spagna (7,7miliardi), Germania (4,7 miliardi) e Italia (4,2 miliardi).

Che si tratti dell’Iraq, della Striscia di Gaza, degliscontri in Ucraina, della guerra in Siria o delle piùirrequiete repubbliche africane, da Bruxelles si sprecanogli appelli per «mettere a tacere le armi e far parlare la

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diplomazia». Con scarsi risultati. Le gerarchiedell’Unione ottengono un successo molto maggiore nellosmercio di tecnologia militare.

Le informazioni fornite dalla «Gazzetta ufficialedell’Unione Europea», che pubblica il rapporto annualesulle esportazioni di armi, sono largamente carenti. Unanota a margine informa che «diversi stati non hanno potutofornire i dati». Cosa impedisca a Belgio, Danimarca,Polonia, Grecia, Irlanda, Germania e Regno Unito dirivelare queste informazioni lo si può solo immaginare.

Tuttavia, con qualche stratagemma, talvolta è persinopossibile riuscire a scostare questo velo di segretezza.

Il merito va ad alcuni parlamentari che hannopresentato ai rispettivi governi interrogazioni a cui iministeri sono obbligati a dare seguito, in conformità allenorme sulla trasparenza dell’attività governativa. Lerisposte così ottenute confermano i sospetti: in tempi divacche magre, la produzione e il commercio di armi restaun mercato forte, tra i pochi in grandissima crescita. Laquota tedesca di spedizioni verso i paesi al di fuori dellaUE e della NATO è aumentata a livelli record. Nel 2013,secondo un report del ministero dell’Economia di Berlino,si è passati dal 55 per cento al 62 per cento. L’ammontaredell’export autorizzato è cresciuto del 23 per cento: da 4,7miliardi di euro nel 2012 a 5,8 miliardi nel 2013. Fra ipaesi importatori compaiono Algeria, Qatar, Arabia

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Saudita e Indonesia, non proprio campioni di democraziae diritti umani.

La normativa europea sulla compravendita diarmamenti sembra servire solo come specchietto per leallodole. La “Posizione Comune 2008/944/Pesc” obbligagli stati membri a «impedire l’esportazione di tecnologiae attrezzature militari che possano essere utilizzate per larepressione interna o l’aggressione internazionale ocontribuire all’instabilità regionale». I fatti dicono chequesta norma viene facilmente aggirata. Il volumecomplessivo degli affari UE per l’industria bellica è statodi 39,9 miliardi di euro, con una crescita del 6 per cento.Sono in aumento del 22 per cento le esportazioni nei paesidel Medio Oriente (9,7 miliardi). Il maggiore acquirentemediorientale è l’insaziabile Arabia Saudita (3,5miliardi), che secondo il giudizio concorde di diversefonti d’intelligence è tra i principali fornitori delle truppein divisa nera che stanno barbarizzando l’Iraq, la Siria, eadesso puntano a creare una federazione armata fino alMediterraneo del Nord, in altre parole fin sull’usciodell’Europa.

Altri importanti mercati sono Oman, Emirati ArabiUniti, India e Pakistan. L’ultima relazione della «Gazzettaufficiale» di Bruxelles si riferisce a dati del 2012.Secondo i rendiconti, sulle 47.868 autorizzazioni per

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l’esportazione richieste nell’area UE, ne sono staterespinte 459: meno dell’uno per cento.

In Francia, lo confermano informazioni ufficiali, nonc’è settore che abbia fatto registrare risultati migliori. Ilministero della Difesa di Parigi ha dichiarato che nel2013 le consegne all’estero sono aumentate del 30 percento rispetto al 2012. Nello stesso anno sono stati siglatiaccordi per l’acquisto di «materiale e tecnologie militari»con paesi del Medio Oriente per un totale di 6,3 miliardi.E poiché il 2014 promette altre opportunità per giocarealla guerra, il governo d’Oltralpe ha annunciato cheaumenterà ulteriormente le consegne all’estero. Oltre allafornitura di caccia Rafale all’India, la Francia staconsegnando fregate alla Marina del Regno del Marocco,nonostante il conflitto tuttora in corso con la popolazioneSahrawi e l’inosservanza delle disposizioni ONU sulSahara occidentale.

L’altro fronte caldo guarda verso est, dove lo scambiodi accuse tra Europa e Russia si fa sempre più duro. LaRussia accusa l’Unione Europea di aver revocatol’embargo imposto contro l’Ucraina sulle fornituremilitari, mentre il premier britannico David Cameron hachiesto alla NATO di rafforzare la presenza in Europaorientale perché «Putin non la passi liscia». Tutto ciòmentre in Ucraina si fronteggiano l’esercito di Kiev e i

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separatisti filorussi. A scontri in corso, però, proprio ilRegno Unito ha concluso con la Russia un importanteaccordo di cooperazione militare che prevede unmaggiore scambio di tecnologie.

L’ipocrisia dei poteri che contano, di quanti a paroledeclamano la pace, la stabilità, un mondo senza conflitti, epoi non temono di stringere la mano ai signori dellaguerra, è ben esemplificata dalla condotta del governotedesco. Basta agitare la minaccia per la sicurezza deipropri confini perché anche le scelte più controversepassino senza fatica. Il 27 febbraio 2015 la ministra dellaDifesa Ursula von der Leyen ha annunciato uno stop allariduzione della dotazione di carri armati per le truppedell’esercito federale, il Bundeswehr. È stato sufficienteevocare il rischio di un’invasione da est per fare piazzapulita di ogni obiezione. In un’intervista pubblicata sulsito internet delle forze armate, non proprio una testatapacifista, Ursula von der Leyen ha affermato che «ilquadro generale della sicurezza è cambiato notevolmentea partire dall’anno di crisi 2014. Oggi dobbiamorispondere sinceramente alla domanda su quel chedavvero dobbiamo poter fare. Sui veri bisogni delletruppe». In altre parole, la crisi in Ucraina impone allaGermania di potenziare gli armamenti: questa è lamotivazione ufficiale per giustificare – nello stessomomento in cui Berlino esige dagli altri partner europei di

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stringere la cinghia – il ricorso a forti investimentimilitari. Quello che il ministro della Difesa ha omesso dispecificare è che le esportazioni sono calate del 43 percento, mettendo a rischio l’industria bellica tedesca. Tantopiù che solo quattro giorni prima Sergey Chemezov,direttore generale di Rosoboronexport, l’agenzia statalerussa che detiene il monopolio sulla vendita di armamenti,aveva annunciato che Mosca punta a esportare nel 2015oltre tredici miliardi di dollari in armi, in linea con il2014.

L’instabilità mediorientale, perciò, è un bene primariodell’industria bellica mondiale. «L’unico leader ad avercapito fino in fondo cosa sia veramente il Califfato e qualirischi, su scala mondiale, possano venire dalle crisi inMedio Oriente è Francesco» dice Loretta Napoleoni, chenon è mai stata il tipo di analista internazionale disposto acedere al “diplomaticamente corretto”. E insiste: «La“terza guerra mondiale a pezzi” di cui parla il papa è unfatto, non una suggestione. Ora le cancellerie devonodecidere: fermare l’escalation militare o peggiorare lasituazione, con ripercussioni ad amplissimo raggio».

Tra i primi al mondo ad aver denunciato la minacciadell’Isis e i suoi sostenitori, Napoleoni ripete che quellain Siria e in Iraq non è più «una “guerra per procura”,nella quale uno sponsor esterno, come il Qatar, prendevaun gruppetto, lo finanziava e gli spediva le armi, sotto il

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naso della comunità internazionale. Gli americanisapevano, ma consideravano la questione come unproblema locale. Anche gli USA hanno avuto un ruolo: isoldi ai ribelli sono stati forniti anche da loro. Ma questi,intanto, avevano conquistato posizioni chiave, erano ingrado di autofinanziarsi, in una sorta di privatizzazionedel terrorismo. Da allora quello che alcuni si ostinano achiamare Isis non esiste più». Ora c’è un organismo nonriconosciuto ma che ambisce a essere trattato come unvero stato.

Papa Francesco ha ben chiara la gravità dellasituazione internazionale. E non ha bisogno di qualchespeciale intuito. Gli basta leggere i rapporti dellenunziature e le osservazioni della Segreteria di stato. Perquesto i rappresentanti della Santa Sede presso le agenzieONU, su mandato del pontefice, stanno facendo leva suipunti deboli dei trattati per la commercializzazione diarmamenti. Lo scopo è quanto meno duplice: denunciare ilcommercio mondiale ed elaborare un piano per riformaregli accordi internazionali in materia.

Le resistenze sono molto forti. Paesi come Francia eGermania si sono già mossi per tentare di sabotare i pianidel papa, in particolare rendendo più complicata la stradaper la riapertura di un canale di dialogo con l’Isis e laprogressiva stabilizzazione del conflitto siriano.

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Questa guerra sotterranea tra diplomazie ha vissutomomenti di altissima tensione con l’inattesa contromossavaticana proprio in sede ONU. Il 13 marzo 2015,monsignor Silvano Tomasi, osservatore permanente dellaSanta Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, hacomunicato di essere riuscito a far sottoscrivere unappello congiunto sulla difesa dei cristiani perseguitati.Un documento che ha costretto paesi i cui governi sifronteggiano, o non si parlano affatto, ad apporre ilproprio sigillo. Una prova di forza della rete diplomaticadi Francesco, che è riuscito a ottenere l’appoggio anche diSiria, Israele, Russia, Stati Uniti e Cuba, paesi i cuirapporti reciproci non sono esattamente basati sullafiducia. Per essere precisi, il documento reca quale primafirma quella della Federazione Russa di Vladimir Putin,seguita da Libano e Santa Sede. Un messaggio allacomunità internazionale, intenta ad attribuire al governo diFrancesco questo o quel marchio. Con questa modalità,Bergoglio si è smarcato, facendo della neutralità non piùuna rupe su cui arroccarsi. Era il segnale che moltiattendevano. Da quel momento la Santa Sede, forte già delsuccesso nella missione per il disgelo tra Washington el’Avana, sarebbe tornata a giocare da protagonista sulloscacchiere dei consessi internazionali.

A parole tutti vogliono sicurezza e stabilità. Ma leparole hanno un prezzo, e in questo caso il prezzo lo

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decidono le munizioni. Stabilità vuol dire riduzione delfabbisogno di sistemi di combattimento. Un rischio per letasche dei grandi esportatori. A meno che non venganorassicurati sulla possibilità di poter lucrare sul “dopo”:ricostruzione, formazione di un esercito regolare, accessoalle fonti energetiche e produttive, trattati commerciali,solo per citare la principale merce di scambio di ogni“trattato di pace”.

Per chi traffica in armi, in fondo, non conta chi vince, mache si combatta e il più a lungo possibile. A Gaza i razziQassam lanciati da Hamas spesso vengono intercettatidall’esercito israeliano. Ma Hamas festeggia comunque.Perché assemblare un Qassam costa tra gli ottocento e imille dollari, mentre gli israeliani per ciascun tentativo diintercettazione sono costretti a sborsare ogni volta daitrenta ai cinquantamila dollari, costringendo Israele a uncontinuo salasso delle casse pubbliche. Per non dire dellericadute negative sull’economia israeliana a cominciaredal turismo, un comparto certo non presente a Gaza. GliUSA forniscono «artiglieria pesante a Israele» e hannospeso «quasi un miliardo di dollari per creare unaprotezione contro i razzi a beneficio dei civili israelianima non di quelli palestinesi» ha dichiarato Navi Pillay,Alto Commissario ONU per i diritti umani.

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L’Europa non sta alla finestra e punta ad accaparrarsiampie fette di mercato. Secondo alcuni economisti di TelAviv, l’operazione militare del 2014 è costata più di tremiliardi di dollari, per non dire di “Iron Dome” (“Cupoladi ferro”), il sistema di protezione integrato costato cinquemiliardi di dollari, di cui uno messo a disposizione dagliUSA. Gli obiettivi militari attaccati da Israele sono statiquasi cinquemila. Da Gaza, invece, sono partiti circa3.400 razzi. Di questi, 578 sono stati intercettati da IronDome, 2.650 hanno toccato il suolo israeliano, i restantisono rimasti inesplosi. Basta fare due conti per capire checon investimenti nettamente inferiori si potrebbetrasformare l’intera regione in una delle aree più prosperedel pianeta. Ma a chi converrebbe?

I dati più attendibili sul business mondiale delle armisi devono al SIPRI, l’Istituto internazionale di ricerca sullapace di Stoccolma, un organismo indipendente creato nel1966. Stando al suo ultimo rapporto, il numero di stati cheriferisce in merito ai propri flussi di importazione edesportazione al Registro delle armi convenzionali delleNazioni Unite (UNROCA) è calato: da 86 paesi nel 2011 aun minimo storico di 52 nel 2012. Ciò significa che, su untotale di 193 stati aderenti all’ONU, ben 141 nonforniscono informazioni su produzione e compravendita diarmamenti. Anche per questa ragione, secondo alcuniosservatori è diminuito il numero di “triangolazioni”, un

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vecchio stratagemma commerciale grazie a cui i regimidittatoriali vengono riforniti attraverso cessioniapparentemente legali a paesi non in guerra, ma che nonhanno sottoscritto il trattato ONU sul commercio diarmamenti. In questo modo, per esempio, vengonoequipaggiati la Corea del Nord, la Siria e il Sud Sudan. Imediatori europei fingono di cedere “materiale per ladifesa” a stati come la Cina o l’Arabia Saudita, che a lorovolta girano i container carichi di munizioni ai veridestinatari.

Nel corso del decennio 2002-2011 sono stati registrati73 conflitti armati di matrice statale, 223 conflitti nonstatali e 130 atti di violenza unilaterale. L’ammontaretotale della spesa militare mondiale è stimato 1.756miliardi di dollari, che corrispondono al 2,5 per cento delprodotto interno lordo globale: circa 249 dollari perpersona.

Nel periodo 2010-14 il volume di trasferimenti diarmamenti è cresciuto del 16 per cento rispetto al 2005-2009. I cinque maggiori esportatori tra il 2010 e il 2014sono stati gli USA, la Russia, la Cina, la Germania e laFrancia; i cinque maggiori importatori sono stati l’India,l’Arabia Saudita, la Cina, gli Emirati Arabi Uniti e ilPakistan. Negli ultimi quattro anni l’export statunitense deimaggiori sistemi d’arma è cresciuto del 23 per cento a

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beneficio di 94 acquirenti, mentre quello cinese ècresciuto del 143 per cento tra il 2005 e il 2014. AncheMosca ha aumentato il suo export del 37 per cento,fornendo armi a 56 stati e alle forze ribelli in Ucraina.

Le esportazioni tedesche dei maggiori sistemi d’armaverso 55 stati sono diminuite del 43 per cento. L’Italia sisegnala per l’accresciuto export di droni, i micidialivelivoli senza pilota comandati a distanza. Nelcomplesso, le spedizioni italiane all’estero dal 2014 al2015 sono cresciute di oltre il 30 per cento.

Questi argomenti tornano spesso nei discorsi di papaFrancesco. Alcune volte le sue parole suonano comeceffoni. Com’è avvenuto il 23 novembre 2014 durante ilvideomessaggio per il Festival della dottrina sociale dellaChiesa a Verona.

Anche quella volta Bergoglio è andato giù pesante: «Ilrischio è che l’indifferenza ci renda ciechi, sordi e muti,presenti solo a noi stessi, con lo specchio davanti, per cuitutto avviene nella nostra estraneità. Uomini e donnechiusi in se stessi. C’era qualcuno così che si chiamavaNarciso… Quella strada, no».

All’inizio qualcuno pensava si trattasse di un appellobuonista rivolto ai credenti. Solidarietà, empatia, carità ecose del genere. Invece il papa aveva in mente di sferrareun nuovo attacco all’industria della guerra: «L’eticacristiana non è una dogana alla pluralità di espressioni

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con le quali si manifesta il bene e la cura del prossimo».Parole che riassumono anche la filosofia nelle relazioniinternazionali della Santa Sede: «Allargare e nonrestringere, creare spazi e non limitarsi al loro controllo».Ma per riuscirci occorre «avere il coraggio di nonlasciarsi imprigionare dal denaro e dai risultati a brevetermine, diventandone schiavi. Occorre un modo nuovo divedere le cose!».

Mentre in molti si domandano a cosa allude, Bergogliorisponde come è sua abitudine posando lo sguardo suifatti: «Vi faccio un esempio. Oggi si dice che tante cosenon si possono fare perché manca il denaro. Eppure ildenaro c’è sempre per fare alcune cose e manca per farnealtre». E per non apparire reticente, Francesco torna abattere il solito tasto: «Ad esempio il denaro peracquistare armi si trova, per fare le guerre, per operazionifinanziarie senza scrupoli, si trova. Di questo solitamentesi tace; si sottolineano molto i soldi che mancano percreare lavoro, per investire in conoscenza, nei talenti, perprogettare un nuovo welfare, per salvaguardarel’ambiente».

Insomma, «il vero problema non sono i soldi, ma lepersone: non possiamo chiedere ai soldi quello che solole persone possono fare o creare. I soldi da soli noncreano sviluppo, per creare sviluppo occorrono personeche hanno il coraggio di prendere l’iniziativa».

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Per Bergoglio, la battaglia contro la produzione e ilcommercio di armi è più di un chiodo fisso: è un temachiave fin dall’esordio del suo pontificato. E intorno allaproliferazione di quelli che ipocritamente vengono definiti“sistemi di difesa” – quasi mai l’industria militare parladi “sistemi di attacco” – il pontefice ha scatenatoun’offensiva senza tregua.

L’8 settembre 2013 se n’è uscito con un’affermazioneche pareva buttata lì a caso: «Sempre rimane il dubbio:questa guerra di là, quest’altra di là – perché dappertuttoci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o èuna guerra commerciale per vendere queste armi nelcommercio illegale?».

La domanda, posta durante l’Angelus all’indomanidella veglia di preghiera per la pace in Siria, era unaprovocazione, non una perplessità da condividere mentresi parla urbi et orbi. Nel testo ufficiale anticipato aigiornalisti accreditati non c’era nulla che facessepresagire le intenzioni di Bergoglio. Ma quellaconsiderazione, esposta a braccio, è divenuta il cuore delmessaggio domenicale.

Da allora, gli interventi di Francesco sull’argomentonon si contano. Prenderli come esternazioni spontaneesarebbe un’ingenuità. Per quanto gli accenni del papapossano apparire talvolta impulsivi, sono sempre ilriflesso di argomentazioni basate su informazioni e

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osservazioni, oppure lasciano presagire un’escalation insede diplomatica.

Il 15 maggio 2014, dopo una serie di altri interventi,Bergoglio torna a chiarire il suo pensiero. E lo famettendo in correlazione diretta il traffico di migranti conquello degli armamenti. Parlando ai nuovi ambasciatoriaccreditati presso la Santa Sede, il pontefice cede ancorauna volta al “politicamente scorretto”: «Ci sono storie checi fanno piangere e vergognare: esseri umani, nostrifratelli e sorelle, figli di Dio che, spinti anch’essi dallavolontà di vivere e lavorare in pace, affrontano viaggimassacranti e subiscono ricatti, torture, soprusi di ognigenere, per finire a volte a morire nel deserto o in fondoal mare».

Davanti a queste lacrime «non ci si può limitare arincorrere le emergenze». E qui il discorso entra nelcampo della strategia geopolitica, nel reclamare «unosguardo politico serio e responsabile che coinvolga tutti ilivelli: globale, continentale, di macro-regioni, di rapportitra nazioni, fino al livello nazionale e locale».

Ma è alla fine che il tono si fa ancora più grave. Non èpiù tempo per coprire gli affari sporchi di sangue delledemocrazie europee con la panna montata di un pietosomoralismo: «È cinico proclamare i diritti umani e,contemporaneamente, ignorare o non farsi carico diuomini e donne che, costretti a lasciare la loro terra,

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muoiono nel tentativo o non sono accolti dalla solidarietàinternazionale». Come se i profughi non fossero lanaturale conseguenza delle guerre.

Come se i paesi grandi esportatori di armi volesseroper sé e i propri cittadini il beneficio economico delleesportazioni, voltandosi dall’altra parte quando gli effettidi quell’export bussano alle porte di casa e hanno losguardo perso e disperato di esseri umani in fuga. «Tuttiparlano di pace, tutti dichiarano di volerla, ma purtroppoil proliferare di armamenti di ogni genere conduce insenso contrario.»

L’11 giugno del 2014 il papa fa uno dei suoiragionamenti a proposito della “pertinacia del peccato”,cioè quando una persona «vive nel male, quandobestemmia contro Dio, quando sfrutta gli altri, quando litiranneggia, quando vive solo per soldi, vanità, potere,orgoglio», quando «il santo timore di Dio ci mette inallerta, ci dice: “Attenzione, con tutto questo potere, soldi,con il tuo orgoglio e la tua vanità non sarai felice”».

Ma chi sono i primi destinatari di questo rimprovero?«Voi pensate che i corrotti, quanti fanno la tratta dellepersone o i fabbricanti di armi siano davvero felici?»domanda Francesco. «Non lo sono», e sappiano che«nell’aldilà dovranno rendere conto a Dio.»

In qualche misura, Bergoglio è figlio dei conflitti. La

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sua famiglia lascia l’Italia nel 1929, in piena dittaturafascista. Inseguivano la speranza di un avvenire sereno,mentre l’Europa già si armava in vista della Secondaguerra mondiale. E il 14 settembre 2014 papa Francescoattraversa proprio un luogo simbolo dell’autodistruzionedi cui gli uomini sono capaci. Il cimitero austro-ungaricodi Fogliano Redipuglia in Friuli-Venezia Giulia. Viriposano 14.550 salme di soldati caduti nell’area. A menodi un chilometro vi è il sacrario di Redipuglia, dove sonostati sepolti i resti di oltre centomila soldati, di cui più disessantamila ignoti. È qui che papa Francesco torna sulla«terza guerra mondiale, combattuta a pezzi». E stavoltaindica con chiarezza l’intera filiera: i «pianificatori delterrore», gli «organizzatori dello scontro», gli«imprenditori delle armi». In altre parole, gli «affaristidella guerra».

Arrivando nei luoghi dove combatté anche suo nonnoGiovanni Carlo Bergoglio, dal quale da piccolo ascoltavai racconti di quella terribile guerra di trincea, Francescoosserva che «dopo aver contemplato la bellezza delpaesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donnelavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambinigiocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questoluogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: laguerra è una follia».

«Anche oggi, dopo il fallimento di un’altra guerra

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mondiale, forse si può parlare di una terza guerracombattuta “a pezzi”, con crimini, massacri,distruzioni…» scandisce. «Anche oggi le vittime sonotante», e questo è possibile «perché anche oggi dietro lequinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità didenaro e di potere, c’è l’industria delle armi che sembraessere tanto importante! E questi pianificatori del terrore,questi organizzatori dello scontro, come pure gliimprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A meche importa?”».

Per il pontefice, «gli affaristi della guerra forseguadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso lacapacità di piangere». Proprio come quello di Caino, che«non ha pianto».

Pochi giorni dopo, la linea del papa si fa ancora piùchiara. In Vaticano arrivano i nunzi delle rappresentanzein Medio Oriente. In agenda ci sono le crisi che scuotonol’area. I lavori si svolgono nella biblioteca dellaSegreteria di stato, a porte chiuse e nel più stretto riserbo.Partecipano i monsignori inviati in Egitto,Israele/Gerusalemme/Palestina, Giordania/Iraq, Iran,Libano, Siria e Turchia. Sono presenti anche i superioridella Segreteria di stato e dei dicasteri della curia romanadirettamente interessati alla questione, nonché gliosservatori permanenti della Santa Sede presso le NazioniUnite a New York e a Ginevra, e il nunzio apostolico

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presso l’Unione Europea. Vicino a Francesco siedono ilcardinale segretario di stato Pietro Parolin, il cardinaleLeonardo Sandri, prefetto della Congregazione per leChiese orientali, il cardinale Jean-Louis Tauran,presidente del Pontificio consiglio per il dialogointerreligioso e il cardinale Fernando Filoni, inviatopersonale del Santo Padre in Iraq.

«La riunione» riferisce il direttore della sala stampavaticana padre Federico Lombardi «è un’espressionedella vicinanza e sollecitudine del Santo Padre per questaimportante questione.» Qualcosa di più trapela. E unadelle personalità diplomatiche presenti conferma che «ilSanto Padre ha manifestato la sua preoccupazione per lesituazioni di guerra che si vivono in tanti luoghi e per ilfenomeno del terrorismo, per il quale la vita delle personenon ha alcun valore»; ma poi ha additato «il problema deltraffico delle armi che è alla base di tanti problemi, nonultimo il dramma umanitario che vivono molte personecostrette a lasciare i loro paesi».

Si deve anche a questo summit il contenuto delmessaggio inviato meno di tre mesi dopo, in occasionedella conferenza di Vienna sull’impatto umanitario dellearmi nucleari. Le parole del pontefice vengono consegnateai delegati il 7 dicembre 2014.

Stavolta la strategia vaticana viene chiarita fin nei

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dettagli: «Le armi nucleari sono un problema globale, checolpisce tutte le nazioni, e avranno un impatto sullegenerazioni future, come pure sul pianeta, che è la nostracasa. Occorre un’etica globale se vogliamo ridurre laminaccia nucleare e operare per un disarmo nucleare. Orapiù che mai, l’interdipendenza tecnologica, sociale epolitica esige urgentemente un’etica di solidarietà(Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 38), cheincoraggi i popoli a operare insieme per un mondo piùsicuro e un futuro che sia radicato sempre più nei valorimorali e sulla responsabilità in una dimensione globale».Nessuno si può trincerare dietro i “non sapevo, nonpotevo immaginare”. Perché «le conseguenze umanitariedelle armi nucleari sono prevedibili e planetarie».

E qui il pontefice prova a spostare l’obiettivo,spiazzando la comunità diplomatica: «Mentre spesso ci siconcentra sul potenziale delle armi nucleari per leuccisioni di massa, si deve porre maggior attenzione sulle“sofferenze non necessarie” causate dal loro uso. I codicimilitari e il diritto internazionale, tra gli altri, hanno datempo condannato persone che hanno inflitto sofferenzenon necessarie. Se simili sofferenze sono condannate nelcorso di una guerra convenzionale, allora dovrebbero bendi più essere condannate nel caso di conflitto nucleare».

A chi si riferisce Francesco? «Vi sono coloro, tra noi,che sono vittime di tali armi; essi ci mettono in guardia a

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non commettere gli stessi irreparabili errori, che hannodevastato popolazioni e la creazione. Porgo i mieicalorosi saluti agli Hibakusha [i sopravvissuti aibombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, N.d.A.]come pure alle altre vittime degli esperimenti delle arminucleari.»

Sembra dunque che in Vaticano vogliano mettere ibastoni tra le ruote alle sperimentazioni senza le quali letestate atomiche non possono essere “migliorate”: «Ladeterrenza nucleare e la minaccia della distruzionereciproca assicurata non possono essere la base diun’etica di fraternità e di pacifica coesistenza tra i popolie gli stati». Semmai è venuto «il tempo di contrastare lalogica della paura con l’etica della responsabilità».

È un capovolgimento totale di fronte. Perché conquest’ultima accusa Bergoglio ha smascherato quanti, conil pretesto della sicurezza in pericolo, producono armisempre più costose, sofisticate e micidiali. A tuttovantaggio di una lobby che accresce potere e patrimoni.

«Spendere in armi nucleari dilapida la ricchezza dellenazioni. Dare priorità a simili spese è un errore e unosperpero di risorse che sarebbero molto meglio investitenelle aree dello sviluppo umano integrale,dell’educazione, della salute e della lotta all’estremapovertà. Quando tali risorse sono dilapidate, i poveri e i

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deboli che vivono ai margini della società ne pagano ilprezzo.»

Contro lo strapotere delle oligarchie, Bergoglio mostradi approvare le proteste di massa. Se da un lato il papadice di incoraggiare «un dialogo sincero e aperto tra partiche sono all’interno di ogni stato che possiede arminucleari, fra vari stati che hanno armi nucleari, e fra questie gli stati sprovvisti di armi nucleari», dall’altro chiedeche questo dialogo sia «inclusivo, coinvolgendo leorganizzazioni internazionali, le comunità religiose e lasocietà civile; esso deve essere orientato verso il benecomune e non verso la protezione di interessi particolari».

Lo scopo non è quello di ridurre e regolamentare laproliferazione delle bombe atomiche. L’obiettivo è che letestate «vengano vietate una volta per tutte». Per dirla inpoche parole: «È mia viva speranza che taleresponsabilità plasmi i nostri sforzi a favore del disarmonucleare, poiché un mondo senza armi nucleari è davveropossibile».

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Seconda Parte

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BATTAGLIE DIPLOMATICHE

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5

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UNA SVOLTA CLAMOROSA NELLA CRISIIRANIANA

Spezzare il circolo vizioso delle armi nucleari. Allarmi emontature al Palazzo di Vetro. Una delegazione di donneiraniane alla Santa Sede: «Camminare insieme». Trattative sulfilo del rasoio. «Un passo definitivo verso un mondo più sicuroe fraterno.»

Quello della armi atomiche è uno dei temi spinosisollevati da papa Francesco a cadenza regolare. Laproliferazione nucleare, ieri alimentata dalla paura di unattacco sovietico, oggi trae linfa dallo spauracchio dellacorsa all’atomica da parte di paesi come l’Iran. Spezzareil circolo vizioso non è facile. A meno di trovare ilcoraggio di dire la verità. Tutta la verità.

È quel che accade proprio sotto il pontificato diBergoglio, secondo una strategia diplomatica dai tempiperfettamente calibrati. Non appena l’ex nunzio inVenezuela monsignor Pietro Parolin si insedia allaSegreteria di stato vaticana (nell’ottobre 2013), gliemissari del papa nelle sedi ONU fanno capire di avere inmano elementi sufficienti per sostenere che l’Iran non si

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sta affatto avvicinando alla produzione della bombaatomica.

E dire che gli americani si fidavano di Parolin… «Unfunzionario esperto, affidabile, disposto a fareconcessioni» si leggeva in molti dispacci delleambasciate USA in Sudamerica. Si fidavano a tal punto daconsiderarlo uno dei loro. Errore.

Ma su quali informazioni può contare la Santa Sede?Facciamo un passo indietro. Nel settembre del 2012,

all’epoca in cui Bergoglio è ancora “soltanto”l’arcivescovo di Buenos Aires e pensa alle dimissioni perlimiti di età, il premier israeliano Benjamin Netanyahusale al Palazzo di Vetro per denunciare all’assembleagenerale delle Nazioni Unite la minaccia rappresentatadall’Iran. Teheran è a un passo dalla produzione di testatenucleari, sostiene l’irascibile “Bibi” squadernando ungrafico in cui sono indicati i preoccupanti progressidell’industria bellica della Repubblica islamica.

È lo stesso palco su cui, esattamente dieci anni prima,nel 2002, l’allora segretario di stato americano ColinPowell aveva mostrato al mondo un flacone contenente unagente patogeno, l’antrace, adoperato a suo dire daSaddam Hussein: un falso clamoroso che servì a dareavvio alla seconda e fallimentare guerra in Iraq. Quellacon cui si sarebbe sì tolto di mezzo il dittatore, ma

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gettando il paese e l’intera regione in un tragico caos i cuieffetti nefasti perdurano a tutt’oggi.

Come allora, anche nel settembre 2012 i leadermondiali sembrano accogliere senza obiezioni le tesi delpremier israeliano.

Ma con l’arrivo di Bergoglio in Vaticano e di Parolinalla Segreteria di stato le cose cambiano. Stop ai silenzi,si passa alla denuncia. A volte velata di prudenza, ma pursempre denuncia. Sceneggiate come quella di Netanyahunon passeranno inosservate. Neanche all’amministrazioneObama piacciono i modi sbrigativi del leader israeliano,ma gli USA non possono permettersi una crisi con TelAviv.

L’estenuante tiro alla fune va avanti per mesi, finché ilVaticano non lancia un segnale. Per gli addetti ai lavori èuna specie di messaggio in codice. L’11 luglio 2013monsignor Leo Boccardi, fino a quel momento osservatoredella Santa Sede in seno all’AIEA (Agenzia Internazionaleper l’Energia Atomica), l’agenzia dell’ONU per lapromozione dell’uso pacifico dell’energia nucleare, vienenominato nunzio in Iran. Una mossa a sorpresa chespariglia le carte e solleva i timori di chi sostiene la lineadura con Teheran.

E il 12 aprile 2014 le preoccupazioni inespresse diStati Uniti e Israele trovano un perché. In unadichiarazione per l’agenzia di stampa missionaria

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«AsiaNews», monsignor Boccardi afferma senza mezzitermini: «In tutta la documentazione dell’AIEA, nellecentinaia di ispezioni da essa fatte, non vi è una solaprova che l’Iran stia preparando una bomba nucleare».Ciò che prima si poteva soltanto evincere tra le righe, daquel momento diventa ufficiale: il Vaticano non crede alleader israeliano e non può permettere che, nel nomedell’indissolubile patto tra Israele e Stati Uniti,Washington accetti di aprire un fronte militare e proseguanelle sanzioni economiche contro un paese che non si staaffatto dotando della “bomba H”.

Sulla grande stampa nazionale e internazionale leaffermazioni di Boccardi non trovano lo spazio chemeriterebbero. Ma il nunzio sa di parlare “a buonintenditor”. Già, perché all’insaputa dell’opinionepubblica mondiale, da almeno due anni i servizi segretisudafricani (ottimi alleati di USA e Regno Unito eparticolarmente attivi in Medio Oriente) avevanocomunicato di non essere riusciti a raccogliere alcunaprova sulle testate balistiche iraniane e di aver addiritturasaputo da buone fonti che neanche gli 007 di Israeleavevano tra le mani alcuna evidenza.

Nell’ottobre del 2012, infatti, gli stessi servizi segretiisraeliani avevano concluso che l’Iran «non stavasvolgendo l’attività necessaria per la produzione di arminucleari». Un’affermazione che contraddice, come

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rivelano i documenti dell’intelligence sudafricanatrapelati grazie a un ex agente la cui identità restamisteriosa, quanto sostenuto da Netanyahu davantiall’assemblea dell’ONU un mese prima, cioè che all’Iranmancava solo un anno prima di riuscire a fabbricareun’arma atomica. Al contrario il Mossad, consideratoforse il miglior servizio segreto del mondo, sottolineavache fino a quel momento gli scienziati della Repubblicaislamica «stavano lavorando per chiudere le distanze inaree apparentemente legittime come l’arricchimento diuranio» per i reattori del nucleare civile.

L’ex capo degli 007 israeliani, il leggendario MeirDagan, “dimissionato” nel 2011, aveva già esposto inpubblico le proprie divergenze con il premier sullagravità della minaccia iraniana. Minaccia ridimensionataesplicitamente anche da un altro ex capo del Mossad,Efraim Halevy.

Non è dato sapere se in Vaticano dispongano di questeinformazioni, ma di sicuro monsignor Boccardi non sisbaglia.

Dopo la Siria, dunque, ancora una volta la diplomaziadi Bergoglio contribuisce a evitare che intorno ai confiniiraniani la situazione precipiti e a sbarrare la strada a unnuovo, devastante conflitto armato. Il bluff di Netanyahufallisce. Anche se la verità non impedirà al premierconservatore di farsi rieleggere nel marzo 2015.

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Ma, prima ancora che trapelino le note riservate degli007 sudafricani, papa Francesco interviene nuovamentesull’argomento in occasione della già citata Conferenzainternazionale sull’impatto umanitario delle armi nuclearisvoltasi a Vienna nel dicembre 2014. All’incontropartecipano 157 paesi e sono presenti per la prima voltapotenze nucleari come gli Stati Uniti o la Gran Bretagnache non avevano mai aderito alle conferenze precedenti.

Il pontefice vorrebbe si archiviasse una pagina distoria aperta da settant’anni. È da allora che si parla di“deterrenza nucleare”. Un’espressione solo in apparenzarassicurante, che nasconde un gioco di strategie d’attaccoe contrattacco nucleare messe in campo per scoraggiareogni aggressione. Una specie di risiko condotto con leleggi della giungla: si gonfia il petto per far desisterel’avversario. Una corsa agli armamenti iniziata nelsecondo dopoguerra, dopo che nel 1945 gli USA avevanosganciato la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Le armi nucleari, già entrate in scena come strumentodissuasivo nel 1948 durante il blocco di Berlino (quandogli USA attivarono in Gran Bretagna una base aerea cherendeva loro possibile colpire il territorio sovietico),divennero presto il principale strumento della strategiadell’amministrazione Truman. Nel 1949 anche l’URSS

sperimentò un proprio ordigno nucleare, seguita da GranBretagna (1952), Francia (1960) e Cina (1964). Nel 1953

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il nuovo presidente americano Eisenhower varava lateoria della “rappresaglia massiccia” in caso di attacco. Ilseguito naturale fu la teoria chiamata Mutual AssuredDestruction (MAD), letteralmente “distruzione mutuaassicurata”, anche se l’acronimo forma una parola ingleseche ne riassume in modo inquietante il significatoprofondo: “pazzo”. Una dottrina geopolitica secondo laquale in caso di attacco la reazione non sarebbe statauguale e contraria, ma appunto una “rappresagliamassiccia” che avrebbe riportato l’umanità, per dirla conAlbert Einstein, all’età della pietra.

Per limitare l’aumento delle potenze nucleari e degliarsenali esistenti furono conclusi vari accordi, dal trattatoper il divieto parziale degli esperimenti atomici (1963) altrattato di non-proliferazione (Helsinki 1969), fino agliaccordi SALT I (1972) e SALT II (1974, 1979). Quando ladeterrenza stava per lasciare il posto alla distensione,negli anni Ottanta l’installazione degli “euromissili” daparte degli USA e il progetto di scudo spaziale promossoda Ronald Reagan provocarono una nuova corsa agliarmamenti. Solo nel 1991 il trattato START I, firmato dalpresidente sovietico Michail Gorbačëv e dal presidentestatunitense George Bush, seguito poi dallo START II

(1993), pose fine a questa fase e alla stessa GuerraFredda.

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Basare le relazioni internazionali sulla minaccianucleare è un po’ come sedersi a trattare unacompravendita avendo una pistola puntata alla tempia: piùo meno le cose vanno così dal dopoguerra. Ebbene, laproposta di Bergoglio suggerisce un capovolgimentoradicale delle priorità e del modo di intendere i rapportigeopolitici: «Il desiderio di pace, di sicurezza e distabilità è uno dei desideri più profondi del cuore umano,poiché esso è radicato nel Creatore, che fa membri dellafamiglia umana tutti i popoli. Tale aspirazione non puòmai essere soddisfatta soltanto da mezzi militari, e menoche mai dal possesso di armi nucleari ed altre armi didistruzione di massa. La pace non “può ridursi unicamentea rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa nonè effetto di una dispotica dominazione” (Gaudium et spes,78). La pace deve essere costruita sulla giustizia, sullosviluppo socio-economico, sulla libertà, sul rispetto deidiritti umani fondamentali, sulla partecipazione di tuttiagli affari pubblici e sulla costruzione di fiducia fra ipopoli».

«È nostra responsabilità prendere azioni concrete chepromuovano la pace e la sicurezza, rimanendo, però,sempre attenti al limite costituito da approcci a brevetermine a problemi di sicurezza nazionale edinternazionale» si legge a un certo punto nel messaggio di

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papa Francesco alla conferenza di Ginevra. «Dobbiamoessere profondamente impegnati nel rafforzare la fiduciareciproca, poiché solo mediante tale fiducia si puòstabilire una pace vera e duratura fra le nazioni.»

È un passaggio significativo, perché nasce proprio daquesto tipo di visione e di impegno la parola d’ordine cheverrà adottata nel corso dei negoziati per il nucleareiraniano.

Formalmente la Santa Sede non è presente a Losannadove si svolgono i round tra i delegati dei paesi coinvolti.Ma le pedine mosse dal Vaticano vanno nella direzioneattesa. «Fiducia reciproca» è una definizione cheripeteranno coralmente, quasi senza accorgersene, i leaderislamici iraniani, gli inviati di Putin e i negoziatori diObama.

Le sei potenze – USA, Gran Bretagna, Francia,Germania, Russia e Cina (il cosiddetto “gruppo 5+1”) –puntano a evitare che l’Iran possa essere in grado disviluppare armi atomiche, offrendo in cambio unallentamento delle sanzioni internazionali che ne stannodanneggiando l’economia. L’Iran sostiene che il suoprogramma nucleare è pacifico, ma, soprattutto durante lapresidenza di Mahmud Ahmadinejad, non ha fatto nullaper cancellare i sospetti del mondo; anzi ha rivendicato ildiritto alla bomba atomica, frenato le visite dell’AIEA,minacciato Israele, negato l’Olocausto.

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Già nel 2006, per la verità, un rapporto della CIA

rivelava che il programma nucleare iraniano non era ingrado di sviluppare armamenti; eppure l’amministrazioneBush si era ostinata a costruire un’alleanza militare anti-iraniana. Fortunatamente il capo dell’agenzia ONU per ilnucleare, l’egiziano Mohamed ElBaradei, riuscì a otteneredal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ildossier tornasse nelle mani dell’AIEA, autorizzata acontrollare i siti iraniani senza subire pressioni politiche.Da quel momento, tuttavia, la situazione è entrata in unafase di sostanziale stallo, salvo il già menzionato tentativoisraeliano di far salire la tensione con il controversointervento di Netanyahu al Palazzo di Vetro nel 2012.

Cosa può fare, dunque, il piccolo stato vaticano persbloccare il negoziato? La diplomazia della persuasionerichiede innanzitutto la conoscenza approfonditadell’interlocutore. Anche nel Palazzo apostolico, dunque,c’è chi punta su John Kerry, il segretario di statoamericano, che con l’Iran ha una certa familiarità:potrebbe essere lui l’uomo giusto per ridimensionare leambizioni americane, contenere le pressioni di Israele earrivare a un accordo. In effetti, con un genero iraniano euna sorella che prima della rivoluzione islamica studiavain Iran, Kerry potrebbe essere considerato più credibile dialtri proprio dalla controparte iraniana.

Per favorire un clima di fiducia nel corso del

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negoziato, la diplomazia vaticana deve innanzituttorilanciare le relazioni con Teheran, anche per fugare leombre e i dubbi suscitati dalla divulgazione di alcunetrascrizioni dei servizi segreti statunitensi in cuicompariva il nome di Paolo Conversi, docenteall’Università Gregoriana, uno degli esperti coinvolti dalVaticano sulla questione nucleare. Stando alla CIA,Conversi concorda con gli USA nel ritenere «che l’Irannon abbia avuto una reazione costruttiva alle condizioniposte dal governo statunitense e dall’Agenziainternazionale per l’energia atomica».

Il Vaticano (che ha aderito all’AIEA fin dal 1957) «sioppone alla proliferazione nucleare ed è favorevole anegoziati diplomatici con l’Iran». Inoltre il professoredella Gregoriana avrebbe arguito che l’Iran «potrebbeavere bisogno di più tempo per assimilare e risponderealle “recenti” offerte del governo degli Stati Uniti di unimpegno bilaterale». Nel medesimo cablogramma vieneriassunta anche una conversazione con monsignor AlbertoOrtega Martìn, spagnolo, vicino a Comunione eLiberazione ed esperto di Medio Oriente. Ortega Martìn,riferiscono gli agenti CIA, sostiene che Teheran sta«temporeggiando» e attribuisce questa tattica dilatoria«alle divisioni interne all’Iran tra le istituzioni politiche equelle religiose».

Volendo riassumere le posizioni espresse da Conversi

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e Ortega Martìn, si direbbe che la Santa Sede sia contrariaa una escalation anti-iraniana. Pur serbando qualchediffidenza, dalla sede apostolica trapela la volontà diconcedere qualche altra chance al governo dellaRepubblica islamica, confidando nelle sue buoneintenzioni. Vigilare ma concedere tempo, dunque.

Gli USA, invece, giungono a una conclusione opposta:«Nonostante in generale il Vaticano si opponga allesanzioni economiche (per gli effetti che hanno sullapopolazione), Conversi e Ortega non hanno sollevatoobiezioni a nessuno dei punti della protesta diplomatica.Ciò indica che il Vaticano concorda che la prossimamossa tocchi all’Iran e implicitamente riconosce che sialegittimo aumentare le pressioni su Teheran».

È questo il primo nodo da sciogliere, per il duoBergoglio-Parolin. Dopo una serie di contatti riservati eun intenso lavorio diplomatico dietro le quinte, finalmenteTeheran esce allo scoperto. Il 12 febbraio 2015, per laprima volta dai tempi dell’impero persiano, unadelegazione iraniana di sole donne si reca a Roma. Aguidarla è la vicepresidente Shahindokht Molaverdi, checon Bergoglio parla dei «valori tradizionali dellafamiglia», del ruolo delle donne, di un «impegno comune»contro le cause dell’aborto, ma anche contro i metodiprocreativi artificiali e gli uteri in affitto. «Camminareinsieme è più efficace che andare da soli. La difesa della

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famiglia rappresenta una sfida globale»: così commentaMolaverdi al termine del faccia a faccia.

