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GLI UTENTI STRANIERI E I CENTRI PER LIMPIEGO UNINDAGINE IN ALCUNI GRANDI CENTRI URBANI a cura di Guido Baronio “Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 6/2007 ISFOL – RP(MDL)-6/07 Elaborazione grafica di ANNA NARDONE

GLI UTENTI STRANIERI E I CENTRI PER L IMPIEGO UN IN ALCUNI

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GLI UTENTI STRANIERI E I CENTRI PER L’IMPIEGO

UN’INDAGINE IN ALCUNI GRANDI CENTRI URBANI

a cura di

Guido Baronio

“Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 6/2007

ISFOL – RP(MDL)-6/07

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Con le monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, vengono presentati e divulgati in forma sintetica, i principali risultati di studi realizzati dall’Area “Ricerche sui sistemi del lavoro” e dall’Area “Analisi e valutazione delle politiche per l’occupazione”.

Direzione della collana: per l’Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”: Diana Gilli per l’Area “Analisi e valutazione delle politiche per l’occupazione”: Marco Centra

Il presente lavoro è frutto di un’indagine svolta dall’Area “Ricerche sui sistemi del lavoro” dell’Isfol, presso i Centri per l’impiego nell’ambito delle attività di monitoraggio dei Servizi per l’impiego affidate all’Isfol nel quadro della programmazione 2000-2006 del Fondo sociale europeo, previste dal Masterplan sui Servizi per l’impiego.

La ricerca è stata coordinata da Guido Baronio.

Autori Guido Baronio par. 2.1, 2.2, 2.3, 3.1 e cap. 4, predisposizione del questionario e

del data base, pulitura data-base e elaborazione dati Mafalda D’Onofrio par. 3.2, 3.3, 3.4 , 3.5, 3.6 Giuseppe De Sario par. 2.4, 2.5 e allegati A1, elaborazione dati e pulitura data-base. Alessandro Scassellati cap. 1 Le interviste agli utenti sono state condotte da: Arianna Giovannini, Damiano Mazzei, Giuseppe De Sario, Katia Napoletano Interviste ai responsabili dei Cpi a cura di: Guido Baronio, Mafalda d’Onofrio, Filippo Tantillo Data-entry a cura di Natale Cersosimo Si ringraziano i dirigenti provinciali e dei Cpi interessati, Mario Brambilla, il dirigente del servizio stranieri del Cpi di Roma, oltre che a tutto il personale dei Cpi coinvolti.

Isfol – Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori Via G. B. Morgagni, 33 - 00161 Roma Tel. 06/44.59.01 – Fax 06/44.59.06.85

Indirizzo Internet http://www.isfol.it

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GLI UTENTI STRANIERI E I CENTRI PER L’IMPIEGO

UN’INDAGINE IN ALCUNI GRANDI CENTRI URBANI

FOREIGN CUSTOMERS AND THE JCs

A SURVEY OF SOME BIG METROPOLITAN AREAS

SINTESI ABSTRACT La crescita della presenza di lavoratori stra-

nieri è stata uno degli aspetti che maggiormente ha caratterizzato le trasformazioni del mercato del lavoro Italiano degli ultimi anni.

Tale tematica, ed in particolare il ruolo ri-coperto dai Servizi per l’impiego nell’inseri-mento lavorativo dei cittadini immigrati, è da tempo oggetto di specifiche analisi da parte dell’Isfol, anche in considerazione del fatto che i cittadini extra o neocomunitari disponibili al lavoro nel 2006 rappresentavano circa il 5,3% del totale di iscritti ai Centri per l’impiego.

Proprio la crescita della rilevanza dell’uten-za straniera rappresenta un’ulteriore sfida per il mondo dei Servizi pubblici per l’impiego. Da un lato, infatti, la presenza straniera è ormai consolidata e funzionale al sistema produttivo del paese, dall’altro è anche portatrice di esi-genze originali e specifiche.

L’intento di questo volume è non solo quello di evidenziare tali specificità, ma anche di sottolineare le esperienze che i Centri per l’impiego di Milano, Torino, Bologna, Firenze e Roma hanno sperimentato e consolidato nel corso degli anni.

Vengono inoltre presentati i risultati dell’indagine condotta sull’utenza dei Cpi di quattro grandi città, che ha coinvolto un campione casuale di utenti neo od extra-comunitari, per un totale di circa 800 soggetti.

Tale analisi è affiancata da un approfon-dimento relativo ai modelli di integrazione lavorativa tipici dei cittadini stranieri e alle esperienze maturate negli altri paesi dell’UE 15.

Viene così costruito un quadro suffi-cientemente ampio della realtà dei lavoratori immigrati in Italia, individuando aspetti che, per quanto relativi ad ambiti territoriali specifici, consentono di formulare alcune considerazioni estendibili anche a realtà diverse da quelle dei grandi centri urbani analizzati.

The increasing number of foreign workers represents one of the factors that has mostly characterized the changing Italian labour market in the last years. In peculiar, this feature and the role played by Pes for the insertion of immigrants in the labour market, has been since long surveyed by side of Isfol through in-depth analysis, even because, in 2006, EEC/EC citizens available to work accounted for 5,3% about of the total amount of customers registered by JCs in Italy.

Moreover Pes has to face a further challenge: the increasing relevance that foreign users are getting. In fact, on one side their relevant presence has been consolidated and is functional to the productive system of the country, on the other side it brings new and specific requirements and needs.

This publication aims to focus such specific aspects and factors, as well as to point out the experiences experimented and consolidated by the JCs of Milan, Turin, Bologna, Florence and Rome over the years.

Furthermore it presents the findings of an analysis relative to the JCs customers carried out in four big cities. The survey involved a random sample of EEC and EC users, in the whole 800 persons about.

Such survey has been accompanied by an in-depth analysis relative to the working integration models of foreign citizens and to the experiences realized in other countries of the EU15 as well.

Thus it has been possible to build up a wide scenario of the conditions of the immigrant workers in Italy, detecting also aspects that, even if relative to some specific geographical areas, have allowed processes and considerations that could be transferred to contexts quite different from the big metropolitan areas observed.

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INDICE

Sintesi – Abstract pag. 3

Introduzione “ 10

1 L’integrazione lavorativa degli economic migrant nell’era del post-fordismo “ 12

1.1 I lavoratori immigrati tra concorrenza, complementarietà e declino demografico “ 12

1.2 Reticoli etnici ed istituzioni facilitatrici “ 16 1.3 La difficile integrazione delle “seconde generazioni” “ 22 1.4 Programmi e azioni di integrazione dei cittadini extra-UE

nell’Europa a 15 “ 24 1.4.1 Austria “ 30 1.4.2 Belgio “ 33 1.4.3 Danimarca “ 36 1.4.4 Finlandia “ 39 1.4.5 Francia “ 41 1.4.6 Germania “ 44 1.4.7 Gran Bretagna “ 46 1.4.8 Grecia “ 49 1.4.9 Irlanda “ 51 1.4.10 Lussemburgo “ 51 1.4.11 Olanda “ 53 1.4.12 Portogallo “ 56 1.4.13 Spagna “ 59 1.4.14 Svezia “ 62 1.5 La “via italiana” all’integrazione socio-lavorativa dei cittadini

extra-UE “ 64

2 Gli utenti dei Centri per l’impiego nei grandi centri urbani “ 67 2.1 Nota metodologica “ 67 2.2 Le caratteristiche degli utenti intervistati “ 69 2.3 La condizione lavorativa “ 76 2.4 Il livello di istruzione degli utenti intervistati “ 85 2.5 La relazione con il Cpi “ 97 2.6 I giudizi sulla città “ 119

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3 I Centri per l’impiego e l’utenza extracomunitaria: servizi attuati e modalità di realizzazione nelle province indagate pag. 130

3.1 I cittadini stranieri e i Centri per l’impiego “ 130 3.2 Torino “ 135 3.3 Firenze “ 141 3.4 Bologna “ 143 3.5 Roma “ 146 3.6 Milano “ 148

4 Conclusioni “ 150

Allegati: Report sintetici della rilevazione quantitativa nei Centri per l’impiego interessati Questionario di rilevazione “ 153

Riferimenti bibliografici “ 203

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INDICE DELLE TABELLE

Tab. 1 - Utenti intervistati per nazionalità e genere. Valori percentuali pag. 69Tab. 2 - Utenti intervistati per classe di età e genere. Valori percentuali “ 71Tab. 3 - Utenti per permesso di soggiorno posseduto e genere “ 72Tab. 4 - Utenti intervistati per visto di ingresso “ 75Tab. 5 - Utenti intervistati che hanno fatto ricorso a procedure di

regolarizzazione. Valori percentuali “ 76Tab. 6 - Utenti occupati per tipo di professione dichiarata (classificazione

Istat 2001) “ 79Tab. 7 - Utenti disoccupati per condizione. Valori percentuali “ 83Tab. 8 - Cittadini per titolo di studio e nazionalità. Valori percentuali “ 86Tab. 9 - Utenti che vorrebbero intraprendere un’attività formativa o un corso

di formazione professionale, genere e argomento di attività formativa richiesta. Valori percentuali “ 93

Tab. 10 - Conoscenza della lingua italiana. Valori percentuali “ 94Tab. 11 - Motivi per i quali l’utente si è recato al Cpi, difficoltà incontrate nel

rapporto con il Cpi, canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. Valori percentuali. Multirisposta “ 99

Tab. 12 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta “ 100

Tab. 13 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta “ 101

Tab. 14 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta “ 102

Tab. 15 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per classe di età. Valori percentuali. Multirisposta “ 103

Tab. 16 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta “ 104

Tab. 17 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per classe di età. Valori percentuali. Multirisposta “ 105

Tab. 18 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta “ 106

Tab. 19 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta “ 106

Tab. 20 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali. Multirisposta “ 108

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali. Multirisposta “ 108

Tab. 22 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi (ricerca e cambio di lavoro), per condizione di occupazione. Valori percentuali. Multirisposta “ 109

Tab. 23 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per condizione di occupazione. Valori percentuali. Multirisposta “ 110

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Tab. 24 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per condizione abitativa. Valori percentuali. Multirisposta pag. 111

Tab. 25 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per presenza del coniuge in Italia. Valori percentuali. Multirisposta “ 112

Tab. 26 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per presenza dei figli in Italia. Valori percentuali. Multirisposta “ 112

Tab. 27 - Canali di ricerca di lavoro differenti dal Cpi. Valori percentuali “ 113Tab. 28 - Canali di ricerca di lavoro, per genere dei rispondenti. Valori

percentuali “ 115Tab. 29 - Canali di ricerca di lavoro, per classe di età dei rispondenti. Valori

percentuali “ 117Tab. 30 - Lavoro ottenuto tramite il Cpi, per genere, classe di età, durata della

permanenza in Italia, titoli di studio dei rispondenti. Valori percentuali “ 118

Tab. 31 - Giudizi sulla città. Valori percentuali (escluso “Non sa” e “Non li utilizza”) “ 120

Tab. 32 - Giudizi sulla città, per genere dei rispondenti. Valori percentuali (escluso “Non sa” e “Non li utilizza”) “ 122

Tab. 33 - Giudizi sulla città, per genere: “Non sa”, “Non risponde”. Valori percentuali sul totale dei rispondenti “ 123

Tab. 34 - Giudizi sulla città, per classe di età. Valori percentuali “ 124Tab. 35 - Giudizi sulla città, per durata della permanenza in Italia. Valori

percentuali “ 125Tab. 36 - Giudizi sulla città, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali “ 126Tab. 37 - Giudizi sulla città, per conoscenza della lingua italiana al momento

dell’ingresso. Valori percentuali “ 127Tab. 38 - Giudizi sulla città, per presenza del coniuge in Italia. Valori

percentuali “ 128Tab. 39 - Giudizi sulla città, per figli presenti in Italia. Valori percentuali “ 129Tab. 40 - Giudizi sulla città, per attuale condizione abitativa. Valori

percentuali “ 129Tab. 41 - Forze di lavoro per condizione e cittadinanza. Valori assoluti e

incidenza stranieri su totale forze di lavoro. Media 2005 “ 131Tab. 42 - Servizi per cittadini neo o extracomunitari attivati per area e

tipologia. Valori percentuali. Anno 2006 “ 134

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INDICE DELLE FIGURE

Fig. 1 - Distribuzione degli intervistati per genere e classe di età Valori

percentuali pag. 72Fig. 2 - Utenti per anni di permanenza. Valori percentuali “ 73Fig. 3 - Percentuale di utenti immigrati residenti al momento dell’ingresso in

altre province italiane. Percentuale su totale residenti “ 74Fig. 4 - Utenti intervistati residenti al momento dell’ingresso in altre

province italiane, per area di residenza iniziale. Valori percentuali “ 74Fig. 5 - Utenti intervistati per condizione lavorativa “ 76Fig. 6 - Utenti occupati per tipologia di contratto. Valori percentuali “ 79Fig. 7 - Percentuale di utenti occupati per variazione della professione

ricoperta in Italia, rispetto a quella svolta nel paese di origine. Valori percentuali “ 80

Fig. 8 - Percentuale di utenti occupati per livello di professione ricoperta e durata in classi di anni di permanenza in Italia. Valori percentuali “ 82

Fig. 9 - Utenti disoccupati per sesso. Valori percentuali “ 82Fig. 10 - Utenti non occupati per durata della ricerca di lavoro “ 84Fig. 11 - Utenti disoccupati per durata della ricerca di lavoro e anni di

permanenza in Italia “ 85Fig. 12 - Utenti intervistati per genere e titolo di studio dichiarato “ 85Fig. 13 - Utenti intervistati per titolo di studio e cittadinanza. Prime cinque

nazionalità. Valori percentuali “ 87Fig. 14 - Utenti intervistati per genere e anni di istruzione frequentati con

successo. Valori percentuali “ 88Fig. 15 - Utenti intervistati per anni di studio frequentati con successo e paese

di cittadinanza. Prime cinque nazionalità. Valori percentuali “ 88Fig. 16 - Percentuale di utenti occupati per numero di anni di studio “ 90Fig. 17 - Utenti intervistati per titolo di studio e percentuale di occupati “ 90Fig. 18 - Percentuale di titoli di studio conseguiti all’estero che sono stati

riconosciuti in Italia “ 91Fig. 19 - Utenti che hanno partecipato a corsi di formazione in Italia e

all’estero “ 93Fig. 20 - Utenti intervistati per coerenza tra qualifiche/capacità possedute e

mansioni lavorative svolte o generalmente richieste e per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali “ 96

Fig. 21 - Utenti intervistati per coerenza tra qualifiche e capacità possedute mansioni lavorative svolte o generalmente richieste e per anni di permanenza. Valori percentuali “ 96

Fig. 22 - Canali di ricerca di lavoro. Percentuali di utilizzo e tasso di successo “ 113Fig. 23 - Differenziali tra donne e uomini nelle percentuali di utilizzo e di

successo dei canali di ricerca di lavoro “ 116Fig. 24 - Curve dei giudizi sulla città, totale dei rispondenti. Valori

percentuali “ 121

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Fig. 25 - Permessi di soggiorno validi al 1 gennaio, per area territoriale di residenza. Valori assoluti e variazioni percentuali. Anni 2001 e 2006 pag. 131

Fig. 26 - Percentuale di cittadini neo ed extracomunitari disponibili al lavoro nei Cpi per area geografica “ 132

Fig. 27 - Cpi che hanno attivato servizi destinati a utenti neo o extracomunitari. Valori percentuali. Anni 2001-2006 “ 133

Fig. 28 - Percentuale di Province che hanno promosso o hanno partecipato ad azioni verso immigrati per l’inserimento di cittadini extra o neocomunitari. Anni 2001-2006 “ 135

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INTRODUZIONE

Il tema dell’immigrazione, ed in particolare del ruolo ricoperto dai Servizi per l’impiego nell’inserimento lavorativo dei cittadini stranieri, è da alcuni anni oggetto di specifiche ricerche da parte dell’Isfol. La possibilità di accedere ad un’occupazione è per i cittadini immigrati non solo un fattore fondamentale per garantirsi il diritto al soggiorno nel nostro paese, ma anche un fondamentale strumento di integrazione. Per tale ragione nei periodici monitoraggi sui Servizi per l’impiego, l’area Ricerche sui Sistemi del lavoro ha costantemente rilevato le iniziative che gli Enti locali e i Centri per l’impiego hanno progressivamente posto in essere per ridurre il rischio di “emarginazione” lavorativa dei cittadini immigrati, spesso ponendosi come mediatori tra loro e le altre istituzioni del territorio. Inoltre, il ruolo che gli Spi hanno ricoperto è, via via, cresciuto di importanza anche in relazione al marcato aumento della componente immigrata della forza lavoro residente e, conseguentemente, dell’utenza straniera dei Cpi. A tal proposito, si consideri che al 2006 l’Isfol stima nel 5,3% la quota di cittadini extra o neocomunitari disponibili al lavoro registrati nei Centri per l’impiego. Si tratta, quindi, di una porzione di utenza tutt’altro che irrilevante, e che risulta particolarmente attiva sul mercato del lavoro. Parimenti, i cittadini stranieri sono anche portatori di esigenze originali e specifiche, non solo in ragione di un regime burocratico particolare, ma anche perchè si trovano ad opera-re su un territorio che non conoscono, o conoscono poco; di cui ignorano spesso la legislazione e col quale, in linea generale, riescono a costruire relazioni fondamental-mente informali.

L’intento di questo volume è quello di evidenziare, da un lato, tali difficoltà e, dall’altro, di sottolineare le esperienze e l’importanza che i Centri per l’impiego di alcune grandi città hanno saputo ritagliarsi nel corso degli anni.

A tal fine, il volume è stato diviso in tre sezioni. Nella prima vengono illustrati i principali meccanismi di integrazione lavorativa tipici dei cittadini stranieri, con specifico riferimento alla realtà italiana, ma anche dando conto delle principali azioni di sostegno poste in essere negli altri paesi dell’UE 15.

La seconda parte illustra i risultati di una ricerca condotta sull’utenza di quattro Cpi presenti in altrettanti grandi centri urbani (Milano, Torino, Bologna e Firenze1), tramite

1 L’indagine ha coinvolto anche il Centro per l’impiego di Roma 1 ma, a causa di problemi organizzativi,

non si è stati in grado di raccogliere presso un numero di questionari sufficiente. Di tale Cpi si tratterà solo per la parte relativa al servizio offerto, peraltro molto strutturato e originale rispetto al quadro nazionale degli interventi costruiti a sostegno dell’utenza straniera

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una rilevazione con questionario, che ha coinvolto un campione casuale di utenti neo od extracomunitari di circa 800 soggetti.

La terza parte, infine, riporta il sistema di sostegno all’inserimento lavorativo promosso dai Cpi coinvolti nell’indagine, e dalle rispettive Province.

Segue, quindi, un capitolo conclusivo e, in allegato, dei sintetici report relativi alla rilevazione quantitativa effettuata nei quattro Centri per l’impiego interessati dall’indagine.

Si spera, in tal modo, di offrire un quadro sufficientemente ampio della realtà dei lavoratori immigrati in Italia, individuando aspetti che, per quanto relativi ad una porzione limitata dei cittadini stranieri, consenta di tracciare alcune considerazioni in parte estendibili anche a realtà diverse da quelle dei grandi centri urbani qui presi in considerazione.

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1. L’INTEGRAZIONE LAVORATIVA DEGLI ECONOMIC MIGRANT NELL’ERA DEL POST-FORDISMO

1.1 I lavoratori immigrati tra concorrenza, complementarietà e declino demografico

Le evidenze che emergono da numerose ricerche socio-economiche condotte nei diversi paesi europei mostrano la crescita del ricorso a manodopera straniera al fine di sopperire anzitutto a qualifiche professionali scarsamente presenti sul mercato domestico o a mansioni poco appetibili (e spesso rifiutate) da parte dei lavoratori autoctoni (i cosiddetti “lavori delle tre D”, ossia dirty, dangerous, demanding, “sporchi, pericolosi e gravosi”, ma richiesti dalle economie occidentali)2. Gli immigrati trovano lavoro non soltanto nei comparti o ambiti lavorativi lasciati liberi dai lavoratori autoctoni, ma anche in quelli che non affrontano ristrutturazioni tecnologiche e in quelli che probabilmente non le affronteranno mai perché non necessarie al loro funzionamento. Si tratta sovente di comparti di produzione di servizi o di produzione manifatturiera strutturalmente operanti in regimi di a-legalità e qualche volta di semi-illegalità contrattuale e in sostanziale regime di economia sommersa, ossia, in mercati del lavoro secondari segmentati in maniera non comunicante e, quindi, di difficile mobilità ascendente per i lavoratori, specialmente per le componenti immigrate.

In tal senso, alcune recenti ricerche finalizzate ad indagare l’esistenza (e la consistenza) del dualismo “sostituzione versus complementarietà” (di lavoro), sono giunte alla conclusione che il lavoro immigrato si va sempre più configurando secondo una valenza di “non concorrenzialità” nei confronti dei lavoratori autoctoni3. I lavoratori extra-UE rivestono sovente una importante funzione di “supporto” ai processi che caratterizzano l’attuale fase economica cd. “postfordista” (una fase che, come è stato

2 Sul punto si rinvia in particolare a: Harris N., cit.; Sennet R. (1999); Borjas G.J. (aprile 1998); Reyneri E.

(1996), pp. 326-335; Pugliese E., cit., pp. 94-103; Fondazione Cariplo-Ismu, Ambrosini M. (a cura di) (1999) (2004); Gallino L. (2001).

3 Sul tema “concorrenza versus complementarietà”, si rinvia in particolare all’indagine econometrica realizzata da “Ricerche & Progetti” per conto della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Villosio C. e Venturini A. (a cura di) (2000), nonché a: Reyneri E. (1996), pp. 335-339; Isfol Venturini A. (a cura di) (2002a).

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giustamente sottolineato 4 , tiene insieme “innovazione” – la net economy, le piccole imprese globali organizzate a rete – e “mediocrità” – il lavoro sommerso e sottopagato, la neoschiavitù delle donne straniere –), accollandosi mansioni ed attività pesanti, a basso contenuto professionale, instabili e precarie (servizi di pulizia, lavori edili, servizi alle persone, lavori “a chiamata”, “a termine”, ecc.), accettando orari iperflessibili, sebbene talvolta risulti problematico il rapporto con le fasce più deboli dell’offerta di lavoro autoctona. Come nota Bolaffi chiosando alcuni recenti studi dell’economista statunitense Borjas, l’immigrazione comporta certamente un “…incremento di ricchezza per i paesi che la utilizzano …[ma comporta al contempo]… un’importante redistribuzione di ric-chezza ai danni dei lavoratori locali e a favore dei datori di lavoro e di quanti si avval-gono dei servizi prodotti dagli immigrati a costi concorrenziali”. Il fenomeno immi-gratorio agisce in altre parole sia da produttore, sia da redistributore di ricchezza: “…mentre contribuisce all’aumento del reddito nazionale, contemporaneamente [avvantaggia] datori di lavoro o acquirenti di servizi [che] colgono l’opportunità di una mano d’opera economicamente più “ragionevole”5, il tutto a detrimento dei lavoratori autoctoni dotati di minori skill professionali6.

Il concetto di complementarietà appare secondo questa prospettiva uno strumento analitico fecondo se applicato ai mercati del lavoro locali, in cui il ricorso al lavoro immigrato (anche irregolare o semisommerso) determina un contenimento del costo del lavoro orario, in particolare laddove si riscontrino significative carenze nell’offerta di manodopera (è il caso delle aree metropolitane e distretto), deficit che, se non compensati adeguatamente, potrebbero generare la scomparsa di specifiche attività produttive e, di conseguenza, perdite occupazionali anche tra le fila dei lavoratori autoctoni (incidentalmente va notato che i lavoratori immigrati, in quanto comunemente impiegati in attività dal contenuto professionale modesto, sostengono di fatto la progressione di carriera dei lavoratori autoctoni, specialmente in quelle aree territoriali connotate da carenza di manodopera locale).

Pertanto, anche se il lavoro extracomunitario è spesso associabile a situazioni di

4 Ambrosini M. (2004); Bonomi A. (2000); Zanfrini L. (2004). 5 Bolaffi G. (2001), pp. 65-66. A questo proposito si veda anche: Borjas G.J. (1999); Portes A. (1995). 6 In Italia il dibattito sulla necessità di ricorrere a manodopera straniera ha da tempo superato l’apparente

contraddizione rappresentata dalla coesistenza di eccessi di domanda di lavoro nel Nord Italia (e nel Nord-Est in particolare) e le consistenti sacche di disoccupazione registrate al Sud, riconoscendo nella forza lavoro immigrata una componente di complementarietà, piuttosto che di concorrenza nei confronti di quella italiana. Le ricerche promosse da Unioncamere segnalano non a caso che circa il 50% delle richieste di lavoratori non comunitari riguardano figure professionali di difficile reperimento (o, per converso, “rifiutate” dai lavoratori autoctoni); in particolare si evidenzia come il 15% del totale della manodopera extra-UE richiesta riguardi qualifiche “non presenti” sul mercato del lavoro ed il 21% figure “insufficientemente presenti”: detto in altri termini, ci si trova dinanzi ad una sorta di “plasticità” della domanda di lavoro, specialmente nell’ambito di alcune professioni a basso valore aggiunto. Non va dimenticato che alcuni mestieri “poveri” vengono interessati da un “circolo vizioso” che si autorafforza, ossia dal fenomeno dell’etnicizzazione o stigmatizzazione professionale: i lavori a basso contenuto professionale sono sempre più svolti da immigrati e, per tale ragione, vengono sempre più rifiutati dagli autoctoni (disoccupati).

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irregolarità o di vera e propria produzione “sommersa”, le comunità immigrate che si insediano in determinate aree non deprimono le specificità locali (comprese quelle di provenienza)7 ma, al contrario, le esaltano e le valorizzano8. La necessità di ricorrere a lavoratori non comunitari diviene ancor più evidente se si considerano i dati pubblicati in tre rapporti, pubblicati rispettivamente dall’Onu, dall’Ocse e dalla Commissione europea9, le cui proiezioni mostrano che molti dei paesi dell’Europa sono tra quelli a più alto declino demografico (in particolare, in Italia nel 2050 la popolazione dovrebbe diminuire del 28% rispetto a quella attuale – 41 milioni di residenti a fronte dei 58 attuali –); da qui al 2030, le persone in età lavorativa diminuiranno di 20,8 milioni di unità (-6,8%); inoltre, l’incidenza percentuale della popolazione over-65 dovrebbe crescere in modo significativo (in Italia dal 18% del 2000 al 35% del 2050). Tali dinamiche demografiche sono destinate ad esercitare un forte impatto sulla crescita economica generale, sul funzionamento del mercato interno e sulla competitività delle imprese dell’Unione. Come noto le proiezioni demografiche vanno lette con estrema cautela, compreso il flusso medio di immigrati “consigliato” (in questo caso dall’Onu) al fine di frenare l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione, anche se le tendenze appaiono significative rispetto all’evidente fabbisogno di popolazione e manodopera extracomunitaria, necessità determinata da ragioni al contempo economiche e sociali. In altri termini, il fenomeno migratorio, alla luce dei relativi tassi di natalità/mortalità nazionali, non può essere più interpretato solamente come una semplice (e generica) “richiesta di lavoratori” da parte del sistema delle imprese ma, bensì, come un vero e proprio ricambio demografico10. 7 In una recente relazione della Banca d’Italia si evidenzia che nel 2000 le rimesse inviate ai paesi di

provenienza da parte degli immigrati residenti in Italia ammontavano a circa 600 ml. di euro, mentre la quota pro-capite relativa a tutti gli stranieri soggiornanti nel paese era pari a 425 euro, cifra che sale a 614 se il calcolo viene fatto esclusivamente sui titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. A ciò va aggiunto che la “capacità di risparmio” è passata dalle 400mila lire pro-capite del 1996 alle 663mila lire del 1999; inoltre, nel 2000, i lavoratori non comunitari hanno contribuito alla produzione di ricchezza nazionale per una quota stimabile intorno al 3,2% del Pil, pari a circa 70mila mld. di lire; cfr. Morino M. (7 marzo 2001); Melilli M. (18 giugno 2001); Galeazzi G. (24 agosto 2002).

8 Si pensi, ragionando in termini di sviluppo locale, ai casi di rivitalizzazione e rigenerazione di alcuni centri storici, come quello di Genova, a seguito dell’avvio di micro-attività “etniche”, oppure, nell’ambito dei distretti industriali, alla differenziazione economico-produttiva generata dal sistema di microimprese fondate dagli immigrati ivi insediati ed operanti nel sistema di subfornitura - il caso emblematico è rappresentato dal distretto tessile di Prato, in cui la comunità cinese ha dato vita in anni recenti ad un fenomeno produttivo sostanzialmente inedito per l’area, ossia la creazione di una sorta di “distretto nel distretto” attivo nel segmento della confezione e della maglieria. Al proposito si rinvia a: Fondazione Censis - Consorzio Aaster (1999); Consorzio Aaster (novembre 2000a). Per un’analisi della situazione in alcune grandi aree metropolitane europee (Barcellona, Berlino, Milano e Parigi) si veda Ambrosini M. e Abbatecola E. (2004). Si veda anche: Ambrosini M. (2000a), pp. 415-446; Idem (2001), in particolare pp. 79-118; Ambrosini M. e Abbatecola E. (2002), pp. 195-223; Ceccagno A. (2003).

9 United Nations (1999); Oecd (2000); Commissione europea (2005). A proposito di tendenze demografiche, invecchiamento, pressioni migratorie si veda anche: Osservatorio internazionale sullo sviluppo sociale - Social Watch (2002); Gruppo Abele (2000); The Economist (2000).

10 Al proposito va anche sottolineato il significativo contributo dei lavoratori immigrati ai diversi sistemi nazionali di previdenza sociale, con particolare riferimento al caso italiano: secondo una recente proiezione elaborata dall’Inps, nei prossimi vent’anni i cittadini extra-UE verseranno nelle casse dell’Istituto quasi 46 mld. di contributi, a fronte di 4,6 mld. erogati nello stesso periodo agli stessi sotto

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L’inserimento lavorativo dei cittadini extra-UE nei mercati del lavoro europei ha sollevato, tra la comunità dei ricercatori, esperti e practitioner, numerosi altri nodi problematici. Anzitutto la questione dell’integrazione sociale dei cittadini extra-UE: seppur non sufficiente a garantire la stabilizzazione delle popolazioni immigrate e, soprattutto, ad allontanare il rischio della diffusione (più o meno episodica) di micro-conflitti interetnici11. L’inserimento occupazionale resta la strada maestra dell’integra-zione, anzitutto economica e, successivamente, sociale. In tal senso appare opportuno notare che l’evoluzione della normativa in Europa nel corso dell’ultimo decennio in tema di governo dei flussi migratori pone l’accento soprattutto sulla dimensione “lavoristica” dell’integrazione dei cittadini extracomunitari12.

In secondo luogo risultano significative le riflessioni sviluppate intorno alle modalità di ingresso e di inserimento nei mercati del lavoro europei: gli immigrati che entrano (più o meno regolarmente) nei paesi dell’UE a 15, è stato osservato 13 , risultano attratti prevalentemente dal “tam-tam” delle reti informali amicali e/o familiari (i cd. “reticoli etnici”, network che consentono di incrementare il “capitale sociale” a disposizione di coloro che tentano di inserirsi in società spesso poco ospitali) e, in misura minore, dai normali canali istituzionali, fermo restando l’importanza del quadro giuridico di riferimento vigente al momento dell’ingresso. Secondo questa prospettiva assume un rilievo specifico il più incisivo e concreto coinvolgimento dei principali stakeholder pubblici locali (anzitutto regioni, province, comuni) e delle diverse associazioni di rappresentanza degli interessi organizzati, nonché del privato sociale (associazioni di immigrati, volontariato, cooperazione sociale, associazioni culturali) in qualità di “organismi locali di facilitazione e di accompagnamento di prima istanza” nell’ambito della determinazione dei fabbisogni territoriali, della prima accoglienza e dell’avvio al lavoro.

Ovviamente, esiste una marcata “differenziazione territoriale” dal punto di vista dell’ingresso e dell’avvio al lavoro. Il flusso migratorio “in entrata” può assumere, a seconda dei diversi contesti socioeconomici, un carattere di maggiore o minore “stanzialità”: come noto, alcuni territori (in particolare, ad esempio, in Italia e in Spagna le regioni del Sud) possono essere considerati vere e proprie “aree di ingresso e passaggio”, mentre altri (ad esempio, in Italia e in Spagna specialmente le aree urbane del Centro-Nord) possono essere letti come “aree ad elevata capacità attrattiva” del flusso migratorio in virtù della loro consolidata vocazione produttiva.

forma di pensioni di vecchiaia e/o anzianità; cfr. Peruzzi M. (9 dicembre 2002) e Cazzola G. (9 dicembre 2002). Di diverso avviso è l’opinione di Carruba S. (3 dicembre 2001), secondo il quale l’impatto sui sistemi pensionistici europei determinato dai contributi versati dai lavoratori immigrati nei prossimi anni sarà in realtà piuttosto modesto.

11 Si rinvia a questo riguardo a Allasino E., Bobbio L., Neri S. (2000), pp. 431-449. 12 A tal proposito appare obbligato il rinvio al contributo di Giovanna Zincone (1992), uno dei primi studi

comparativi (perlomeno in Italia), focalizzato sui diversi modelli di regolazione dei flussi migratori presenti nei principali paesi europei alla fine degli anni Ottanta.

13 Ambrosini M. (1999), pp. 25-50, 203-211 e 252-254. Si veda anche: Ambrosini M. (2000b), pp. 127-152; Cozzi S. (2002), pp. 205-218; Harris N., cit., in particolare pp. 169-198; Dal Lago A. (1999).

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1.2 Reticoli etnici ed istituzioni facilitatrici

Il costante bisogno da parte delle economie occidentali di manodopera extra-comunitaria, secondo diversi osservatori, avrebbe come impatto principale quello di generare una cospicua quota di lavoratori (immigrati) destinata a “ristagnare”, in modo pressoché stabile, all’interno del cd. “mercato secondario del lavoro”14, segmento con-traddistinto dalla presenza di bassi salari, precarietà contrattuale, significativi carichi di lavoro, ridotto status sociale e professionale. Il fenomeno appare strettamente connesso al passaggio dall’assetto sociotecnico “fordista”, che ha contrassegnato buona parte del Novecento (organizzazione scientifica del lavoro, consumo di beni standardizzati, salari elevati, garanzia del posto di lavoro e progressione di carriera, crescita del welfare state, ecc.), a quello comunemente noto come “post-fordista”, evoluzione che ha determinato un significativo mutamento quantitativo e qualitativo nell’ambito dei mercati del lavoro locali. Mentre le produzioni standardizzate delle imprese fordiste necessitavano di grandi quantità di lavoratori generalmente poco qualificati, ma disponibili a prestare la loro opera per periodi temporali “certi”, negli anni più recenti il sistema di imprese post-fordiste (queste ultime di dimensioni più ridotte e assi “mobili” nello spazio globale, come ben esemplificato dal neologismo di “micro-impresa a rete”)15 si orienta sempre più verso la ricerca di piccoli lotti di lavoro “atipico” (intermittente, iperflessibile, caratteriz-zato da orari e mansioni disagevoli, talvolta semisommerso)16, il tutto nel quadro di una dinamica che mostra una sostanziale complementarietà tra lavoratori autoctoni e lavoratori immigrati17.

I recenti mutamenti del modo di produrre, cui si è accennato, determinano un impatto diretto sull’inserimento lavorativo degli immigrati, i quali vengono impiegati normal-mente all’interno di Pmi, sulla base di contratti di lavoro flessibili e a tempo parziale, modalità quest’ultima rafforzata (anche) dalle recenti innovazioni normative intervenute in tema di regolazione dei flussi migratori 18 . Da questo punto di vista, secondo la

14 Si rinvia a questo riguardo al lavoro pionieristico di Piore M. (1979). 15 Si vedano al proposito i lavori di: Revelli M. (2001); Rullani E. e Romano L. (a cura di) (1998); Beck U.

(1999). 16 Tra i lavori più recenti sui temi della flessibilità e dell’espansione dei lavori atipici si rinvia a: Beck U.

(2000); Isfol, Rustichelli E. e Incagli L. (a cura di) (2002b); Rizza R. (2003); Gallino L. (2001). 17 Con particolare riferimento al caso italiano, l’occupazione più o meno regolare degli immigrati appare

associabile prevalentemente con i “sistemi di Pmi” (è il caso ad esempio dei distretti industriali), nonché con le difficoltà di reperimento di manodopera evidenziatesi nel corso degli anni Novanta nell’ambito di tali contesti. A questo proposito va evidenziato che secondo l’ultimo “Censimento generale” elaborato dall’Istat, nel decennio 1991-2001 l’occupazione all’interno delle aree-sistema è cresciuta del 9,1%; cfr. Bocciarelli R. (10 maggio 2002). In altri termini, i cittadini extra-UE trovano occupazione in aree caratterizzate da bassa disoccupazione locale ed eccedenza di domanda di lavoro, inserendosi in fasce retributive piuttosto basse, seppur all’interno di territori contrassegnati da livelli salariali elevati, livelli che tuttavia non vengono intaccati dall’arrivo di lavoratori più “accomodanti” (Sull’argomento si rinvia a Ricerche & Progetti, cit.).

18 È pur vero che, per quanto lo scenario appena delineato appaia sostanzialmente confermato da numerose ricerche socio-economiche condotte negli ultimi anni, diverse indagini mostrano alcune specifiche “inversioni di tendenza”: da un lato emerge una richiesta di lavoratori extra-UE con maggiore

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letteratura corrente, i principali elementi che entrano in gioco nella costruzione dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro (immigrata) possono essere sintetizzati nella “ricezione societale” (atteggiamento della società ricevente verso determinati gruppi etnici e/o professioni); nell’impianto normativo nazionale; nella discriminazione statistica attuata dai datori di lavoro (stigmatizzazioni, stereotipizzazioni, creazione di “specializ-zazioni etniche”); nei “reticoli etnici” attivati dagli immigrati, nelle “istituzioni facilita-trici”, ossia organizzazioni formali autoctone incaricate della intermediazione tra doman-da ed offerta di lavoro19.

La genesi degli ultimi due elementi, ossia i “reticoli etnici” e le “istituzioni facilita-trici”, viene comunemente ricondotta nell’alveo degli “studi di network”, approccio teorico ed empirico che nell’ultimo quindicennio ha caratterizzato l’analisi socio-econo-mica focalizzatasi sull’impatto generato dal fenomeno migratorio nelle economie occi-dentali20. Rifacendosi ai concetti di “capitale sociale” (da intendersi qui come quell’insie-me di relazioni stabili e fiduciarie tra attori, il grado di reciprocità e di cooperazione, il set delle norme più o meno esplicite e codificate che regolano la convivenza e così via)21 e di “reti etniche supportive” (osservando al contempo le trasformazioni all’interno dei nuovi mercati del lavoro post-fordisti), gli studi di network hanno messo in luce i processi di ridefinizione avvenuti sia nella domanda che nell’offerta di lavoro immigrato, cogliendo in essi lo sviluppo di nuove forme di attivismo di cui i cittadini stranieri paiono divenire i principali protagonisti. In tal senso, nel processo di inserimento lavorativo appaiono importanti due specifici fattori: • da un lato i “legami deboli”22, ovvero gli attori pubblico-privati (enti locali, volonta-

riato, agenzie pubbliche e private di collocamento, Terzo settore) che si pongono come “intermediari” e “facilitatori” tra l’immigrato e il (potenziale) datore di lavoro o la (potenziale) attività imprenditoriale;

• dall’altro, un ruolo significativo viene assunto dai “legami forti”, ossia l’insieme delle opportunità e delle risorse (ma anche dei “vincoli” e dei “pericoli” che ne discendono: segregazione dell’immigrato, ghettizzazione, stigmatizzazione lavorativa e così via) derivanti dalla semplice appartenenza ad uno specifico “reticolo etnico”. Legami di parentela, di amicizia, di nazionalità rivestono infatti una grande importanza per lo straniero aspirante-lavoratore (appena) immigrato, fornendo ad esso non solo una mera “solidarietà di prossimità” (che facilita l’inserimento, anche rapido, nel mondo del lavoro), ma anche utili informazioni su aspetti non secondari quali l’abitazione, il credito e la sanità23.

“professionalità” da parte degli imprenditori, mentre dall’altro appare in crescita, nonché in evoluzione, la cd. “imprenditoria etnica”.