Le relazioni diplomatiche tra Iran e Santa Sederisalgono al 1954 e, pur con alti e bassi, i contatti nonsono mai stati interrotti. «Quando funzionari vaticani eiraniani siedono uno davanti all’altro, parlano unlinguaggio comune plasmato da concetti spirituali eteologici» osserva John Allen Jr., il più autorevolevaticanista statunitense. A tal punto che Molaverdi, in uncolloquio con l’arcivescovo Vincenzo Paglia, consiglierespirituale della Comunità di Sant’Egidio (la cosiddetta“ONU del Vaticano”) e presidente del Pontificio consiglioper la famiglia, chiede se una delegazione iraniana puòpartecipare al Sinodo per la famiglia in programma aPhiladelphia nel settembre 2015. È più di un disgelo nellerelazioni bilaterali. Perché, alla vigilia del sinodo,Bergoglio incontrerà il presidente Obama e – come si èdetto in precedenza – verrà ricevuto, primo papa nellastoria, dal Congresso degli Stati Uniti.

Secondo John Allen, da pietra d’inciampo Bergogliopotrebbe divenire una risorsa per Barack Obama: «IlVaticano potrebbe diventare l’istituzione globale diriferimento per ricostruire la fiducia tra l’Iran el’Occidente. Tanto più che l’Iran è una societàpervasivamente religiosa la cui autorità ultima è unchierico, e per arrivare al cuore delle cose si deve essere

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in grado di dialogare non solo in termini di realpolitik, maanche di motivazioni spirituali. Nessuno statistaoccidentale potrebbe farlo risultando credibile. Ma ilVaticano può riuscirci».

L’incontro tra Bergoglio e Molaverdi ne è la prova. Inrealtà, nel corso dell’udienza vengono passati in rassegnamolti temi, dalla violenza terroristica alle trattative per ilnucleare iraniano, come viene fatto trapelare senza alcundettaglio aggiuntivo. Il segnale è chiaro. Se il papa vuoleparlarne con un esponente di Teheran, e desidera che sisappia, non è casuale. E se l’Iran mostra di non tirarsiindietro, acconsentendo a un incontro in Vaticano, affidatoperaltro a una donna, Francesco dal canto suo lascia chesia proprio lei a rivelare l’opinione della Santa Sede:stando a quanto dichiarato dalla vicepresidente iranianaMolaverdi, il papa «ha auspicato un accordo che tuteli erispetti gli interessi di tutte le parti». Parole a cui non èseguita alcuna smentita né precisazione.

Ma il messaggio in assoluto più forte arriva proprio altermine della breve conferenza stampa di Molaverdi. Solopochissimi colgono la rivoluzione in corso. Di certo locomprendono appieno gli osservatori dalle antenne piùsensibili e gli analisti dei governi coinvolti nella trattativaper la normalizzazione delle relazioni con la Repubblicaislamica. Un reporter domanda a Molaverdi se auspica unintervento di papa Francesco, così come avvenuto tra USA

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e Cuba. L’esponente di Teheran non sembra sorpresa dalladomanda: «Spero che tutto vada a buon fine» risponde.Non senza aggiungere: «Così non disturbiamo ilpontefice».

È un messaggio di svolta, carico di significati politici eculturali. Denota la disponibilità degli ayatollah adaffidarsi alla mediazione del capo dei cristiani,confermando la fiducia di cui ormai gode il ponteficeargentino, a cui l’Iran riconosce un’autorevolezza chefarebbe della Santa Sede una zona franca nella quale ci sipuò sentire più al sicuro che negli uffici delle NazioniUnite.

Meno di due mesi dopo, l’accordo arriva. Quasi dueanni di trattative, fra concessioni, battute d’arresto ecambi di posizione, che hanno portato a un’intesa storica.Dalla lettera del presidente americano alla GuidaSuprema Ali Khamenei al faccia a faccia di otto ore fra ilsegretario di stato John Kerry e il suo omologo iranianoMohammad Javad Zarif. Dal mancato rispettodell’ennesima scadenza, fissata per il 31 marzo 2014,all’ultimo incontro di mercoledì 1° aprile 2015 sullaricerca e lo sviluppo del nucleare iraniano, fino all’intesaraggiunta alle 6 del mattino di giovedì 2 aprile.

Ripercorriamo brevemente le tappe di questidiciannove mesi di estenuanti trattative intercorse fraWashington e Teheran. L’amministrazione Obama inizia a

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trattare con l’Iran nel settembre 2013: all’epoca Obamaspera ancora di smantellare la maggior partedell’infrastruttura nucleare iraniana. Obiettivo che, lo sicapisce subito, è fuori portata. Da qui la decisione dellaCasa Bianca di perseguire un accordo meno ambizioso. El’avvio delle trattative vere, con molte concessioniamericane e passi importanti compiuti dall’Iran.

Passate senza esito le due scadenze fissate per il 2014,nell’ottobre dello stesso anno Obama scrive una letterasegreta ad Ali Khamenei, spiegando che Washington eTeheran potrebbero cooperare nel combattere l’Isis se unaccordo sul nucleare fosse raggiunto. Quindi, all’inizio dinovembre, il team di negoziatori USA trasmette a quello diZarif un documento di otto pagine che, a suo avviso,propone la flessibilità necessaria per risolvere gli aspettitecnici della disputa sul nucleare.

Nel frattempo, l’attività diplomatica della Santa Sedenon si ferma. Volendo imprimere un’accelerazione alprocesso di stabilizzazione della regione, e marcando unacerta discontinuità con l’atteggiamento di una parte delladiplomazia pontificia all’epoca del pontificato diBenedetto XVI, Bergoglio convoca attraverso la PontificiaAccademia delle Scienze Sociali un vertice internazionalesulla Siria, alla vigilia del round negoziale denominatoGinevra II e programmato per il 22 gennaio 2014. Con

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studiato tempismo, il 13 gennaio l’accademia dirama uncomunicato firmato da quaranta personalità: scienziati,filosofi, sociologi, ecclesiastici e alcuni diplomaticiprovenienti da paesi come Francia, Russia, Argentina.Durante il workshop, il gruppo di esperti elabora unaserie di richieste da sottoporre ai negoziatori, ribadendopiù volte che quanto accade in Siria è frutto dellaprecarietà dell’intero quadrante mediorientale e che, senon si ripristinano relazioni di fiducia con l’Iran, non sipotrà mai parlare di stabilità. Tra i delegati spicca unnome: Mohamed ElBaradei, l’ex capo dell’agenzia ONU

per il nucleare.A pochi giorni dal nuovo summit ginevrino, papa

Bergoglio vuole inviare un segnale. Non il solitocomunicato benaugurante, ma un messaggio chiaro alleparti in causa. Occorre dimostrare che la Santa Sedeconosce la verità. Al termine del meeting, all’interno dellaMura Leonine viene emessa una nota. A sorpresa vienededicato un passaggio rilevante alla situazione in Iran: «Èparticolarmente degno di nota il recente accordo tra l’Irane i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più laGermania per raggiungere un consenso sul programmanucleare iraniano. Questo accordo interinale dà al mondola grande speranza che il periodo prolungato di gravesfiducia tra l’Iran e altre nazioni della regione e oltre

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possa ora essere seguito da una nuova era di fiducia epersino di cooperazione».

Quella che si gioca è però una partita più grande. AllaCasina Pio IV, sede della Pontificia Accademia delleScienze Sociali, non lo nascondono. «Il successo diquesto nuovo accordo potrebbe inoltre fornire la baseessenziale per una pace duratura in Siria, cosa cheavverrebbe anche nel caso di un passo avanti nei negoziatidi pace israelo-palestinesi in corso, facilitati dagli StatiUniti.»

Restare al condizionale è comunque buona norma,quando di mezzo ci sono paesi recalcitranti a intesedurature.

Il comunicato finale, in inglese e in italiano, arriva sultavolo di John Kerry. Il capo della diplomazia statunitensenota che tra i firmatari figura Mary Ann Glendon, exambasciatore USA presso la Santa Sede e personalegatissima a Giovanni Paolo II, che rompendo gli schemiabituali l’aveva inviata molti anni prima a rappresentare ilVaticano a una conferenza mondiale sulla donna indettadall’ONU.

Da quel momento, la Segreteria di stato vaticana vieneinformata degli sviluppi negoziali anche sull’Iran.

L’attesa svolta arriva nel gennaio 2015, quando l’Iranmanifesta la volontà di andare incontro alla richiestaamericana di non accumulare carburante nucleare in

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quantità sufficiente a costruire una bomba. Da quicomincia la corsa finale per l’intesa.

Per alcuni giorni il Vaticano tace. Nella comunitàinternazionale in molti si aspettano almeno un commento.Non importa che sia il papa a proferirlo, sarebbesufficiente una valutazione de «L’Osservatore Romano»(certo non ignaro della missione della Segreteria di stato)o della Radio Vaticana. Invece, silenzio assoluto. Passanole ore e dal Vaticano non trapela niente.

Tanti si domandano cosa pensi il papa. Forsel’ennesima uscita del capo del governo israelianocostringe la Santa Sede a tacere.

Il 2 aprile, poche ore dopo l’annuncio dell’intesa,Netanyahu si fa beffe delle migliori squadre di negoziatorisulla piazza: «Le potenze del 5+1 hanno ceduto ai dettamiiraniani e l’accordo condurrà solamente alla bombanucleare di Teheran». Nel contempo, Yuval Steinitz, il suoministro dell’intelligence, assicura che tra le possibiliopzioni quella militare resta sul tavolo se «non avremoaltra scelta»: dichiarazione, questa, fatta seguire pocheore dopo da una chiosa più conciliante. Un accordo finaletra il gruppo 5+1 e Teheran dovrebbe prevedere, secondoIsraele, un blocco delle attività di ricerca e di sviluppodelle centrifughe di nuova generazione, oltre a unariduzione del numero delle centrifughe esistenti e allachiusura dell’impianto sotterraneo di Fordow, vicino a

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Teheran: «Se queste condizioni saranno accettate non sipotrà certo parlare di un buon accordo, ma sarà unaccordo certamente più ragionevole».

Il negoziato di Losanna si svolge come una partita ascacchi su più tavoli, ma giocata sempre dagli stessiscacchisti. Con una mano si tenta di riconquistare lafiducia dei negoziatori, con l’altra si assestano colpi sualtri fronti. E quasi mai si tratta di iniziative pacifiche. Seda una parte le sanzioni economiche sono ormai diventateun’arma di “diplomazia coercitiva”, dall’altra le armitradizionali rivestono un ruolo ancora decisivo. Il 3 aprile2015, un giorno dopo l’annuncio di Losanna, propriomentre si stanno perfezionando i dettagli dell’accordo sulnucleare, dagli USA arriva una notizia che sembra l’esattocontrario di quanto gli Stati Uniti chiedono all’Iran. IlPentagono ha rivisto e testato la più micidiale bombabunker buster dell’arsenale americano. Si tratta di unordigno – uno dei più potenti mai progettati e realizzati –in grado di distruggere anche il più protetto impiantonucleare iraniano, nel malaugurato caso in cui l’intesa diLosanna andasse a monte. Una mossa che per un verso halo scopo di tranquillizzare Israele e per l’altro serve afare pressione su Teheran perché non si tiri indietro.

In Vaticano questi sviluppi non soprendono idiplomatici più navigati. «È il solito gioco: si chiede adaltri di fare ciò che non si è disposti a fare in casa

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propria» commenta uno dei nunzi con maggiore esperienzain Medio Oriente. Anche perché, se l’atomica resta unaminaccia, i contratti commerciali non sono da meno.«Usare l’atomica non conviene a nessuno» osserva ancorail monsignore dall’accento francese e dai modi spicci. «Èsolo un modo per fare la voce grossa, come i gorilla chemostrano il petto per esibire la propria forza e dissuaderegli avversari. Quello che conta, piaccia o no, sono idollari, i rubli o lo yuan… ma sempre meno l’euro.L’intesa preliminare siglata tra Teheran e il sestetto dinegoziatori internazionale sul programma nucleare aprenuove prospettive di collaborazione economica tra laRussia e l’Iran, soprattutto dopo la prevista revoca dellesanzioni.»

Il nunzio ha ragione. Poco dopo, Mosca farà sapere chele case automobilistiche Avtovaz, Gaz e Kamaz stannonegoziando per avviare l’assemblaggio di veicoli russi inIran. Bisognerà poi rinnovare i reattori nucleari ecostruirne di nuovi, per scopi civili.

Il sigillo di Bergoglio arriva a sorpresa durante ilmessaggio pasquale Urbi et orbi 2015. Una circostanzanella quale solitamente i pontefici trattano vari temiinternazionali senza scendere in dettagli diplomatici. Alcontrario, Francesco esce allo scoperto: «Con speranzaaffidiamo al Signore che è tanto misericordioso l’intesa

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raggiunta in questi giorni a Losanna, affinché sia un passodefinitivo verso un mondo più sicuro e fraterno».

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CUBA, CAPOLAVORO DIPLOMATICO

Il “folle” progetto di Francesco. I timori di Washington: il papaè antiamericano? La diplomazia silenziosa dei “piccoli passi”che sconfigge l’odio reciproco. Il compleanno di Bergoglio euno storico annuncio. «Todos somos americanos!»

Papa Francesco aveva un progetto che molti nonavrebbero esitato a definire folle, impraticabile,donchisciottesco. Riavvicinare Stati Uniti e Cuba,nientemeno. Bello a dirsi, ma come, in concreto, sarebbestato possibile portare la pace e il disgelo tra due nemiciacerrimi, divisi da un odio ideologico lungo più dicinquant’anni?

Sulla carta, in effetti, il piano di Bergoglio non avevaalcuna probabilità di riuscita. Non si trattava solo dirimettere intorno allo stesso tavolo gli uomini di FidelCastro e quelli della Casa Bianca: ottenere un accordoavrebbe significato cambiare per sempre il lessico nellerelazioni diplomatiche tra Washington e il resto delleAmeriche. Da Simón Bolívar a Che Guevara, passandoper Castro e Chávez, per i sudamericani riuscire a trattarecon gli USA da pari a pari è sempre stata una missionesuicida, prima ancora che impossibile. Nessun leader,

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nessun paese ne è mai uscito indenne. Golpe pianificatidalla CIA, restrizioni economiche, omicidi politici,intrighi, gruppi paramilitari foraggiati dal Dipartimento distato. La storia dell’America Latina è intrisa di misteri edi sangue versato.

Eppure, con slancio profetico, gesuitica abilità e quella«sana incoscienza» da lui talvolta evocata, papaFrancesco si è gettato nella mischia. Come sempre, amodo suo.

Innanzitutto bisognava vincere una certa diffidenzanordamericana nei suoi confronti. Non solo per leintenzioni più o meno apertamente espresse dalsuccessore di Pietro, ma anche per le sue idee sui rapportidi forza tra Stati Uniti e America Latina.

Ci sono voluti incontri segreti in Vaticano, organizzaticonfidando nel silenzio delle autorità italiane, sul cuisuolo sono obbligati a transitare i messi direttiOltretevere. E poi lettere vergate personalmente dalpontefice e dirette ai leader coinvolti. Una diplomaziagarbata e ostinata che ha saputo districarsi tra realismo eideali, aspirazioni teoriche e interessi concreti.

Ma cos’era cambiato dall’epoca in cui gli Stati Unitiguardavano a Cuba come al nemico geograficamente piùvicino e Cuba diffidava dell’ostinata equidistanza e

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neutralità della Santa Sede? Per rispondere bisognacominciare da lontano.

Il nervosismo americano per quella che gli USA, speciesotto George W. Bush, consideravano come un’ingerenzadel Vaticano nelle relazioni con L’Avana ha rischiato piùvolte di raggiungere il punto di non ritorno. Bergoglio nonera ancora papa, ma alcune sue posizioni ritenuteantiamericane non erano state gradite da Washington, cheda mezzo secolo monitorava qualsiasi dibattito interno edesterno sul caso Cuba. L’opinione del cardinale di BuenosAires era ritenuta minoritaria ma, quando le quotazioni delgesuita sono tornate a salire, al Dipartimento di statohanno cominciato a drizzare le antenne.

Gli USA ritengono strategica la diplomazia della SantaSede. Ma la Segreteria di stato vaticana non rinunciafacilmente alla propria terzietà. Un atteggiamento che neisecoli ha consolidato la posizione del Vaticano, fornendonon poche preoccupazioni a chi invece vorrebbe dirigereda solo l’orchestra. Con Bergoglio al soglio di Pietro eParolin a capo della diplomazia pontificia, questaattitudine si è fatta ancora più marcata.

Per comprendere quanto la Casa Bianca tenga alleopinioni della sede apostolica, è sufficiente leggere eanalizzare una nota riservata del 21 gennaio 2010 (ovverotre anni prima dell’elezione di Francesco), che riassumeuna serie di incontri con esponenti della curia romana:

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«L’uomo di riferimento del Vaticano per Cuba, monsignorAccattino [che da Washington ha seguito fino al 2011 idossier di alcuni paesi quali Cuba e Salvador, N.d.A.],appoggia il dialogo dell’Unione Europea con Cuba, e hadetto che gli Stati Uniti dovrebbero astenersi dall’adottaremisure unilaterali contro Cuba che fanno soltanto il giocodei Castro – o di Chávez [il leader venezuelano decedutonel 2013, N.d.A.] –, soprattutto per quanto riguardadecisioni quali l’identificazione dei cubani come cittadiniche destano particolare preoccupazione nel trasportoaereo». E ancora: «Il Vaticano teme che la disastrosacondizione economica dell’isola e la situazione politicapossano sfociare in uno spargimento di sangue». In unaltro incontro, un funzionario della Santa Sederaccomanda che gli Stati Uniti «facciano tutto il possibileper garantire tariffe telefoniche a basso costo per i cubaniche chiamano in America».

Il quadro di riferimento è chiaro: al Vaticano non piacela rigida politica di embargo economico con cui gli StatiUniti asfissiano Cuba da mezzo secolo, un modo diprocedere che peraltro, se da una parte ha fortementepenalizzato la popolazione, dall’altra non ha impedito aFidel Castro di invecchiare sul trono e cedere poi loscettro al quasi ottantenne fratello Raúl.

Il 70 per cento circa dei cubani è nato sotto l’embargo,ma ormai solo una piccola percentuale crede davvero

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all’idea di “isola assediata” su cui si fonda la politicacubana. Per esempio, solo l’8 per cento della popolazioneè convinto che i cronici problemi infrastrutturali nelletelecomunicazioni e nell’accesso a internet siano dovutiagli effetti del blocco. Si calcola nondimeno che, incinquant’anni, le sanzioni imposte dalle amministrazioniKennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush Sr.,Clinton, Bush Jr. e Obama abbiano causato a Cuba perditesuperiori ai 104 miliardi di dollari: abbastanza persfamare l’isola per una decina d’anni. Tra il maggio 2009e l’aprile 2010 si sono registrate perdite che hannosfiorato i 15,2 milioni di dollari solo nel settore dellasanità.

All’epoca del cablogramma, Jorge Mario Bergoglioera ben lontano dall’immaginare il suo futuro da papaFrancesco. Ma questo non impediva agli USA dipreoccuparsi: il fatto che alcuni esponenti della Chiesacattolica sudamericana, pur senza manifestare simpatiesocialiste, avessero espresso dissenso nei confronti dellepolitiche nordamericane nei confronti della recalcitranteisola caraibica era già di per sé inquietante.

Le orecchie sempre ben aperte dell’intelligence USA

non si fanno sfuggire un solo fremito che possa in qualchemodo disturbare l’influenza di Washington sull’AmericaLatina. Specialmente dopo la storica visita di Giovanni

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Paolo II a Cuba, dal 21 al 26 gennaio 1998. Perl’occasione, anche il sessantaduenne gesuita Bergoglio,all’epoca arcivescovo coadiutore di Buenos Aires, avevarichiesto il visto delle autorità cubane. Eppure, durante igiorni di Wojtyla nei Caraibi, nessuno vide padre Jorge.Per ragioni mai spiegate, il futuro papa non raggiunseL’Avana.

Tuttavia l’arcivescovo argentino seguì ogni istante diquel viaggio, raccogliendo opinioni, commenti,informazioni da testimoni diretti e da osservatorilatinoamericani. Fu in quel frangente che fondò a BuenosAires il Gruppo di riflessione Centesimus Annus, animatodalla volontà di analizzare i rapporti tra Chiesa ecastrismo alla luce dell’omonima enciclica di papaWojtyla.

La Centesimus Annus era stata promulgata da GiovanniPaolo II nel 1991, a cento anni dall’enciclica RerumNovarum, che è tuttora considerata il testo di riferimento,se non addirittura fondativo, della moderna dottrinasociale della Chiesa cattolica. Diversi erano i puntichiave del testo redatto da Wojtyla. Si analizzavano lecontraddizioni sia delle economie socialiste sia di quelledi mercato. Alla luce di ciò, il papa chiedeva lacancellazione del debito che schiacciava i paesi poveri:un obiettivo parzialmente centrato durante il Giubileo del2000. Ma, per il papa polacco, queste decisioni non

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potevano prescindere dal ravvedimento negli stili di vita edall’eliminazione degli sprechi tipici delle nazioni ricche,che avrebbero dovuto rimettere in cima ai propri pensierila promozione e la difesa della persona umana attraversoefficaci politiche sociali. L’ambizione a una pacificaconvivenza, secondo Giovanni Paolo II, necessitava dialcune scelte pratiche e urgenti: creare istituzioni per ilcontrollo delle armi e avviare un processo per il disarmosu scala globale.

Tutte queste cose Bergoglio le conosceva e lecondivideva, ma intendeva conferire loro una rilevanzapubblica, firmando in prima persona una raccolta diriflessioni scaturite dai lavori del gruppo da lui fondato ediretto. Ne scaturì un piccolo libro audace, oggi pressochéintrovabile: Diálogos entre Juan Pablo II y Fidel Castro.

Il testo prende le mosse dalle parole pronunciate daGiovanni Paolo II a Cuba, compresi i saluti e i discorsifuori dal protocollo. Fin dal titolo si intuisce la tesi diBergoglio: il dialogo è necessario e possibile, senza diesso non ci possono essere svolte, ma grazie ad esso ifrutti arriveranno.

«Al tempo stesso Bergoglio difende con fermezza lamissione e il ruolo della Chiesa cattolica in Cubaricordando non solo le sue molte sofferenze maevidenziando quanto questa Chiesa può dare al suo popoloe alla nazione cubana dov’è pellegrina per volere di

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Cristo» osserva Luis Badilla, giornalista latinoamericanoin forza a Radio Vaticana e ritenuto tra i meglio informatisulla strategia di Francesco per l’America del Sud. Nelsuo blog, Il Sismografo, Badilla analizza e rilancia ognigiorno una miriade di informazioni in svariate lingue. Unaminiera a cui spesso attinge anche la diplomaziapontificia.

Come riassume Badilla, nel volumetto firmato da padreBergoglio appena dopo il viaggio apostolico del ’98 «sileggono critiche ad alcuni aspetti importanti dellarivoluzione cubana e al sistema socialista, in particolare atutto ciò che per scelta ideologica, programma politico odisposizione amministrativa ostacola “la dignitàtrascendente della persona umana”. Vi sono anche […]dure critiche all’embargo e all’isolamento economico cheWashington impone all’isola, critiche che si concludonocon un incoraggiamento a lottare per rimuovere questasituazione che causa solo danno al popolo, in particolareai più deboli».

Secondo Luis Badilla, la lezione tratta dal futuropontefice è perentoria: «Nelle loro diversità GiovanniPaolo II e Fidel Castro si sono incontrati, hanno parlato, sisono ascoltati reciprocamente con affetto e rispetto, hannoaperto un dialogo, l’unica via vera e duratura per vivereinsieme in armonia e collaborazione, anche quando visono tra le parti opinioni o punti di vista differenti. In altre

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parole, Jorge Mario Bergoglio già allora la pensava comeoggi. A Buenos Aires il suo pensiero e la sua analisi eranoun auspicio. Ora, in Vaticano, l’auspicio è diventatoesortazione e azione diplomatica».

Non appena il gesuita argentino diventa papa, scatta lacaccia a quel breve saggio, che l’editore di allora non è ingrado di ristampare e che su internet viene vendutoall’asta a prezzi perfino superiori ai mille dollari.

«Gli americani, e non solo loro, lo avevano letto moltianni prima e in un paio di circostanze mi chiesero cosa nepensassi» mi confida un vecchio amico, un diplomaticooccidentale di grande scuola, sopravvissuto a governi eideologie, a dittature e congiure. Un uomo alla cuisaggezza attingono capi di stato e negoziatori. Volendorestare anonimo, preferisce farsi chiamare “Dionisio”,come l’antico tiranno di Siracusa che, secondo latradizione, aveva fatto scavare un cunicolo in cima allagrotta che usava come carcere perché il carceriere potesseorigliare le conversazioni dei prigionieri.

Da quelle parti, Dionisio c’è stato molte volte inmissione. Ricorda con una certa nostalgia i suoi frequenticontatti con emissari del governo cubani. «Al ministerofacevamo a gara per ottenere qualche incarico da sbrigareall’Avana. Dai barbudos non ottenevi quasi niente, masapevano come compiacere noi giovani diplomatici

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europei» dice con il tono malinconico di un ballerinooramai troppo vecchio per un altro tango.

Appena dopo l’elezione del pontefice, quel testo èrispuntato fuori improvvisamente, come succede a voltecon i reperti giudiziari, conferma una fonte diplomaticaUSA a Roma: «Dal Dipartimento volevano sapere se papaFrancesco intendeva dare seguito a quei propositi o se eraintenzionato a occuparsi della curia rimandando nel tempoun suo intervento sui Castro. Volevano sapere e capire inche modo avrebbe potuto tentare di influire su Cuba esull’America Latina. Non volevano farsi prendere disorpresa e bisognava studiare in anticipo le variabili».

Sulle prime nessuno è riuscito a rispondere concertezza. Anche i contatti americani presso la Segreteriadi stato, dove il cardinale Parolin stava avviando unagarbata ma tenace ristrutturazione interna, non erano ingrado di fare previsioni.

In ogni caso, la lettura del saggio è risultata rivelatrice.«L’importanza e il valore del dialogo stanno nel fatto,appunto, che la sua pratica rende possibile giungere allaverità fondata nel Vangelo. Il dialogo si oppone almonologo e conduce lo spirito nella ricerca della verità»scriveva Bergoglio. Si tratta dunque di un documentostraordinario, perché di fatto già stabilisce le linee guidadel futuro pontefice nel suo ministero petrino: «Il papanon solo è un portavoce, una persona che trasmette la

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parola di Cristo, ma è anche colui che riceve la voce delmondo, della società umana. Il ruolo della Chiesa, inparticolare del Vicario di Cristo, è quello di liberare,dialogare e partecipare, per costruire comunione tra gliuomini e la Chiesa». Perciò «il dialogo, inteso comecanale di comunicazione tra la Chiesa e i popoli, diventauno strumento basilare per costruire la pace, promuoverela conversione e per creare fratellanza».

Precedendo gli esperti di affari internazionali, padreJorge Mario preconizzava il futuro. Come se la stretta dimano tra Karol e Fidel avesse segnato un punto di nonritorno: «Così nel dialogo tra assenti, tra Giovanni PaoloII e Fidel Castro, il papa ribadisce con fermezza la suarichiesta di libertà, dignità e democrazia per il popolocubano, mentre Fidel Castro mantiene in alto la bandieradell’uguaglianza di trattamento per Cuba nello scenariointernazionale nell’ambito anche delle relazionieconomiche. Pensiamo che il risultato di questo dialogo siè trasformato potenzialmente in realtà tangibili di frontealla volontà di voler concedere che ha dimostrato FidelCastro – per esempio con la liberazione di prigionieripolitici – e di fronte al desiderio papale di promuovere lafine delle barriere imposte a Cuba da parte deisuperpoteri».

Attenzione a quest’ultima parola. Il riferimento aisuperpoteri è un atto d’accusa che rimane scolpito. E

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come l’abbiano presa gli americani, che l’hanno rilettaalcuni mesi dopo l’elezione di Bergoglio, lo si puòfacilmente immaginare. Ma per l’allora arcivescovoargentino si trattava di una denuncia necessaria: «Laricerca della verità nel caso di Cuba non poteva essereportata a compimento, né poteva essere consacrata, senzaun approfondimento del dialogo tra i due discorsi: quellodi Fidel Castro e quello di Giovanni Paolo II. La missionedel papa e la recezione di Fidel convergono nellaimplementazione di nuove metodologie che si devonoapplicare nella trasformazione politica, da un lato, e inquella evangelizzatrice dall’altro».

A questo punto, il gruppo di osservatori guidato daBergoglio analizza i modi, il linguaggio, perfino il tonousato dai due pesi massimi del XX secolo: Giovanni PaoloII appare desideroso di ascoltare «la verità del popolocubano, del suo governo, della rivoluzione, della religionee dei rapporti tra stato e Chiesa». In questa dinamica,Castro e Wojtyla hanno parlato e si sono reciprocamenteascoltati. «E così si sono viste divergenze profonde e inaltri casi convergenze basilari.»

È a queste ultime che Bergoglio dà peso: «La Chiesa,intesa come struttura ecclesiale e come comunità di fedeli,«non agita bandiere ideologiche, non propone un nuovosistema economico e politico». Semmai, «attraverso laparola del pontefice, offre con la sua presenza, la sua

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voce e la sua missione un cammino per la pace, lagiustizia e la libertà vere».

Infine, il passaggio che più avrebbe preoccupato glianalisti di Washington: «Il popolo cubano deve esserecapace di capitalizzare la visita del papa. Non tutto saràcome prima dopo la sua partenza. Getterà radici il dialogotra la Chiesa e le istituzioni cubane e ciò si traducesempre in benessere per chi ne ha più bisogno: il popolo».Per raggiungere questo obiettivo, «il popolo cubano habisogno di vincere quest’isolamento e perciò GiovanniPaolo II esorta l’anima cristiana di Cuba, e la suavocazione universale, ad aprirsi al mondo e, al medesimotempo, chiama il mondo ad avvicinarsi a Cuba, al suopopolo, ai suoi figli, che sono senza dubbio la suaricchezza più grande».

La posizione è chiarissima. Nessuno sconto alsocialismo, che «ha commesso un errore antropologico,ritenendo l’uomo solo una parte del tessuto sociale,limitando l’importanza dell’essere umano alla suaposizione sociale».

E a chi vorrebbe una Chiesa che non ficchi il nasonegli affari politici, il cardinale di Buenos Aires rispondericordando «che il messaggio evangelico non si limitasolo alla sfera del culto, della pratica religiosa, e che èsua missione illuminare tutto l’uomo […] e ciascuna delleazioni umane». Per Cuba, dunque, come per altre nazioni,

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«occorrono piani per trasformare alcune istituzionipolitiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali oautoritari con governi democratici e partecipativi. Lalibera partecipazione dei cittadini nella gestione pubblica,la sicurezza del diritto, ormai sono requisiti imperativi,condizione necessaria per permettere lo sviluppodell’uomo, di tutti gli uomini».

Quando Bergoglio pubblicò queste riflessioni, nel1998, i primi segnali di distensione lasciavano presagireun lento cambiamento nei tempestosi rapporti tra il gigantestatunitense e la piccola roccaforte marxista. Tuttavia, dueanni dopo, l’arrivo di George W. Bush alla Casa Biancaparve mettere una pietra tombale su ogni speranza:secondo i neoconservatori, che ora avevano preso leredini degli Stati Uniti, nessuna concessione andava fattaai comunisti dell’Avana, che al contrario bisognavaasfissiare con un rigido embargo economico.

Del resto, l’antipatia reciproca tra Washington eL’Avana risale a ben prima della rivoluzione castrista. Inbase alla “dottrina Monroe”, dal nome del presidente cheil 2 dicembre 1823 formulò con un discorso scritto l’ideadella supremazia degli USA nel continente americano, gliStates si arrogano il diritto di intervenire militarmente perproteggere la democrazia a sud dei propri confini. In

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quello che a Washington, con una punta di arroganza,chiamano «il nostro cortile di casa».

L’Isla Grande dei Caraibi era di fatto al centro degliinteressi americani fin dalla fine dell’Ottocento, anche sele cose peggiorarono sensibilmente dopo il 1959. Vero èche, all’inizio, il trionfo dei barbudos non destò grandipreoccupazioni: il dittatore Fulgencio Batista era tropposanguinario anche agli occhi dell’opinione pubblica diWashington, mentre i ribelli – si pensava negli USA –avrebbero potuto essere ricondotti nell’alveo di unprogressismo filostatunitense. Ma era una convinzionedestinata a essere smentita molto presto. InizialmenteFidel Castro non voleva comprare armi dall’UnioneSovietica per non fare la fine del presidente delGuatemala, Jacobo Arbenz Guzmán che, dopo averneacquistate dalla Cecoslovacchia, nel 1954 vennespodestato con l’accusa di far parte del blocco sovietico.Nonostante l’atteggiamento in principio rassicurante, laCIA non si fidava di Castro. In un vecchio cablogramma silegge: «Sarebbe un errore sottovalutarlo a causa del suoaspetto ingenuo e popolare. È un leader nato, dotato digrande coraggio e forti convinzioni personali». La svoltaanticastrista di Washington risale alla fine del 1959, pochimesi dopo la cacciata di Batista: in un documentoriservato, l’intelligence USA raccomandava di uccideresia Castro sia Che Guevara.

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Poco prima, il governo rivoluzionario cubano avevadeciso di nazionalizzare le imprese e le proprietànordamericane presenti sull’isola. Fu a quel punto checominciò la “guerra”. All’inizio sul piano militare, con ilfallito sbarco anticastrista nella Baia dei Porci,orchestrato dalla CIA tra il 15 e il 18 aprile 1961. Poi sulpiano economico, allorché il presidente DwightEisenhower, il 6 luglio 1960, ordinò di ridurre del 95 percento l’importazione di zucchero cubano, la principalerisorsa dell’isola. Era il primo passo del bloqueo chesarebbe iniziato formalmente nel 1962: il 4 febbraio diquell’anno il presidente Kennedy ordinò prima ilboicottaggio dei prodotti cubani; poi, il 20 novembre –dopo la “crisi dei missili” che per poco non portò allaterza guerra mondiale –, decise il blocco totale dellerelazioni economiche con L’Avana. Certo, nel corso deltempo il blocco USA veniva irrigidito o allentato aseconda delle altalenanti relazioni politiche bilaterali. Nel1977, per esempio, Jimmy Carter eliminò le restrizioni aiviaggi nell’isola e qualche mese dopo Washington aprì un“ufficio d’interessi” all’Avana. Una sorta di ambasciatainformale, per la quale transitavano diplomatici, agentisegreti e uomini d’affari. Le restrizioni vennero peròristabilite da Reagan nel 1982.

Grazie al sostegno sovietico, Cuba affrontò con unrelativo benessere la seconda metà degli anni Sessanta e il

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decennio successivo. Riuscì perfino a svolgere un ruolosullo scacchiere internazionale, tentando di esportare,attraverso i propri militari, il modello castrista nel restodell’America Latina e in Africa. Ma a lungo andarecominciarono a manifestarsi le prime crepe, i primi segnidi cedimento: gli anni Ottanta si aprirono con il crollo delprezzo politico dello zucchero e la fuga dal porto diMariel, in pochi giorni, di centoventicinquemila profughiverso le isole Keys, propaggine della Florida e primoapprodo in terra statunitense. I guai veri arrivarono neglianni Novanta con il declino e l’implosione dell’URSS: nel1992, dopo trent’anni di presenza sull’isola, Mosca ritiròi suoi militari e sospese le “importazioni agevolate”; nellostesso anno, George Herbert Bush rafforzò l’embargo.Castro parlò di «colpo basso». L’isola rischiò il tracolloeconomico. Il caldo Natale caraibico trascorse senzabenzina e con viveri razionati. L’isola si aprì allora agliinvestimenti occidentali, specie nel settore del turismo.Nel 1993 venne legalizzata la circolazione del dollaro evennero celebrate le prime elezioni con voto segreto (perquanto sempre non libere).

Nel 1994 un nuovo esodo cubano di massa scatenò lafuria degli USA; ma fu la legge Helms-Burton, promulgatada Clinton il 12 marzo 1996, pochi giorni dopol’abbattimento di due aerei di esuli da parte dei cubani, arafforzare ulteriormente l’embargo, con misure a carico

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anche di società di paesi terzi. Pochi mesi dopo FidelCastro venne ricevuto da papa Giovanni Paolo II e perCuba si aprì uno spiraglio di speranza. Nel gennaio 1998,infine, il pontefice si recò all’Avana e il 20 marzo Clintonannunciò una serie di misure volte ad aiutare il popolocubano.

L’embargo, però, non veniva rimosso. Neanche lavisita all’Avana dell’ex presidente Carter, nel maggio del2002, in qualità di “pacificatore”, riuscì a cambiare lecose. Anzi, nel 2004 George W. Bush impose nuovelimitazioni ai viaggi e alle rimesse dei cubani americani,misure poi revocate da Obama.

La svolta arriva il 17 dicembre 2014. Con uno storicodiscorso in diretta tv, il presidente degli Stati Uniti BarackObama annuncia il ripristino delle relazioni diplomatichecon Cuba e l’alleggerimento delle sanzioni economiche,prima di concludere in spagnolo con una frase destinata alasciare il segno: «Todos somos americanos», siamo tuttiamericani.

Nello stesso giorno, a pochi chilometri dalle costedella Florida, analoghe parole di distensione echeggianodai teleschermi cubani: è Raúl Castro, in questo caso, adannunciare ai propri cittadini la clamorosa svolta.

Il 17 dicembre 2014 non è una data casuale. Enemmeno una coincidenza. È il settantottesimo

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compleanno di Jorge Mario Bergoglio, il vero artefice diun capolavoro diplomatico che resterà negli annali dellerelazioni internazionali.

Ma come si è arrivati a quel risultato epocale? Comein altre circostanze, la Santa Sede si è offerta di ospitare icolloqui riservati tra USA e Cuba. All’inizio gli americanisi sono mostrati titubanti. Conoscono il pensiero del papaargentino e ritengono che non sarebbe un arbitro, ma unaparte in causa. Al contrario il cardinale Pietro Parolin,che da anni gli USA considerano un buon amico, è unfautore della “diplomazia non assertiva”. Stimato ancheper il coraggio di opinare senza quel certo “egotismo”contestato dagli USA all’ex segretario di stato Bertone, ilnumero due del governo vaticano può fare da contrappesoalle eventuali intemperanze di Francesco. Qualcosa delgenere si era già visto con il volitivo Giovanni Paolo II, lecui uscite venivano poi compensate dalla “diplomaziadella pazienza” del cardinale Agostino Casaroli.

A decidere, però, sono sempre i leader. Francesco losa e, come aveva fatto in altre circostanze, sceglie diparlare a viso aperto. Il momento decisivo è l’udienzaconcessa a Barack Obama in Vaticano, il 27 marzo 2014.

Attraverso diverse fonti presenti quel giorno inVaticano, è possibile ricostruire il dialogo tra i due.

Dopo i convenevoli e una serie di riflessioni condivisesu temi d’attualità, Bergoglio guarda negli occhi Obama e

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a voce bassa, come fa di solito per sottolineare unpassaggio cruciale, ribadisce ciò che il presidente sa mache un papa non gli ha ancora mai detto: «Tutta l’AmericaLatina è unita nel sostenere che l’embargo su Cuba è unproblema».

Al sentire queste parole, Barack Obama capisce che ilpontefice non parla solo a nome proprio, ma che inqualche misura gli si sta presentando come il portavoce diun intero continente. Gli Stati Uniti non possono ignorarlo.Tanto più che «il dialogo sincero può offrire ancheopportunità storiche per la pace e la stabilità»: è questouno degli argomenti usati nel corso del colloquio econdiviso da entrambe le parti.

Con consumata abilità papa Francesco alterna i toni egli argomenti, come se un attimo prima stesse parlandoall’uomo più potente del mondo e subito dopo sirivolgesse al premio Nobel per la Pace.

La reazione del presidente è di grande conforto per ilpapa. «Totally obsolete»: così Obama risponde aBergoglio parlando dell’embargo. Una misura imposta«quando io non ero nemmeno nato» ha aggiunto, come aribadire di non avere intenzione di rivendicare unasituazione ereditata dal passato.

Questa volta non c’è bisogno di interpretare. Laposizione è chiarissima. A precise condizioni Obama è

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disposto a cambiare. Toccherà alla Santa Sede fararrivare il messaggio a Cuba.

Il giorno successivo all’annuncio congiunto USA-Cubaè programmato un incontro nei saloni vaticani tra ilpontefice e tredici nuovi ambasciatori presso la SantaSede. Solo chi conosce i retroscena della mediazionecondotta dalla diplomazia pontificia può valutare appienoil significato delle parole pronunciate dal papa inquell’occasione: «Oggi siamo tutti contenti, perchéabbiamo visto come due popoli, che si erano allontanatida tanti anni, ieri hanno fatto un passo di avvicinamento.Ecco, questo è stato portato avanti da ambasciatori, dalladiplomazia. È un lavoro nobile il vostro, tanto nobile». Unlavoro «di piccoli passi, di piccole cose, ma chefiniscono sempre per fare la pace, avvicinare i cuori deipopoli, seminare fratellanza fra i popoli».

Una notazione sobria, com’è nel suo stile, quella deipiccoli passi, che non nasconde la portata del risultatoottenuto e che ha promosso Bergoglio a leaderinternazionale di primissimo piano, riportando la SantaSede e la Chiesa cattolica, grazie alla ristrutturazioneoperata dal cardinale Parolin, a un ruolo capitale anchenelle questioni apparentemente meno risolvibili.

Sulle prime, l’unica ammissione da parte vaticanaarriva attraverso una nota. «Nel corso degli ultimi mesi, ilSanto Padre Francesco ha scritto al Presidente della

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Repubblica di Cuba, S. E. il Sig. Raúl Castro, ed alPresidente degli Stati Uniti, S. E. il Sig. Barack H.Obama, per invitarli a risolvere questioni umanitaried’interesse comune, tra le quali la situazione di alcunidetenuti, al fine di avviare una nuova fase nei rapporti trale due parti. La Santa Sede, accogliendo in Vaticano, nelloscorso mese di ottobre, le Delegazioni dei due paesi, hainteso offrire i suoi buoni offici per favorire un dialogocostruttivo su temi delicati, dal quale sono scaturitesoluzioni soddisfacenti per entrambe le parti. La SantaSede continuerà ad assicurare il proprio appoggio alleiniziative che le due nazioni intraprenderanno perincrementare le relazioni bilaterali e favorire il benesseredei rispettivi cittadini».

Ancora una volta è l’imprevedibile Dionisio a fornirmila chiave per decifrare il messaggio: «Il ruolo recitato dapapa Francesco nel disgelo tra USA e Cuba non è moltodiverso da quello che giocò Giovanni XXIII, da lui fattosanto, che riuscì a spingere il presidente americano JohnKennedy e il capo dell’Unione Sovietica, NikitaChruščëv, a fermare il conto alla rovescia della crisi deimissili a Cuba». Il riferimento, ovviamente, èall’installazione di rampe missilistiche sovietiche a Cubae alla ritorsione del blocco navale americano che, nel1962, portarono il mondo a un passo dalla terza guerramondiale.

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A Dionisio piace trattarmi da neofita. E io non ho altrascelta che accontentarlo. Lui è l’elegante, sagace, cinicodiplomatico abituato a soppesare anche i sospiri. E citiene a farlo notare. «Se non ci fosse stata quellamediazione, oggi i libri li scriveresti sulla pietra» dicecercando di convincermi che a quell’epoca, senza ilcanale aperto dal “papa buono”, si sarebbe finiti sull’orlodell’olocausto nucleare. In quella vicenda, nessunostorico può affermare che Giovanni XXIII ha fermato learmi, eppure lui fu decisivo,» spiega Dionisio, cheall’epoca non era lontano da Cuba «perché con il suointervento interruppe il conto alla rovescia. È comefermare due litiganti un momento prima che estraggano learmi. Uno stop che serve a far abbassare la temperatura ei toni».

L’incognita adesso è sul futuro. «Rompere conl’ipocrisia americana» insiste Dionisio «avrà effettiimprevedibili nel breve e nel lungo termine. In ogni caso,gli USA non ci perderanno. Perché l’ora di Fidel sta persuonare, e senza lui tra i piedi diventerà tutto più facile.Semmai il problema sarà quello di non “annettere”L’Avana a Washington, facendola diventare quello che pergli investitori americani è oggi Panama, o le Cayman.»