19 Ambrosini M. (2001), p. 101. 20 Si veda al proposito Ambrosini M. (2000a), pp. 415-446 e Scott J. (1997). 21 Si veda al proposito Bagnasco A. (2002), pp. 271-303; Bagnasco A. et al. (2001); Mutti A. (1998);

Bellanca N. (2002), pp. 493-519. 22 Granovetter M. (1998). 23 Una importante differenza tra Europa del Sud e del Nord riguarda proprio il grado di organizzazione e di

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Come appena accennato, al di là della rilevanza dei semplici meccanismi di passa-parola e di scambio di informazioni, da più parti si è rilevata l’esistenza di una relazione piuttosto “stretta” tra l’appartenenza di un individuo ad un data rete etnica (ed un corri-spondente “capitale sociale”) e l’avvio di attività economiche in forma autonoma o imprenditoriale. Il poter utilizzare, tra i connazionali, una forza-lavoro poco onerosa, il possedere un giro di clientela assicurato (i membri della propria comunità etnica), il disporre della solidarietà di gruppo, rappresentano fattori che facilitano e sostengono l’avvio di una attività imprenditoriale; essi costituiscono in altri termini “pre-condizioni” che riducono i costi di transazione e di informazione (“diffidenza” iniziale, necessità di referenze, verifica del contenuto professionale, ecc.), nonché i pericoli di moral hazard (dichiarazioni mendaci, free riding), incrementando al contempo la propensione individuale al rischio.

Altri autori hanno tuttavia sottolineato anche gli aspetti negativi per il singolo immigrato associabili all’appartenenza ad un dato reticolo etnico. Ambrosini ha introdotto il concetto di “specializzazione etnica”24, ovvero la formazione di concen-trazioni di lavoratori appartenenti ad una data etnia in determinati mestieri (che precludono nei fatti l’accesso di stranieri di diversa nazionalità in quel specifico segmento), concentrazioni che generano talvolta vere e proprie “stigmatizzazioni etniche” per cui si arriva a ritenere, a livello di immaginario collettivo, che gli immigrati di una determinata nazionalità siano adatti, in modo “speciale” ed “esclusivo”, solamente ad alcuni particolari tipi di lavoro25. Si crea un circolo vizioso, per cui risulta molto difficile (se non impossibile) uscire da certe nicchie del mercato del lavoro ormai etnicamente

protagonismo degli immigrati. Nell’Europa del Sud le minoranze immigrate si strutturano ancora prevalentemente in modo informale, sono attive nell’accoglienza e nel sostegno dei connazionali, ma faticano ad esprimere associazioni rappresentative e leader riconosciuti. Effetto e concausa della loro debolezza è la difficoltà ad accedere a riconoscimenti e finanziamenti pubblici. Nell’Europa del Nord, invece, le associazioni di immigrati hanno raggiunto un livello di istituzionalizzazione ben più consistente, sono punti di riferimento per la fornitura di servizi ai connazionali, propongono attività volte a conservare e trasmettere la lingua del paese d’origine e le tradizioni culturali, divengono interlocutori delle istituzioni politiche. Si veda Amrosini M. (2004), pp. 68 e ss.

24 Ambrosini M. (2001), in particolare pp. 98-164, quando analizza la comunità egiziana insediata a Milano (ma lo stesso discorso può essere fatto per la comunità cinese operante nel distretto tessile di Prato).

25 Le specializzazione etniche sono in larga misura il prodotto di “discriminazione istituzionale”, ossia del complesso di pratiche messe in atto inconsapevolmente dalle istituzioni (politiche, economiche, educative) che agiscono nel senso di perpetuare l’ineguaglianza razziale. “Le modalità d’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro risultano molto sensibili alle caratteristiche ascritte. Ciò significa che raramente i gruppi definiti come etnicamente inferiori hanno a disposizione opportunità lavorative uguali al resto della popolazione. Tanto più un determinato sbocco professionale è attraente (dal punto di vista della retribuzione, delle condizioni di lavoro, della possibilità di carriera) quanto più i beneficiati faranno in modo di escludere gli outsider. Persino il comportamento delle agenzie d’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro rischia di rafforzare le tendenze discriminatorie: per assecondare le aspettative dei datori di lavoro e prevenire l’insorgere di conflitti, gli addetti spesso evitano di segnalare i nominativi di persone appartenenti ad etnie “sgradite”, oppure finiscono per riprodurre le specializzazioni etniche consolidate. A maggior ragione ciò vale per le organizzazioni pro-immigrati rappresentate da quelle associazioni e gruppi di volontariato che fungono anche da intermediari tra l’offerta di lavoro autoctona e la domanda attuale o potenziale proveniente dalle imprese e dalle famiglie, di cui è noto il ruolo nell’avere contribuito al consolidamento di alcuni diffusi stereotipi sulle presunte vocazioni professionali degli stranieri.” Zanfrini L. (2004), pp. 149-150.

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segmentate26. “La persistenza degli stereotipi sui lavori per cui gli immigrati sarebbero “portati”, la mancanza di agganci utili per inserirsi nelle occupazioni qualificate, la concorrenza dei lavoratori nativi, l’insufficienza degli investimenti formativi nella fase iniziale di insediamento, le difficoltà linguistiche, producono effetti di path dependency, per i quali gli sviluppi successivi dipendono dai passi precedenti, e conducono quindi ad esiti sub-ottimali nella costruzione delle carriere professionali”27. A pagare il prezzo più pesante sono le donne: al di là dell’istruzione, delle precedenti esperienze di lavoro, delle aspirazioni professionali, i mercati del lavoro riceventi offrono quasi soltanto lavori domestici, assistenziali, di pulizia, con pochissime opportunità di promozione28. Inoltre, il supporto dei network su base etnica, ha un’influenza contrastata e ambivalente sulle carriere delle componenti migratorie istruite, qualificate, portatrici di aspirazioni elevate. Procura rapidamente opportunità di lavoro, ma fornisce un capitale sociale limitato, comporta forme di stigmatizzazione e produce immagini collettivizzanti che nuocciono alla mobilità individuale, la incanalano semmai verso il lavoro indipendente, se il gruppo di appartenenza è riuscito ad inserirsi in modo abbastanza ampio in qualche nicchia di attività economica29.

La tendenza a generare stigmatizzazioni in base all’etnia di appartenenza (fenomeno assai presente e studiato negli Stati Uniti) risulta anche una importante strategia per l’imprenditoria etnica, dato che essa “…permette di risparmiare sui costi per la selezione ricorrendo al cerchio di amicizie ed al passaparola tra gli immigrati della stessa comunità”30.

Molto meno utile, al contrario, per quanto concerne il lavoratore straniero, poiché il fenomeno contribuisce a generare, accanto ad aspetti più simbolici (appunto quelli relativi all’immaginario collettivo), anche effetti pratici, precludendo allo stesso altre alternative

26 Si vedano ad esempio i casi di incorporazione dei filippini, marocchini e ecuadoriani nel mercato del

lavoro di Barcellona, descritto da Pongiluppi B (2004). 27 Ambrosini M. (2004), p. 54. 28 Le donne soffrono una “doppia discriminazione” nel mercato del lavoro, in quanto migranti e in quanto

donne, Simon e Brettel (1986). Non va dimenticato tuttavia che soggettivamente possono conoscere comunque, attraverso l’emigrazione e la partecipazione al lavoro, un’esperienza di emancipazione rispetto alle società di partenza e una possibilità di rinegoziare i rapporti di genere all’interno della propria famiglia.

29 Ulteriori effetti indesiderabili dell’azione dei network etnici sono: l’approfondimento delle disuguaglianze tra gruppi immigrati: nella competizione per l’accesso ai

posti di lavoro, i network meglio insediati, meglio considerati, più coesi e organizzati tendono ad allargare il loro spazio di posizione e ad accaparrare le opportunità disponibili, spiazzando i gruppi più deboli o lasciando ai nuovi arrivati soltanto i posti più sgradevoli;

l’elaborazione di regole e codici di comportamento peculiari, che non coincidono necessariamente con quelli della legalità, così come viene concepita dalle società riceventi: ad esempio, far entrare irregolarmente un congiunto o farlo lavorare in nero, è in genere considerata un’azione meritoria e non riprovevole. Di conseguenza, l’azione di richiamo dei network se non viene incanalata attraverso procedure chiare e praticabili di ingresso legale, tende ad alimentare forme illegali di immigrazione;

la generazione, nei casi più gravi, di forme di sfruttamento dei connazionali, nel lavoro o in altre forme (tratta, prostituzione, mendicità).

30 Cozzi S., cit., p. 214.

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professionali più o meno buone, indipendentemente dalle capacità culturali e tecniche possedute.

Il fenomeno dei “reticoli etnici” è probabilmente correlato agli assetti produttivi: più i territori sono dinamici da un punto di vista economico-produttivo, maggiori sono le probabilità che si registrino fenomeni di questo tipo. Inoltre, ai rischi appena accennati (stigmatizzazione, segregazione del lavoratore immigrato in specifici habitat produttivi, ecc.), va evidenziato un ulteriore pericolo, ossia quello inerente lo scavalcamento dei “normali” canali pubblico-privati di reclutamento della manodopera determinato, per l’appunto, dall’operare in loco di più o meno strutturati reticoli etnici. Quest’ultima questione appare importante e quindi meritevole di ulteriore approfondimento, anche perché va ad interessare l’attività messa in campo dalle istituzioni territoriali preposte alla integrazione lavorativa dei cittadini extra-UE (le “istituzioni facilitatrici”), nonché al “governo” (locale) degli stock.

In generale, le condizioni oggettive del successo del processo di integrazione possono dipendere da due ulteriori pre-requisiti: fattori endogeni (connessi alla persona immigrata e il suo contesto di riferimento) e fattori esogeni (connessi alla realtà di arrivo)31. Tra i primi, il fattore endogeno più significativo appare la presenza nei luoghi di destinazione di persone conosciute (anzitutto familiari), situazione che sovente attiva una catena migratoria, la quale a sua volta indirizza i flussi verso le mete ritenute più attrattive e convenienti. Un secondo fattore endogeno, oltre il possesso di un titolo di studio superio-re o universitario (che fornisce ovviamente una migliore comprensione della nuova realtà socioeconomica), concerne l’aver maturato, in altri paesi, precedenti esperienze lavorative.

Tra i fattori esogeni più rilevanti è possibile individuare da un lato la legislazione vigente nel paese di arrivo (quindi la possibilità di accedere rapidamente ad una regolarizzazione dello status individuale) e, dall’altro, la presenza di un set strutturato ed “aperto” di attori locali pubblico-privati che offrano servizi rivolti agli stranieri ad alto valore aggiunto sia nella fase pre che in quella post accoglienza (orientamento, consulenza, accompagnamento al primo impiego, formazione linguistica e professionale di base e continua e così via). Pertanto, oltre ai reticoli etnici, i quali appaiono essenzialmente dei “facilitatori” dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, piuttosto che dei “produttori” di domanda di lavoro aggiuntiva32, una ulteriore fonte di sostegno all’inserimento lavorativo degli immigrati può essere identificata nell’azione svolta da varie iniziative locali finalizzata a favorire ed accompagnare i processi di integrazione nella società ricevente. In tal senso, sono state individuate tre specifiche tipologie di iniziative locali33: gli enti locali, le organizzazioni di volontariato ed i “servizi specializ-zati” (sindacati dei lavoratori, rappresentanze degli interessi, agenzie pubblico-private),

31 Si veda A.me.cu., cit., pp. 15-19. 32 Ambrosini M. (2000a), p. 429. 33 Ambrosini M. (2001), p. 94.

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evidenziando che in quest’ultimo segmento appaiono sempre più attive le agenzie di lavoro temporaneo, mentre “… per ora minimo, ma potenzialmente crescente, sarà il ruolo dei Servizi pubblici per l’impiego e [delle altre] agenzie private di collocamento”34. In particolare, un potenziamento del ruolo di questi servizi pubblici potrebbe garantire che il governo del processo di inclusione nel mercato del lavoro sia attuato secondo regole che si prefiggono di essere chiare, trasparenti, universalistiche, gestite da autorità pubbliche competenti e soggette ad un controllo democratico.

Queste ultime considerazioni appaiono suffragate dalle evidenze che emergono dalle aree territoriali più dinamiche, contesti in cui le iniziative locali si relazionano sempre più spesso con i consueti canali di inserimento occupazionale (servizi pubblici ed agenzie private di collocamento) al fine di reperire informazioni, contatti e concrete opportunità di lavoro a favore di cittadini extra-UE, informazioni, contatti ed opportunità a cui questi ultimi difficilmente riuscirebbero ad accedere in forma individuale. Non va tuttavia sottaciuto il fatto che, se si focalizza l’attenzione sul lavoro immigrato, le potenzialità dei canali istituzionali di incontro tra domanda ed offerta di lavoro appaiono ancora piuttosto contenute. È stato infatti notato35 come accanto ai (noti) modelli di integrazione degli immigrati (quello temporaneo nel caso della Germania, assimilativo nel caso della Francia e multiculturale nel caso degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Svezia), nel caso dei paesi dell’Europa mediterranea (ed in particolare in Italia) si possa parlare di un “modello implicito”, connotato, sul versante delle politiche del lavoro, da una diffusa tolleranza verso il lavoro irregolare ed una frammentata attività promozionale a livello locale. L’inserimento degli immigrati in questi mercati del lavoro è avvenuto fino ad oggi sulla base di un incontro spontaneo (sovente casuale) tra domanda di manodopera (in genere poco qualificata) e una offerta di lavoro poco esigente e adattabile36.

Da questo punto di vista è stata proposta da più parti, in luogo di una “integrazione tradizionale” (intesa come processo lineare di inserimento dell’immigrato nel paese di accoglienza), l’idea di una “integrazione circolare”, interpretabile come inserimento “contemporaneo e mobile” dei lavoratori immigrati nella realtà politica, sociale ed econo-mica dei paesi di accoglienza e di origine37. Secondo tale prospettiva, i lavoratori extra-UE vengono concepiti come “veicoli di trasferimento di conoscenze e professionalità”, capaci di divenire “agenti di sviluppo economico” (sia nel paese di origine che in quello di accoglienza) attraverso la predisposizione di adeguate iniziative imprenditoriali individuali. “Si potrebbero quindi costruire, su queste basi, politiche di integrazione che

34 Ibidem, pp. 94-95. 35 Ibidem, pp. 24-25; idem (1999), pp. 218-222; Sciarrone R. e Santi R., cit., pp. 188-194. 36 In Italia, sottolinea al proposito Reyneri (1996, pp. 326-335), l’integrazione lavorativa dei cittadini extra-

UE rappresenta un caso emblematico di regolazione informale “altamente individualizzata”, una caratteristica che si accentua per via della persistenza di un sistema economico-produttivo caratterizzato dalla massiccia presenza di Pmi e di microimprese, nonché dal “…ritardo istituzionale nella promozione di servizi atti a migliorare le modalità dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro” (Cfr. Ambrosini M., 2001, p. 80).

37 Si veda in particolare CeSPI (2000a), pp. 34-44.

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siano anche politiche concrete di co-sviluppo. Di qui, la necessaria convergenza tra politiche migratorie e politica di cooperazione allo sviluppo”38. Una specifica proposta metodologica concerne l’avvio di “partenariati territoriali” che consentano di coinvolgere i diversi sistemi socioeconomici (di partenza e di approdo) sulla base di un percorso strutturato di valorizzazione delle risorse e delle capacità degli immigrati39, percorso da implementare in particolare all’interno dei territori caratterizzati da un maggiore sviluppo industriale.

1.3 La difficile integrazione delle “seconde generazioni”

La formazione di una nuova generazione scaturita dall’immigrazione rappresenta non solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma anche una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle società riceventi. I migranti sono spinti verso i lavori più sgraditi e peggio retribuiti e la loro appartenenza etnica funge da principale criterio (o comunque è tra i più influenti) per l’assegnazione alle diverse posizioni sociali. Il vecchio paradigma dell’assimilazione delineava un modello omogeneo d’inserimento, in cui gli immigrati erano destinati a percorrere le tappe di un’ascesa professionale, lasciando dopo alcuni anni i lavori più sgraditi ai nuovi arrivati40. Se non loro direttamente, almeno i loro figli si sarebbero integrati nella società ospitante, perdendo i propri marcatori etnici distintivi. Questo modello è declinato a partire dalla metà degli anni ‘70, con la crisi e ristrutturazione delle economie europee. Il processo di ristrutturazione industriale, ridu-cendo il fabbisogno di manodopera non qualificata da parte del settore industriale, ha inciso profondamente sulla condizione occupazionale dei migranti e per certi versi anche dei loro figli. I dipendenti stranieri, il cui livello di qualificazione non era adeguato alle nuove richieste aziendali, sono stati le principali vittime dei provvedimenti di riduzione degli organici aziendali. Alcuni hanno perseguito strategie occupazionali alternative (soprattutto in termini di lavoro autonomo), altri (penalizzati dalla mancanza di quali-ficazione, dall’insufficienza delle competenze linguistiche, dall’impossibilità di accedere all’impiego pubblico, oltre che da forme diffuse ed implicite di discriminazione41, sono andati ad ingrossare le fila dei disoccupati e dei sottoccupati.

Negli anni successivi, l’ingresso sul mercato del lavoro delle seconde generazioni,

38 Ibidem, p. 34. 39 La proposta prevede nello specifico: iniziative di informazione (disseminazione delle esperienze locali);

politiche socio-lavorative (qualificazione della manodopera straniera attraverso l’utilizzo del “bilancio delle competenze” individuali, incentivi all’autoimprenditorialità, creazione da parte di consorzi di Pmi di “incubatori territoriali d’impresa”); politiche industriali e di cooperazione allo sviluppo (sostegno e internazionalizzazione dei sistemi di Pmi, riduzione e/o rimozione dei costi e delle barriere alla mobilità individuale); politiche finanziarie (raccolta e reimpiego in investimenti produttivi delle rimesse verso i paesi di origine).

40 Bohning R.W. (1984). 41 Wrench J., Rea A. e Ouali N. (1999).

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cresciute e socializzate nel paese d’immigrazione, non di rado cittadini a pieno titolo di quest’ultimo, ha mostrato che le differenze etniche mantengono la loro rilevanza nella sfera pubblica e che si può forse parlare di un processo di trasmissione intergenerazionale degli svantaggi sociali.

La penalizzazione associata ad un’origine etnica socialmente stigmatizzata tende non di rado a riprodursi anche a svantaggio delle generazioni successive a quelle dei primo-migranti. In Gran Bretagna, ad esempio, la stigmatizzazione che colpisce i giovani neri si riflette nella loro sovraesposizione al rischio di disoccupazione e “cattiva” occupazione42. Molte sono le analisi riguardo agli svantaggi cumulativi di cui sono vittima i discendenti da famiglie immigrate che vivono nelle banlieues francesi43. In Belgio i figli dei migranti europei raggiungono di norma livelli di integrazione economica e sociale più elevati rispetto ai cosiddetti “musulmani” (marocchini e turchi)44.

Alla base delle difficoltà d’inserimento lavorativo e sociale dei giovani figli di immigrati vi sono molteplici cause. In primo luogo, siamo in presenza di una struttura di opportunità sempre più distante rispetto alle aspettative professionali dei giovani delle seconde generazioni. Diversamente dai loro genitori, questi giovani rifiutano di pensarsi come lavoratori a tempo determinato, né tanto meno prendono in considerazione l’ipotesi di un “ritorno” in patria. Il loro status si definisce in rapporto alla società in cui vivono, e dove spesso sono anche nati e cresciuti, non certamente in rapporto a quella che fu la patria dei genitori. Le loro aspirazioni professionali sono, dunque, del tutto legittimamen-te, simili a quelle dei coetanei autoctoni coi quali hanno condiviso l’esperienza scolastica. Ma, il loro destino è spesso quello di dovere fare i conti con una società che li discrimina (condizionandone anche i percorsi scolastici) e vorrebbe vederli confinati nei tradizionali lavori “da immigrati”. Paradossalmente, è proprio l’assimilazione culturale riuscita, l’interiorizzazione degli obiettivi della competizione e del successo professionale, l’inte-grazione nelle strutture di welfare, a renderli così poco “adatti” ai posti di lavoro disponi-bili. Mentre il livello delle aspettative si è decisamente innalzato, la possibilità di mobilità sociale e lavorativa intergenerazionale si è rarefatta, anche perché questi giovani sono quasi del tutto esclusi dai network sociali strategici per la transizione al lavoro.

Le aspirazioni dei giovani delle seconde generazioni, finanche dei più istruiti, devono oggi fare i conti con una struttura di opportunità prevalentemente circoscritta al mercato secondario. Le conseguenze sono duplici: da un lato, l’imbrigliamento in rapporti di lavoro etnicizzati, non di rado irregolari, e con condizioni di lavoro tanto più svantaggiose 42 Guardando al tasso di occupazione, nel 2003 quello per la popolazione bianca in età lavorativa era del

76,5%, mentre quello per la popolazione nera e degli appartenenti alle minoranze etniche era del 57,7%. Allo stesso tempo questi ultimi gruppi hanno maggiori probabilità di essere disoccupati delle loro controparti bianche, con un tasso di disoccupazione del 10,9% contro il 4,3%. Questa differenza non può essere spiegata sulla base dei livelli educativi o di altre caratteristiche personali (la chiara implicazione è che la discriminazione gioca il ruolo principale). Neri e appartenenti alle minoranze etniche hanno anche maggiori probabilità di essere economicamente inattivi delle loro controparti bianche, il 34,5% contro il 19,9%. Si veda Meager N. e Sinclair A. (2004), p. 144.

43 Cfr. Zanfrini L. (2001). 44 Manco U. e Manco A. (1990).

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quanto più il giovane possiede uno status giuridico precario, dall’altro, la disoccupazione. In Francia, la disoccupazione ufficiale è quasi al 10%, ma tra i figli degli immigrati è circa il doppio e in alcuni contesti territoriali quasi quattro volte tanto.

Le recenti due settimane di rivolte nelle banlieues francesi (ma anche le rivolte degli immigrati nel 2001 in Gran Bretagna e la presenza di Islamici radicali che commettono omicidi in Olanda) segnalano che in Europa c’è ancora molto da fare per quanto riguarda l’integrazione delle seconde e terze generazioni delle famiglie immigrate. Ci sono pochi rappresentanti delle comunità nord africana e turca nei sistemi politici francesi e tedeschi. La maggior parte dei giovani arrestati dopo le rivolte francesi sono figli o nipoti di immigrati degli anni ‘50 e ‘60. L’omicida di Theo Van Gogh, un regista cinematografico olandese, è stato descritto da il presidente di una commissione parlamentare di inchiesta come “un immigrante di seconda generazione medio”.

1.4 Programmi e azioni di integrazione dei cittadini extra-UE nell’Europa a 15

Generalmente, i paesi di destinazione cercano di estendere gradualmente i diritti dei cittadini nazionali agli immigrati stranieri. La gradualità nell’ammissione ai diritti politici (voto nelle elezioni locali) e ai diritti sociali (accesso alla sanità gratuita, ai servizi sociali, ai sussidi di disoccupazione, ecc.) ha una sua logica. “Da un lato l’immigrato ha bisogno di un periodo di informazione, di introduzione alle regole e alla cultura del paese di arrivo, che può accettare solo temporaneamente o definitivamente. Dall’altro concedere diritti, specialmente i diritti sociali a stranieri immigrati può creare situazioni tipiche di trappola della povertà, ossia lo straniero è attirato da tali benefici e si può accontentare di questi sussidi, o benefici sociali. In tal modo, si incentiva la trasformazione di una migrazione temporanea in una migrazione permanente e si scoraggia la ricerca di una vera integrazione economica e sociale”45.

Per molti anni, al problema dell’integrazione degli immigrati si prestata scarsa attenzione (almeno rispetto a quello relativo al contenimento dei nuovi flussi di entrata) in quasi tutti i paesi europei, mentre ora sembra essere diventato un tema politico di alto livello soprattutto nell’Europa Nord occidentale. Pertanto, se ne discute di più anche a livello di Unione europea. A livello nazionale, l’attenzione maggiore, fino a questo momento, è stata dedicata ai programmi introduttivi di orientamento dei nuovi venuti per collocarli su un percorso di apprendimento della lingua. In generale, la buona conoscenza della lingua del paese ricevente è un fattore influente nei processi di inclusione nel mercato del lavoro, perché consente di occupare posti di lavoro qualificati, al di fuori delle ristrette opportunità dei networks etnici46. 45 Venturini A. (2001), p. 244. 46 Non sempre, tuttavia, la socializzazione linguistica e culturale alla società ricevente viene accolta

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Alcuni dei programmi di istruzione linguistica introdotti di recente in diversi paesi prevedono lo svolgimento di esami e persino penalizzazioni qualora non siano portati a termine; altri sono di natura volontaria. Alcuni paesi hanno previsto programmi di integrazione obbligatori per i cittadini immigrati47.

Per quanto riguarda, invece, la formazione più propriamente professionale delle popolazioni immigrate extra-UE, dall’analisi dei materiali disponibili emerge che un po’ in tutti i paesi europei (soprattutto in quelli di recente immigrazione) l’attenzione istituzionale all’innalzamento delle competenze degli immigrati è ancora molto margi-nale 48 . Questo accade nonostante che in diversi paesi la presenza immigrata dati un’anzianità di permanenza di diversi decenni. In sintesi, l’accesso degli immigrati alla formazione professionale presenta molti problemi. Innanzitutto, generalmente si richiede una scolarizzazione di base maturata precedentemente e nel caso in cui la scolarizzazione sia avvenuta nel paese d’origine il riconoscimento dei titoli di studio non è per nulla facile (devono esistere accordi bilaterali specifici tra il paese di accoglienza e il paese d’origine). In molti casi, se non si hanno i requisiti relativi al titolo di studio si può accedere alla formazione professionale facendo una prova di accesso, che generalmente è abbastanza difficile. Oltre a queste considerazioni bisogna tener conto che, a differenza del sistema educativo generale, nei corsi professionali la figura dello straniero non è quasi mai contemplata. Nel senso che la didattica (a cominciare dal problema della lingua locale) e le modalità di svolgimento sono generalmente impostati avendo come gruppo-bersaglio l’adulto autoctono. Non secondarie sono spesso le limitazioni derivanti dagli orari e dai tempi di svolgimento dei corsi, che ostacolano la presenza di allievi-lavoratori. Tutto questo aiuta a comprendere i motivi per cui gli immigrati (ma anche i loro figli) frequentano poco i corsi della formazione professionale.

Generalmente, le politiche formative per gli immigrati rientrano nella categoria più vasta della formazione prevista per i gruppi socialmente svantaggiati (portatori di handicap, disoccupati di lunga durata, ex tossicodipendenti, persone non scolarizzate, ecc.). In questa ottica, “…essi non vengono considerati forza lavoro attiva, ma forza lavoro da recuperare prima socialmente e poi contribuire ad inserire economicamente.

Questa ottica distorsiva rende gli immigrati ancora più diseguali rispetto agli autoctoni in relazione ai diritti sociali fondamentali: il lavoro, l’istruzione e la salute”49.

positivamente. Ad esempio, in Italia l’immigrazione albanese è forse quella giunta con maggiore livello medio di competenza linguistica, acquisita soprattutto grazie alla ricezione di programmi televisivi italiani. Eppure per anni è stata quella più stigmatizzata e temuta, considerata pericolosa, violenta, incline a sviluppare attività devianti e criminali.

47 Spesso la mancanza di frequentazione dei corsi di alfabetizzazione alla lingua del paese di destinazione è dovuta al fatto che vengono percepiti dagli stranieri come una perdita di tempo, in quanto il loro progetto migratorio è temporaneo e intrapreso solamente per accumulare reddito e il tempo investito in istruzione rappresenta solo tempo sottratto a eventuali guadagni o riposo. Quando il fenomeno migratorio diventa più maturo e iniziano i ricongiungimenti familiari, la frequentazione dei corsi di formazione aumenta, ma più spesso da parte dei familiari ricongiunti e dalla componente femminile.

48 Carchedi F. (1999a). 49 Carchedi F. (1999b), p. 308.

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Nonostante le informazioni disponibili siano scarse e poco organiche, esistono alcune esperienze nel settore della formazione professionale che possiamo aggregare nei seguenti quattro gruppi: • esperienze derivanti da accordi bilaterali di cooperazione sul paino dell’educazione e

della formazione professionale stabiliti tra paesi ospitanti e paesi d’origine (spesso ex colonie); fondamentalmente, il paese ospitante offre la possibilità ai giovani stranieri di entrare nel sistema formale dell’insegnamento o in programmi di formazione professionale, a condizione che, terminato l’iter formativo, i beneficiari ritornino nei propri paesi d’origine (il che non accade sempre);

• esperienze di programmi di formazione professionale specificamente rivolti ad immigrati, finanziati nell’ambito di programmi comunitari di sostegno (Fondo sociale europeo) ai paesi ospitanti;

• esperienze di programmi di formazione professionale e, soprattutto, educativi, promossi in quartieri socialmente degradati da parte di vari tipi di organizzazioni non governative; a volte queste esperienze sono sostenute da autorità a livello locale, altre volte da sostegni finanziari provenienti da fonti diverse, ma pur sempre molto dipendenti dall’azione volontaria (o semi-volontaria) dalle organizzazioni direttamen-te coinvolte50;

• esperienze rappresentate da programmi di formazione professionale non specifica-mente rivolti ad immigrati, ma che li comprendono marginalmente, come, ad esempio, i programmi di formazione rivolti a lavoratori dell’industria e dell’edilizia civile, o rivolti a popolazioni di quartieri poveri delle aree metropolitane.

Un ruolo importante nella promozione dell’integrazione sociale e lavorativa degli immigrati è svolto (soprattutto nei paesi di nuova immigrazione dell’Europa Sud mediter-ranea) da parte del variegato mondo di enti e associazioni (culturali, di volontariato, sindacali, ecc.), per lo più senza scopo di lucro, che forniscono supporto ai migranti, offrendo servizi d’assistenza sanitaria e sociale, consulenza legale, orientamento per l’ot-tenimento di casa e lavoro e così via. Le Ong rappresentano anche i luoghi sociali dove, in maniera più sistematica e continuativa, è possibile trovare programmi di formazione professionale specificamente studiati in funzione dell’utenza proveniente dalla popo-

50 Sempre più frequentemente un ruolo importante è giocato dalle associazioni di immigrati. Le associazioni

di immigrati sono impegnate in logica di difesa e affermazione socio-politica delle comunità che rappresentano e le attività di formazione si innestano all’interno del quadro più generale di politiche di promozione socio-professionale che esse stesse attivino a scopi integrativi. Tendenzialmente, queste associazioni promuovono attività di formazione rivolte a colmare le carenze esistenti nei sistemi ufficiali o a promuovere percorsi di perfezionamento professionale strettamente collegati ala loro azione sociale (ad esempio, nel campo dell’informatica, della contabilità o dell’agibilità linguistica). A fianco a queste attività (almeno per quelle maggiormente consolidate) vengono organizzati anche corsi di formazione centrati sull’apprendimento tecnico (come operai generici), oppure corsi finalizzati allo svolgimento di attività all’interno del settore dei servizi (sia alle persone che nella ristorazione). Una certa importanza rivestono i corsi rivolti specificamente a sottogruppi di utenza (ad esempio, i giovani e le donne) per rafforzare la loro identità nazionale e salvaguardare la loro cultura di origine, particolarmente sul piano linguistico.

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lazione immigrata o da certi segmenti di essa51. Inoltre, in molte esperienze nazionali queste organizzazioni svolgono un’azione di pressione per la promozione dei diritti dei migranti, riuscendo a volte ad ottenere la modificazione dell’ordinamento giuridico e la possibilità di regolarizzazione per gli immigrati clandestini. Si tratta di una forza minoritaria nelle opinioni pubbliche dei rispettivi paesi, ma comunque influente e capace di fare lobby pro-immigrati, facendo appello a valori fondanti delle democrazie europee.

Rispetto alle politiche di integrazione, c’è da segnalare che la recente proposta di direttiva della Commissione europea (COM(2001) 386) evoca il partenariato tra immi-grati e società ospitante e si immaginano “pacchetti di inserimento” dei nuovi immigrati commisurati alle loro esigenze individuali. Ma, ancora più rilevante appare il riferimento alla condivisione della responsabilità delle azioni di integrazione con la società civile, attraverso “microazioni di partenariato” a livello locale, che coinvolgono i diversi possibili attori dei processi di inclusione sociale, compresi gli immigrati e le loro associa-zioni. “Si tratta di una strategia già ampiamente praticata sul terreno, anche in relazione alle varie difficoltà che incontrano le politiche pubbliche di gestione dei fenomeni migratori ma l’averla ufficializzata in un documento comunitario che ha come tema portante la riapertura delle frontiere all’immigrazione per lavoro, acquista una portata simbolica degna di nota”52.

Nei paesi dell’Europa mediterranea (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna), l’aiuto delle agenzie e istituzioni sociali si esplica in buona parte nelle forme della prima accoglienza e del soccorso di emergenza verso persone che versano in condizioni di deprivazione e cercano una risposta ai bisogni rimari (sfamarsi, difendersi dal freddo, ricevere cure mediche, trovare un luogo dove poter dormire). Gruppi e associazioni di volontariato, Chiesa cattolica e sindacati dei lavoratori sono i principali protagonisti dell’aiuto agli immigrati. Si tratta di attori che hanno una presenza radicata nel tessuto sociale e che, in molti casi, hanno riconvertito verso la nuova popolazione degli immigrati servizi e risorse umane dedicate in precedenza agli immigrati interni o ad altri gruppi sociali marginali. La mobilitazione di questi attori ha in vario modo preceduto e, almeno parzialmente, compensato i ritardi e le reticenze dell’azione politica nel riconoscimento del nuovo status di paesi di immigrazione e nella predisposizione delle condizioni minimali per rendere meno arduo l’impatto tra i nuovi arrivati e i contesti locali.

Lo stesso incontro con la domanda di lavoro sarebbe stato forse più complicato e macchinoso, senza al mediazione di agenzie e istituzioni che hanno aiutato a chiudere il

51 Generalmente le attività di formazione professionale che queste organizzazioni svolgono sono focalizzate

maggiormente sugli aspetti della convivenza civile e dello sviluppo umano. Parallelamente, si organizza la formazione di base che include materie come l’aritmetica, la storia e l relazione intercorse tra il paese d’origine e il paese di accoglienza, oppure si tenta di sviluppare la propensione alla lettura e alla scrittura con forme di alfabetizzazione. Non mancano percorsi di formazione in campi più tradizionali come l’apprendimento delle arti domestiche o delle tecniche di sartoria che, una volta apprese, possono condurre verso una professionalizzazione compatibile con le esigenze di certe particolari nicchie del mercato del lavoro.

52 Ambrosini M. (2004), p. 46.

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cerchio tra disponibilità di lavoro degli immigrati e fabbisogno di manodopera dei datori di lavoro.

La facilitazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro immigrato avviene attraverso lo svolgimento di molteplici funzioni: • gli attori sociali forniscono informazioni utili agli immigrati in cerca di lavoro e agli

stessi datori di lavoro; • aiutano ad espletare le pratiche relative alla regolarizzazione del soggiorno53; • si propongono all’occorrenza come mediatori e garanti tra gli immigrati e i datori di

lavoro; • gestiscono servizi di accoglienza e, con molte difficoltà, offrono alcune risposte al

problema abitativo; • si occupano di problemi rimossi dalle istituzioni pubbliche, come quello delle cure

mediche per gli immigrati irregolari. Per riuscire ad andare oltre la pura assistenza questi attori devono attivare processi più

laboriosi di promozione dell’incontro con la domanda di lavoro, anche collegandosi con i Servizi pubblici per l’impiego, il sistema della formazione professionale o le agenzie di lavoro temporaneo54.

Nei paesi del Nord Europa che hanno una più lunga storia di ricezione di flussi migratori, gli obiettivi e le attività degli attori sociali pro-immigrati sono in parte diversi. Le grandi istituzioni non-profit di matrice ecclesiale e sindacale svolgono tuttora diversi servizi di orientamento e aiuto a domanda individuale, ma molte iniziative oggi si propongono di fronteggiare i problemi di una fase più matura del ciclo migratorio. Molte energie delle società civili sono dedicate alle questioni della lotta al razzismo e alla xenofobia nelle loro varie manifestazioni. Molte attività associative, sviluppate in collaborazione con i poteri pubblici, si propongono di favorire la conoscenza reciproca e la mutua comprensione tra persone educate in differenti contesti culturali. Un altro tipico target dell’azione solidaristica nei paesi del Nord Europa è poi quello dei rifugiati e dei richiedenti asilo (che nei paesi dell’Europa meridionale è stato finora meno caratteriz-zante), per contrastare le reazioni di rigetto da parte di movimenti politici e correnti di opinione molto aggressivi. Inoltre, molta attenzione è rivolta all’integrazione delle “seconde generazioni” che subiscono una severa disparità nell’accesso alle opportunità educative e all’occupazione qualificata. Una questione su cui comincia a crescere la sensibilità è quella dell’accesso all’impiego pubblico e, soprattutto, alle posizioni quali- 53 In occasione della maxi sanatoria dell’autunno 2002 in Italia, ad esempio, gli sportelli del privato sociale

e dei sindacati hanno svolto un’azione molto impegnata di sensibilizzazione e mediazione, fino alla negoziazione con le istituzioni pubbliche di accordi specifici per risolvere casi complessi e di incerta interpretazione.

54 Un caso emblematico è in Italia quello relativo alla lotta alla tratta degli esseri umani condotta attraverso i programmi di assistenza ed integrazione sociale ex art. 18 del D.Lgs. 286/1998 (azioni di sistema e progetti di protezione sociale); si vedano AA.VV (2001); ART e Commissione Pari Opportunità della Regione Veneto (2004); Associazione on the Road (2000a, 2000b, 2000c); Bufo M. e Giulodori D. (2001); Candia G., Carchedi F. e Castelli V. (2001); Carchedi F. (2004); Carchedi F., Picciolini A. et alia (2003); Da Pra Procchesia M. e Grosso L. (2001); Minguzzi C. (2002); Tola V. (2001); Turco L. (2005).

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ficate e stabili della funzione pubblica. Infine, soprattutto in Germania, si segnala l’impegno sindacale per la lotta alla discriminazione sui luoghi di lavoro e l’introduzione della questione nella contrattazione con le organizzazioni imprenditoriali.

Un tentativo di proporre una tipologia delle politiche locali per gli immigrati in Europa è stato compiuto da Alexander M. (2003), sulla base di materiali di ricerca relativi a 25 contesti urbani. Il suo approccio collega le politiche locali a diverse visioni delle relazioni tra autoctoni e stranieri, riproducendo a livello decentrato, a grandi linnee, le impostazioni delle politiche nazionali che abbiamo considerato in precedenza, con l’aggiunta di una sorta di “punto zero”, in cui la presenza di immigrati viene semplice-mente ignorata dalle autorità locali.

Vengono quindi individuati: • un modello transitorio, in cui l’immigrazione è vista come un fenomeno di passaggio,

sostanzialmente ignorato, che non sollecita un’assunzione di responsabilità e non viene fatto oggetto di politiche vere e proprie, se non come reazioni ad hoc a situazioni di crisi;

• un modello lavoratore ospite, in cui l’immigrazione è vista come una necessità economica temporanea, e le politiche locali assumono compiti limitati, di risposta a bisogni di base;

• un modello assimilazionista, in cui l’immigrazione è considerata come un fenomeno permanente, ma la sua alterità culturale è ritenuta passeggera; le politiche locali puntano all’integrazione a lungo termine, attraverso politiche generali, basate sugli individui e non su criteri etnici, miranti a promuovere più opportunità di inclusione;

• un modello pluralista, postmoderno, in cui l’immigrazione non solo è assunta come un tratto permanente, ma si accetta il fatto che la sua alterità sia destinata a persistere. Le politiche locali si volgono pertanto al riconoscimento della diversità all’interno di città multiculturali, allo sviluppo di azioni positive per l’empowerment delle minoranze e al sostegno delle organizzazioni comunitarie.

Le politiche locali non seguono tuttavia in modo meccanico le impostazioni nazionali, ma sovente se ne discostano, dovendo fronteggiare a livello periferico i fallimenti delle politiche nazionali. In altri casi, sono le politiche nazionali a spingere le amministrazioni locali riluttanti verso l’attuazione di misure di inclusione. Non è, quindi, detto che le città francesi si collochino necessariamente nel modello assimilazionista, o quelle tedesche seguano l’approccio del lavoratore ospite.

I quatto modelli possono essere visti anche come fasi di evoluzione delle politiche locali per gli immigrati, per cui passerebbe nel tempo dal modello transitorio a quello pluralista; ma il passaggio dall’una all’altra non è lineare né scontato: spesso anzi, si riscontrano nei fatti combinazioni di misure riconducibili a modelli teorici diversi. Assume rilievo in proposito anche un aspetto importante quanto trascurato: governi e amministrazioni locali, come quelli nazionali, non sono affatto blocchi monolitici, ma hanno al loro interno settori, uffici e funzionari che possono seguire visioni diverse del fenomeno migratorio.

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Alexander distingue, inoltre, quattro ambiti di azione politica, in ognuno dei quali si riscontrano approcci e misure diverse a seconda dei nodelli di riferimento: • giuridico-politico, in cui trovano luogo istituzioni come i comitati consultivi degli

immigrati e le relazioni con le associazioni rappresentative; • socioeconomico, dove si collocano le misure relativa all’inclusione nel mercato del

lavoro, nei servizi scolastici ed educativi, nei servizi sociali, nonché la gestione dell’immigrazione (ed eventualmente del razzismo) come problema di ordine pubblico;

• culturale-religioso, riferito ai rapporti con le istituzioni religiose delle minoranze e alla consapevolezza pubblica della diversità etnica;

• spaziale, relativo alle politiche abitative, al trattamento delle enclave etniche, all’uso simbolico dello spazio (per esempio, visibilità dei luoghi di culto, istituzione di musei e monumenti delle minoranze).

Al di là del valore intrinseco delle esperienze locali pro-immigrati e del contributo effettivo che forniscono al miglioramento delle condizioni di vita e di integrazione socio-lavorativa degli immigrati, questi interventi vanno apprezzati nel quadro complessivo del faticoso passaggio delle società europee allo status di società multietniche: “le aggre-gazioni e le iniziative promosse dalle società civili sono agenti di integrazione dal basso tra vecchi e nuovi residenti, instaurano legami sociali e spazi di ascolto, contrastano sul terreno le derive xenofobe che attraversano l’Europa”55.

1.4.1 Austria

Storicamente, la politica migratoria austriaca è stata concepita pensando che i lavoratori stranieri sarebbero stati occupati regolarmente in Austria solo tempora-neamente per alleviare una specifica carenza di forza lavoro e che essi sarebbero succes-sivamente ritornati ai loro paesi d’origine. Conseguentemente, permessi di soggiorno a termine e collegati al posto di lavoro erano i principali meccanismi di controllo (modello del gastarbeiter). Tuttavia, dal momento che il flusso di entrata e di uscita dei lavoratori stranieri non si è realizzato così come ci si aspettava e molti stranieri hanno scelto l’Austria come paese dove vivere, rimanendo occupati di lungo periodo, è sorto il bisogno di adeguare le norme in modo da dare maggiore importanza all’integrazione dei lavoratori immigrati che sono residenti da lungo tempo e dei giovani di origine straniera che sono cresciuti in Austria.

Per proteggere la forza lavoro autoctona e gli stranieri integrati, è stato considere-volmente limitata la possibilità del nuovo reclutamento ed è stata approvata una nuova normativa riguardo ai requisiti richiesti agli stranieri che desiderano risiedere in Austria. Dal 1993 (quando la legge sulla residenza è entrata in vigore), l’immigrazione è stata controllata nel dettaglio attraverso le quote annuali di immigrazione per i lavoratori 55 Ambrosini M. (2004), p. 68.

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dipendenti e autonomi, per i familiari di stranieri residenti e per stranieri che desiderano stabilirsi in Austria per motivi personali senza volersi impegnare in attività lavorative remunerate. Inoltre, ogni anno viene fissata una quota quadro per la manodopera stagionale che può essere utilizzata da imprese appartenenti a specifici settori economici (agricoltura, turismo, ecc.).

La nuova normativa più restrittiva in materia di politica immigratoria, entrata in vigore a partire dai primi anni ‘90, ha rappresentato una reazione al grande afflusso di cittadini stranieri arrivati in Austria alla fine degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90, quando il numero dei cittadini stranieri è aumentato in appena quattro anni di circa 300 mila unità attraverso la sola immigrazione56. Nel 2002 in Austria i cittadini stranieri erano circa 715 mila, dei quali 537 mila cittadini di paesi europei non facenti parti della UE e 68 mila cittadini di paesi non europei57. Se si tiene conto di quelle persone che hanno acquisito la cittadi-nanza austriaca nel corso della loro residenza nel paese, si ha che nel 2001 circa 1,12 milioni di persone (il 13,9% della popolazione totale) sono direttamente o indirettamente legati all’immigrazione. Più della metà di queste persone (53,9%) appartiene alla prima generazione di immigrati (persone che hanno un passaporto straniero e sono nate all’estero). Nel 2002, mediamente, 334 mila persone non di nazionalità austriaca erano occupate (circa l’11% di tutti gli occupati in Austria), il 31% dei quali cittadini di stati UE o Aee.

Per quanto riguarda i cittadini stranieri disoccupati, i gruppi nazionali più consistenti sono quelli appartenenti agli stati della ex Jugoslavia e della Turchia. Un terzo degli immigrati al lavoro vive nella città di Vienna. Le condizioni occupazionali degli immigrati sono meno stabili di quelle dei lavoratori austriaci ed essi occupano spesso posti di lavoro poco qualificati, concentrandosi soprattutto nei settori dell’agricoltura e forestazione, dell’edilizia, dell’alberghiero, della ristorazione e dei servizi alle imprese; tutti settori soggetti a grandi fluttuazioni stagionali e ai cicli economici58. Gli immigrati, qualora diventino disoccupati, devono velocemente trovare un nuovo lavoro se non vogliono perdere il loro permesso di soggiorno. Il Servizio pubblico per l’impiego offre

56 Lehner U., loffler R. e Wagner-Pinter M. (2003). 57 Nel maggio 2001, dei non cittadini dell’UE, circa 133 mila avevano passaporto yugoslavo, 127 mila

erano turchi, circa 108 mila venivano dalla Bosnia, circa 61 mila dalla Croazia e altri 17 mila dalla Macedonia. Alla fine del 2002, inoltre, dei dieci paesi nuovi entranti nella UE risiedevano in Austria 22 mila polacchi, 13 mila ungheresi, 7.700 slovacchi, 7.300 cechi e 6.900 sloveni.

58 Non a caso il tasso di disoccupazione fra gli immigrati è, al 9,8%, più alto di quello degli autoctoni (6,7%). L’Arbeitslosenversicherungsgesetz (ALVG – la legge sull’assicurazione per la disoccupazione) non stabilisce alcuna distinzione tra differenti nazionalità nell’erogazione del sussidio di disoccupazione. Aiuti di emergenza sono stati concessi dal 1° aprile 1998 indipendentemente dalla nazionalità. Però, i richiedenti devono, oltre al criterio di essere disoccupati, essere disponibili e in grado di lavorare, essere in una condizione di estremo bisogno e aver ottenuto in precedenza un sussidio di disoccupazione, e anche ricadere in almeno in una delle seguenti categorie: essere nati in Austria; essere al di sotto dei 25 anni di età e avere frequentato metà degli anni di studio obbligatori in Austria

e avere completato l’istruzione in Austria; avere lavorato e pagato i contributi assicurativi per otto degli ultimi dieci anni; avere vissuto legittimamente metà della loro vita in Austria.

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una serie di servizi che hanno l’obiettivo di reintegrare i cittadini stranieri nel mercato del lavoro e di aiutarli ad acquisire competenze professionali (specialmente per giovani stranieri integrati) e che tengono conto delle specifiche barriere all’integrazione per i cittadini stranieri (mediazione culturale). Inoltre, i disoccupati stranieri in possesso di un regolare permesso di soggiorno possono accedere a programmi che forniscono informa-zioni, orientamento e motivazione, così come programmi di qualificazione e occupazione.

Secondo l’Università di Linz, tra il 1995 e il 2004 il numero di stranieri occupati illegalmente in Austria nelle attività dell’economia sommersa sono aumentati, passando da 75 mila unità a 114 mila59. Questo numero corrisponde approssimativamente ad un quinto dei lavoratori stranieri in Austria. Questa percentuale è cresciuta in modo continuo fino al 2000, per poi ridursi in modo contenuto. Per combattere il fenomeno, il Ministero delle finanze ha istituito dal 1° di luglio 2002 un ufficio per il contrasto dell’occupazione illegale dei cittadini stranieri (Kiab – Kontrolle Illegaler Auslanderbeschafigung). Circa 200 agenzie sono state create con il compito di realizzare delle ispezioni presso le imprese e i cantieri edili. Queste ispezioni sono mirate a imprese che operano nei settori dell’edilizia, della ristorazione, dell’alberghiero, del trasporto e dei servizi in genere. Nel 2003 il Kiab ha condotto 21 mila ispezioni, identificando circa 5.700 lavoratori illegali (il 40% occupati da imprese edili, mentre il 30% da ristoranti ed alberghi). In totale, più di 3.500 contestazioni sono state fatte ai proprietari delle imprese (un terzo ad imprese edili), per un importo di multe pari ad oltre 9 milioni di euro.

Nel giugno 2000, il decreto sull’integrazione ha facilitato l’accesso al mercato del lavoro per gli stranieri che sono residenti in Austria da diversi anni, ma che non erano ancora stati autorizzati ad entrare nel mercato del lavoro, per i giovani stranieri e per i richiedenti asilo le cui domande sono state rifiutate. Nell’agosto 2000, è stato ricono-sciuto il fabbisogno addizionale di lavoratori qualificati nel settore dell’Itc, rendendo più facile per i richiedenti ricevere le autorizzazioni richieste da parte delle autorità del mercato del lavoro.

Nel 2002, un ulteriore emendamento alla legge sul lavoro degli stranieri (Auslanderbeschaftigungsgesetz) del 1976 ha trasferito il controllo sul lavoro illegale degli stranieri e i compiti ad esso associati dall’Ispettorato del lavoro alle autorità doga-nali e ha esteso le possibilità di assumere lavoratori stranieri.

L’ultimo emendamento alla legge sul lavoro straniero, approvato nell’ambito della riforma della normativa che regola la materia migratoria nel 2002, stabilisce i seguenti importanti obiettivi di policy in materia di mercato del lavoro e di integrazione: • i lavoratori immigrati possono essere solo lavoratori dipendenti ed autonomi che sono

considerati personale assolutamente necessario (higly skilled workers in possesso di un tipo di formazione che è particolarmente richiesta nel mercato del lavoro austriaco o in possesso di saperi e competenze speciali che non sono posseduti dalla forza lavoro autoctona);

59 Loffler R., Lehner U. e Wagner-Pinter M. (2004), p. 144.

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• ampliamento delle opzioni per autorizzare l’occupazione di lavoratori temporanei, ampliamento del modello stagionale a settori che hanno un bisogno temporaneo di lavoratori qualificati;

• autorizzazione da parte del governo federale per concludere degli accordi governativi bilaterali con i paesi confinanti (Slovacchia e Cechia) sull’occupazione di personale necessario e frontaliero al di fuori delle quote stabilite;

• un più facile accesso al mercato del lavoro per tutti i giovani stranieri che vivono in Austria e che hanno completato l’anno finale del ciclo di studi obbligatori, attraverso la creazione di un diritto ad un certificato dispensatorio (consentendo loro un accesso pieno al mercato del lavoro per cinque anni con la possibilità di una successiva estensione);

• una garanzia permanente di integrazione nel mercato del lavoro per gli stranieri residenti già presenti attraverso la connessione tra il permesso di permanenza e quello di lavoro (dopo cinque anni di permanenza, un accesso pieno al mercato del lavoro attraverso la concessione di un certificato permanente di residenza).

Dal 2003 i cittadini immigrati che intendono rimanere in Austria per più di sei mesi e che presentano la richiesta di un permesso di soggiorno provvisorio (rinnovabile) devono firmare un accordo di integrazione60. Sono previste deroghe a tale normativa per i compo-nenti appena arrivati di famiglie austriache e altri cittadini UE che godono di trattamento preferenziale, i bambini, i dirigenti di aziende e gli operai specializzati immigrati che restano in Austria per meno di due anni. Ne sono esenti anche gli immigrati che dimostrano di saper parlare tedesco. Tali norme sono applicate anche retroattivamente per quelle persone alle quali, nel periodo compreso tra il 1998 e il 2002, era stato concesso un permesso di soggiorno provvisorio (rinnovabile) e che desiderano rinnovarlo.

L’accordo di integrazione prevede fino a 100 ore di insegnamento obbligatorio del tedesco. Gli immigrati che si iscrivono al corso devono sostenere il 50% delle spese se lo terminano entro 18 mesi, il 75% se lo completano entro 18-24 mesi e il 100% se il corso è portato a termine oltre i 24 mesi. Al termine di tale periodo le autorità possono erogare sanzioni pecuniarie e agli immigrati che non portano a termine con profitto il corso entro 4 anni si può negare il rinnovo del permesso di soggiorno.

1.4.2 Belgio

Il Belgio ha una lunga storia come paese d’immigrazione e i problemi legati all’integrazione degli immigrati e alle responsabilità assunte dal Belgio con la sua politica migratoria sono all’ordine del giorno almeno dal 1956, cioè dalla catastrofe avvenuta nella miniera di Marcinelle, in cui persero la vita 262 minatori, per la maggior parte italiani. Fino a tutti gli anni ‘50, per le necessità delle miniere di carbone dell’industria metallurgica e dei lavori pubblici, si è fatto ricorso all’immigrazione di giovani maschi 60 Konig K. e Perchinig B. (2003).

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celibi, mentre negli anni ‘60 vennero favoriti (anche per promuovere il ringiovanimento della popolazione) i ricongiungimenti familiari. Inizialmente gli immigrati erano italiani, spagnoli e greci, successivamente marocchini e, infine, turchi (dal 1961 al 1970, la proporzione di immigrati è cresciuta dal 4,9% al 7,2% della popolazione totale). Negli anni, l’immigrazione in Belgio si è via via diversificata sul piano demografico, geografico e di settore, per diventare sempre più una immigrazione di tipo familiare e permanente. L’integrazione dei lavoratori immigrati nei sindacati ha consentito il loro accesso alla cittadinanza economica. Dal 1971, infatti, la legislazione belga riconosce ai lavoratori immigrati gli stessi diritti degli autoctoni per quello che riguarda il voto e l’eleggibilità nei comitati d’azienda e nei comitati di sicurezza e l’igiene nei luoghi di lavoro.

Mentre gli immigrati sono diventati progressivamente parte integrante delle popolazioni locali, con l’avvento della crisi e ristrutturazione dell’apparato minerario ed industriale (a partire dalla seconda metà degli anni ‘70) e l’aumento della disoccupazione, le aziende hanno avuto minor bisogno di manodopera appartenente ai segmenti non qualificati del mercato del lavoro. La decisione di bloccare l’immigrazione nel 1974 ha cambiato radicalmente la situazione e a partire dagli anni ‘80, l’immigrazione diventa l’immigrazione dei sans-papiers provenienti oltre che dalle regioni tradizionali (il Nord Africa e la Turchia) anche dall’Europa dell’Est, dalla ex Jugoslavia, dall’Africa sub-sahariana e dall’Asia, attratti dalle opportunità offerte dal lavoro informale61.

Si tratta “…di un’immigrazione divenuta inevitabilmente clandestina poiché si colloca al di fuori di ogni (possibile) riconoscimento legale”62. Mancano dati statistici, ma i lavori in nero sono quelli nel settore delle pulizie, nell’edilizia (in particolare nei lavori di restauro e ristrutturazione), nonché il lavoro stagionale nell’orticoltura, negli alberghi, nei caffé, nei ristoranti, nel settore della meccanica automobilistica, nell’abbigliamento, nelle agenzie di viaggi, nei saloni da parrucchiere, presso i privati cittadini (colf e badanti) e nella prostituzione.

L’operazione di regolarizzazione dei sans-papiers decisa nel 1999 (la seconda, dopo quella del 1974 realizzata in coincidenza con il blocco dell’immigrazione) è giunta a conclusione soltanto nel gennaio 2002 ed ha riguardato un totale di circa 50 mila persone, delle quali quasi l’85% è stato effettivamente regolarizzato. Tuttavia, permanendo il blocco dell’immigrazione legale, la questione dei sans-papiers rimane sempre la forma prevalente in cui attualmente avviene l’immigrazione extra-UE. Negli ultimi anni la proporzione di popolazione di origine straniera si è stabilizzata intorno al 9%, ma la maggioranza di questa popolazione di origine straniera è cittadina di paesi dell’UE (soprattutto Italia, Francia, Olanda e Spagna) o di altri paesi occidentali sviluppati. Anche il lavoro frontaliero è importante in Belgio: nel 2000, circa 20 mila lavoratori francesi e 6 mila olandesi frontalieri erano occupati in Belgio. Gli immigrati extra-UE sono una

61 Si vedano Alaluf M. (2003); D’Addio A. e Nicaise I. (2003); Kagnè B. e Martiniello M. (2003); Carlier

J.Y. (2001). 62 Alaluf M. (2003), p. 293.

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minoranza, anche se la loro concentrazione nei grandi centri urbani li rende particolar-mente visibili63. I marocchini con l’1,2% dell’intera popolazione del Belgio, e i turchi con lo 0,7% (nel 1999) rappresentano le principali comunità extra-UE. La forza lavoro straniera era composta da circa 362 mila unità nel 1995 e 386 mila nel 1999, costituendo così rispettivamente il 7,9% e l’8,4% del totale della popolazione attiva.

Nel marzo 2000, il governo ha adottato un piano d’azione per combattere tutte le forme di discriminazione e per ampliare le responsabilità del Centro per le pari oppor-tunità e l’opposizione al razzismo. Nel 2003 è stata introdotta una nuova normativa basata sul principio che “tutti gli uomini sono stati creati uguali” e che pertanto punisce gli atti motivati dal razzismo o xenofobia, con l’obiettivo di portare la normativa in linea con l’articolo 13 del Trattato di Amsterdam e le direttive europee contro la discriminazione.

È interessante notare che dal momento che l’immigrazione richiede molteplici azioni, un certo numero di stakeholders sono coinvolti in Belgio. La politica di ammissione è di competenza del Ministero degli interni; l’integrazione sociale e l’alloggio (o prima accoglienza) dei richiedenti asilo è responsabilità del Ministero dell’integrazione sociale; la politica del lavoro è una competenza del Ministero federale del lavoro; l’implemen-tazione della politica del lavoro è una responsabilità dei governi regionali; l’integrazione è una competenza delle municipalità. Inoltre, esistono altri strumenti ed organizzazioni, uno di questi è la Conferenza interministeriale per la politica immigratoria, presieduta dal primo ministro, la cui segreteria è il Centro per le pari opportunità e l’opposizione al razzismo. Il suo compito principale è quello di promuovere la cooperazione tra i differenti livelli di governo in modo da rendere coerenti le politiche.

Numerose sono le Ong attive nel fornire assistenza ai richiedenti asilo, ai rifugiati e ai sans-papiers. I partners sociali sono coinvolti nel dibattito sull’immigrazione. I datori di lavoro partecipano principalmente per fare presente quelli che sono i loro fabbisogni di forza lavoro, mentre i sindacati forniscono alcuni servizi alla popolazione immigrata.

La regione delle Fiandre dispone dal 1996 di un piano strategico di politica per gli immigrati e i rifugiati (Inburgeringsheleid) che ha l’obiettivo di “trasformare in cittadini i nuovi venuti” e che si basa su tre grandi assi64: • una politica che facilita l’accesso degli immigrati alle strutture locali generiche; • una politica d’accoglienza degli stranieri da poco arrivati; • delle azioni di promozione e d’acquisizione della lingua, di formazione e d’infor-

mazione per facilitare l’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro. Fra queste azioni, figurano in particolare gli aiuti ai disoccupati di lunga durata, una carta

63 Nel 2001, circa il 28% degli stranieri vivevano nella regione di Bruxelles (capitale del paese e sede delle

istituzioni europee), con una maggiore concentrazione in certi distretti delle municipalità più svantaggiate. Gli stranieri costituiscono solamente il 5% della popolazione complessiva della regione delle Fiandre e meno del 10% di quella della regione della Wallonia, la regione che ha la più antica tradizione di immigrazione nel paese. Inoltre, la popolazione straniera nelle Fiandre è particolarmente concentrata nelle province di Limburg e Anversa, mentre la popolazione straniera della Wallonia è particolarmente concentrata nelle vecchie province industriali di Liegi e Hainaut.

64 Craig S. (2001).

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dei diritti dei lavoratori che li garantisce contro tutte le forme di discriminazione, la soppressione della condizione di nazionalità nello statuto della funzione pubblica fiamminga e, infine, delle misure specifiche d’assistenza ai lavoratori autonomi stranieri o di origine straniera.

Nel maggio 2002, le Fiandre hanno adottato un decreto che promuove la parteci-pazione proporzionale al mercato del lavoro della popolazione non autoctona (persone di origine straniera, rifugiati e nomadi). In particolare, questo decreto prevede la definizione di piani d’azione pluriennali di affirmative action nelle aziende (invece che imporre il sistema delle quote) per assicurare una migliore integrazione di questi gruppi nel mercato del lavoro.

Nella regione di Bruxelles, la politica contro la discriminazione nelle assunzioni è stata definita all’interno del Patto territoriale per l’occupazione e prevede la realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione mirate agli attori del mercato del lavoro. Il 1° giugno 2001, dopo un lungo dibattito, anche il Consiglio regionale di Bruxelles ha adottato una raccomandazione contro la discriminazione nell’assunzione di persone di origine straniera.

In Wallonia, il Forem (Pes) ha la principale responsabilità nella lotta contro la discriminazione e ha sviluppato una serie di iniziative per consentire alle persone di nazionalità od origine straniera di trovare un lavoro, tra queste: l’identificazione di nicchie occupazionali, la creazione di strumenti metodologici per gli intermediari del mercato del lavoro e lo sviluppo di buone pratiche.

Alcune iniziative congiunte sono state attivate dai Centri regionali per l’integrazione per Bruxelles e la Wallonia. Legalmente, essi hanno la forma di organizzazioni non-profit e sono coordinate all’interno di una federazione denominata Fecri (Fédération des Centres Régionaux d’Intégration), che tenta di coordinare le azioni dei centri.

Oltre a queste iniziative, è stata creata una nuova organizzazione nel 2002 (un’organizzazione non-profit denominata Carrefour Interculturel Wallon) da parte del Ministro dell’integrazione sociale della Wallonia.

1.4.3 Danimarca

Gli immigrati extra-UE incontrano delle difficoltà particolarmente severe nell’accedere al, e rimanere nel, mercato del lavoro65. La difficile situazione occupa-zionale degli immigrati si evince chiaramente nei tassi di partecipazione e occupazione degli immigrati, comparati con quelli delle persone di origine danese. Mentre i tassi di partecipazione per le persone di origine danese sono vicini all’80%, quelli degli immigrati extra-UE sono circa al 50%. Una differenza simile si ha nei tassi di occupazione e disoccupazione66. Una ampia quota di immigrati extra-UE svolge un’attività autonoma (il

65 Si vedano Madsen P.K. (2004 e 2003) e Pedersen P.J. (2002). 66 Ci sono notevoli differenze nei tassi di partecipazione e occupazione fra i diversi gruppi di immigrati

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12% rispetto al 7% degli autoctoni), soprattutto nei settori della ristorazione, dei supermercati, della piccola distribuzione alimentare e del trasporto (autisti di taxi). Tra i lavoratori salariati, c’è una evidente tendenza per cui i lavoratori extra-UE occupano le posizioni più basse nella gerarchia lavorativa. Solo il 14% è inquadrato in uno dei tre livelli più elevati, rispetto al 33% dei lavoratori dipendenti autoctoni. Analizzando il background educativo degli immigrati e degli autoctoni, si ha che gli immigrati extra-UE generalmente hanno un livello di istruzione più basso. Solo il 10-11% di questi immigrati ha ricevuto un qualche tipo di formazione professionale in Danimarca. Per quanto riguarda la “seconda generazione”, la quota è del 40-45%, mentre per gli autoctoni è superiore al 60%. Numerosi studi hanno evidenziato che avere un qualche tipo di formazione professionale danese è cruciale per la posizione degli immigrati nel mercato del lavoro, mentre non sembra che ci sia un effetto positivo nel possesso di un’istruzione acquisita nel paese d’origine. Altri studi hanno sottolineato che anche altri fattori qualitativi, come le competenze linguistiche, la condizione di salute e le reti sociali con i danesi autoctoni, possono influire in modo significativo nel consentire agli immigrati di accedere al, e rimanere nel, mercato del lavoro.

Questa situazione ha fatto diventare una priorità nell’agenda politica danese le misure contro la discriminazione e per la gestione della diversità e per l’integrazione delle persone appartenenti alle minoranze etniche (definite come immigrati o discendenti di immigrati non originari dai paesi nordici o dall’Europa del Nord). La questione ha giocato un ruolo chiave nel corso delle elezioni politiche generali del 2001 e il nuovo governo ha immediatamente creato un nuovo Ministero per i rifugiati, l’immigrazione e l’integrazione (www.inm.dk).

Per gli immigrati e i membri delle minoranze etniche gli sviluppi politici recenti hanno enfatizzato l’importanza di connettere i processi complessivi di integrazione al mercato del lavoro. Gli immigrati e i membri delle minoranze etniche hanno accesso agli stessi programmi e strumenti di politica del mercato del lavoro utilizzabili dal resto della popolazione. Per i disoccupati che sono membri di un fondo assicurativo contro la disoc-cupazione, questo implica il diritto ai sussidi di disoccupazione e alla partecipazione ai programmi di politica attiva del lavoro previsti dalla legge. I disoccupati privi di assicu-razione sono sotto la responsabilità delle municipalità e possono anche prendere parte a diversi programmi di attivazione. Recentemente è stato attivato il cosiddetto “icebraker scheme for ethnic minorities”, un programma che prevede uno speciale sussidio al salario per le persone che fanno parte delle minoranze etniche. La persona deve possedere un

extra-UE. Ad esempio, gli immigrati dall’Iran, dalla ex Jugoslavia e dalla Turchia hanno tassi di occupazione che superano il 50%, mentre gli immigrati dall’Iraq e dalla Somalia hanno tassi di partecipazione rispettivamente del 22% e del 16%. Inoltre, i tassi di partecipazione e di occupazione dipendono fortemente dalla durata della permanenza in Danimarca. Ad esempio, il tasso di occupazione per gli immigrati extra-UE che sono in Danimarca da più di 10 anni è del 56%, mentre è del 20% per gli immigrati arrivati da meno di due anni e del 36% per gli immigrati che sono in Danimarca da tre a cinque anni. I tassi di occupazione e partecipazione per le donne sono più bassi di quelli degli uomini per tutti i gruppi di popolazione.

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livello minimo di formazione professionale e deve essere disoccupata da almeno due mesi nel corso degli ultimi otto mesi. Per un periodo di sei mesi (o in casi particolari nove mesi) riceve un sussidio (massimo 1.480 euro mensili) che viene calcolato al 50% del salario lordo. Sussidi possono essere erogati anche ai datori di lavoro, ma soltanto per un singolo lavoratore alla volta. Una prima valutazione complessiva del programma “icebraker” è stata condotta nel 2001 ed è emerso che il 71% dei partecipanti continua-vano nell’occupazione dopo la fine del programma. Circa due terzi dei partecipanti hanno dichiarato di aver tratto beneficio dall’esperienza fatta nel corso della partecipazione al programma.

Una grande enfasi è posta anche sulla cooperazione con i partners sociali all’interno del processo di integrazione. Nel maggio 2002 è stato raggiunto un accordo generale tra il governo, i partners sociali e le municipalità riguardo alle loro responsabilità condivise per favorire l’integrazione degli immigrati. L’accordo è incentrato su un percorso di transizione progressiva che parte da misure preliminari (formazione professionale di base, etc.) per arrivare all’apprendistato, alla formazione sul posto di lavoro e al lavoro ordinario. I partners sociali si sono impegnati ad inserire nella contrattazione generale delle opzioni per delle condizioni speciali di lavoro e remunerazione che siano compa-tibili con questo modello che è pensato per consentire l’ingresso nel mercato del lavoro.

In cooperazione con il Ministero per i rifugiati, l’immigrazione e l’integrazione, il Consiglio nazionale per il mercato del lavoro ha creato un sito internet (www.jobintegration.dk) che ha l’obiettivo di informare i datori di lavoro sulle possibilità di dare lavoro a persone appartenenti alle minoranze etniche. Il sito fornisce una guida sul reclutamento di minoranze etniche, sul come migliorare i rapporti tra dipendenti danesi e stranieri e sul come formulare una strategia delle risorse umane che includa le minoranze etniche.

La legge sull’integrazione è entrata in vigore il 1° gennaio 1999 e ha trasferito alle municipalità la responsabilità principale dell’integrazione degli stranieri. A partire dal 2001, gli immigrati e i rifugiati devono seguire un “programma di iniziazione” che è individualizzato (concordato e stipulato come un vero e proprio contratto tra l’immigrato e la municipalità che stabilisce i diritti e i doveri di ciascuna controparte) e della durata massima di tre anni. Questo programma è gestito dalle municipalità e prevede corsi di familiarizzazione alla società danese, corsi di lingua danese e tutti gli altri passi da fare per arrivare ad un’occupazione ordinaria. Il contenuto dei corsi viene deciso nel corso dei contatti iniziali tra il singolo immigrato e le autorità municipali. Durante la partecipazione al “programma di iniziazione”, l’immigrato può ricevere un sussidio (il cui ammontare via via si riduce), ma deve partecipare al corso e alle altre attività previste. Recentemente, sono stati creati anche dei “consigli per l’integrazione” (composti da rifugiati e rappresentanti delle associazioni degli immigrati) nelle municipalità per valutare gli sforzi che vengono fatti per facilitare l’integrazione.

La legge sull’integrazione è stata emendata nel 2002 attraverso due misure: “Una nuova politica per gli stranieri (gennaio 2002) e “Verso una nuova politica di

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integrazione” (marzo 2002). I cambiamenti mirano a ridurre il tempo richiesto dalle municipalità per concedere alloggio ai rifugiati e ai nuovi immigrati, consentendo alle municipalità di implementare programmi accelerati per stranieri con alte qualificazioni professionali, e promuovendo l’accesso dei figli dei rifugiati alle scuole danesi. I cambiamenti prevedono anche una riduzione dell’assistenza erogata (start-help) ai nuovi immigrati in modo da incoraggiarli a cercare un lavoro in tempi più rapidi. I disoccupati appartenenti alle minoranze etniche sono spesso uno dei gruppi target per i programmi di attivazione e i programmi vengono adattati per soddisfare i bisogni di questo gruppo di disoccupati.

Rifugiati ed immigrati possiedono molte competenze rilevanti sul piano lavorativo e la politica di integrazione del futuro sarà sempre più focalizzata sulle competenze e le risorse da loro possedute che sono rilevanti ai fabbisogni correnti di forza lavoro. Perciò, il 1° agosto 2004 il governo ha deciso di creare cinque nuovi Centri regionali per la conoscenza dei rifugiati e degli immigrati con il compito di assicurare una valutazione più professionale delle loro competenze e conoscenze. Questi centri non si devono assumere la responsabilità per i tentativi di integrazione realizzati dalle municipalità e dall’AF (Pes), ma devono invece affiancare e contribuire a migliorare i programmi già in atto. La principale funzione dei centri è quella di uffici di supporto per le municipalità e l’AF, e di punti di contatto per gli operatori e le istituzioni educative coinvolte nel processo di valutazione. I metodi per valutare le competenze dei rifugiati e degli immigrati variano grandemente a seconda del gruppo target preso in esame, pertanto i centri funzioneranno principalmente come banche informative per le municipalità e l’AF in relazione al bilancio di competenze della popolazione immigrata. Tra le altre cose, essi hanno il compito di contribuire a realizzare i seguenti obiettivi: • un migliore e più professionale bilancio delle competenze, che possa consentire a

rifugiati ed immigrati di passare dal mantenimento passivo attraverso i sussidi sociali al lavoro ordinario (ogni immigrato che riceve dei sussidi sociali dovrà avere un certificato delle competenze che descrive con precisione le sue competenze rilevanti in campo lavorativo);

• un miglioramento nella qualità delle attività di assistenza e supporto portate avanti dalle municipalità e dall’AF per cercare le giuste opportunità lavorative per i rifugiati e gli immigrati, così che si possa fornire loro un’opzione adeguata il prima possibile;

• miglioramenti nelle attività di bilancio delle competenze realizzate dalle istituzioni educative.

1.4.4 Finlandia

La legge sull’integrazione degli immigrati e sull’accoglienza dei richiedenti asilo (493/1999) prevede che le municipalità, in cooperazione con altri enti (autorità locali, Ong, comunità religiose, sindacati, …), mettano in piedi dei programmi di integrazione

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con l’obiettivo di promuovere le pari opportunità degli immigrati che vivono in Finlandia67. L’implementazione di piani individuali di integrazione per gli immigrati è iniziata nel 1999. Tali piani (di durata massima triennale) aiutano gli immigrati a rafforzare le loro competenze linguistiche (in finlandese e svedese), professionali e lavo-rative. È previsto anche un sussidio in caso di bisogno. In cambio, gli immigrati hanno l’obbligo di avere un ruolo attivo nella ricerca di un lavoro e nella formazione. Dal 2000 sono stati realizzati circa 11 mila piani di integrazione all’anno, 60% dei quali erano per donne. Dal marzo 2000, emendamenti alla legge prevedono che le municipalità includano nei loro programmi delle misure per migliorare l’uguaglianza etnica e promuovano buone relazioni interetniche.

Alla fine del 2001, il tasso di disoccupazione tra gli immigrati era circa il 33% – tre volte più elevato del tasso complessivo di disoccupazione. Governo e parlamento hanno approvato una legge sull’uguaglianza basata sulle direttive europee contro il razzismo e la discriminazione sul posto di lavoro. Nel 2003 è stato lanciato un programma finanziato con il Fse e finalizzato a promuovere il multiculturalismo nei luoghi di lavoro. Un ruolo importante è giocato dai Servizi pubblici per l’impiego che hanno la responsabilità della promozione dello sviluppo dell’occupazione e dell’integrazione degli immigrati, appron-tando diverse misure di policy: job creation, training, collocamento, servizi di informa-zione, orientamento all’occupazione, promozione dell’uguaglianza etnica (prevenzione della discriminazione e del razzismo). Le riforme delle politiche in materia di occupa-zione e di immigrazioni sono state pressoché simultanee. La riforma delle politiche del lavoro è del 1998, ma è entrata pienamente in vigore nel 1999, e l’obiettivo centrale è quello di rafforzare la ricerca attiva di lavoro da parte di coloro che sono disoccupati, potenziando i servizi di orientamento e la formazione mirata al lavoro. Tra le misure di politica attiva che sono state potenziate negli ultimi anni ci sono l’occupazione sussidiata, la formazione professionale, gli start-up grants per attività di lavoro autonomo, la formazione pratica e il coaching per la vita lavorativa sul posto di lavoro.

La riforma ha spostato l’enfasi della politica del mercato del lavoro verso servizi che supportano le attività di ricerca dl lavoro, mentre sono stati ridotti i programmi per l’occupazione sussidiata e la formazione professionale. La formazione viene erogata in modo flessibile, su misura rispetto ai fabbisogni delle persone, con una durata che può andare da pochi giorni ad oltre un anno. La formazione professionale iniziale può essere erogata se l’immigrato è privo di competenze professionali. Training addizionale ha l’obiettivo di ampliare il campo delle sue competenze. Nel caso in cui si cambia lavoro vengono offerte delle attività formative. La formazione professionale viene erogata da enti di formazione e istituzioni educative, ma viene pagata dal servizio pubblico.

A partire dal 1996 il governo ha anche introdotto tre piani d’azione (1996, 1998 e 2001) per la lotta contro l’economia sommersa (che è comunque tra le più contenute in Europa) e i crimini di tipo economico, rafforzando sia le misure di sorveglianza e le

67 Si veda Lilja R. (2003) e Forsander A. (2002).

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sanzioni che le campagne di informazione e ricerca da realizzare con la collaborazione di enti locali, altre istituzioni (polizia, magistratura, autorità doganali, ecc.) e i partners sociali 68 . Secondo la normativa finlandese, l’impiego di lavoro non dichiarato nelle imprese ha le caratteristiche di un crimine economico, anche se il lavoro come tale è legale. Nel dibattito pubblico una questione su cui c’è una grande attenzione riguarda il lavoro illegale, in particolare riferito ai lavoratori stranieri illegali. Agli inizi del 2004, in risposta a questa preoccupazione, è stato istituito un nuovo ente presso l’ufficio nazionale di investigazione (Krp), con il compito di controllare l’utilizzazione di lavoro straniero illegale. I settori principali dove c’è una presenza di lavoro non dichiarato sono l’edilizia, la ristorazione, l’alberghiero, il trasporto, l’industria navale, le pulizie e il lavoro dome-stico. Il sindacato finlandese degli edili stima che solo la metà dei 9-10 mila lavoratori stranieri impegnati nell’industria delle costruzioni lavora legalmente. Anche nel settore della ristorazione, con la diffusione dei ristoranti etnici, è in crescita il lavoro non dichiarato o illegale degli stranieri. La quota di lavoratori e subfornitori stranieri è in crescita soprattutto nell’industria navale e nel settore delle pulizie. I sindacati finlandesi hanno richiesto maggiori controlli sulle agenzie straniere di lavoro temporaneo che operano nel mercato del lavoro locale (si sospetta che possano offrire lavoro straniero sottopagato alle imprese). Per combattere l’impiego di lavoratori stranieri non dichiarati o illegali, il governo ha rafforzato le campagne di informazione mirate ai lavoratori stranieri e il monitoraggio delle condizioni di lavoro dei lavoratori stranieri.

1.4.5 Francia

La Francia ha finora perseguito una politica di integrazione degli immigrati incentrata in particolare sul principio di base di dare la possibilità agli stranieri di acquisire la nazionalità francese e i requisiti e i principi che questo comporta. Per questo, le politiche governative adottate per combattere la disoccupazione e promuovere l’integrazione professionale non sono specificamente mirate agli immigrati. “Nonostante l’istituzione da parte del governo del Fonds d’action et de soutien pour l’intégration et la lutte contre les discriminations (Fasild) negli anni ‘60 sotto la supervisione del Ministero degli affari sociali, lavoro e solidarietà, che è responsabile per la promozione dell’integrazione socia-le e familiare e che, di fronte alle difficoltà incontrate dagli immigrati nel mercato del lavoro, ha progressivamente esteso la sua sfera d’azione per includere, la formazione professionale, l’alfabetizzazione e i servizi di assistenza al lavoro, è stato principalmente attraverso le politiche per le persone in difficoltà che si è cominciato a tenere conto della situazione della popolazione immigrata”69.

Dopo la creazione nel 1999 dell’associazione Groupe détude et de lutte contre les discriminations (Geld) e delle Commissions départementales d’accés à la Citoyenneté

68 Lilja R. (2004). 69 Gineste S. e Studer A. (2003), p. 57.

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(Codac), è stata istituto un numero telefonico gratuito (114) nel 2000, e la legislazione antidiscriminazione (con particolare riguardo a lavoro e alloggio sociale) è stata rafforzata con la legge del 16 novembre 2001. I Codac sono stati istituiti dal Ministero degli interni in tutti i dipartimenti francesi a partire dal 1999 per combattere i problemi posti dall’esclusione di determinate popolazioni. Sotto la diretta responsabilità del capo si ciascun dipartimento, queste commissioni sono formate da rappresentanti di tutti i servizi governativi decentrati (incluse le forze di polizia, i servizi per l’impiego locali e le organizzazioni per l’alloggio sociale), le autorità locali, i sindacati e le associazioni locali (incluse le associazioni antirazziste). Il principale obiettivo è quello di aiutare i giovani delle famiglie immigrate a trovare la propria strada, trovare un lavoro, migliorare le loro relazioni con le autorità amministrative e i datori di lavoro, e acquisire un più facile accesso all’alloggio sociale e alle attività del tempo libero. I Codac hanno anche i seguenti compiti: • sensibilizzare i datori di lavoro, le agenzie per il lavoro e l’opinione pubblica; • valutare l’estensione delle pratiche discriminatorie che esistono nelle diverse aree; • disseminare informazione sui canali pubblici dove trovare opportunità di lavoro e

formazione professionale; • mettere in luce le difficoltà che influenzano il collocamento lavorativo di giovani di

famiglie immigrate; • formulare proposte.

In Francia, una nuova legge approvata nel dicembre 2002 raccomanda lo studio intensivo della lingua francese per i nuovi arrivati. Nell’aprile 2003, il governo ha presentato un programma per l’integrazione dei nuovi immigrati che prevede 59 misure. Questo programma prevede l’implementazione un contratto di integrazione che include da 200 a 300 ore sia di formazione linguistica che di educazione civica. Questo contratto è stato sperimentato in una dozzina di départements tra luglio e dicembre 2003. Inizialmente facoltativo, il contratto di integrazione è divenuto obbligatorio dal 2004 per coloro che desiderano ricevere il permesso di residenza. Un secondo aspetto di questo programma mira a migliorare la mobilità sociale e di carriera degli stranieri e dei giovani con un background di immigrazione. Un terzo aspetto consiste in una iniziativa che mira ad assicurare “uguale trattamento” e a combattere la discriminazione, in particolare, intensificando le campagne di prevenzione nelle scuole.