Non sono solo i politici a dover superare rugginipersonali. Anche la Chiesa ha dovuto vivere sul bracieredi un regime impietoso. Negli anni Settanta le

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persecuzioni religiose erano state feroci. Castro eraarrivato al punto di abolire il Natale, considerato unafesta imperialista. Anche l’avvicinamento del castrismoalla Chiesa va inquadrato nella “ristrutturazione generale”seguita alla disgregazione dell’URSS. Cuba, isolata sulpiano internazionale, cercava nuovi alleati, anche a costodi rivolgersi agli ex nemici. Giovanni Paolo II accolsel’apertura, ma in senso critico. Durante la sua visita parlòdella necessità di «garantire la libertà» – non solo quellareligiosa – e, allo stesso tempo, denunciò l’ingiustiziadell’embargo che gravava soprattutto sul popolo.

Il primo segno concreto di disgelo è stata laliberazione, in quello stesso 17 dicembre 2014,dell’ingegnere americano Alan Gross dalla prigionecubana in cui era detenuto da cinque anni. Gross era statoarrestato nel 2009 all’Avana con l’accusa di spionaggio.Le condizioni fisiche e psicologiche delsessantacinquenne ebreo americano erano andatedeteriorandosi negli ultimi tempi. Nel mese di aprile2014, Gross aveva persino iniziato uno sciopero dellafame.

La sua scarcerazione rientra in uno scambio diprigionieri. Le autorità dell’Avana hanno rilasciato ancheun agente segreto americano detenuto a Cuba da più divent’anni e la cui identità non è stata resa nota. Anche

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questa liberazione è stata letta come un’espressione dibuona volontà. Gli statunitensi, da parte loro, hannoliberato tre 007 cubani arrestati nel 2001 con l’accusa dispionaggio. I tre fanno parte dei “Cuban Five”, un gruppodi cinque ufficiali dei servizi segreti appartenenti alcosiddetto “Wasp Network”, che raccoglieva informazioniriservate su importanti leader cubano-americani in esilio esulle basi militari USA.

Un’opinione particolarmente autorevole sull’accordoUSA-Cuba e sui suoi “retroscena vaticani” viene dalcardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, che dell’Avanaè arcivescovo. «Se a Cuba c’è stato questo accordodiplomatico molto ben fatto, molto ben riuscito» haspiegato il cardinale Ortega il 9 febbraio 2015, inoccasione della messa per i 47 anni della Comunità diSant’Egidio, «è stato perché tutti hanno avuto una volontàdi dialogo superando tutte le difficoltà, le critiche, leresistenze. Così direi che il miracolo non avviene di persé ma il miracolo è la possibilità di fare un cammino eriuscire a condurlo verso un buon risultato. Il miracolo ènel cammino.»

Anche se tutti ormai sapevano di un intervento direttodi papa Francesco nella vicenda, ciò che traspare dalleparole di Ortega va ben oltre un semplice coinvolgimento:«Lui è intervenuto in un modo molto tipico del Santo

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Padre, come il pastore universale che chiede la pace nelmondo, che chiede la vicinanza di coloro che sono difronte ma non hanno amicizia, sono in guerra. Èintervenuto in un modo molto diretto, ma il modo alla finfine non è essenziale, lo è l’esito che ha avuto… Lui haavuto un ruolo forte nel riuscire ad avere questo dialogo equesto risultato diplomatico, un ruolo, direi anzi,fondamentale».

Un funzionario di solito bene informato è EduardoValdes, ambasciatore argentino presso la Santa Sede: «Lesue posizioni geopolitiche, la sua visione delleproblematiche, lo rendono un uomo di permanenteconsultazione da parte di tanti statisti. “Francisco” abbattemuri e crea ponti».

Secondo Peter Kornbluh e William M. LeoGrande, chein tutta fretta stanno aggiornando il loro saggio sullenegoziazioni segrete tra i Castro e Washington (BackChannel to Cuba: The Hidden History of NegotiationsBetween Washington and Havana) la lettera di papaFrancesco a Barack Obama e Raúl Castro, considerata unpunto di svolta dei negoziati, è stata consegnatapersonalmente dal cardinale cubano Jaime Ortega ai duegovernanti, così come aveva chiesto il papa. A Obama lamissiva fu recapitata il 18 agosto 2014, a poche ore didistanza dalla consegna a Raul Castro. Il messaggio delpapa non è mai stato reso noto, ma si sa che Francesco

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diede la sua disponibilità a offrire “un aiuto in qualsiasimodo”. Lo conferma lo stesso Peter Kornbluh, che peressere il responsabile del progetto sulla documentazionesu Cuba dell’Archivio nazionale per la sicurezza(Università George Washington) ha informazioni diprimissima mano. LeoGrande, docente di Scienzepolitiche dell’American University, ha avuto accesso adalcuni protagonisti della diplomazia sotterranea dai qualiha ottenuto informazioni che non vengono smentite dalgoverno cubano ma la cui ricostruzione è da ritenereancora parziale. Soprattutto perché secondo alcune fontiUSA l’idea di coinvolgere papa Francesco è opera dellaCasa Bianca. Al contrario proprio Francesco haraccontato di avere riflettuto a lungo sulle modalità concui poter intervenire nel processo di riavvicinamento, finoa decidere un giorno di inviare a Cuba e negli USA unporporato che aveva conoscenze nella regione. Pur noncitandolo, il papa alludeva anche al ruolo del cardinaleBeniamino Stella, che era stato nunzio a Cuba dal 1992 al1999 e fu tra i silenziosi artefici dello storico viaggio diGiovanni Paolo II nell’isola.

Di tutto ciò Obama avrebbe tenuto all’oscuro ilPentagono, temendo una reazione negativa dei militari,notoriamente contrari a qualsiasi concessione. Le personeal corrente delle negoziazioni tenute presso la Santa Sedee in Canada non erano che una decina. Tra essi il

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vicepresidente Joe Biden, il capo di gabinetto di Obama,Denis McDonough, e Susan Rice, Consigliere per lasicurezza nazionale. Perfino il segretario di stato JohnKerry venne informato alcuni mesi dopo l’avvio dei primiincontri bilaterali. La riservatezza tenuta da tutte le partifu interpretata, specie dai cubani, come una prova diserietà che lo stesso Obama ha confidato di apprezzare.Una fuga di notizie avrebbe potuto compromettere nonsolo l’intera operazione, ma avrebbe messo in difficoltàspecie il leader USA. Non a caso fu deciso di coinvolgereil “Trimpa Group” di Denver a cui venne affidata lapreparazione di una regia mediatica necessaria adaumentare il consenso pubblico intorno agli accordi,qualora si fosse arrivati a una svolta.

Negli ambienti politici USA, la speranza di uncoinvolgimento diretto di Bergoglio era più che unasperanza che serpeggiava in ambienti dei democratici.Alcuni alleati di Francesco in questa missione impossibilesi ritroveranno intorno al papa nel momento in cuiFrancesco accederà al Campidoglio di Washington. Traquesti il deputato Dick Durbin, democratico dell’Illinois,e il senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont epresidente pro-tempore del Senato. Entrambi chiesero aTheodore McCarrick (arcivescovo emerito diWashington) e a Sean O’Malley (arcivescovo di Boston egrande elettore di Francesco) di trovare un modo per

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coinvolgere il papa nella vicenda ritenuta “di altointeresse umanitario”.

Il libro di Kornbluh e LeoGrande ricostruisce anche uncurioso retroscena. Per coinvolgere nella campagnamediatica il “Trimpa Group”, venne donato allacompagnia del Colorado un milione di dollari. A staccarel’assegno è stata la consorte del magnate Fred Ebrahimi.La signora Patty, nata a Cuba, era infatti stufa di starelontana dal suo paese d’origine e di attendere lanormalizzazione dei rapporti tra i Castro e Washington.Nei sondaggi condotti segretamente presero parte ancheJohn Anzalone (sondaggista di Obama), e think tank comel’Atlantic Council. Successivamente vennero coinvolti ilgruppo “CubaNow” e Luis Miranda, ex responsabile dellaCasa Bianca per le relazioni mediatiche con i mediaispanici. Lo scopo era unico e concordante: creareun’opinione favorevole a un radicale cambiamento dipolitica verso Cuba e favorire una rapida riapertura dellerelazioni dopo mezzo secolo di black-out. I repubblicanisono rimasti fuori dal più grande successo diplomaticodai tempi della caduta del Muro di Berlino. Un successoarrivato grazie al protagonismo del primo papa ispanico.

C’è una domanda che per i primi due anni dipontificato è rimasta senza risposte: dove vuole arrivarepapa Francesco?

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La risposta, infine, l’ha data il diretto interessato, il 10aprile 2015, con un messaggio indirizzato al VII Verticedelle Americhe che ha sancito ufficialmente il disgelo traUSA e Cuba annunciato pochi mesi prima.

Più che degli obiettivi a breve termine, nel suomessaggio Bergoglio ha indicato un metodo dal quale nonintende recedere: «Mi piacerebbe manifestare la miavicinanza e il mio incoraggiamento affinché il dialogosincero consegua tale mutua collaborazione che unisce glisforzi e supera le differenze nel cammino verso il benecomune». E, criticando ancora una volta la teoriacapitalista della ricaduta favorevole, ha aggiunto: «Non èsufficiente sperare che i poveri raccolgano le briciole checadono dalla tavola dei ricchi. Sono necessarie azionidirette a favore dei più svantaggiati».

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L’IMPLACABILE GUERRA DI FRANCESCOCONTRO I NEMICI DELLA PACE

La task force segreta del papa. Una svolta diplomatica chetoglie il sonno ai potenti. Dialogare anche con chi non vuole ildialogo. Non un don Chisciotte qualsiasi. «Ma tu, Signore, nondimentichi nessuno!»

«La pace non è un equilibrio tra forze contrarie.»Nove parole sono bastate a mandare per aria secoli di

giochi diplomatici, ai quali nemmeno la Santa Sede èrimasta estranea. Un’utopia, quella espressa da papaFrancesco, che convince ancora poco i professionistidelle mediazioni in aree di crisi, ma soprattutto preoccupaanche i volenterosi delle istituzioni internazionali. Nonper i contenuti, ma perché Bergoglio è passato all’azione,facendo del Vaticano una valida alternativa alleorganizzazioni tradizionalmente votate allaricomposizione dei conflitti. Nazioni Unite in testa.

Se una volta l’intervento negoziale vaticano venivaconsiderato come un’eventualità, ora papa Francesco,spalleggiato dal segretario di stato Parolin, ha istituito unatask force che elabora quotidianamente iniziative per la

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stabilizzazione pacifica delle aree di crisi. Una strutturaquasi segreta, nella quale vige il massimo riserbo.

In Segreteria di stato viene ribadito un antico motto:«Persuadere con discrezione e agire con prudenza». Inaltre parole, il Vaticano agisce nel silenzio.

«Il primo passo è di solito il più difficile» spiega undiplomatico cresciuto sotto il leggendario cardinaleCasaroli e tuttora in prima linea. E il primo passo «èquello di riuscire ad aprire canali di dialogo con parti chein molti casi non dialogano da anni. Spesso i nostricolloqui avvengono facendo la spola tra una parte e l’altrae solo dopo molto tempo, ma non sempre, riusciamo aottenere che i contendenti, attraverso i loro delegati,siedano intorno a un tavolo per aprire una discussione».

In molte regioni del mondo le fazioni in lotta sonomolteplici e i conflitti endemici, dunque trovare un terrenocomune da cui muovere i primi passi è un’operasfiancante. La strada è quella tracciata dall’intesa per lanormalizzazione delle relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba.Nella comunità dei diplomatici si parla di “capolavoro”,perché in meno di due anni la diplomazia silenziosa dellaSanta Sede è riuscita laddove da mezzo secolo provavanoinvano le Nazioni Unite e altri paesi terzi.

Gli emissari di Francesco stanno lavorando allacessazione delle ostilità in Siria, RepubblicaCentroafricana, Sud Sudan, Nigeria, Terra Santa, Iraq,

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Repubblica Democratica del Congo, Corno d’Africa(Somalia, Kenya, Etiopia, Eritrea, Somaliland, Gibuti). Aquesti paesi si aggiungono gli stati che, a causa di rugginidel passato, hanno interrotto qualsiasi reciprocità, comenel caso della Turchia con l’Armenia. I “diplomatici conla tonaca”, come alle volte vengono definiti da certesprezzanti feluche in grisaglia scura, lavorano anche perstemperare la tensione in Colombia, Messico, Venezuela,Ucraina, Libia, Cina.

Il modello di riferimento ha a che fare con il passatoargentino di Bergoglio. È il cardinale Pietro Parolin aesplicitarlo: «Negli anni Ottanta del secolo scorso,all’interno del consiglio per gli affari pubblici, oggisezione per i rapporti con gli stati della Segreteria distato, trovò collocazione un apposito “Ufficio per lamediazione pontificia”. Si trattava di sviluppare icontenuti giuridico-politici per porre fine alla disputaterritoriale tra l’Argentina e il Cile sul Canale di Beagle,all’estremo sud del continente americano. Obiettivorealmente raggiunto il 29 novembre 1984 con laconclusione del trattato di pace e di amicizia mediante ilquale le parti davano effetti obbliganti alla soluzione delcontenzioso proposta dalla Santa Sede».

È una storia vecchia di più di trent’anni che forse pochiora ricordano ma che vale la pena ripercorrere, almeno

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per sommi capi, perché illustra bene le modalità con cui ilservizio diplomatico vaticano intende oggi attuare la“strategia di pace” di Jorge Mario Bergoglio.

Il Canale di Beagle è lo stretto che taglia la Terra delFuoco facendone un confine naturale tra Cile e Argentinanonché uno snodo cruciale di collegamento tra oceanoAtlantico e Pacifico. Si capisce dunque facilmente perchéil suo controllo abbia innescato già nel XIX secolo tra idue paesi una violenta disputa che, nella seconda metàdegli anni Settanta, vide contrapporsi le più ferocidittature latinoamericane: quella della giunta militare inArgentina e quella del generale Augusto Pinochet in Cile.

Per decenni la comunità internazionale aveva tentato dimediare tra i due paesi, ma senza successo. Perciò,quando nel 1978 la tensione ricominciò a salire, nessunocredeva più di poter fermare l’escalation militare. Fuallora che entrò in gioco la Santa Sede. Giovanni Paolo I,nel suo brevissimo pontificato di 33 giorni, scrisse perprimo ai vescovi cileni e argentini, esortandoli a lavorareper la pace. Appena otto giorni dopo, papa Luciani morì;ma Giovanni Paolo II ne raccolse subito il testimone e, surichiesta dei vescovi dei due paesi, decise di inviare inAmerica Latina il cardinale parmense Antonio Samorè.

Gli argentini avevano ammassato 400.000 uomini lungola frontiera e la dichiarazione di guerra sembrava ormaiimminente. Poi, poco prima del Natale 1979, una

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provvidenziale tempesta impedì che l’ammiraglio EmilioMassera desse l’ordine di invasione e consentì alcardinale Samorè di guadagnare tempo prezioso.

Il mediatore vaticano non era ben visto da ampi settorimilitari di Buenos Aires, che fecero di tutto per“disarmare” il diplomatico, fino a diffamarlo. Ciònonostante, il porporato proseguì incassando anche i colpipiù bassi, finché, nel 1983, un infarto non lo fulminò. Mala sua morte non fermò l’offensiva diplomatica della SantaSede. Giovanni Paolo II continuò infatti a condurre letrattative con pazienza e determinazione fino alla vittoria:il trattato di pace che nel 1984 pose fine alla contesasecolare venne firmato proprio in Vaticano.

Quello che ha in mente Bergoglio è qualcosa delgenere. La differenza, rispetto al passato, sta nel volerrendere stabile questa missione della diplomaziapontificia. Anche se un’azione diplomatica di questogenere è fatalmente destinata a suscitare il disappunto diquanti preferirebbero che a gestire questi affari fosseropiuttosto le agenzie ONU, le grandi potenze e, nei casiirrisolvibili, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja,fondata nel 1945 per dirimere le dispute fra stati membridelle Nazioni Unite che hanno accettato la suagiurisdizione.

Gran parte delle aree di crisi, però, vedono in trincea

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molti degli eserciti dei 120 stati aderenti al “Movimentodei paesi non allineati”, un’organizzazione internazionalealternativa all’ONU. Sebbene molti degli aderenti sianomembri anche delle Nazioni Unite, non ne riconosconoappieno le funzioni. Basti ricordare che dal 2006 al 2009si sono alternati nel ruolo di segretario generale i fratelliFidel e Raúl Castro, mentre quello in carica dal 2013 è ilpresidente iraniano Hassan Rouhani. Tra i membri dilunga data vi sono anche Siria, Iraq, Libia, Corea delNord, Afghanistan, Libano, Palestina, Somalia e la quasitotalità delle nazioni sudamericane.

Una realtà, questa, che la comunità internazionaleufficiale tende a non tenere in conto, nonostantecomprenda quasi due terzi di tutti gli stati del mondo, enonostante la maggior parte di essi sia coinvoltadirettamente o indirettamente in un contesto di crisi.

L’ambizioso progetto di Bergoglio appare dunque piùche mai necessario, oggi. Anche se, come si è accennato,affonda le sue radici nel passato. «Un tale tipo di azionepacificatrice era già esercitata lungo la storia, comericorda l’arbitrato condotto da papa Leone XIII nel 1885per porre fine al conflitto che opponeva la Spagna e laGermania per la sovranità sulle isole Caroline, e giungefino al recentissimo avvio di una nuova relazione tra Cubae Stati Uniti dopo decenni di sola contrapposizione» haricordato monsignor Parolin.

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Lo scacchiere entro il quale il Vaticano muoverà le suepedine è ora più chiaro. A rivelarlo è sempre il segretariodi stato vaticano monsignor Parolin, con una lectiomagistralis destinata a finire sulle scrivanie dei piùimportanti centri di studi internazionali del mondo. E ariscuotere, come si vedrà, reazioni talvolta contrastanti.

È l’11 marzo del 2015, una data a suo modo simbolica.Ricorrono gli undici anni dagli attacchi terroristici dimatrice islamica che a Madrid fecero 191 morti e 2.057feriti.

Parolin è stato invitato per il Dies Academicus dellaPontificia Università Gregoriana, l’annuale giornata distudio su un argomento che le varie unità dell’ateneoaffrontano secondo differenti prospettive accademiche(teologia, filosofia, storia, beni culturali, diritto canonico,scienze sociali, missionologia, psicologia, spiritualità).

Al segretario di stato viene affidato un tema chiave:“La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegnocristiano”. Un titolo evocativo, ma che non lasciapresagire sorprese. Certo, si tratta di una lezione dialtissimo profilo, che ripercorre i punti cardinali dellamissione della Chiesa nel mondo tracciando una sorta dirotta ideale. Ma non si può dire che il testo di Parolinfaccia il giro del mondo.

Agli analisti di molti paesi, tuttavia, non sfugge.L’ambasciata statunitense presso la Santa Sede si fa

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immediatamente tradurre il documento in inglese. Lostesso fanno le rappresentanze romane dei principaligoverni mondiali. Il contenuto diventa argomento didiscussione. «Ho avuto l’impressione che Parolin volessefar sapere alcune cose» mi confida un consiglierediplomatico mediorientale. Anche alla Farnesina lalezione di Parolin non passa inosservata. Da lungo tempola diplomazia italiana fa il possibile per non contrapporsia quella pontificia.

Anche “Siddharta”, la mia bisbetica fonte, conferma:«A Londra e tra quelli della CIA a Langley da qualchenotte c’è chi va a dormire con il discorso di Parolin sulcomodino».

Tanta attenzione merita una rilettura analitica.La spinta di Bergoglio è destinata a lasciare traccia.

«Un apporto che anche nell’immediato è pronto a tradursiin realtà nell’ormai prossimo confronto diplomatico tra glistati in vista di un rafforzamento del diritto internazionaleumanitario, non di rado reso insufficiente e inoperantedalle nuove forme di conflitto armato» dice Parolin. Chepoi prende le distanze dal modello su cui finora si sonorette le relazioni multilaterali. «Pur condividendo erispettando questi sforzi, però, per la Santa Sede è oggipiù che mai urgente modificare il paradigma su cui poggial’ordinamento internazionale. I fatti e le atrocità di questi

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giorni domandano ai diversi attori – stati e istituzioniintergovernative in primis – di operare per prevenire laguerra in ogni sua forma dando consistenza a uno iuscontra bellum e cioè a norme in grado di sviluppare,attualizzare e soprattutto imporre gli strumenti già previstidall’ordinamento internazionale per risolverepacificamente le controversie e scongiurare il ricorso allearmi. Mi riferisco al dialogo, al negoziato, alla trattativa,alla mediazione, alla conciliazione spesso visti comesemplici palliativi privi della necessaria efficacia. Unadiversa considerazione di questi strumenti non può essereimposta, ma potrà scaturire solo da un generaleconvincimento: la pace è un bene prezioso einsostituibile.»

Soprattutto, Parolin annuncia la nascita di un nuovoorganismo, che si candida a dirimere anche le crisi piùcontroverse: «Guardando il profilo sostanziale, si trattasoprattutto di un’azione che mostra come il fine perseguitosia primariamente religioso e cioè rientri in quell’essereveri “operatori di pace” e non “operatori di guerre oalmeno operatori di malintesi”, come ci richiama papaFrancesco. Un appello di fronte al quale il contestoaccademico in cui siamo consente, e direi quasi impone,di affiancare a queste riflessioni la proposta chenell’opera di riforma avviata dal Santo Padre ritrovispazio nella Segreteria di stato un “Ufficio per la

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mediazione pontificia” che possa fare da raccordo traquanto sul terreno già svolge la diplomazia della SantaSede nei diversi paesi e parimenti collegarsi alle attivitàche in tale ambito portano avanti le istituzioniinternazionali».

La Santa Sede torna così a giocare un ruolo di primopiano, senza limitarsi alla tutela dei propri interessitemporali. «Alla diplomazia pontificia, dunque, è affidatoil compito di lavorare per la pace seguendo i modi e leregole che sono propri dei soggetti di dirittointernazionale, elaborando cioè risposte concrete intermini giuridici per prevenire, risolvere o regolareconflitti ed evitare la loro possibile degenerazionenell’irrazionalità della forza delle armi.»

Prevenire, risolvere, regolare: tre parole chiave cherilanciano nel mondo il “ministero degli esteri” delVaticano.

Fin qui le premesse. Poi Parolin entra nel vivo. Dallasua analisi si possono estrarre le regole di base delladiplomazia del papa. Una piattaforma strategica in cui, percomprendere cosa vuole Francesco, bisogna prima di tuttocapire cosa il papa non desidera affatto.

Rigetto dell’uso della forza, negoziazioni,multilateralismo, diritti umani: in apparenza, le parole delsegretario di stato vaticano rimettono la Santa Sede nella

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carreggiata costruita dal cardinale Agostino Casaroli, chetalvolta con fatica seppe applicare la “diplomazia deipiccoli passi” all’autorevole e spesso decisivoprotagonismo in politica estera di Giovanni Paolo II. Conun pontefice come Bergoglio si può ripercorrere quelcanovaccio. Da una parte «il martirio della pazienza»evocato da Casaroli, dall’altro l’influenza personale delpontefice, che può permettersi qualche strappo alprotocollo non scritto delle relazioni tra leader.

Ma nei piani di Bergoglio, così come vengonotratteggiati da Parolin, c’è anche altro. Uno dei puntichiave è il ruolo delle forze armate: «Quanto all’annosodibattito sul limite che la forza armata deve avere nellerelazioni internazionali, ricordo soltanto come le duemodalità che la comunità internazionale ha individuatodopo il “crollo dei muri”, e cioè l’intervento umanitario ela responsabilità di proteggere, abbiano trovatoconsiderazione rispettivamente negli interventi diGiovanni Paolo II alla FAO nel 1992 e di Benedetto XVIalle Nazioni Unite nel 2008».

Volutamente il coordinatore della diplomazia vaticanasottolinea il legame con i predecessori di Francesco. Unacontinuità nelle “radici”, ma non nelle modalità operative,che dal passato traggono ispirazione, pur adattandosi alleemergenze del nuovo millennio e alla spinta riformatricedi Francesco. Infatti il porporato nel suo intervento

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prosegue chiarendo a tutti che anche per la diplomazia intonaca l’aria è cambiata: «I pericoli per la pace e leminacce alla sicurezza, però, impongono la ricerca diulteriori strumenti e modi di agire, almeno perfronteggiare un mutato scenario: è sufficiente ricordareche al terrorismo delocalizzato affermatosi con l’11settembre 2001 si è oggi sostituito un terrorismo “extra-territoriale” che promana cioè da entità localizzateterritorialmente e che giungono perfino a utilizzare glistrumenti propri dell’attività statale».

Ma cosa può fare il Vaticano?«Nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e

comunità non si tratta di escludere l’extrema ratio dellalegittima difesa, ma di considerarla tale – extrema ratioappunto! – e soprattutto di attuarla solo se è chiaro ilrisultato che si vuole raggiungere e si hanno effettiveprobabilità di riuscita. Non sto qui solo richiamando unacostante dell’insegnamento della Chiesa, ma anche quellenorme del diritto internazionale che hanno fatto superarela convinzione secondo cui l’uso della forza armata si puòsolo umanizzare, ma non eliminare.»

In altre parole nessuno, d’ora in avanti, potrà anchesolo immaginare che da Roma arrivi una benedizionedella guerra. Nessuno, dentro e fuori la Chiesa, potràprestarsi a interpretare l’atteggiamento del papa, magari

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sperando in un silenzio che si possa interpretare come unatacita approvazione.

Era già accaduto con la prima e la seconda Guerra delGolfo. «Mai più la guerra, avventura senza ritorno»scandì un esausto ma determinato Karol Wojtyla.Nonostante questo non mancarono vescovi, anche inEuropa e in Italia, che incoraggiarono Bush Jr. acompletare il lavoro che il padre aveva lasciato a metà.

«Diventa allora necessario non limitarsi a conoscere lecause di ogni aggressione, ma affrontarle e risolverlesecondo il principio di buona fede. La storia delladiplomazia narra numerosi episodi in cui per due o piùcontendenti il territorio di un terzo stato diventava il luogoin cui confrontare i rispettivi interessi, dimenticando idiritti delle popolazioni residenti, vittime innocenti ocostrette a spostamenti forzati. Parimenti il diplomaticointuisce le conseguenze che in un conflitto o in una regioneinstabile comporta la fornitura di armamenti, come pure lagaranzia di disporre e utilizzare risorse economiche. Iltutto magari ammantato da motivazioni di ordinestrategico, economico, etnico, culturale o financhereligioso. Se manca la volontà di fermare queste situazioniil rischio di allungare la spirale dei conflitti e ladestabilizzazione di intere aree è certo, ma la pace nonnasce dalla paura delle bombe o dal predominio di unosull’altro.»

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Il messaggio è chiaro. Perciò a molti suona come unamusica stonata. In Vaticano, d’ora in avanti, grandipotenze come gli USA non troveranno più un alleatocompiacente. E ciò vale per chiunque altro si presentisperando di ottenere l’appoggio o anche solo la nonostilità del papa, accampando «motivazioni di ordinestrategico, economico, etnico, culturale o financhereligioso».

Petrolio, giacimenti minerari ed energetici,infrastrutture strategiche. Quante guerre si sono fatte peringlobare ricchezze e potere? Iraq, Libia, Siria, Ucraina,solo per ricordare le meno lontane.

«Quale parte di questa complessità – oggi amplificatadall’immediatezza della comunicazione, spesso con crudorealismo –, l’azione diplomatica della Santa Sede non siaccontenta di osservare gli accadimenti o di valutarne laportata, né può restare solo una voce critica.

Più in generale, poi, la ricerca di nuove strade vuoldire affidare la soluzione di dispute a mezzi pacifici,compresi quelli che, ad esempio, comportano l’interventoobbligatorio del giudice internazionale. Un tema caro alladiplomazia pontificia e già manifestato da Leone XIII inuna lettera alla regina Guglielmina d’Olanda dell’11febbraio 1899, mentre con la conferenza della paceall’Aja si portava a compimento l’idea della cortepermanente di arbitrato. I contenuti di quella lettera

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vennero ripresi da Giovanni Paolo II in un indimenticabilediscorso alla corte internazionale di giustizia nel 1988,invocando già un “criterio legale di responsabilitàindividuale e penale verso la comunità internazionale” chedoveva trovare compimento dieci anni dopo conl’istituzione della corte penale internazionale.»

Il problema di fondo è però etico e si annida nel ventregonfio dei sistemi di potere. «La domanda è: se all’internodegli stati una funzione giudiziaria accentrata ha superatola vendetta e la rappresaglia, non potrà avvenire la stessacosa nella società degli stati? Forse è necessario che ilnostro ruolo di costruttori di pace diventi fattivo nelproporre idee che possono poi concorrere a definire nuoviscenari e procedure per la pace».

La modifica della rotta si farà particolarmente sentire neiconsessi internazionali, lascia intendere Parolin. «Sono iluoghi in cui si lavora non solo per raggiungere la pace,ma anche per far maturare una cultura della paceattraverso i diversi settori delle relazioni internazionali.Si tratta di un processo interessante che la Santa Sedesegue fin dagli albori e che, alla luce dell’esperienza,permette di constatare che norme e programmi degliorganismi internazionali non sono poi così distanti dalla

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quotidianità di persone, comunità e popoli, ma neorientano comportamenti e suggeriscono stili di vita.»

I saloni ovattati dei centri di potere e delle agenzieinternazionali dovranno spalancare le finestre e lasciareentrare l’aria che la gente comune respira ogni istante. Aqualcuno questo atteggiamento può apparire trasandato.Come una volontà di disprezzare l’antica arte delladiplomazia, magari rischiando di far entrare in scenaqualche elefante che metta a rischio l’intera cristalleria.Ma, prevenendo un’osservazione in fondo così ingenua,Parolin avverte: «Per la diplomazia della Santa Sede lasfida è duplice. Da un lato essa si sente obbligata a unosforzo di formazione e preparazione, riconoscendo chenon si può operare nelle istituzioni intergovernative senzala necessaria competenza, la capacità tecnica e una veraprofessionalità. Dall’altro, quale strumento ecclesiale,essa deve valutare “se e come” quanto emerge in queicontesti risponde al bene della famiglia umana e non èlimitato a interessi particolari che possono facilmentesconvolgere gli stessi orientamenti e programmi infunzione della pace».

Detta in altro modo, non sarà concesso alcuno spazio aquanti, con il pretesto della pace e della stabilizzazione,intendano fare i propri interessi a scapito dellepopolazioni. «Una tale road map si lega necessariamentealla richiamata prevenzione non solo dei conflitti e della

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guerra, ma sempre più della tutela della dignità umana edei diritti ad essa connessi.»

Il quadro ora è completo. Per la diplomazia vaticana,per volontà del pontefice, «diventano allora prioritarifattori come la povertà, il sottosviluppo, le catastrofinaturali, le crisi economiche e altre situazioni che possonoturbare o rendere impossibile la pace». Siano cristiani,musulmani, buddisti o zoroastriani, ciò che conta èeliminare le condizioni che preparano il terreno alle crisi.

Eliminare, nel senso di rimuovere laddove questifattori siano presenti, ma anche evitare di crearecondizioni di instabilità. «Il richiamo alla dignità umanaper la diplomazia pontificia conduce alla tematica dellalibertà di religione quale diritto articolato che, dallequestioni connesse agli atti di culto, giunge alla necessitàdi riconoscere a ogni comunità religiosa la capacità diorganizzarsi autonomamente.»

Il segretario di stato, in questo straordinariodocumento, si spinge oltre. E annuncia le mosse checaratterizzeranno il pontificato di Francesco nelloscenario globale: «Se esattamente quarant’anni or sono laSanta Sede operò perché […] il diritto alla libertàreligiosa fosse considerato uno dei dieci principi cardinedi rinnovate e pacifiche relazioni internazionali, in questomomento è obiettivo della sua azione diplomatica il

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superamento di un uso strumentale della religione,giungendo persino a considerarla motivo di giustificazioneper ogni genere di odio, persecuzione e violenza».

Ogni tentativo di dialogo, anche con chi il dialogo lorespinge, come la leadership del Califfato islamico, nonavrà altro scopo che questo: spazzare via l’alibi dellaguerra religiosa, un pretesto usato anche da chi vorrebbedifendere i cristiani usando toni a sua volta da crociata.

«Ma oggi come nel 1975 un elemento rimane costante:gli interventi della Santa Sede hanno a cuore la condizionedi tutti i credenti. Un impegno che diventa una sfida nelmomento in cui è ben documentato che i cristiani sono tra ipiù discriminati e continuano a esistere leggi, decisioni ecomportamenti intolleranti nei confronti della Chiesacattolica e delle altre comunità cristiane.»

Quello verso cui guarda Pietro Parolin non è unorizzonte piatto. Ci sono da superare deserti, paludi,sabbie mobili. Occorre sormontare scogli scivolosi eaffilati. Ma non si vedono altre scelte.

Al di là dei testi costitutivi, qual è il ruolo dellaSegreteria di stato vaticana nell’epoca contemporanea?Cosa si aspetta papa Francesco dalla sua diplomazia?

«La diplomazia della Santa Sede ha una chiarafunzione ecclesiale: se è certamente lo strumento dicomunione che unisce il Romano Pontefice ai Vescovi a

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capo delle Chiese locali o che consente di garantire lavita delle Chiese locali rispetto alle autorità civili, osereidire che è anche il veicolo del Successore di Pietro per“raggiungere le periferie”, sia quelle della realtàecclesiale che quelle della famiglia umana. Senza l’operadelle rappresentanze diplomatiche pontificie quanticredenti – e non solo battezzati – vedrebbero limitata laloro fede? Quante istituzioni della Chiesa rimarrebberosenza quel vitale contatto con il suo governo centrale chene disegna l’agire, dà loro sostegno e finanche credibilità?Sul versante della società civile, la mancata presenzadella Santa Sede nei diversi contesti intergovernativi diquali orientamenti etici priverebbe gli indirizzi dicooperazione, il disarmo, la lotta alla povertà,l’eliminazione della fame, la cura delle malattie,l’alfabetizzazione?»

Nel 1978 la Santa Sede aveva stretto rapportidiplomatici con 84 stati. Nel 2015 il numero è salito a179. Tra i paesi che non hanno contatti formali con ilVaticano, otto sono musulmani (Afghanistan, ArabiaSaudita, Brunei, Comore, Maldive, Mauritania, Oman,Somalia), cinque di ispirazione comunista (Cina, Coreadel Nord, Birmania, Laos e Vietnam). A questi vannoaggiunti Bhutan, Botswana e Tuvalu.

Ancora Parolin: «Andando però oltre l’immagine, vasottolineato che questi numeri non esprimono posizioni di

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riguardo o di chissà quale esercizio di potere, mapiuttosto l’evidenza di un’ampia dimensione di lavoroquotidiano, complesso e sovente difficile, il cui obiettivorimane ad intra la suprema legge della salus animarum,mentre ad extra l’ordinata convivenza tra i popoli che perla visione cristiana è il vero presupposto alla pace».

A studiare le mosse dei vari attori sulla scena, per laverità, sembra che sul significato di pace vi sianointerpretazioni dissonanti. «L’idea di pace di cui la SantaSede è portatrice non si ferma a quella che le nazioniesprimono nel contemporaneo diritto internazionale. Essaè infatti convinta che nessuna azione avente a cuore lapace, compresa quella esercitata dalla diplomazia, puòessere ragionevole e valida se, anche tacitamente,mantiene ancora dei riferimenti alla guerra.»

Per stare nel concreto, Parolin non si nega alcuniesempi: «Quando è in gioco la pace, le questioni daaffrontare nel post-conflitto sono molto chiare, come adesempio il rientro di profughi e sfollati, il funzionamentodelle istituzioni locali e centrali, la ripresa delle attivitàeconomiche, la salvaguardia del patrimonio artistico eculturale da cui non è estranea la componente religiosa.Ben più complesse, però, sono le esigenze diriconciliazione tra le parti. Basti pensare al rispetto deidiritti umani e tra questi al diritto al ritorno, alricongiungimento di famiglie e comunità che si confronta

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con la restituzione dei beni o con il loro risarcimento. Ilcompito dello ius post bellum, dunque, non si limita ariassettare territori, a riconoscere nuove o mutatesovranità, o ancora a garantire con la forza armata i nuoviequilibri. Esso deve piuttosto precisare la dimensioneumana della pace, eliminando ogni possibile motivo percompromettere la condizione di coloro che hanno vissutogli orrori di una guerra e attendono un diverso avvenire.Questo comporta pensare a efficaci meccanismi dellagiustizia di transizione, perché siano realmente conformi agiustizia e non alla volontà di parte. Tradotto nellinguaggio della diplomazia questo significa dare prioritàalla forza del diritto rispetto all’imposizione delle armi,garantire la giustizia ancor prima della legalità».

L’azione della Santa Sede, tuttavia, deve adattarsi allecircostanze. «Mi sia permesso di ricordare come, anche inquesto momento, le esperienze della diplomazia pontificiain proposito sono tante e diverse – basti pensare alla sortedelle antiche comunità cristiane in Medio Oriente la cuidifesa vede il ruolo attivo delle rappresentanze pontificienell’area. E questo nella convinzione che la protezione vaesercitata nei confronti delle persone, nella lorocondizione di vittime inermi, prima ancora della loroappartenenza a comunità religiose. Ma in genere questitipi di azione rimangono lontani dai riflettori e dallacronaca, seguendo piuttosto quello spirito evangelico

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ricordatoci da papa Francesco all’inizio della Quaresima:“Quando si compie qualcosa di buono, quasiistintivamente nasce in noi il desiderio di essere stimati eammirati per questa buona azione, per ricavarne unasoddisfazione. Gesù ci invita a compiere queste operesenza alcuna ostentazione, e a confidare unicamente nellaricompensa del Padre ‘che vede nel segreto’ (Matteo 6,4)”. Un monito che poi coincide con il fondamentoclassico dell’attività diplomatica: persuadere condiscrezione e agire con prudenza.»

Ma chi sono oggi i nemici della pace? A leggere larisposta che si dà monsignor Parolin, si rimane turbati maper nulla sorpresi: «Ineguale distribuzione degli alimenti,mancato accesso ai mercati, ingiuste regole imposte alcommercio internazionale, mancata coscienza ecologica edanni all’ambiente sono alcuni dei fattori che domandanoun’effettiva solidarietà tra gli stati, se si vuole garantire unfuturo di pace».

I responsabili sono proprio i nemici di Francesco.Quanti in un modo o nell’altro vorrebbero fargli fare lafine di un don Chisciotte qualsiasi.

Fausto Gasparroni, esperto e smaliziato vaticanistaglobetrotter dell’ANSA, ha scritto che «se c’è unacaratteristica che emerge dalla politica estera vaticana inquesti due anni di pontificato di Francesco, è il ritorno

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della Santa Sede in una luce di primo piano sulla scenaglobale, con un consistente rilancio da parte del ponteficeargentino del ruolo di mediazione della Chiesa nellenumerose e drammatiche crisi che costellano il panoramainternazionale: un contesto, dalla guerra siriana al MedioOriente, dall’Iraq sotto l’assedio dell’Isis all’Ucraina,fino ai tanti conflitti africani, che proprio Bergoglio hadefinito da “terza guerra mondiale”, anche se “combattutaa pezzi”. E l’azione che papa Francesco ha saputoassumere anche a livello personale, con l’ausilio – tramitela sapiente gestione del suo segretario di stato PietroParolin – della capillare ed esperta diplomazia vaticana,fa oggi della Santa Sede un “player” ascoltato ovunque,anche dalle grandi potenze e dai grandi della Terra».

Sono i frutti e le opportunità di quella culturadell’incontro e del dialogo che Bergoglio porta avantisenza pause a fini di pace, mettendo in gioco anche ilproprio carisma individuale.

Per il gesuita Federico Lombardi, portavoce prima diBenedetto XVI e ora di Francesco, il papa possiede «ildono di poter dare degli impulsi anche proprio con la suapersona e con la sua capacità di rapporti con i capi deipopoli, con i capi religiosi, con i grandi leader che egliincontra e che riscontrano in lui la forza di una personalitàche fa fare dei passi avanti in concreto».

Il segretario di stato, dal canto suo, ricorda che «il

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papa ha dato tre linee direttive per la diplomazia vaticana:costruire ponti, lavorare contro la povertà ed edificare lapace. Le linee di fondo quindi si riferiscono a quello chelui ha indicato». E scherzando aggiunge che Bergoglio ècosì «attivo in questo campo che non lascia quasi piùspazio alla Segreteria di stato».

In questa prospettiva, fin dall’inizio del suo pontificatoFrancesco ha lanciato un’infinità di appelli. Per il MedioOriente, l’Iraq, l’Ucraina. Ha promosso giornate dipreghiera e digiuno come quella per la Siria, che nelsettembre 2013 ha contribuito a scongiurare l’interventoarmato statunitense. Ha favorito incontri storici, comequello di preghiera per la pace in Medio Oriente che havisto riuniti in Vaticano con il papa il presidentepalestinese Abu Mazen e quello israeliano Shimon Peres(il quale ha poi prospettato al papa anche la creazione diuna “ONU delle religioni”, proposta che però non ha avutoseguito).

E ha anche ottenuto successi diplomatici epocali, comesi è visto con il disgelo tra Stati Uniti e Cuba. Tanto chepoi la Casa Bianca, tramite il segretario di stato JohnKerry, ha chiesto alla Santa Sede un aiuto nella ricerca disoluzioni umanitarie adeguate per i detenuti diGuantanamo, che possano condurre alla chiusura delcarcere.

Resta aperto il capitolo Cina. L’obiettivo è la ripresa

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del dialogo (per non dire il ripristino dei rapportidiplomatici interrotti nel 1949), «che avrebbe beneficiimmensi sulla pace nel mondo» dice Parolin.

Ma nella diplomazia pontificia, pragmatismo eidealismo si mescolano con qualcosa di più: la preghiera.Il papa, che non dimentica affatto di essere un leaderreligioso, vi ricorre spesso quando si tratta di questioniche coinvolgono gli stati. A Natale 2013 Bergoglio haproferito la sua preghiera universale nel corso delmessaggio Urbi et orbi. E alla Città e al Mondo ha chiestodi non stare a guardare: «Le guerre spezzano e ferisconotante vite! Troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi ilconflitto in Siria, fomentando odio e vendetta.Continuiamo a pregare il Signore perché risparmiall’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti inconflitto mettano fine a ogni violenza e garantiscanol’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto èpotente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscanoa questa nostra implorazione per la pace in Siria anchecredenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamomai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire:Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero. Einvito anche i non credenti a desiderare la pace, con illoro desiderio, quel desiderio che allarga il cuore: tuttiuniti, o con la preghiera o con il desiderio. Ma tutti, per la

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pace. Dona pace, bambino, alla RepubblicaCentroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu,Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare paceanche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza edi miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua ecibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordianel Sud Sudan, dove le tensioni attuali hanno giàprovocato troppe vittime e minacciano la pacificaconvivenza di quel giovane stato. Tu, Principe della pace,converti ovunque il cuore dei violenti perché deponganole armi e si intraprenda la via del dialogo. Guarda allaNigeria, lacerata da continui attacchi che non risparmianogli innocenti e gli indifesi. Benedici la Terra che haiscelto per venire nel mondo e fa’ giungere a felice esito inegoziati di pace tra israeliani e palestinesi. Sana lepiaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequentiattentati. Tu, Signore della vita, proteggi quanti sonoperseguitati a causa del tuo nome. Dona speranza econforto ai profughi e ai rifugiati, specialmente nel Cornod’Africa e nell’est della Repubblica Democratica delCongo. Fa’ che i migranti in cerca di una vita dignitosatrovino accoglienza e aiuto. Tragedie come quelle a cuiabbiamo assistito quest’anno, con i numerosi morti aLampedusa, non accadano mai più!».

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«L’EUROPA È FERITA!»

Un papa imprevedibile. Il mistero del discorso cambiatoall’ultimo istante. Contro un’Europa sterile e senza cuore, perun’Europa madre e accogliente. I professionisti della polemica apagamento. Le radici cristiane, vero antidoto agli estremisti.

Il 3 ottobre 2014, durante l’assemblea plenaria delConsiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE)avviene un fatto che sfugge ai giornalisti ma non ai servizidi intelligence.

Per gli 007 di mezzo mondo, in effetti, Bergoglio èun’ossessione. Imprevedibile, anarchico, irrituale,incurante dei poteri che contano. Nessuno, neanche i piùstretti collaboratori del pontefice, è in grado di prevederecon precisione che cosa il papa dirà o farà.

Negli anni di Benedetto XVI quantomeno si poteva startranquilli che i discorsi, distribuiti con qualche ora dianticipo ai vaticanisti accreditati o alle autorità ospitanti,sarebbero stati rispettati parola per parola. Pocheconcessioni agli imprevisti, niente battute dal sen fuggite.A esclusione del 12 febbraio 2013, quando Ratzingerpronunciò una formula in latino che solo Giovanna Chirri,esperta vaticanista dell’ANSA, quella mattina di turno

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nella sala stampa vaticana, capì al volo. Restandonesbigottita, ma offrendo alla sua agenzia di stampa unoscoop memorabile. Davanti al concistoro, papa Benedettocon tono sommesso scandì una frase in latino: «Beneconscius ponderis huius actus plena libertate declaro meministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri,[…] renuntiare». «Ben consapevole della gravità diquesto atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare alministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro.»

Giovanni Paolo II, al contrario, non era quel tipo diorchestrale che mai si sognerebbe di aggiungere o togliereuna nota dallo spartito. Papa Francesco in questo gliassomiglia molto. E così, a certi reporter disabituati averificare di persona e ascoltare con le proprie orecchie ècapitato di farsi scappare colpi di scena da prima pagina.

Come accade per l’appunto il 3 ottobre 2014. Consufficiente anticipo viene consegnato ai corrispondentipresso la sala stampa vaticana un testo di due pagine:Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipantiall’Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenzeepiscopali d’Europa. Il messaggio che Bergogliodovrebbe di lì a poco leggere ai vescovi del vecchiocontinente riuniti nell’ampia sala del concistoro è ricco dispunti ed esortazioni. Eppure ha poco dello “stile” diFrancesco, anzi appare persino un po’ scontato. «Mi paresia importante che pastori e famiglie lavorino insieme,

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con spirito di umiltà e dialogo sincero, affinché lecomunità parrocchiali diventino “famiglia di famiglie”» visi legge. Frasi in fondo ruminate mille volte in passato.Con qualche novità nemmeno tanto nuova. «Sono fioriteall’interno delle vostre rispettive Chiese localiinteressanti esperienze su cui volgere la necessariaattenzione e accrescere una proficua collaborazione.Fidanzati che vivono seriamente la preparazione almatrimonio; coppie di sposi che accolgono figli di altri inaffido temporaneo o in adozione; gruppi di famiglie che inparrocchie o nei movimenti si aiutano nel cammino dellavita e della fede.»

Parole da papa, certo. Ma parole di un papa comeBergoglio?

Poi, però, Francesco inizia il suo discorso, e tra ipresenti all’assemblea più d’uno comincia a strabuzzaregli occhi. Chi ha letto in anticipo le parole del ponteficecapisce subito che anche stavolta Bergoglio farà di testasua: «Che cosa accade oggi in Europa? Cosa passa nelcuore della nostra madre Europa? Continua a essere lanostra madre Europa o è la nonna Europa? È fecondaancora? È caduta nella sterilità? Non riesce a dare nuovavita? D’altra parte, questa Europa ha fatto qualchepeccato. Dobbiamo dirlo con amore: non ha volutoriconoscere una delle sue radici. E per questo si sente enon si sente cristiana. O si sente cristiana un po’ di

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nascosto, ma non vuole riconoscerla, questa radiceeuropea».

Bentornato Bergoglio, verrebbe da dire.E l’intemerata di Francesco non si ferma qui. L’accusa

di aver tradito, quasi vergognandosene, le proprie radicicristiane è già breaking news sui telegiornali, ma aFrancesco, evidentemente, non interessa. È ai pastori chesta parlando, a coloro ai quali affida il compito di tornarein prima linea e di non farsi vedere da lui senza portarsiappresso «l’odore delle pecore». E lo fa com’è nel suostile, senza paura di dire le cose come stanno. A costo diapparire politicamente scorretto: «Diciamoci la verità:dopo il pasto, i vestiti e i medicinali, quali sono le spesepiù importanti? La cosmetica e, non so come si dice initaliano, le “mascottas”, cioè gli animalini [i cuccioli dirazze da compagnia, N.d.R.]. Non fanno figli, ma il loroaffetto va al gattino, al cagnolino. E questa è la secondaspesa dopo le tre principali. La terza è tutta l’industria perfavorire il piacere sessuale. Così pasto, medicine, vestiti,cosmetica, gli animalini e la vita del piacere. I nostrigiovani sentono questo, vedono questo, vivono questo».

Eppure non sono nemmeno queste le parole chemetteranno in allarme le cancellerie. Poco prima ilcardinale Petér Erdő, arcivescovo di Budapest epresidente dei presuli europei, ha fatto riferimento «alloscarto dei bambini e degli anziani». Il papa vuole

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includere anche altro, ancora una volta gettando losguardo sulle colpe dei sistemi politici ed economici, cheper l’arricchimento di pochi hanno permesso «lo scarto ditutta una generazione di giovani».

«Come vescovi europei, che cosa facciamo con igiovani? Dar loro da mangiare? Sì, quello è il primo. Maquello non dà la dignità a un giovane, a una persona. Ladignità la offre il lavoro. E c’è il pericolo che i figli dellamadre, oggi quasi nonna Europa, perdano la dignitàperché non hanno lavoro e non possono portare il pane acasa.»

È un male che viene da lontano. Dai miti controversi edai sogni mal riposti del post-Sessantotto. «L’Europa hascartato i bambini. Un po’ trionfalmente. Io ricordo chequando studiavo, in un paese le cliniche che facevanol’aborto poi sistemavano tutto per inviare alle fabbrichedi cosmetici. La bellezza del trucco fatta col sangue degliinnocenti. Si vantava di essere progressista per questo: idiritti della donna, la donna ha diritto al suo corpo.»

Se questa è la fine dei bimbi non nati, allora – sembradire il papa – perché meravigliarsi di come vengonocalpestati i diritti umani?

«L’Europa è ferita» scandisce il papa davanti aiconfratelli. «Torno a quell’immagine che a me tanto dice,e dico che la Chiesa oggi mi sembra un ospedale da

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campo, perché ci sono tanti feriti nella Chiesa. Ma anchel’Europa è ferita.»

Alle diplomazie, il discorso completo pronunciato daFrancesco è suonato come una chiamata alle armi.Abbastanza per vivere con preoccupazione la vigilia dellavisita di Bergoglio al Parlamento europeo e al Consigliod’Europa.

Lì il papa avrebbe non solo esposto senzadiplomatismi la sua posizione, ma avrebbe posto lecondizioni per un rilancio dell’Unione. Condizioni chenon sarebbero piaciute ai tecnocrati, ai banchieri, aicustodi dei forzieri anonimi. E neanche a moltiintellettuali.

«Quando non vede passi avanti rispetto alle suerimostranze, Bergoglio ha la brutta abitudine di nonmollare, di continuare a ripetere quello che pensarinfacciando gli immobilismi. Lo fa per enfatizzare lepromesse non mantenute, gli impegni presi da altri e maidel tutto rispettati. E lo farà anche a Strasburgo.»Dionisio, da vecchia volpe della diplomazia qual era, mistava dicendo che a Strasburgo papa Francesco nonsarebbe andato per scambiare qualche stretta di mano emeno che mai avrebbe avuto l’atteggiamento del leaderche deve trovare il modo per farsi accettare dallacomunità internazionale. «È un pugile che studia

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l’avversario fuori dal ring e quando suona la campanelladel primo round sa da che parte cominciare il lavoro.»

Il 25 novembre 2014, a Strasburgo, Bergoglio diràcosì:

«Cari eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insiemel’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intornoalla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili;l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato eguarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e consperanza il suo presente. È giunto il momento diabbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sestessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista,portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani eanche di fede. L’Europa che contempla il cielo e perseguedegli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutelal’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda,prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità».

Sono le parole con cui Francesco conclude il suointervento davanti alla plenaria del Parlamento europeo. Èla prima volta in ventisei anni, da quando cioè KarolWojtyla aveva messo piede nell’emiciclo. Trentacinqueminuti di discorso, un terzo dei quali trascorsi in applausi,come quello finale di tre minuti. Scattano in piedi MatteoRenzi, Jean-Claude Juncker, Herman Van Rompuy,popolari, socialisti, liberali, euroscettici, estrema sinistra

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ed estrema destra. «Ha toccato il cuore di tutti noi»sintetizza il tedesco Martin Schulz, il presidentedell’Europarlamento che lo ha invitato nel cuore delleistituzioni del vecchio continente.

Poi il papa firma l’albo d’oro: «Auguro che ilParlamento europeo sia sempre più la sede dove ogni suomembro concorra a far sì che l’Europa, consapevole delsuo passato, guardi con fiducia al futuro per vivere consperanza il presente».

I mugugni non mancano. Gli spagnoli di IzquierdaUnida lasciano l’aula. Jean-Luc Mélenchon, tribuno dellasinistra radicale francese, proclama la sua ritrita ode allalaicità: «Non ammetto la presenza di religiosi in aula, nénel dibattito politico». La liberale olandese Sophie in ’tVeld definisce polemicamente il discorso di Francescocome un “monologo”, quasi avesse scelto lui la modalitàd’intervento. E poi «non ha parlato della condizione delledonne». Per il resto, gli europarlamentari applaudono ascena aperta, anche se in realtà Bergoglio li prende aceffoni, segnalando contraddizioni e ipocrisie chenell’emiciclo sono di casa.

Se per il premier italiano Matteo Renzi quello diFrancesco è «un discorso politico profondamentecondivisibile», Manfred Weber, capogruppo tedesco delPartito popolare europeo (il raggruppamentomaggioritario nell’UE in cui confluisce la gran parte delle

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sigle moderate dei paesi membri), considera le sue parole«una sveglia per l’Europa». Meno scontate le reazionidegli spagnoli di Podemos, il movimento politico natodalle proteste degli indignados, o del Movimento 5 Stellee dei battaglieri greci di Syriza.

Proprio a loro, invece, sembra riferirsi il papa, nellostesso momento in cui scarica platealmente la senilitàdella politica continentale. Un’apertura e un desiderio difiducia, nel suo discorso al Consiglio d’Europa quellostesso giorno, Francesco li ha rivolti proprio ai «politicigiovani» che «affrontano la realtà da una prospettivadiversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse diconocose apparentemente simili ma l’approccio è diverso: lalettera è la stessa ma la musica è diversa».

E, per non essere frainteso, tornerà sull’argomentodurante il volo di rientro a Roma: «Non hanno paura diuscire dalla loro appartenenza, senza tradirla, perdialogare». Secondo il papa, «questo dobbiamoammirarlo. Ne abbiamo bisogno, l’Europa ne ha bisogno».

Nessuna sorpresa, dunque, se Pablo Iglesias arriva aiscriversi al “partito di Francesco”: il leader di Podemospromuove il coraggio di Francesco e si sorprende perl’ipocrisia generale che domina «in un posto come questo,dove ci sono alcuni dei responsabili della situazione didisastro che c’è in Europa». E il Movimento 5 Stellearriva ad adottare la «piattaforma politica di Bergoglio»

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chiedendo «che l’Europa metta in pratica il discorso delpapa».

«Quale dignità potrà mai avere una persona che non hail cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora,il lavoro che lo unge di dignità?» domanda Francesco anonna Europa, «malata di solitudine», sfiduciata verso lesue istituzioni «ritenute distanti», afflitta da «stanchezza einvecchiamento», un’Europa «nonna e non più fertile»,con i suoi vecchi ideali oscurati dai «tecnicismiburocratici». I cristiani, che non sono «un pericolo per lalaicità degli stati e per l’indipendenza delle istituzionidell’Unione», possono dare una mano. Anzi, è propriofacendo tesoro delle proprie radici religiose che l’Europapuò «essere più facilmente immune da tanti estremismiche dilagano nel mondo».

Le reazioni alle parole forti del papa non si sono fatteattendere. Lo schema è quello classico. Si usano i mezzidi comunicazione come grancassa per lanciare messaggitrasversali, e nel frattempo si consolida la strategia diprogressivo isolamento del “Bergoglio-pensiero”, ancheda parte della fronda interna al cattolicesimo, talvolta cosìossessivamente tesa a cercare il pelo nell’uovo da nonrendersi conto di fare il gioco dei “nemici” della Chiesa.Eppure, di fronte a questa obiezione, i “frondisti”rispondono che ciò che conta è la verità, perché

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conoscerla, come scrive l’evangelista Giovanni, «vi faràliberi».

Roberto De Mattei, già vicepresidente del CNR nonchédirettore della rivista «Radici Cristiane» e dell’agenzia diinformazione Corrispondenza Romana, è quel che si diceun “tradizionalista”. All’inizio del 2011, per esempio, conaltri studiosi fece appello a Ratzinger perché impedissel’incontro interconfessionale promosso per ottobre adAssisi, sulla scia di quelli organizzati da Giovanni PaoloII nel 1986 e nel 2002. Secondo De Mattei, quegliappuntamenti potrebbero ingenerare confusione tra la«vera religione» e le altre visioni del mondo.

Dalle pagine di quotidiani e siti internet, De Matteicerca notorietà e proseliti proponendosi come oppositoredel papa argentino in nome della vera cristianità. Secondolui, il discorso di Bergoglio a Strasburgo, «più politicoche profetico», è stato «deludente», «una grandeoccasione mancata». «Bergoglio aveva di fronte a sél’assemblea dei rappresentanti di tutte le nazioni europee:quale platea migliore per denunciare il male contenutonella dittatura del relativismo che oggi minaccia le radicicristiane d’Europa? Invece mi sarei aspettato dal papaparole forti contro la teoria del gender che oggi dilaga. Ocontro la persecuzione dei cristiani nel mondo, come unappello pubblico che avrebbe avuto un effettosignificativo. Avrebbe potuto invitare, ad esempio, tutti i

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parlamentari europei a sottoscrivere una petizione»afferma De Mattei sul blog “Bergoglionate”, che sidefinisce «Un’appassionata lettura critica del pontificato(delle bergoglionate) di papa Francesco».

Nel suddetto blog, per non lasciare dubbi, sopra unacaricatura del pontefice campeggia una citazione di sanVincenzo di Lerino: «Dio alcuni papi li dona, altri litollera, altri ancora li infligge».

Nemmeno le parole di Bergoglio ad Ankara sfuggonoalla sua foga demolitrice: «La debolezza del discorsopapale di Strasburgo ha fatto da sfondo a una Turchia chein questo momento rivendica con orgoglio la propriaidentità islamica, forte, dove senza dubbio confluiscel’eredità secolarista di Atatürk, ma accompagnatadall’antico sogno imperialista ottomano; e il cui cemento èrappresentato dall’islamismo» sostiene De Mattei,secondo cui «il discorso del papa in Turchia potevaessere l’occasione di confronto per rivendicare interritorio turco le radici cristiane d’Europa. Si sarebbecosì lanciato un messaggio del genere: non si puòimmaginare che la Turchia entri nell’UE inalberando conforza la propria identità islamica, pretendendo alcontempo che l’Europa rinunci alla propria».

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PERSECUTORI E PERSEGUITATI

I figli dimenticati della diaspora siriana. Una veglia dipreghiera che zittisce le armi. Bergoglio ha davvero telefonatoad Assad? I musulmani a San Pietro e Francesco nella moschea.Il papa dialogante che non piace agli intolleranti. Le nuovepersecuzioni anticristiane. Guerra sotterranea tra Ankara e ilVaticano: ceffoni diplomatici e ramoscelli d’ulivo.

Mentre in Italia c’è chi si straccia le vesti accusandoFrancesco di viltà perché incapace di alzare la voce indifesa dei cristiani perseguitati, in quei paesi di cui certiintellettuali cattolici vorrebbero essere «voce di chi nonha voce» verifico in prima persona come stanno in realtàle cose.

All’inizio di gennaio del 2015, in una città costiera alconfine tra Siria e Turchia, osservo il pulmino dellaparrocchia cattolica fare discretamente il giro deiquartieri periferici. Raccoglie i figli dimenticati delladiaspora siriana.

Prima ancora del catechismo, bisogna imparare ilturco. «Ma loro apprendono in fretta» dice un’animatriceparrocchiale. A questi bimbi la vita ha già insegnato chetutto, all’improvviso, può cambiare. Un giorno gli adulti

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hanno smesso di sorridere e gli anziani hanno cominciatoa piangere. «Non abbiamo fatto in tempo a salutareneanche la Madonna, ma durante la marcia non abbiamofatto altro che pregare Dio» racconta Maryam. Con lafamiglia ha provato a farsi ospitare in una tendopoli lungoil confine. «Ma abbiamo capito che noi cristiani nonsiamo i benvenuti.» Gli ultimi tra gli ultimi.

Vivere nei campi, nei giorni di pesanti nevicate,significa rischiare una polmonite. In compenso lì arrivanogli aiuti umanitari e non si muore di fame. Non resta chediscendere dai valichi verso il mare, dove è più facilenascondersi, nelle periferie delle città più grandi.

Come Ismail, che ad Aleppo lavorava in un hotel acinque stelle di una nota catena americana: «Quandohanno ucciso i miei cugini ho capito che dovevo portarevia mia moglie e i nostri tre bambini». Ha marciato pergiorni fino a guadagnare il confine settentrionale. «Perprocedere verso la Turchia abbiamo dovuto pagare lemilizie e i doganieri: cinquecento euro a persona, e siamorimasti senza soldi.» Un lavoro fisso non ce l’ha. Unvicino turco lo porta a giornata nei cantieri edili: noveeuro per caricare mattoni dalle 6 del mattino alle 7 disera. I muratori turchi per lo stesso lavoro ricevono iltriplo. I soldi bastano appena per l’affitto. Le piccoleparrocchie cattoliche fanno il possibile, grazie al denarofresco che arriva da Roma.

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Maroniti dal Libano, in seguito ai conflitti tramusulmani e cristiani; greci ortodossi provenienti dalleisole dell’Egeo; armeni in fuga da Cappadocia e Siria.Già nel 1941 la Chiesa di questa zona offrì alloggio airifugiati cechi, maltesi e polacchi. Questi ultimi, prima diemigrare in Palestina, a ricordo del loro soggiorno hannolasciato un’immagine della Madonna di Czestochowa daloro stessi dipinta. Poi, durante la prima Guerra del Golfo(1991), è stata la volta dei caldei fuggiti dall’Iraq.Insomma, nessuno come nella piccola comunità cattolicalocale sa cosa vuol dire essere cristiano in fuga.

Ma intorno ai profughi siriani si respira un’aria semprepiù pesante. E i cristiani, la minoranza più debole, sono ipiù esposti.

In un sondaggio pubblicato nel dicembre 2014,l’università di Hacettepe ad Ankara ha avvertito che lasoglia di tolleranza dei turchi ha raggiunto il limite el’ostilità contro gli sfollati potrebbe esplodere. Per laricerca, oltre il 70 per cento dei turchi vede i siriani comeun onere economico, oltre che come concorrenti sullavoro. E il 50 per cento ha reagito con disappuntoall’idea di avere dei vicini di casa siriani.

«Finora la società turca aveva mostrato un alto livellodi accettazione sociale dei siriani e ha cercato disostenerli» osservano i ricercatori di Ankara, ma in

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mancanza di una politica di accoglienza e stabilizzazione«è probabile che la xenofobia si diffonda rapidamente, ealcuni gruppi potrebbero compiere degli attacchi».

L’aiuto che arriva da Roma, non solo materiale, maanche diplomatico, è decisivo. Nonostante le tensioni,accentuate dopo le parole del papa sul genocidio armeno,le autorità turche lasciano ai cattolici delle regioni diconfine la possibilità di lavorare all’accoglienza deiprofughi cristiani provenienti dalla Siria e dall’Iraq, chealtrimenti resterebbero tagliati fuori da qualsiasiassistenza. Anche di questo Bergoglio deve tenere conto,quando invia un messaggio o formula una denuncia. Unaparola maldestra pronunciata a Roma può ritorcersi contromigliaia di cristiani a diversi fusi orari di distanza.

Anche nella civilizzata Turchia, i cristiani possono nonessere sempre al sicuro. Nel 2006 don Andrea Santorovenne ucciso a Trebisonda. Quattro anni dopo, aIskenderun, fu assassinato il vescovo Luigi Padovese.

«Siamo un piccolo gregge,» dice una suora di Tarso, lacittà natale dell’apostolo Paolo «abbiamo bisogno direstare insieme.»

Meglio dunque alternare le denunce pubbliche aicolloqui privati tra diplomatici.

Agli antipapisti e ai sedevacantisti non piacerà, ma

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Bergoglio non è solo un capo spirituale. È anche un capodi stato, e come tale deve saper suonare secondo spartitidiversi. Proprio come è successo in occasione dellagiornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria.

Sul finire dell’agosto 2013, il Pentagono mette a puntoil piano per un intervento armato aereo. La carneficina ènella logica delle cose. Nel paese si combatte casa percasa. L’esercito del dittatore Assad fronteggia le fazioni diguerriglieri nel cuore delle città. Impossibile colpire incampo aperto. Le conseguenze di un bombardamento sonoinprevedibili e migliaia di civili, già intrappolati nellearee di battaglia, non avrebbero scampo. Le ricadute suscala regionale sarebbero ancora meno calcolabili ecoinvolgerebbero l’intera area mediorientale: Israele, ilLibano, l’Iran, la Turchia del Sud e le zone dell’Iraq giàsotto il controllo dello Stato islamico. Ma la decisione èstata presa, a quanto pare. È questione solo di ore, primache le squadriglie di caccia intervengano.

Papa Francesco non ci sta. Convoca il segretario distato Parolin e i diplomatici di maggiore esperienza e conessi decide una doppia linea d’azione. Una giornata dipreghiera e digiuno affiancata da una serie di interventi ascopo dissuasivo sui leader mondiali. Alle fazionicoinvolte viene chiesto un cessate il fuoco. Il pontefice sache la sua parola da sola non basta di certo a far tacereper sempre le armi, ma punta a ottenere un risultato dal

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grande impatto politico. È così che, il 7 settembre 2013,in Siria le armi sostanzialmente tacciono.

«In ogni guerra facciamo rinascere Caino» dice il papadurante quella veglia di preghiera, di fronte a più dicentomila persone, credenti e non credenti. È unameditazione tra profezia e antropologia, la sua, che indagala radice dell’odio tra fratelli e riecheggia Paolo VIall’ONU con il suo «mai più la guerra».

Sono presenti quasi tutte le sigle cattoliche, e diversiesponenti islamici si sono associati o al digiuno o allapreghiera in diverse parti del mondo, compreso il muftì diSiria nella moschea degli Omayyadi, a Damasco.

Bergoglio non lo dirà pubblicamente, e probabilmentenon l’ha mai detto neanche in privato, ma il messaggio chearriva alle cancellerie è netto e provocatorio. Se il papa,che non ha esercito, e un popolo in preghiera riescono afermare la mattanza per una giornata, com’è possibile chele grandi potenze non riescano a zittire definitivamente itamburi di guerra?

Qualche giorno prima, Sergio Rubin, autorevolegiornalista argentino (e autore con Francesca Ambrogettidel libro Il gesuita, una lunga intervista all’alloracardinale di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio),riferisce dalle pagine del quotidiano «Clarín» di unatelefonata di Francesco ad Assad, nel corso della quale ilpontefice avrebbe chiesto di fermare la guerra.

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Dal Vaticano arriva una smentita fin troppo netta. Eanche l’entourage di Assad nega che i due si siano maisentiti. Ma altre fonti, sia in curia sia in ambienti vicini ainegoziatori dell’ONU, non escludono che il colloquio siaavvenuto.

La verità, probabilmente, la conosceremo tra moltianni. Ma il punto è un altro. Non importa che siano idiplomatici vaticani a contattare i loro omologhi siriani oche sia Bergoglio in persona a chiamare Assad.Ammetterlo, del resto, porrebbe in grande imbarazzo ildittatore, che anche agli occhi dei suoi sostenitori (e nonsolo dei suoi molti avversari) apparirebbe come un leaderdi fede islamica piegatosi al volere del capo dei cristiani.Il risultato, comunque sia andata, arriva. Mentre milioni dipersone – compresi atei, islamici e buddisti – digiunano,viene comunicato che l’intervento americano non ci sarà.

In effetti, da allora, il negoziato è ripartito. Le trattativesi annunciano lunghe ed estenuanti. A condurle per contodelle Nazioni Unite è l’italiano di origine scandinavaStaffan de Mistura. Uno dei diplomatici più astuti edesperti. Un cattolico formatosi nelle scuole romane deigesuiti.

Negli ambienti della diplomazia c’è chi dice di nonaver mai visto niente del genere. «È tutto merito diBergoglio. È riuscito ad attivare i canali giusti e apersuadere gli USA che un attacco sarebbe stato sbagliato,

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perché non avrebbe prodotto risultati e avrebbe sbarratoper sempre la via negoziale» racconta Juan Pablo Cafiero,in quei giorni ambasciatore argentino presso la Santa Sedee molto informato su quegli avvenimenti. «Un giorno,quando si conoscerà tutta la verità su come sono andate lecose, ci sarà anche chi dovrà chiedere scusa al papa.»

Il 7 settembre 2013, dunque, cristiani e musulmanipregano insieme in piazza San Pietro, ognuno con leparole della propria religione. Quando gli imam sifermano a meditare nell’abbraccio del colonnatoberniniano, sovrastati dai crocefissi, dalle statue degliapostoli, da centinaia di simboli cristiani, nessuno ha daridire. Ma basta che il papa metta piede in una moschea,come è accaduto a Istanbul, e si fermi anch’egli insilenzio, come a Roma avevano fatto gli esponentidell’islam, perché si scateni il solito pretestuoso putiferio.

Le persecuzioni nel mondo esistono: è assurdo negarlo,e sarebbe ancora più assurdo affermare che la Chiesa e ilpapa le ignorano.

Tra 150 e 200 milioni di cristiani non possono viverela loro fede liberamente. Il 75 per cento delle violenzeperpetrate contro una minoranza religiosa riguardaproprio i cristiani. Il Libro nero sulla condizione deicristiani del mondo, coordinato dal giornalista Samuel

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Lieven del quotidiano cattolico francese «La Croix», nontralascia alcuna area geografica. Se in Medio Oriente o inalcuni paesi africani come la Nigeria i cristiani sonoentrati nel mirino degli islamisti, in alcune aree dell’Asiasono vittime di estremisti indù e buddisti. E sono oggettodi minacce e violenza anche in America Latina, ilcontinente con il più alto numero di cristiani, dovesacerdoti e operatori pastorali sono spesso bersagliodella criminalità organizzata e del narcotraffico.

Ogni mese nel mondo vengono uccisi in media 322cristiani: più di 10 al giorno; 722 atti di violenza vengonoperpetrati nei loro confronti; 214 edifici fra chiese eimmobili di proprietà di cristiani vengono distrutti odanneggiati.

E c’è persino chi ritiene che le statistiche di OpenDoors USA, una organizzazione non profit evangelica cheassiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni(cattolici, protestanti, ortodossi) in più di sessantanazioni, siano troppo prudenti. Sono numeri che Bergoglioconosce e non nasconde. Molte volte denuncia, moltissimealtre attiva canali diplomatici o interviene personalmenteper trovare soluzioni o chiedere protezione.

Monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per iRapporti con gli stati, ovvero il ministro degli Esterivaticano, il 29 aprile 2015 ha ricordato le principalimosse della Santa Sede su questo drammatico fronte. «La

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prima è stata la convocazione in Vaticano, dal 2 al 4ottobre 2014, dei rappresentanti pontifici del MedioOriente, e degli osservatori permanenti della Santa Sedepresso le Nazioni Unite perché, insieme ai superiori dellaSegreteria di stato e di altri dicasteri della curia romana,riflettessero sulla situazione dei cristiani e la loropresenza nella Regione.» Un summit a cui è seguito, il 20ottobre, il concistoro ordinario dedicato al MedioOriente, «con la partecipazione dei patriarchi delleChiese orientali e del patriarca latino di Gerusalemme».Infine, poco prima del Natale, «il Santo Padre haindirizzato una lettera ai cristiani del Medio Orienteesprimendo loro la vicinanza e la solidarietà della Chiesae ricordando che questa sofferenza “grida verso Dio e faappello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ognitipo di iniziativa”. Inoltre, sono numerosi i suoi appelli infavore dei cristiani e degli altri gruppi che soffrono nellaregione e altrove, invitando la comunità internazionale anon volgere lo sguardo da un’altra parte».

Quello turco rimane il fronte su cui Bergoglio si èguadagnato l’inimicizia delle autorità di Ankara e glistrali dei critici interni al mondo ecclesiale. Stando aquesti ultimi il papa ha fatto, per così dire, la figura delfesso. Perché a Istanbul si è sottomesso pubblicamente aileader islamici e questi, intuendone la debolezza, hanno

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approfittato delle parole sul genocidio armeno per dare ilcolpo di grazia alla credibilità di Bergoglio nel mondoorientale e non solo. Al contrario, non molti sarebberodisposti a scommettere che l’urlataccia di Erdogan sia unadoppia vittoria del pontefice.

Siddharta, lo spione a cui attingo periodicamente nellasperanza di qualche notizia, anche stavolta mi coglie disorpresa. Con il solito stratagemma delle email usa egetta, mi fa arrivare una sua annotazione. Oggetto: “Coseturche”. Promette bene. «Erdogan è nei guai. Avevabisogno di alzare la voce per recuperare qualche voto eper vendicarsi con l’Europa che per anni ha tenuto laTurchia fuori dalla porta. Adesso è lui a non voler piùentrare nell’UE. La Turchia è una potenza economica emilitare regionale e non ha bisogno dell’Europa. Alcontrario è l’Europa ad avere bisogno della Turchia. Quia Londra lo hanno capito subito e anche Downing Street[la residenza del primo ministro, N.d.A.] gioca duro conBruxelles, aprendosi così un varco con le autorità turche.»

Il report di Siddharta è scarno ma efficace. Per quantonon mi abbia mai dato fregature, però, questa volta temoche si stia spingendo oltre. Fornendomi impressionipersonali che lasciano il tempo che trovano. Che me nefaccio dell’opinione di un James Bond? Utilissima quandosi brancola nel buio. Preziosa quando si hanno migliaia diinformazioni spazzatura e non si sa come usare il setaccio.

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Ma pur sempre un’opinione personale, quando inveceavrei bisogno di qualche rapporto ufficiale, meglio se topsecret.

Mentre sprofondo in questi pensieri, continuo a farscendere il cursore. C’è ancora qualche riga da leggere.«Quella di Erdogan è una messa in scena necessaria. Neiprossimi giorni succederanno molte cose. Due sonoimportanti. Non è come credono in molti e forse anche tu.Non perderti una sola parola da Mosca e neanche deigiornali turchi. All the best, Siddharta.»

Che con quel soprannome si sia montato la testa,giocando persino a fare il rabdomante indiano, è fuoridiscussione. Per mesi mi ha riempito la testa di ascesiorientale, karma e altre rispettabili amenità. Non mi hamai convinto. E non avevo torto. Una delle ultime volteche l’ho sentito, mi ha confessato che aveva perso lazucca per la sua istruttrice di yoga. Un’ex modella diorigine indiana dagli occhi verdi.

Giorno dopo giorno registro gli eventi. Sottolineoquelli principali e cerco di collegarli tra loro, ma è comeuna catena con un anello mancante.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan procede conla stessa cautela di un caterpillar. Prima attacca ilVaticano, poi l’Unione Europea, l’Austria, minaccia gliUSA, ritira una mezza dozzina di ambasciatori. I giornaliturchi, con le redazioni guardate a vista dagli scherani del

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presidente, ne raccontano le gesta come se fosse unimpavido Napoleone col turbante. Un saladino come nonse ne vedevano da secoli.

Il Vaticano prima porge l’altra guancia, poi, per boccadi Francesco, manda un messaggio. È giovedi 16 aprile2015, il giorno di santa Bernadette, la bambina che aLourdes dialogava con la Madonna.

Come ogni mattina, Bergoglio si sveglia primadell’alba, si rade, prega e medita prima della messa aSanta Marta. «Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio evuole far tacere quanti predicano la novità di Dio» quasisussurra il pontefice. Ma qual è il segno che rivela cheuna persona non sa dialogare? «La furia e la voglia di fartacere tutti» spiega.

Quella stessa mattina, l’agenzia russa Interfax batte unanotizia: il presidente Vladimir Putin ha fiducia nellapossibilità che venga superata la polemica scoppiata inseguito alle frasi sul genocidio armeno pronunciate daFrancesco. Dichiara Putin: «Non voglio interferire nellapolemica fra il papa e la Turchia. I papi hanno tantaautorevolezza e credo che il papa abbia così tantaautorevolezza nel mondo da riuscire a trovare la stradaper raggiungere un’intesa con tutti i popoli del pianeta, aprescindere dalla loro fede religiosa». Quanto a Erdogan,il capo del Cremlino si dice «fiducioso che la Turchia

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abbia abbastanza intelligenza e flessibilità per risolverequalsiasi problema possa sorgere».

Diavolo di un Siddharta. Erdogan aveva bisogno direcuperare consenso nel paese e regolare vecchi conti coni diffidenti partner europei, spostando l’asse su Mosca,sempre più influente – anche nell’insolito ruolo di paciere– nelle relazioni con l’ex impero ottomano.

Gli sviluppi sono pressoché immediati. Il ministroturco dell’economia, Adnan Yildirim, dalle colonne delquotidiano «Hürriyet», invita papa Francesco a visitare ilpadiglione della Turchia all’Expo 2015. «Saremmofelici» dichiara l’esponente di Ankara «di poter ricevereil papa nel nostro padiglione. Se non potesse venirepersonalmente, daremmo il benvenuto anche a unadelegazione del Vaticano affinché possa conoscere ilvalore della civilizzazione storica della Turchia.»

Per l’occasione, «Hürriyet» usa addiritturaun’immagine biblica, parlando di «ramo d’ulivo» teso dalgoverno turco.

Nina Fabrizio, reporter dell’ANSA dal Vaticano, simette subito a caccia di una risposta. La trova nellapersona del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente delPontificio consiglio della Cultura e commissario generaledel Vaticano per l’Expo 2015. Oltre ad accettare l’invito anome della Santa Sede, Ravasi ricambia la cortesiainvitando a sua volta una delegazione turca.

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Terza Parte

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POTERI SPORCHI

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LE ROTTE DEI NUOVI SCHIAVI

In fuga dall’inferno, respinti dal paradiso. L’ombra delle mafiesui barconi dei disperati. Il business della tratta di esseri umani.«Al papa non conviene accusarci. Sappiamo come fargliarrivare i nostri messaggi.» La longa manus del Califfatoislamico.

Nella movimentata costa turca del Mediterraneo orientaleè bassa stagione. Eppure l’aeroporto di Adana non mancadi viaggiatori in arrivo. Si capisce subito che non sonoturisti. Per i troppi bagagli, e per l’espressione mesta concui gli adulti guardano i propri bambini. Sbarcano inmassa dal Libano. Il visto turistico è ancora concessosenza troppe formalità. Ma loro non sono venuti invacanza. Sono profughi siriani in cerca di una nave chefaccia rotta per l’Europa. La provincia di Adana, a unpaio d’ore dal confine con la Siria, è l’Eldorado deitrafficanti. Migliaia di fuggiaschi rinunciano a tentarel’attraversamento a piedi del confine nord, teatro discontri e atrocità. Perciò scappano in Libano e da lì, con ivoli di linea, risalgono verso Adana, dove a meno diun’ora di treno raggiungono gli alberghi di Mersin, ilporto commerciale più importante della Turchia. Per un

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paio di settimane in una pensione si può spendere non piùdi duecento euro a camera. E di solito quindici giornibastano per saltare su uno dei cargo strappati aidemolitori e rimesso in mare per l’ultimo viaggio:destinazione Italia.

Nella notte di Adana, il profilo scintillantedell’avveniristico hotel americano illuminal’indistruttibile ponte romano a ventuno arcate, volutodall’imperatore Adriano per collegare Anatolia e Persia.Come allora, gli affari che contano passano da qui. Acominciare dal traffico di esseri umani. Un business alquale, secondo varie fonti investigative, non sisottraggono le mafie italiane. È la ’Ndrangheta a vantareappoggi importanti in Turchia. E i principali sospettatisono gli emissari delle cosche ioniche, come la potentefamiglia Iamonte, di Melito Porto Salvo. Più volte, daAdana a Mersin, i pochi disposti a parlare hanno fattoriferimento a certi «amici in Italia». Appoggi logisticinecessari per organizzare le trasferte dei profughi verso ledestinazioni europee. Con il supporto di mediatori italianiche sanno come fare per facilitare il passaggio diproprietà di alcuni dei cargo poi adoperati dai trafficantibasati nel porto di Mersin. La mafia turca, naturalmente,non risulta estranea a questo business, anche se, secondogli ambienti investigativi locali, il suo coinvolgimento siregistra soprattutto in concomitanza con trasferimenti

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massicci di migranti, quando il guadagno è considerevolee può sfiorare i sei milioni di euro per ogni “carico”.

Sebbene le modalità operative si stiano modificando, esi preferisca sempre di più la nave mercantile aitradizionali pescherecci, fonti investigative italiane fannonotare che «da molti anni partono dalla Turchiaimbarcazioni cariche di profughi e la novità, casomai, puòessere quella dell’incremento apprezzabile di persone,passate dalle 1.699 del 2012 alle 2.077 del 2013 e alle9.544 del 2014, con un numero di sbarchi che da 26 del2012 è salito a 55 nel 2014». C’è stato poi un periodo,dall’estate del 2010 al 2012, in cui i trafficanti turchi«hanno fatto ricorso a velieri o lussuosi yacht battentibandiera americana o francese per trasportare sottocoperta siriani, afghani, pachistani e indiani in grado dipagare adeguatamente un viaggio più sicuro» ricorda l’exquestore Piero Innocenti, tra i massimi esperti di trattadegli esseri umani e tra i primi a scoprire la pista turca.

Gli analisti stanno studiando tutte le rotte seguite daibarconi in questi ultimi mesi. E balza agli occhi l’aumentodegli sbarchi sulle coste calabresi. Tra mezzi della marinae navi mercantili dirottate per le operazioni di soccorso,nel 2014 si è intervenuti per 479 volte.

Nei porti a sud dell’Anatolia non è strano che agennaio possa persino nevicare. Le banchine coperte da

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uno strato di ghiaccio rendono difficile il lavoro degliscaricatori impegnati nell’andirivieni di centinaia dicontainer. Ma il gelo non ferma le attività delle decine dinavi ormeggiate a Mersin. Non è uno scalo come gli altri,ma un porto franco che beneficia di agevolazioni fiscali evantaggi sulle importazioni. Impossibile tenere il conto diuomini e merci in transito. In questo caos, individuare icargo in cui potrebbero essere nascosti i migranti diventaun’impresa. Come nel caso della portacontainer Blue SkyM, che portava quasi novecento profughi, o il cargobestiame Ezadeen, che nella stiva progettata per glianimali da macellazione nascondeva oltre cinquecentopersone. Entrambe hanno compiuto manovre al largo diMersin. Per giorni sono sparite dai radar. Fino a quando,in piena notte, hanno acceso le luci di navigazione a pochemiglia dalle coste pugliesi.

Una volta da queste rotte passava la Via della Seta. Maoggi l’oro di Mersin, ultimo scalo prima dell’infernosiriano, è di altro tipo. Lo status di zona franca assicuraalla città seimila attracchi all’anno. Adiacente al porto,dal 1986 sorge l’area tax free colonizzata da faccendieriprovenienti da Europa, Russia, Medio Oriente, Nordafricae Asia centrale. Sono i protagonisti di un giro d’affaristimato in circa 100 miliardi di dollari all’anno. Per farsiun’idea delle sue proporzioni, si consideri che il PIL turcosfiora gli 820 miliardi.

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Il business dei mercantili fantasma, che cambianoproprietà all’ultimo momento rendendo pressochéimpossibile risalire all’ultimo armatore, è in forteespansione. «Le navi vengono acquistate nel Mar Nero eaddirittura in Siria, dove la guerra ha bloccato icommerci» spiega un portavoce della guardia costieragreca «oppure in Turchia, nella zona costiera poco lontanoda Smirne. Lì la concorrenza tra i demolitori è spietata eper poco più di duecentomila dollari si può acquistare unaportacontainer varata mezzo secolo fa e guadagnare ventivolte tanto caricandola con cinquecento migranti.» Ogni“passeggero” paga in media seimila euro. Unicaconcessione, la gratuità per i bimbi piccoli, purchéviaggino in braccio ai genitori.

Perché tutto funzioni occorre che la filiera lavori insincronia. La criminalità turca si occupa di acquistare icargo in età da disarmo. Gli ultimi mercantili approdati inEuropa avevano cambiato proprietà poche settimaneprima. E i nuovi armatori altri non erano che irreperibilicittadini siriani residenti – ammesso che si trattasse dipersone in carne e ossa – in zone di guerra.

I combattenti garantiscono un passaggio sicuro fino aMersin, dove i profughi, con l’appoggio della mafia turca,vengono caricati su gommoni o vaporetti “turistici” etrasbordati sui mercantili ormeggiati fuori dal porto.

Come sia possibile che i mercantili se ne stiano in rada

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per giorni senza che un solo quintale di merce salga abordo, nella totale indifferenza delle autorità portualiturche, non è poi un gran mistero. Giusto un anno fa 110funzionari di pubblica sicurezza sono stati trasferitinottetempo a Mersin. Non si trattava di rinforzi, ma dirimozioni forzate. Gli agenti, alcuni di alto grado, sonostati epurati insieme ad altri quattromila funzionaripubblici (tra cui 120 magistrati) perché “colpevoli” diaver sollevato un polverone intorno a dei casi dicorruzione che mettevano in cattiva luce l’entourage delpresidente Erdogan. Con quanta voglia e con quali poteriquegli stessi poliziotti possano oggi investigare sullagestione del porto di Mersin e le infiltrazioni dell’Isis ècosa facile da immaginare.

Trattandosi di una zona franca, sarebbe meglio non faretroppe domande sul genere di merce trasportata e sullesocietà d’affari che qui hanno preso casa. Mehmet Osmanlavora per un’agenzia di esportazioni. È quel tipo di turcodi poche parole che piace tanto agli impresari europei. «Ame non interessa sapere cosa devono trasportare» spiegacon il tono di chi sta promuovendo i propri servizi. «Io miassicuro che non ci siano intralci. Gli intralci fannoperdere tempo e il tempo costa, e chi mi commissiona illavoro non vuole perdere né tempo né dollari.»

E come fa a evitare quelli che lui chiama intralci?

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Lui sorride, prima di sottolineare con lo sguardo illento movimento con cui infila la mano in tasca per pagareil conto della caffetteria: «Occorre gentilezza, essereospitali e avere molti amici. Nient’altro».

Chi mi ha segnalato Mehmet Osman dice che potrebbesapere qualcosa del traffico di migranti verso l’Europa.Ma è chiaro che con uno come lui è meglio non prenderlatroppo alla larga. «Forse il mio inglese non èsufficientemente chiaro» riprende abbandonando per unattimo l’atteggiamento cerimonioso. «Non mi interessasapere cosa trasportano i miei clienti. Se mi dicono cheoccorre ottenere dei permessi, cambiare proprietà,contattare degli spedizionieri, oppure demolire le navi, iolo faccio. È illegale? No. Loro mi pagano e io al massimoaccelero le cose. La responsabilità del carico non è mia.»

In altre parole, è un “facilitatore”. Non si sporca lemani. Non sbircia dentro i container. O almeno è ciò chevuole farmi credere. Ma è abbastanza sveglio da capireche non la bevo.

Due giorni dopo il primo incontro, Mehmet si rifà vivo.Stavolta parla al plurale. «Abbiamo letto il papa. Non èuna buona pubblicità. Noi non siamo sfruttatori, come dicelui. Noi offriamo una speranza che voi negate. E lofacciamo anche con i fratelli cristiani che scappano dallaSiria. Il papa dice che siamo trafficanti? Lui è libero didirlo e noi siamo liberi di salvare solo gli islamici e

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lasciare i vostri fratelli cristiani in mezzo alla guerra. Epoi qui ci sono chiese cristiane e comunità cattoliche. Noncredo che al papa convenga accusare noi. Sappiamo comefargli arrivare i nostri messaggi.»

Prima di andarsene lascia un biglietto con il nome di uncaffè nel quartiere alla moda chiamato “Marina”, costruitointorno all’elegante porto turistico, nel quale ormeggianodecine di yacht. Sul biglietto ci sono un numero ditelefono e un’affermazione perentoria: «Last time. Godbless you». “Ultima volta, che Dio ti benedica.”

L’appuntamento è sul lungomare. L’arabo che si erafatto preannunciare da Mehmet arriva un quarto d’oradopo, accompagnato da un “amico” che non ha affattol’aria del guardaspalle.

«Salam aleikum, mi dispiace per i vostri colleghiammazzati a Parigi» esordisce ricordando la strage deigiornalisti del «Charlie Hebdo». «Però voi giornalistiesagerate. Parlate di Mersin come se ci fossero milioni dipersone che vogliono andare in Europa. Non è così.»

«Quando parte la prossima nave?»«Insciallah. Non dipende da noi. Adesso fa freddo e

per colpa vostra la polizia è sempre intorno. Ma non è aMersin che dovete cercare i colpevoli. I colpevoli sono acasa vostra.»