Quanto alla condizione degli immigrati nel mercato del lavoro, un rapporto del Commissariat Général du Plan (2002), significativamente intitolato “Immigration, marché du travail, intégration”, ha posto in evidenza posizioni ancora molto lontane da quelle occupate dai lavoratori autoctoni: gli immigrati hanno una probabilità tripla di essere inquadrati su livelli che prevedono il minimo salariale e rappresentano quasi la metà del complesso dei lavoratori manuali70. La situazione degli immigrati nel mercato

70 Versari S. (2003).

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del lavoro è caratterizzata da una grande precarietà occupazionale71: gli immigrati, e le donne in particolare, hanno un’occupazione precaria un po’ più spesso dei lavoratori nel loro complesso (il 15%, contro il 9% di tutti i lavoratori). Sebbene la situazione dei giovani immigrati (età 20-29) non differisce grandemente da quella degli occupati dello stesso gruppo di età nel loro complesso, con un quarto di essi impegnati in lavori temporanei, la posizione degli immigrati extra-UE è preoccupante, dal momento che un numero proporzionalmente maggiore di essi rispetto agli altri sono nel lavoro tempo-raneo. Ciò è particolarmente vero per gli uomini giovani. Inoltre, i lavoratori immigrati sono più spesso occupati in forme part-time, particolarmente le donne (37% contro il 31% nella popolazione femminile nel suo complesso nel 1999), e il loro impiego è più spesso di più breve durata di quello di altre donne. Inoltre, gli immigrati extra-UE disoccupati sono sovra-rappresentati tra coloro che cercano lavoro (il 12%, sebbene essi rappre-sentino solo il 5,5% della popolazione attiva). Il livello del loro training iniziale, che è molto basso, può in parte spiegare la situazione, ma la formazione fornisce loro una scarsa protezione dalla disoccupazione: il tasso di disoccupazione per gli immigrati che hanno un titolo di studio di scuola superiore è due volte più alto rispetto all’intera popola-zione attiva con lo stesso livello educativo.

Lavoratori stranieri sono occupati illegalmente soprattutto nei servizi, nell’edilizia, nel commercio, nella ristorazione e nell’alberghiero72. In agricoltura è frequente il lavoro semi-legale (parzialmente dichiarato) che coinvolge soprattutto immigrati extra-UE privi di permesso di lavoro o che sono entrati con permessi stagionali ormai scaduti. Le attività stagionali dell’arboricoltura, della coltivazione della vite, dell’orticoltura per il mercato, dell’allevamento delle ostriche, della forestazione e, in misura minore, della manuten-zione di parchi e giardini e del turismo rurale, sono quelle maggiormente interessate da queste nuove pratiche illecite. Ad ogni modo, negli ultimi anni è in crescita un nuovo fenomeno che vede il ricorso ad imprese di servizio e manutenzione (francesi o straniere), soprattutto nei settori dell’alberghiero e della ristorazione, il cui sistema di attività tende ad includere l’assunzione illecita di forza lavoro.

In Francia il tasso di lavoro autonomo si aggira sul 13% (largamente inferiore a quello spagnolo e soprattutto italiano). La modernizzazione del sistema economico guidata da uno stato tradizionalmente interventista ha prodotto estese nazionalizzazioni delle attività economiche e uno sviluppo di servizi moderni, per esempio nell’ambito della distribu-zione commerciale, che ha penalizzato il lavoro autonomo e le piccole imprese.

Le visioni politiche oggi più favorevoli a questi soggetti economici, la maggiore flessibilità della regolazione e la stessa domanda di servizi di una metropoli come Parigi hanno generato, sul piano generale, le condizioni più favorevoli allo sviluppo di attività indipendenti, e anche (tra strategia di sopravvivenza e speranze di promozione) di imprenditoria immigrata: oggi, più del 10% degli occupati di nazionalità straniera sono

71 Gineste S. (2004a), Gineste S. e Studer A. (2003). 72 Gineste S. (2004b).

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autonomi. Inoltre, il governo ha autorizzato l’ingresso di immigrati qualificati, su domanda delle imprese (passati da 7.500 nel 2000 a 9.600 nel 2001). Parigi conosce ormai da anni lo sviluppo di quartieri “etnici”, di offerte commerciali all’insegna della diversità e dell’esotismo che arricchiscono la sua immagine cosmopolita, di attività manifatturiere, per esempio nel settore delle confezioni, promosse da immigrati stranieri73.

1.4.6 Germania

Seguendo l’esempio olandese, la Germania ha posto l’integrazione sociale al centro della nuova legge sull’immigrazione74. Dal 1° gennaio 1988 sono previsti corsi di lingua e programmi di integrazione per gli immigrati di etnia tedesca (Aussiedler) provenienti dall’Europa centrale, dalla Russia e dall’Asia centrale e per i loro familiari non tedeschi. La frequenza dei corsi è ormai diventata obbligatoria anche per i cittadini dei paesi terzi in arrivo in Germania. I programmi prevedono sia l’insegnamento della lingua che corsi di orientamento culturale (di introduzione al sistema giuridico e sociale tedesco e alla cultura e storia tedesca). I costi sono sostenuti in gran parte mediante fondi del governo federale e per coloro che li frequentano full-time è previsto un sussidio. Nel 2002, circa 53 mila persone hanno frequentato questi corsi e circa 18 mila hanno ricevuto un sussidio di partecipazione.

Pur cercando di limitare il numero dei nuovi immigrati extra-UE, il governo federale, in cooperazione con l’amministrazione dei Lander e dei comuni, porta avanti una politica attiva per l’integrazione degli stranieri e delle loro famiglie insediate da lungo tempo sul territorio. Sovvenziona dei corsi di tedesco rivolti agli immigrati e alle loro famiglie, dei programmi volti ad agevolare l’inserimento delle giovani generazioni di immigrati nel mercato del lavoro e a migliorare le loro conoscenze tecniche e linguistiche, incoraggia lo sviluppo della formazione continua e dei programmi di riconversione in seno o fuori dell’impresa, organizza attività per promuovere una conoscenza reciproca tra le culture nell’ambito della lotta contro il razzismo.

Negli ultimi 15 anni la posizione sul mercato del lavoro tedesco degli immigrati, ed in particolare degli immigrati extra-UE, è diventata sempre più difficile a seguito dei cambiamenti strutturali dell’economia tedesca. Si è ridotto il loro tasso di occupazione ed è aumentato il tasso di disoccupazione. Nel 2002, il tasso di disoccupazione fra i cittadini stranieri era del 17,8%. Ma, la disoccupazione non colpisce tutti gli stranieri con la stessa durezza. Nel gennaio del 2003, il tasso di disoccupazione degli immigrati turchi era 73 Particolarmente note sono le attività degli asiatici localizzate nel quartiere del Sentier, una caratteristica

zona del centro urbano: qui gli operatori immigrati, collegati in una rete di fornitori e sub-fornitori, lavoranti a domicilio, grandi utilizzatori di lavoro co-etnico o di altre componenti migratorie più deboli, capaci di sviluppare un’attività molto flessibile e con costi bassi, grazie anche alla diffusa informalità e all’inevitabile sfruttamento, non di rado vengono addirittura considerati un modello di nuova imprenditorialità, cfr. Morokvasic M. (1993).

74 Bade K. et al. (2004).

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25,9%, seguiti dagli italiani (20,4%), dai greci (18,6%), dagli immigrati dall’ex Jugoslavia (17,6%) e dagli spagnoli (14%). Il tasso di disoccupazione complessivo per gli immigrati extra-UE era 26,6%. Particolarmente rilevante era la differenza tra il tasso di disoccupazione dei giovani tedeschi (7,8%) e quello dei giovani immigrati extra-UE (18,1%).

I lavoratori immigrati vengono assunti principalmente per eseguire lavori semplici nel settore industriale, e questi posti di lavoro sono stati tra quelli maggiormente tagliati a seguito dei processi di ristrutturazione. I lavoratori immigrati hanno beneficiato solo molto parzialmente dall’espansione del settore dei servizi, perché anche qui essi vengono reclutati per svolgere i lavori più semplici e meno qualificati (ad esempio, i lavori di pulizia e di lavanderia). Le competenze professionali di lavoratori immigrati sono molto spesso deboli e questo, insieme ai pregiudizi, la discriminazione e le barriere culturali, rende anche molto difficile per coloro che perdono il lavoro trovarne uno nuovo, o per la giovane generazione di trovare lavoro. Non a caso, negli ultimi anni si è registrato un rapido aumento del numero di immigrati che ricevono una qualche forma di assistenza sociale. Tra il 1980 e il 2000, il numero di cittadini non autoctoni che ricevono assistenza sociale è aumentato da circa 70 mila a circa 600 mila (+742%), mentre il numero di tedeschi nella stessa situazione è cresciuto solo del 167%. La percentuale degli stranieri che ricevono assistenza sociale è aumentato dall’8,8% nel 1980 al 22,2% nel 2000.

L’ambito dei rapporti di lavoro costituisce un luogo cruciale ed emblematico dei processi di discriminazione, ed è anche quello su cui si sono concentrati i maggiori sforzi di contrasto e di sensibilizzazione. Il movimento sindacale tedesco è impegnato per la lotta a questo tipo di discriminazione e per l’introduzione della questione nella contrat-tazione con le organizzazioni imprenditoriali. La ricerca di Rathzel N. (1999) in Germania ha distinto in proposito quattro forme di discriminazione sui luoghi di lavoro: • discriminazione nella gerarchia occupazionale esistente: si riferisce al fatto che i

lavori meno attraenti, più pericolosi, più dannosi per la salute e peggio pagati sono attribuiti in larga misura a lavoratori di origine immigrata (specialmente a donne);

• discriminazione al di fuori della gerarchia occupazionale: si riferisce a pratiche applicate solo a lavoratori immigrati, tese a collocarli al di fuori della struttura organizzativa, come il ricorso a contratti a breve termine, o l’imposizione di obblighi extracontrattuali, come quello di pulire l’area di lavoro loro e dei colleghi;

• discriminazione attraverso il trattamento egualitario: si riferisce all’applicazione, for-malmente ineccepibile, di regole universalistiche a casi e situazioni che meriterebbero invece una maggiore flessibilità e considerazione delle diversità etnico-culturali: per esempio, è considerato normale che i lavoratori musulmani vengano assegnati ai turni di lavoro che cadono durante le festività natalizie, ma non che si venga loro incontro durante il periodo del Ramadan;

• discriminazione nelle relazioni di lavoro quotidiane: si riferisce non ai comportamenti aziendali, ma alle vessazioni informali e ricorrenti, inflitte dai compagni e dagli immediati superiori ai lavoratori immigrati, magari sotto forma di battuta scherzosa,

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con epiteti che richiamano la loro origine o l’aspetto fisico, oppure attraverso le contestazioni di errori, inefficienze, cattiva comprensione della lingua: tutti episodi in sé non gravi, ma che, ripetendosi, rendono sgradevole l’ambiente di lavoro.

Sulla base delle evidenze della ricerca, Rathzel critica i sindacati tedeschi perché il loro impegno si è concentrato nel prendere le distanze dalle forme violente di razzismo, attribuite alle minoranze di estrema destra, ma non sulle forme quotidiane di discrimi-nazione, né sulla posizione svantaggiata degli immigrati nel mercato del lavoro. I sindacati, per difendere gli immigrati dall’accusa di sottrarre posti di lavoro ai tedeschi, sottolineano costantemente il fatto che si tratta di posti che i tedeschi rifiutano. Questo argomento antirazzista dipende, quindi, dalia posizione svantaggiata degli immigrati nel mercato del lavoro. I sindacati cadrebbero in contraddizione se lanciassero delle campa-gne contro simili svantaggi.

A Berlino, così come in altre grandi città tedesche, la concentrazione urbana dell’immigrazione in determinati quartieri (soprattutto nelle zone centrali della parte occidentale) raggiunge proporzioni considerevoli: nei sei quartieri più interessati, la quota dei residenti stranieri varia dal 33% al 19%. Negli ultimi anni c’è stata una crescita dell’immigrazione irregolare (stimata tra le 40 mila e le 100 mila unità), nonché dell’economia informale. Settori come le costruzioni, l’industria alberghiera, la ristora-zione, i servizi domestici sono ritenuti i principali responsabili della situazione. Il governo locale, di concerto con le associazioni che rappresentano le comunità immigrate, si sforza di contrastare le tendenze alla discriminazione e all’esclusione degli stranieri. Tra le principali novità, si segnale lo sviluppo di attività indipendenti. Le ultime stime disponibili (1999) contano circa 15 mila imprese gestite da persone di nazionalità straniera con 40 mila occupati e la tendenza al lavoro autonomo è molto pronunciata tra gli stranieri rispetto ai tedeschi, anche se non raggiunge il 10%.

1.4.7 Gran Bretagna

Due sono gli elementi che caratterizzano le misure politiche di integrazione degli immigrati presenti in Gran Bretagna75. In primo luogo, vi è il predominio del “paradigma delle relazioni razziali”, cioè il prevalere di un sistema binario di appartenenza neri-bianchi, pur se più del 60% degli immigrati recenti viene ora classificato come “minoranze non visibili”, e malgrado la complessa composizione etnica e nazionale sia della popolazione autoctona che di quella immigrata. Il censimento nazionale, la Labour Force Survey e altre rilevazioni statistiche condotte su vasta scala, raccolgono dati sulle “minoranze etniche” usando categorie basate sulla differenziazione tra immigrati bianchi e immigrati neri del periodo post-coloniale (nel 2001 è stata introdotta anche la categoria di razza mista).

75 Si veda Erel U. e Jefferys S. (2003).

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Il secondo elemento, è il fatto che, rispetto ad altri paesi europei, la Gran Bretagna ha avuto una importante storia di movimenti sociali e di lotte per i diritti civili e contro il razzismo, che si spiega con il fatto che la maggior parte degli immigrati del periodo post-coloniale provenienti dall’Africa, dai Caraibi e dall’Asia possiedono la cittadinanza del Regno Unito e, quindi, godono dei diritti politici e partecipano attivamente alla vita politica.

All’interno di questo quadro, una delle costanti delle politiche statali per l’integrazione è stata la lotta contro la discriminazione. Il Race Relations Act, approvato dal governo laburista nel 1976, sostituì ed estese il raggio d’azione delle due precedenti leggi (del 1965 e del 1968) contro la discriminazione nell’accesso all’occupazione, all’istruzione e formazione professionale, agli alloggi, ai beni di consumo, alle infrastrutture, ai servizi e alle concessioni edilizie. Questa legge ha dichiarato illegali le azioni volte a produrre discriminazione su base razziale (colore, “razza”, nazionalità od origine etnica), tuttavia vietando esplicitamente la “discriminazione positiva”, ossia la discriminazione a favore di un soggetto appartenente ad una minoranza etnica. La legge consentiva alle vittime della discriminazione di adire le vie legali e la maggior parte delle denunce riguardavano comportamenti discriminatori nell’accesso al lavoro76.

Il Race Relations Act ha istituito inoltre una Commission for Racial Equality (Cre) che ha sostituto diverse istituzioni precedenti ed è tecnicamente indipendente dal governo (benché sia stata costituita da esso e i suoi membri siano approvati dallo stesso). Il compito statutario della Commissione consiste in attività volte ad abolire le discri-minazioni razziali; promuovere le “pari opportunità” e le buone relazioni tra persone di origine razziale diversa; verificare la corretta applicazione della legge; e, infine, proporre raccomandazioni atte ad emendare la stessa. La Cre procede all’esecuzione delle leggi vigenti e può, come effettivamente fa, condurre indagini formali. Nel 2000 il Race Relations Act è stato emendato, rendendolo applicabile a praticamente tutti gli organi statali, mentre in precedenza esso non si applicava, ad esempio, alle forze di polizia. Inoltre, è stato introdotto l’obbligo positivo per le autorità pubbliche, tenute a promuovere le “pari opportunità” e le buone relazioni tra le razze. Le autorità pubbliche devono prendere in considerazione le implicazioni che le loro politiche in materia di occupazione e di servizi hanno sull’uguaglianza razziale. La Cre ha la facoltà di emettere codici di comportamento, come pure di fornire consulenza agli imprenditori, ai sindacati, ai lavoratori, ai servizi del personale e alle agenzie di collocamento.

La riforma ha avuto anche l’obiettivo di facilitare quelle azioni che consentono agli enti di formazione e alle imprese di adottare una serie di misure positive al fine di agevolare l’accesso ai corsi di formazione delle persone appartenenti ai gruppi razziali

76 La vittima poteva rivolgersi direttamente al tribunale competente, che esaminava il caso. Qualora tale

organo si fosse pronunciato in favore del ricorrente, poteva essere fatto obbligo alla controparte di versare un’indennità, o poteva essere raccomandato un particolare tipo di azione (ad esempio, la reintegrazione nel posto di lavoro o la promozione della parte lesa), al fine di eliminare gli effetti negativi dei comportamenti discriminatori.

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sotto-rappresentati in taluni settori d’attività per superare le condizioni sfavorevoli precedenti. I corsi di formazione possono focalizzarsi su un particolare gruppo etnico o razziale, ma le decisioni in materia di occupazione non possono essere prese sulla base del criterio della “discriminazione positiva”.

Dal momento che le autorità municipali sono tenute a svolgere le proprie funzioni nel pieno rispetto delle buone relazioni tra le razze, molte hanno perseguito una politica di contract compliance, ossia incoraggiano l’assegnazione di contratti alle aziende che applicano le norme minime previste in materia di impiego e di “pari opportunità”. Uno studio condotto dalle autorità di Londra ha messo in luce che prima dell’applicazione dei requisiti di contract compliance, solo il 18% degli imprenditori adottava politiche per le “pari opportunità”, mentre dopo l’introduzione di tale sistema, la percentuale è cresciuta al 75%77. La riforma del 2000 ha condotto ad una maggiore pressione sui datori di lavoro dei settori pubblico e privato affinché elaborassero e attuassero politiche di “pari opportunità” (da rivedere periodicamente), regolamentando i comportamenti discriminatori in tema di assunzioni, formazione e promozione del personale, e rendendo le relative procedure più eque per tutti. Tali politiche tendono ad essere maggiormente attuate dalle grandi imprese e nel settore pubblico. Un certo numero di autorità locali e alcune importanti imprese hanno anche perseguito obiettivi di uguaglianza nelle assunzioni, analizzando la composizione etnica del mercato del lavoro locale e attirando candidati appartenenti a popolazioni immigrate mediante annunci e pubblicità mirati (ma il criterio di selezione rimane, però, esclusivamente la loro idoneità al lavoro in questione, mentre è illegale fare menzione della razza).

In Gran Bretagna sono soprattutto i lavoratori appartenenti a popolazioni immigrate, in particolar modo gli immigrati di prima generazione iracheni o dello Zimbabwe, ma anche della seconda e terza generazione di lavoratori indiani, pakistani o neri dei Caraibi, ad aver subito discriminazioni nell’accesso al mercato del lavoro, sia in termini di salario che di prospettive di carriera78. Ne consegue che la disoccupazione maschile e femminile in seno alle minoranze etniche è più elevata rispetto a quella dei bianchi. Nel 2001-2002 tra gli uomini nativi del Bangladesh la percentuale di disoccupazione era quattro volte maggiore (20%) rispetto a quella degli uomini bianchi; per tutti gli altri gruppi, ad eccezione degli indiani di sesso maschile, la disoccupazione era di due o tre volte supe-riore. Tra i giovani sotto i 25 anni la discriminazione era maggiore rispetto a quella tra i lavoratori più anziani: la disoccupazione tra i giovani bianchi era pari al 25-31%, per superare il 40% tra i giovani nativi del Bangladesh. La disoccupazione femminile era, invece, complessivamente inferiore a quella degli uomini; per contro, la differenza tra la disoccupazione tra le donne bianche e quella tra le donne di colore era addirittura

77 Si veda Wrench J. (1996). 78 Una ricerca condotta su 250 lavoratori bianchi e 250 lavoratori appartenenti a popolazioni immigrate

rivela che la maggioranza di entrambi i gruppi era d’accordo nell’affermare che “gli imprenditori possono dire ciò che vogliono sulle pari opportunità, ma la verità è che se sei o appari diverso dalle aspettative, non ti offrono lavoro”; Commission for Racial Equality (2000).

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superiore a quella degli uomini79. Anche dopo che si è avuto accesso al mercato del lavoro, la discriminazione non scompare. Alcuni lavoratori appartenenti a minoranze etniche che hanno avuto problemi a trovare un primo lavoro, preferiscono non cambiarlo.

La ricerca condotta in Scozia dal Cre (2000) rivela che la probabilità che i lavoratori appartenenti a popolazioni immigrate cerchino un nuovo lavoro è quattro volte inferiore a quella dei lavoratori bianchi. Anche la garanzia di trovare un posto di lavoro varia in base alla razza. Le probabilità di trovare un impiego per gli immigrati bianchi rimane relativamente stabile durante il periodo di immigrazione e il periodo della successiva residenza, mentre gli immigrati appartenenti a popolazioni di colore hanno, inizialmente, minori probabilità di trovare un impiego. Solo dopo venti anni di residenza, la loro partecipazione al mercato del lavoro e le probabilità di trovare un impiego si avvicinano quelle dei bianchi nati in Gran Bretagna80. I lavoratori appartenenti alle popolazioni immigrate di “colore” incontrano maggiori difficoltà ad ottenere una promozione o, nel caso l’abbiano ottenuta, a conservare la nuova posizione o migliorarla; inoltre, sono vittime di una discriminazione diffusa in termini di salario.

1.4.8 Grecia

Nel 2001, in Grecia c’erano poco meno di 800 mila cittadini stranieri (circa il 7% della popolazione totale). Per quanto riguarda la cittadinanza, il quadro è dominato dall’Albania, dato che il 55,7% di tutti i non greci (60% dei maschi e 50% delle femmine) sono cittadini albanesi. Anche l’ex Unione Sovietica è uno dei maggiori paesi di origine (18,7%). Altri paesi di origine importanti sono la Bulgaria, la Romania, il Pakistan, la Polonia, l’India, l’Egitto e le Filippine. La popolazione immigrata è distribuita in tutto il paese, anche se c’è una maggiore presenza in alcune regioni: quasi la metà di tutti gli stranieri (47,3%) si trova in Attiki e un’altro importante segmento (13,1%) in Kentriki Makedonia. Per quanto riguarda il genere, le donne immigrate appaiono essere solo una minoranza della popolazione immigrata totale (25,3% del totale). Per paesi come India, Pakistan, Egitto e Siria, l’immigrazione in Grecia è quasi esclusivamente un’esperienza maschile. Invece, per paesi come Moldavia, Ucraina, Russia e Filippine, le donne costi-tuiscono la stragrande maggioranza della popolazione immigrata.

La grande maggioranza della popolazione immigrata appartiene alle classi di età “produttive” e sulla base dell’ultimo censimento generale della popolazione (2001) si ha che nel 2002 i tassi di occupazione dei cittadini extra-UE erano significativamente più elevati di quelli dei cittadini UE (68,4% contro 56,3%). Nello stesso anno, i cittadini extra-UE residenti in Grecia erano meno investiti dalla disoccupazione di quelli UE (9,6% contro 9,9%). Nel corso degli ultimi dieci anni, i tassi di occupazione dei cittadini extra-UE sembrano essere cresciuti più velocemente di quelli dei cittadini UE.

79 White A. (2002). 80 Kempton J. (2002).

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Sebbene gli immigrati non siano un gruppo omogeneo, l’occupazione è concentrata in tre settori principali: agricoltura, edilizia e servizi alla persona81. Si stima che sette im-migrati su dieci lavorino in uno di questi settori. Degli immigrati al lavoro, il 17,5% lavo-rano in agricoltura, contro il 14,1% degli autoctoni che lavorano in questo settore. Quasi un quarto di tutti gli immigrati occupati sono nell’edilizia (contro soltanto il 6,9% degli autoctoni), mentre più di un quarto (27,6%) nel coacervo del settore dei servizi, soprat-tutto in quelli di tipo personale. In agricoltura, l’arrivo degli immigrati è coinciso con il declino di lungo periodo nella produzione agricola e con l’indisponibilità dei giovani con-tadini di lavorare per bassi salari e in condizioni difficili. Gli immigrati hanno contribuito a rivitalizzare la produzione essendo disponibili a lavorare per salari che gli agricoltori possono pagare e sostituendosi ai lavoratori del nucleo familiare o di altri gruppi di lavo-ratori stagionali (come i lavoratori di etnia Roma). Anche nel settore dell’edilizia, invece che causare degli effetti di spiazzamento, si ritiene che gli immigrati abbiano contribuito all’espansione del settore, favorito dai grandi progetti infrastrutturali finanziati con i fondi strutturali e, più recentemente, dai progetti per la preparazione dei Giochi olimpici. Infine, si ritiene che fornendo aiuto domestico, gli immigrati hanno indirettamente con-tribuito all’incremento dei tassi di partecipazione alla forza lavoro delle donne autoctone.

Negli ultimi anni, la Grecia ha cercato di modernizzare la sua politica migratoria. Sono state adottate procedure per la regolarizzazione degli immigrati senza permesso, due regolarizzazioni sono state realizzate finora. Inoltre, il governo greco ha introdotto un piano d’azione per “l’integrazione sociale dei migranti per il periodo 2003-2006” che ha un budget di 260 milioni di euro e prevede: • la creazione di centri per la formazione e l’informazione per gli immigrati e gli

amministratori; • iniziative che mirano a promuovere l’integrazione nel mercato del lavoro degli im-

migranti, in particolare attraverso un migliore accesso alla formazione professionale; • un incremento degli scambi culturali fra le diverse comunità; • il miglioramento dell’accesso al servizio sanitario per gli immigrati; • la creazione di centri di emergenza per assistere gli immigrati nelle situazioni di

emergenza e difficoltà. A partire dal dicembre 2002 è operativo l’Imepo (l’Istituto per la politica

dell’immigrazione), istituto che è responsabile della realizzazione di studi e ricerche nel campo dell’immigrazione e dell’implementazione di vari aspetti del programma di inte-grazione. Inoltre, il Secretariato generale per l’istruzione popolare organizza dei corsi per immigrati ed emigranti di ritorno adulti per aiutarli ad imparare la lingua greca e ad acquisire alcune competenze sociali di base. Tra il 1998 e il 2000, circa 4 mila emigranti di ritorno e circa 1.500 stranieri hanno partecipato a questi corsi, che sono finanziati esclusivamente con risorse nazionali. Le risorse UE sono state per ora riservate per gli emigranti di ritorno e per i rifugiati, ma non per gli immigrati.

81 Karantinos D. (2004a e 2004b).

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1.4.9 Irlanda

Nel 2002, la popolazione straniera ammontava a 182 mila unità, pari al 4.7% del totale della popolazione irlandese. All’interno di questo gruppo, i cittadini extra-UE, cha ammontavano a 80 mila unità, rappresentavano la categoria di maggiori dimensioni, seguita da quella inglese (74 mila) e altri cittadini UE (27 mila). È importante evidenziare che la categorie extra-UE include circa 10 mila cittadini degli Stati Uniti, un totale che è rimasto più o meno costante negli anni. Il gruppo extra-UE è passato dalle 20 mila unità del 1991 alle 80 mila del 2002 e anche la loro presenza nella forza lavoro è cresciuta, essendo passata dalle 10 mila unità del 1991 alle 40 mila del 2002. Le cause sottostanti questo incremento sono legate al numero crescente di richiedenti asilo che entrano nel paese e, in anni recenti, all’occupazione temporanea di un gran numero di lavoratori extra-UE nell’ambito dell’Irish Work Permit Programme82. La presenza di alcuni gruppi nazionali è cresciuta molto rapidamente. Gli immigrati dagli stati baltici, ad esempio, erano solamente 17 nel 1998, ma sono aumentati a 8.600 nel 2002. Quelli provenienti dall’Europa dell’Est sono cresciuti da circa 500 a quasi 14 mila. Si sono registrati notevoli incrementi nel caso di cittadini del Sud Africa e delle Filippine.

I lavoratori extra-UE ammessi nell’ambito del Work Permit System lavorano in tutti i settori economici, ma sono prevalentemente impiegati in lavori poco qualificati e poco remunerati in settori come l’agricoltura, la ristorazione e l’alberghiero. In agricoltura la crescita è stata fenomenale, dal momento che i lavoratori con permesso di lavoro (per la maggioranza provenienti dagli stati baltici) sono passati da meno di 100 nel 1998 a più di 6.200 nel 2002, fornendo nuove energie ad un settore la cui occupazione complessiva si è andata riducendo da molto tempo.

Per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori immigrati all’economia sommersa, recentemente, uno studio dell’Immigrant Council di Irlanda (2003, p. 43) ha sottolineato che ci sono degli immigranti illegali che lavorano in Irlanda, ma che “non è possibile arrivare ad una loro quantificazione in mancanza di studi di qualsiasi tipo”.

1.4.10 Lussemburgo

Con una popolazione straniera che rappresenta il 37% della popolazione totale, il Lussemburgo è il paese che possiede la più ampia popolazione di stranieri dell’Ocse (tra i disoccupati ci sono persone appartenenti a circa 90 nazionalità diverse). Oggi, i flussi di immigrazione sono soprattutto costituiti da persone di origine europea e sono fortemente influenzati dai movimenti frontalieri (cross-border) con i paesi confinanti (Belgio, Francia e Germania)83. La struttura occupazionale lussemburghese è multinazionale con

82 Si veda Sexton J.J. e Casey B. (2003). 83 Esistono due tipi diversi di lavoratori frontalieri:

i lavoratori frontalieri tradizionali nati e cresciuti nelle regioni confinanti; i “nuovi” lavoratori frontalieri che vengono da aree lontane, ma trovano un luogo di residenza appena

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alcune caratteristiche particolari: • i cittadini stranieri occupano le posizioni di vertice e quelle inferiori della gerarchia

socio-professionale e del reddito; • i cittadini lussemburghesi sono sovra-rappresentati nell’amministrazione (il che è

logico), sotto-rappresentati tra la dirigenza anziana e i manager, e leggermente sovra-rappresentati nelle professioni; essi sono pertanto a metà della gerarchia socio-professionale;

• gli amministratori e i manager stranieri delle imprese (multinazionali) e delle organizzazioni internazionali (specialmente dell’Unione europea), hanno redditi elevati, vivono molto spesso una vita separata rispetto alla società lussemburghese e iscrivono i loro figli in scuole private di tipo internazionale;

• i lavoratori frontalieri con cittadinanza belga, francese e tedesca, il cui numero è costantemente aumentato nel corso degli ultimi 10 anni, hanno generalmente dei contratti temporanei di lavoro (hanno il 78-80% di questo tipo di contratti nel 1999-2001), mentre i cittadini lussemburghesi hanno impieghi stabili (hanno solo tra il 2,8% e il 3,4% del totale dei contratti temporanei), con i lavoratori di altre nazionalità che hanno una quota tra il 16% e il 19% dei contratti temporanei; i lavoratori frontalieri costituiscono una forza lavoro a buon mercato per le autorità nazionali lussemburghesi perché essi si rivolgono alle infrastrutture esistenti nelle regioni confinanti (scuole, servizi sanitari, servizi locali) e i loro consumi avvengono solo in parte in Lussemburgo; la loro eventuale disoccupazione è una responsabilità delle autorità dei paesi d’origine;

• gli immigrati attivi di tipo tradizionale lavorano come lavoratori qualificati o non qualificati e si sono trasferiti in Lussemburgo con le loro famiglie; la loro istruzione e formazione professionale è stata acquisita nel loro paese d’origine, mentre le autorità lussemburghesi sono responsabili per l’istruzione scolastica dei loro figli. Il Lussemburgo ha dovuto investire nell’edilizia sociale, nell’istruzione e così via per la prima volta, come conseguenza del trend dei ricongiungimenti familiari;

• gli immigrati extra-UE e i richiedenti asilo che, se sono attivi, hanno spesso trovato un lavoro in base ad un mestiere e vivono in una condizione di estrema insicurezza lavorativa (nessun permesso, permessi di tipo A o B, nessun lavoro o lavoro non dichiarato); sono coloro che rischiano maggiormente di essere rimpatriati nel caso di una eventuale recessione economica e crisi del mercato del lavoro lussemburghese;

• dal punto di vista del reddito i gruppi di lavoratori nazionali più svantaggiati sono i cittadini della ex-Jugoslavia, Albania, Portogallo e, in misura minore, Italia e Francia; quelli che hanno una posizione migliore sono gli inglesi, i tedeschi, i belgi e i lussemburghesi.

La lingua nazionale del Lussemburgo è il lussemburghese (che è la vera lingua degli

prima del confine con il Lussemburgo in modo da poter beneficiare delle infrastrutture più strettamente collegate a quelle fornite dal Lussemburgo (specialmente le scuole).

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autoctoni84), un dialetto francofono della Mosella; il francese e il tedesco sono le due lingue ufficiali (legge del 24 febbraio 1984). Il francese è stata sempre la lingua parlata dalle famiglie della classe media. Dopo l’arrivo degli immigrati di lingua francese e di un gran numero di lavoratori frontalieri (due terzi dei quali parlano francese), il francese è diventato la principale lingua nel mercato del lavoro. La conoscenza delle lingue è un fattore importante sia nel sistema scolastico lussemburghese che nel mercato del lavoro. Sempre più, le imprese lussemburghesi richiedono competenze linguistiche non solo in francese e tedesco, ma anche nel lussemburghese, particolarmente per i dipendenti che sono a diretto contatto con i clienti. Le competenze linguistiche dei lavoratori si riflettono nei loro livelli salariali.

Per gli immigrati e i richiedenti asilo appena arrivati, la situazione linguistica in Lussemburgo è molto complessa. Oltre alla loro madre lingua, essi devono avere a che fare con almeno due altre lingue. Una vera integrazione con un pieno accesso a tutte le aree della società lussemburghese richiede delle soddisfacenti competenze nelle tre lingue ufficiali e nazionali (francese, tedesco e lussemburghese).

Il governo sta ponendo una crescente attenzione sull’accesso al sistema scolastico da parte dei figli degli immigrati, e al loro successo accademico, come fattori che promuove-ranno la loro integrazione. Ma, lo studio delle lingue ha avuto sempre un impatto particolarmente rilevante sull’istruzione ed è stato la causa di diversi fallimenti. Leggere e scrivere viene insegnato in tedesco; dal secondo semestre del secondo anno, si insegna il francese. Il lussemburghese ha uno status minore (un’ora di insegnamento alla settimana), ma viene a volte utilizzato come vernacolare durante le lezioni. Per i bambini di lingua francese, il tedesco rappresenta un ostacolo, mentre il problema per i bambini che parlano lussemburghese è il francese. Questa situazione linguistica ha un innegabile impatto sull’accesso alla società lussemburghese da parte degli stranieri.

1.4.11 Olanda

Nel 2002, circa il 18% della popolazione olandese apparteneva ad una minoranza etnica (definita come una persona di cui almeno uno dei genitori non è nato in Olanda)85.

Di questo gruppo di minoranze etniche, circa il 53% sono stranieri extra-UE. I gruppi più consistenti di minoranze etniche sono i marocchini, i turchi, i surinamesi e gli antillani/arubani. La popolazione olandese sta rapidamente invecchiando e circa la della sua crescita può essere attribuita all’immigrazione. Il tasso di natalità delle minoranze etniche extra-UE è mediamente superiore al tasso di natalità della popolazione olandese autoctona. Ciò ha comportato una crescita del 66% nella quota di minoranze etniche

84 Il lussemburghese viene utilizzato dalla popolazione autoctona “…per difendere l’ultimo bastione del loro

fortino dato che la maggioranza delle decisioni che riguardano lo sviluppo economico vengono già prese da degli stranieri che occupano posizioni di alto livello, mentre la popolazione autoctona si trova in larga parte nel mezzo della piramide”, Clement F. (2003), p. 88.

85 Si veda Bekker S e Wilthagen T. (2003).

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extra-UE nella popolazione tra il 1997 e il 2002 e in questo periodo di tempo la popola-zione olandese è cresciuta del 3,5%, rispetto alla crescita del 5,5% nella popolazione della popolazione extra-UE in Olanda. Nel 2002 la proporzione degli stranieri extra-UE ammontava al 9,7%.

Molti degli immigrati che al momento entrano in Olanda sono rifugiati (29%) o arrivano per il ricongiungimento familiare (15%), per formare una famiglia (22%) o per lavorare (20%)86. Questi fatti influenzano le caratteristiche degli immigrati (ad esempio, genere, età e livello di istruzione) e conseguentemente l’ampiezza e le modalità con questi immigrati possono partecipare al mercato del lavoro.

I giovani delle minoranze etniche sono colpiti maggiormente di altri dalla crescente disoccupazione in Olanda. Il tasso di disoccupazione di giovani del Surinam e delle Antille supera il 25%. Sebbene le persone delle minoranze etniche appaiano più vulnerabili di fronte al mutare delle circostanze economiche (anche perché spesso pos-seggono un livello più basso di istruzione, una minore competenza linguistica, una più limitata esperienza lavorativa e un network sociale più ristretto della popolazione autoctona olandese), il governo non ha formulato alcuna misura specifica nel suo Piano d’azione nazionale per migliorare la loro posizione nel mercato del lavoro. Al contrario, la legge per stimolare la partecipazione al lavoro delle minoranze etniche (Wet Samen) è scaduta a fine dicembre 2003 e non è stata più rinnovata. La legge richiedeva che le imprese e le organizzazioni con 35 o più dipendenti approntassero una politica di reclu-tamento del personale che portasse ad una posizione di uguaglianza delle minoranze nel mercato del lavoro. Il governo ha ritenuto che la legge avesse avuto successo, ma che non potesse più generare un ulteriore valore aggiunto.

Ora tutta la responsabilità di migliorare la posizione delle minoranze etniche nel mercato del lavoro ricade sui datori di lavoro e sui disoccupati e lavoratori appartenenti alle minoranze etniche stesse. Una responsabilità rilevante viene di fatto delegata dal governo anche alle parti sociali. Il 18 aprile del 2000 il governo ha firmato un accordo con l’associazione delle piccole e medie imprese e il Servizio pubblico per l’impiego con l’obiettivo di trovare un lavoro a 20 mila immigrati nel 2000-2001. Ne sono risultati oltre 25 mila posti di lavoro per le minoranze etniche. Un accordo analogo è stato concluso con la Confindustria olandese il 21 giugno 2000 e ha previsto assunzioni e promozioni di lavoratori immigrati in 14 imprese. Al momento il numero di imprese partecipanti è salito a 727, tutte in differenti fasi del processo di implementazione.

Oltre a specifiche regolamentazioni del mercato del lavoro, le minoranze etniche possono beneficiare degli strumenti/servizi relativi al mercato del lavoro che sono disponibili per il resto della popolazione. Però alcuni di questi strumenti/servizi devono fare i conti con tagli di bilancio che colpiranno le minoranze etniche più del resto della popolazione.

I lavoratori immigrati extra-UE sono spesso occupati in maniera illegale o semi-

86 Bekker S. e Wilthagen T. (2003), p. 90.

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illegale87. Si stima che circa 70-150 mila persone vivono illegalmente (senza permesso) in Olanda, dei quali circa due terzi lavorano senza permesso di lavoro o permesso di soggiorno. Sono soprattutto nei settori del lavoro domestico (per la maggior parte si tratta di donne) nei grandi centri urbani, dell’alberghiero, della ristorazione, degli snack-bar, dell’orticoltura e dell’edilizia quelli dove è più diffuso l’utilizzo di lavoratori illegali. Un ruolo importante nella diffusione del lavoro straniero illegale giocano le agenzie per il lavoro che operano in diversi settori economici. Su 304 agenzie monitorate dagli Ispet-torati del lavoro negli ultimi anni, il 26% hanno ricevuto delle contestazioni per l’occupazione illegale di stranieri o per false dichiarazioni.

Per migliorare l’integrazione e la partecipazione sciale delle donne appartenenti alle minoranze etniche, nel giugno del 2004 il governo ha concluso un accordo con cinque tra le principali municipalità del paese (Amsterdam-Noord, Breda, Gronningen, Nijmegen e Zaanstad) che prevede: • l’accesso al “Toolkit Participatie” (il Toolkit di partecipazione”), che consiste in un

set di misure conoscitive, formative e finanziarie che hanno come obiettivo la promozione dell’integrazione delle donne delle minoranze etniche;

• l’accesso al supporto finanziario; il costo del progetto viene sostenuto insieme dal Ministero degli affari sociali e lavoro e dal Ministero della giustizia.

Tra le minoranze etniche è cresciuto di molto il lavoro autonomo negli ultimi 15 anni. Il numero di immigrati imprenditori è triplicato da 14.500 imprenditori che gestivano

11.500 imprese nel 1986, a 44.000 imprenditori che gestivano 36.500 imprese nel 2000. Il 25% di questi imprenditori sono donne. L’imprenditoria etnica in Olanda è stata studiata da Boissevain J. (1992) che si sofferma sul ruolo della regolamentazione dell’attività economica esercitata dai poteri pubblici per comprendere le direttrici dello sviluppo delle attività indipendenti degli immigrati. Non solo, infatti, questi ultimi si indirizzano verso settori che presentano basse soglie all’ingresso in termini di capitali e di qualificazione tecnico-professionale, ma tendono anche ad addensarsi in ambiti in cui la regolamen-tazione è meno rigida. Una delle ragioni principali per cui in Olanda tanti caffé e snack-bar sono gestiti da immigrati è riconducibile alla legislazione vigente, secondo la quale aprire un pubblico esercizio è molto più facile che avviare un’impresa artigianale. In altri casi, il neoimprenditore si deve ingegnare a scoprire le possibili scappatoie per sfuggire alla richiesta di licenze e autorizzazioni. Per contro, il governo olandese – e questa tendenza si va estendendo – ha promosso servizi specifici per sostenere le attività imprenditoriali degli immigrati: programmi di formazione per non olandesi per accedere ai corsi necessari per ottenere le licenze prescritte, consulenza nel settore della ristorazione in quartieri ad alta densità di popolazione immigrata, e così via. L’azione dei poteri pubblici ha, quindi, un ruolo nella strutturazione dell’offerta di attività indipendenti da parte della popolazione immigrata.

Dal 1998, la legge sull’integrazione dei nuovi arrivati (Win) ha stabilito che tutti i

87 Bekker S. e Wilthagen T. (2004).

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cittadini non appartenenti all’UE-Aee che emigrano in Olanda sono tenuti a presentarsi alle autorità locali, che esaminano le esigenze individuali di frequenza di un programma introduttivo. Qualora tale programma sia ritenuto necessario, si mette insieme un pacchetto di impegni che il singolo deve rispettare. Questo include: lezioni di olandese, informazioni di base sulla società olandese, informazioni sulle possibilità di lavoro in Olanda, orientamento di base (di solito a cura del Consiglio olandese per i rifugiati) per la località specifica nella quale abita l’immigrato, e un test a fine programma con un attestato che viene consegnato a coloro che superano il corso. Questi ultimi ricevono l’attestato e quindi possono studiare o lavorare in Olanda. Non sono previste sanzioni pecuniarie o altri disincentivi per le persone che non portano a termine il corso, anche se tutti sono tenuti a farlo e devono frequentarlo nuovamente se non superano la prova finale. La partecipazione e il superamento del programma di assimilazione ed inte-grazione è una delle condizioni per il ricongiungimento familiare.

È in corso un dibattito in Olanda sulle modifiche da apportare alla legge o sui corsi introduttivi per i nuovi arrivati e per le persone che sono già nel paese da tempo, ma non hanno mai frequentato un corso del genere. Una commissione nominata dal Ministro per l’immigrazione e l’integrazione ha comunicato nel giungo del 2004 che il livello di conoscenza della lingua olandese richiesto dovrebbe essere pari a quello richiesto agli studenti di inglese o olandese che portano a termine una scuola secondaria superiore.

Gli altri dibattiti politici riguardano il collocamento dell’onere finanziario dei pro-grammi principalmente a carico degli immigrati e la necessità che alcuni immigrati, compresi quelli che entrano nel paese per ricongiungimento familiare, imparino l’olandese prima del loro arrivo in Olanda.

Inoltre, in Olanda le misure finalizzate a promuovere l’integrazione sono particolar-mente dirette ad assicurare l’housing sociale e la distribuzione geografica degli immigrati, in modo da ridurre la loro concentrazione.

1.4.12 Portogallo

L’immigrazione in Portogallo si caratterizza per il fatto di essere originaria da paesi che avevano storicamente relazioni di tipo coloniale e dove, quindi, il portoghese è la lingua ufficiale88 . Infatti, sono prevalentemente le ex colonie africane che esportano manodopera verso il Portogallo (Capoverde, Angola, Mozambico, S. Tomè e Guinea). Gli stranieri residenti in Portogallo sono circa 413 mila (4,0% sulla popolazione totale) e oltre il 60% è concentrato nella sola città di Lisbona. È all’inizio degli anni ‘90 che il flusso, iniziato con la decolonizzazione, diventa una vera e propria immigrazione di lavoratori spinti a lasciare il proprio paese alla ricerca di migliori condizioni di vita in Portogallo89. 88 Miranda H. e Caetano A. (2003). 89 Nel 1980 c’erano circa 51 mila stranieri registrati con lo status di residenti in Portogallo. Nel 1998 erano

saliti a circa 177 mila, rappresentando l’1,8% della popolazione residente, rispetto allo 0,5% nella metà degli anni ‘80. Nel 2001, il 48% degli stranieri residenti erano africani.

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La comunità più numerosa è senz’altro quella capoverdiana (28,7% nel 2001, seguita da quella brasiliana con il 13,5%, e da quella angolana con il 13%) e ha cominciato a formarsi a partire dal 1960, quando ad arrivare a Lisbona erano soprattutto gli uomini per lavorare nell’edilizia in sostituzione dei portoghesi che andavano a combattere nelle guerre coloniali o che emigravano per motivi economici verso la Francia. I flussi succes-sivi hanno mantenuto più o meno le stesse caratteristiche, accentuando la flessibilità lavorativa specialmente tra quanti entrano in maniera irregolare.

L’emigrazione mozambicana (2,7% nel 2001) inizia dopo l’indipendenza nazionale (1975) e si distingue in tre fasi principali: • la prima (1975-76), caratterizzata da gruppi di origine portoghese o asiatica, membri

dell’amministrazione portoghese delle colonie che optarono per il mantenimento della cittadinanza portoghese;

• la seconda (1979-1982), composta da un elite di origine africana; • la terza (1983-inizi anni ‘90), caratterizzata dalla vera e propria emigrazione econo-

mica, in quanto composta da soggetti poveri alla ricerca di condizioni di vita migliori. L’occupazione prevalente, per una gran parte dei capoverdiani, degli angolani e dei

guinesi, è senza dubbio quella legata all’edilizia urbana, sia pubblica che privata. Le condizioni di lavoro nell’edilizia sono frequentemente al di fuori delle norme contrattuali e i salari sono generalmente bassi. Il lavoro nero, molto diffuso nei cantieri, è favorito dalla presenza di una quota di immigrati clandestini per i quali il lavoro irregolare è l’unica possibilità di sostentamento90. Più in generale, l’accettazione di queste condizioni di lavoro è dovuta ad una mancanza di alternative, ma è una situazione tra l’altro favorita da livelli di istruzione e qualificazione professionali bassi e soprattutto non adeguati alla nuova società urbana. Questo comporta significativi problemi linguistici e culturali, nonché una scarsa conoscenza dei fondamentali diritti del lavoro. Le donne sono invece occupate nei servizi domestici ad ore o in attività di ambulantato di strada, svolto anche da quante sono prevalentemente casalinghe. Un’altra attività diffusa, sia tra gli uomini che tra le donne, riguarda i servizi di ristorazione in esercizi privati. In genere, la condizione alloggiativa degli immigrati non è soddisfacente (assai diffusi sono i barrios de lata, quartieri di baracche costruite con materiali di riporto).

Diverse sono solitamente le condizioni di vita e di lavoro per i mozambicani, soprattutto per quelli di origine indiana. Tra di essi molto diffuse sono le attività autonome e in primo luogo il commercio al dettaglio e l’import-export.

È solo in anni molto recenti, in risposta all’arrivo di nuove ondate di immigrazione dall’Europa dell’Est e Russia91 e di un numero consistente di cittadini dell’India, del Bangladesh, Cina e Pakistan92, che il Ministero del lavoro e della solidarietà (attraverso

90 Miranda H. e Caetano A. (2004). 91 Dei circa 87 mila individui a cui è stato concesso la cittadinanza nell’ambito della regolarizzazione del

2001, il 54% erano dell’Europa dell’Est e tra questi, gli ucraini, con 30 mila concessioni, ora rappresentano la terza comunità straniera residente per dimensioni in Portogallo.

92 Negli ultimi anni è cresciuto l’afflusso di lavoratori immigrati non qualificati dai paesi asiatici (India e

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l’Ieep, l’Istituto per l’occupazione e la formazione professionale) ha messo in piedi un programma di accoglienza (Portugal Acolhe). Questo programma rende disponibili dei corsi di lingua portoghese per i nuovi immigrati e fornisce loro informazione sulla società e cittadinanza portoghese. Per incoraggiare gli immigranti, in caso di necessità vengono erogati alcuni benefici (assistenza alimentare e rimborsi delle spese di trasporto). Inoltre, sono stati realizzati degli sportelli informativi e dei servizi call centers per immigrati per fare in modo che possano conoscere meglio i loro diritti in Portogallo e per ottenere informazioni sui vari servizi (come la sicurezza sociale, l’educazione, la sanità, ecc.) Nel 2002 sono stati aperti 10 centri e altri 20 nel 2003 dove gli immigrati possono ricevere assistenza da un mediatore culturale.

Inoltre, di recente sono stati creati due “Centros Nacionais de Apoio ao Imigrante” (Cnai) a Lisboa e Oporto. Questi centri hanno il compito di fornire una risposta integrata ai problemi degli immigrati, promuovendo la partecipazione ed integrazione di questi ultimi nella società portoghese, in particolar modo per quanto riguarda l’occupazione e la formazione professionale. In ciascuno dei due centri è stato previsto una “Unidade de Insercao na vida Activa” (Univa), dato che le politiche attive del lavoro mirano a fornire servizi di supporto per l’orientamento professionale e alle altre attività che intendono pro-muovere il contatto con il mercato del lavoro. Le Univa sono responsabili dell’imple-mentazione dei seguenti compiti in cooperazione con l’“Instituto do Emprego e Formacao Profissional” (Ieep): • fornire supporto, informazione e orientamento professionale e guida alla carriera per

gli immigrati, con l’obiettivo di integrarli nella vita lavorativa e assisterli nell’iden-tificare i fabbisogni formativi e adeguate strade formative e professionali;

• aiutare i cittadini immigrati a trovare lavoro, e offrire un supporto continuativo per la loro integrazione nella vita lavorativa;

• incoraggiare i cittadini immigrati a partecipare a programmi di addestramento e corsi di formazione professionale, e promuovere altre forme di contatto con il mercato del lavoro;

• raccogliere e diffondere informazioni sulle opportunità di lavoro e formazione professionale e promuovere contatti con le imprese e altre organizzazioni nel mondo del lavoro;

• fornire informazione e supporto in materia di riconoscimento delle competenze professionali degli immigrati.

Nel novembre 2002, è stato siglato un patto sociale con lo scopo di chiarire i diritti e doveri degli immigrati ed impegnare tutte le istituzioni portoghesi nella lotta contro tutte

Pakistan) per lavorare nell’edilizia privata e nelle grandi opere pubbliche. Inoltre, si è registrata una crescente importanza dei cinesi e dei sud-asiatici in alcuni settori del commercio, dell’ambulantato e della ristorazione, che è il risultato combinato dell’intensificazione dei networks che coinvolgono questi immigrati e dell’inclusione del Portogallo nei movimenti migratori asiatici. L’espansione dei ristoranti etnici, specialmente cinesi ed indiani, la crescente presenza del franchising e delle catene commerciali nazionali ed internazionali ha creato molte opportunità di lavoro per lavoratori immigrati in questi settori.

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le forme di sfruttamento e discriminazione degli immigrati e nella promozione dello sviluppo dei paesi poveri in modo da ridurre l’incentivo ad emigrare. Per rafforzare la capacità di produrre studi e analisi sull’immigrazione, è stato creato un Osservatorio sull’immigrazione con il compito di condurre studi che dovranno assistere il governo nella preparazione di nuove politiche migratorie. Tra le ricerche in corso si segnalano: uno studio sugli atteggiamenti della popolazione portoghese verso l’immigrazione, un’analisi dell’impatto dell’immigrazione sul bilancio statale e uno studio dì come gli immigrati sono presentati dai media.

Recentemente, è stato attivato un programma speciale per 120 medici stranieri già residenti in Portogallo al fine di favorire sia la loro integrazione sia il riconoscimento dei loro titoli di studio ottenuti nei paesi d’origine. Il programma prevede anche un periodo di pratica di un anno negli ospedali portoghesi prima che questi immigrati possano esercitare come medici.

1.4.13 Spagna

In pochi anni la Spagna si è trasformata da paese di emigrazione (più di un milione di spagnoli che lavorano fuori dalla Spagna) in paese di immigrazione, per cui i dispositivi e la regolazione istituzionale dei processi di accoglienza ed integrazione socio-lavorativa degli immigrati è recente e scarsa (nonostante che la prima legge sull’immigrazione del 1985 abbia un Preambolo che proclama che lo scopo della legge è quello di garantire i diritti dei residenti stranieri e di integrare gli immigrati nella società spagnola, e che la legge del gennaio 2000 si intitoli “Legge sui diritti e le libertà degli stranieri in Spagna e la loro integrazione sociale”). Ciò ha fatto sì che si è sviluppata l’importante iniziativa di attori sociali quali la Chiesa cattolica, i sindacati, le associazioni, il servizio civile volontario e le organizzazioni non governative. Nello specifico, le Ong, molte delle quali sono nate con intenti di protesta, si sono trasformate in fornitori di servizi: consulenza legale, mediazione, promozione e formazione culturale e, seppur in grado minore, anche inserimento lavorativo. In termini generali, i servizi per l’impiego sono tra i meno sviluppati tra quelli che fanno capo alle diverse organizzazioni non governative che lavorano con la popolazione immigrata. Anche i sindacati, del resto, non sono stati troppo attivi in questo campo93.

Le iniziative locali che hanno mostrato il più ampio grado di intervento nei processi di inserimento professionale sono: • le reti autoctone informali di relazione, specie in determinati settori come quello

domestico, nel quale il fatto di possedere referenze fiduciarie è altamente considerato. Il problema è che l’informazione trasmessa in via informale in questi networks fa riferimento ad attività specifiche e ciò dà luogo a specializzazioni dalle quali è

93 Si vedano Pongiluppi B. (2004); Gonzalez Gago E., Poncela Blanco J.A. e Garcia Blanco P.P. (2003);

Martinez Veiga U. (1999, 1998, 1997); Garcia Castano F.J., Granados A., Merino L. e Dietz G. (1997).

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difficile uscire. Questo tipo di iniziativa, basata sui reticoli informali autoctoni, risulta particolarmente importante per gli immigrati che si trovano in condizioni di irregolarità dal punto di vista legale, dal momento che l’accesso ad altri dispositivi di carattere più formale è generalmente loro negato;

• le parrocchie e le istituzioni cattoliche, specialmente nelle aree urbane e metropo-litane, Questo tipo di istituzioni, peraltro, è usato quasi esclusivamente da una doman-da di lavoro in cerca di un tipo specifico di lavoratore/trice, principalmente nel campo dei servizi domestici e della cura agli anziani e bambini, attività per le quali l’onestà e l’affidabilità sono considerate requisiti indispensabili; in questo senso la mediazione di un’istituzione cattolica è normalmente considerata una garanzia sufficiente;

• le agenzie di lavoro temporaneo, nonché le agenzie private di collocamento sono in generale tra le istituzioni locali più attive nel processo di inserimento professionale degli immigrati, purché già in una condizione di regolarità. I tipi di lavoro trattati da questo tipo di agenzie sono generalmente precari, così come i lavori generalmente svolti dagli immigrati;

• infine, la mediazione individuale tra domanda e offerta, fenomeno che ha prodotto molti casi di abuso e raggiro.

In generale, tutti questi attori e istituzioni mostrano il limite di muoversi solo nell’ambito del segmento più basso del mercato del lavoro, sebbene alcuni siano più specializzati di altri. Il caso più paradigmatico in termini di specializzazione è quello delle istituzioni cattoliche, centrate quasi esclusivamente sul settore domestico. Per questa ragione, i gruppi che più di altri utilizzano questo canale di accesso al mercato del lavoro (come i filippini) normalmente non incontrano difficoltà nel trovare lavoro, ma difficil-mente riescono ad avere accesso alle attività più qualificate.

Il ruolo dei Servizi pubblici per l’impiego nei processi di inserimento lavorativo degli immigrati in Spagna è molto debole, seppure in crescita. La componente immigrata è infatti cresciuta considerevolmente tra gli utenti dei dispositivi locali per la promozione e l’inserimento professionale94.

In Spagna le comunità che più delle altre caratterizzano il fenomeno immigratorio sono quelle nord-africane e quella latino-americana. La popolazione immigrata appare molto concentrata nelle grandi città (Madrid e Barcellona, soprattutto)95 e nelle aree costiere (per la forte offerta di lavoro terziario correlato alle attività turistiche non solo stagionali) ed è prevalentemente inserita in agricoltura96, nell’edilizia, nei servizi dome- 94 Pongiluppi B. (2004), pp. 162-163. 95 Carella M. e Pace R. (2001). 96 Tra il 1993 e il 1998, su un totale di oltre 102 mila autorizzazioni all’ingresso, quasi 32 mila sono state

rilasciate per impieghi nell’agricoltura, di cui la stragrande maggioranza in Andalusia (e in parte in Estremadura e Murcia) dove negli ultimi decenni si è sviluppata un’agricoltura intensiva nelle serre (gli invernaderos) che garantisce una produzione ortofrutticola costante tutto l’anno. Qui, gli immigrati al lavoro sono soprattutto marocchini (ma anche ghanesi, nigeriani, camerunensi ed altri centro-africani) e “sono soggetti ad un sistema di vero e proprio apartheid. Esclusi dalla maggioranza dei luoghi pubblici, così come dl contesto urbano, essi sono costretti a vivere nelle zone limitrofe al centro cittadino, in baracche o in case semidistrutte chiamate cortijos”, De Bonis A. (2003), p. 320.

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stici e alberghieri, non nell’industria 97 . Molti degli studi condotti in Spagna sulle condizioni lavorative degli immigrati, giungono alla conclusione che l’economia infor-male è uno dei principali canali di ingresso nel mercato del lavoro spagnolo, specialmente in alcune attività collegate ai servizi domestici o a settori quali quelli agricolo e delle costruzioni98. Secondo la ricerca condotta da Carrasco Carpio (1999), nel 1996 circa il 29% dei lavoratori stranieri immigrati in Spagna lavorava nell’economia informale.

Nella fase attuale, il lavoro immigrato è richiesto prima di tutto come supporto all’auto-produzione familiare di servizi alle persone: figura in un certo senso emblematica del ruolo economico-sociale degli immigrati a Barcellona o a Madrid è quella della collaboratrice domestica e assistente domiciliare di persone anziane. In secondo luogo, la manodopera straniera viene richiesta per colmare i fabbisogni di manodopera e contenere i costi delle piccole imprese autoctone, specialmente (nelle grandi città) nei servizi a basso valore aggiunto e nelle attività che ruotano intorno all’edilizia. Economie sommer-se tradizionalmente estese si alimentano di questa nuova offerta di lavoro.

In questi ambiti (piccole imprese, oggi soprattutto di servizi, edilizia minore, ristora-zione, con incidenza più o meno ampia di lavoro non dichiarato), gli immigrati stranieri stanno prendendo il posto che nel passato toccava agli immigrati interni provenienti dalle regioni meno sviluppate, assunti da imprenditori locali come manodopera salariata. Dalle loro fila tendono poi ad uscire nuovi operatori, che hanno cominciato a rimpiazzare la piccola borghesia autonoma, a partire dalle aree meno attrattive del lavoro indipendente.

In Spagna, il tasso di lavoro autonomo (20%) è tra i più alti nell’ambito Ocse, ma fin quasi alla fine del XX secolo si trattava quasi esclusivamente di operatori economici autoctoni, spesso provenienti dalle classi subalterne, che trovavano nel lavoro indipen-dente o un’opportunità di auto-impiego oppure una chance di promozione sociale. Cadute alcune barriere protezionistiche, sulla scena del lavoro indipendente si stanno rapida-mente affacciando gli immigrati. Proprio le economie metropolitane, la piccola edilizia, i servizi di minor complessità tecnica e con minori vincoli all’accesso (pulizie, commercio ambulante e al dettaglio, ristorazione, piccoli trasporti e consegne rapide) offrono opportunità di sviluppo per la nuova imprenditoria immigrata.

Anche nel lavoro indipendente, gli immigrati stranieri tendono a seguire il passo dei migranti interni dei passati decenni: dapprima assunti come dipendenti, cominciano da alcuni anni a contribuire al ricambio del fattore imprenditoriale nei segmenti meno remunerativi e più instabili dei mercati metropolitani. Per contro, la domanda di lavoro immigrato ad alta qualificazione fatica a manifestarsi. Se ne parla soprattutto di riflesso, per influenza del dibattito internazionale, ma la domanda effettiva degli imprenditori si concentra quasi esclusivamente sul lavoro manuale. Non va trascurato neppure il fatto che le roccaforti corporative delle libere professioni (medici, farmacisti, architetti,…) resistono all’ammissione di professionisti stranieri.

97 Cachòn L. (1999). 98 Si vedano: Pongiluppi B. (2004); Cachòn L. (1999); Solè C. (1995).

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1.4.14 Svezia

Nell’arco di 40 anni il carattere dell’immigrazione in Svezia è cambiato radicalmente con il passaggio da un’immigrazione essenzialmente per motivi di lavoro proveniente da altri paesi nordici e dal Sud Europa ad una per ragioni politiche (asilo e rifugio) proveniente da fuori dell’Europa o dalla ex Jugoslavia. Oggi, circa un terzo degli stranieri residenti in Svezia sono arrivati come rifugiati, un terzo per ricongiungimenti familiari e il restante terzo per lavoro. Circa il 40% degli stranieri è in Svezia da almeno 20 anni e il 60% da almeno 1099.

Oggi, il governo svedese mira a realizzare una politica generale del mercato del lavoro che abbia la diversità etnica e culturale della società come punto di partenza e con l’obiettivo di dare una risposta ai bisogni di tutte le persone che fanno parte della forza lavoro. L’obiettivo è quello di raggiungere un livello di occupazione dell’80% per la popolazione in età da lavoro. Dal momento che nel 2002 il tasso medio di occupazione tra i nati all’estero era di circa il 60%, mentre quello della popolazione autoctona era di quasi 77%, negli ultimi anni i programmi generali per il mercato del lavoro sono stati accompa-gnati da particolari sforzi per aumentare la partecipazione degli immigrati al mercato del lavoro. Fino alla metà degli anni ‘70 i tassi di occupazione degli immigrati non differivano di molto da quelli degli svedesi autoctoni, ma gradualmente sono deteriorati. Il trend negativo si è accentuato nel corso della grave crisi del mercato del lavoro dei primi anni ‘90, quando i lavoratori nati all’estero sono stati colpiti in modo particolare100. Questa situazione emerge anche analizzando i dati sulla disoccupazione.

Prima della metà degli anni ‘80 c’era poca differenza nei tassi di disoccupazione fra cittadini svedesi e stranieri. Nel 2002 il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri in Svezia era il 10,3%, mentre per tutti i residenti il dato corrispondente era il 4%. A partire dalla metà degli anni ‘90, la debole posizione degli immigrati nel mercato del lavoro svedese era diventato un problema evidente e serio. Molti degli immigrati lavorano nell’economia sommersa, soprattutto nei settori dell’edilizia, dell’alberghiero, della risto-razione e del lavoro domestico101.

Per questi motivi negli ultimi anni il governo ha cercato di implementare una politica generale del lavoro introducendo misure per reintegrare nel mercato del lavoro tutti coloro che rischiano la disoccupazione di lungo periodo e per intensificare i controlli sul lavoro illegale. Il programma mira a modificare la situazione dei gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro. Un’altra iniziativa generale riguarda i sussidi per l’impiego che mirano a facilitare la partecipazione al mercato del lavoro da parte degli immigrati e di coloro con particolari problemi. Generalmente, gli immigrati disoccupati partecipano proporzionalmente di più nei programmi del mercato del lavoro rispetto ad altri disoccupati. Tra le misure prese per migliorare il tasso di occupazione tra gli immigrati ci 99 Storrie D. (2003), p. 107. 100 Storrie D. (2004a). 101 Storrie D. (2004b).

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sono, per esempio, un fondo nazionale (da 16,5 milioni di euro) destinato in parte a rafforzare il numero degli operatori presso i Pes e le loro competenze in relazione alle specifiche problematiche poste dalla popolazione di origine straniera. Ulteriori risorse (10 milioni di euro) sono state allocate ogni anno (a partire dal 2001) per finanziare dei corsi complementari per gli immigranti con lauree estere, per la formazione linguistica, per il miglioramento di programmi introduttivi e per promuovere la diversità etnica nel settore privato e pubblico. La cooperazione tra i Servizi pubblici per l’impiego, le municipalità (che gestiscono i programmi individuali di “introduzione” che prevedono corsi di lingua e di cultura svedese, oltre a sussidi economici per i partecipanti) e il comitato nazionale per l’immigrazione deve essere maggiormente sviluppata e migliorata, particolarmente durante le prime settimane e mesi dopo l’arrivo dell’immigrato. Nelle intenzioni del governo, l’integrazione degli immigrati deve essere focalizzata sul lavoro e sull’auto-sostentamento. Sono stati realizzati anche alcuni progetti pilota per cercare di integrare residenti nati all’estero utilizzando le agenzie di lavoro temporaneo come strumenti di politica attiva del lavoro.

Nel febbraio 2001, il governo ha lanciato un piano d’azione nazionale contro il razzismo, la xenofobia, l’omofobia e la discriminazione. Per dare il buon esempio, le agenzie governative sono impegnate (attraverso dei piani d’azione) nello stimolare attiva-mente l’integrazione e per promuovere la diversità etnica fra i loro dipendenti. L’obiettivo è di eliminare i fattori che hanno contribuito a determinare la bassa rappresentanza della popolazione nata all’estero nel settore pubblico. Un’inchiesta governativa ha suggerito di introdurre dei cambiamenti riguardo al requisito della cittadinanza svedese e di altre connesse questioni legali che impediscono agli stranieri di occupare determinate posizioni governative.

Nella primavera del 2003, il governo ha costituito un gruppo di lavoro misto Governo-Confindustria svedese per la cooperazione nell’integrazione nel mercato del lavoro. Il gruppo aveva il compito di appurare l’impegno del settore privato per l’integrazione dei lavoratori immigrati, e di valutare come si potesse sviluppare in questo campo una partnership tra settore pubblico e privato. Nell’aprile del 2004, il gruppo di lavoro ha presentato i risultati di questa ricerca nel rapporto “Porte aperte – soglie più basse” che suggerisce un certo numero di misure, incluso un nuovo sistema di “apprendistato di prova” per coloro con poca o nessuna esperienza di lavoro. L’obiettivo è di mettere gli individui in più stretto contatto con la vita lavorativa svedese, e di fornire ai disoccupati l’opportunità di dimostrare le loro competenze e conoscenze. La Confindustria svedese ha segnalato che l’assunzione di un lavoratore con un titolo di studio e un’esperienza lavorativa maturati in un altro paese comporta un certo grado di rischio. Il gruppo di lavo-ro ha considerato che l’“apprendistato di prova” ridurrebbe questo rischio, dal momento che dà la possibilità al datore di lavoro di identificare le competenze e le conoscenze dei lavoratori immigrati senza alcun impegno di lungo termine. Inoltre, il gruppo di lavoro ha suggerito che la Confindustria promuova attivamente l’“apprendistato di prova” nel mondo delle imprese.

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1.5 La “via italiana” all’integrazione socio-lavorativa dei cittadini extra-UE

A differenza di altri paesi europei, nel caso italiano appare significativo il contributo offerto da diversi attori locali (volontariato, sindacati, associazionismo), i quali operano al fine di compensare la scarsa regolazione pubblica nei diversi mercati del lavoro, tratteggiando in ultima analisi una specifica “via italiana” all’integrazione socio-lavorativa dei cittadini extra-UE102. Il processo di inserimento degli stessi nella nostra realtà avviene infatti attraverso un bricolage sociale piuttosto complesso, che tocca livelli amministrativi diversi, cercando al contempo di ricomporre le risorse offerte dalle istituzioni formali con quelle fornite dalle reti informali103. L’integrazione dei cittadini extra-UE, è stato notato104, si presenta in altri termini come scarto tra il (loro) ruolo economico e (loro) inclusione sociale, come gap tra cittadinanza economica (inclusione nel sistema produttivo, a cui essi sono funzionali) e cittadinanza politica e sociale (accesso al sistema dei diritti). Da questo punto di vista va evidenziato che altri stati europei hanno spesso decentrato le politiche di integrazione delle minoranze immigrate, al fine di gestire al “più basso livello possibile” una immigrazione sempre più diversificata, offrendo al contempo una serie di risposte efficaci ad una domanda che si presenta sempre più eterogenea105. Questa prassi appare inoltre coerente con un dato ormai consolidato, ossia che l’“immigrazione per lavoro”, in Italia come altrove, è un fenomeno essenzialmente concentrato nei territori a più elevato sviluppo produttivo.

Rimane tuttavia ancora in ombra il ruolo che ha e dovrà avere l’amministrazione pubblica (centrale e locale) nell’ambito di questa complessa arena di policy, anche in virtù del fatto che qualsiasi (nuova) legge difficilmente sarà in linea con la velocità di mutamento del fenomeno migratorio: solamente amministrazioni ben organizzate, efficienti, che “apprendono facendo” (learning by doing), che generano politiche attraver-so negoziazioni ed accordi multilaterali (ovvero sulla base di contratti)106, orientate “allo scopo” (ossia agli obiettivi da raggiungere) ed al benchmarking, anziché al mero rispetto formale di procedure, regole e competenze (in breve, amministrazioni di risultato, secondo la definizione proposta da Fedele)107 potranno contribuire all’efficace governo dei flussi migratori, così come accade in altri paesi anglosassoni (ad esempio in Canada ed Australia), realtà dotate di burocrazie in cui, come sostiene Bolaffi, “…i risultati vengono prima delle procedure”108. Infatti, “…nel governo dell’immigrazione l’Italia, nonostante condivida con altri paesi il modello della frammentazione delle competenze

102 Ambrosini M. (2001), p. 102. 103 Ambrosini M. (2000a), p. 441. 104 Ambrosini M. (2001), p. 169. 105 Si veda al proposito CeSPI (2000c), p. 859. 106 A questo riguardo si rinvia a Bobbio L. (2000), pp. 111-141. 107 Fedele M., cit., in particolare pp. 9-35. 108 Bolaffi G., cit., p. 119.

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ministeriali, presenta minore efficienza e maggiore difficoltà di indirizzo in ragione dei suoi specifici problemi interni”109. In altri termini l’Italia, rispetto ad altre realtà europee, sconta minore efficienza delle strutture burocratiche (scarsa cooperazione interam-ministrativa, sovrapposizione – overlapping – e dispersione di responsabilità, profes-sionalità inadeguate, mancanza di know-how) e maggiore difficoltà di indirizzo politico, anche per la compresenza di un elevato numero di “centri decisionali”. Inoltre, la natura altamente flessibile e imprenditiva dell’immigrazione moderna (i suoi continui “accomodamenti”, che aggirano di fatto regole e divieti) tenderebbe ad esaltare la scarsa cooperazione interamministrativa, nonché la debolezza delle nostre strutture burocratiche, organismi che appaiono ulteriormente penalizzati dall’assenza di un vero punto “di comando e di indirizzo”.

A tal proposito ha preso corpo l’idea di istituire una sorta di “agenzia nazionale”110, che vada a sostituire la pletora di enti ed organizzazioni con competenze sulle politiche migratorie, nella convinzione per cui appare sempre più pericoloso continuare ad operare nell’alveo di una gestione dell’immigrazione scandita dal “giorno per giorno”. Le soluzioni ipotizzate sarebbero essenzialmente due: la prima contempla l’accorpamento di tutte le competenze in materia di immigrazione all’interno di un unico dicastero (soluzione ritenuta tuttavia impraticabile, alla luce delle note “resistenze” che caratteriz-zano il nostro assetto ministeriale); la seconda prevede il mantenimento dell’attuale quadro normativo, esternalizzando però tutta una serie di servizi e funzioni. Più in particolare, si tratterebbe di investire su di una “struttura esterna di mercato” (che rivesti-rebbero quindi un ruolo di “supplenza” rispetto a quelle pubbliche), sia nella fase di ricognizione e definizione dei problemi, sia in quella della implementazione delle relative soluzioni. Le amministrazioni pubbliche centrali eviterebbero così reciproche rivalità, conservando al contempo la titolarità su alcune decisioni fondamentali (il monopolio della quota annuale degli ingressi, il controllo dei confini e la concessione dei visti di ingresso) e trasferendo all’esterno (al mercato) compiti per i quali maggiore è la loro inadeguatezza dal punto di vista della efficienza operativa. Alla struttura esterna (ad esempio una agenzia mista pubblico-privata) verrebbe attribuito un precipuo ruolo “gestionale-progettuale”: individuazione della qualità e quantità degli immigrati in base alle esigenze del tessuto produttivo; efficientizzazione delle procedure burocratiche di ingresso (compreso lo screeening documentale e professionale nei paesi di partenza); indicazione di accettabili percorsi standard di integrazione sociale; creazione di figure particolari di riferimento (interpreti, mediatori) per i rapporti con le imprese e in generale con gli utilizzatori finali, nonché con gli immigrati stessi. Inoltre, agli enti territoriali, in 109 Ibidem, pp. 122-123. 110 Ibidem, pp. 117-129; si veda anche Bolaffi G. (4 aprile 2001). Una posizione simile è avanzata anche da

Harris N., cit., p. 279, secondo il quale “…un sistema di immigrazione organizzato da società (pubbliche, volontarie, private) renderebbe superflui i normali controlli dell’emigrazione. Sarebbe la domanda di manodopera del mercato (…) a determinare il numero degli immigrati da accogliere. Non vi sarebbe più necessità di quote con limiti fissati arbitrariamente, giacché in condizioni di contrazione dell’economia locale non si concluderebbero nuovi accordi [con i paesi di provenienza]”.

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particolare regioni e province, rimarrebbe la competenza sull’offerta di specifici servizi, ossia quelli sanitari, assistenziali e socio-lavorativi.

Quella appena delineata si tratterebbe “…di una vera e propria politica dell’offerta, che affida al mercato compiti che le strutture pubbliche oggi non riescono a fronteggiare (…), una scelta di compartecipazione tra pubblico e privato, tra Stato e mercato, consigliata non solo dalla rigidità dell’amministrazione, ma soprattutto da una delle caratteristiche principali dell’immigrazione moderna: quella della sua flessibilità (…), un concetto da recuperare secondo la sua accezione positiva [e da riferire] ad un possibile modello di ingegneria sociale (…) [ossia] quello che vede le istituzioni capaci di essere flessibili almeno quanto è flessibile, veloce e mutevole l’immigrazione moderna”111.

111 Ibidem, p. 128. In tal senso appare utile inserire il contributo offerto da Sciortino, il quale evidenzia,

secondo una diversa angolazione prospettica, come una sostanziale carenza di informazioni attendibili sul fenomeno migratorio conduca al paradosso sintetizzabile nel fatto che la gran parte delle decisioni, delle politiche in materia vengono prese “praticamente al buio”. Secondo l’autore sarebbe quindi opportuno mutare l’approccio analitico ed operativo finora utilizzato in quanto “…la politica migratoria sembra essere molto più vicina alla politica ambientale (…) piuttosto che non alle diverse varietà della politica economica, con le loro rilevazioni sistematiche su grandi campioni, i loro modelli econometrici raffinati e le loro relazioni mensili”; cfr. Sciortino G. (2000), p. 97.

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2. GLI UTENTI DEI CENTRI PER L’IMPIEGO NEI GRANDI CENTRI URBANI

2.1 Nota metodologica

L’indagine qui presentata ha lo scopo di analizzare l’utenza neo ed extra-comunitaria dei Centri per l’impiego e i servizi ad essa dedicati, concentrando l’area di rilevazione nei Cpi di alcuni grandi centri urbani.

I Centri per l’impiego interessati sono stati cinque, ed in particolare: il Centro per l’impiego di Bologna, Cpi di Firenze Quartiere 1 sito in via Cavour 11/19 (che risulta essere uno dei 5 Cpi presenti sul territorio cittadino che, nel loro insieme, costituiscono il Cpi di Firenze), il Cpi di Roma Cinecittà, il Centro per l’impiego di Milano e il Cpi di Torino.

La ricerca è stata condotta in due fasi: La prima è consistita in un incontro con il Cpi di riferimento per concordare le modalità e i tempi della rilevazione. In tale occasione, inoltre, i responsabili del Cpi, della Provincia e del servizio immigrazione (e, nel caso di Milano, di un funzionario e ricercatore dell’Osservatorio provinciale del mercato del lavoro) sono stati oggetto di un’intervista finalizzata, da un lato, a evidenziare le carat-teristiche del sevizio offerto dal centro ai cittadini stranieri e, dall’altro, a raccogliere informazioni circa le dinamiche che negli ultimi ha conosciuto la presenza straniera sul territorio.

Successivamente, nel mese di giugno, si è proceduto alla rilevazione vera e propria, attraverso la somministrazione di questionari anonimi ai cittadini stranieri (extra e neocomunitari) che nel periodo di riferimento si sono recati al Cpi. La compilazione dei questionari è stata supportata da personale Isfol opportunamente formato, che a fine rilevazione ha accompagnato la consegna delle schede compilate con un report finale.

La scheda di rilevazione utilizzata (vedi allegato) prevedeva 45 domande, di cui 3 a risposta aperta (ad eccezione di quelle relative alla cittadinanza e alla specifica “altro” presente in alcune domande a risposta chiusa). Tale questionario era diviso in 6 sezioni: i dati sulla fisionomia anagrafica degli utenti (sesso, età, paese di nascita, cittadinanza, e residenza), la condizione di soggiorno (permesso di soggiorno, anni di presenza in Italia, visto di ingresso, eventuali procedure di regolarizzazioni ecc.), la situazione occupa-

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zionale (condizione occupazionale, professione svolta attualmente e nel paese di origine, durata della ricerca di lavoro, ecc…), le esperienze formative (titoli di studio conseguiti e anni di studio frequentati, partecipazione a corso di formazione, ecc.), i rapporti con il Cpi (motivi per cui ci si è recati al Cpi, difficoltà incontrate, servizi utilizzati, ecc.) e la situazione abitativa e familiare (condizione famigliare, tipologia di alloggio, giudizio su servizi presenti in città, ecc.).

In tale fase, a causa di problemi organizzativi, non si è stati in grado di raccogliere presso il Cpi di Roma un numero di questionari sufficiente. Per quest’ultimo Centro per l’impiego, quindi, si tratterà solo per la parte relativa al servizio offerto, peraltro molto strutturato e originale rispetto al quadro nazionale degli interventi costruiti a sostegno dell’utenza straniera.

Una volta raccolti i questionari e proceduto alla fase di caricamento dati, il data base così costruito è stato sottoposto a controlli di coerenza, laddove necessario, e si è provveduto a procedure di imputazione di mancate risposte e eventuali imputazioni di dati. In tale fase, infine, si è provveduto alla codifica delle risposte aperte.

Complessivamente, il data-base cosi composto conteneva 857 record, e l’apporto dei singoli Cpi oggetto della rilevazione è riportato nella tabella seguente:

Numero di questionari raccolti per Cpi N. questionari

Nome Cpi V. a. %

Torino 166 19,4 Firenze 134 15,6 Bologna 248 28,9 Milano 309 36,1 Totale 857 100,0

Le persone intervistate sono state:

• Torino: Aldo Dutto (responsabile Cpi) Antonella Sterchele (Coordinamento Unità Organizzativa Lavoratori stranieri).

• Bologna: Patrizia Paganini (responsabile Provincia servizio immigrati) Maria Lena Bigoni (responsabile Cpi Di Bologna).

• Firenze: Carmen Toscano (responsabile Cpi provincia di Firenze) Andrea Bargigli (responsabile Cpi di Firenze).

• Milano: Francesca Casanova (responsabile Cpi di Milano) Mario Brambilla (Osservatorio provinciale del mercato del lavoro).

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• Roma: Angela Oreste (responsabile Cpi di Roma Cinecittà) Emilio Perrucci (Centro servizi immigrazione).

2.2 Le caratteristiche degli utenti intervistati

La rilevazione ha permesso di raccogliere informazioni su 857 utenti che, a vario titolo, si sono recati nei Cpi nel periodo durante il quale si sono svolte le interviste. Un primo dato che emerge è, innanzitutto, l’elevato numero di nazionalità censite nella rilevazione (65), ma con le prime 10 che raccolgono ben il 65% del totale degli individui intervistati. Quello della numerosità delle comunità straniere è, del resto, un fenomeno ben conosciuto a chi studia la presenza immigrata in Italia, riconducibile alle dinamiche dei flussi migratori degli ultimi anni e all’assenza, al contrario di altri paesi europei da più lungo oggetto di immigrazione, di legami storici con territori esteri (spesso ex colonie).