In che senso?«I nostri fratelli siriani stanno male. Stanno soffrendo

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per la guerra. Hanno perso figli, amici, parenti, la casa eil lavoro. Chiedono solo di potersene andare da qui, ma ivostri leader non lo permettono, allora si rivolgono anoi.»

A questo punto la conversazione prende una piegasurreale. L’arabo declama la “qualità” del suo “servizio”,a differenza di quanto accade con gli egiziani e i libici.«Le nostre navi non affondano. La gente non vieneammassata, come scrivete voi. Tutti hanno spazio asufficienza. Diamo salvagenti e coperte.»

«Però vi fate pagare seimila dollari a persona eabbandonate i comandi rischiando che vadano aschiantarsi» gli faccio notare.

«Non è mai successo e non accadrà mai. È tuttoprevisto. Il prezzo è quello di mercato. Se fosse piùbasso, le coste sarebbero piene di profughi.»

Inutile provare a smontare questi argomenti.«Se volete fermare questi fratelli caduti nella

disgrazia,» insiste lui «dovete fermare la guerra e aprirele porte dell’Europa.»

«E voi dopo come fareste?» gli chiedoprovocatoriamente.

«Ci sarà un paese da ricostruire. Oggi lavoriamo con laguerra. Domani, Insciallah, lavoreremo con la pace.»

I contrabbandieri di vite sanno che davanti a un

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mercantile stivato di esseri umani, lasciato senza governoe con il timone bloccato in direzione della costa, l’Europanon ha altra scelta morale che evitare le stragi. Ma, comeha scritto il «New York Times», i governi dell’UE

persistono nel credere «che in qualche modo questepersone, che non hanno opzioni legali e nessun’altrasperanza per la propria sopravvivenza, abbandonerannocosì pericolosi tentativi di raggiungere l’Europa». Leautorità turche subiscono una forte pressione di Bruxelles,che vorrebbe maggiori controlli sui siriani e soprattutto lamassima sorveglianza sui mercantili che salpano dai portidel paese. Da Ankara arrivano solo risposteinterlocutorie. Nella regione ci sono almeno 1,5 milioni dirifugiati e in mancanza di un ponte umanitario verso ilVecchio Continente, tutto sommato alla Turchia fa comodoche la pressione migratoria si alleggerisca da sé.

L’economia di guerra, in fin dei conti, ha i suoivantaggi. In questo caso anche per i turchi, che nonmancano di lamentarsi per la cosiddetta “invasione” diprofughi, ma che poi non parlano mai di come questistiano contribuendo alla salute economica dell’interaregione di confine. Alcuni con capitali propri, altrifacendosi sfruttare in campagna o nelle fabbriche daipadroni turchi.

Nelle campagne tra Mersin e Adana, dove l’orizzonteazzurro del mare lascia il posto al profilo innevato dei

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monti dell’Anatolia, centinaia di uomini vengono sfruttatinella raccolta delle arance, nei cantieri edili o nellefabbriche. In mancanza dello status di rifugiati nonpossono ottenere alcun permesso di lavoro. Pur di toglierele famiglie dalle tendopoli e pagare l’affitto di unacamera, accettano qualsiasi condizione. Per una giornatada schiavi riescono a racimolare quindici lire turche,meno di sette euro.

Il fenomeno è finito sotto i riflettori il 30 gennaio 2013,quando nove sfollati siriani sono morti nell’esplosione diuna fabbrica. Allora i sindacati si sono ribellati e ilgoverno ha promesso un giro di vite sugli sfruttatori. Ma,che si sappia, nessuno è mai stato denunciato. I dollari ele braccia dei siriani sono diventati una merceindispensabile per l’economia turca.

Tentare di bloccare la tratta potrebbe dunque avere perla Turchia spiacevoli ricadute. Ma lasciar fare aitrafficanti è ormai una questione di sicurezza nazionale.

In una cosa, infatti, i profughi sono riusciti laddove mainessuno si era spinto: a far sedere intorno allo stessotavolo la mafia turca, quella siriana e gli emissari deigruppi combattenti. Primo fra tutti l’Isis.

Sciiti o sunniti non importa. Il lucroso giro d’affarivale più di una diatriba religiosa. La guerra in Siria e ilconseguente esodo di almeno tre milioni di siriani si sonorivelati infatti un ricco business anche per i jiadhisti, che

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secondo varie fonti sono fortemente coinvolti nel trafficodi esseri umani a scopo di autofinanziamento.

I servizi segreti turchi consigliano di alzare la guardia.La direzione generale della sicurezza (Egm) ha emessouna nota di allerta, segnalando l’esistenza di “celluledormienti” nel paese. Secondo l’informativa dell’Egm,l’Isis starebbe anche «cercando di estendere la suainfluenza nelle moschee, in particolare ad Ankara, Konyae Istanbul». Ma le basi logistiche e finanziarie del gruppoarmato sono altrove: i fondamentalisti disporrebbero di“case sicure” in diverse città, «in particolare Adana eMersin».

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CONTRO IL NUOVO SCHIAVISMO DELLEMULTINAZIONALI

Un’accademia pontificia trasformata in quartier generale.Corporations dalle mani sporche. Tre nomi che scottano. Leruspe del neoliberismo che Bergoglio conosce bene. Combatterecon coraggio e senza violenza. «Il vento si trasformi inuragano!»

Per ordine del papa, è in atto una silenziosa rivoluzioneall’interno degli istituti di ricerca vaticani ospitati nellaCasina Pio IV.

La Pontificia Accademia delle Scienze Sociali,gemella della Pontificia Accademia delle Scienze, haimprovvisamente dismesso i panni della «casa di riposoper scienziati a fine carriera», per usare l’espressionesferzante di un premio Nobel che vi fa parte da lungotempo, ed è stata chiamata a elaborare strategie chiare epraticabili contro lo sfruttamento degli esseri umani.

Entrambi i centri di studio ospitati nella Casina sonocoordinati dal teologo e vescovo argentino MarceloSánchez Sorondo, che indica chiaramente il perimetrodella loro azione: l’analisi dei fenomeni deve essereseguita da denunce e proposte di intervento. Niente

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piagnistei, si passa all’azione sul campo, a costo didiventare una spina nel fianco di governi, istituzioniinternazionali, banche e aziende.

Si tratta dunque di un deciso cambio di rotta, resoevidente dalla nomina di Margaret Scotford Archer apresidente dell’Accademia delle Scienze Sociali.Sociologa britannica nota per i suoi studi control’individualismo e il relativismo, Margaret ScotfordArcher è nemica giurata del “pensiero debole”.

Diversi personaggi atipici hanno cominciato afrequentare la Casina Pio IV: leader di organizzazioni nongovernative, nerd provenienti dalle migliori università delmondo, economisti borderline, sociologi e investigatori.C’è chi entra indossando una t-shirt con un logo no-global,chi si trascina dietro un paio di computer portatili, altriarrivano in grisaglia scura da diplomatico di lungo corso.Come nelle formazioni calcistiche, ciascuno ha un ruolo.Diritti umani, esperti nel contrasto finanziario alle mafie,consulenti che sanno muoversi nell’ombra del sottoboscopolitico, filosofi dell’economia e ingegneri capaci dismontare a mani nude un satellite per comunicazionimilitari.

È così che sono state avviate sessioni che si sonotradotte in circostanziate denunce. A cominciare dairapporti, dettagliati e documentati, contro alcunemultinazionali.

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Mai prima d’ora il Vaticano si era spinto a tanto,facendo pubblicamente i nomi di chi si arricchisce sullosfruttamento dei lavoratori.

Il 2 e 3 novembre 2013, in collaborazione con laPontificia Accademia delle Scienze, la PontificiaAccademia delle Scienze Sociali tiene un workshop inVaticano intitolato La tratta di esseri umani: unaschiavitù moderna.

Per l’occasione, arrivano a Roma ottantatré personalitàda ogni continente. Tra essi l’economista StefanoZamagni; Mary Ann Glendon, professoressa ad Harvard;il politologo americano Allen Hertzke; il cinese Hsin-ChiKuan, docente all’università di Hong Kong; Marcelo eCarola Suárez-Orozco, dell’università di California. Trale new entry anche lo spagnolo José Antonio Lorente,direttore del Laboratorio di identificazione geneticadell’università di Granada e promotore di un gruppo diinformatici che sta lavorando al primo registro mondialedel dna appartenente a bambini scomparsi. Certo non èpassata inosservata la presenza della biondissima texanaMelissa Holman, assistente del procuratore generale delTexas, lo stato USA con il maggior numero di migrantiirregolari provenienti dal Messico. Secondo stimeufficiali, nel 2014 i minori non accompagnati da adulti che

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sono riusciti a eludere il filo spinato e le barriere deicontrolli sono stati sessantamila.

Nel messaggio preparatorio al workshop, monsignorSorondo non nasconde la propria sorpresa. «Secondo ilrecente rapporto dell’UNODC 2012 [l’agenzia delleNazioni Unite contro la criminalità organizzata, N.d.A.]sul traffico di esseri umani, l’ONU ha iniziato a essereconsapevole di questo crimine crescente solo nel 2000insieme con gli effetti emergenti della globalizzazione eha, successivamente, preparato un protocollo sullaprevenzione, soppressione e persecuzione del traffico diesseri umani, in particolar modo donne e bambini,adottato congiuntamente alla convenzione contro lacriminalità organizzata transnazionale, firmato da 117parti.»

Fino a quindici anni fa, dunque, non vi era stata alcunainiziativa coordinata su scala internazionale contro imoderni schiavisti. Di fatto concedendo agli sfruttatori unenorme vantaggio. A tal punto che in molti paesi losfruttamento delle persone è accettato o considerato quasinormale.

L’Organizzazione internazionale del lavoro stima che,globalmente, siano 20,9 milioni le vittime del lavoroforzato. «Questa stima include anche le vittime della trattadi persone a scopo di manodopera e sfruttamentosessuale» ricorda Sorondo. «Ogni anno, secondo le stime,

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circa due milioni di persone sono vittime del trafficosessuale, il 60 per cento delle quali sono ragazze. Iltraffico di organi umani raggiunge quasi l’uno per cento diquesta cifra, colpendo quindi circa ventimila persone acui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, inmaniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas,cornea, polmone e persino il cuore, non senza lacomplicità di medici, infermieri e altro personale, che sisono invece impegnati a seguire il giuramento diIppocrate: Primum non nocere. Ma queste cifreagghiaccianti rappresentano solo la punta dell’iceberg, dalmomento che i criminali in genere fanno di tutto per nonfar scoprire le loro attività.»

«Alcuni osservatori» dice monsignor Sorondo«sostengono che, tra pochi anni, la tratta di personesupererà il traffico di droga e di armi, diventando cosìl’attività criminale più lucrativa del mondo.» Sorondo nonè d’accordo. Stando alle informazioni che ha potutoraccogliere attraverso gli esperti consultati dalla SantaSede, «il traffico di esseri umani ha già raggiunto il primoposto, perché, lungi dall’essere un crimine sociale indeclino, la sua presenza si fa sempre più minacciosa. Latratta internazionale a sfondo sessuale non è limitata allezone povere e sottosviluppate ma si estende virtualmente atutte le regioni del mondo. Mentre i paesi con una grande(spesso legale) industria del sesso generano la domanda

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della tratta di donne, ragazze e bambine, sono i paesieconomicamente più depressi quelli che li rifornisconomaggiormente. È qui, infatti, che i trafficanti possonoreclutare le vittime con maggior facilità. Le regionid’origine della maggior parte delle vittime dellosfruttamento sessuale sono le ex repubbliche sovietiche,l’Asia e l’America Latina».

Nella mente di papa Francesco una cosa è chiara. Latratta di esseri umani è un fenomeno “indotto”. Le personenon si consegnano di propria iniziativa ai propri aguzzini.Accade sempre per cause politiche, economiche e sociali.I lavori della Casina Pio IV lo confermano econtribuiscono a fornire informazioni e analisi che il 22maggio 2014 confluiscono nel messaggio inviato dalpontefice alla conferenza mondiale dell’ILO,l’Organizzazione internazionale del lavoro.

«La disoccupazione sta tragicamente espandendo lefrontiere della povertà» scrive Francesco, secondo cui«un altro grave problema […] che il nostro mondo deveaffrontare è quello della migrazione di massa: già ilnotevole numero di uomini e donne costretti a cercarelavoro lontano dalla loro patria è motivo dipreoccupazione. Nonostante la loro speranza per un futuromigliore, essi frequentemente incontrano incomprensioneed esclusione per non parlare di quando fanno

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l’esperienza di tragedie e disastri. Avendo affrontato talisacrifici, questi uomini e donne spesso non riescono atrovare un lavoro dignitoso e diventano vittime di unacerta globalizzazione dell’indifferenza.» Una situazioneche li espone a nuovi e peggiori pericoli, «quali l’orroredella tratta di esseri umani, il lavoro coatto e la riduzionein schiavitù. È inaccettabile che, nel nostro mondo, illavoro fatto da schiavi sia diventato moneta corrente.Questo non può continuare!»

Il grido d’allarme di Francesco arriva a Ginevra, dovesi svolge l’assemblea. Ma il papa, anche a costo dirischiare l’accusa di ingerenza in affari interni di altrelegislazioni, arriva a invocare scelte politiche, e non lo fain modo generico: «La tratta di esseri umani è una piaga,un crimine contro l’intera umanità. È giunto il momento diunire le forze e di lavorare insieme per liberare le vittimedi tali traffici e per sradicare questo crimine che colpiscetutti noi, dalle singole famiglie all’intera comunitàmondiale».

In che modo? «Un rinnovato impegno a favore delladignità di ogni persona; una più determinata realizzazionedegli standard internazionali sul lavoro; la pianificazioneper uno sviluppo focalizzato sulla persona umana qualeprotagonista centrale e principale beneficiario; una nuovavalutazione delle responsabilità delle societàmultinazionali nei paesi dove esse operano, includendo i

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settori della gestione del profitto e dell’investimento; euno sforzo coordinato per incoraggiare i governi afacilitare gli spostamenti dei migranti a beneficio di tutti,eliminando in tal modo la tratta di esseri umani e lepericolose condizioni di viaggio.»

È in quel preciso momento che papa Francescodichiara guerra alle corporation.

Scorrono i mesi e papa Francesco appare sempre piùinsofferente ai proclami e alle enunciazioni cui nonseguono impegni concreti. Non ci sta a osservare come ilgarbo istituzionale e la mitezza della Santa Sede venganoscambiati per ingenuità o, peggio, per quella prudenza chepuò diventare un paravento dietro a cui a malapena siintravedono le ombre dei cultori della religione del piùforte. Quelle ombre hanno nomi e cognomi. E dietro queinomi ci sono interessi colossali che schiacciano le vite dimilioni di persone. È a questo genere di compagnie cheallude Francesco quando suggerisce «una nuovavalutazione delle responsabilità delle societàmultinazionali». Sa bene che le holding non potrebberomietere profitti e macinare record in borsa se nonavessero dalla loro la benevolenza, quando non lacomplicità, dei governi.

Nella Casina Pio IV ci lavorano sopra per settimane.Ciascun esperto apporta il suo contributo. Ognuno dice

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quel che vuole, nella più totale libertà. Alla fine sielabora un documento comune, approvato e firmato daciascuno degli ottanta esperti, corredato da una serie diquaderni.

Leggerli si rivela istruttivo. Ma non è questo lo scopo.L’obiettivo degli estensori è far conoscere ciò che hannoappreso e condiviso in gruppo. E rivelarlo sotto l’egidadella Santa Sede.

Ci sono alcuni esempi, vicende in cui appaiono i nomidi tre grandi multinazionali dell’abbigliamento. Aziendeche non si sporcano le mani e che, secondo uno schemarodato, si trincerano dietro norme confezionate a loro usoe consumo.

Come funzionino queste norme su misura è presto detto.Si commissiona a un’industria locale la realizzazione deiprodotti a cui poi si appone il proprio marchio. Unaspecie di produzione per conto terzi, nella quale lamultinazionale beneficia del massimo dei vantaggi e lafiliera locale si assume tutti i rischi. Per capirlo non serveun master in Economia: per guadagnare di più occorreabbassare il costo della manodopera, aumentare il numerodelle ore lavorate e tenere a bada i sindacati.

Non era mai accaduto che dal colonnato del Bernini silevasse un’accusa così diretta. Parole che nessuno hapensato di eliminare dagli atti depositati al termine dellaconferenza sulle nuove schiavitù. A pronunciarle è un

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amico del papa. Un compagno di battaglia non credentediventato di casa in Vaticano. Lo incontreremo altre voltenelle pagine di questo libro: è Gustavo Vera, il presidentedella ONG laica e aconfessionale argentina Fundación LaAlameda, con cui, da arcivescovo di Buenos Aires,Bergoglio ha collaborato per anni.

Maestro elementare, Gustavo Vera aveva cominciatocome attivista in un sindacato di insegnanti, ma la sua vitaè cambiata nel 2006, quando sei lavoratori clandestiniboliviani morirono nell’incendio di un laboratorio tessileillegale. Da allora è diventato la voce più insistente eascoltata contro lo sfruttamento della manodoperaclandestina, la tratta di persone destinate allaprostituzione e il traffico di droga.

Insomma, Vera è uno di quegli uomini che insiemeall’allora cardinale di Buenos Aires ha rischiato e rischiaancora la vita per combattere i poteri sporchi. Anche perquesto fa la spola tra l’Argentina e casa Santa Marta. Nonc’è sua denuncia che non venga prima visionatadall’amico diventato papa.

E proprio Bergoglio ha voluto che Vera divenisse unodelle punte avanzate della lotta per i diritti umani,mostrandosi spesso in sua compagnia. Un modo perribadire che il sodalizio non si è interrotto, ma anche perscoraggiare chiunque volesse torcere un capello a

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Gustavo o ai ragazzi della sua organizzazione, più voltedestinataria di minacce e avvertimenti.

In Vaticano, Vera dice chiaramente che multinazionali emafia attingono allo stesso bacino fatto di politici corrottie banche prive di scrupoli. «Senza le coperture politiche icriminali e gli sfruttatori non potrebbero fare i propriinteressi. E senza le banche e i paradisi fiscali nonpotrebbero riciclare i loro miliardi di dollari sporchi.»Anche se questo costa «la schiavitù e l’umiliazione dimilioni di persone».

Nei suoi anni argentini Gustavo Vera, diventatopaladino della legalità e dei diritti umani, ha denunciato114 marchi nazionali ed esteri. La giustizia spesso gli dàragione. Ma poi gli schiavisti ricominciano. Da qualchealtra parte. In Vaticano, però, Vera ha portato tre nomiprecisi. Bergoglio sa che li pronuncerà. E Gustavo non ètipo da tirarsi indietro: «Zara, Adidas e Puma» scandisce,sapendo di aver rotto un tabù.

È probabile che anche le tre multinazionali se loaspettassero. Da anni sostengono di aver attivato politicheper la prevenzione dello sfruttamento nei propristabilimenti e in quelli dei fornitori. Ma Vera, spalleggiatodalla Santa Sede, non indietreggia. In Asia, Africa,America Latina ed Europa dell’Est, le fabbriche chelavorano per conto delle tre compagnie d’abbigliamento

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«hanno ridotto gli immigrati in schiavitù in modoassolutamente abietto».

«Zara ha già denunce penali in 14 paesi» si legge nelreport della Casina Pio IV. «Di quante altre ancora c’èbisogno perché il governo spagnolo [paese nel quale ilgruppo ha il suo quartier generale, N.d.A.] esca alloscoperto e faccia qualcosa?»

I gruppi finiti nella black list vaticana minimizzano.Zara ha cercato di porre rimedio ai rischi per la propriaimmagine annunciando iniziative filantropiche e maggioricontrolli sull’intera filiera. Ma nei “quaderni” dellaPontificia Accademia delle Scienze Sociali restanoallusioni pesanti. «Zara ha pagato una multa in Brasile, maintanto accadono fatti gravi in stabilimenti nel Bangladesh,in Argentina e in altri stati.»

Nel dicembre del 2013, in effetti, la procura deldipartimento del lavoro del Brasile ha raggiunto unaccordo con il marchio spagnolo Zara per ridurre la multastabilita dopo che l’azienda era stata accusata dischiavizzare i lavoratori. La società ha accettato di pagare1,8 milioni di dollari, molto meno dei 10,7 milionicomminati inizialmente. L’accordo iniziale prevedeva cheZara in futuro sarebbe stata ritenuta responsabile per lecondizioni dei lavoratori nelle ditte brasiliane da cui sirifornisce. Nella nuova intesa, invece, le viene chiestosolo di rafforzare i controlli.

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Bazzecole per il suo proprietario, il galiziano AmancioOrtega Gaona, che con un patrimonio stimato in 57miliardi di euro è l’uomo più ricco d’Europa e al quartoposto nella classifica mondiale della rivista economica«Forbes».

Dopo l’intervento di Vera, più d’uno in Vaticano erapronto a scommettere che l’attivista non sarebbe mai piùstato invitato a sessioni ufficiali di organismi della SantaSede. Il suo linguaggio e il suo tono non si addicono allelingue di fustagno che per anni, dietro un apparenteperbenismo, hanno chiuso occhi e orecchie davanti ascandali e abusi che spesso Benedetto XVI ha dovutoaffrontare quasi in solitudine.

È andata al contrario. Gustavo Vera è ormai un habituédei sacri palazzi. Un ariete lanciato contro quei poteri chesi fanno forti speculando sui più deboli. Rassicurato dallabenedizione del pontefice e rinfrancato dall’agendadell’Accademia pontificia, ha ottenuto senza neanchechiederlo che la sua denuncia divenisse parte di undossier stampato con l’effige vaticana.

«Siamo nella Pontificia Accademia e abbiamo un papacome Francesco, dobbiamo cogliere questa opportunitàper compiere una rivoluzione morale. Non posso dirviesattamente dove siamo in grado di arrivare, ma possodire esattamente da dove veniamo» osserva Vera.

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Certo, la battaglia si preannuncia difficile. Le societàdi rating e le banche d’affari, così attente a bocciare leidee di Bergoglio nel campo dell’economia, non hannonulla in contrario se le multinazionali obbligano gli esseriumani alla schiavitù. I tre marchi citati durante i lavoridella Pontificia Accademia delle Scienze non hannosubito contraccolpi né minacce di downgrade, il temutoribasso della valutazione finanziaria. I soldi non hannoodore. Neanche quello del sudore e delle lacrime di chi atesta bassa e per pochi spiccioli permette a imprenditorispregiudicati di scalare la classifica mondiale dei ricconi.

Eppure, quelle contro le “grandi firme” non sonoaccuse campate in aria. L’ideologia non c’entra. Non èquestione di marxismo contro capitalismo. La«globalizzazione dell’indifferenza» di cui parla Francescol’ho vista con i miei occhi tante volte. Soprusi che papaFrancesco conosce personalmente. Ha visto le ruspe chedisboscano le foreste sudamericane. I contadini sfrattatidalle terre che coltivavano da secoli. Gli ultimi della terraguadagnarsi da vivere raccogliendo i rifiuti nei quartieridei ricchi.

«Jorge Bergoglio ci ha accompagnato per anni nelprocesso di organizzazione di cartoneros, campesinos,venditori ambulanti, artigiani, sarti, fabbriche recuperate,eredi della crisi portata dal capitalismo neoliberista» diceJuan Grabois, responsabile della Confederazione dei

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lavoratori dell’economia popolare. Insieme ad altritrecento delegati, il cartonero argentino arriva in Vaticanoper una tre giorni, dal 24 al 26 ottobre 2014, chetrasforma la Santa Sede in un vivace social forum suigeneris.

La platea è di quelle mai viste all’interno delle MuraLeonine. Ci sono i delegati dei movimenti popolaridell’America Latina ed esponenti no-global da tutto ilmondo. A rappresentare l’Italia, arrivano perfino dalcentro sociale Leoncavallo di Milano. Ospite d’onore,invitato a cena con il papa per un incontro privato einformale, è il presidente della Bolivia Evo Morales. E,per la gente riunita sotto l’egida del Pontificio ConsiglioGiustizia e Pace e della Pontificia Accademia delleScienze Sociali, Morales non è solo un capo di stato: è “elIndio”, il leader del movimento sindacale dei cocaleros, icontadini della coca, una pianta che le popolazioni andinecoltivano da millenni sia per ragioni medicinali sia permotivi religiosi.

I poveri «vogliono essere protagonisti» dirà il papa inquella occasione, e «non aspettare a braccia consertel’aiuto di ONG o piani assistenziali che non arrivano mai».O che, se arrivano, lo fanno magari in un modo sbagliato,per «anestetizzare e addomesticare» gli ultimi della terra.

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Basta dunque con la solidarietà fatta di «sporadicigesti di generosità», quando invece occorre «un modo difare la storia» che ambisca a contrastare «l’impero deldenaro».

Quell’impero che lascia senza lavoro «un’interagenerazione di giovani» e che permette lo “scandalo”della fame, dove «milioni di persone soffrono e dall’altraparte si scartano tonnellate di alimenti».

Il commento dei leoncavallini, da sempre più a sinistradella sinistra, dice tutto lo stupore di quei tre giorni:«Abbiamo avuto la sensazione di vivere in un mondo allarovescia. Ma il Leoncavallo non si è convertito»assicurano.

Lo spirito con cui il Leonka è andato in Vaticano è lostesso con cui mandò una delegazione a Porto Alegre peril social forum brasiliano del 2002. «Capimmo che in quelcontinente i linguaggi del cambiamento erano due: quellodelle sinistre e quello del cattolicesimo sociale. Quellarete mondiale di relazioni che si opponeva allaglobalizzazione ha continuato a esistere, a comunicare e alottare nelle grandi occasioni di incontri mondiali e nellocale, anche quando i riflettori erano spenti. Cosìabbiamo fatto noi e così i nostri compagni degli altricontinenti.»

Diceva il brasiliano dom Hélder Câmara, domenicanoche fu arcivescovo a Recife: «Quando do da mangiare ai

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poveri, dicono che sono un santo. Quando chiedo perchénon hanno da mangiare, dicono che sono un comunista».

Anche Bergoglio dice qualcosa di simile. «Se parlo diterra, casa e lavoro, per alcuni il papa è comunista.»Invece «quello per cui voi lottate sono diritti sacri»scandisce davanti a indios, contadini, nomadi senza terra,cartoneros e abitanti delle periferie.

Lo fa con un lungo discorso nella lingua del cuore, lospagnolo. In gran parte parlando a braccio.

Tra le parole che più ricorrono ce n’è una che riempiedi coraggio i presenti: lotta. «Continuate con la vostralotta, fate bene a tutti.» Che non sia, però, una lotta fine ase stessa. Bisogna combattere «con coraggio ma anche conintelligenza, con tenacia ma senza fanatismo, con passionema senza violenza».

«Avete i piedi nel fango e le mani nella carne, odoratedi quartiere, di popolo di lotta, siete un torrente di energiamorale.» E allora «il vento di promessa, che ravviva lasperanza in un mondo migliore, si trasformi in un uragano.Questo è il mio desiderio».

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CONTRO I TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI

Bergoglio a Lampedusa. Un papa che non fa sconti a nessuno…nemmeno al Vaticano. Un archivio del dna che salverà ibambini. Lo spettro dei desaparecidos e gli scheletri nell’armadiodella Chiesa argentina. Cosa si cela negli archivi cheFrancesco vuole aprire?

«Certo che è capitato. Issiamo la paranza a bordo e certevolte s’impigliano vestiti, scarpe. E pure qualche pezzo diquei poveri cristi.»

Lungo il pontile i pescatori lampedusani hanno il voltosdegnato: «È una strage senza fine. E se qualcuno sa comefare, si muova, non è giusto morire così».

Papa Francesco è stato qui l’8 luglio 2013, per laprima visita fuori Roma. Una scelta precisa, indicativadell’intero pontificato. Contrariato dall’ennesima strage diboat people, il papa non ha voluto politici tra i piedi. Conl’escamotage del “pellegrinaggio privato”, Bergoglio hadispensato i rappresentanti delle autorità dal doverpresenziare.

Ma per capire cosa muova Francesco quando si trattadi migranti, bisogna tornare indietro di qualche anno e diundicimila chilometri.

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Povertà, sradicamento, sofferenza. La realtà degliimmigrati che sbarcano sulle coste italiane non è moltodiversa da quella delle tante periferie di Buenos Aires.Jorge Bergoglio discende egli stesso da famiglie diimmigranti piemontesi e liguri, che come tanti altri italianiscelsero quale destino proprio il Rio de la Plata. Oggi,nella megalopoli bonaerense, i clandestinos provengonoda paesi come la Bolivia, il Perù e il Paraguay, o daidistretti più poveri della stessa Argentina.

Durante un’omelia del 2003, per esempio, Bergogliosottolineò «le difficoltà che hanno tanti migrantes a esserericonosciuti quali persone». Grazie alla loro presenza,«Buenos Aires è una città dai mille volti. Sono parte diquesto paese» disse mettendo l’accento su due problemifondamentali, l’identità e l’integrazione.

«Un altro aspetto al centro dell’attenzione di Bergoglioè l’intreccio immigrazione, prostituzione-narcos e illavoro in condizioni di schiavitù» spiega FrancescaAmbrogetti, storica firma dell’ANSA dall’America Latinae autrice, con Sergio Rubin, del libro-intervista Il gesuita,l’unica rilasciata dal cardinale Bergoglio prima diacquistare il biglietto di sola andata per Roma. «Sonotante infatti le donne che giungono a Buenos Aires vittimedella tratta delle persone.»

Frattanto, come una fossa comune il Mediterraneo

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inghiotte i naufraghi salpati alla conquista di un Eldoradoche non esiste più, ma che appare pur sempre migliore diuna vita di stenti. Un cimitero negli abissi che ogni tantoriemerge per gridare la barbarie dei trafficanti. Sulle rotteverso la “Penisola dei sogni” ne sono morti almenoquarantamila, negli ultimi dieci anni. «Però chi lo saquanti altri non arrivano, non sono arrivati, e nonarriveranno mai» sbuffa il vecchio Gerlando mentre silascia dondolare sul suo barcone bianco, rosso e blu. Lafaccia del pescatore sarebbe piaciuta a Hemingway.Sembra un naufrago con la faccia scura da sultano. Labarba bianca è curatissima, al contrario dei radi capelli,che non vedono le forbici da chissà quante lune.

Dal porto vecchio di Lampedusa gli uomini salpanoquand’è buio. Qualche volta mettono la prora a unabracciata dalle acque tunisine. Ed è in quel pellegrinare,pregando affinché le reti si gonfino, che a volte capita diincrociare un cadavere galleggiante o quel che resta di unnaufragio di cui nulla mai si saprà. «E se vediamoclandestini in difficoltà, per salvarli ci buttiamo pure colmare brutto, ma ai morti ormai non ci possiamo fare piùniente.»

Nonostante l’odiato fermo biologico, che obbliga apause periodiche per dare alle acque il tempo diripopolarsi, i “braccianti del mare” si radunano ognigiorno a bordo di barche coloratissime. Si infervorano se

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devono convincere che il pescato «non è più quello di unavolta». Si agitano quando c’è da prendersela con «queifarabutti che si sono inventati il fermo-pesca nel periodoin cui i pesci non si riproducono». Ma balbettano sedevono parlare «di questa ecatombe di povirazzi».

Non c’è inerzia nel cuore dei lampedusani. Bisognastare con loro quando si fa notte e gira la voce di nuovisbarchi. Famiglie di pescatori, giovani in motorino,anziane signore con thermos e biscotti, «casomai iclandestini avessero sete, mentre le guardie li contano noici possiamo dare un po’ d’acqua». Intanto si appostanosullo scoglio che si affaccia all’imboccatura del portonuovo. Scrutano i riflessi lontani del mare nero. Pocosotto le motovedette ormeggiate in attesa di ordini. «E chepossiamo fare?» commenta Franco, che con signora, figliae genero si è portato anche la canna da pesca. «Comunquecerte volte» aggiunge Nino, lampedusano emigrato aMilano e tornato a casa per le ferie «forse basta unsorriso, una parola di incoraggiamento, un saluto. Magariin mezzo ci sono delinquenti, ma non tutti.» Nino ricordabene quando è partito «da qua per cercare un postoall’Alfa. Io lo so che significa andarsene senza niente esenza sapere come andrà a finire».

«La tratta delle persone è proprio la schiavitù più estesa

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in questo XXI secolo!», papa Francesco scandisce questeparole nel suo messaggio di Pasqua del 2013. Non usariferimenti indeterminati, né lascia spazio ainterpretazioni. «La schiavitù più estesa.» Dunque,l’impegno numero uno per chi nella Chiesa è chiamato adarsi da fare per la giustizia sociale.

E si sa che, alle parole, Bergoglio fa seguire sempre ifatti. La Pontificia Accademia delle Scienze Sociali,ormai trasformata per volontà del papa in un vero eproprio laboratorio di idee, viene subito messa al lavoro.Per qualche mese, l’istituzione guidata da monsignorSorondo raccoglie denunce e progetta linee d’intervento,coinvolgendo all’occorrenza esperti e istituzioniinternazionali.

Infine, dopo una gestazione di qualche mese, il 3novembre 2013, in occasione del già citato workshop inVaticano contro la schiavitù moderna, l’Accademiaproduce una ferma dichiarazione contro la tratta degliesseri umani. Il pontefice ne conosce i contenuti e lafinalità. Anzi, confermano dalla Casina Pio IV, è stato «ilregista principale».

Si comincia da un principio universale: «Qualsiasirapporto che non rispetti la convinzione fondamentale chetutte le persone – uomini, donne, bambini e bambine –sono uguali e hanno la stessa libertà e dignità costituisceun grave crimine contro l’umanità». Eppure, nonostante gli

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sforzi di molti, «la tratta di esseri umani – la forma piùestesa di schiavitù nel nostro XXI secolo – è una piaga digrandi dimensioni in tanti paesi del mondo. Le vittimesono nascoste in abitazioni private, stabilimenti illegali,fabbriche, aziende agricole, dietro porte chiuse e in altriluoghi delle città, dei villaggi e delle bidonville sia dellenazioni più ricche, sia di quelle più povere del mondo. Lasituazione non migliora ma, al contrario, si staprobabilmente deteriorando».

Per quanto possa apparire pleonastica, questaaffermazione riassume per intero le critiche del ponteficeal sistema politico ed economico imperante, di cuisecondo il papa le migrazioni sono la diretta conseguenza.

«È ormai impellente, perciò, la necessità disopprimere la tratta di esseri umani e tutte le forme disfruttamento, in particolare la prostituzione, il lavoroforzato, il prelievo di organi, e l’uso di minori nellospaccio di droga e nella produzione di materialepornografico, specialmente su internet.»

Non sono ambiti segnalati a caso fra i tanti, ma prioritàda sottoporre ai leader del mondo. Cominciando daldiritto internazionale: «La tratta di esseri umani in tutte lesue forme, e in particolare la tratta ai fini dellosfruttamento sessuale e della prostituzione, dev’esseredichiarata un crimine contro l’umanità. I trafficanti devonoessere perseguiti sulla base di leggi chiare a livello

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internazionale e nazionale, che comprendano la confiscadei profitti derivanti dalle loro attività illegali, in modo dipoter risarcire completamente le vittime con quei fondi».

Il riferimento è diretto. All’ONU sono state firmateconvenzioni sui temi più disparati, ma nulla è stato maistabilito a proposito del traffico di persone. Un delittoprevalentemente relegato ai sistemi normativi locali.

«Le parti interessate, a tutti i livelli, hanno il doveremorale e legale di sopprimere questo crimine control’umanità e di impegnarsi ad assicurare che tutti gli esseriumani convivano in libertà, uguaglianza, armonia e pace,secondo i valori comuni e condivisi dall’umanità.»

Ovvio che all’interno delle Mura Leonine non siaspettino granché dagli organismi deputati. Ma questavolta accade un fatto inatteso. Il documento conclusivoapprovato dagli studiosi convocati dall’Accademiacontiene una serie di esortazioni. E stavolta non vienerisparmiato neanche il Vaticano, rimasto indietro nellafirma di alcune convenzioni internazionali.

Per raggiungere lo scopo, la Casina Pio IV annunciauna campagna martellante: «Col sostegno degliaccademici, dei leader morali e religiosi, insiemeall’influenza di un movimento globale e dei socialnetwork, dobbiamo portare alla luce questi crimininascosti utilizzando le tecnologie odierne e operando

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attraverso istituzioni nazionali e internazionali buone egiuste. È per noi un imperativo morale rendere la nostral’ultima generazione che debba combattere il commerciodi vite umane».

Il primo elenco di “suggerimenti” è rivolto alla SantaSede, a cui vengono chiesti sette impegni:

1. firmi e ratifichi la Convenzione ONU del 1949 per larepressione della tratta degli esseri umani e dellosfruttamento della prostituzione;

2. firmi e ratifichi il Protocollo ONU del 2000 sullaprevenzione, soppressione e persecuzione del traffico diesseri umani, in particolar modo donne e bambini(“Protocollo di Palermo”);

3. ratifichi la Convenzione del Consiglio d’Europa del2005 sulla lotta contro la tratta degli esseri umani;

4. si impegni affinché le Missioni permanenti dellaSanta Sede presso le organizzazioni internazionaliinsistano sull’urgenza di una strategia globale contro latratta di esseri umani;

5. incoraggi la ratifica della Convenzioneinternazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratorimigranti (18 dicembre 1990) e la Convenzione sul lavorodignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domesticidell’OIL (16 giugno 2011) e raccomandi l’inclusione deilavoratori domestici e agricoli nelle norme sul lavoro alivello nazionale;

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6. promuova un movimento che assicuri l’impegnodella Chiesa cattolica e di tutti gli uomini e le donne dibuona volontà a fermare la tratta di esseri umani e laprostituzione; ciò dev’essere affermato nei termini piùchiari e decisivi possibili;

7. incoraggi gli ordini religiosi maschili a collaborarecon gli ordini religiosi femminili per alleviare lasofferenza immediata delle vittime della tratta e la loroesclusione sociale a lungo termine.

Non sono esortazioni da poco. Perché, anche senzadirlo, costituiscono un atto d’accusa nei confronti di chiall’interno del Vaticano, in tutti questi anni, non ha presola stilografica per siglare le convenzioni internazionali.

A questo punto tocca alle organizzazioni internazionali,invitate a sottolineare «con enfasi che la tratta di esseriumani è innanzitutto un crimine contro l’umanità» e ainserire «la fine della tratta di esseri umani come puntospecifico negli obiettivi di sviluppo globali post-2015».Perciò, esse devono intraprendere «ogni azione possibileper ridurre la domanda di tutte le forme di sfruttamentoche danneggiano la vita umana, e soprattutto losfruttamento ai fini sessuali», e infine stabilire «codici dicondotta e, nello specifico, una politica di tolleranza zeronei confronti dello sfruttamento sessuale e di altri abusideleteri alla vita e al benessere degli esseri umani».

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Coraggio e franchezza sono tra le unità di misura delpontificato. Certo, da sole non bastano, senza buonavolontà e creatività. Si spiega con queste ultime, dunque,una proposta che i grandi media hanno trascurato ma chesta già avendo un impatto concreto nel dibattito tragoverno, organizzazioni non governative, agenziedell’ONU e network investigativi come l’Interpol: larichiesta di introdurre all’anagrafe «l’obbligo di includerel’identificazione tramite il dna in caso di rischio onecessità». In altre parole, una banca dati mondiale con ilprofilo genetico di milioni di persone.

È una proposta che farà storcere il naso ai liturgisti deldogma della privacy. Ma per il Vaticano si tratta di unpunto essenziale. I governi sono chiamati a rendere«prioritaria la soppressione della tratta di minori ai finidello sfruttamento sessuale» e a garantire perciò«l’individuazione precoce di minori che potrebberoesserne vittima. A questo proposito si considerino mezziinnovativi quali la creazione di database nazionali del dnaper individuare e prevenire la tratta di minori».

Gli effetti, secondo l’Accademia delle Scienze Sociali,sarebbero straordinari. Archiviare il dna di un bambinomigrante darebbe un doppio risultato. Da una parterenderebbe identificabile anche a molti anni di distanza unbambino sottratto ai genitori oppure da questi venduto

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come piccolo schiavo. E dall’altra la banca dati avrebbeun effetto deterrente.

Un caso emblematico, e ancora una volta non si trattadi coincidenza, è l’Argentina. All’epoca dell’ultimadittatura (1976-1983), almeno 500 neonati vennerosottratti alle prigioniere politiche, uccise subito dopo ilparto. Tra quei bambini, che furono poi adottatiillegalmente, quelli che adesso hanno potuto scoprire laloro vera identità sono meno di 150. Molti dei bambinirubati sono stati registrati all’anagrafe come figli naturalidi genitori in realtà adottivi.

È un incubo del passato che Francesco ora vuoleaffrontare, anche a costo di mettere in luce contraddizioni,ambiguità e complicità della Chiesa. Con un motu propriodel luglio 2014, Bergoglio ha compiuto una mossa nel piùclassico stile gesuitico.

Secondo il diritto canonico, i documenti dell’archivioriservato della Santa Sede dal dopoguerra a oggi nonpossono essere rivelati al pubblico se non dopo una seriedi procedimenti che richiedono anni. In linea teorica ilpapa potrebbe desecretare gli atti in un solo colpo, maquesto rischia di creare disordine e false aspettative. CosìBergoglio ha stabilito che, laddove una qualsiasimagistratura estera di un paese che ha firmato accordibilaterali con la Santa Sede chieda di accedere adocumenti necessari alle investigazioni per i reati contro

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la persona umana, in particolare sottrazione di minori e/osequestro di persona (tipologia che comprende anche lariduzione in schiavitù, la tratta di esseri umani, lacompravendita di neonati o il solo furto di bambini, einfine il sequestro di persone anche da parte di autoritàlocali), basterà che un magistrato invii una richiestamotivata alla Santa Sede perché questa conceda laconsultazione di quegli atti che possono ricondurre allaverità. In altre parole, tutti i casi di desaparecidos inArgentina, Cile, Brasile, Uruguay e altri paesi – dove laChiesa è sospettata di connivenza con i militari – potrannoessere affrontati ottenendo documenti proprio dalVaticano.

In un caso è stato lo stesso Bergoglio ad anticipare itempi. Nel maggio del 2014 un giudice argentino haricevuto per il tramite del vescovo locale la copia di unoscambio epistolare tra un vescovo ammazzato (monsignorAngelelli) e l’allora nunzio apostolico a Buenos Aires, ilfuturo cardinale Pio Laghi. I documenti hanno permesso discoprire gli assassini del presule (poi condannatiall’ergastolo), ma gettano un’ombra su Laghi e sul ruolodel Vaticano in quell’epoca.

La decisione di Bergoglio ha scatenato il panico tramolti anziani ecclesiastici coinvolti con vecchie e nuovedittature. Qualcuno avrebbe anche tentato di fermarel’emorragia di notizie con il pretesto del buon nome della

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Chiesa. Ma il papa è animato dalla ferma volontà dideclassificare i documenti dell’archivio vaticano sulladittatura militare argentina. Lo conferma padre GuillermoKarcher, monsignore argentino in servizio presso laSegreteria di stato e tra i più stretti collaboratori delpontefice, ponendo l’accento sul coraggio di Francesco,che sta contribuendo a dare una risposta «a moltesituazioni rimaste inspiegabili»: «Il desiderio del papa èche si faccia qualcosa, e ha incaricato la Segreteria distato, che ha cominciato a lavorare al tema delladeclassificazione degli archivi del Vaticano relativi alladittatura argentina». Nell’attesa che possa essereriordinato e digitalizzato l’intero archivio, la Santa Sederisponde alle richieste che pervengono dalle autoritàargentine su casi giudiziari o attività investigative incorso.

Ma le richieste della Casina Pio IV non si fermano allequestioni ancora aperte ma radicate nel passato. Ai leaderdi governo viene chiesto anche che «si oppongano arimpatri frettolosi, automatici e non volontari delle vittimedella tratta e sviluppino programmi per fornire loroalloggio e riqualificazione professionale, con il risultatoauspicato di ottenere, ove desiderato, la concessione di unpermesso di lavoro nel paese ospitante». Un’opera chesarebbe utopica se non si intraprendessero «misure urgenti

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per frenare la domanda che alimenta tutte le forme disfruttamento, soprattutto quello a fini sessuali, ecriminalizzino i clienti della prostituzione come deterrentecontro la tratta a scopo sessuale».

Poiché lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha unoscopo prevalentemente economico, la Santa Sede chiedeai parlamenti di varare norme che consentano disequestrare tutti i beni dei criminali. Argomento, questo,che tocca da vicino interessi economici ad alto livello.Per ottenere risultati duraturi serve che la «comunità degliaffari» non si limiti a introdurre «codici di condottaseveri», ma faccia in modo di scongiurare «i danniconnessi alla “corsa verso il basso” volta a ridurre ilcosto del lavoro ai minimi termini».