Tab. 1 - Utenti intervistati per nazionalità e genere. Valori percentuali

(*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Su tutte, due sono le nazionalità che caratterizzano la popolazione censita: quella

peruviana e quella marocchina, cui appartengono complessivamente più di un quarto degli utenti. Si tratta, in linea di massima, di dati che rispecchiano abbastanza fedelmente la distribuzione dei residenti nei 4 comuni capoluogo oggetto dell’indagine. Per quanto non nello stesso ordine di importanza, infatti, 8 delle prime 10 nazionalità qui rilevate compaiono anche nelle prime 10 comunità più consistenti secondo i dati Istat112; in

112 Istat, bilancio demografico al 31 dicembre, anno 2005, http://demo.istat.it.

Uomini (*) Donne (*)

Perù 33,3 66,7 14,0Marocco 57,4 42,6 11,9Bangladesh 89,1 10,9 7,5Filippine 40,7 59,3 6,9Romania 29,6 70,4 6,3Egitto 77,1 22,9 5,6Ecuador 34,1 65,9 4,8Sri Lanka 64,5 35,5 3,6Ucraina 28,6 71,4 2,5Senegal 85,0 15,0 2,3Altre nazionalità 48,7 51,3 35,0Totale 50,6 49,4 100,6

NazionalitàTotale (**)

Genere

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particolare, le nazionalità sottorappresentate nella rilevazione Isfol sono quella albanese (che, per dimensione, rappresenta l’11ma comunità) e quella cinese. Si tratta, ovviamente, di due informazioni tra loro non confrontabili, sia per metodologia che per finalità, ma che in qualche misura danno idea della coerenza tra i dati qui rilevati e la popolazione residente. A tal proposito, la bassa presenza di cittadini cinesi nel campione sembra confermare la storica ritrosia e difficoltà di questi ultimi a relazionarsi con le istituzioni (pubbliche e private) esterne alla loro comunità.

I dati raccolti mostrano una popolazione sostanzialmente equidistribuita per genere, con una leggerissima prevalenza di uomini. Ma, guardando alle singole comunità, si evidenziano, per alcune di esse, forti concentrazioni di genere. In particolar modo risal-tano le comunità peruviane, ecuadoriane, rumene e soprattutto ucraine per quel che riguarda le donne, e il gruppo dei cittadini provenienti dal Bangladesh, e dall’Egitto per gli uomini. Si tratta, come nel caso delle ucraine e dei bengalesi, di tassi di concen-trazione molto elevati, che sottendono modelli migratori molto diversi. Mentre, infatti, nel caso delle donne ucraine si è di fronte un alto tasso di concentrazione di genere tipico delle comunità di più recente ingresso113, gli alti tassi di mascolinizzazione che interes-sano i cittadini del Bangladesh e dell’Egitto riguardano di comunità che “frequentano” il nostro paese ormai da molto tempo e che, in qualche misura, indicano una minore stabilizzazione e integrazione delle comunità nel territorio.

Tale considerazione è possibile estenderla anche al caso della comunità peruviana, la cui alta percentuale di donne, però, evidenzia il fenomeno di “spezzamento dei nuclei familiari”114, fenomeno tipico de flussi recenti dell’immigrazione femminile nei paesi Sud europei. Anche in Italia, infatti, le donne da subito hanno rappresentato una componente molto rilevante nei flussi di ingresso, contraddicendo i classici schemi che vedevano negli uomini (generalmente con un grado di istruzione di medio livello) i protagonisti delle prime ondate migratorie115. La forte polarizzazione della domanda di lavoro immigrata femminile nel lavoro domestico e di cura familiare (soprattutto nei grandi centri urbani), rende però molto complesso il processo di ricostruzione del nucleo familiare originario, data la frequente coabitazione con il datore di lavoro e, comunque, la necessità di adeguare i propri ritmi di vita alle esigenze della famiglia datore di lavoro (esigenze spesso poco compatibili con quelle del propria famiglia). Lo sviluppo di ricongiungimenti familiari “atipici”116, con l’ingresso del coniuge maschio, rientra quindi in un processo tutt’altro che semplice e che richiede alla donna immigrata tempi più lunghi di inse-rimento e di stabilizzazione all’interno del paese ospitante. È proprio a tale complessità che occorre ricondurre, in linea di massima, il persistere nel tempo di alti tassi di femminilizzazione per alcune comunità straniere.

113 Tassi che col tempo tendono a decrescere soprattutto per effetto dei ricongiungimenti familiari (così come

accaduto, ad esempio, nella comunità marocchina). 114 Cfr. de Filippo E.(2000). 115 Böhning 1972. 116 Ambrosini M. (1999).

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Va infine specificato che i valori qui commentati non risultano molto diversi da quelli Istat. In altre parole, la popolazione degli utenti del Cpi non appare distorta, almeno per quel che riguarda il genere, dal “filtro”del Cpi. Ivi comprese le persone provenienti dall’area del Maghreb, ovvero da paesi nei quali la componente femminile della forza lavoro presenta tassi di attività notoriamente bassi117.

La popolazione degli intervistati risulta relativamente giovane (l’età media è di 35 anni), concentrata soprattutto nelle classi di età comprese tra i 31 e 35 anni, mentre del tutto marginali sono le classi dei più giovani e degli over 45 (tab. 2).

Gli unici dati che permettono un confronto con i cittadini italiani provengono da un’indagine sugli utenti dei Cpi condotta dall’Isfol nel 2005, che mise in evidenza una popolazione di utenti nettamente più anziana, soprattutto in ragione di una presenza ben più marcata di utenti ultra quarantenni118.

Tab. 2 - Utenti intervistati per classe di età e genere. Valori percentuali

(*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

In linea di massima le donne e gli uomini intervistati presentano una distribuzione per

età molto simile, con la popolazione femminile leggermente sbilanciata verso le classi più anziane. Gli uomini, infatti, presentano una maggior concentrazione nelle classi comprese tra i 31 e i 45 anni, mentre le donne fanno registrare percentuali più elevate per le fasce di età dai 45 anni in su, con valori che superano di oltre 2 punti percentuali quelli degli uomini.

Alcune differenze di genere emergono anche se si guarda al premesso di soggiorno posseduto. Come era ovvio aspettarsi, è il permesso di soggiorno per lavoro dipendente (stagionale e non) a essere quello più presente; rientrano in tale categoria, infatti, quasi 6 intervistati su 10. 117 Si consideri che nel 2004 in Marocco il tasso di attività delle donne over 15 era pari al 28,4% (Activite,

emploi et chômage en 2004; Royaume Du Maroc, Haut Commissariat Au Plan). 118 Si tratta di un confronto meramente indicativo, dato che le 2 ricerche si riferiscono a 2 campioni di Cpi

differenti, ma le modalità di rilevazione sono molto simili. Cfr. Baronio G., D’Onofrio M. (2006).

Uomini (*) Donne (*)

Fino a 20 anni 58,5 41,5 6,221-25 48,0 52,0 11,726-30 48,3 51,7 17,031-35 53,4 46,6 19,136-40 53,4 46,6 19,141-45 54,2 45,8 11,346-50 40,6 59,4 7,551 e oltre 44,1 55,9 8,0Totale 50,6 49,4 100,0

Età classi quinquennaliGenere

Totale (**)

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

72

Fig. 1 - Distribuzione degli intervistati per genere e classe di età. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Ben inferiore, ma comunque consistente, è il numero di soggetti in possesso di un

permesso di soggiorno per motivi familiari (pari al 16,9%) e di Carta di soggiorno, docu-mento che, nonostante le difficoltà di rilascio, interessa quasi 1 intervistato ogni 10. Seguono, quindi, gli stranieri con permesso per asilo politico (4,6%) e per lavoro auto-nomo (4,2%), ovvero tutti istituti che consentono lo svolgimento di un’attività lavorativa. Infine, il 2% circa di intervistati si dichiara privo di alcun permesso. Per quanto la quota non sia elevata, questi ultimi rappresentano una categoria non irrilevante, soprattutto se si considera che la rilevazione è stata condotta, per quanto in forma anonima, in un ufficio pubblico.

Tab. 3 - Utenti per permesso di soggiorno posseduto e genere

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

La distribuzione delle tipologie di permesso di soggiorno risulta essere leggermente

meno concentrata per le donne. Per quanto, infatti, oltre metà siano in possesso di un permesso per lavoro dipendente, più di 2 donne su 10 hanno usufruito di ricongiun-

7,2

11,1

16,2

20,2 20,2

12,1

6,0 7,09,0 9,0

5,2

12,4

17,8 18,1 18,1

10,5

0

5

10

15

20

25

Fino a 20 anni

21-25 26-30 31-35 36-40 41-45 46-50 51 e oltre

Uomini Donne

Lavoro dipendente 63,1 54,6 58,9Ricongiungimento familiare 12,4 21,5 16,9Carta di soggiorno 7,8 11,3 9,6Asilo politico - richiesta d’asilo 7,1 1,9 4,6Lavoro autonomo 5,1 3,3 4,2Nessuno 2,5 2,1 2,3Altro 1,8 5,2 3,5Totale 100,0 100,0 100,0

Permesso di soggiorno Genere

TotaleUomini Donne

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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gimento familiare, valore quasi doppio di quello dichiarato dagli uomini; così come leggermente più elevata è la quota di donne in possesso di Carta di soggiorno, mentre maggiore è la percentuale di uomini con permesso per lavoro autonomo. A tal proposito, è interessante il caso degli utenti marocchini, che presentano (tra le cinque nazionalità più numerose), la più alta quota di permessi di soggiorno di tale tipologia. Analogamente, tale comunità registra anche la più elevata percentuale di permessi per ricongiungimenti familiari (20,8%), seguita da quella dei cittadini del Bangladesh (18,8%).

Si tratta, in linea di massima, di una situazione che descrive comunità di immigrati che stanno raggiungendo una certa stabilizzazione all’interno dell’area urbana (così come testimoniato dall’elevato numero di ricongiungimenti familiari e di carte di soggiorno); tendenza confermata dalla distribuzione degli intervistati per durata della permanenza (fig. 2). Per quanto, infatti, la classe di permanenze più consistente sia quella relativa alle persone entrate in Italia tra i 2 e i cinque anni fa (34,5%), la media della durata della per-manenza risulta essere ben più alta (12 anni) e la mediana cade al sesto anno. In altre parole, la metà degli intervistati ha fatto il suo ingresso nel nostro paese da almeno 6 anni (vale a dire, un tempo sufficiente per richiedere la Carta di soggiorno), e più di un quarto da almeno 10.

Fig. 2 - Utenti per anni di permanenza. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Si consideri, inoltre, che una quota non irrilevante delle persone intervistate si è

stabilita all’interno dei centri urbani presi qui in esame solo successivamente al suo ingresso. Ben il 25,7% del campione, infatti, dichiara che inizialmente la sua provincia di residenza era un’altra. Tale fenomeno è particolarmente evidente per le province di Bologna e di Firenze, con tasso di immigrazione inter-provinciale rispettivamente pari al 35% e al 29,5% (fig. 3). I bassi valori registrati a Milano e a Torino suggeriscono il forte potere attrattivo delle due prime province, soprattutto per la loro posizione geografica, più

4,18,1

15,6

9,5

34,5

28,2

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Fino ad 1 anno

Da 2 a 5 anni

Da 6 a 9 anni

Da 10 a 14 anni

Da 15 a 19 anni

20 anni e oltre

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facilmente raggiungibile dai flussi migratori provenienti dalle aree centro-meridionali. Gran parte dei trasferimenti di residenza, infatti, interessano regioni differenti (sono inter-regionali ben l’82,5% dei trasferimenti), con una netta preponderanza dei flussi prove-nienti dall’Italia del Centro-Sud (fig. 4)

Fig. 3 - Percentuale di utenti immigrati residenti al momento dell’ingresso in altre province italiane. Percentuale su totale residenti

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Fig. 4 - Utenti intervistati residenti al momento dell’ingresso in altre province italiane, per area di residenza iniziale. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Si conferma, quindi, l’esistenza di traiettorie di re-immigrazione119 interne al paese di

destinazione, che reindirizzano, generalmente lungo la direttrice Sud-Nord, gli immigrati verso aree che offrono maggiori occasioni di inserimento lavorativo. Tale dinamica

119 Ambrosini M. (1999).

35,0

29,5

18,415,2

23,7

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Bologna Firenze Milano Torino Totale

Nord-Est 14%

Nord-Ovest 25%

Sud 25%

Centro 36%

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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risponde, inoltre, alla modalità con la quale gli stranieri hanno fatto ingresso in Italia; modalità che spesso non è riconducibile a quella strettamente prevista dal dettato legislativo. I visti per lavoro, infatti, riguardano solo un’esigua parte degli intervistati (8,5%), mentre più di uno su tre ha fatto il suo ingresso in Italia tramite visto turistico o, nel 29,4% dei casi, senza alcun tipo di visto (tab. 4).

Tab. 4 - Utenti intervistati per visto di ingresso

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Si configura, quindi, una popolazione che, almeno nella gran parte dei casi, non

accede al mercato del lavoro italiano attraverso le quote annualmente definite dai decreti flussi, ma tramite altre modalità, non necessariamente regolari e che, comunque, non sono compatibili con lo svolgimento di un’occupazione. Solo raramente, quindi, all’ingresso e associata già un’occupazione e, di conseguenza, la stanzialità territoriale dei soggetti (che, quindi, si muovono sul territorio per cercare un lavoro). Ne consegue, inoltre, l’ele-vato rischio di cadere nell’irregolarità, come dimostrano le dimensioni delle regolariz-zazioni che, nel corso degli anni, si sono susseguite.

Non stupisce, quindi, che oltre 6 intervistati su 10 siano stati interessati da procedure di regolarizzazione (tab. 5), il 34,7% dei quali tramite l’ultimo provvedimento del 2002, a testimonianza della difficoltà di gestire, attraverso gli strumenti legislativi attuali, i flussi di ingresso per motivi di lavoro. In effetti, incrociando i dati sui visti di ingresso con quelli relativi ai provvedimenti di regolarizzazione, il percorso appena descritto (ingresso per turismo o ingresso illegale – regolarizzazione – permesso di soggiorno) risulta ancora più evidente.

Ben il 94,3% delle persone entrate con visto turistico e il 92,5% di quelle prive di visto di ingresso, infatti, hanno fatto ricorso a regolarizzazione (complessivamente, tali categorie di utenti coprono 90,8% delle regolarizzazioni), mentre percentuali molto più basse (16,7%) interessano coloro che sono immigrate attraverso un visto per lavoro dipendente o autonomo.

Visto

Turismo 33,0Nessuno 29,4Ric Familiare 18,8Lavoro dipendente 8,5Motivi di studio 3,3Motivi umanitari 1,9Richiesta asilo 1,8Lavoro autonomo 1,4Altro 2,0Totale 100,0

Val. %

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Tab. 5 - Utenti intervistati che hanno fatto ricorso a procedure di regolarizzazione. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Sembrerebbe, quindi, che il rischio di cadere nell’irregolarità sia piuttosto basso per le

persone entrate in Italia attraverso i flussi contingentati annualmente, a fronte, però, di una percentuale veramente esigua di soggetti che usufruiscono di tali possibilità di ingresso. D’altro canto, le procedure di regolarizzazione sono state un formidabile strumento per fornire ai lavoratori stranieri diritti sociali fondamentali, oltre a facilitare i processi di mobilità geografica (ma anche lavorativa) che sono alla base di qualsiasi percorso di integrazione ed ascesa sociale.

2.3 La condizione lavorativa

Per quanto in gran parte non occupati, poco meno di un terzo degli intervistati ha dichiarato di svolgere un’attività lavorativa (32,4%). Si tratta di una quota tutt’altro che marginale e che, in parte, è sicuramente imputabile alle modalità con cui è stata condotta l’indagine.

Fig. 5 - Utenti intervistati per condizione lavorativa

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Anno regolarizzazione

1987-88 2,61990 3,91995-96 7,71998 10,42002 34,7% di regolarizzati 62,4

Val. %

30,2 34,8 32,4

69,8 65,2 67,6

0

20

40

60

80

100

Uomini Donne Totale

Occupati Non occupati

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Si ricorda, infatti, che l’intervista era destinata a qualsiasi utente extra o neo-comunitario che si recava al Cpi, a prescindere dalla sua condizione occupazionale e dal motivo che li lo aveva condotto. Si è intercettata, così, un’ampia fascia di utenza, che non necessariamente si recava al Cpi per cercare un’occupazione. Peraltro, l’esistenza di servizi specifici per stranieri porta, spesso, gli operatori ad occuparsi anche di questioni non direttamente attinenti al lavoro, spesso trasformando lo stesso servizio in un vero e proprio sportello informativo. Non per nulla, fondamentale per l’efficacia del servizio, è la capacità della struttura (e spesso degli stessi operatori), di costruire una rete relazionale con gli altri attori istituzionali del territorio (ed in particolare la Questura e il Comune) così da estendere, in qualche modo, la funzione di mediazione oltre gli stretti confini dei servizi per l’impiego120. È pur vero che l’utilizzo dei servizi per l’impiego anche da parte di persone occupate rispecchia un trend rilevato già da alcuni anni per l’insieme dell’utenza dei Cpi121, soprattutto laddove maggiormente è stata recepita la riforma dei Spi, che vedeva una progressiva riduzione degli aspetti adempimentali, a favore dei cosiddetti servizi avanzati. Per quanto, quindi, i motivi che possono portare la persona a frequentare il Centro per l’impiego possano essere molteplici, esiste comunque una crescente quota di lavoratori che vedono in quest’ultimo un’opportunità per migliorare la propria posizione lavorativa; ipotesi confermata dal fatto che (anticipando una tematica che verrà approfondita più avanti), il 39,9% degli occupati intervistati hanno indicato nella volontà di cambiare lavoro il motivo che li ha condotti quel giorno al Centro per l’impiego. Si tratta, quindi, di una porzione di “clientela” che chiede al servizio pubblico non semplicemente un’opportunità occupazionale, ma un’occasione lavorativa migliore che, parafrasando slogan ultimamente molto in voga, potrebbe essere riassunta in un “buon lavoro”. Si pone qui, prepotente, il tema del Cpi come occasione di accesso al mercato del lavoro formale che, per soggetti deboli quali i lavoratori immigrati, appare come un fattore determinate di emancipazione, integrazione e stabilizzazione. La ricerca di lavoro operato sul mercato informale, infatti, per quanto largamente maggioritario (attraverso i legami di amicizia e conoscenza diretti e indiretti) trova una serie di limiti nella capacità dei soggetti di costruire reti relazionali estese e diversificate. È altrettanto evidente quanto tale capacità sia direttamente correlata all’inserimento socio-lavorativo del soggetto e, in ultima analisi, al suo periodo di permanenza in un territorio122. Ne consegue, quindi, un’ulteriore difficoltà per i cittadini immigrati che, in tale dinamiche, risultano penalizzati da un scarsa conoscenza del mercato del lavoro locale. In tal senso, il meccanismo delle reti etniche presenta un efficace strumento per aggirare l’ostacolo, permettendo di sfruttare le opportunità relazionali di chi, generalmente connazionale, è in 120 Riferimento rapporti Cpi. 121 Le ripetute indagini sull’utenza dei Cpi, condotte dall’isfol negli ultimi anni, hanno rilevato un costante

aumento della quota di utenti occupati che si recano nei Centri per l’impiego per cambiare lavoro. In particolare, nell’ultima indagine disponibile (2005) il 25,9% degli intervistati ha dichiarato di essere occupato. Cfr. Baronio G., D’Onofrio M. (2006).

122 Il tema dei canali utilizzati per la ricerca di lavoro è qui solo accennato ed è oggetto di uno specifico paragrafo successivo.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Italia da più tempo. Non sempre, però, tale meccanismo è anche efficiente,e l’azione di “sponsorizzazione all’interno delle reti si salda con l’incessante produzione di stereotipi a base etnica da parte della società ricevente”123. Per quel che qui interessa, pare rilevante sottolineare quanto tali stereotipi rendano spesso poco spendibile il capitale formativo e lavorativo accumulato dal soggetto, certificabile con strumenti che nel mercato informale spesso sono poco utili. Al contrario, il lavoratore straniero si trova spesso a dover operare in un mercato del lavoro che sembra moto simile a quello che la letteratura economica definisce “secondario”. Tale mercato, semplificando notevolmente, si caratterizza per mansioni che tendono ad essere di scarso o nullo contenuto professionale (unskilled), con bassi livelli salariali e collegabili ad un basso livello sociale. In tale settore, caratterizzato da lavori tendenzialmente instabili e con scarse possibilità di carriera, tendono a concentrarsi le minoranze razziali e i gruppi come le casalinghe e i giovani. Il settore primario, al contrario, richiede skilled workers (nella maggior parte dei casi acquisibile tramite on-the-job training), e offre chances occupazionali maggiori e più stabili. In altre parole, quindi, ad un settore primario caratterizzato, soprattutto per la sua componente superiore, da lavori che comportano un ampio spettro di mansioni tra loro collegate, se ne contrappone uno che offre posti di lavoro tendenzialmente instabili, con mansioni che non richiedono alcuna competenza specifica e processi di apprendimento semplici e veloci124.

Guardando alle tipologie contrattuale dichiarata dagli occupati, tale condizione di precarietà sembra trasparire in maniera piuttosto evidente.

Per quanto il 37,8% degli occupati dichiari di avere un contratto a tempo indeter-minato (condizione di indeterminatezza limitata, tra l’altro, da un contratto di soggiorno di durata comunque definita), un’altra notevole “fetta” è in possesso di un contratto a termine (24,5%) e in più di 20 casi su 100 è addirittura privo di alcun contratto.

In tali condizioni di precarietà, non stupisce quindi che, come confermano le stati-stiche ufficiali, i lavoratori stranieri presentino una concentrazione per professioni circa cinque volte più elevata di quella registrata per i lavoratori italiani, e in professioni generalmente poco o per nulla qualificate125.

Tali considerazioni vengono confermate anche se si guarda alle professioni ricoperte dagli intervistati occupati (tab. 6). Le prime cinque professioni dichiarate ricoprono, infatti, il 71,2% del totale, ma basta arrivare alle prime tre per raccogliere la maggioranza degli utenti.

Tale concentrazione è ancor più evidente se si analizzano i dati per genere. Se infatti le prime due occupazioni più numerose per gli uomini (addetti non qualificati ai servizi di pulizia e operai semi-qualificati di macchinari fissi) raccolgono il 33,1% dei soggetti, per le donne tale valore cresce considerevolmente, tanto che ben 6 su 10 sono occupate come

123 Ambrosini M. (2004). 124 Priore M. J. (1983. 125 Istat (2006).

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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collaboratrici domestiche o addette non qualificate ai servizi di pulizia, con un indice di Gini superiore.

Fig. 6 - Utenti occupati per tipologia di contratto. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 6 - Utenti occupati per tipo di professione dichiarata (classificazione Istat 2001)

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Si tratta, nell’un caso e nell’atro, di professioni poco o per nulla qualificate e che,

soprattutto per la componente femminile della popolazione, racchiudono gran parte delle opportunità occupazionali offerte. Polarizzazione che, pur considerando il fatto che i dati raccolti si riferiscono ad aree urbane, in cui il lavoro di cura e di pulizia rappresenta, per ovvie e conosciute ragioni, una notevole fetta della domanda di lavoro, rende bene l’idea

Co.co.pro.-Co.co.co.- Co. Occ.

7,2%

Lavoratore senza contratto20,9%

Altro4,0%

Dipendente a T.D24,5%

Dipendente a T.I.37,8%

Lavoro autonomo

5,8%

Collaboratori domestici e assimilati 7,3 7,3 42,9 42,9 26,1 26,1Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese 14,5 21,8 17,1 60,0 15,9 42,0Operai semiqualificati di macchinari fissi 18,5 40,3 5,7 65,7 11,7 53,8Personale non qualificato nei servizi turistici 12,9 53,2 8,6 74,3 10,6 64,4Esercenti e addetti alla ristorazione ed ai pubblici esercizi 10,5 63,7 3,6 77,9 6,8 71,2Altre professioni 36,3 100,0 22,1 100,0 28,8 100,0

Indice di Gini 0,76

% % Cum.Uomini

% Cum.Totale

0,72

% % Cum.Donne

%Professione

0,62

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

80

di quanto sia difficile per le lavoratrici straniere uscire da percorsi occupazionali definiti e sostanzialmente impermeabili a processi di carriera e di valorizzazione del capitale umano.

Un ulteriore elemento di sostegno a quanto appena esposto è fornito dall’incrocio tra la professione attualmente svolta e quella svolta nel paese di origine, al fine di agevolare la lettura dei dati, le professioni sono state classificate in tre livelli professionali (alto, medio e basso). Operando in tal modo è stato così possibile verificare se il processo migratorio abbia portato, almeno da un punto di vista della professione svolta, ad un cambiamento della propria situazione (inteso qui come passaggio da un livello profes-sionale più altro).

I risultati, come si anticipava, non modificano il quadro fin qui esposto, e anzi mostrano come il trasferimento in Italia, in molti casi, ha portato a occupare professioni meno qualificate di quelle svolte in patria.

Si trovano in tale situazione, infatti, ben il 52% delle persone intervistate, mentre soltanto per un esiguo 2,9% il percorso migratorio ha portato ad un’evoluzione del proprio livello professionale.

Fig. 7 - Percentuale di utenti occupati per variazione della professione ricoperta in Italia, rispetto a quella svolta nel paese di origine. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Decisamente più corposa è, invece, la quota di intervistati per i quali la situazione è

sostanzialmente rimasta invariata, ma a ben vedere si tratta generalmente di persone legate a bassa qualifica.

Come evidenziato dallo schema 1, infatti, ben il 94,6% di coloro che ricoprivano professioni bassa qualifica nel paese di origine, si trovano ad essere occupati in Italia in professioni di pari livello. Ma le cose vanno anche peggio a coloro che possono vantare maggiori competenze, dato che l’89% e l’85% di quelli che ricoprivano professioni rispettivamente di medio e alto livello, attualmente ricoprono quelle del livello più basso.

Migliorata 3%

Peggiorata 52%

Identica 45%

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Sembra confermata, quindi, una totale indifferenza del mercato del lavoro nel valorizzare le qualifiche e le esperienze lavorative possedute dall’offerta di immigrata.

Considerazione solo in parte mitigata dal fatto che gli occupati qui intercettati appar-tengono ad un campione di utenti per l’impiego (e quindi in cerca di un lavoro migliore), e dalla presenza di 93 persone che, disoccupati nel paese di origine, sono riusciti a trovare un impiego in Italia.

Sembra comunque sussistere un certo processo di emancipazione dei lavoratori stranieri dalle occupazioni meno qualificate grazie ad una progressiva integrazione socio-lavorativa, ma solo dopo un numero di anni considerevole.

Schema 1 - Utenti occupati intervistati per livello di professione svolta al paese di origine e in Italia. Valori percentuali

Infatti, se si incrociano i livelli professionali ricoperti con gli anni di permanenza in

Italia, emerge come solo che le persone immigrate da più di 6 anni la percentuale di professioni a media e alta qualifica comincia a diventare di una qualche rilevanza.

Come già segnalato, il 67,6% gli utenti intervistati (pari a 579 unità) hanno dichiarato di essere disoccupati. La percentuale per genere segna una maggioranza di uomini (fig. 9) e riflette sostanzialmente la distribuzione degli intervistati, anche se la percentuale risulta leggermente superiore (poco più di due punti percentuali) rispetto alla quota di uomini sul totale degli intervistati.

Bassa100%

Bassa94,6%

Media4,1%

Alta1,4%

Media100%

Bassa89,6%

Media9,1%

Alta1,3%

Alta100%

Bassa85%

Media15%

Alta0%

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Fig. 8 - Percentuale di utenti occupati per livello di professione ricoperta e durata in classi di anni di permanenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Fig. 9 - Utenti disoccupati per sesso. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Rispetto alla condizione occupazione, gran parte dei non occupati intervistati era alla

ricerca di una nuova occupazione (tab. 7), mentre la quota di coloro che hanno dichiarato di essere privi di precedenti esperienze lavorative coinvolgeva circa il 15% degli stranieri. Marginali sono, infine, le quote relative alle altre modalità previste, anche per l’ovvia considerazione che, trattandosi di un campione di interviste raccolte in un Centro per l’impiego, gran parte delle persone intervistate vi si erano recate per cercare un impiego, o sbrigare pratiche per ottenerne uno. Sono invece significative alcune differenze che emergono nel confronto fra non occupati maschi e femmine; differenze che non solo riguardano, come prevedibile, la categoria delle casalinghe, ma soprattutto quella degli inoccupati. Le immigrate che per la prima volta si affacciano sul mercato del lavoro, infatti, sono ben il 18,2% delle intervistate, valore che supera di quasi 8 punti percentuali

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Fino a 3 anni Tra 4 e 6 anni Tra 7 e 10 anni Tra 11 e 15 anni Oltre 15 anni

Bassa Media Alta

Uomini 52,3%

Donne 47,7%

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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quello registrato tra gli uomini; differenza che qui non sembra imputabile a motivi anagrafici (anzi, il gruppo di donne intervistate presenta, come illustrato nel capitolo precedente, una concentrazione leggermente più elevata nelle età più anziane) quanto, con tutta probabilità, a modelli migratori diversi. L’elevata differenza tra permessi di sog-giorno per motivi famigliari registrata a favore delle donne straniere, indica come queste siano immigrate successivamente ai loro coniugi, ed è facile aspettarsi, quindi, un loro ingresso successivo anche nel mercato del lavoro.

Tab. 7 - Utenti disoccupati per condizione. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Alcune differenze di genere è possibile rilevarle anche per quanto concerne la durata

della ricerca di lavoro (fig. 10), con le donne che presentano una percentuale identica agli uomini nella classe inferiore ai 3 mesi (con percentuali pari, rispettiva,mente, al 50,6% e al 50,8%), ma inferiore di circa 11 punti percentuali per la classe compresa tra i 6 e i 3 mesi.

Differenza compensata soprattutto dalla maggior quota di intervistate che sono disoccupate da oltre un anno e, soprattutto, che non cercano lavoro.

Si tratta, come si vede, di differenze minime, che connotano comportamenti sostan-zialmente identici tra le due popolazioni. Del resto, i tassi di attività delle donne im-migrata presentano valori molto simili a quelli degli uomini, o comunque con divari nettamente inferiori di quelli registrati tra i cittadini italiani.

In buona sostanza, le immigrate donne si caratterizzano per una propensione all’attività lavorativa molto alta126, e i dati qui riportati non sembrano tanto determinati dalla distorsione implicita dalle modalità di rilevazione (che intercettava solo quella parte di popolazione immigrata che si recava al Cpi), quanto da una condizione estendibile al complesso delle cittadini neo od extra-comunitarie presenti sul territorio italiano.

In linea generale appare infine significativa la percentuale di persone disoccupate da più di sei mesi127, condizione nella quale si trova, al netto di coloro che non cercano

126 Inserire tassi di attività extracomunitari totale nazionale. 127 Si consideri, a tal proposito, che per gli stranieri neo ed extracomunitari disoccupati in possesso di un

permesso di soggiorno in scadenza, tale periodo coincide con il limite che la legge concede per cercare un nuovo lavoro. Ciò determina, in parte, la forte concentrazione degli intervistati nelle prime due classi di

Disoccupato in cerca di nuova occupazione 82,0 69,5 75,9In cerca di prima occupazione 10,8 18,2 14,4Casalinga/o 0,0 5,9 2,9Studente 5,8 3,3 4,6Altro 1,4 3,0 2,2Totale 100,0 100,0 100,0

CondizioneMaschi Femmine Totale

Sesso

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

84

lavoro, il 25% degli intervistati. Anche per i lavoratori stranieri si va delineando, quindi, una fascia di persone che trovano difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro, fenomeno in qualche misura nuovo rispetto a modelli che individuavano negli stranieri forza lavoro quasi sempre occupata, anche se magari in lavori instabili e residuali, cui l’offerta italiana aveva rinunciato. Fenomeno col quale i Cpi stanno incominciano a confrontarsi e, non a caso, sono state avviate alcune significative azioni di reinserimento lavorativo di persone immigrate128.

Peraltro, la durata della disoccupazione presenta una certa relazione con la durata della permanenza in Italia; guardando ai tempi di permanenza, infatti, si nota un progressivo aumento dell’incidenza delle persone in cerca da più di 6 mesi, all’aumentare degli anni di permanenza.

È difficile dare una chiara lettura di tale andamento, sicuramente determinato in gran parte dalla possibilità di allungare i tempi di disoccupazione grazie a un sistema di relazioni familiari e sociali che, col perdurare del soggiorno, divengono più stabili e solide. Ma è anche vero che tale dato può indicare, da un lato, il persistere di condizioni di lavoro instabile o irregolare e, dall’altro, mostrare come alla crescita del tempo di permanenza non segua una reale integrazione socio lavorativa, che dovrebbe manifestarsi anche con il minor tempo necessario per trovare un impiego.

Fig. 10 - Utenti non occupati per durata della ricerca di lavoro

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

durata della ricerca di lavoro.

128 Tra gli altri, si segnala l’intervento della Provincia di Milano“immigrati disoccupati e servizi per l’impiego- valorizzazione e sviluppo di competenze per immigrati” e il progetto “Pari - Azioni per il reimpiego degli immigrati” del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Ministero della solidarietà sociale - Direzione Generale degli ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione.

50,8

24,6

11,8 9,83,0

50,7

19,212,5 11,6

6,09,2

13,713,313,3

50,6

0

10

20

30

40

50

60

Meno di 3 mesi

Da 3 a 6 mesi

Da 6 a 12 mesi

Da oltre 12 mesi

Non cerco lavoro

Uomini Donne Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

85

Fig. 11 - Utenti disoccupati per durata della ricerca di lavoro e anni di permanenza in Italia

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

2.4 Il livello di istruzione degli utenti intervistati

Il campione di utenti intervistati si segnala, come già accennato nel capitolo precedente, per un livello di istruzione medio alto. In particolare, oltre la metà degli inter-vistati è in possesso almeno di un diploma di licenza media superiore, e ben il 14,5% è in possesso di una laurea (fig. 12).

Fig. 12 - Utenti intervistati per genere e titolo di studio dichiarato

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

50,9

64,557,9

39,5

26,319,3 17,0

23,015,8

8,413,8

17,1

7,0 7,811,3

20,4

0

10

20

30

40

50

60

70

Fino ad 1 anno Da 2 a 5 anni Da 6 a 9 anni 10 e oltre

Meno di 3 mesi Da 3 a 6 mesi Da 6 a 12 mesi Da oltre 12 mesi

6,38,4

34,537,3

13,5

2,6

8,6

30,5

42,9

15,5

4,58,5

32,5

40,0

14,5

0

5

10

15

2025

30

35

4045

50

Nessun titolo

Lic. elementare

Lic. media

Maturità oqualifica prof.le

Laurea

Uomini Donne Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

86

Il resto del campione è, nella gran parte dei casi, in possesso del diploma di scuola media (circa un intervistato su tre), mentre sono molto basse le percentuali di coloro che hanno raggiunto soltanto la licenza elementare o non hanno conseguito alcun titolo (rispettivamente l’8,5% e il 4,5% degli intervistati). Se si guarda ai dati presentati nell’ultima rilevazione sull’utenza dei Cpi129, le differenze con la distribuzione dell’insie-me dell’utenza dei Cpi è decisamente rilevante. In quest’ultima indagine, infatti, ben il 57% degli intervistata dichiarava di essere al massimo in possesso della licenza media, il 33,5% di un diploma e, infine, solo il 9% di un titolo universitario.

Un ulteriore conferma del grado di istruzione dei lavoratori stranieri residenti emerge dalle informazioni estratte dalla Rilevazione continua delle Forze lavoro dell’Istat (tab. 8). Da tali dati risulta, infatti, che oltre il 46% degli stranieri sono in possesso almeno di un diploma di scuola superiore, contro il 40,8% egli italiani, sia in ragione di un più alto numero di laureati (9,8% degli stranieri, contro il 9,1% degli italiani), che di diplomati (36,6% e 31,7%). Al contrario, nettamente inferiore risulta la quota di stranieri in possesso, al massimo, della licenza elementare, con una percentuale inferiore di quasi 12 punti percentuali rispetto a quella degli italiani.

Tab. 8 - Cittadini per titolo di studio e nazionalità. Valori percentuali

Fonte: Istat, Indagine continua sulle forze lavoro. Media 2005.

Quindi, la composizione del campione qui osservato sembra confermare l’idea di una

migrazione tendenzialmente selettiva, o auto selettiva, correlata positivamente con i titoli di studio e che coinvolge solo coloro che hanno risorse sufficienti130. Tale meccanismo discriminante, decisivo soprattutto per le prime ondate migratorie, tende poi a mitigarsi e ad abbassare il livello di istruzione, anche col progressivo alimentarsi della popolazione straniera residente attraverso i ricongiungimenti familiari. Infine occorre segnalare l’elevato numero ingressi dai paesi dell’Est Europa, flussi che hanno portato in Italia, soprattutto negli ultimi anni, cittadini provenienti da paesi in cui il livello di istruzione medio è piuttosto elevato.

Peraltro, se si guarda alla popolazione intervistata per genere, si nota una maggior concentrazione delle donne nei titoli medio alti. Ben il 42,9% di queste ultime, infatti, sono in possesso di un diploma di scuola secondaria, contro il 37,3% degli uomini, e il

129 Baronio G. e D’Emilione E. (2005). 130 Venturini A. (2001).

Titolo di studio

Licenza elementare/nessun titolo 28,1 16,4 27,7Licenza media 31,1 37,1 31,3Diploma scuola superiore 31,7 36,6 31,9Titolo universitario 9,1 9,8 9,1Totale 100,0 100,0 100,0

Italiani Stranieri Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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15,5% hanno raggiunto la laurea, quota anch’essa più elevata del corrispettivo maschile (13,5%). Al contrario, la componente maschile del campione presenta concentrazioni più elevate per i titoli di studio inferiori; in particolare il 34,5% possiede la sola licenza media (quota di 4 punti percentuale superiore a quella delle donne) e il 6,3% risulta privo di alcun titolo, contro una quota di donne pari appena al 2,6%.

Differenze è possibile rilevarle, inoltre, se si analizza il dato per nazionalità. Guardando, infatti, alle prime cinque nazionalità per numerosità presenti nel campione, i cittadini rumeni e filippini presentano le più alte concentrazioni di utenti con alti titoli di studio (fig. 13).

Fig. 13 - Utenti intervistati per titolo di studio e cittadinanza. Prime cinque nazionalità. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Nello specifico, ben il 72,1% dei rumeni e il 57,9% dei filippini è in possesso almeno

di un titolo di scuola secondaria superiore, ma con i secondi che registrano un’altissima percentuale di laureati (21,1%), mentre per i primi tale quota risulta essere tra le più basse rilevate (5,6%). Specularmente, sono i cittadini del Bangladesh a risultare, fra le prime cinque nazionalità, i meno formati. Ben il 67,2% di questi ultimi, infatti, è in possesso di un titolo non superiore alla licenza media, e più di 2 su 10 alla licenza elementare, mentre, tanto la quota di laureati che di diplomati risulta inferiore alla media del campio-ne. È bene, comunque, considerare che i titoli di studio qui esaminati risultano da autodichiarazioni di intervistati che, nella maggior parte dei casi, li hanno acquisisti nei rispettivi paesi di origine (ciò risulta essere vero per 93,8% dei titoli dichiarati), facendo quindi riferimento a sistemi di istruzione e formativi differenti, e spesso difficilmente comparabili con quello italiano. Per tale ragione è stata inserita all’interno del que-stionario anche una domanda circa gli anni di studio frequentati con successo (fig. 14), al fine di rendere maggiormente uniforme l’informazione rilevata, anche se, utilizzando

0

10

20

30

40

50

60

70

Fino alla lic. elem. Lic. media Maturità o qual. prof Laurea

Perù Marocco Bangladesh Filippine Romania Totale

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quest’ultima variabile, non è possibile poi operare un confronto diretto con la popolazione italiana.

Fig. 14 - Utenti intervistati per genere e anni di istruzione frequentati con successo. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Anche guardando agli anni di studio (fig. 15), comunque, le donne confermano quanto

risultava dall’analisi precedente, ovvero la maggior propensione all’istruzione o, per meglio dire, il fatto che la componente femminile dei flussi presenti una maggior selezione relativamente ai livelli di istruzione.

Fig. 15 - Utenti intervistati per anni di studio frequentati con successo e paese di cittadinanza. Prime cinque nazionalità. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Meno di 5 anni Da 5 a 7 Da 8 a 10 Da 11 a 13 Da 14 a 16 Più di 16

Uomini Totale Donne

05

101520253035404550

Meno di 5 anni Da 5 a 7 Da 8 a 10 Da 11 a 13 Da 14 a 16 Più di 16

Perù Marocco Bangladesh Filippine Romania Totale

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Mentre, infatti, per gli utenti che dichiarano di aver frequentato fino a 10 anni di corsi di gli studi la concentrazione degli uomini è maggiore di quella registrata per le donne, per la classe 11-13 anni di studio la situazione si inverte, con le donne che presentano percentuali di quasi 12 punti più elevate. Caratteristica che viene mantenuta, anche se con diversa intensità, per le classi successive.

Anche guardando alla cittadinanza viene confermato quanto precedentemente riportato per i titoli di studio dichiarati. Sempre riferendosi alle prime cinque nazionalità, i cittadini rumeni e quelli filippini sono quelli con i valori medi più elevati (rispettivamente 12 e 12,4 anni). Queste ultime due comunità, inoltre, confermano la concentrazione più elevata di utenti nella fascia di istruzione medio alta (superiore agli 11 anni), mentre i peruviani si caratterizzano, anche in questo caso, per l’elevata quota di intervistati con elevati livelli di istruzione (più di 15 anni).

Infine, i bengalesi rimangono con 9,8 anni la comunità che segna i tassi di istruzione più bassi, e comunque ben al di sotto della media totale di 11,9 anni.

Ma in che misura l’investimento in formazione poi si riflette sulla condizione lavorativa? In altre parole, l’elevato livello di istruzione che caratterizza la popolazione straniera viene in qualche misura percepito dalla domanda di lavoro interna?

È bene, a questo proposito, fare alcune opportune precisazioni prima di procedere alla lettura dei dati. Si sta qui considerando, infatti, un campione particolare di immigrati che, nella maggior parte dei casi, è alla ricerca di un lavoro. Inoltre, anche fra coloro che dichiarano di essere occupati, una buona quota è comunque alla ricerca di un’altra occupazione e, quindi, non considera quella attuale adeguata alle proprie esigenze o capacità.

Infine, occorre considerare che il mercato del lavoro, nel quale si muovono i soggetti intervistati è quello di un grande centro urbano, nel quale assume una forte rilevanza il settore dei servizi e che, come già spiegato in precedenza, presenta una scarsa attenzione alle qualifiche, soprattutto quelle tecniche, possedute dai cittadini immigrati.

Alla luce di tali considerazioni, è quindi lecito aspettarsi una relazione molto bassa tra il livello di istruzione e la condizione lavorativa degli intervistati. Rapporto in parte intuibile dalla fig. 16, che mostra una leggera correlazione positiva tra la percentuale di occupati e il totale degli anni di studio dichiarati.

Tale relazione viene maggiormente esplicitata se si guarda al campione di intervistati per genere e titolo di studio dichiarato (fig. 17).

Se nel complesso, infatti, l’andamento rispecchia quanto appena visto per gli anni di studio dichiarati, con una relazione diretta tra percentuale di occupati e titolo posseduto, analizzando i dati per genere, si rileva un andamento speculare fra le componenti femminili e maschili del campione.

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Fig. 16 - Percentuale di utenti occupati per numero di anni di studio

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Fig. 17 - Utenti intervistati per titolo di studio e percentuale di occupati

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

In particolare, la distribuzione degli occupati mostra per le donne una correlazione

diretta fino ai titoli di scuola secondaria, mentre per gli uomini la situazione si inverte. Più nello specifico, la quota di occupate passa dal 23,7% per quelle in possesso, al

massimo, della licenza elementare, al 34,4% nel caso di immigrate in possesso della li-cenza media, per crescere poi ulteriormente, fino al 38,9%, per le donne che hanno acqui-sito un diploma di maturità o una qualifica professionale, Infine, la percentuale di occu-pate inverte tale andamento, per assestarsi, per le laureate, al 30,8%. Come si diceva, invece, per gli uomini accade esattamente il contrario, con percentuale di occupati che

0

10

20

30

40

50

60

0 5 10 15 20 25

15

20

25

30

35

40

45

Fino alla lic. elementare

Lic. media

Maturità o qual. prof.le

Laurea

Totale Uomini Donne

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passa dal 30,2% per gli immigrati in possesso al massimo della licenza elementare, al 27,5% per quelli con maturità o qualifica professionale. Infine, la quota cresce per i laureati al 37,9%; quota di oltre 7 punti percentuale superiore a quella delle donne.

In definitiva, quindi, sembrerebbe che per le donne immigrate il grado di istruzione rappresenti un elemento premiante nei processi di inserimento lavorativo, almeno fino ai titoli di livello intermedio. Al contrario, la domanda di lavoro sembra sensibile per gli uomini soltanto ai titoli di studio più alti.

È bene ricordare l’elevata concentrazione delle donne occupate nelle professioni legate alla cura della persona e alle pulizie131, con una notevole fetta di domanda di lavoro proveniente dalle famiglie. Le occupazioni dichiarate dagli uomini, invece, erano caratterizzate da una minor concentrazione per professioni e più legate a mansioni tecniche, ancorché di basso livello (operai semiqualificati di macchinari, ecc.).

Sembra, in altre parole, che più che per gli skills posseduti, il titolo di studio per le donne presenti un valore indicativo della loro capacità relazione con il datore di lavoro. L’assumere una badante o una lavoratrice domestica, che spesso condivide con la famiglia per cui lavora spazi e abitudini, può essere facilitato dal fatto che conosca l’italiano, o una lingua straniera, o che possieda una maggior capacità di relazione con gli individui e la società. Capacità, in qualche misura conseguenza anche di un percorso di studio più lungo. Per gli uomini, invece, per i quali il mercato del lavoro domestico è percentualmente meno rilevante, tali capacità sono meno importanti, e i titoli di studio assumono importanza solo se di alto livello (laurea).

Fig. 18 - Percentuale di titoli di studio conseguiti all’estero che sono stati riconosciuti in Italia

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

131 I Collaboratori domestici e assimilati raccoglievano, per le donne, il 42,9% delle professioni dichiarate.

1,4

10,5 10,0

12,2

9,3

0

2

4

6

8

10

12

14

Lic. elementare

Lic. media

Maturità o qualif. prof.le

Laurea Totale

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Si consideri, inoltre, che in realtà il percorso scolastico e formativo trova poco spazio all’interno delle dinamiche allocative dell’offerta di lavoro extra o neocomunitaria, anche in ragione della bassissima percentuale di titoli di studio riconosciuti in Italia.

Stando ai questionari raccolti, infatti, meno del 10% dei titoli dichiarati risultano riconosciuti. Chiaramente, la quota cresce all’aumentare del livello del titolo considerato, in ragione di un rapporto costi/benefici del riconoscimento che decresce all’aumentare del titolo da riconoscere; ma anche considerando la percentuale di riconoscimento relativa ai titoli universitaria (pari al 12,2%), quest’ultima appare ancora molto bassa, soprattutto in ragione di procedure spesso lunghe, costose e complesse. È inoltre evidente che, a tale complessità e onerosità procedurale, si affianca lo scarso interesse della domanda di lavoro nazionale per le qualifiche professionali (almeno di quelle di medio alto livello) dei cittadini immigrati, fattore che aumenta il disincentivo ad accendere procedure per il riconoscimento dei titoli di studio posseduti.

Si ripresenta, qui, il potenziale ruolo che il sistema dei Servizi pubblici per l’impiego potrebbero esercitare, in ragione di una promozione di meccanismi di certificazione e di qualificazione dell’offerta di lavoro immigrata.

Da un lato sembra rilevante insistere sul ruolo di facilitatore che la rete dei Cpi svolge all’interno del mercato formale. Aspetto che, in questo caso, può trovare una sua concreta applicazione tanto nel supporto all’utente all’avvio delle procedure di riconoscimento dei titoli, quanto nel potenziamento di meccanismi di certificazione delle competenze possedute. Inoltre, la costruzione di un pacchetto di attività formative adeguate al paese di arrivo, concorre alla formalizzazione e al riconoscimento di capacità ed esperienze altrimenti poco spendibili sul mercato del lavoro.

A questo proposito, è da rilevare come circa un terzo degli intervistati hanno dichia-rato di aver seguito un corso di formazione professionale (fig. 19), e più del 15,8% tale corso lo ha seguito in Italia.

Da sottolineare, inoltre, come tale scelta appare come un proseguimento del proprio percorso formativo, operata sia per arricchire gli skill acquisiti nel corso di quest’ultimo sia, con tutta probabilità, per reindirizzare la propria formazione su professioni che si considerano maggiormente compatibili sul mercato. Infatti, i dati raccolti, mostrano una netta correlazione tra titolo di studio e la tendenza a seguire un corso di formazione professionale. In particolare, se solo l’8% delle persone in possesso di licenza elementare hanno partecipato ad un corso di formazione, la quota sale al 27,5% per quelle in possesso di licenza media, al 37,4% per quelle in possesso di un diploma di scuola media superiore, fino al 46,3% per gli utenti laureati.

Ma, se sembrano esistere comportamenti che legano la domanda di formazione aggiuntiva a quella già acquisita, occorre evidenziare come proprio l’accesso alla prima sia spesso vincolato al possesso di un livello di istruzione adeguato. Vincolo che, per le già citate difficoltà di riconoscimento dei titoli di studio, può presentare un elemento ostativo per l’accesso alla formazione professionale degli immigrati residenti (almeno per quella di medio-alto livello). Prova ne sia che, a fronte di del 15% che ha seguito corsi di

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formazione in Italia, quasi il 60% degli intervistati ha dichiarato di voler intraprendere un un’attività formativa o un corso di formazione professionale.

Fig. 19 - Utenti che hanno partecipato a corsi di formazione in Italia e all’estero

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 9 - Utenti che vorrebbero intraprendere un’attività formativa o un corso di formazione professionale per genere e argomento di attività formativa richiesta. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Gli argomenti formativi indicati132 offrono un interessante spaccato della domanda di

lavoro “intercettata” dai cittadini immigrati, che presenta forti elementi di coerenza con quanto già visto in questo volume. Inoltre, da un lato evidenziano la volontà e la necessità di acquisire competenze più specifiche e, soprattutto, riconoscibili, per qualificare la propria offerta. Dall’altro esprimono l’esigenza di acquisire competenze più specifiche e,

132 L’argomento formativo, richiesto come specifica alla volontà di intraprendere un’attività formativa o un

Cfp, è stato inserito dagli intervistati come testo libero, e solo successivamente ricodificato.

In Italia e all'estero

0,5

All'estero 14,3

In Italia 15,8

Altro 30,6

No 69,4

Tecnico-elettroniche-informatiche 38,2 31,0 34,4Assistenza alle persone 2,3 28,9 16,3Qualifiche meccaniche-edili 26,7 2,1 13,7Artigianato qualificato e artistico 9,7 12,0 10,9Turistico-alberghiero 10,6 8,7 9,6Segreteria/amministrazione 0,9 6,6 3,9Marketing/comunicazione 1,8 0,8 1,3Commercio e addetti alla vendita 1,4 1,2 1,3Altro 8,3 8,7 8,5Totale 100,0 100,0 100,0

Argomento attività formativaUomini Donne Totale

Genere

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soprattutto, riconoscibili, per qualificare la propria offerta. Al primo aspetto è collegabile, indubbiamente, l’elevata quota di domanda formativa

riconducibile all’assistenza familiare (e, non a caso, interessa per il 93% utenti di sesso femminile). Gran parte di quest’ultima, infatti, interessava l’assistenza agli anziani e alle persone portatrici di handicap, indicando da un lato la necessità di acquisire competenze del tutto nuove e, dall’altro, di certificare con un qualche attestato la propria profes-sionalità e serietà. È rilevante segnalare, inoltre, come una quota di tali domande faceva riferimento a corsi per infermiere o operatore sanitario, richiesta che non sembra tanto riconducibile alla necessità di riconoscimento di qualifiche già possedute (pochissimi dei soggetti, infatti, hanno dichiarato di aver svolto quel tipo di professione nel paese di origine), quanto alla volontà di incrementare la propria “riconoscibilità professionale”, operando un salto di qualità che consenta loro di emanciparsi da un mercato che offre poche prospettive di crescita personale, a fronte di un aumento della domanda qualificata di operatori nell’ambito socio-sanitario.

Più strettamente legata alla domanda di lavoro sembra invece essere la categoria legata a professioni tecnico-elettroniche-informatiche, di gran lunga la più richiesta (31,9%) a prescindere dal genere degli intervistati.

Si tratta essenzialmente di richieste di corsi di informatica, ad indicare il bisogno di adeguare le proprie capacità a un’esigenza tipica di una domanda di lavoro proveniente dal settore dei servizi.

Seguono, infine, altre categorie meno rilevanti ad eccezione, per gli uomini, di quella relativa alle qualifiche meccaniche-edili che, specularmente a quanto accadeva per le donne relativamente all’assistenza alla persona, mostra una forte caratterizzazione maschile.

Come si vede dall’elenco appena presentato manca, forse sorprendentemente, la richiesta di attività formative di tipo linguistico. Tale assenza appare ancor più signi-ficativa se si considera che, al momento dell’ingresso in Italia, solo una parte minima degli utenti conosceva l’italiano (13,5%) e che, al contrario, circa un intervistato su tre ha frequentato un corso di lingua una volta entrato nel nostro paese (tab. 10).

Tab. 10 - Conoscenza della lingua italiana. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Se da un lato, quindi, sembra presente un interesse nell’apprendimento dell’italiano,

dall’altro non pare che la carenza della conoscenza linguistica sia così rilevante da trasformarsi in bisogno e, quindi, nella richiesta di un’attività formativa ad hoc. È come, in altre parole, se nell’accesso al mercato del lavoro, o a posizioni più qualificate, la

Val. %

Conoscenza dell’italiano al momento dell’ingresso 13,5Ha frequentato corsi di lingua italiana? 34,3

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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lingua non sia un elemento determinante. Questo probabilmente in ragione del fatto che, per i cittadini di primo ingresso, le occupazioni accessibili non richiedono tale competenza, mentre per coloro che sono nel paese da più tempo (e che quindi ambiscono ad una crescita professionale), il livello di conoscenza dell’italiano acquisito è già sufficiente.

Si viene quindi a configurare, all’interno dell’offerta di lavoro immigrata qui intervi-stata, un’ulteriore classificazione tra coloro che ricoprono professioni poco qualificanti ma, in qualche misura, confacenti alle loro aspettative, e coloro che aspirano a un ricono-scimento professionale più elevato, anche ricorrendo ad un ulteriore investimento forma-tivo. Tale dicotomia si percepisce in maniera più esplicita se si guarda alla percezione del lavoro svolto, o di quello che generalmente viene offerto, agli utenti intervistati. Nello specifico, il questionario chiedeva se quest’ultimo corrispondeva alle proprie capacità o alle qualifiche (titoli di studio, corsi, precedenti esperienze lavorative, ecc.), e prevedeva tre tipologie di risposta: lavori al di sotto, al disopra o coerenti con le proprie qualifi-che133. Nel complesso, gli intervistati si dividono nettamente in due gruppi: il 52,9% considera il lavoro svolto (o generalmente offerto), in linea con le proprie capacità, mentre il 46,7% ritiene che, rispetto alla propria esperienza e alla propria qualifica, venga impiegato per mansioni sottodimensionate. Praticamente assenti, infine, coloro che dichiarano di non possedere le qualifiche richieste mercato del lavoro, a testimoniare che la richiesta di formazione nasce non tanto da un’esigenza della domanda di lavoro, quanto dalla volontà dell’offerta di operare un “salto di qualità” offrendo alla prima le qualifiche maggiormente ricercate.

Guardando ai tempi di permanenza degli intervistati (fig. 20), peraltro, di riscontra un progressivo miglioramento nella percezione del lavoro che si è chiamati a svolgere, con una graduale riduzione di utenti che considerano sotto-utilizzate le proprie capacità, a favore della classe di coloro che, invece, trovano l’occupazione svolta (o offerta), in linea con queste ultime. Più specificamente, se tra i presenti in Italia da non più di cinque anni gli appartenenti alla prima categoria sono il 50% del totale, per quelli entrati da più di 15 il valore scende al 37,5%; al contempo, la quota di coloro che considerano coerenti le rispettive capacità con il lavoro ricoperto (od offerto), sale dal 49,5% al 62,5%.

All’aumentare dei tempi di permanenza, sia attraverso un aumento della capacità di integrazione dello straniero sia, con tutta probabilità, con la crescita della capacità di inserirsi nel modello lavorativo locale che, infine, con l’acquisizione on the-job di skill ulteriori, i lavoratori stranieri vedono, in qualche misura, riconosciute le loro capacità.

È chiaro che tale andamento non è del tutto lineare e non coinvolge tutti gli intervistati e, soprattutto, risente molto del livello di istruzione posseduto. Se si analizzano le risposte rispetto a quest’ultimo dato, infatti, si rileva una netta relazione inversa tra livello di titolo di studio posseduto e la percezione della coerenza tra lavoro e skill.

133 Nel dettaglio, le possibili risposte erano: “Lavori al di sotto delle capacità possedute; Lavori coerenti con

le capacità possedute; Lavori con capacità non possedute”.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tale incrocio rivela quanto sia presente, e percepito, il sottoutilizzo delle proprie capacità; e questo non in maniera generalizzata, ma con forti segnali di coerenza rispetto all’investimento formativo fatto (fig. 21).

Fig. 20 - Utenti intervistati per coerenza tra qualifiche/capacità possedute e mansioni lavorative svolte o generalmente richieste e per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Fig. 21 - Utenti intervistati per coerenza tra qualifiche e capacità possedute mansioni lavorative svolte o generalmente richieste e per anni di permanenza. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Se il 92,8% degli utenti in possesso al massimo della licenza elementare, infatti, trova

le mansioni richieste in linea con le qualifiche e le esperienze acquisite, già per coloro in

50,0 49,6

0,4

46,852,8

0,4

42,2

56,7

1,1

37,5

62,5

0,00

10

20

30

40

50

60

70

Lavori al di sotto delle capacità possedute

Lavori coerenti con le capacità possedute

Lavori con capacità non possedute

Fino a 5 anni Tra 6 e 10 anni Tra 11 e 15 anni Oltre 15 anni

92,8

72,9

41,9

13,2

52,9

7,2

26,6

57,8

86,0

46,7

0,0 0,5 0,4 0,9 0,40

102030405060708090

100

Fino alla lic. elem.

Lic. media

Maturità o qual. prof.le

Laurea Totale

Lavoricoerenti con lecapacitàpossedute

Lavori al disotto capacitàpossedute

Lavori concapacità nonpossedute

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possesso di un titolo di scuola superiore la situazione cambia radicalmente, con la quota di insoddisfatti che raggiunge quasi il 60% e, se si guarda ai soggetti in possesso di un titolo universitario, l’impossibilità di utilizzare le competenze nel mercato del lavoro interessa quasi 9 intervistati su 10.

È, come già scritto, soprattutto con tale mismatch professionale e con la conseguente distruzione di capitale umano, che il sistema dei Servizi per l’impiego deve misurarsi rafforzando “la posizione sul mercato del lavoro [dei cittadini stranieri] tramite il sostegno alla progettualità, all’emporwement e allo sviluppo personale”134.

2.5 La relazione con il Cpi

Le diverse richieste poste dagli utenti stranieri ai Centri per l’impiego si traducono in forme di relazione variabili e cangianti, che dipendono dalle caratteristiche degli utenti, dai tratti del contesto sociale ed urbano e, naturalmente, dal livello dell’offerta di servizi e dall’interazione concreta che si sviluppa tra gli stessi migranti e i Cpi. Tra le pieghe delle risposte fornite dagli e dalle utenti a proposito dei motivi che li hanno condotti al Cpi, o soffermandosi sulle difficoltà incontrate e sui canali di informazione che hanno permesso loro di conoscere l’esistenza del Cpi, è possibile intravedere alcuni elementi critici e opportunità al centro delle domande e delle relazioni sociali dei cittadini stranieri.

Il dato generale riguardante il gruppo degli intervistati viene articolato nella tab. 11. Tra i motivi di presenza presso il Cpi nel giorno dell’intervista, la maggioranza relativa degli utenti (intorno al 40% dei rispondenti) afferma di essersi recato presso il Centro per la ricerca di un’occupazione e/o per ottenere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Sebbene le percentuali si avvicinino, le due motivazioni non sono, in realtà, equivalenti: non tutte le persone alla ricerca di lavoro, infatti, necessitano anche del certificato di immediata disponibilità (perché, ad esempio, ne sono già in possesso); oppure, al contrario, diversi utenti del Cpi richiedenti il certificato di immediata disponibilità al lavoro ne avevano necessità per un uso non finalizzato alla ricerca di occupazione, ma per motivi legati al rinnovo del permesso di soggiorno o per l’accesso a servizi sociali o previdenziali135.

Tra questi ultimi aspetti rientra sicuramente una parte del dato che indica nel 12,6% il numero di coloro che si recano presso il Cpi per svolgere pratiche amministrative. Rilevante è poi il numero di persone che intendono cambiare occupazione (più di una su dieci), ovvero persone che, pur inserite nel mercato del lavoro, si rivolgono al Cpi per migliorare la propria condizione lavorativa. Altri motivi di rilievo attengono al campo

134 Brambilla M., Lo Verso L. (2006). 135 Tra gli esempi concreti rilevati durante l’indagine sul campo: esenzione dai ticket sanitari o dal

pagamento dei trasporti pubblici; riconoscimento di benefit e assegni di assistenza da parte di enti privati, documentazione per svolgere procedure di indennità di disoccupazione o di maternità.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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informativo: oltre il 18% degli utenti richiede informazioni sul lavoro, e oltre l’11% sulle procedure di soggiorno (campi di competenza anche di altre strutture private e servizi pubblici: dalla Questura ai sindacati).

La domanda di formazione incontra il bisogno di poco meno del 10% dei rispondenti; mentre le altre opzioni (frequenza di stage brevi, o la certificazione dei titoli di studio) rappresentano motivazioni decisamente marginali tra gli utenti stranieri dei Cpi. Un ultimo campo è quello dell’“accompagnamento”136, ovvero la presenza presso il Cpi di persone che ne accompagnano altre, per svolgere una funzione di mediazione informale, facilitazione ed illustrazione dei servizi offerti dal Centro per l’impiego. Rispetto al gruppo generale, pertanto, ben l’8,6% delle persone intervistate ha affermato di accompa-gnare un amico, un parente, un conoscente.

Le difficoltà incontrate dagli utenti nel rapporto con i servizi e gli operatori del Cpi, non sembrano a prima vista preoccupanti. Rispetto al gruppo generale degli intervistati, non raggiungono percentuali significative e mai superiori al 10% dei rispondenti per ogni singola difficoltà indicata. Difatti, la prima risposta è di gran lunga quella di chi sostiene di non aver incontrato alcuna difficoltà (58,6%). Va segnalato, pur nelle differenze tra i Cpi considerati, che nella maggioranza dei casi affrontati è presente un servizio direttamente rivolto agli utenti stranieri, sia nella forma di una preparazione ad hoc degli operatori del Cpi, o in quella di un’offerta specifica di mediazione culturale, di servizi e informazioni di più ampio raggio. Segue il 20% circa dei rispondenti che non esprime alcun giudizio; si tratta, per la gran parte, di persone che si sono recate presso il Cpi per la prima volta, o si trovavano ancora in attesa nella fase che precede all’accesso, e quindi non avevano ancora usufruito dei servizi del Centro; in questo caso, quindi, la mancata espressione del giudizio manifesta una mancanza di elementi, più che incapacità di valutazione da parte degli intervistati.

Assai limitata è l’espressione di difficoltà vere e proprie; ad ogni modo, tra queste sono di qualche importanza i problemi linguistici (per il 6,1% dei rispondenti), la complessità delle procedure (5,5%) e la disponibilità di informazioni (4,2%).

Il terzo campo sul quale abbiamo inteso saggiare i rapporti dei cittadini e lavoratori stranieri con il Cpi è quello dei canali mediante i quali si è venuto conoscenza del Centro stesso. Il dato generale, ancora indicato nella tab. 11, vede una nettissima prevalenza delle relazioni informali (il 61,1% dei rispondenti ha fatto ricorso a parenti, amici, conoscenti). Seguono i canali legati all’esperienza professionale e occupazionale (datore di lavoro, sindacato e associazioni, compresi tra 11% e 12%). Vi è poi un altro gruppo significativo di risorse formali e istituzionali (Questura, Comune, altri uffici pubblici) il cui peso varia tra il 6% e l’8% dei rispondenti. Assai più limitato è il ricorso ai giornali, alla propria ambasciata o una convocazione da parte dello stesso Cpi.

136 Non previsto inizialmente nel questionario somministrato agli utenti, ma poi aggiunto previa ricodifica di

diverse risposte contenute nel campo “altro” che contenevano riferimenti alla presenza dell’intervistato per conto o a sostegno di altre persone più che a un interesse diretto nei confronti dei servizi del Cpi.

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Tab. 11 - Motivi per i quali l’utente si è recato al Cpi, difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

LA RELAZIONE CON IL CPI PER GENERE Una primo approfondimento delle relazioni degli utenti con i Cpi è stato centrato sul

genere. Ad una osservazione preliminare, si rileva una generale maggiore intensità e articolazione delle richieste poste dagli uomini stranieri rispetto alle donne137 (tab. 12). In

137 Occorre ricordare che le seguenti tabelle mostrano risposte multiple alle domande poste, ovvero sono

state formulate domande che prevedevano la possibilità di esprimere più di un’opzione in risposta.

%

Motivi presenza presso il CpiRicerca di un lavoro 41,0Cambiare lavoro 10,5Frequentare stage 3,0Pratiche amministrative 12,6Dichiarazione di disponibilità 41,7Corso di formazione 9,6Informazioni relative al lavoro 18,2Informazioni legate al soggiorno 11,9Certificazione titoli 1,3Accompagnamento 8,6Altro 1,8Totale casi 160,1

Difficoltà nel rapporto con il CpiNessuna difficoltà 58,6Lingua 6,1Procedure 5,5Disponibilità informazioni 4,2Individuazione operatore/servizio 1,1Non esprimono giudizi 20,8Inefficienza del Cpi 2,3Altra difficoltà 5,7Totale casi 104,3

Canale di conoscenza del CpiQuestura 7,8Contattato dal Cpi 0,2Comune 6,3Altri uffici pubblici 7,8Ambasciata 1,5Giornali 2,7Sindacato/associazioni 11,8Datore di lavoro 11,3Amici, parenti 61,1Altro canale 7,5Totale casi 118,0

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particolare, la “molteplicità” dei motivi di presenza presso il Cpi nel giorno dell’intervista e i canali attraverso i quali si è venuti a conoscenza del Cpi sono sensibilmente maggiori nel caso dei rispondenti uomini138. Ciò significa che gli uomini hanno fornito mediamente più risposte delle donne, ovvero hanno utilizzato più canali informativi e hanno posto più richieste al Cpi e ai suoi servizi. Questo può essere interpretato in modi anche opposti: come un utilizzo più vario delle risorse offerte dai Cpi (per ottenere informazioni e cercare lavoro, per sbrigare pratiche amministrative e contemporaneamente ottenere informazioni sulle opportunità formative), ma potrebbe venire letto anche come una minore focalizzazione delle richieste poste dagli uomini al Cpi.

Tab. 12 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Passando al dettaglio dei dati, si evidenzia che tra i motivi della presenza presso il Cpi

la ricerca di un lavoro è la risposta più diffusa tra gli uomini, raggiungendo quasi la metà dei rispondenti (47,7%), mentre le donne che hanno indicato questa risposta sono poco più di un terzo delle rispondenti (34,1%). Una analoga prevalenza percentuale delle risposte maschili si concentra sulle motivazioni legate alla ricerca di informazioni, sul lavoro o sul soggiorno (di tre/quattro punti superiori alle risposte femminili). Il campo che invece vede una più significativa concentrazione delle risposte femminili, in rapporto alla proporzione di quelle maschili, è la richiesta di informazioni riguardanti corsi di formazione, che raccoglie l’11% delle donne rispondenti, contro l’8,2% degli uomini.

Le difficoltà nel rapporto con il Cpi incontrate dalle donne appaiono più pressanti di quelle maschili (tab. 13). Difatti, il 61,7% degli uomini afferma di non aver incontrato nessuna difficoltà nel rapporto con il Cpi, mentre la percentuale femminile si attesta sul 55,4%. Tuttavia, va segnalato che a questo dato si deve associare una maggiore per-

138 Il numero dei casi, ovvero il rapporto tra il numero di risposte espresse e il numero dei rispondenti è

infatti maggiore tra gli uomini, in una percentuale che varia dal +7% circa, nel caso dei canali utilizzati, a oltre +12% per le motivazioni della presenza presso il Cpi.

Motivi presenza presso Cpi

Ricerca di un lavoro 47,7 34,1 41,0Cambiare lavoro 10,0 11,0 10,5Frequentare stage 2,8 3,1 3,0Pratiche amministrative 12,4 12,9 12,6Dichiarazione di disponibilità 41,1 42,2 41,7Corso di formazione 8,2 11,0 9,6Informazioni relative al lavoro 19,9 16,5 18,2Informazioni legate al soggiorno 13,3 10,5 11,9Certificazione titoli 1,4 1,2 1,3Accompagnamento 7,7 9,5 8,6Altro 1,6 1,9 1,8Totale casi 166,1 153,9 160,1

TotaleUomini Donne

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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centuale di donne che non esprimono giudizi sulle difficoltà incontrate; è presumibile, pertanto, che nel nostro campione sia presente una componente femminile al primo contatto con il Cpi superiore a quella maschile, indicando indirettamente un orientamento tendenziale ad una più intensa frequentazione dei Cpi da parte delle donne migranti.

Tab. 13 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

I canali attraverso cui si è venuto a conoscenza del Cpi e dei suoi servizi vedono una

netta prevalenza delle fonti e delle risorse informali (tab. 14). In questo caso, l’articolazione del dato per genere ci consente di osservare un maggiore utilizzo fem-minile di canali formali, pur in presenza (per entrambi i sessi) di una netta maggioranza di rispondenti che hanno utilizzato proprio amici, parenti e conoscenti per venire a sapere dell’esistenza del Cpi (il 63,5% dei rispondenti uomini e il 58,6% delle rispondenti). È particolarmente significativo il dato che vede ben il 12% delle rispondenti aver attinto a risorse informative presso uffici pubblici di vario genere (da confrontare con il 3,7% degli uomini). Questo sta ad indicare come le fonti di informazione femminili si concentrino in spazi sociali non del tutto coincidenti con quelli maschili, pur rimanendo, comunque, entro la dimensione degli spazi pubblici: si concentrano meno sugli ambienti legati all’economia e alla produzione (sindacati e datori di lavoro) e sono più rivolte ad uffici e servizi pubblici, spesso legati all’assistenza, alla scuola, agli uffici anagrafici, e così via. Questo dato esprime un maggior uso femminile di risorse extra-lavorative ed extra-professionali; ma non pare suggerire un minore contatto delle donne con il mercato del lavoro. Difatti, va sottolineato il fatto che il tasso di occupazione delle donne che si sono rivolte al Cpi è addirittura superiore a quello maschile, eppure, come si è detto, i canali di informazione sono maggiormente concentrati al di fuori della dimensione occupazionale e professionale.

Difficoltà nel rapporto con il Cpi

Nessuna difficoltà 61,7 55,4 58,6Lingua 7,1 5,1 6,1Procedure 5,0 6,0 5,5Disponibilità informazioni 4,5 3,9 4,2Individuazione operatore/servizio 1,0 1,2 1,1Non esprimono giudizi 18,3 23,4 20,8Inefficienza del Cpi 1,7 2,9 2,3Altra difficoltà 6,4 5,1 5,7Totale casi 105,7 102,9 104,3

Uomini Donne Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 14 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per genere. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

IL RAPPORTO CON IL CPI PER DURATA DELLA PERMANENZA E PER CLASSE DI ETÀ Gli anni di permanenza in Italia sono certamente un possibile indicatore

dell’integrazione raggiunta dai cittadini stranieri. Ciononostante, questo dato va senz’altro considerato assieme ad un altro indicatore cronologico, quello dell’età dei rispondenti. In linea generale, i due dati non sono equivalenti, né sono sovrapponibili senza ulteriori specificazioni. Difatti, se è vero che tra i nuovi immigrati è maggiore la percentuale di coloro che appartengono alle classi di età più giovani, è altresì vero che la composizione per età dei nuovi flussi di migranti varia con il tempo. Nel corso dell’ultimo decennio, ad esempio, le percentuali dei più giovani e dei più anziani (in entrata) si sono alzate grazie alle possibilità offerte dal ricongiungimento familiare, provando costruire correlazioni e rimandi tra le informazioni relative all’età e alla permanenza.

Scorrendo i dati sull’età (tab. 15), è possibile mettere in evidenza, anzitutto, la diversa fisionomia delle classi di età centrali139, quelle comprese tra i 26 e i 45 anni, rispetto a quelle dei giovani lavoratori (o ancora studenti) e dei lavoratori maturi (o anziani inoccupati). Andando più a fondo, riguardo alle motivazioni della presenza presso il Cpi le classi di età centrali si concentrano maggiormente sulla ricerca di lavoro (quasi il 50% dei rispondenti tra i 36 e 45 anni), ed esprimono anche una maggiore dinamica nella ricerca di una nuova occupazione (è più che doppia, rispetto alle classi di età estreme, la percentuale di coloro la cui motivazione è il cambiamento del proprio lavoro). Anche l’adempimento di pratiche amministrative ed il polo informativo (su lavoro e soggiorno) sono maggiormente concentrati in queste classi.

139 Passando al dettaglio del dato sulle età, abbiamo effettuato un diverso raggruppamento in classi rispetto a

quello utilizzato per le frequenze del gruppo generale di intervistati, al fine di mostrare con maggior chiarezza alcune tendenze legate ai rapporti con il Centro per l’impiego. La classificazione è stata semplificata, riconducendo il gruppo di intervistati in quattro classi di età.

Canale di conoscenza del Cpi

Questura 7,0 8,6 7,8Contattato dal Cpi 0,0 0,5 0,2Comune 7,7 4,8 6,3Altri uffici pubblici 3,7 12,0 7,8Ambasciata 1,4 1,7 1,5Giornali 2,1 3,3 2,7Sindacato/associazioni 13,5 10,0 11,8Datore di lavoro 14,7 7,9 11,3Amici, parenti 63,5 58,6 61,1Altro canale 8,1 6,9 7,5Totale casi 121,6 114,4 118,0

TotaleUomini Donne

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 15 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per classe di età. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Un fenomeno per certi versi analogo è osservabile leggendo i dati sulla permanenza.

Difatti, vi appare un rapporto di proporzionalità inversa tra durata del periodo di permanenza e percentuale di rispondenti che stanno attualmente cercando un lavoro.

Questo sta a indicare che, presumibilmente, dietro un soggiorno più lungo si può intravedere una maggiore dotazione di esperienza professionale e relazioni che hanno consentito di fare a meno dei servizi per l’impiego (almeno per questo genere di motiva-zione o richiesta). Ciononostante, il desiderio di cambiare lavoro non sembra oscillare univocamente con la durata della permanenza, mantenendosi intorno al 10-15% dei rispondenti. Anche l’espletamento di pratiche amministrative appare legato alla durata della permanenza, mostrando un aumento proporzionale alla durata del soggiorno e, di conseguenza, una crescita dei bisogni amministrativi di persone maggiormente integrate.

Del resto, se è vero l’assioma che lega il livello di integrazione sociale alla perma-nenza, è presumibile che a quest’ultima sia anche legato il ricorso al sistema dei servizi sociali o previdenziali disponibili e, quindi, alle certificazioni necessarie per il loro godimento.

Un dato inversamente correlato alla permanenza è, invece, la domanda di forma-zione140, che coinvolge ben il 24,7% degli stranieri presenti da un anno o meno, contro 140 Oppure, per un altro verso, potrebbe essere connesso positivamente ad un recente arrivo in Italia: qui

riemerge il legame tra permanenza ed età; infatti, i nuovi migranti, più che nel recente passato, vedono accrescere le classi di età estreme, soprattutto per via dei ricongiungimento familiare. Questo processo, tra le altre cose, introduce una dimensione di pre-socializzazione al mercato del lavoro (non solo mediata a monte del percorso migratorio attraverso narrazioni informali o fonti mediatiche), divenendo una forma di pre-integrazione, ad esempio grazie alla possibilità di programmare in anticipo un percorso scolastico per i più giovani e progettare per tempo il modo di coniugare l’investimento familiare nell’arrivo dei più giovani con l’uso delle risorse sociali disponibili. Questa strategia diviene realizzabile solo con la praticabilità di una catena migratoria fondata sul ricongiungimento familiare e, dopo l’arrivo, su un più

Ricerca di un lavoro 37,9 40,3 49,8 30,2 41,0Cambiare lavoro 5,2 14,4 11,4 5,4 10,5Frequentare stage 3,9 3,3 2,0 3,1 3,0Pratiche amministrative 8,5 13,1 16,1 9,3 12,6Dichiarazione di disponibilità 45,1 40,0 41,6 41,1 41,7Corso di formazione 15,7 10,2 8,2 3,9 9,6Informazioni relative al lavoro 11,1 21,6 21,2 13,2 18,2Informazioni legate al soggiorno 5,9 15,1 11,0 14,0 11,9Certificazione titoli 2,0 1,3 0,8 1,6 1,3Accompagnamento 9,2 6,6 7,8 14,7 8,6Altro 4,6 1,6 0,4 1,6 1,8Totale casi 149,0 167,5 170,2 138,0 160,1

Motivi presenza presso il CpiTotaleOltre

45 anniTra 36 e 45 anni

Tra 26 e 35 anni

Fino a 25 anni

Età in classi

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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solamente il 4,7% dei residenti da più di dieci anni. Analogamente, a proposito dell’articolazione dei motivi per classi di età, possiamo osservare come i dati sulla frequenza di stage e corsi di formazione siano inversamente proporzionali al crescere dell’età, dimezzandosi nel rapporto tra i più giovani e la classe centrale dei rispondenti (tab. 16): difatti, esprime una domanda di formazione il 15,7% dei giovani fino ai 25 anni, mentre la percentuale si riduce all’8,2% dei rispondenti compresi tra i 36 e i 45 anni.

Addirittura solo il 3,9% degli ultra quarantacinquenni si è recato presso il Cpi per ottenere informazioni circa l’offerta formativa. Questo dato, anzitutto, non è affatto il riflesso di una maggiore componente di inattività tra gli over 45 intervistati; difatti, la percentuale degli appartenenti a questa classe di età che si trovano in una condizione di occupazione non è significativamente differente dalle classi di età centrali, mostrando in tal modo che il minore orientamento alla formazione non è spiegabile da maggiori tassi di non occupazione (per esempio, per via di anziani recentemente giunti in Italia per ricongiungimento familiare, oppure di donne non alla ricerca di lavoro, presenti presso il Cpi per pratiche amministrative legate all’assistenza).

Tab. 16 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Attraverso questo dato, con buona probabilità, si può invece intravedere una scarsa

efficacia dell’offerta di formazione professionale (o una bassa risposta da parte degli utenti) in relazione con l’avanzare dell’età degli utenti; peraltro, come si vedrà nella pagine successive, si tratta di un dato connesso anche alla permanenza in Italia e ad altri elementi di integrazione sociale, quali l’abitazione, la presenza della famiglia, il titolo di studio. In tal modo, rimane in sospeso l’interpretazione di questo dato, o meglio se ne può

generale pieno accesso alle risorse sociali pubbliche.

Ricerca di un lavoro 50,6 42,7 40,8 35,6 41,0Cambiare lavoro 7,4 14,0 7,5 10,3 10,5Frequentare stage 1,2 4,4 3,3 1,3 3,0Pratiche amministrative 9,9 13,0 8,8 17,2 12,6Dichiarazione di disponibilità 35,8 40,6 47,9 38,6 41,7Corso di formazione 24,7 12,3 5,8 4,7 9,6Informazioni relative al lavoro 17,3 19,8 17,1 17,6 18,2Informazioni legate al soggiorno 8,6 11,6 14,2 11,2 11,9Certificazione titoli 2,5 2,7 0,4 0,0 1,3Accompagnamento 9,9 4,1 9,2 13,3 8,6Altro 0,0 3,4 1,3 0,9 1,8Totale casi 167,9 168,6 156,3 150,6 160,1

Motivi presenza presso il CpiTotale10 anni

e oltreDa 6

a 9 anniDa 2

a 5 anniFino a 1 anno

Anni di permanenza in Italia

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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dare una lettura sfaccettata: da una parte, il basso orientamento alla formazione specie delle età più mature può associarsi a un mismatch tra l’offerta e le capacità di risposta di un settore “opaco” della popolazione migrante, ovvero quei “lavoratori maturi” stranieri che potrebbero mostrare specifici tratti di marginalizzazione e fragilizzazione del proprio rapporto con il mercato del lavoro. Dall’altra, invece, potrebbe porsi un problema di scarso appeal della formazione, e quindi una non corrispondenza tra l’offerta formativa e il livello di richiesta (più complesso, più articolato e differenziato di quel che si presuppone) espresso dai migranti più maturi, più integrati e maggiormente dotati di esperienza professionale sul campo. Riguardo ai canali di conoscenza del Cpi e delle sue risorse, si evidenzia un maggior ricorso dei più giovani ai canali istituzionali (Questura, Comune, altri uffici pubblici) e a quelli informali. Ciò significa che a fronte di un uso ridotto dei canali professionali (per il recente accesso al mercato del lavoro o per con-dizione studentesca), i più giovani fanno ricorso a mezzi più istituzionalizzati per raggiungere il Cpi. Anche nel caso dei canali informativi, come in quello delle domande poste al Cpi, si evidenzia una maggiore difficoltà della classe di età over 45, per la quale i canali legati al luogo di lavoro, al sindacato e alle associazioni presentano percentuali più basse che per le classi di età centrali (tab. 17).