Lo “stile Bergoglio” non contempla l’antica arte delparlare alla suocera perché la nuora intenda. Chi lavoracon lui deve adeguarsi. Bando alle ipocrisie.

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Quarta Parte

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I NEMICI IN CASA

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MAFIOSI, NARCOS E SPIE CORROTTE

Il Sudamerica devastato dai narcotrafficanti, chiodo fisso diFrancesco. La “messicanizzazione” dell’Argentina.’Ndrangheta e cartelli della droga: affari d’oro in Patagonia.Agenti segreti corrotti e boss tra vecchia dittatura e nuovademocrazia. Un piano per uccidere Bergoglio?

Alla fine di febbraio 2015, nel suo ufficio alla DomusSanta Marta, papa Francesco legge un dettagliato rapportosullo stato del mercato della droga in Sudamerica. Aillustrarlo è Gustavo Vera, il deputato di Buenos Aires evecchio amico di Bergoglio. Il fondatore dell’ONG

argentina Fundación La Alameda, che combatte la mafia,la tratta di esseri umani e lo sfruttamento dei lavoratori,consegna a Bergoglio brutte notizie. Non solo mostra alpapa una mappa con i distretti argentini nei quali visarebbero laboratori per la produzione di cocaina e suoiderivati. Le aree dalle quali provengono le dosi prodottenel paese d’origine di Francesco sono quasi tutte confinatenel Nord: Santa Fe, Rosario, Cordoba, Tucumán. Unicaeccezione, Buenos Aires, che però gode di un notevolemercato interno.

Ma c’è dell’altro. Tra i personaggi emergenti nel giro

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della droga in Argentina spuntano alcuni nomi cheBergoglio conosce bene. Compresi due ufficiali deiservizi segreti che in passato hanno dato filo da torcereall’allora arcivescovo di Buenos Aires. Per capire qualesia il loro ruolo e quali trame abbiano orchestrato controil papa, occorre ricostruire le informazioni messe adisposizione di papa Francesco.

Stando alle notizie raccolte attraverso sue fonti e inambienti investigativi, Vera spiega al papa che sonoquattro le grandi mafie internazionali impegnate a spartirsiil business mondiale del grande crimine: calabresi,messicani, colombiani e cinesi.

Per Bergoglio è un chiodo fisso. Al punto da farsimandare periodicamente un report aggiornato sulle attivitàdella criminalità organizzata nel mondo. Studia fatti, nomi,traffici, carte geografiche, rotte. In posti come il Messicola situazione si è fatta ingestibile. Bergoglio ha inviatodiversi messaggi ai vescovi e alle autorità del paese. DonLuigi Ciotti, sacerdote che gode della fiducia personaledel papa, è stato convocato diverse volte dalla Conferenzaepiscopale messicana per elaborare strategie di rispostaallo strapotere dei narcos. Il clero locale sta provando areagire e Bergoglio ha inviato un segnale, confermandouna sua visita in Messico già nel 2015.

I clan hanno accolto la notizia distruggendo alcunechiese nei villaggi dell’entroterra, compiendo attentati e

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tornando a eliminare i preti scomodi. Due quelliammazzati da settembre a dicembre 2014. Quattro daquando Francesco è papa. Per non dire dei numerosi casidi catechisti e fedeli minacciati o selvaggiamentepicchiati.

Dopo avere studiato la mappa aggiornata del criminemondiale, Bergoglio invia una lettera a Gustavo Vera e loautorizza a divulgarla. È un modo per tutelare l’amicoGustavo e i suoi collaboratori: la frequentazione assiduacon il pontefice è un’assicurazione sulla vita. Era giàsuccesso quando Bergoglio guidava l’arcidiocesi diBuenos Aires. Se qualcuno veniva minacciato, il gesuitacorreva a farsi fotografare con la vittima e denunciavapubblicamente le intimidazioni. Di solito, dopo questacontromossa gli avvertimenti diminuivano. Per quellidella fondazione La Alameda le minacce sono all’ordinedel giorno, ma per i boss sarebbe troppo rischioso colpiregli amici del pontefice. A meno di voler mandare unmessaggio proprio a Bergoglio. Come accadrà qualchemese dopo, arrivando molto vicino alla famiglia del papa.

Nella lettera a Vera, Francesco si augura che inArgentina a causa della mafia non si verifichi una“messicanizzazione”. Il termine è efficace, perché non c’èpaese al mondo che rappresenti in modo più plateale glieffetti della cannibalizzazione del territorio da parte dei

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clan. In Messico, però, i capi delle istituzioni si offendonoe costringono la Santa Sede a precisare di non avere nullacontro il popolo messicano, ma di aver solo riassunto conuna definizione largamente adoperata un pericolo chepurtroppo i messicani conoscono fin troppo da vicino.

Negli ultimi anni, nel paese centroamericano sono statescoperte 174 fosse comuni clandestine con almeno 601cadaveri, 485 dei quali (ossia l’80 per cento) non sonomai stati identificati. Lo rivela un rapporto della procuragenerale della Repubblica di Città del Messico. Neldocumento si indica che, dopo il rinvenimento nell’apriledel 2011 di 14 fosse comuni con 120 cadaveri nellalocalità di San Fernando (nello stato settentrionale diTamaulipas), la scoperta di altri cimiteri clandestini nonha conosciuto pause: il 91,9 per cento è stato ritrovato fral’aprile del 2011 e il febbraio 2015. Fosse comuni sonostate trovate in 16 dei 32 stati messicani. A sud è laregione di Guerrero, dove dilagano i narcos e le gangmafiose, quella con il maggior numero di ritrovamenti: 79buche con 199 cadaveri. In meno di cinque mesi,dall’ottobre 2014 al febbraio 2015, sono state scoperte 38tombe con 87 cadaveri nella sola città di Iguala: la stessadove il 26 settembre 2014 sono spariti 43 studenti di unistituto magistrale. I ragazzi avevano protestato contro lebande criminali e gli amministratori locali corrotti dainarcos.

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Il dramma dei 43 studenti desaparecidos è una spinanel cuore di Bergoglio. Ogni possibilità di avere notizieper vie legali è fallita. A tal punto che un gruppo digenitori ha cercato di mettersi in contatto con SantiagoMazari, detto “El Carrete”, boss della banda dinarcotrafficanti Los Rojos, per tentare di avere notizie deipropri figli. I parenti dei desaparecidos hanno lasciatomessaggi indirizzati al capomafia in vari punti dello statodi Morelos, che è considerato la roccaforte dei Rojos.«Le chiediamo per favore di aiutarci a ritrovare i nostrifigli, perché questo governo non è stato serio con noi, eanzi ci ha fatto soffrire con le sue menzogne» si legge inuno di questi messaggi.

La procura federale ritiene che i 43 studenti scomparsisiano stati massacrati da sicari della banda dinarcotrafficanti che si fanno chiamare Guerreros Unidos,ai quali sarebbero stati consegnati dalla poliziamunicipale su ordine del sindaco della località, José LuisAbarca, uno degli esponenti politici sul libro paga deinarcos. In mancanza dei corpi, i genitori sperano ancora:«Vivi se li sono portati via, vivi li vogliamo».

È questo il tipo di scenario che il papa cerca dicontrastare con i mezzi a sua disposizione. In Vaticanocontinuano ad arrivare informazioni di prima mano.Recentemente, solo in Argentina sono state segnalate

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quattromila piste di atterraggio clandestine usate dainarcos.

A Rosario, città a nord di Buenos Aires, nel 2014 sisono contati più di 500 morti direttamente o indirettamentecollegati al traffico di droga, e a Bajo Flores, quartierealla periferia sud della capitale federale, sono stati più diun centinaio i morti in circostanze riconducibili allacriminalità.

Nel paese di Francesco, anche la ’Ndrangheta è dicasa. Il 29 agosto 2014 il boss Pantaleone Mancuso, detto“l’ingegnere”, è stato bloccato alla frontiera tra Argentinae Brasile. In una valigia custodiva centomila euro incontanti. Mancuso, che aveva fornito un’identità fasulla, èstato smascherato dalle impronte digitali registrate nellabanca dati dell’Interpol. Era ricercato per un dupliceomicidio commesso con particolare crudeltà in Calabria,ai danni di due parenti.

Quando “l’ingegnere” è stato arrestato, si è scopertoche i Mancuso sono proprietari di vasti appezzamentiagricoli in Patagonia e che il clan ha stabilito nuove rotteper la produzione e l’esportazione della cocaina proprioattraverso l’Argentina.

La DEA, il servizio investigativo antidroga degli StatiUniti, sostiene che, grazie all’accordo con i produttoricolombiani e con il cartello messicano denominato LosZetas, la ’Ndrangheta è diventata la mafia più potente al

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mondo. Con l’80 per cento del mercato europeo dellacocaina nelle loro mani, i calabresi detengono in pratica ilmonopolio delle esportazioni dal Sudamerica, con unfatturato stimato in quaranta miliardi di dollari.

Alla luce di queste informazioni, appare più chiaroperché Francesco abbia voluto pronunciare la scomunicadei mafiosi proprio mentre si trovava in Calabria.

Ma i messaggi del papa quasi mai hanno una valenzaesclusivamente locale. I boss lo hanno compreso prima emeglio di altri, perciò dalle carceri hanno provato adalzare la voce.

Certo, di strane coincidenze, con al centro esponenti dimafia e funzionari pubblici a loro volta con un passato damanovratori contro Bergoglio, se ne contano parecchie. Inquesto senso, il caso Stiuso – una di quelle storie che ognigiallista sogna di escogitare – è esemplare.

Una volta Gustavo Vera ha raccontato cosa accadevaquando andava a fare visita al cardinale Bergoglionell’arcivescovado della capitale: «Capitava che andassia trovare Jorge e lui accendeva la radio per disturbare lemicrospie». Altre volte padre Jorge lo ammoniva:«Attento a quello che dici al telefono, la linea èintercettata, ascoltano dappertutto».

Qualcuno spiava Bergoglio. Ma chi? E per qualemotivo? Chi aveva dato l’ordine di tenere d’occhio il

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cardinale?All’inizio di febbraio 2015, nel suo lussuoso

appartamento nel quartiere bene di Puerto Madero, vienetrovato morto il procuratore Alberto Nisman. Sembra unsuicidio. Nisman stava indagando su una strageantiebraica avvenuta nel 1994 in Argentina (85 morti), lacui paternità è stata attribuita al governo iraniano.Secondo Nisman, il presidente Néstor Kirchner esuccessivamente la moglie Cristina avrebbero barattato ilsilenzio delle autorità argentine sulle responsabilitàiraniane in cambio di forniture a prezzi stracciati dipetrolio, idrocarburi e altri beni. L’ipotesi, confortata damolti indizi, non è mai approdata in tribunale. Nismanstava per chiedere il processo, e tra le sue carte è statotrovato il testo preparatorio con cui avrebbe chiesto diincriminare proprio la Kirchner.

In questa brutta storia Bergoglio non c’entra nulla. Senon fosse per una coincidenza. A fianco di Nisman peranni ha lavorato Antonio Stiuso, il capo delcontrospionaggio argentino. Secondo indagini paralleledella magistratura locale, Stiuso è anche l’uomo che, apartire dagli anni Novanta, avrebbe spiato, nell’interessedei Kirchner, i notabili argentini e alcuni vescovi,compreso Jorge Mario Bergoglio. Il cardinale di BuenosAires, infatti, era considerato dai Kirchner come una sortadi capo spirituale dell’opposizione politica.

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Stando a quanto va emergendo, Stiuso approfittava delsuo incarico e usava le intercettazioni illecite per ricattarequanti avevano scoperto che lui in realtà era immischiatoin una serie di traffici illeciti.

È a questo punto che ritorna il nome dell’ex agentesegreto Raul Martins, socio di Stiuso in diversi affariillegali.

A quanto va emergendo, Stiuso approfittava del suoincarico usando le intercettazioni illecite per ricattarequanti avevano scoperto che lui in realtà era immischiatoin una serie di traffici illeciti. È a questo punto che tornala figura di Raul Martins. Il futuro pontefice aveva infattiprotetto la figlia dell’ex agente segreto, socio in affari conStiuso. La rete di “night club” dell’accoppiata Martins-Stiuso si estende dal Messico all’Argentina. Ma la figliadi Martins decise di denunciare il padre per tratta diesseri umani. Martins ne ordinò l’eliminazione alle bandeche lo proteggevano. La ragazza venne rassicurata daBergoglio, che come ai tempi della dittatura militare,quando nascose e mise in salvo decine di persone, riuscì aevitare che la figlia di Martins venisse ammazzata perordine del padre.

Ora che il caso è venuto a galla, Gustavo Vera hapresentato un circostanziato esposto alla procura diBuenos Aires nel quale accusa Stiuso di essere stato unodei principali fiancheggiatori della criminalità organizzata

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e di aver tentato in ogni modo di danneggiare Bergoglio.«Padre Jorge conosceva bene quella situazione e sapevache i metodi di Stiuso e del controspionaggio avevanofatto molto male alla democrazia in Argentina.»

Non era la prima volta che Bergoglio si trovava nelcentro del mirino. Francesco, in realtà, è abituato aconvivere con l’idea del martirio fin dai suoi primi annida gesuita, quando dovette affrontare dittature, minacce,avvertimenti in apparenza senza mittente.

Un piano per uccidere il cardinale Jorge MarioBergoglio, per esempio, fu scoperto nel 2009. L’allarmescattò a Buenos Aires il 17 dicembre, ancora una voltanella concomitanza del compleanno del cardinale. Alcunigiorni prima, negli uffici della pubblica sicurezza eraarrivata una misteriosa email che aveva per mittente“[email protected]”. Sembrava una segnalazionecome tante. Ma aveva come oggetto lo scomodoarcivescovo di Buenos Aires.

Il testo della mail diceva testualmente: «Sr. Ministro:si desidera attentare contro la vita del cardinaleBergoglio. Si tratta di esecutori vicini al circolo diD’Elía. Riceveranno molto denaro per lasciare il paese eil D’Elía ha garantito loro l’impunità. Possiedonoinformazioni sui movimenti del cardinale e il fatto èimminente. Il cardinale non possiede nessuna scorta

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ufficiale per volere personale, pensa e agisce comegesuita, si sposta solo e abitualmente lo fa in autobus ometropolitana. Vogliono appendere un loro “dono”all’albero di Natale del presidente (Néstor Kirchner,N.d.A.). Sr. Ministro non ho bisogno di spiegare i motividel mio anonimato. Accetto molte cose ma questa follianon sarei in grado di perdonarla mai».

Quanto al retroscena di questa oscura e inquietantevicenda, nei documenti della polizia si legge che AníbalFernández, capo di gabinetto del Consiglio dei ministri,fece mettere sotto controllo Luis D’Elía, dirigente delmovimento piquetero e militante del kirchnerismo.

Fernández discusse della minaccia con i dueresponsabili della polizia federale: Néstor Valleca e JorgeOriolo.

Dopo le prime investigazioni, la mail venne ritenutaattendibile. Dopo diversi incontri ai quali presero parte laDivisión Operaciones de la Dirección General deSeguridad Interior de la Policía Federal guidata daRoberto Gustavo De la Fuente e il giudice María Servinide Cubría, fu deciso in poche ore che il cardinaleBergoglio doveva essere messo sotto protezione anchecontro la sua volontà.

Per la verità i vertici della polizia – a quanto si leggenel documento che ordinava il servizio di “scortadiscreta” – avrebbero preferito che il cardinale

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indossasse persino un giubbotto antiproiettile. Richiestapoi rientrata perché, come rivelarono in seguito alcunifunzionari della sicurezza, «il cardinale non ne volevasapere». Altri agenti hanno raccontato che l’arcivescovoprovò il giubbotto in un paio di occasioni, ma che poi sirifiutò di andarsene in giro bardato come un cavalieremedioevale.

D’Elía, che ha sempre negato qualsiasi addebito,scoprì di essere pedinato da qualcuno e inoltrò formaledenuncia. Non seppe mai che a stargli addosso erano queipoliziotti che volevano assicurarsi che non avessedavvero intenzione di eliminare il cardinale. Nel febbraio2010 la giustizia ha archiviato il caso.

Una volta diventato papa, Francesco sperimenterà gliavvertimenti trasversali della mafia. Che dall’Argentinamanda messaggi a Bergoglio minacciando alcuni suoistretti parenti.

Prima di arrivare alle ultime drammatiche mosse deinarcos contro la famiglia Bergoglio, occorre ricostruire lestrategie di padre Jorge Mario nella sua vita argentina.

Le minacce e gli avvertimenti non hanno mai fermato ilcardinale.

Bergoglio «è stato decisivo anche in tanti casi dilavoro infantile, di schiavitù, di corruzione nella poliziafederale» racconta Gustavo Vera. Come nel caso di NancyMiño Velázquez, ex agente «che denunciò un intero

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reparto di polizia che doveva investigare su delitti ditratta di persone e, anziché intervenire, prendeva tangentiper lasciare in libertà i trafficanti. La Velázquez fecenomi, indicò cifre, circostanze, modalità operative. Ladenuncia fu molto pesante e colpì anche pezzi grossi dellapolizia federale. Sia lei sia il figlioletto subironominacce. Ci fu persino un tentativo di sequestro. Jorge nonesitò a farsi fotografare con lei per proteggerla». Daallora non l’hanno più toccata.

Nel 2011 l’allora arcivescovo si espose a difesa dipadre Pepe Di Paola, parroco nella Villa 21, uno deiquartieri più difficili della capitale. Padre Pepe era statominacciato di morte dai narcotrafficanti. È sempreGustavo Vera a raccontare: «Anche lì Jorge resepubbliche le minacce e in questo modo misepubblicamente sotto la sua protezione il sacerdote. Non hamai avuto paura di ricevere privatamente e farsifotografare con persone che sono state vittime disfruttamento o di mafie. Tante volte ha facilitato l’uso dilocali parrocchiali perché le persone potesseroorganizzarsi, e ha anche favorito la ricerca di posti dovele vittime potessero nascondersi quand’erano minacciate ela polizia non interveniva a loro tutela».

Una volta una ragazza scappò dal bordello per ricconiin cui lavorava. «Aveva denunciato spaccio di droga,prostituzione, tratta di esseri umani. Era stata minacciata e

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padre Jorge ha cercato e trovato una parrocchia dovepotesse rifugiarsi in attesa che lo stato le desse garanzie diprotezione. Un altro caso che conosco è quello di unaragazza che era stata assunta per fare le pulizie in una casadel quartiere di Liniers, una ragazzina giovane e carina:venne sequestrata, violentata e chiusa in un postribolo.Fuggì ed ebbe un incontro commovente con Bergoglio chepretese l’interessamento delle autorità perché si facesserocarico della situazione della ragazza. Jorge voleva sempreincontrare le vittime personalmente e ascoltarle.»

Chi sperava che allontanandosi da Buenos Airesl’avrebbe piantata con la guerra alla mafia è rimastodeluso. Ma non vinto. Il papa che nel suo studio di Romascruta l’atlante mondiale della criminalità. Il pontefice chefa domande sul riciclaggio dei proventi illeciti e glistratagemmi adoperati per nascondere il denaro sporconei paradisi fiscali. Il gesuita che chiede consigli agliesperti internazionali sulle strategie di contrasto ai boss. Èsempre il solito Bergoglio. Ma con una visione ancora piùampia e la possibilità di esercitare il suo ministero e lasua influenza per mettere i bastoni tra le ruote delle mafie.

Padre Pepe Di Paola è nel frattempo diventatocoordinatore della nuova commissione sulletossicodipendenze della Conferenza episcopale argentina,

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un organismo che non esiste in alcuna conferenzaepiscopale europea. Di Paola viene regolarmenteconsultato dalle autorità del paese, con cui non di rado sipone in conflitto. E con la benedizione di Francesco,testimoni di giustizia vengono nascosti e protetti instrutture riconducibili alla Chiesa. Per i boss dellacocaina e del paco, la droga dei poveri, questo è davverotroppo.

Il 19 maggio 2015, quando nell’emisfero l’inverno si fapreannunciare dai venti patagonici, un uomo chiama alcellulare del parroco di Villa Eloisa, un quartiere di LaPlata. Per quello che dice e per come lo dice, non c’èmolto da interpretare.

La notizia per un po’ resta coperta dal riserbo. Ilsacerdote continua negli impegni di ogni giorno ed evitadi parlarne in giro. Fino a quando i parrocchiani nonpossono non vedere che padre Walter Sivori viene seguitoda uomini armati. Sono con lui per proteggerlo. È lascorta che la polizia gli ha ordinato di accettare. Perchépadre Walter non è un parroco qualunque. È il nipote diJorge Mario Bergoglio e l’anonima voce maschile chequalche notte prima lo aveva svegliato nel sonno gli avevadettato un messaggio per lo zio.

Quando da Roma papa Francesco chiama il nipote,questi lo tranquillizza: «Non è la prima volta, ci sono

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abituato, non preoccuparti». E all’altro capo, nella vestedi zio ma anche di suo “capo”, Bergoglio incoraggia quelragazzone che da bambino gli faceva i dispetti e che poiha seguito (come anche un altro nipote diventato gesuita)le orme di zio Jorge: «Vai avanti, senza paura».

Già altre volte la malavita della città situata pochichilometri a sud di Buenos Aires lo aveva preso di mira.Ma ora è diverso.

Un portavoce dell’arcivescovado spiega il perchédelle misure di sicurezza, che inizialmente, quandonessuno sapeva esattamente di cosa era stato minacciatopadre Sivori, apparivano ingiustificate. Se ogni sacerdoteminacciato una sola volta da qualche delinquente dovessericevere la scorta, in Argentina non basterebbero ipoliziotti. Ma padre Walter ha ricevuto «non una madiverse minacce» spiegano dalla curia di La Plata. «Equesta volta gli hanno detto che lo avrebbero decapitato.»

Sulle prime le acque sembrano calmarsi. Laparrocchia, che pure non si trova in un’area malfamata, sistringe intorno al sacerdote.

Qualcosa, all’inizio, non tornava. Il clamore dellavicenda sembrava sì giustificato dalla parentela con ilpontefice argentino, ma in fondo quanti altri sacerdotidevono continuamente guardarsi le spalle.

Padre Walter ne parla poco in giro. Minimizza, se neesce con qualche battuta. E torna a dire messa. Fino a

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quando alcune voci circolate in ambienti giudiziari nonvengono confermate dalla curia di La Plata. Com’erafacile presagire, l’avvertimento non era rivolto solo apadre Sivori. «Noi ti taglieremo la testa. A te a tuo zio.»Questo aveva scandito la voce rimasta ancora senza unvolto. Una voce ancora anonima ma non del tuttosconosciuta.

Da quando Francesco è papa le minacce mafiose apreti e laici in prima linea nel contrasto alla criminalità eallo sfruttamento degli esseri umani si sono intensificate.Ma la telefonata a padre Sivori è stata ritenutasignificativa per la modalità e per una concomitanza. Inquegli stessi giorni il governo argentino stava infattidiscutendo, su proposta dei vescovi del paese, una seriedi norme antimafia simili a quelle già praticate in Italia:sequestro dei beni, legislazione premiale per icollaboratori di giustizia, inasprimento delle pene per ifunzionari pubblici collusi. Un pacchetto di provvedimentispinto da leader come Gustavo Vera, l’uomo chemensilmente aggiorna Francesco sull’evoluzione delcrimine organizzato in Argentina e in America Latina,mostrando le connessioni con la criminalitàinternazionale, il riciclaggio di proventi illeciti, ilfinanziamento del terrorismo e i benefici che diversemultinazionali ottengono grazie alla corruzione e allemaglie larghe della legislazione. Il papa ascolta,

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immagazzina informazioni e poi, di volta in volta, ne parlacon i vescovi suoi connazionali.

C’è una ragione in più per non sottovalutare i messaggia padre Sivori. Da giorni il sacerdote riceveva minaccetelefoniche. Ma lui, all’inizio, non aveva dato peso alleparole. «Magari è uno scherzo» si ripeteva. Fino a quandodall’altro capo del telefono non gli hanno scandito cheavrebbe dovuto avvertire il papa e che anzi eranoindispettiti dalle risposte canzonatorie di padre Walter. Iltelefonista dei clan, questo è il sospetto della poliziafederale, voleva assicurarsi che la minaccia venisse resapubblica. Perché quando padre Walter si è deciso arecarsi al più vicino commissariato e la denuncia èarrivata sui giornali, il telefono di notte ha smesso disquillare.

Poche settimane dopo un altro nipote di Bergoglio èfinito nel mirino di una gang. Il 17 giugno 2015 JoséIgnacio Bergoglio stava rincasando con Marina Muro, lafidanzata poco più che ventenne con cui guidal’associazione Haciendo Lío (“Facendo chiasso”).L’organizzazione, nata dopo una notte di Natale trascorsatra i senzatetto, si occupa di iniziative benefiche nellescuole di periferia, assistenza ai clochard, progetti diprevenzione del disagio giovanile.

L’episodio è stato archiviato come “tentativo dirapina”. Ma neanche alla polizia di Buenos Aires sono

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sicuri che quella fosse l’unica intenzione.Tre uomini armati, mai visti prima nel quartiere, sono

piombati addosso ai due ragazzi mentre José apriva laporta di casa, al piano terra. Due hanno immobilizzato ilgiovane, puntandogli le pistole alle tempie. L’altro tenevasotto tiro Marina. Appena richiusa la porta di casa le lucidi un’auto hanno puntato sull’ingresso. La gang haordinato a José e alla ragazza di nascondersi in una stanza.«Poi abbiamo sentito due colpi di pistola» hannoraccontato entrambi «ma siamo rimasti chiusi nella stanza.È stato un momento terribile.» Non riuscivano a vederecosa stesse accadendo fuori e del resto uscire alloscoperto non sarebbe stato meno pericoloso. Fino aquando, alcuni interminabili minuti dopo, dei poliziottinon sono entrati in casa e li hanno liberati.

I tre assalitori sono fuggiti e le telecamere disorveglianza della zona non hanno fornito alcun aiuto perpoterli individuare.

Qualunque fossero le reali intenzioni dei malviventi, disicuro c’è che avere uno zio papa non è detto che siasempre un vantaggio.

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IL TERRORISMO ROSSO CONTRO IL PAPA

Bergoglio, incubo degli estremisti. «Sta rubando le nostrebandiere, non possiamo lasciarglielo fare.» Un papa che nonha paura dell’utopia. «Un giovane senza ideali è un vecchioprecoce!» Aspiranti dinamitardi e lupi solitari.

I Comitati di appoggio alla resistenza per il Comunismo(CARC) sono il vivaio delle formazioni eversive italianedegli ultimi vent’anni: dalle nuove Brigate Rosse agliesponenti di Soccorso Rosso Internazionale, una specie difederazione di incendiari da tutto il mondo.

Tra loro e il Vaticano non è mai corso buon sangue, eadesso le cose vanno persino peggio. Solo l’«OsservatoreRomano» e la stampa cattolica citano il papa più spessodi quanto non avvenga nella galassia estremista, che pareletteralmente ossessionata dalla Chiesa di Francesco.Bergoglio è un incubo che sta disorientando anche gliambienti antimperialisti, i militanti antagonisti, i gruppianarchici, i black bloc e le sigle del terrorismo politico dimezzo mondo.

Fino al 13 marzo 2013, il Vaticano veniva liquidatocome un “potere marcio”. Ma ora sale la preoccupazioneper il contropiede della Chiesa su un terreno che gli

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estremisti ritenevano esclusivamente loro: «Il papa starubando le nostre bandiere, non possiamo lasciarglielofare» scrivono nelle “piattaforme strategiche” diffusedalle loro cellule clandestine.

Se prima i CARC spernacchiavano ogni sillabaproferita dal vescovo di Roma, adesso provano a spiegareche gli interventi di Bergoglio, per quanto condivisibili,«sono una messa in scena». In altre parole: argomenticondivisibili ma espressi da un potere, quello clericale,senza credibilità. Uno degli slogan dei CARC recita:«Forse la rivoluzione francese o la lotta di Resistenza, cuitutti tanto dobbiamo, sono state condotte pacificamente?».

Dai CARC nasce il PCPM (Partito comunista politico-militare), una formazione i cui leader sono in carcere dal2007, arrestati poco prima che entrassero in azione pereliminare il giuslavorista Pietro Ichino e passati allecronache come Nuove BR. Una “dichiarazione strategica”,fortunosamente uscita dalle carceri di massima sicurezza,indica in Francesco uno degli obiettivi della lorocampagna. «Denunciamo anche l’assordante silenzio diPapa Bergoglio [“Papa” scritto proprio in maiuscolo!,N.d.A.], che ha cercato di convalidare l’immagine di unapacifica Israele, quando le sue mani erano già armate epronte a macchiarsi del sangue palestinese.»

Il testo, redatto dietro le sbarre con il solito truccodelle lettere ai parenti, è stato discusso e diffuso tra i

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delegati di Soccorso Rosso Internazionale, a cuiaderiscono 17 formazioni eversive europee, tra cui alcunigruppi anarchici greci sospettati di diversi attentati eomicidi.

Sotto sotto, ai gruppi terroristici di estrema sinistra leparole del successore di Pietro non dispiacciono. Ma nonpossono fidarsi né farsi scippare le parole d’ordine. «Perquanto riguarda Bergoglio, anche se il suo curriculum nonlascia tanto spazio alla fantasia, se davvero si appresta apraticare quello che dice, non è scontato che resti al suoposto (ricordiamo il Luciani che fine ha fatto?). Ma nelfrattempo possiamo e dobbiamo approfittare del momentodi debolezza che la Corte Pontificia vive e far girare lecose a nostro vantaggio» sostiene in un altro documentouna cellula comunista clandestina del Nord Italia. A moltisembreranno ragionamenti squinternati. Ma lefarneticazioni fanno proseliti sulle cui intenzioni nessunapersona di buon senso scommetterebbe.

«Possiamo stare a guardare, mentre il papa, i gruppiimperialisti USA, europei e sionisti, le organizzazionicriminali e i partiti borghesi mandano avanti il loroteatrino, mistificano la realtà e ci intrappolano daspettatori e vittime nella guerra che si fanno?»

Per sapere se i CARC sono dei parolai o se hannomesso al mondo qualche frutto avvelenato bisogna tornareal 1984, l’anno della scissione all’interno delle Brigate

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Rosse. I terroristi presero due direzioni separate:militaristi da una parte, movimentisti dall’altra. I primi sisono rifatti vivi uccidendo i giuslavoristi MassimoD’Antona (1999) e Marco Biagi (2002). Gli altri hannoelaborato la “seconda posizione”, volta alla costituzionedi un “Partito comunista politico-militare” che si facesseavanguardia della lotta di classe per portare le masseverso una «maturazione graduale» tale da consentire laripresa della lotta armata per una «guerra di lungadurata».

I CARC di oggi, pur protagonisti di innumerevoliprocedimenti giudiziari, sono ritenuti pericolosi non per laloro capacità militare, ma perché al proprio internomaturano quei processi ideologici che fanno transitare imilitanti più irruenti nelle cellule clandestine. Queglistessi gruppi che pianificavano l’eliminazione delgiuslavorista Pietro Ichino e una serie di attentati a organidi stampa. Gli ideologi dei CARC, Giuseppe Maj eGiuseppe Czeppel, sono stati arrestati in Francia. Altriesponenti, come Claudio Latino, sono stati condannati asvariati anni di detenzione in Italia.

Nessuno, nei servizi di intelligence, se la sente diaffermare che questi gruppi possono costituire un pericoloper il papa; tuttavia «il loro proselitismo e la lorocapacità di coinvolgere militanti esteri non ci può farescludere nulla» osserva con prudenza un ufficiale

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dell’antiterrorismo. Che aggiunge: «Più concreto potrebbeessere il rischio di mettere a segno atti dimostrativi oazioni di disturbo alla Chiesa».

In uno dei volantini, infatti, si esorta «a occupare gliedifici della Chiesa». «Casa, lavoro, beni comuni:mettiamoli al lavoro, dal prete di campagna al cardinaleporporato! In questo senso e in questa fase, è giusto cheognuno di noi dia il proprio contributo alla rinascita delpaese ed è ancora più giusto mobilitare (spingere) ancheil clero e la borghesia per fare fronte all’emergenza disopravvivenza che la crisi produce sulla nostra pelle. Ègiusto chiedere i conti alla Chiesa, è giustopretendere/occupare i suoi immobili, avvalersi del suopatrimonio economico per riaprire aziende, ospedali, perrisanare territori devastati e i servizi pubblici.»

Prima di passare alla via violenta, sembrano dire gliautori della proposta, si può usare Bergoglio come uncavallo di Troia. «Certo il papa non è comunista, néprogressista, ma dall’altra parte ci siamo noi e farlolavorare per noi, oltre che possibile, è un dovere delnostro tempo (che è buio solo per chi non riesce ad andareoltre la superficie delle cose, del lamento sterile). E se inquesta partita che tutti giochiamo contro i poteri forti ilVaticano può avere un ruolo, allora facciamo in modo chesia così. È il primo passo per liberarsi della sua cappa dioppressione che affligge il mondo intero.»

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Senza neanche accorgersene, i nuovi ideologi delcomunismo totalitario sposano le tesi degli avversariinterni di Bergoglio. Di quanti sostengono che Francescodistruggerà la Chiesa dall’interno.

Nel frattempo, tuttavia, il disgelo nelle relazioni traWashington e L’Avana, con l’accordo USA-Cuba siglato il17 dicembre 2014, ha provocato un vero e proprioterremoto nel variegato mondo dei movimentiantimperialisti.

Il (nuovo) Partito comunista italiano, uno dei fruttispinosi dei CARC, arriva a invocare la guerra popolarerivoluzionaria. Per i nostalgici degli anni di piombo,occorre «costituire ovunque nella clandestinità Comitatidi Partito».

Per costoro, il punto di non ritorno è rappresentatoproprio dal ruolo avuto da Bergoglio nel riavvicinamentodell’isola caraibica al Nordamerica. Secondo alcune sigleaderenti al Soccorso Rosso Internazionale, «la sinistraborghese è talmente accecata dalla rincorsa alla pacesociale e dal rifiuto e dalla denigrazione della lotta diclasse del proletariato da non capire il corso delle cose.Anche di fronte all’accordo del 17 dicembre essa siassocia alla borghesia imperialista e al suo clero agliordini del Vaticano e presenta alle masse popolari

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l’avvenimento come la conferma che la storiadell’umanità è il risultato della buona volontà e dellebuone intenzioni degli esponenti della borghesiaimperialista: nel caso concreto, di Barack Obama e dipapa Bergoglio».

Davanti a questo rigurgito imperialista, «noi lotteremocon tutte le nostre forze per accelerare la rinascita delmovimento comunista nel mondo e quindi principalmenteper instaurare il socialismo nel nostro paese. In questomodo renderemo vani anche i nuovi sforzi compiuti conpallottole zuccherate dalla comunità internazionale deigruppi imperialisti europei, americani e sionisti e dalVaticano per protrarre il loro dominio sul mondononostante la crisi generale del loro sistema sociale e delloro sistema di relazioni internazionali».

Tra i gruppi estremisti più attivi bisogna senz’altroannoverare gli anarchici greci. Contattarli è menorocambolesco di quanto si possa immaginare.L’appuntamento è in Plateia Kiriakou, nel perimetromilitarizzato di Exarchia, il quartiere ribelle di Atene.Armati di bandiere che nascondono lunghi bastoni, acentinaia invadono la piazza. Nessuno, ormai, abbandona itavolini dei bar aspettandosi il peggio. «Alla gente di

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Atene» avverte Sophia «noi anarchici stiamo simpatici,voi giornalisti stranieri non lo siete per niente.»

Alle loro adunate partecipano anche spagnoli, francesi,tedeschi, italiani, britannici e canadesi. Studenti, in granparte. Ma anche vecchi arnesi sopravvissuti a un’esistenzacampale. Ogni tanto un ordigno interrompe il giàtormentato sonno dei cittadini ellenici. «Abbiamo fatto»profetizza Angelos Anastopoulos, uno dei militanti«quello che presto accadrà anche da voi.» Più chepreveggenza, quella di Anastopoulos è una minaccia.

Non è difficile nemmeno rintracciare il covo deisovversivi. È un palazzo imbrattato e malconcio di viaPatission, di fronte al museo archeologico nazionale e alPolitecnico. I più radicali tra gli anarchici sono futuriingegneri e aspiranti architetti. Del resto, il loro anzianomentore sostiene che un ribelle deve essere «munito di unprogetto».

Nella terra di Socrate e di Erodoto, da qualche tempova di moda uno strano tipo di intellettuale d’importazione.È il settantacinquenne Alfredo Bonanno, uno che con lasola fedina penale potrebbe ricoprire l’Acropoli.Rilasciato circa un anno fa dopo essere stato arrestato eprocessato ad Atene per complicità in una rapina a scopodi autofinanziamento, il catanese Bonanno è considerato ilmassimo teorico dell’anarco-insurrezionalismo europeo.Nel quartier generale di Patission, tra nuvole di fumo e

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teorie intransigenti, dicono di custodire «come unabibbia» le enunciazioni dell’irriducibile sovversivo,autore di testi inequivocabili fin dal titolo quali Gioiaarmata e Anarchismo insurrezionalista. I suoi libritradotti in greco hanno avuto maggior fortuna che in Italia.

I ragazzi di via Patission applicano alla lettera lametodologia rivoluzionaria di Bonanno, che – comeriassume d’un fiato un militante francese – propone«l’organizzazione informale e insurrezionale, basata su“gruppi d’affinità”, dunque sull’aggregazione temporaneadi singoli soggetti o gruppi, che si alleano con obiettivi ascadenza e differenti da gruppo a gruppo», praticando «laviolenza rivoluzionaria».

Esattamente ciò che rivendica la Federazione anarchicainformale (FAI), la misteriosa sigla italiana che ha firmatol’agguato a Roberto Adinolfi, il manager di Ansaldonucleare, gambizzato a Genova nel 2012. Fontidell’antiterrorismo di Atene confermano che le modalitàdella FAI e le dinamiche degli anarchici ellenicicorroborano i sospetti di collusioni strategiche eoperative fra la Federazione anarchica informale e ifratelli maggiori greci della Cospirazione dei Nuclei diFuoco (SPF).

Nelle stanze sature di fumo, al piano terra di viaPatission, si stampa l’ultimo volantino a sostegno degliimmigrati.

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«Siamo rivoluzionari» risponde Angelos citando amemoria il solito Bonanno. «Il nostro scopo, in Greciacome in Italia e nel mondo, non è trovare lavoro allagente, non me ne importa nulla. Noi vogliamo spingere acapire che è possibile costringere lo stato aindietreggiare.»

Con quale obiettivo?«Naturale: la distruzione totale dello stato.»Parole che in Italia riecheggiano nei proclami degli

aspiranti dinamitardi. In un altro dei messaggi trasmesso aSoccorso Rosso Internazionale si sostiene che il 2014 «hasegnato un grande passo in avanti nella crisi politica dellarepubblica pontificia e un certo progresso nella creazionedelle condizioni per la costituzione del governo di Bloccopopolare. Le file del nostro partito sono cresciute dinumero e di livello e sono cresciuti i nostri legami con leorganizzazioni operaie e popolari. Tuttavia non siamosoddisfatti dei risultati ottenuti perché la situazionegenerale, nel campo delle masse popolari e nel campodella borghesia imperialista, presenta grandi possibilità disviluppo che sfruttiamo ancora poco a causa del livelloancora relativamente basso della nostra formazioneideologica, politica e organizzativa. Per questo da unaparte siamo impegnati in un vasto programma diformazione nelle nostre file e dall’altra ci appelliamo ainostri lettori, collaboratori e simpatizzanti, ai membri

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avanzati delle masse popolari a cui giunge la nostra voceperché affluiscano nelle nostre file e approfittino deglistrumenti che il partito offre, in termini di formazione e dilavoro politico: l’organizzazione del partito permette difare cose che un individuo da solo assolutamente nonarriva a fare».

Poi tocca al Vaticano: «Fate bene a criticare ilpopulismo di Bergoglio, e a citare Gramsci quandodichiarò la Chiesa essere l’istituzione più reazionariad’Italia, nel 1924. Tale è anche oggi, e oltre chereazionaria è potente, e quindi si tratta di misurare la suapotenza e di comprendere come combatterla».

Quest’ultima affermazione dimostra che non è ancoraarrivato il momento di passare all’azione.

«Le prediche di Bergoglio e le minacce di risanare laChiesa dalle “mele marce” sono un cult dei medianazionali, che a sostegno dell’operazione di marketing delVaticano sponsorizzano quotidianamente il nuovo modellodi papa. Tutto questo mentre Bergoglio continua ilrepulisti tutto interno alle dinamiche vaticane (è toccatoanche, valga come esempio su tanti, a Tarcisio Bertone),come un vero e proprio re dirige uno stato che hal’estensione di un atollo e l’arsenale politico, economicoe finanziario di un colosso come gli USA.»

Anche un documento del Partito comunista maoista, unadelle formazioni clandestine nate dai CARC e vicina a

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Soccorso Rosso Internazionale, attacca il Vaticano diBergoglio, «la cui faccia pubblica è una mascheratapittoresca di paramenti e riti medioevali» sotto cui si cela«il principale centro di potere della repubblica pontificia,puntello dell’imperialismo USA e sionista e commensaledelle organizzazioni criminali (la storia della banda dellaMagliana, della mafia ecc. parlano chiaro). Il suo imperoeconomico è conosciuto solo in minima parte, dato che ilsegreto è un aspetto fondante della sua natura e in virtù diesso opera e governa. Il patrimonio immobiliare […] siaggira attorno al 22 per cento dell’esistente a livellonazionale (cioè escluse le proprietà all’estero): chiese,palazzi, istituti e conventi, monasteri, case generalizie,cliniche e ospizi, residenze private, scuole, seminari,oratori, collegi, negozi, uffici… tutto intestato a centinaiadi organismi diversi fra enti, diocesi, congregazioni,confraternite, società riconducibili direttamente o menoalla cupola vaticana. Un patrimonio inestimabile di cuiRoma è parte».

Ma il Vaticano, si insiste in un documento risalente allaprimavera del 2015, «è a tutti gli effetti un proprietario eun occupante illegittimo: il movimento di lotta per la casadeve prendere la testa di una campagna per individuare,mappare e occupare gli immobili vuoti della Chiesa perassegnarli a chi ne ha necessità sia per abitarci che perorganizzare servizi, spazi di aggregazione, mense, asili,

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doposcuola, dopolavoro: la vita collettiva. Si tratta cioèdi avviare quella campagna di liberazione dai tentacolidella Corte Pontificia che resisteranno, tuttavia, è beneaverlo chiaro, fino alla costruzione del socialismo vistoche il Vaticano, come ogni impero millenario, sopravvivealla storia fino a che chi domina il sistema politico edeconomico glielo consente».

Nessuna decisione è presa, per il momento. Ma ingenere, dopo il dibattito a distanza, qualcuno si prende laresponsabilità di fare la prima mossa.

«È accaduto in quasi tutti gli attacchi recenti in Italia ein Europa. Si comincia con atti dimostrativi» spiega undirigente dell’UCIGOS, l’ufficio antiterrorismo dellapolizia italiana, «poi le cellule cominciano a fare a garaper alzare il livello dello scontro, fino all’eliminazionefisica del nemico.»

Potrebbero arrivare al papa?«Sono invasati, ma non folli. Per loro sarebbe

un’operazione suicida anche politicamente. Non solo siattirerebbero addosso i migliori poliziotti del mondo, manon guadagnerebbero la simpatia di nessuno.Resterebbero schiacciati dalla popolarità del papa erischierebbero l’estinzione. Semmai è probabile cheavvengano attacchi a edifici o simboli religiosi. Cosìcome non escludiamo che anche qualche personalità dellaChiesa, da qualche parte nel mondo, stia correndo rischi.»

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Nei ragionamenti degli 007 anti-eversione c’è un però:«Il problema sono i lupi solitari, i pazzi in cerca dinotorietà. Contro quelli non c’è prevenzione che tenga.Noi continueremo a monitorare. E se qualcuno vuolpregare per il nostro lavoro, tante grazie».

Alcuni giorni dopo questa conversazione, arriva unaconferma indiretta alle previsioni dei servizi di sicurezza.In un altro documento diffuso attraverso una mailing list acui sono iscritti militanti e simpatizzanti dei gruppiextraparlamentari, viene indicata la rotta che va nelladirezione dello scontro diretto. Un testo indicativo dellostato d’animo che sta maturando.

«La storia ci insegna che tutti i rivoluzionari, inclusinaturalmente anche quelli borghesi, riescono a diventarerivoluzionari soprattutto perché osano disprezzare ilnemico, osano lottare e osano conseguire la vittoria.Coloro che hanno paura del nemico e non osano lottare,non osano conseguire la vittoria, non possono che essereriformisti o capitolazionisti. Essi non possono certoessere rivoluzionari.»

Quale sia il percorso che le varie fazionidell’eversione di ultrasinistra stanno imboccando èdunque chiaro. Ma non accadrà in fretta. Occorre primaformare la “coscienza di classe”. Un primo passo del“disprezzo verso il nemico” viene compiuto rimettendo incircolazione una vecchia analisi di Carl Marx: «I principi

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sociali del cristianesimo hanno avuto milleottocento annidi tempo per svilupparsi, e non hanno bisogno di essereulteriormente sviluppati da consiglieri concistorialiprussiani. I principi sociali del cristianesimo hannogiustificato la schiavitù antica, esaltato la servitù dellagleba medievale, e se necessario si prestano anche adifendere l’oppressione del proletariato, sia pureassumendo un’aria un po’ lamentosa. I principi sociali delcristianesimo predicano la necessità di una classedominante e di una classe oppressa, e a favore diquest’ultima esprimono soltanto il pio desiderio che laprima voglia essere caritatevole. I principi sociali delcristianesimo trasferiscono in cielo la compensazione ditutte le infamie, come la intendono i consigliericoncistoriali, e giustificano così la continuazione di questeinfamie sulla terra. I principi sociali del cristianesimodichiarano che tutte le bassezze commesse daglioppressori contro gli oppressi sono o giuste punizioni delpeccato originale e di altri peccati, oppure prove che ilSignore impone ai redenti nella sua infinita saggezza. Iprincipi sociali del cristianesimo predicano la viltà, ildisprezzo di se stessi, la mortificazione, il servilismo,l’umiltà, insomma tutte le qualità della canaglia, e ilproletariato, che non si vuol far trattare da canaglia, hamolto più bisogno del suo coraggio, del suo senso disicurezza, del suo orgoglio e del suo spirito di

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indipendenza, che del suo pane. I principi sociali delcristianesimo sono ipocriti, e il proletariato èrivoluzionario».

Seguendo questo ragionamento, la conclusione non puòche essere una. E riguarda Bergoglio in persona. A tirarele somme è “C.S.” un militante che, secondo gli analistidell’antiterrorismo, è probabilmente una donna. Il lessicoadoperato e la qualità dell’analisi la fanno apparire comeun “soggetto avanzato”. In grado, cioè, di elaborareun’analisi propria seppure fondata sulle sabbie mobili divetuste categorie ideologiche tipiche degli anni Settanta.Segno che la saldatura tra vecchi residuati della lottarivoluzionaria e nuove leve del movimentismo è ormai undato di fatto. Un passaggio del testimone che tiene gliinvestigatori con gli occhi aperti giorno e notte.

Scrive dunque la misteriosa C.S.: «Nell’immaginariocollettivo il marxismo è un cristianesimo laico che pone ipoveri al suo centro. Questo sentimento presume unasuperiorità morale insita nella credenza che questocomunismo – non la sua “aberrazione” stalinista – siafratellanza, amore, pace, esaltazione della miseria e caritàverso il povero. Club di filantropi si riuniscono nei lorosalotti, con una tartina in mano e uno spritz nell’altra, adecretare su cosa sia eticamente corretto e come la societàdovrebbe essere. Secondo loro il comunismo non è ilsuperamento della povertà ma è l’estetica della povertà.

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Insomma, l’impressione è che le parole e le azioni delpapa siano fatte oggetto di un’osservazione attenta ecostante da parte degli ambienti sovversivi.

Bergoglio, però, ha altre preoccupazioni. Conoscequeste spinte estreme e sa che non sempre partono daragioni errate. L’utopia non gli fa paura. I mezzi peraffermarla, invece, a volte sì. Anche di questo Francescoha voluto parlare proprio davanti alla Pontificiacommissione per l’America Latina.

«Un’altra cosa che è importante per la gioventù, datrasmettere alla gioventù, anche ai bambini ma soprattuttoai giovani, è la buona gestione dell’utopia» dice ilpontefice il 28 febbraio 2014 davanti ai delegati giunti dalsuo continente d’origine.

«Noi, in America Latina, abbiamo avuto esperienza diuna gestione non del tutto equilibrata dell’utopia e che inqualche luogo, in alcuni luoghi, non in tutti, e in qualchemomento ci ha travolto. Almeno nel caso dell’Argentinapossiamo dire quanti ragazzi dell’Azione Cattolica, peruna cattiva educazione dell’utopia, sono finiti nellaguerriglia degli anni Settanta… Saper gestire l’utopia,ossia saper guidare – “gestire” è una brutta parola – saperguidare e aiutare a far crescere l’utopia di un giovane èuna ricchezza.»

I ragazzi senza una spinta ideale sembrano non piacere

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a Bergoglio. «Un giovane senza utopia è un vecchioprecoce, che è invecchiato prima del tempo. Come possofar sì che questo desiderio che ha il ragazzo, che questautopia lo porti all’incontro con Gesù Cristo? È tutto unpercorso che bisogna fare.»

La lezione sull’utopia prosegue mettendo in guardiaproprio dai movimenti eversivi: «Mi permetto disuggerire quanto segue. Un’utopia, in un giovane, crescebene se è accompagnata da memoria e discernimento.L’utopia guarda al futuro, la memoria guarda al passato, eil presente si discerne. Il giovane deve ricevere lamemoria e piantare, radicare la sua utopia in quellamemoria; discernere nel presente la sua utopia – i segnidei tempi – e allora sì l’utopia va avanti, ma moltoradicata nella memoria e nella storia che ha ricevuto».

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I NEMICI DENTRO LE MURA

«Transazione negata» ai prelati trafficoni. Cocaina alla SantaSede? Francesco e il ginepraio della finanza vaticana. Untempo di oscurità e di ombre. Le malattie della curia. Lamalavita che cinge d’assedio San Pietro. «È guerra contro papaFrancesco.»

All’ora di pranzo di una mattina di inizio gennaio, unmonsignore si lascia alle spalle le guardie svizzere diporta Sant’Anna, il principale accesso alla Città delVaticano, per dirigersi verso una trattoria di Borgo Pio. Ilfreddo vento di tramontana quel giorno non concedetregua, intrappolando Roma in un gelido inverno.

Benedetto XVI è il papa regnante. Gli scandali a cortenon si contano più. Il monsignore, però, non ha persol’appetito. A fine pasto, dopo il solito caffè correttoofferto dalla casa, senza neanche guardare l’importopresenta la carta di credito emessa attraverso un contodello IOR. Al primo tentativo, il registratore di cassa larespinge. L’oste riprova. Niente. Allora il monsignore, unpo’ spazientito dall’inconveniente, estrae il bancomat.«Proviamo con questo» dice. Ma anche quello, gestito daDeutsche Bank Italia per conto della banca vaticana, viene

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rifiutato. TRANSAZIONE NEGATA. Con il conto rimasto insospeso e il pranzo andato di traverso, il monsignorepercorre i pochi metri che separano il borgo da portaSant’Anna e si dirige verso l’apparecchio bancomat delloIOR. Il display dello sportello automatico, con una frase inlatino, annuncia un malfunzionamento. «Dev’essere unproblema temporaneo» dice il monsignore chiedendospiegazioni a un bancario dello IOR. Indovinato. Unproblema temporaneo, ma di non rapida soluzione.Semplicemente, la Banca d’Italia ha bloccato l’eserciziodi tutte le carte di pagamento riconducibili allo IOR. Ecosì sarà fino a quando il Vaticano non si metterà in rigacon le norme internazionali. Nel frattempo ci saranno ledimissioni di Ratzinger e tutti ascolteranno l’inedito“Buonasera” del gesuita argentino che ha preso il nome diFrancesco.

Nonostante Bergoglio, il Vaticano è ancora una cortedei miracoli dalle virtù millenarie e dai vizi secolari. Lavecchia guardia non vuole rinunciare ai privilegi, e intantotrama ai danni del pontefice. A volte con l’aiutoinconsapevole dei proverbiali “servi sciocchi”, altrevolte con il supporto di taluni intellettuali che si sonoguadagnati da vivere facendo l’esegesi dei discorsi papalie tentando di potabilizzarli a proprio piacimento, ma cheadesso si trovano pressoché disoccupati a causa di un

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pontefice che non ha bisogno di essere interpretato daglioracoli all’amatriciana.

Le riforme teologiche, gli scontri dottrinali, gli attacchicon il fioretto e i colpi di sciabola interni alla curia sonooggetto delle cronache quotidiane dei vaticanisti. Blog,portali, articoli di giornale, newsletter: molte volte è unabattaglia campale tra teologi. Altre volte, una lotta per lasopravvivenza dei vecchi poteri curiali. Non mancano ipettegolezzi, le dispute tra intellettuali prêt-à-porter, lesolite lettere anonime.

Da cronista giudiziario ho imparato che quello deitribunali è un osservatorio parziale ma sempre necessario.Specialmente quando c’è di mezzo la gestione del potere ei regolamenti di conti rimandati nel tempo. Prima o poiqualcosa finisce tra le carte bollate. La giustizia vaticananon è amministrata da magistrati dalla parlantina facile.Tuttavia, come nella maggior parte dei sistemi giuridici,vige fortunatamente la prassi del rendiconto annuale.

Gian Piero Milano, il promotore di giustizia vaticano(figura analoga a quella del procuratore capo), deposita lasua relazione all’inizio del 2015. Non è facile riuscire adaverne copia. Ma neanche impossibile.

La lettura del documento riserva subito una sorpresa.Milano sputa il rospo fin dalle prime righe. «Una vera epropria piaga» scrive riferendosi a «criminalitàfinanziaria e corruzione». Le indagini stanno portando allo

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scoperto il sottobosco di battaglie di potere e interessiprivati.

Nel suo bilancio, Milano attribuisce la ripresa delleattività investigative al «processo di riforme avviato daBenedetto XVI e intensificato da papa Francesco» conl’istituzione del Consiglio e della Segreteria perl’Economia nonché con il Motu Proprio del luglio 2013,che sanziona alcuni reati commessi contro la sicurezza, gliinteressi fondamentali o il patrimonio della Santa Sede, edefinisce «significative innovazioni per l’ambito dellagiurisdizione dei tribunali vaticani».

Le statistiche forniscono un dato inedito: sei arrestidisposti nel corso del 2014, un ordine di cattura emessodal tribunale, tre decreti di citazione per il rinvio agiudizio. «Un dato» afferma Milano «che segna un forte,preoccupante incremento statistico rispetto agli annipassati». Tra gli arrestati: l’arcivescovo JózefWesolowski, accusato di pedofilia e pedopornografia;l’imprenditore triestino Marcello Di Finizio, rimasto incella per un paio di settimane dopo che per quattro volteaveva scalato la cupola di San Pietro e poi, alla vigilia diNatale, si era arrampicato sulla facciata della basilica;infine la femen che il giorno di Santo Stefano ha assaltatoa seno nudo il presepe di piazza San Pietro.

Gian Piero Milano non trascura i temi scabrosi. Sicomincia dai reati a danno di minorenni. L’ufficio del

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promotore di giustizia, con il via libera di papaBergoglio, ha perseguito i delitti «perpetrati all’estero daun pubblico ufficiale della Santa Sede, investito difunzioni diplomatiche e rivestito della dignitàarcivescovile». L’allusione è rivolta alla doppia vitadell’allora nunzio di Santo Domingo, monsignorWesolowski, accusato di aver partecipato a incontri,avvenuti tra il 2011 e il 2013, che avrebbero coinvoltouna rete internazionale di pedofili. Una «fattispeciedelicata» sottolinea il promotore Milano, sulla quale sonoanche in corso atti istruttori e accertamenti informatici.L’ex diplomatico è stato ridotto allo stato laicale con unasentenza che, per diventare definitiva, dev’essereconvalidata negli altri gradi di giudizio.

Il procedimento contro il vescovo polacco (mortod’infarto il 27 agosto 2015, a processo ancora aperto) hail valore di un avvertimento. Come a dire che da questomomento nessuno, dentro o fuori il Vaticano, potrà contaresu amicizie e appoggi o sul passaporto diplomatico peraccampare una qualche immunità. Non importa che sivenga giudicati nel paese nel quale si commettono i reati.La Santa Sede procederà per la sua strada con i propriorgani giudiziari. Esattamente come accade in alcunipaesi, tra cui l’Italia, che perseguono i propri cittadini peri reati di pedofilia commessi anche fuori dai confini

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nazionali, indipendentemente dall’apertura o meno di unprocesso anche all’estero.

E si arriva al vile denaro. Che a più di un prelato nonfa poi così schifo maneggiare. L’8 ottobre 2013 è statoistituito il comitato di sicurezza finanziaria voluto daBergoglio. Esempio di una «dimensione operativa che stadando risultati significativi» dice Milano in riferimentosoprattutto alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio.Il promotore di giustizia menziona la condanna per truffaaggravata di «un soggetto avente la gestione di beniecclesiastici, caso per il quale si attende l’esito delprocesso di appello». Si tratta di monsignor BronislawMorawiec, economo polacco della basilica di SantaMaria Maggiore (dove il papa si reca prima e dopo ogniviaggio apostolico). Morawiec è accusato di aver tentatodi appropriarsi di 210.000 euro, appoggiandosi a un contoIOR.

Tutta colpa di una “t”. Il piano perfetto del monsignoresi è infranto a causa di un maledetto refuso. Una “t” in piùe forse avrebbe potuto farla franca, tenendosil’appartamento comprato con i soldi delle offerte lasciatedai fedeli. «Il diavolo sempre entra per i portafogli, èquesta la porta di ingresso» va ripetendo papa Francesco.

Le disavventure di monsignor Bronislaw Morawiecsono emblematiche dell’aria che tira. Il sacerdote polaccoè stato condannato in primo e in secondo grado dal

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tribunale della Santa Sede e se anche il terzo verdettoconfermasse la condanna in Vaticano parecchicomincerebbero a sudare freddo. Perché adesso si fa sulserio. L’impunità non è più la regola. E finire detenuti, trail Cupolone e la Cappella Sistina, non sarebbe piùun’eccezione.

Morawiec è accusato di gravi ammanchi a danno di unabasilica ricchissima, il cui patrimonio, tra terreni eappartamenti (si parla di 4.500 immobili), è statoalimentato da decenni di donazioni. Nella contabilitàqualcosa però non tornava. «Si tratta di un equivoco, tuttosarà chiarito il più presto possibile, monsignor BronislawMorawiec non ha rubato e sarà assolto» assicurava il suoavvocato. Le spiegazioni, con tutta evidenza, non sonobastate. Oltre ad ammanchi quantificati in misura noninferiore a 200.000 euro, c’era da chiarire una maxi-fattura, si sospetta gonfiata, dell’importo di 1,8 milioniper edizioni pregiate di volumi dedicati alla basilica.Quello di “canonico” è un incarico che tra i carrieristi intonaca scura è stato sempre ambito. Oltre a uno“stipendio” tra i più alti nella Chiesa, circa duemila euro,si ha diritto a un ampio e pregiato appartamento. Se lasentenza verrà confermata anche in terzo grado, ilmonsignore dovrà scontare tre anni e due mesi di carcere,in regime di detenzione (anche domiciliare), poiché lenorme della Santa Sede escludono la sospensione della

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pena (a meno di una grazia concessa dal papa) percondanne superiori ai dodici mesi.

Secondo il promotore di giustizia, il prete polaccoavrebbe incassato 210.000 euro da un conto intestato allabasilica e acceso presso lo IOR, indicando come causaleil pagamento di una parcella alla Integrate TradeConsulting Sa, una fantomatica società elvetica cheavrebbe prestato un servizio di mediazione nell’acquistodi un immobile.

Sfortunatamente, la Integrate Trade Consulting Sa, adispetto di un nome plausibile, non esiste. Ma dove sonodavvero finiti i soldi? Per mettersi al riparo dai sospetti,il sacerdote secondo l’accusa avrebbe personalmenteconfezionato la falsa fattura. «L’imputato aveva pienacoscienza di utilizzare un mezzo ingannatorio allo scopodi indurre taluno in errore» hanno scritto i giudici nellemotivazioni della sentenza. Secondo la corte Morawiecavrebbe truffato non solo la gestione del capitolo di SantaMaria Maggiore, che credeva di avere un debito con imediatori svizzeri, ma si sarebbe preso gioco anchedell’amministrazione del patrimonio della Sedeapostolica, che ha effettuato il trasferimento del denaro sulconto dello IOR, inducendo in errore anche l’ignarofunzionario dell’istituto, che ha consegnato al monsignore210.000 euro.

L’imputato ha fornito la sua versione, sostenendo che la

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società svizzera potrebbe essere «un’azienda di comodo ocostituita ad hoc da un avvocato», nel frattempo passato amiglior vita e perciò non più rintracciabile, il qualeavrebbe seguito la procedura d’intermediazione.

A peggiorare le cose, però, è arrivata l’analisi della“fattura svizzera”. Su carta intestata la “Integrate TradeConsulting Sa” si presenta come residente in”Swizerland” e non in ”Switzerland”. Mancava una “t”.Un dettaglio trascurato dal monsignore, dietro il quale,sostengono i giudici, non c’era altro che se stesso. Recitail capo d’imputazione: «Truffa aggravata a fine divantaggio personale». Ma quanti altri Morawiec hannoprosperato in Vaticano e ora temono di fare la stessa fine?

Per restare in questo ambito, sono state cinque lesegnalazioni di operazioni sospette giunte dall’Autorità diinformazione finanziaria (AIF) e su cui indaga lagendarmeria.

La legge vaticana ha introdotto prescrizioni rigorosesul trasporto transfrontaliero di denaro contante, tanto chenel 2014 sono stati eseguiti controlli su oltre quattromilapersone e settemila veicoli in entrata o in uscita dalVaticano, in media venti al giorno. A riprova che lo IOR

non può più fare da bancomat a chi nasconde capitaliall’estero, anche per effetto, come vedremo, di un giro divite senza precedenti sulla banca vaticana.

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Ma gli inquirenti della Santa Sede hanno avuto a chefare anche con la criminalità, che «presenta sempre più iconnotati della globalizzazione», fenomeno al quale «nonè estraneo lo stato Vaticano» precisa Milano. Nel 2014 iltribunale della Santa Sede ha ricevuto dieci richieste dirogatoria da autorità straniere, di cui otto dall’Italia. Settesono state quelle eseguite, tre quelle negate, di cui unaitaliana, perché la giurisdizione vaticana aveva giàavviato procedimenti nei casi a cui esse si riferiscono.

Ma dalle carte spunta persino un misterioso caso legatoal traffico di droga. Il 19 gennaio 2014 vengonointercettati all’aeroporto di Lipsia, in Germania, 14profilattici pieni di cocaina liquida contenuti in un paccopostale. La spedizione era partita dal Sudamerica ed eraindirizzata, senza destinatario, all’ufficio postale dellaSanta Sede. In tutto 340 grammi di coca purissima, percirca cinquantamila euro di valore. La polizia tedesca el’Interpol in Vaticano speravano che il destinatario delpacchetto si facesse vivo per andare a ritirarlo, maqualcuno deve aver fatto una soffiata, così la droga è stataconfiscata e distrutta. Un episodio singolare su cui vi sonovarie ipotesi, per esempio che il destinatario fossequalche sudamericano impegnato in uno dei collegivaticani o in qualche ufficio della Santa Sede.

Il denaro resta il movente principale della maggiorparte dei reati. E Gian Piero Milano nel suo consuntivo

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chiede che venga introdotta anche all’interno delle MuraLeonine il reato di usura, mai previsto dal codice penalevaticano: una lacuna giuridica che ha finito per prestare ilfianco ad operazioni finanziarie a rischio di strozzinaggio.

Ad ogni modo, una cosa Gian Piero Milano l’haribadita, a costo di apparire come un pm italiano in cercadi notorietà: la necessità di poter continuare a usare leintercettazioni telefoniche, ambientali e informatiche,definite «strumento di indagine imprescindibile».

Anche questo è un messaggio chiaro ai furbetti delVaticano: la Santa Sede non è più una zona franca.Domenico Giani, ispettore capo della gendarmeriavaticana e responsabile della sicurezza del papa, haconfermato che il servizio di sicurezza della Santa Sedeusa questo strumento: «Talvolta capita. Devo dire che nelcorso degli anni sono state davvero molto poche».

Per rafforzare i controlli e scongiurare nuovi scandali, dal13 gennaio 2015 è in vigore il regolamento ufficiale concui l’AIF, l’Autorità vaticana di informazione finanziaria,composta da veri 007 bancari, mette definitivamente inatto le procedure di “vigilanza prudenziale” nel quadrodelle finanze vaticane. Vengono sorvegliate le attivitàdegli organismi economici come lo IOR,l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede

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(APSA), il Governatorato e altri organismi.Complessivamente, si tratta di 100 pagine di norme e 46allegati operativi, dove si indicano tutti i parametri di«onorabilità» e di «buona governance», i «controlliinterni», i requisiti di responsabilità, gli standard e icoefficienti di gestione del rischio, le misure per«promuovere un’etica elevata e criteri professionali eprevenire abusi nel settore finanziario». Le istruzioni sonorivolte a tutti i manager che curano operazioni etransazioni anche con interlocutori esterni, e stabilisconole eventuali sanzioni per i trasgressori.

L’introduzione della funzione di “vigilanzaprudenziale” era una di quelle dettate dal comitatoMoneyval del Consiglio d’Europa, organismo che valutail grado di trasparenza e affidabilità dei sistemi finanziari.La Santa Sede ha risposto col Motu Proprio di papaFrancesco dell’8 agosto 2013 e con una legge attuativa,adottata dalla Pontificia commissione dello stato dellaCittà del Vaticano, rafforzando i poteri degli 007finanziari vaticani in linea con gli standard internazionali.

Contemporaneamente, tra il 2013 e i primi mesi del2015, la nuova gestione dello IOR ha chiuso oltre duemilaconti bancari. Alcuni di questi sono stati congelati e messia disposizione degli investigatori italiani. Attraversol’inchiesta romana “Mafia Capitale” emerge a poco apoco una rete di relazioni spericolate tra emissari di

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gruppi malavitosi e monsignori con meno scrupoli di certioperatori di borsa. Un grumo di interessi che ha potutocontare su coperture e ingenuità. Dai cardinali che siprestano a sostenere iniziative apparentemente beneficheai preti con le chiavi dei forzieri prestate a boss mafiosi.

L’authority di intelligence finanziaria vaticana può oggiesaminare e approvare i “modelli di attività” svolti dalleistituzioni sottoposte al suo controllo. Proprio l’assenza diun controllo preventivo sui flussi di denaro aveva datovita al clamoroso stop imposto da Bankitalia alle carte dicredito vaticane.

Oltre che sul piano dei controlli interni e dellasegnalazione delle operazioni sospette, il giro di viteordinato da Francesco si è esplicato anche sul pianogiudiziario, perseguendo direttamente i reati. Come nelcaso dell’ex presidente dello IOR Angelo Caloia, indagatoper peculato su operazioni immobiliari, o dell’excontabile Apsa, monsignor Nunzio Scarano, inquisito siadalle autorità italiane sia da quelle vaticane per avertentato di riciclare denaro di dubbia provenienza anchefacendosi aiutare da un ex agente segreto italiano.

Un’evoluzione «estremamente positiva» dei rapportipolitici tra Stato italiano e Santa Sede, che si svolgonoormai con un profilo di «assoluta trasparenza e parità»:così giudica i cambiamenti imposti da Bergoglio

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l’ambasciatore Francesco Maria Greco, fino al febbraiodel 2015 rappresentante diplomatico dell’Italia presso laSanta Sede. In quattro anni di mandato e sotto due papi,Greco ha condotto giorno per giorno, con l’abilità deldiplomatico consumato e la fermezza del servitore dellostato, una battaglia con le autorità vaticane. Come si dicein questi casi, con pugno di ferro nel guanto di velluto.

Ma, se nell’ambito della trasparenza c’è stato da partevaticana l’adeguamento agli standard internazionali, distrada da fare ce n’è ancora e a papa Francesco nonmancheranno le gatte da pelare.

«In questi trent’anni» lamenta Greco «non è mai statoavviato un dialogo occhi negli occhi. È esistito quello cheio ero solito chiamare una sorta di Muro di Berlino, nelsenso che non si è mai riusciti a instaurare un dialogo, nondico sul piano tecnico-formale, ma anche e soprattutto sulpiano informale.» Un dialogo «che servisse a costruire unclima di mutua fiducia per poter sgombrare il terreno dareciproci sospetti, eredità d’un passato difficile».

Pur non dichiarandolo apertamente, le parole deldiplomatico sembrano sottintendere che in certi ambientivaticani persista l’idea che fornire dati e informazioniall’Italia significhi «abdicare alla sovranità finanziariadella Santa Sede». L’attività definita di moral suasion,ovvero di progressiva sensibilizzazione, svolta in mododiscreto e riservato dall’ambasciata italiana, ha mirato

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proprio a far capire Oltretevere che istituzioni come laBanca d’Italia o le autorità di vigilanza come l’Ufficio diinformazione finanziaria [gli 007 di Bankitalia, N.d.A.]«non hanno affatto un atteggiamento pregiudizialmentenegativo verso le istituzioni finanziarie vaticane». Certiluoghi comuni, però, sono duri a morire, c’è «ancora dellastrada da percorrere» insiste Greco, dato che «non bastaun accordo fra stati per spianare il cammino a unanormalizzazione dei rapporti in questo senso». Loscambio di informazioni «dev’essere fatto con pienaconvinzione, prima col cuore e poi con la testa», e indefinitiva «occorre che ci si parli con maggiore fiducia».E, nonostante i progressi compiuti, su questo piano ilclima, dice con molto tatto Greco, «è ancoraperfezionabile».

Ma a cambiare sono stati anche i rapporti di forza traVaticano e politica italiana. «In questi oltre quattro anni»dice Greco dopo aver lasciato l’incarico «ho vistoun’evoluzione estremamente positiva nel rapporto fraistituzioni e classe politica italiana da una parte e SantaSede e Chiesa italiana dall’altra, che si è andatadefinendo soprattutto sul versante politico, in quanto giàcon l’ultima fase del pontificato di papa Benedetto XVI esoprattutto con l’avvio del pontificato di papa Francescoc’è stata una definizione dei rapporti in termini più chiarie trasparenti.»

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L’ambasciatore non lo ammetterà mai, neanche sottotortura, ma l’allusione è alla stagione ruiniana, quando irapporti tra Chiesa italiana e politica (segnatamente igoverni di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi)erano fortemente orientati dalle scelte del cardinaleCamillo Ruini, per tre mandati presidente dellaConferenza episcopale italiana. Relazioni che poi furonoavocate dall’allora segretario di stato, il cardinaleTarcisio Bertone, con risultati su cui Greco non esprimealcun giudizio.

«Lo spartiacque è stato l’accordo di modifica delConcordato del 1984. Talvolta la politica si era messa alservizio delle istituzioni ecclesiastiche e viceversa, inmaniera non completamente trasparente: si eranoingenerati fenomeni di “contiguità malsana”, con da unaparte e dall’altra tentativi, a volte riusciti, di reciprococondizionamento e di interferenze.»

Più avanti di così Greco non si spinge. Non mi restache ricorrere a Dionisio.

Anche questa volta, da diplomatico navigato qual è,Dionisio la prende alla larga. Prima mi ricopre dicontumelie. Dice che dovrei cambiare otorino e oculista.«Soldi buttati. Non senti e non vedi. Trovatene altri» misuggerisce, non prima di avermi apostrofato con epitetiche un’ambasciata non ha mai sentito pronunciare.

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«E se ci vedessi meglio e sentissi benissimo, cosaavrei dovuto capire?» gli domando senza togliergli ilpiacere di credersi una spanna davanti a tutti.

«In pratica, la parte politica aveva usatostrumentalmente certi temi, che forse si dovevano lasciarealla libertà di coscienza, e la parte ecclesiastica avevacercato di ottenere vantaggi, magari sul piano economicoo riguardo alle questioni bioetiche» mi risponde Dionisio.

Gli domando: «Stai parlando dei valori nonnegoziabili? E cosa doveva fare la Chiesa, starsene zittadavanti a questioni così serie?».

«Certo che potevano parlare» mi ribatte lui. «Anzidovevano. Ma il tema è un altro. Se quei valori non sonocontrattabili, vuol dire che non hanno prezzo, e se nonhanno prezzo vuol dire che non si barattano neanche conun sostegno elettorale sottotraccia. Berlusconi ne haapprofittato e in cambio di piccole concessioni ha fatto icomodi suoi. Ti sei mai chiesto perché Bergoglio non usapiù l’espressione “valori non negoziabili”? Ecco, adessodovresti avere le idee più chiare. E se non lo hai capito,non preoccuparti, scrivi le cose così come te le ho dette. Ituoi lettori capiranno.»

Poco prima di lasciare l’ambasciata, Francesco MariaGreco ha consegnato una riflessione a Fausto Gasparroni,vaticanista dell’ANSA. Rileggendola si comprende quantaragione avesse Dionisio: «La questione si è risolta grazie

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alla personalità di papa Francesco. Alle ultime importanticonsultazioni elettorali del 2013 si è registrato che laChiesa e la Santa Sede non erano per fortuna in grado diinfluenzare non dico le coscienze, ma l’atteggiamentodegli elettori. E questo è stato un bene per entrambi,consentendo l’instaurazione di un rapporto piùequilibrato, più sereno e fondamentalmente più onesto». Inaltre parole, «non ci sono stati più tentativi di interferenzeo di condizionamento reciproco, e ci si è mossi sulla basedi assoluta parità». Con il risultato che «dopo trent’anni cisi parla guardandosi negli occhi, con franchezza, e senzastrumentalizzazioni reciproche».

Sarà frutto del caso, della fortuna o forse, chissà, dellaProvvidenza, ma di fatto nessuno dei protagonisti dellastagione stigmatizzata da Greco si trova più ai posti dicomando. Tuttavia, nel sottobosco dei poteri che contano,le resistenze sono ancora forti. Ci sono, spiegal’ambasciatore, «argomenti che rappresentano l’eredità diun contenzioso storico, alcuni dei quali sono stati avviati afavorevole conclusione, per altri sono state poste lepremesse per una definizione, ma rimane del cammino dapercorrere».

Una delle questioni più annose e «di più ampiaportata», tra quelle citate da Greco, riguarda lacooperazione giudiziaria e in particolare le rogatorie.«Sono stati fatti enormi progressi,» scrive il diplomatico

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«facilitati innanzitutto dal desiderio di piena trasparenzaimposto da papa Benedetto XVI e ribaditofermissimamente da papa Francesco. È indubbio che tuttele richieste di rogatoria internazionale inoltrate per viadiplomatica dalle autorità giudiziarie italiane a quellevaticane abbiano avuto puntuale, precisa, esauriente etempestiva risposta.» Insomma, «c’è la massimacooperazione reciproca», anche sulle rogatorie inviate dalVaticano all’Italia, e a favore ha giocato non solo la lineadirettiva imposta da Benedetto e confermata da Francesco,ma anche «un atteggiamento estremamente lungimirantedelle competenti autorità giudiziarie italiane», con cui,non ultima, la stessa ambasciata ha intrattenuto un«fruttuoso rapporto», anche circa il modo migliore peravanzare certe richieste, in modo tale che «questi nodivenissero completamente risolti e i potenziali contenziosiappianati».

I nemici dentro la sua stessa Chiesa, Bergoglio avevaimparato a conoscerli da giovane. Durante la dittatura epoi nel periodo del faticoso ritorno alla democrazia.All’epoca pagò un prezzo altissimo. Emarginato e isolato,il futuro papa ha conosciuto l’ingiustiziadell’ingratitudine. Lui, però, ne parla in altri termini.

Nella geografia del cuore di papa Francesco c’è un

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luogo che ha segnato profondamente la sua formazione e lasua persona. Una città dove il futuro pontefice ha trovato«il sentiero di Dio», dopo avere attraversato quello chelui ricorda come un «tiempo de oscuridad, sombras», untempo di oscurità e di ombre. Quel luogo è Córdoba,nell’Argentina centrale, oltre 700 chilometri a nord diBuenos Aires, ai piedi delle Sierras Chicas.

Bergoglio vi aveva vissuto una prima volta comenovizio, tra il 1958 e il 1960, e poi vi è tornato comesacerdote, nel periodo che va dal 1990 al 1992. Nelfrattempo c’erano state la giunta militare, la fine delladittatura, il disorientamento nella Chiesa, le crisi socialied economiche, e i suoi sei anni da provinciale deigesuiti, dal 1973 al 1979. «Il Signore» ha detto Bergoglionella sua prima intervista da pontefice, rilasciata aldirettore della rivista «La Civiltà Cattolica» padreAntonio Spadaro, «ha permesso questa pedagogia digoverno anche attraverso i miei difetti e i miei peccati.»

Dopo averne fatto cenno in quell’ampio colloquio, ilpapa è tornato con la mente a quegli anni parlandoneproprio a due giornalisti cordobesi, Javier Cámara eSebastián Pfaffen. Che raccontano: «Avevamo manifestatol’idea del libro al vescovo cordobese, Carlos Ñáñez, ealcuni mesi dopo aver avviato le ricerche è arrivata unatelefonata». Era “padre Jorge”.

Altre telefonate sono seguite. Alla fine, quella che è

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emersa non è stata un’intervista: «Lui ci ha fornito diversespiegazioni e ci ha regalato ricordi importantissimi»spiegano gli autori. Episodi che sono diventati il piattoforte di Aquel Francisco, un sorprendente libro di 350pagine appena pubblicato in Argentina dalla EditorialRaíz de Dos.

Cámara e Pfaffen volevano capire fino in fondo qualelegame avesse il papa con la loro città. Una sorta diapprofondimento sulla storia locale. Intanto volevanocomprendere cosa intendesse Bergoglio quando avevadetto a padre Spadaro di aver «vissuto un tempo di grandecrisi interiore» durante la sua permanenza a Córdoba.

«Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda,ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modoautoritario di prendere le decisioni a creare problemi.» Aidue reporter cordobesi, papa Francesco ha spiegato chenon gli piace che si parli di “castigo”, e meno che mai di“esilio” da Buenos Aires per ordine dei superiori dellaCompagnia, con cui pure c’erano state delleincomprensioni. Aveva già 54 anni, era sacerdote da unventennio, e non necessitava certo di essere “rieducato”.

Papa Francesco visse laggiù quello che, tuttavia, padreAngel Rossi, figlio spirituale di Bergoglio, non esita adefinire «deserto dell’esilio».

Il papa offre una lettura intima di quell’epoca. Nessunarivendicazione, anzi la consapevolezza che quel «tiempo

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de oscuridad, sombras» è stato propedeutico allamissione che gli sarebbe stata affidata: «Un religioso nondovrebbe mai dire “ho subito un’ingiustizia”, perché devesempre trovare dentro di sé, in ogni caso e in ognicircostanza, il sentiero di Dio, la via per una purificazioneinteriore. Quindi non posso dire che mi hanno fatto untorto, anche se altri lo credono».

A quell’epoca, al futuro papa non erano stati assegnaticompiti precisi. «Non mi avevano fissato un orario stabileper la celebrazione della messa, ma avevo un calendarioper le confessioni.»

Per via del luogo in cui si trova a Córdoba la chiesadei gesuiti, lungo una strada che collega diverse zonedella città, da Bergoglio arrivavano persone di ogniestrazione culturale, sociale ed economica: docentiuniversitari, studenti, avvocati e la loro servitù. Qui siaccorse che, tra i fedeli, alcuni facevano una «buonaconfessione». Incuriosito, scoprì che si trattava dei menoabbienti, che venivano tutti da Traslasierras, la regione incui cento anni prima aveva svolto la sua missionepastorale padre José Gabriel del Rosario Brochero:l’indimenticato “cura Brochero”, quasi un curato d’Arslatinoamericano. Era la prova, per Bergoglio, chel’evangelizzazione del prete gaucho «dopo quasi unsecolo era ancora efficace».

Il papa parla poi del tempo trascorso a studiare, con

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dedizione e fatica. E mai avrebbe potuto immaginarequanto quello studio sarebbe potuto diventare utile nonsolo a lui, ma alla Chiesa intera. Leggeva e rileggeva ilteologo Romano Guardini, una figura che si rivelerànevralgica tra l’altro «nello scrivere l’Esortazioneapostolica Evangelii gaudium, dal momento che granparte dei criteri sociali adoperati vengono presi dalle tesidi Guardini». E ricorda anche di aver letto, su “ordine” diun suo superiore, alcuni volumi sulla storia dei papi. Fuimpegnativo e non sempre appassionante. Eppure“profetico”, visto quello che poi è accaduto. Scorrendo ilcarosello di vicissitudini, di miserie e di profezie, «mi hacolpito la figura della Chiesa Madre, la fedeltà delSignore verso il peccatore», «la Chiesa infedele, maanche con tanti santi. La figura della Chiesa Madre che havinto in modo impressionante. Questi libri mi hannoaiutato ad amare la Chiesa».

Le sue riflessioni avvenivano in una quotidianitàscandita da servizi umili, svolti con devozione, in cucinacome nella sacrestia. La quotidianità di un «tiempo deoscuridad» che molti testimoni oculari hanno definitocome «la routine di un santo».

Il passato, sovente, non passa del tutto. Le begheinterne restano un guaio non da poco, per papa Francesco.Quanti pensavano che ritirarsi a vivere nei settanta metri

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quadrati dell’appartamentino nella Domus Santa Marta,rinunciare al comfort delle auto più lussuose e indossareparamenti riciclati avrebbe potuto innescare un immediatoeffetto emulazione della curia presto hanno dovutoricredersi.

Il 27 aprile 2014 sui settimanali diocesani di Vercelli eGenova appare una lettera dai toni piuttosto contrariati. Ilmittente è il cardinale Tarcisio Bertone, ex segretario distato, finito al centro di sferzanti polemiche. Vale la penarileggerla per intero.

«Nei giorni scorsi alcuni media hanno parlato inmaniera malevola a proposito dell’appartamento cheabiterò in Vaticano e, per rincarare la gogna mediatica,l’“Informatore” ne ha raddoppiata la metratura. È statodetto, fra l’altro, che il papa si sarebbe infuriato con meper tanta opulenza. Addirittura è stato messo a confrontolo spazio del “mio” appartamento con la presuntaristrettezza della residenza del papa.

Innanzitutto ringraziamo Dio e la sollecitudine di tanti,per il fatto che il papa sia alloggiato e assistitodignitosamente a Santa Marta dove può svolgereagevolmente le sue attività istituzionali.

Personalmente, poi, sono grato e commosso per latelefonata affettuosa che ho ricevuto da papa Francesco il23 aprile scorso per dirmi la sua solidarietà e il suodisappunto per gli attacchi rivoltimi a proposito

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dell’appartamento, del quale era informato fin dal giornoin cui mi è stato attribuito.

Tante persone, conosciute durante gli anni del mioministero a Vercelli e a Genova, o compaesani della miadiocesi di origine, Ivrea, mi hanno scritto e telefonato percondividere il dispiacere.

Scrivo questa lettera ai settimanali diocesani perringraziare queste persone amiche e per quelli chepossono essere rimasti meravigliati dalla notizia.L’appartamento spazioso, come è normalmente delleresidenze negli antichi palazzi del Vaticano, edoverosamente ristrutturato (a mie spese), mi è concessotemporaneamente in uso e dopo di me ne usufruirà qualcunaltro.

Come diceva il santo pontefice Giovanni XXIII, “nonmi fermo a raccogliere le pietre che sono scagliate controdi me”.»

Il giorno successivo alla telefonata del 23 aprileevocata da Bertone, sul profilo twitter di Pontifex, papaFrancesco detta un pensiero in meno di cento caratteri. Ilpost appare alle 10.24: «Uno stile di vita sobrio fa bene anoi e ci permette di condividere meglio con chi habisogno».

Basterebbe questo a segnare una distanza misurabile inanni luce tra i modi francescani di Bergoglio e la condottadi chi rivendica antiche prerogative. Nella lettera di

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Bertone ci sono riferimenti che a molti, nell’entourage delpapa, non sono piaciuti. Espressioni come «la presuntaristrettezza della residenza del papa» suonano beffarde.Ma non è questo a denotare l’attaccamento di chi, comeBertone, non intende rinunciare ai benefici della propriaposizione. Piuttosto, a pesare è quell’«a mie spese» checerto segnala la volontà del cardinale di mantenere inbuono stato un immobile secolare bisognoso di costantirestauri, ma che nel contempo è indicativo di uno stile cheoggi (finalmente) appare quantomeno inappropriato. Èun’affermazione che starebbe bene in bocca a un comunecittadino, che ha lavorato e risparmiato per una vita. Nona un successore degli apostoli.

Già un anno prima papa Bergoglio aveva suonato lacampana. Ma non c’è sordo peggiore di chi non vuolsentire. «Non ho mai visto un camion da trasloco dietro uncorteo funebre, mai.» Un passaggio dell’omelia tenuta inSanta Marta il 21 giugno 2013. C’è un tesoro, ha detto ilpapa, che «possiamo portare con noi», un tesoro chenessuno può rapinare, che non è «quello che hairisparmiato per te», ma «quello che hai dato agli altri».

L’ex segretario di stato è diventato un bersaglio facileanche a causa delle sue mosse a volte ingenue, altrepeggio che goffe, altre ancora in aperta contraddizione conil sentiero tracciato da Bergoglio. Ma, in realtà, labonifica della corte dei miracoli è un lavoro lungo. Il

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pontefice lo ha ribadito 22 dicembre 2014 nel corso degliauguri natalizi alla curia romana.

In quell’occasione ha indicato quindici malattie cheaffliggono molti di quanti gli stanno intorno.

Innanzitutto «la malattia del sentirsi “immortale”,“immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando inecessari e abituali controlli» ha detto Francesco, per poisuggerire, con la consueta, tagliente ironia, che«un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare avedere i nomi di tante persone, delle quali alcuni forsepensavano di essere immortali, immuni e indispensabili!».

Poi il papa ha additato «la malattia delle chiacchiere,delle mormorazioni e dei pettegolezzi» e «la malattiadell’accumulare», aggiungendo che «i nostri traslochisono un segno di questa malattia»: un riferimentovolutamente al plurale, nel quale più d’uno ha potutoriconoscersi.

Lo stesso vale per la «malattia della rivalità e dellavanagloria: quando l’apparenza, i colori delle vesti e leinsegne di onorificenza diventano l’obiettivo primariodella vita». Coloro che ne soffrono, ha detto il papacitando san Paolo, si riconoscono anche perché «sivantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e nonpensano che alle cose della terra».

Non passa giorno che sul tavolo di Bergoglio, come

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confermano diversi stretti collaboratori del pontefice, nonarrivino nuovi problemi da risolvere. Il papa si tieneinformato anche sugli sviluppi di alcune inchieste dellamagistratura, ancora aperte, che hanno lambito la SantaSede. La più recente è “Mondo di Mezzo”, che staportando alla luce gli affari sporchi e i giochi di potere diuna vasta e ramificata organizzazione a delinquerechiamata “Mafia Capitale”: una cupola di personaggiambigui e criminali tout court che per anni si è spartitaappalti, consulenze, assegnazione di posti di lavoro eperfino la gestione di attività sociali, come i campi per inomadi e le strutture di accoglienza e assistenza deiprofughi.

Dal mare delle carte dell’inchiesta stanno emergendodettagli sulla rete di rapporti degli uomini consideratilegati a Massimo Carminati (ex militante di estremadestra) e a Salvatore Buzzi, il suo braccioimprenditoriale. Una trama che arrivava al ministero degliInterni e al Vaticano.

Al Viminale si muoveva Luca Odevaine, un passatonelle amministrazioni locali di sinistra e un presente alTavolo nazionale su immigrati e richiedenti asilo. Da lì,secondo il raggruppamento operativo speciale deicarabinieri, cercava di orientare le scelte a favore dellecooperative sociali vicine a “Mafia Capitale”. Ma

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Odevaine si muoveva anche in ambienti vicini alla curiaromana.

Il vicariato si dice «del tutto estraneo» alle attivitàdella cooperativa Domus caritatis e del consorzio Casadella solidarietà, che non sono «riconducibiliall’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di SanTrifone, di cui è in corso la procedura di estinzione».Proprio con il camerlengo di San Trifone parlavaOdevaine ricevendo promesse di «passaggi molto inalto».

Direttamente al Vaticano puntava invece ErnestoDiotallevi, boss storico della mala romana, indagato comereferente di Cosa Nostra a Roma e in rapporti conCarminati. Nel febbraio 2013, pochi giorni primadell’elezione di Bergoglio, lui e il figlio Mario avevano“agganciato” il faccendiere Paolo Oliverio, poi arrestatoper una truffa da dieci milioni all’ordine dei Camilliani.Oliverio si era presentato a loro come colonnello dellaguardia di finanza legato ai servizi e «destinato allo statopontificio». L’entusiasmo dei due boss per quel contattopromettente si può leggere nella trascrizione di una lorotelefonata intercettata dagli inquirenti: «Mamma miacacciano pure er papa… Tu t’immagini: entri a far parteda sicurezza ar Vaticano?» dice Diotallevi padre.«Diventamo miliardari se quello c’ha una mossa perquesti prelati.»

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L’inchiesta è ancora aperta. E una cosa l’ha accertata.In coincidenza con l’elezione di Bergoglio, una serie dicontatti tra gli indagati e personalità vicine agli ambientiecclesiali si interrompono. «È probabile» ipotizza uninvestigatore «che l’inarrestabile rinnovamento avviato daBergoglio abbia fatto saltare alcune figure dicollegamento tra il Vaticano e questi ambigui personaggi,rimasti senza coperture.»

Sfogliare i dossier di “Mondo di Mezzo” è istruttivo.Istruttivo e preoccupante. Si scoprono elementi solo inapparenza secondari. Si intravedono intrecci inquietanti diinteressi inconfessabili da una parte all’altra del Tevere.E la malavita organizzata è molto agitata per i moniti dipapa Francesco e per la scomunica da lui pronunciata.

Il 22 maggio 2015 Andrea Tornielli mette a segno unaltro scoop. Poco dopo l’ora di pranzo su «VaticanInsider» viene pubblicata una notizia bomba: «Francescodice no all’iniziativa, voluta dal presidente de Franssu eapprovata dal board dell’Istituto, di creare una “SICAV” inLussemburgo per la gestione dei depositi». Una decisioneche di fatto sconfessa le intenzioni del “banchierecentrale” della Santa Sede e suona come un rimprovero achi, anche tra i nuovi ranghi, non ha compreso a fondol’intransigenza di Francesco sulle questioni finanziarie.

«Questa proprio non me la spiego» commenta a caldo

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Dionisio abbandonando per una volta lo stile felpato davecchia feluca. Ci ritroviamo a Roma, non lontano dalperimetro delle Mura Leonine.

«Solo in Vaticano possono accadere cose del genere. Eoramai ho smesso di domandarmi dove finisce l’ingenuitàe dove comincia il calcolo.» Insomma, «tu sei il banchieredel papa, stai ristrutturando l’impalcatura finanziaria dellaSanta Sede, rendendola moderna e trasparente. E poi cosafai, ti comporti come un finanziere qualsiasi?».

L’operazione in sé non ha nulla di illegale. Però èambigua e certamente incoerente con il vangelo di papaFrancesco. «Questa storia puzza» commenta Dionisiodopo aver fatto un paio di telefonate a sue fonti fidate.«Non mi torna. Qui non è questione di inesperienza, ancheun ragioniere appena diplomato avrebbe capito che conBergoglio la musica è cambiata, non si scherza più.» Sogià dove Dionisio vuole arrivare. Oramai ci conosciamoabbastanza per sapere entrambi che dietro ai sorrisi daelegante veterano della diplomazia, e dietro alle domandeda cronista rampante si nasconde sempre una qualcheallusione. «Pensi che sia…» non faccio in tempo ad aprirebocca che lui completa: «…una polpetta avvelenata per ilpapa. Sì, una trappola per Bergoglio».

Prima di giungere a conclusioni affrettate, Dionisio e iopassiamo in rassegna i fatti, così come sono stati resi noti

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e così come siamo riusciti a ricomporli mettendo insiemele reciproche fonti.

Il presidente Jean-Baptiste de Franssu aveva propostola costituzione di una società d’investimento a capitalevariabile (SICAV) da insediare in Lussemburgo. Sullacarta le SICAV devono garantire trasparenza e scongiurareconflitti d’interesse. Se amministrate nella massimacorrettezza, le SICAV residenti in piazze a fiscalitàagevolata assicurano una tassazione favorevole, abeneficio del patrimonio. Potrebbero essere un buonsalvadanaio. In teoria sarebbe stata anche una buonascelta, consentendo alla Santa Sede di poter destinare piùfondi alle attività benefiche grazie al risparmio sulleimposte. Eticamente, però, questa opzione incontra molteresistenze. Se nessuna organizzazione non governativa, purnecessitando di maggiori sostegni economici, ha maiscelto la scorciatoia dei paradisi fiscali una ragione cisarà?

La SICAV dello IOR doveva servire per gestire partedei depositi dell’istituto. La decisione era stata oramaipresa dalla dirigenza ed era stata formalizzata dalConsiglio di sovrintendenza della banca vaticana. Dopoaver inspiegabilmente superato il primo livello, ilprogetto è arrivato al piano superiore. Ma quando è statosottoposto alla commissione cardinalizia di vigilanzaguidata dal porporato spagnolo Santos Abril y Castelló, la

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faccenda è arrivata direttamente alle orecchie del papache si è visto recapitare dal porporato spagnolo ilfascicolo sulla SICAV.

Scontata come una giornata di sole ad agosto, ladecisione del papa ha bloccato tutto. Buone intenzioni aparte, che ne sarebbero stati dei proclami contro ilcapitalismo selvaggio, le denunce contro le banche rapaci,se poi proprio la banca del papa si fosse comportata comeuna qualunque società di Wall Street?

Il fondo d’investimento in Lussemburgo avrebbe resopiù complicate e opache le funzioni di controllo e papaFrancesco, fin dall’inizio del pontificato, ha volutocontrastare la tendenza dello IOR a comportarsi, in alcunicasi, come una banca d’affari, perciò riformando l’istitutonella direzione di una banca cassiera delle istituzionipontificie.

Parlando con i giornalisti sul volo di ritorno dalviaggio in Brasile (luglio 2013), Jorge Mario Bergoglionon aveva escluso che la commissione referente sullo IOR,istituita appena un mese prima, potesse perfino deciderela definitiva chiusura dell’istituto. Alla fine si scelse dinon abbassare le saracinesche per una ragione moltosemplice: «Gran parte della Chiesa del mondo è povera,ha bisogno di finanziamenti per costruire scuole, ospedali,centri di assistenza, seminari. Il problema è un altro, civuole il massimo di trasparenza e di pulizia» aveva

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spiegato Guzmán Carriquiry, vicepresidente dellaPontificia commissione per l’America Latina,colloquiando con il vaticanista Francesco Peloso, autoredel libro La banca del papa.

Uno degli informatori di Dionisio conferma per interoquesta raffigurazione, ma aggiunge un dettaglio. «Qualchetesta cadrà. Bergoglio era stato categorico, ma non lohanno ascoltato. Così come è arrivata la notizia dellabocciatura da parte del papa, sarebbe trapelata quellasulla nascita della SICAV. Prova a immaginare comel’avrebbero cavalcata i suoi avversari. Avrebbero dettoche il suo è un cambiamento di facciata, oppure che glielafanno sotto il naso e perciò mostra debolezza di governo.»Per l’immagine pubblica del papa sarebbe stata unasberla. Uno di quei passi falsi su cui costruire unacampagna di discredito prestando il fianco agli ambientipolitici e della finanza che, come abbiamo visto, nonstanno certo srotolando il tappeto rosso.

Anche stavolta la rete di comunicazione che Francescosta pazientemente tessendo, cercando di non veniretagliato fuori dalle manovre antipapiste, ha funzionato.«Ma sarà sempre così?» si domanda Dionisio dopo averripetuto che lui lo aveva previsto, «la vecchia guardia nonmolla, e più il papa sarà indaffarato e più sarà difficileche qualcosa di grave non gli sfugga».

Quest’ultimo tentativo è andato a vuoto. Ma conferma

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che, in buona o cattiva fede, c’è chi prova a zavorrare labarca di Pietro, anche approfittando della buona coscienzadei nuovi vertici dello IOR.

Tre giorni dopo l’esplosione del caso, quando ancorain pochi hanno le coordinate su cosa sia davveroaccaduto, scende in campo monsignor Nunzio Galantino,segretario generale della Conferenza episcopale italiana.Il presule, scelto dal papa per questo incarico, spiegacosa il pontefice si aspetti dalla “sua” banca e perchéFrancesco ha respinto con un tratto di penna il progettodella SICAV in Lussemburgo. «Riportare alla matrice ealla motivazione originaria il possesso di beni economicida parte della Chiesa.»

Sia chiaro, «i soldi in sé e per sé non sono il male,assolutamente no. Sono il male quando si usano e se neabusa per il proprio tornaconto. E allora, quando ancheuomini di Chiesa perdono di vista la destinazioneoriginaria dei beni loro affidati, può succedere di tutto».

Perciò allo IOR, così come a qualsiasi altro enteecclesiastico, «serve un’amministrazione intelligente eoculata: il denaro si può anche mettere a frutto, ma perfare, anziché una, due opere di carità: è la motivazioneevangelica, che quando manca va recuperata, a definireuna scelta giusta, coerente e consapevole o, al contrario,speculativa, goffa e ridicola, oltre che» sottolineaGalantino «pericolosa».

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Le vecchie volpi di curia sanno che alle volte è megliol’afasia. Ci sono molti modi per interpretare il silenzio. Sitace per omettere, oppure perché si è complici, per paurao per prendere tempo. Di silenzi intorno a Francesco nonne mancano. E perfino quando egli chiede di essereinformato sulle matasse da sbrogliare, c’è chi sceglie dinon metterlo al corrente di tutte le opzioni possibili. Piùche una forma di resistenza passiva, l’eccesso diriservatezza appare come un’arma di difesa, adoperata daisoliti protagonisti delle cronache di fine impero. Quelreame che Francesco sta smobilitando attirandosi unmalcontento crescente tra quanti devono rinunciare aprivilegi e zolle di potere.

Come è accaduto con l’IDI, il prestigioso IstitutoDermatologico dell’Immacolata, le cui casse, secondo laprocura di Roma, sono state saccheggiate attraverso unasistematica attività di spoliazione di risorse. Un bucocome non se ne erano mai visti negli enti di emanazioneecclesiale e su cui papa Francesco ha chiesto di vedercichiaro e di essere informato sulle decisioni daintraprendere per salvare gli oltre 1.300 posti di lavoro.Invece, come si vedrà grazie a una serie di intercettazionitelefoniche, il papa non fu messo al corrente di alcuneipotesi per il salvataggio dell’istituto clinico.

È necessario fare un passo indietro. A quando gli

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inquirenti hanno chiuso le indagini in attesa che si apra ilprocesso. L’inchiesta sul dissesto della Provincia italianadella Congregazione dei Figli dell’ImmacolataConcezione (PICFIC), ente religioso a cui fa capo ilcomparto IDI-Sanità si è chiusa con quaranta indagati a cuivengono contestati 144 capi d’imputazione, che perelencarli tutti non basterebbe la metà di queste pagine.Volendo rimettere in ordine gli appunti sparsi, torno abussare alla porta di uno degli investigatori della guardiadi finanza, uno di quelli sempre aggiornati sugli sviluppidelle indagini sul malaffare romano, quella rete direlazioni pericolose che mette insieme politici, exterroristi, affaristi, manager, assidui frequentatori dellesacrestie che contano. Se quello che il militare dice diaver trovato venisse confermato dai tribunali, ci sarebbeda scrivere un romanzo. I grafici elaborati dalle Fiammegialle per sintetizzare il caso IDI mostrano traiettorie damontagne russe. E non si può non avvertire un senso divertigine davanti a un passivo patrimoniale di circa 845milioni di euro oltre a una serie di spregiudicatedistrazioni di fondi per oltre 82 milioni di euro. Nonfinisce qui. Agli indagati vengono contestati anche unindebito utilizzo di fondi pubblici per oltre 6 milioni eun’evasione fiscale di oltre 450 milioni di euro.Globalmente si parla di una cifra monstre: 1,38 miliardi

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di euro, ma a fine processo saranno molti di più a causadell’inesorabile lievitazione degli interessi debitori.

Tra i reati principali vi sono la bancarotta fraudolenta,l’emissione e l’utilizzo di fatture false, l’occultamento discritture contabili e l’appropriazione indebita in relazionea fatti avvenuti tra il 2007 e il 2012. I principali indagatisono padre Franco Decaminada, all’epoca consiglieredelegato dell’IDI e incaricato della gestione del compartosanità fino al dicembre 2011; Domenico Temperini, examministratore di IDI-Farmaceutici nonché direttoregenerale pro tempore di IDI-Sanità.

Quando la faccenda viene a galla la Santa Sede decidedi commissariare la congregazione dei Figlidell’Immacolata, ma anche il nuovo management finiscenei radar della guardia di finanza. Nel corso diun’indagine gemella condotta dalla procura di Trani sulcrac multimilionario delle case di cura pugliesi dellaDivina Provvidenza, vengono intercettate alcunetelefonate. Nelle registrazioni si possono ascoltare le vocidel cardinale Bertone, del cardinale Giuseppe Versaldi edi Alessandro Profiti, a quel tempo presidente del polosanitario Bambin Gesù.

Tra le strade prese in esame dal nuovo managementdell’IDI viene considerata anche una scorciatoia pocoortodossa. Stornare trenta milioni assegnati dal governo

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italiano al Bambin Gesù e immetterli nelle casse esanguidell’Istituto Dermatologico. Il tutto grazie allo stessoProfiti, che nel frattempo oltre che del Bambin Gesù erastato nominato commissario straordinario della Provinciaitaliana dei Figli dell’Immacolata.

La telefonata intercettata sull’utenza di Profiti è del 24dicembre 2013, vigilia di Natale, e secondo gli inquirentialimenta il «sospetto che si sia in presenza di condotte dirilevanza penale».

Nella conversazione, Profiti aggiorna il cardinaleBertone – da due mesi non più segretario di stato – a cuiconferma che con la legge di stabilità sono stati assegnatial Bambin Gesù soldi che si vorrebbero utilizzare pertenere a galla la clinica dermatologica. Niente di piùsemplice, in apparenza. Il capo del Bambin Gesù (Profiti)avrebbe potuto girare circa trenta milioni al commissariodell’IDI (sempre Profiti). Un ostacolo ci sarebbe: ilcambio di destinazione del denaro dei contribuenti italianinon era previsto dalle norme. E forse anche per questoalla fine l’ipotesi viene scartata.

Il contenuto della conversazione, secondo gliinvestigatori, è coerente con quella del successivo 26febbraio 2014, in cui il cardinale Giuseppe Versaldi(prefetto dell’Educazione cattolica e allora presidente

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della Prefettura vaticana degli affari economici nonché“commissario” pontificio per la congregazione dei Figlidell’Immacolata) ordina a Profiti di omettere al papal’ipotesi su cui però si starebbe puntando. Bertone, oramaiin pensione e suo malgrado al centro di polemiche emaldicenze, ne viene messo al corrente, ma il papa no.Una circostanza curiosa, visto che Bergoglio in personadecise di convocare per quella stessa sera il duo Versaldi-Profiti, probabilmente per conversare non di teologia.L’appuntamento in Santa Marta è per le 19. Un invitoarrivato a Versaldi con poche ore di preavviso.

A comporre il numero di Profiti è il porporato.

PROFITI: «Pronto! Ciao don Giuseppe!».VERSALDI: «Ciao. Senti. Ci riceve stasera alle

diciannove il papa».PROFITI: «Ma chi ci…?».VERSALDI: «Il papa».PROFITI: «Aaah! O mio Dio!».VERSALDI: «Tu puoi?».PROFITI: «Io? Certo! E ci mancherebbe!».VERSALDI: «Bene. Ci troviamo… sì».PROFITI: «Eh! Cosa devo…».VERSALDI: «Passi…».PROFITI: «…dire? Fare? Portare?».

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VERSALDI: «No. Ma poi introduco io come delegato. Epoi tu dici le cose che hai detto ieri sera».

PROFITI: «Ah! Cos’è che dovevo saltare? Che me nesto andando in paranoia?».

VERSALDI: «Ma diceva… no! Mi pareva… mi pareno?».

PROFITI: «Ah!».VERSALDI: «Ehm… ehm… devi tacere che questi

trenta milioni…».PROFITI: «Sì. Sì. Sì. Sull’intervento, sì».VERSALDI: «Sono stati dati per l’IDI. E dire

semplicemente che, come ogni anno, oltre ai cinquantasono stati dati trenta per il Bambin Gesù, senza… ah…ah… una…».

PROFITI: «Vincolo di destinazione».VERSALDI: «…una… una… una destinazione, no?».PROFITI: «Ho capito. Ho capito».VERSALDI: «Eh… eh …».PROFITI: «Sì. Se no bisognerebbe spie… ah! Ecco! Tu

dici che è meglio così».VERSALDI: «A meno che lui sappia, sappia

diversamente…».PROFITI: …(incomprensibile)…VERSALDI: «Possiamo dire così. Poi vediamo».PROFITI: «Sì. Sì. Lo possiamo dire».

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VERSALDI: «Poi puoi dire che poi è intervenuto ilPresidente, sapendo che avevamo queste… ma solo se luichiede, no?».

PROFITI: «Sì, sì, sì. Se chiede…».VERSALDI: …(incomprensibile)…PROFITI: «Be’! In fondo è stato un caldeggiamento, di

quello di salvare l’IDI insomma».VERSALDI: «Eh!».PROFITI: «Posso saltare i dettagli tecnici ecco! Del

colloquio col presidente».VERSALDI: «Ecco! Sì! Va bene. Puoi dire che tu… il

presidente per salvare…».PROFITI: «Se te lo chiede però».VERSALDI: «Sì».

Il cardinale Versaldi, che non è indagato, ha precisato cheil suo «invito a non entrare nei dettagli tecnici (a queltempo ancora in discussione, N.d.A.) non aveva nessunaintenzione di “mentire” al papa, ma semplicemente ditacere di ciò che ancora non era chiaro neppure aitecnici», rivendicando poi che la soluzione effettivamentemessa in campo per l’IDI, grazie a un prestito di 50milioni erogato dall’APSA, il dipartimento che amministrail patrimonio vaticano, ha permesso di salvare 1.334 posti

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di lavoro. E anche la nuova presidente del Bambin Gesù,Mariella Enoc, subentrata proprio a Profiti, ha smentitoche «fondi di bilancio dell’ospedale, meno che mai fondipubblici, siano stati destinati all’acquisizione dell’IstitutoDermopatico dell’Immacolata».

Ai magistrati la sequenza delle telefonate Versaldi-Profiti-Bertone, al di là dell’inesistente rilievo penale,appare come esemplificativo di un modus operandianalogo a quanto avvenuto con le case di cura dellaDivina Provvidenza, che avrebbero visto AlessandroProfiti fare da ponte tra l’amministrazione delle strutture ei monsignori di curia interessati a scongiurare la cessionedei gioielli della sanità cattolica.

Qualunque fossero le intenzioni, anche volendoconcedere ai protagonisti l’attenuante della buona fede, diuna cosa si è certi: almeno fino alla sera del 24 febbraio2015 papa Francesco non doveva sapere.

«Francesco non è al primo posto del Guinness deiprimati dei pontefici che hanno avuto più nemici inVaticano. Il primo posto, almeno guardando ai tempirecenti, è senza dubbio di san Giovanni XXIII, il “papabuono” che rivoltò la Chiesa da cima a fondo come oggista facendo Bergoglio» osserva Francesco Antonio Grana,

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accorto collega del «Fatto Quotidiano». Dopo l’enciclicaLaudato si’ la lista si allungherà. Tra una riflessione e unaproposta, papa Francesco ha disseminato il testo di puntiinterrogativi. Li riporto nella sequenza con cui appaiono.Bastano questi per capire che Bergoglio non avrà vitafacile. Molti, compreso chi scrive, si sentiranno presi peril bavero.

Prevenire e risolvere le cause che possono dareorigine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con lafinanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegnipolitici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché sivuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per lasua incapacità di intervenire quando era urgente enecessario farlo?

A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se nonriconosciamo la radice umana della crisi ecologica. Vi èun modo di comprendere la vita e l’azione umana che èdeviato e che contraddice la realtà fino al punto dirovinarla. Perché non possiamo fermarci a riflettere suquesto?

Non possiamo non apprezzare e ringraziare per iprogressi conseguiti, specialmente nella medicina,nell’ingegneria e nelle comunicazioni. E come non

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riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecniciche hanno elaborato alternative per uno svilupposostenibile?

Mai l’umanità ha avuto tanto potere su se stessa eniente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se siconsidera il modo in cui se ne sta servendo. Bastaricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo,come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dalnazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari alservizio dello sterminio di milioni di persone, senzadimenticare che oggi la guerra dispone di strumentisempre più micidiali. In quali mani sta e in quali puògiungere tanto potere?

L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi,sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasiimpercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto unaporta chiusa. Sarà una promessa permanente,nonostante tutto, che sboccia come un’ostinataresistenza di ciò che è autentico?

Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, aldi fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni edelle necessità immediate, che limiti possono avere latratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il

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narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e dipelli di animali in via di estinzione?

Non è la stessa logica relativista quella che giustifical’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli odi utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto dibambini perché non rispondono al desiderio dei lorogenitori?

Le leggi possono essere redatte in forma corretta, maspesso rimangono come lettera morta. Si può dunquesperare che la legislazione e le normative relativeall’ambiente siano realmente efficaci?

Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloroche verranno dopo di noi, ai bambini che stannocrescendo?

Quando ci interroghiamo circa il mondo chevogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suoorientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Senon pulsa in esse questa domanda di fondo, non credoche le nostre preoccupazioni ecologiche possanoottenere effetti importanti. Ma se questa domanda vieneposta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altriinterrogativi molto diretti: a che scopo passiamo da

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questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questavita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perchéquesta terra ha bisogno di noi?

La società in che modo ordina e custodisce il propriodivenire in un contesto di costanti innovazionitecnologiche?

In ogni discussione riguardante un’iniziativaimprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande,per poter discernere se porterà ad un vero sviluppointegrale: per quale scopo? Per quale motivo? Dove?Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono irischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?

È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dallamassimizzazione dei profitti si fermi a pensare aglieffetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni?

Qual è il posto della politica?

Quando leggiamo nel Vangelo che Gesù parla degliuccelli e dice che «nemmeno uno di essi è dimenticatodavanti a Dio» (Luca 12, 6), saremo capaci dimaltrattarli e far loro del male?

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La natura è piena di parole d’amore, ma comepotremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alladistrazione permanente e ansiosa, o al cultodell’apparire?

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Epilogo

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QUANTI SONO I NEMICI DI FRANCESCO

Potentati finanziari, multinazionali, mafie, terroristiislamici, trafficanti di armi, prelati arraffoni, monsignoriminacciati nel loro potere curiale, despoti avidi diricchezze…

Si racconta che un giorno Stalin chiese ai suoiinterlocutori di quante divisioni armate disponesse ilpapa. Oggi passerebbe piuttosto il tempo a cercare dicalcolare quanti sono i nemici di Francesco.

Già nei primi mesi di pontificato, a molti appare chiaroche per la gendarmeria vaticana proteggere il papa è ungrande impegno. Francesco non perde occasione per farfare gli straordinari alla scorta. Si butta tra la gente, lasciain garage l’autoblindo e si mette in posa per i selfiescoprendosi le spalle. Sale e scende dalla papamobile perabbracciare chi gli pare e qualche volta prende a bordovecchi amici mescolati tra la folla di piazza San Pietro.

Gli unici a poter dire qualcosa di definitivo sullasicurezza del papa sono il comandante della gendarmeriae il dirigente dell’ispettorato vaticano della poliziaitaliana. Nessuno dei due vorrebbe parlarne, ma lapressione mediatica è difficile da contenere. Così, nellaprimavera del 2015, a qualche giorno di distanza l’uno

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dall’altro, i due ufficiali decidono di rilasciare intervistea organi di informazione ritenuti affidabili.

Domenico Giani, il generale che comanda lagendarmeria vaticana e sovrintende alla sicurezza delpapa regnante e di quello emerito, si concede alledomande della rivista della polizia italiana. MariaRosaria Maiorino, dirigente dell’ispettorato vaticanodella polizia, parla invece attraverso il settimanale«Oggi».

Quanto ai rischi per il papa, Giani è categorico: «Laminaccia esiste. Questo è ciò che emerge dai colloqui cheho con i colleghi italiani e stranieri». Mentre Maiorino,dal canto suo, spiega: «I livelli di attenzione sono saliti inquesto periodo e bisogna tener conto di ogni possibilescenario: dal pericolo di un attentato terroristico fino alfedele che, per entusiasmo, al passaggio del papa lanciaqualcosa o al pellegrino che si fa male contro letransenne».

Da queste prime risposte risulta un quadrosufficientemente chiaro. Giani non vuol dire di più emostra cautela: «Una cosa è l’esistenza di una minaccia,altra cosa la pianificazione di un attacco. Al momentoposso dire che non siamo a conoscenza di piani di attaccoal Vaticano o al Santo Padre». Per il capo della scortapersonale del pontefice «non esistono solo le minacce

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dell’Isis, ma anche i rischi di azioni solitarie, che sonopiù pericolose perché imprevedibili. Penso a fanatici, adisturbati mentali, a mitomani, oppure semplicemente aindividui che potrebbero decidere di agire in Vaticano perla rilevanza mediatica che se ne può ricavare». Inutileminimizzare: «Il Santo Padre è ben consapevole dellaminaccia che grava sulla sua persona, ma la sua unicapreoccupazione è per i fedeli». Non è un caso se, sui circa130 uomini della gendarmeria, che si aggiungono a 110guardie svizzere, «una ventina di gendarmi vaticani»rivela Giani «hanno ricevuto un addestramento specialeche li rende idonei anche al pronto impiego in azioniantiterrorismo».

Che l’attenzione sia ai livelli massimi lo confermaun’altra affermazione del capo della gendarmeria aproposito del numero di uomini a disposizione: «Alla lucedella situazione di rischio dovremmo essere anche di più.Ma i vincoli di bilancio e l’austerità esistono anche inVaticano».

Nel frattempo, all’interno delle Mura Leonine, larivoluzione di Francesco prosegue. Una grande riformache incontra applausi e ostacoli. È proprio qui che siverifica un episodio forse piccolo ma certamenteemblematico. È il 20 novembre 2014. Papa Francesco si èappena recato alla FAO, l’organizzazione per

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l’alimentazione e l’agricoltura dell’ONU. Adaccompagnarlo ci sono il nuovo segretario di stato, ilcardinale Pietro Parolin, e altri funzionari delladiplomazia vaticana. Durante la temporanea assenza diParolin, un altro cardinale decide di farsi rivedere nellaterza loggia, il terzo piano del Palazzo apostolico, in cuiha sede la Segreteria di stato. È Tarcisio Bertone, l’exsegretario di stato. Lo stesso che, subissato di critiche perla ristrutturazione del suo principesco buen ritiro inVaticano, si era difeso menzionando «la presuntaristrettezza della residenza del papa».

Cosa ci faceva Bertone nei suoi vecchi uffici mentreerano momentaneamente sguarniti dei vertici nominati daBergoglio?

Quel che appare certo è che, più gli interventi diFrancesco si fanno decisi, più i lupi tornano a fare branco.I pretesti sono i più svariati: dal dibattito sul sinodo per lafamiglia, con l’annosa diatriba sui divorziati risposati,alla difesa dei “valori non negoziabili” e alla protezionedei cristiani perseguitati… Del resto, i lupi sanno chepossono contare su una nutrita schiera di intellettuali,giornalisti ed esponenti politici pronti a dare man fortealla strana alleanza degli antipapisti.

Tornano in mente le parole che il cardinale WalterKasper ripete da tempo: quella in corso è anche «una

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guerra a papa Francesco».Nel suo Francesco tra i lupi, Marco Politi (che in un

libro precedente su Ratzinger ne aveva previsto ledimissioni) preconizza che dopo Bergoglio «il successoretornerà probabilmente a vivere nell’appartamento papale,ma non potrà più presentarsi con i paludamenti delpassato. Soprattutto non riuscirà più a esercitare un potereautoritario senza limiti. L’assolutismo imperiale deipontefici è stato incrinato irreversibilmente».

Ma il papa come reagisce? Su questo Bergoglio non hamai voluto esprimersi. A sorpresa uno dei suoi più fidaticollaboratori ha però concesso una confidenza. E lo hafatto attraverso un canale ufficiale: Radio Vaticana. Sitratta di monsignor Guillermo Karcher, sacerdoteargentino in servizio presso la Segreteria di Stato.Karcher era a fianco del papa le sera in cui fu eletto. Daallora non passa giorno che i due non trascorrano deltempo insieme. «Francesco gode di un grande affetto eanche di un’immensa popolarità, ma ovviamente nonmancano le critiche, anche nel mondo cattolico. Lei – gliha domandato il giornalista Alessandro Gisotti – ha maivisto il papa dispiaciuto per questo?». La risposta dipadre Guillermo va riletta con cura. «Lui ride e dice: “Vabene, meglio, conosciamo come sono fatte le persone”.Lui, però, ha questa libertà di spirito e questa fortezzainteriore. Io penso che sia un unto dallo Spirito. Porta

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avanti un ministero affidato dalla Chiesa, per il bene dellaChiesa e del mondo, e lo fa con serenità e con certezzad’animo.» Parole che suonano come una rassicurazione aifedeli e insieme un invito a desistere dalle manovre controFrancesco. Un modo per dire che è al corrente di cosa gliaccade intorno, delle insidie e delle trappole, ma questogli permette di soppesare manovratori ed esecutori,procedendo incurante dei maligni, «con serenità e concertezza d’animo».

Intanto c’è chi non rinuncia a toni apocalittici. Come ilcardinale americano Raymond Leo Burke. «Resisterò alpapa se ci saranno le aperture ai divorziati risposati e aigay. Non posso fare altro.»

Quello che Vatileaks ha mostrato non è solo il pericoloche anche i segreti e le notizie più riservate di un’autoritàreligiosa e morale come il papa possano essere trafugati emessi in circolo. Quella storia dimostra come nonostante icontrolli e la sorveglianza, il papa non può dirsi al sicuroneanche in casa sua. Anzi. Il fidato maggiordomo chetradisce la fiducia del pontefice è molto di più di unaperfetta sceneggiatura per un thriller. Paolo Gabriele,l’aiutante di camera di Benedetto XVI, era presente inogni momento della vita privata del papa. Gli serviva ipasti, gli porgeva da bere, teneva d’occhio la sua salute eaccedeva ai documenti riservati.

Già intorno alla prematura morte di Giovanni Paolo I,

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il papa dei 33 giorni, si scatenarono illazioni e congetturemai del tutto sopite. Erano gli anni nei quali lo Ior erastato infiltrato da faccendieri senza scrupoli, massoni edemissari della mafia.

I covi dei carbonari anti-Bergoglio non si celanosoltanto tra i salotti romani abituati ai pettegolezzi e alletrame. A guidarmi nella notte dei pensieri indicibili èancora una volta Dionisio, la vecchia volpe delladiplomazia a cui ricorro quando proprio non so a chesanto votarmi.

È lui a dirmi che sì, «il papa rischia la vita, ma non èdi questo che bisogna preoccuparsi. Tutti i papi hannodato grattacapi alle loro guardie e qualcuno è andatovicino alla morte, anche più volte. Perciò, stai sicuro,Bergoglio rischia. Ma in tanti anni non mi era mai capitatodi sentire tanto livore e tanto affetto».

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APPENDICE

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Pubblichiamo in lingua originale gli stralci di alcuni deiprincipali documenti citati in questo libro.

Documento 1La copia dell’analisi di J.P. Morgan, firmata

dall’economista Jim Glassman, contro le denunce di papaFrancesco a proposito del capitalismo di rapina e dellacontroversa teoria economica della “ricaduta favorevole”.

Documento 2La copia, mai resa pubblica, della mozione con cui il

Parlamento degli Stati Uniti d’America avrebbe dovutoesprimere a Francesco le congratulazioni per la suaelezione. La proposta non è mai stata approvata ed èrimasta nel cassetto a causa dell’ostracismo di gran partedel Partito repubblicano.

Documento 3Fin dagli anni precedenti all’elezione, quello di padre

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Jorge Mario Bergoglio era un nome ricorrente nei rapporti“top secret” della CIA e del Dipartimento di Stato USA. Intotale più di 50 cartelle di testo sul futuro papa, l’epocadelle tensioni con la politica argentina e i retroscena delConclave del 2005, quando venne eletto Benedetto XVI, edi quello concluso il 13 marzo 2013 con la scelta diFrancesco.

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Documento 1 – Analisi di J.P. Morgan

James Glassman

JP Morgan Chase economist

Those concerned about global poverty have moreto be thankful today than to complain about. Thecommonly-heard complaints that today’s economicsystems fail to address the plight of the poor ignoreseveral fundamental facts.

Poverty is not a modern phenomenon. Second, thedeveloped economies are still recovering from deeprecessions and in time will reach their full potential.That is, of course, why central bank policies remainso stimulative. Those hurt by the recession will berestored as the developed economies continue torecover. And third, despite the cyclical problems ofthe developed economies, the average global livingstandard is at a record high—the highest known in

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the records compiled by economists and stillclimbing, thanks to the support from the developedeconomies.

In other words, market-oriented economic systemsare doing more to cure global poverty than anyother effort in the past. …

Unflattering opinions about market-orientedeconomies see in the successes of some a systemthat rewards the survival of the fittest with benefitsthat only trickle down to others, glossing over theinterdependence of economic actors that isfundamental to modern economic systems.Technological innovation often is portrayed as adestroyer of jobs rather than a creator of neweconomic frontiers. The benefits that come in theform of new jobs and industries and higher livingstandards are usually too difficult to visualize.

Technological innovation enables economies to domore with less. It’s the “less” that negative viewsabout technology tend to fixate on. Yet, policyactions and new opportunities created byinnovation create jobs for the displaced and it isthe “more” that at the end of the day lifts a nation’s

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living standard. And because the distribution ofincome has widened in the last several decades,many assume this is an inevitable feature of free-market economies that calls for intervention fromtime to time.

For sure, times are challenging for many, owing tothe trauma associated with our latest businesscycle that thankfully is gradually passing, the rapidpace of technological change that has displacedmany jobs, as it has for almost three centuries, andnew competition from abroad as others attempt toreplicate what the developed economies havedone.

Nonetheless, in most cases, our hardships don’tcompare with those our predecessors faced even inthe past century, recalling the stories of those wholived through the Great Depression or wereuprooted by the chaos of war and social upheavalin Europe and Asia in the first half of the 20thcentury.

We are fortunate. So are those who live and workin Western Europe, Canada, Japan, Taiwan, Israel,New Zealand, Australia, South Korea, parts of the

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oil-rich Middle East. Nonetheless, we account foronly one billion of the world’s seven billion, or lessthan 15 percent of the world’s population.

Now others have a chance, because theirgovernments have embarked on aggressivedevelopment agenda and are able to move forwardquickly by opening their borders to the internationalbusiness community and stabilize their currenciesto those in the developed economies. China andIndia, in particular, are an example that is indirectlybenefiting their neighbors and inspiring others.

The widening distribution of income in the US andother developed economies is attractingconsiderable attention. It would be unsettling, anddestabilizing, if the global “economic pie” werestatic and one group were benefiting at theexpense of others. Instead, what likely is drivingthe distribution of income is the wealth ofopportunity that is associated with an expandingglobal “economic pie” and that because it isoccurring at an eye-popping pace has unevenbenefits. The global community has much to bethankful for and modern market-oriented

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economies deserve considerable credit for thebattle against global poverty.

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Documento 2 – Mozione del Congresso USA

Congratulating Pope Francis on his election and recognizing hisinspirational statements and actions.

IN THE HOUSE OF REPRESENTATIVES

DECEMBER 11, 2013Mr. LARSON of Connecticut submitted the following

resolution; which was referred to the Committee onForeign Affairs

RESOLUTIONCongratulating Pope Francis on his election and

recognizing his inspirational statements andactions.

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Whereas on March 13, 2013, Archbishop JorgeMario Bergoglio of Buenos Aires, Argentinawas elected Supreme Pontiff of the CatholicChurch;

Whereas his election marked the first time aPope from the Americas has been selected;

Whereas he is the first Jesuit to becomeSupreme Pontiff of the Catholic Church;

Whereas he took the papal name of Francis,becoming the first pope to take the nameof St. Francis of Assisi, who was known forhis devotion to humility and the poor;

Whereas he has demonstrated his humility bychoosing not to live in the lavish ApostolicPalace, living instead with the clergy andlay people in the Vatican guesthouse;

Whereas on March 28, 2013, he broke fromtradition during the washing of feet, whenhe washed the feet of 12 criminals,including two women, becoming the firstpope to include women in the rite;

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Whereas on November 6, he displayed hischarity by caressing a man with severedisfigurement, drawing comparisons to theactions of his namesake, St. Francis, whosekiss of a leper forever changed his life bysolidifying his commitment to the poorestamong us;

Whereas when asked to describe himself duringan interview with a Jesuit magazine, hereplied ‘‘I am a sinner’’;

Whereas his emphasis on humanitarian efforts toalleviate suffering serves as an inspirationto Congress and all Americans;

Whereas his humility, his commitment toeconomic justice and improving the lives ofthe poor, and his outreach to individualsfrom all walks of life have been universallypraised and are living examples of JesusChrist’s message; and

Whereas his call to end inequality has echoedacross the globe and brought millionstogether in solidarity: Now, therefore, be it

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1. Resolved, That the House of Representativescon

2. gratulates Pope Francis on his election andrecognizes his

3. inspirational statements and actions.

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Documento 3 – Rapporto CIA e Dipartimento diStato USA

CONFIDENTIAL SECTION 01 OF 02 BUENOS AIRES002451

2006 November 2, 11:33 (Thursday)

SIPDIS

SIPDIS

E.O. 12958: DECL: 11/02/2016TAGS: PGOV [Internal Governmental Affairs],PREL [External Political Relations], AR [Argentina]SUBJECT: ARGENTINA: COALITION LED BYCATHOLIC CHURCHDEFEATS KIRCHNERISTA IN MISIONES

Classified By: CDA Michael Matera for Reasons1.4(b) and (d).

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¶1. (U) SUMMARY: Misiones Province governor andKirchner ally Carlos Rovira's attempt to amend theprovincial constitution to allow indefinite re-electionwas soundly rejected in an October 29 election fordelegates to a constituent assembly. PresidentNestor Kirchner had publicly supported the effortand Rovira's defeat in the polls is being portrayedby the media and the opposition as a seriouspolitical setback for Kirchner. The margin of theopposition victory, in the face of a concertedgovernment effort to secure votes, surprised nearlyeveryone. While all facets of the opposition wereable to unite in Misiones against Rovira, it isdoubtful whether this unity can be transferred to anational level. The opposition to Rovira in Misioneswas led by the former Catholic bishop of theprovince Joaquin Pina, leading some journalists andpolitical analysts to speculate that the Church maybe the only institution strong enough to pose a realchallenge to Kirchner. END SUMMARY.

¶2. (C) Misiones Province governor and Kirchnerally Carlos Rovira's attempt to amend the provincialconstitution to allow indefinite re-election wassoundly rejected in an October 29 election fordelegates to a constituent assembly. Political

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analysts have postulated that President Kirchnerhas suffered a significant defeat via the outcome inMisiones. President Kirchner's personal and publicsupport for Governor Rovira's proposedconstitutional reform leaves him with no way toshift blame for the defeat in Misiones. In a meetingwith Emboffs on October 31, a respected politicalanalyst and pollster shared information thatPresident Kirchner was angry with his wife forencouraging him to support Governor Rovira sopublicly when he felt he should have stayed out ofthe issue. (COMMENT: Although the defeat may bea disappointment or embarrassment for PresidentKirchner, it is unlikely to cause him any significantpolitical damage. His behavior so far has beentypical of his reactions to prior situations that arebeyond his control: damage control by staying outof the public and remaining silent. END COMMENT.)

¶3. (U) The opposition to Rovira in Misiones wasled by the former Catholic bishop of the provinceJoaquin Pina, leading some journalists and politicalanalysts to speculate that the Church may be theonly institution strong enough to pose a realchallenge to Kirchner. While all facets of theopposition were able to unite in Misiones against

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Rovira, it is doubtful whether this unity can betransferred to a national level. The opposition'scandidate list for the elections was filled withmostly religious leaders, including Catholic andProtestant ministers, who were widely viewed asmoral leaders free of any political baggage. Thesesame candidates were able to work together on asingle issue, which many analysts have said wouldbe much more difficult on the national level wheremyriad issues are at play. Pina has, moreover,announced that he is done with politics and has noplans to continue as a candidate on the local ornational level. Cardinal Jorge Mario Bergoglio, headof the Catholic Archdioceses of Buenos Aires, lenthis personal support to Pina's efforts, but has alsodiscouraged any official Church involvement inpolitics.

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Documento 3 – Rapporto CIA e Dipartimento diStato USA

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The Catholic Church Weighs In

¶4. (U) Following the verdict, the Buenos AiresArchdiocese of the Roman Catholic Church issued apress statement calling on Von Wernich to repentand publicly seek forgiveness. The Archdiocese saidthe Argentine Catholic Church was disturbed by thepain caused by one of its priests' participation insuch serious crimes. The statement added that theprosecution of the crimes should be a step towardArgentine reconciliation and serve as a wake up callfor citizens to put elements of impunity, hate andspite behind them. The bishops also touched on aself-critical diocese statement issued in 1997,reminding that church leadership and laypersonsalike involved in these or similar crimes acted ontheir own responsibility. October 11 press reportsindicate that the Church will initiate its own internalproceedings, possibly to defrock Von Wernich.

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Comment

¶5. (SBU) Von Wernich's conviction and sentencingare a significant milestone in Argentina's ongoingefforts to seek justice in the cases of major humanrights violations from the 1970s. They also drawattention to the support given by

Roman Catholic clergy to both sides in the DirtyWar. Many on the political left allege the Churchwas complicit with atrocities committed by thestate and believe the Church has failed to accountor atone for its actions. As noted above, the Churchhas not yet disciplined nor defrocked Von Wernichbut has sought to distance itself from theunauthorized, maverick operations of rogue priests.Nonetheless, at a time when some observersconsider Roman Catholic primate Cardinal

Bergoglio to be a leader of the opposition to theKirchner administration because of his commentsabout social issues, the Von Wernich case couldalso have the effect, some believe, of underminingthe Church's (and, by extension, CardinalBergoglio's) moral authority or capacity tocomment on political, social or economic questions.

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WAYNE

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2008 May 20, 13:57 (Tuesday)

DE RUEHBU #0681/01 1411357ZNY CCCCC ZZHP 201357Z MAY 08FM AMEMBASSY BUENOS AIRESTO RUEHC/SECSTATE WASHDC PRIORITY 1091INFO RUCNMER/MERCOSUR COLLECTIVE

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Documento 3 – Rapporto CIA e Dipartimento diStato USA

¶12. (C) The agricultural crisis has shifted thepolitical map. CFK won the election six months agowhen inflation was not the number one publicconcern, when rural voters were solidly behind her,and when retirees and consumers had beenplacated by pre-election increases in pensions andsalaries. The prolonged agricultural crisis fuelspublic anxieties about the government'smanagement of the economy and the sustainabilityof the dramatic recovery from the 2001-02 crisis.The precipitous drop in the polls has encouragedthe Kirchners to change their style and adopt aconciliatory approach, at least tactically. Tellingly,the government reportedly has put on the backburner its plans to "re-launch" CFK's administrationwith the announcement of cabinet changes andnegotiations to reach a broad social pact (ref D).Business and banking groups had resistedgovernment pressure to sign a pact without a

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solution to the farm crisis. The Catholic Church tooshowed it felt offended by the government'sdecision to move the May 25 celebration to Saltafrom Buenos Aires, so that Cardinal Bergogliowould not be the one giving the traditional May 25church sermon (likely to be critical of thegovernment). The real test, however, is if thegovernment can bring about and get credit for asolution to the crisis, and then convince the publicthat the government is really addressing a chronicArgentine worry: inflation. Septel will look atagriculture sector's decision to return tonegotiations.WAYNE

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I nemici di Francescodi Nello Scavo© 2015 - EDIZIONI PIEMME Spa, MilanoEbook ISBN 9788858514450

COPERTINA || PROGETTO GRAFICO: © USHADESIGN | ART DIRECTOR: CECILIAFLEGENHEIMER

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Indice

Il libroL’autoreFrontespizioI NEMICI DI FRANCESCOPrologo. Bergoglio doveva morirePrima Parte. POTERI FORTI

1. Chi ha paura di Bergoglio?2. Sotto la lente dei servizi segreti3. Nemici a stelle e strisce4. Mercanti di morte

Seconda Parte. BATTAGLIE DIPLOMATICHE5. Una svolta clamorosa nella crisi iraniana6. Cuba, capolavoro diplomatico7. L’implacabile guerra di Francesco contro i nemici della pace8. «L’Europa è ferita!»9. Persecutori e perseguitati

Terza Parte. POTERI SPORCHI10. Le rotte dei nuovi schiavi11. Contro il nuovo schiavismo delle multinazionali12. Contro i trafficanti di esseri umani

Quarta Parte. I NEMICI IN CASA13. Mafiosi, narcos e spie corrotte14. Il terrorismo rosso contro il papa15. I nemici dentro le mura

Epilogo. Quanti sono i nemici di FrancescoAppendice

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Copyright