Tab. 17 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per classe di età. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

In linea generale, i canali di informazione e conoscenza del Cpi paiono diventare me-

no informali con il passare del tempo di permanenza (tab. 18). Difatti, sebbene le relazio-ni informali rimangano di gran lunga il canale più seguito, crescono tra i residenti di me-dia e lunga data le informazioni raccolte tramite giornali, uffici pubblici e canali profes-sionali (sindacati e datori di lavoro). Nonostante gli studi e la letteratura scientifica, oltre che l’osservazione diretta degli operatori dei Servizi pubblici per l’impiego, sottolineino l’importanza delle reti di relazione informale, nel senso di quelle relazioni personali che

Questura 11,8 5,9 8,3 6,1 7,8Contattato dal Cpi 0,7 0,0 0,0 0,8 0,2Comune 7,2 5,6 7,5 4,5 6,3Altri uffici pubblici 7,2 8,6 7,9 6,1 7,8Ambasciata 0,7 1,6 0,8 3,8 1,5Giornali 0,7 1,6 4,3 4,5 2,7Sindacato/associazioni 3,3 11,8 17,7 9,8 11,8Datore di lavoro 7,8 11,5 13,8 9,8 11,3Amici, parenti 61,4 67,1 55,1 59,1 61,1Altro canale 4,6 7,6 7,1 12,1 7,5Totale casi 105,2 121,4 122,4 116,7 118,0

Canale di conoscenza del Cpi Fino a 25 anni Tra 26 e 35 anni Tra 36 e 45 anni Oltre 45 anni Totale

Età in classi

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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sono usate in modo non strettamente funzionale alla dimensione per cui esistono (amicizia, parentela, relazione di conoscenza), appare evidente che nel corso del soggior-no in Italia i migranti vengano a conoscenza e utilizzino un ampio spettro di risorse in-formative e di sostegno, tra le quali alcune che fanno già rete con i servizi per l’impiego.

Tali risorse, di conseguenza, devono prepararsi ad accogliere le domande poste dagli utenti stranieri in maniera stabile e non episodica. Difatti, se osserviamo le difficoltà in-contrate dagli utenti (tab. 19), risulta chiaro come i problemi legati alla disponibilità di informazioni e alla complessità delle procedure crescano o si stabilizzino su valori non irrilevanti con il passare del tempo di soggiorno (contrariamente alla lingua, per la quale si registra un notevole calo di problematicità già a partire dai primissimi anni di permanenza in Italia).

Tab. 18 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 19 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, per anni di permanenza in Italia. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Questura 7,6 5,1 11,3 7,6 7,8Contattato dal Cpi 0,0 0,3 0,0 0,4 0,2Comune 10,1 6,1 3,8 7,6 6,3Altri uffici pubblici 7,6 6,1 9,2 8,5 7,8Ambasciata 3,8 2,4 0,8 0,4 1,5Giornali 1,3 2,7 3,8 2,1 2,7Sindacato/associazioni 2,5 13,3 11,3 13,6 11,8Datore di lavoro 0,0 13,7 15,0 8,5 11,3Amici, parenti 72,2 62,1 59,6 57,6 61,1Altro canale 2,5 9,2 5,0 9,7 7,5Totale casi 107,6 121,2 119,6 116,1 118,0

Canale di conoscenza del Cpi Totale

Anni di permanenza in ItaliaFino a 1 anno Da 2 a 5 anni Da 6 a 9 anni 10 anni e oltre

Nessuna difficoltà 37,7 64,1 58,0 59,2 58,6Lingua 23,4 7,0 3,4 2,1 6,1Procedure 7,8 4,5 3,8 7,7 5,5Disponibilità informazioni 1,3 3,5 5,9 4,3 4,2operatore/servizio 0,0 1,7 0,8 0,9 1,1Non esprimono giudizi 24,7 17,4 23,9 20,6 20,8Inefficienza del Cpi 3,9 0,7 4,2 1,7 2,3Altra difficoltà 9,1 5,6 3,8 6,9 5,7Totale casi 107,8 104,5 103,8 103,4 104,3

Fino a 1 annoAnni di permanenza in ItaliaDifficoltà nel

rapporto con il Cpi Totale10 anni e oltre Da 6 a 9 anniDa 2 a 5 anni

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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TITOLI STUDIO E CONOSCENZA DELLA LINGUA Il titolo di studio e la conoscenza pregressa (anche ad un livello elementare) della

lingua italiana rappresentano certamente delle discriminanti nell’accesso degli utenti stranieri ai servizi dei Cpi. Il titolo di studio, in linea generale, appare positivamente legato a richieste più articolate poste al sistema dei servizi per l’impiego: cresce, insieme ai titoli di studio, il numero di coloro che sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello attuale, oppure frequentano stage o chiedono di accedere a corsi di formazione profes-sionale. La conoscenza della lingua italiana al momento dell’ingresso accentua ancora di più questa discriminante legata alla conoscenza: difatti, su molti temi cresce sensibilmen-te il divario tra chi non conosceva l’italiano all’ingresso nel paese (lo ricordiamo: a pre-scindere dall’attuale conoscenza della lingua) e coloro i quali ne avevano anche solo qualche rudimento. Questa distanza è assai marcata, ancora una volta, tra le motivazioni che hanno condotto al Cpi, ed in particolare riguardo a stage e corsi di formazione, ma anche nella spinta alla ricerca di lavoro o di un cambio di esperienza professionale. Le difficoltà legate al gap di conoscenza sembrano anche permanere nel tempo, se osser-viamo che il gruppo di coloro che non conoscevano la lingua italiana al momento dell’ingresso ancora oggi riporta come prima causa di difficoltà nel rapporto con il Cpi proprio l’incomprensione linguistica.

La ricerca di informazioni sul lavoro e sul soggiorno, viceversa, vedono una maggiore presenza di utenti senza conoscenze dalla lingua italiana precedenti all’ingresso. Se approfondiamo l’interpretazione, però, osserviamo che l’aumento dell’accessibilità e della facilità di interazione con il Cpi non si lega senza problemi al crescere delle conoscenze linguistiche e dei titoli di studio. Possiamo formulare invece l’ipotesi che, all’aumento dei titoli di studio e delle conoscenze della lingua, le possibilità e le opportunità degli utenti crescano, sì, ma non linearmente. Difatti, queste possono entrare in contraddizione con le aspettative delle persone maggiormente scolarizzate o qualificate (tab. 20).

I laureati, infatti, sono il gruppo di età che pone più richieste al Cpi (il rapporto tra i motivi espressi e il numero dei rispondenti è del 174%). Tende a risalire sensibilmente, rispetto ai diplomati, anche il numero di coloro che sono alla ricerca di un lavoro e che ricercano informazioni. Riguardo alle difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi, i laureati, sebbene vedano oltre due terzi degli intervistati rispondere di non aver incontrato problemi, mostrano percentuali analoghe agli altri gruppi per quasi tutte le difficoltà indicate (eccetto che per la lingua). Tra i laureati, inoltre, scende il numero di coloro che hanno fatto ricorso a canali informativi e di conoscenza informali, mentre le fonti istituzionali e più formalizzate crescono di peso: in particolare, uffici pubblici e giornali (tab. 21).

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 20 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

LA CONDIZIONE LAVORATIVA La relazione con il Cpi osservata attraverso la lente della condizione di occupazione ci

rivela alcuni aspetti interessanti delle fisionomie degli utenti stranieri. Sotto questo aspetto, mentre le difficoltà ed i canali informativi che hanno condotto al Cpi non mostrano significative differenze tra l’uno e l’altro gruppo di utenti, è invece riguardo ai motivi della presenza presso il Centro per l’impiego che si evidenziano le maggiori differenze. Bel aldilà di altri elementi che abbiamo scelto per articolare il dato della

Ricerca di un lavoro 51,4 41,6 34,9 47,2 41,0Cambiare lavoro 9,2 10,2 11,0 11,4 10,5Frequentare stage 0,9 1,8 3,0 7,3 3,0Pratiche amministrative 12,8 10,6 14,9 11,4 12,6Dichiarazione di disponibilità 36,7 42,3 44,2 37,4 41,7Corso di formazione 9,2 6,9 10,1 14,6 9,6Informazioni relative al lavoro 24,8 20,1 14,9 17,9 18,2Informazioni legate al soggiorno 13,8 14,2 9,0 13,8 11,9Certificazione titoli 0,0 0,7 2,4 0,8 1,3Accompagnamento 10,1 9,1 6,9 10,6 8,6Altro 0,9 1,8 2,1 1,6 1,8Totale casi 169,7 159,5 153,4 174,0 160,1

Totale

Titoli di studio posseduto Motivi presenza presso il Cpi Fino alla

lic. elementareLicenza media

Maturità oqual. profes.le Laurea

Questura 4,6 8,4 9,5 4,1 7,8Contattato dal Cpi 0,0 0,0 0,3 0,8 0,2Comune 7,4 6,2 5,6 6,6 6,3Altri uffici pubblici 3,7 9,5 6,2 12,4 7,8Ambasciata 1,9 0,4 2,4 1,7 1,5Giornali 1,9 0,7 3,6 5,8 2,7Sindacato/associazioni 21,3 11,3 8,0 14,9 11,8Datore di lavoro 15,7 9,9 11,0 11,6 11,3Amici, parenti 71,3 66,1 59,9 43,8 61,1Altro canale 6,5 4,7 7,1 15,7 7,5Totale casi 134,3 117,2 113,6 117,4 118,0

Laurea TotaleCanale di conoscenza del Cpi Fino alla

lic. elementare Licenza media

Maturità o qual. profess.le

Titolo di studio posseduto

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relazione con il Cpi, la condizione di occupazione sembra determinante nel disegnare i tratti di differenti gruppi di utenti stranieri. Questa considerazione generale è per certi versi assolutamente ovvia: ovvero, per definire richieste e bisogni degli utenti dei servizi per l’impiego fa una certa differenza essere occupati, anche in forme precarie o senza contratto, oppure disoccupati (o in cerca di prima occupazione, studente, casalinga/o, e così via). Eppure, tale affermazione è meno banale di quanto possa sembrare, dal momento che mette in evidenza questioni socio-economiche determinanti per la vita dei cittadini stranieri in Italia e per il loro inserimento nel mercato del lavoro, aspetti che divengono rilevanti per gli stessi servizi per l’impiego.

Più nel dettaglio (tab. 22), possiamo osservare come la ricerca di un lavoro (che occupa poco più della metà dei rispondenti senza un impiego) sia tutt’altro che irrilevante anche tra i rispondenti occupati (15%). Cosa significa “cercare lavoro” per soggetti che hanno già dichiarato di essere occupati? Può voler dire semplicemente ricercare un nuovo lavoro, differente da quello per cui si è attualmente occupati; esprimendo in modo più diretto ciò che del resto esprime il 31% degli intervistati occupati quando sostiene di voler “cambiare lavoro”. Più a fondo, tuttavia, si lascia probabilmente anche intendere la volontà di ricercare un vero lavoro, che consenta di passare da una condizione di occupazione informale o precaria ad una tutelata e stabile. Mettendo assieme i rispondenti occupati che sostengono di cercare lavoro con quelli che intendono cambiarlo, emerge che ben il 39,9% dei rispondenti attualmente occupati è in realtà in cerca di una nuova occupazione (provenendo, come abbiamo ipotizzato, da situazioni occupazionali anche molto diversificate quanto a sicurezza e garanzie contrattuali).

Tab. 22 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi (ricerca e cambio di lavoro), per condizione di occupazione. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Questo dato va a sostenere la percezione di un diffuso orientamento, da parte degli

utenti occupati, ad usare i servizi per l’impiego come strumento per un miglioramento della propria condizione professionale e occupazionale. Questa interpretazione viene anche sostenuta dalla significativa inclinazione del gruppo degli occupati ad esprimere richieste di formazione ed a cercare informazioni sul lavoro e il soggiorno.

La cornice problematica intorno a cui vorremmo commentare tali dati ci propone, pertanto, alcune dimensioni nuove dell’occupazione e della disoccupazione dei migranti. Nei modi in cui gli utenti stranieri entrano in relazione con il Centro per l’impiego

Occupato Disoccupato Totale

Ricerca di un lavoro 15,0 53,4 41,0Cambiare lavoro 31,0 0,7 10,5Totale ricerca di lavoro 39,9 53,2 48,9

Motivi presenza presso il CpiCondizione di occupazione

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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emerge una popolazione migrante a due facce: da una parte, le risposte dei “non occupati” ci segnalano alcuni tratti della disoccupazione degli stranieri residenti, spesso non ancora riconosciuta nella sua rilevanza (tab. 23).

Tab. 23 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per condizione di occupazione. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Questa popolazione appare decisamente orientata ai servizi e ai compiti principali che

si propone il Cpi, ponendo domande più complesse (ad esempio, legate alla formazione, al riconoscimento dei titoli di studio, al campo informativo più generale) in misura decisamente minore rispetto al gruppo degli “occupati”. In tal senso, il gruppo dei “disoccupati” appare meno incline all’attivazione di sé e delle proprie risorse. Dall’altra parte, invece, emergono le caratteristiche legate alla condizione di occupazione di una parte rilevante degli utenti stranieri dei Cpi (circa un terzo del gruppo di intervistati) che si rivolge ai servizi per l’impiego per migliorare la propria condizione di lavoro e, indirettamente, mostra la pressione e la volontà soggettiva dei cittadini stranieri (almeno di una parte significativa di quelli che si rivolgono ai Cpi) ad uscire da una condizione di lavoro nero e/o precario.

IL RAPPORTO CON IL CPI E ALTRI FATTORI DI INTEGRAZIONE SOCIALE: PRESENZA DEL

CONIUGE, PRESENZA DEI FIGLI, ABITAZIONE Tra i dati raccolti nella presente rilevazione abbiamo a disposizione alcuni temi che

possono evidenziare il tasso di integrazione sociale dei rispondenti. Si tratta, in primo luogo, della distribuzione del gruppo di intervistati per la condizione abitativa e per quella familiare, ovvero il tipo di abitazione in cui vivono e la presenza in Italia di almeno un figlio e del coniuge (tabb. 24, 25 e 26).

In linea generale, le persone maggiormente integrate fanno un uso meno vario e più mirato dei Cpi, ovvero vi si presentano esprimendo un minor numero di domande e di

Frequentare stage 2,9 3,0 3,0Pratiche amministrative 13,1 12,4 12,6Dichiarazione di disponibilità 19,7 52,2 41,7Corso di formazione 12,0 8,4 9,6Informazioni relative al lavoro 23,0 15,9 18,2Informazioni legate al soggiorno 16,1 9,9 11,9Certificazione titoli 2,9 0,5 1,3Accompagnamento 20,8 2,8 8,6Altro 1,5 1,9 1,8Totale casi 158,0 161,1 160,1

Motivi presenza presso il CpiCondizione di occupazione

Occupato Non occupato Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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bisogni, ed utilizzano un campo più ristretto di canali di informazione al fine di raggiungere i servizi per l’impiego.

Tab. 24 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per condizione abitativa. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Risultano più significativi tra di essi, invece, i rispondenti che si recano presso il Cpi

per il disbrigo di pratiche amministrative, per la frequenza di stage o per richiedere informazioni sull’offerta di formazione, per accompagnamento di altri amici o parenti, e per cambiare lavoro. Anche i canali di informazione che hanno condotto fino al Cpi sono meno orientati, tra i rispondenti più integrati, ai canali informali, a quelli professionali e di lavoro (amici, parenti e conoscenti, sindacati, associazioni, datore di lavoro), e più a quelli maggiormente formalizzati. Ciò, più che indicare una meno fitta rete di relazioni informali o una minore sindacalizzazione o adesione associativa, sembra piuttosto suggerire una maggiore accessibilità dei canali formali alle persone che possono contare su un contesto sociale di integrazione e su garanzie per il soggiorno più solide.

I tratti di questo gruppo di utenti stranieri mostrano come il Cpi venga investito da richieste e bisogni non sempre direttamente legati ai principali compiti istituzionali dei Servizi pubblici per l’impiego, specie nel caso di singoli o di famiglie che hanno raggiunto una discreto grado di integrazione sociale.

I segni di questa tendenza sono leggibili nella più forte presenza tra i più integrati di persone motivate dal disbrigo di pratiche amministrative, di genere assai vario; richieste che dovrebbero indurre anche le strutture e i soggetti pubblici a fare rete, non solo per potenziare l’offerta di servizi e moltiplicare le occasioni di accoglienza, ma per consentire che anche le richieste “improprie” (tali, naturalmente, per l’ente o l’istituzione specifica

Ricerca di un lavoro 35,9 54,4 40,7 41,0Cambiare lavoro 10,8 8,7 12,0 10,5Frequentare stage 3,2 3,6 1,3 3,0Pratiche amministrative 13,9 12,3 8,7 12,6Dichiarazione di disponibilità 42,0 39,0 44,0 41,7Corso di formazione 9,8 10,8 7,3 9,6Informazioni relative al lavoro 16,1 23,1 18,7 18,2Informazioni legate al soggiorno 10,0 15,4 14,0 11,9Certificazione titoli 1,6 0,0 2,0 1,3Accompagnamento 10,8 4,1 7,3 8,6Altro 2,6 0,0 1,3 1,8Totale casi 156,6 171,3 157,3 160,1

Totale

Condizione abitativa

Motivi presenza presso il Cpi

Casa da solo/con la propria

famiglia

Casa condivisa con altri

Soluzioni precarie

e provvisorie

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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che le raccoglie), ma comunque legittime, trovino una qualche soddisfazione attraverso il loro reindirizzamento. Se si seguono gli itinerari degli utenti stranieri (anche attraverso impressioni e annotazioni compiute durante la fase di rilevazione) si comprende come il Centro per l’impiego sia già oggi un nodo delle reti e dei percorsi che i cittadini stranieri costruiscono informalmente, e che dovrebbero orientare enti e strutture (Inps, Cpi, sindacati, associazionismo sociale, servizi privati per l’impiego, uffici e servizi della pubblica amministrazione locale) ad una maggiore integrazione.

Tab. 25 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per presenza del coniuge in Italia. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 26 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi, per presenza dei figli in Italia. Valori percentuali. Multirisposta

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Ricerca di un lavoro 32,0 45,5 37,5Cambiare lavoro 9,1 12,5 10,5Frequentare stage 3,2 1,7 2,6Pratiche amministrative 15,0 13,1 14,2Dichiarazione di disponibilità 38,7 38,6 38,7Corso di formazione 7,5 4,5 6,3Informazioni relative al lavoro 15,8 21,0 17,9Informazioni legate al soggiorno 9,5 15,9 12,1Certificazione titoli 2,0 0,0 1,2Accompagnamento 15,4 8,0 12,6Altro 1,6 1,7 1,6Totale casi 149,8 163,1 155,2

Motivi presenza presso il CpiSì No Totale

Presenza coniuge

Ricerca di un lavoro 41,9 32,6 36,5Cambiare lavoro 14,1 5,7 9,3Frequentare stage 1,6 1,5 1,5Pratiche amministrative 7,9 16,9 13,1Dichiarazione di disponibilità 47,6 41,8 44,2Corso di formazione 6,8 5,0 5,8Informazioni relative al lavoro 19,4 13,8 16,2Informazioni legate al soggiorno 13,6 11,5 12,4Certificazione titoli 1,0 1,1 1,1Accompagnamento 6,8 14,6 11,3Altro 1,6 1,5 1,5Totale casi 162,3 146,0 152,9

Motivi presenza presso il CpiPresenza figli

TotaleNessun figlio Almeno un figlio

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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LA RICERCA DI LAVORO I canali di ricerca di lavoro offrono un quadro delle risorse sociali di cui le persone

sono in possesso (o che possono all’occorrenza attivare) per soddisfare i propri bisogni. Nel caso degli utenti stranieri dei Cpi, abbiamo voluto indagare questa dimensione, anche per poter comprendere quali sono le “cassette degli attrezzi” utilizzate e gli itinerari svolti quotidianamente dai cittadini stranieri nella propria ricerca di occupazione; elementi che entro le mura del Cpi spesso rimangono opachi all’osservazione dei servizi per l’impiego.

Anzitutto, possiamo osservare che ben il 92,2% degli utenti intervistati ha dichiarato di aver utilizzato in passato un canale di ricerca di lavoro differente dal Cpi (tab. 27); inoltre, ben l’84,9% dichiara di aver trovato effettivamente lavoro tramite tali canali. A ben vedere, però, l’efficacia141 dei vari canali di ricerca di lavoro è assai diseguale (fig. 22); o meglio, la quasi totalità di questa percentuale viene assorbita dal campo delle relazioni informali, nel quale si raccolgono amici, parenti, conoscenti.

Tab. 27 - Canali di ricerca di lavoro differenti dal Cpi. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Fig. 22 - Canali di ricerca di lavoro. Percentuali di utilizzo e tasso di successo

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

141 Intesa qui come rapporto tra gli utenti che hanno trovato lavoro tramite quel canale e la totalità di coloro

che lo hanno utilizzato.

Canali di ricerca di lavoro utilizzati differenti dal Cpi

Utilizzo 7,2Mi ha dato lavoro 84,9Non utilizzato 7,8Totale 100,0

Val. %

8,222,5 22,4 16,9

5,6

72,8

16,6 16,27,4

13,1 2,611,33,4 2,5

1,58,6

0102030405060708090

100

Amici/parenti

Giornali Ag.interinali

Invio CV

Sindacati ass.

Internet Ag. private

Scuole ecc.

Utilizzo Mi ha dato lavoro % successo

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Solamente il 19% dei rispondenti non ha mai fatto uso di questa risorsa; senza contare che il rapporto tra chi la ha usata con efficacia (ottenendo un lavoro) e chi l’ha usata senza esito è addirittura di nove a uno. Tra i mezzi più usati con successo, seguono le agenzie interinali e gli annunci sui giornali, con circa il 16% dei rispondenti ciascuno; assai simile è anche il rapporto tra l’efficacia e il solo utilizzo (che in entrambi i casi supera di poco il 22% dei rispondenti). Altri canali di ricerca, come l’invio di curriculum alle aziende e il ricorso a sindacati e associazioni, mostrano percentuali di non utilizzo superiori al 70-80%, ma ancora un’efficacia di qualche rilievo, attestata poco al di sotto del 10%. Vi sono poi gli ultimi canali di ricerca (ultimi quanto a utilizzo, ma anche ad accessibilità), che si concentrano su scuola e formazione, l’uso di Internet e le agenzie private di mediazione.

LA RICERCA DI LAVORO PER ETÀ E SESSO I canali di ricerca di un’occupazione esprimono le risorse sociali e relazionali a cui le

persone possono (o sono in grado di) attingere. Il gruppo di utenti stranieri dei Cpi, riguardo questo aspetto, mostra alcune specificità legate al genere e all’età dei rispondenti (tab. 28). Anzitutto, tra gli uomini possiamo osservare percentuali più significative di uso (“utilizzo”) e di successo (“mi ha dato lavoro”) a proposito dei canali informali, gli annunci sui giornali e le agenzie interinali (per le quali conta certamente il maggior peso degli uomini tra gli impieghi nel settore industriale). Le donne, invece, prevalgono in un altro canale, quello rappresentato della scuole, dalla formazione e dall’università; questo strumento di ricerca, pur raccogliendo un numero marginale di utenti (in media intorno al 2,5%, sia per l’uso che per l’efficacia), vede una percentuale di donne più che doppia di quella degli uomini, lasciando intravedere, probabilmente, l’orientamento femminile ad accedere a corsi formativi legati all’assistenza e alla cura delle persone142. I dati mostrano che in linea generale (eccetto che per le relazioni personali), l’utilizzo di un canale risulta più diffuso di quanto sia la sua efficacia, ovvero è maggiore il numero di persone che utilizzano una fonte di ricerca di lavoro di quelle che poi effettivamente trovano un’occupazione grazie ad essa. In particolare, il maggior divario si incontra nell’uso di Internet, il cui utilizzo si attesta in media intorno al 13%, mentre l’efficacia si ferma a poco più dell’1%. Rispetto a questo canale, da un altro punto di vista è comunque interes-sante notare come una percentuale di utenti che si attesta intorno al 15% abbia fatto uso (più o meno efficace) di strumenti tecnologicamente avanzati per la ricerca di lavoro. Non ci è permesso, in questa sede, conoscere più a fondo quali risorse presenti in Rete siano state utilizzate dagli/dalle utenti; ciononostante, è rilevante notare come Internet sia un mezzo non sconosciuto agli stranieri alla ricerca di lavoro, e pertanto potrebbe rappresentare, anche per i servizi per l’impiego, un mezzo (insieme ad altri) di contatto, orientamento e offerta di servizi per gli utenti. Differente rispetto a quanto detto finora è

142 Oltre che, a monte, un maggior tasso di scolarizzazione tra le donne migranti.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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il dato sulla ricerca di lavoro tramite sindacati e associazioni: se per gli uomini il livello di efficacia è circa poco più di terzo di quello di utilizzo, per le donne il dato si inverte; infatti, il 6,9% delle rispondenti sostiene di aver utilizzato tale canale, mentre ben l’11,3% ha ottenuto un lavoro grazie ad esso.

Attraverso questa sensibile differenza, si lascia intravedere, probabilmente, l’opera capillare di servizio per l’occupazione svolta da associazioni religiose e assistenziali, sia di base sia a livello nazionale (Caritas).

Se osserviamo i dati sull’uso e sull’efficacia collegandoli gli uni agli altri più strettamente, e articolandoli per età, appare un’ulteriore informazione.

Tab. 28 - Canali di ricerca di lavoro, per genere dei rispondenti. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

La fig. 23 mostra le differenze percentuali, per ciascun canale di ricerca di lavoro, tra i

tassi di successo femminili e quelli maschili. Si può notare come la differenza tra successo maschile e femminile sia piuttosto contenuta per ciascuno dei canali (con l’eccezione dei canali di ricerca consistenti in associazioni e sindacati e agenzie private di mediazione). Le donne, pur presentando tassi di utilizzo leggermente inferiori a quelli degli uomini, segnano “performance” decisamente rilevanti per alcuni canali, soprattutto formali.

Lo utilizzo 26,0 18,7 22,4 8,5 7,8 8,2Mi ha dato lavoro 18,9 13,5 16,2 75,3 70,2 72,8Non utilizzato 55,1 67,8 61,4 16,1 22,0 19,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Lo utilizzo 1,2 4,0 2,6 14,7 11,3 13,1Mi ha dato lavoro 1,8 3,1 2,5 1,8 1,2 1,5Non utilizzato 97,0 92,9 95,0 83,4 87,5 85,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Lo utilizzo 26,7 18,2 22,5 6,0 5,2 5,6Mi ha dato lavoro 18,2 14,9 16,6 2,5 4,3 3,4Non utilizzato 55,1 66,9 60,9 91,5 90,5 91,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Lo utilizzo 19,4 14,4 16,9 15,7 6,9 11,3Mi ha dato lavoro 7,1 7,6 7,4 6,0 11,3 8,6Non utilizzato 73,5 78,0 75,7 78,3 81,8 80,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Annunci su giornali

Invio CV Sindacati associazioni

Agenzie private di mediazione

Donne TotaleAgenzie interinali

Scuole, Ist. di formazione, Università Internet

Uomini Donne Totale UominiAmici, parenti

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

116

Fig. 23 - Differenziali tra donne e uomini nelle percentuali di utilizzo e di successo dei canali di ricerca di lavoro

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Anche il punto di osservazione delle età ci consegna alcune considerazioni

interessanti, circa le strategie e le opportunità di ricerca di lavoro degli utenti stranieri dei Centri per l’impiego.

Vi sono alcuni canali di ricerca il cui utilizzo risulta essere inversamente proporzionale all’età: le scuole e la formazione, gli annunci sui giornali, l’invio di curriculum, i rapporti informali ed Internet sono tutti risorse il cui uso scende mano a mano che l’età aumenta. Tuttavia, solo per la scuola e per Internet questo maggior utilizzo da parte dei più giovani pare corrispondere ad una crescita corrispondente del successo, ovvero un uso più mirato e competente della risorsa. Per gli altri canali, invece, ad un aumento delle risposte “mi ha dato lavoro” corrisponde una diminuzione di quelle “lo utilizzo”; e nel complesso sale tra i più giovani (o è stazionario) il numero di coloro che non utilizzano tali canali. Sotto questa luce, i più giovani paiono incontrare maggiori difficoltà, in particolare, nell’utilizzo delle risorse informali e di quelle offerte da sindacati e associazioni; mentre ottengono buoni risultati di efficacia con alcune risorse marginali (per quanto espressione di “competenze complesse”), come Internet, l’invio di curriculum, scuole e formazione.

D’altro canto, possono notarsi alcuni aspetti specifici e problematicità legate alla ricerca di lavoro. Difatti, è considerevole il minor uso (od una minore efficacia) tra le classi di età giovani e tra quelle mature di canali altrimenti assai diffusi per i lavoratori delle classi di età centrali (ad esempio, le agenzie interinali); mentre si osserva una buona efficacia di sindacati e associazioni, agenzie private di mediazione, annunci sui giornali, scuole e formazione (tab. 29).

-30,0

-20,0

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

Ag.interinali

Scuole ecc.

Giornali Invio CV

Amici/parenti

Internet Ag. private

Sindacati ass.

%utilizzo % successo

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

117

Tab. 29 - Canali di ricerca di lavoro, per classe di età dei rispondenti. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Agenzie interinaliUtilizzo 22,2 23,7 24,7 15,9 22,4Mi ha dato lavoro 13,1 18,2 18,5 11,4 16,2Non utilizzato 64,7 58,1 56,8 72,7 61,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Scuole, Ist. di formazione, UniversitàUtilizzo 6,5 1,9 2,3 0,0 2,6Mi ha dato lavoro 3,3 2,6 1,5 3,0 2,5Non utilizzato 90,2 95,5 96,1 97,0 95,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Annunci su giornaliUtilizzo 24,2 24,4 20,5 20,5 22,5Mi ha dato lavoro 12,4 16,6 17,4 19,7 16,6Non utilizzato 63,4 59,1 62,2 59,8 60,9Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Invio CVUtilizzo 19,0 18,2 16,6 12,1 16,9Mi ha dato lavoro 7,8 8,1 6,2 7,6 7,4Non utilizzato 73,2 73,7 77,2 80,3 75,7Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Amici, parentiUtilizzo 14,4 7,1 6,9 6,1 8,2Mi ha dato lavoro 54,2 74,4 79,2 78,8 72,8Non utilizzato 31,4 18,5 13,9 15,2 19,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

InternetUtilizzo 19,0 14,6 10,0 9,1 13,1Mi ha dato lavoro 2,6 1,6 1,2 0,8 1,5Non utilizzato 78,4 83,8 88,8 90,2 85,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Agenzie private di mediazioneUtilizzo 5,9 7,1 4,6 3,8 5,6Mi ha dato lavoro 0,7 3,6 3,1 6,8 3,4Non utilizzato 93,5 89,3 92,3 89,4 91,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Sindacati associazioni Utilizzo 5,9 14,3 12,7 8,3 11,3Mi ha dato lavoro 2,0 6,8 9,3 18,9 8,6Non utilizzato 92,2 78,9 78,0 72,7 80,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Classi di etàLivello di utilizzo Fino a 25

anni26 e 35

anni36 e 45

anniOltre 45

anni Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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IL LAVORO TRAMITE IL CENTRO PER L’IMPIEGO Tra i canali di ricerca di lavoro abbiamo ovviamente escluso il Cpi, per il quale

l’approfondimento si diffonde attraverso l’intera indagine. Tuttavia, è stata inserita anche una domanda diretta, rivolta agli intervistati, riguardante l’eventualità di aver ottenuto un lavoro attraverso il contatto, la relazione ed i servizi offerti dal Centro per l’impiego. La percentuale di coloro che affermano di aver ottenuto una chance di lavoro attraverso il Cpi è generalmente bassa (inferiore, tra gli altri canali, solo a Internet, scuole e formazione, agenzie private di mediazione) e si attesta intorno al 4,6% dei rispondenti.

Tale dato, se osservato attraverso altre lenti, ci consente anzitutto di evidenziare una differenza di efficacia sulla base del genere (tab. 30), dal momento che la percentuale di donne occupate tramite il Cpi è solamente del 3,3% (da ricordare che, nel gruppo di intervistati, le donne esprimono una percentuale di occupate non inferiore agli uomini, e nel complesso sono ben rappresentate raggiungendo oltre la metà dei rispondenti).

Tab. 30 - Lavoro ottenuto tramite il Cpi, per genere, classe di età, durata della permanenza in Italia, titoli di studio dei rispondenti. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Si No Totale

GenereUomini 5,8 94,2 100,0Donne 3,3 96,7 100,0Totale 4,6 95,4 100,0

Titolo di studioFino alla lic. elementare 9,1 90,9 100,0Licenza media 4,3 95,7 100,0Maturità o qual. profess.le 3,5 96,5 100,0Laurea 4,1 95,9 100,0Totale 4,6 95,4 100,0

Classe di etàFino a 25 anni 2,0 98,0 100,0Tra 26 e 35 anni 5,2 94,8 100,0Tra 36 e 45 anni 5,4 94,6 100,0Oltre 45 anni 4,5 95,5 100,0Totale 4,6 95,4 100,0

Permanenza in ItaliaFino a 1 anno 1,2 98,8 100,0Da 2 a 5 anni 5,7 94,3 100,0Da 6 a 9 anni 4,5 95,5 100,010 anni e oltre 4,2 95,8 100,0Totale 4,6 95,4 100,0

Lavoro tramite Cpi

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Incrociando il dato per classi di età, durata della permanenza in Italia e titoli di studio possiamo notare come i migliori risultati (per gli utenti e per l’opera svolta dai Cpi) si concentrino sulle classi di età centrali e, in misura minore, sugli over 45, sui residenti di medio-breve periodo (in Italia da 2/5 anni) e sugli utenti in possesso di basso (o nessun) titolo di studio.

Il dato della permanenza, insieme a quello delle età, mette in rilievo una diminuzione tendenziale dell’efficacia del Cpi come canale di ottenimento di un lavoro, in relazione con l’aumentare delle età e della durata del soggiorno in Italia. Questo dato può essere visto anche dal lato degli utenti, leggendovi un minore ricorso ai servizi del Cpi da parte dei rispondenti maggiormente integrati. Questo dato si accentua per gli utenti over 45 che, come abbiamo già segnalato, non hanno un tasso di occupazione inferiore alle altre classi di età centrali. Il dato sui titoli di studio, inoltre, mette in evidenza come la maggiore efficacia sia di gran lunga concentrata sulle persone a bassa o bassissima qualificazione ed istruzione. La percentuale di diplomati e laureati che trovano un’occupazione grazie al Cpi (a prescindere dall’efficacia del matching tra titoli di studio, competenze e occupazione eventualmente trovata) sono sensibilmente sotto la media.

2.6 I giudizi sulla città

L’indagine sugli utenti stranieri dei Cpi ha considerato anche aspetti della vita degli intervistati non riconducibili direttamente ai temi del lavoro, o assimilabili ai compiti principali degli stessi Centri per l’impiego. Ciò che verrà indagato nelle prossime pagine si riferisce ai rapporti delle persone intervistate con l’ambiente nel quale vivono, lavorano, cercano svago, istruzione, servizi sociali, espressione e fruizione culturale.

L’ambiente urbano è una ovvia fonte di risorse sociali per le persone che vi abitano. Tali beni, tuttavia, non sono universalmente disponibili a tutti e tutte. L’accessibilità di queste risorse, pertanto, sottostà ad una struttura delle opportunità differenziata e diseguale. La differenziazione delle possibilità di accesso è naturalmente strutturata intorno alle linee della condizione sociale e occupazionale, ivi compresa la disponibilità di risorse economiche. La possibilità di accesso è però anche determinata dall’offerta di risorse sociali, e dipende quindi dalla qualità dei servizi e dalla conformazione dell’ambiente urbano in cui le persone vivono. A queste due dimensioni, ovvero alla do-manda e all’offerta di opportunità di vita urbana, nel nostro caso si sommano le specifiche condizioni di vita, relazioni e lavoro dei cittadini stranieri. E infatti non è marginale osservare l’uso che i cittadini stranieri fanno della città in cui vivono, e i giudizi che ne danno; perché queste valutazioni non esprimono pure manifestazioni di “gradimento”; ma, di più, consentono di osservare in controluce i processi di integrazione sociale ed urbana, le strettoie socio-economiche ed amministrative di cui gli utenti stranieri dei servizi per l’impiego fanno esperienza nella propria vita quotidiana.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Nel questionario elaborato per la presente indagine, gli utenti dei Cpi sono stati interrogati a proposito di alcuni aspetti della propria vita sociale e personale. In particolare, abbiamo raccolto i giudizi soggettivi (quindi, giudizi che prescindono da una valutazione obiettiva sulle risorse presenti nelle città oggetto dell’indagine) riguardanti i servizi sanitari, i trasporti pubblici, la scuola e le opportunità di formazione, i servizi per il lavoro, l’offerta culturale ed i rapporti interpersonali143.

Una prima valutazione, assai generale, ci porta a evidenziare che la media dei giudizi, in tutti i campi, si colloca oltre la linea della positività, tra la sufficienza e una buona valutazione (tra i valori 3 e 4). Per le ulteriori articolazioni dei giudizi, abbiamo ricodificato la votazione numerica attraverso una semplice ripartizione dei giudizi tra tre campi: negativo, positivo, ottimo.

Il dato numerico così ridefinito ci mostra che i giudizi effettivamente “negativi” sono sempre una netta minoranza (tab. 31), oscillando tra il 3,3% dei rispondenti, nel caso dell’offerta culturale, fino al 17,6% per i trasporti pubblici. Il cuore dei giudizi degli utenti è rappresentato dai giudizi “positivi”, che oscillano tra il 75,3% dell’offerta culturale fino al 56,8% della scuola e formazione professionale. Quelli “ottimi” possono anch’essi variare considerevolmente, dal 10% dei trasporti pubblici, fino a valori tra il 25% e il 35%, per i servizi sanitari e la scuola.

Tab. 31 - Giudizi sulla città. Valori percentuali (escluso “Non sa” e “Non li utilizza”)

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Un dato più complesso comincia ad emergere dall’osservazione della fig. 24. Da essa,

infatti, si può notare che ciascun tema di giudizio ha un suo proprio orientamento, nel posizionamento delle valutazioni tra negatività e positività. Le curve che vengono così disegnate possono essere raggruppate sulla base alcune caratteristiche comuni: vi è un primo gruppo di servizi pubblici essenziali, come i servizi sanitari e la scuola, ma anche non essenziali come l’offerta culturale, per i quali osserviamo un chiaro spostamento dei 143 In origine, il questionario presentava una articolazione dei giudizi più varia, offrendo la possibilità di

giudicare i servizi cittadini e la vita sociale secondo una scala numerica, con valori compresi tra 1 (valutazione pessima) a 5 (valutazione ottima). Nel corso dell’elaborazione dei dati, i primi due giudizi (pessimi e scarsi) sono stati aggregati nel campo dei giudizi negativi, i due successivi (sufficienti e buoni) nel campo dei giudizi positivi, mentre i giudizi ottimi sono stati mantenuti, al fine di segnalare i picchi degli orientamenti positivi.

Positivo Ottimo Totale

Servizi sanitari 8,7 66,7 24,6 100,0Scuola, formazione 9,3 56,8 34,0 100,0Offerta culturale 3,3 75,3 21,4 100,0Trasporti pubblici 17,6 71,8 10,6 100,0Servizi per il lavoro 15,1 67,5 17,4 100,0Rapporti interpersonali 12,6 71,2 16,2 100,0

GiudizioNegativo

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giudizi verso l’estremo positivo del grafico (i giudizi “ottimi”). In tutti e tre i casi, si hanno alte percentuali di valutazioni buone ed ottime, mentre quelle insufficienti sono sempre al di sotto del 10% dei rispondenti. Vi sono poi altri servizi, maggiormente istitu-zionalizzati, come i trasporti pubblici e i servizi per il lavoro, per i quali i giudizi, che nel complesso vedono una grande maggioranza di “positivi”, mostrano un andamento dif-ferente, maggiormente assestati sulla parte centrale del grafico (l’area “positiva”, appunto, data dalla somma dei giudizi “sufficienti” e di quelli “buoni”), vedendo un bilanciamento più equilibrato tra gli estremi “ottimi” e “insufficienti”. Vi sono, infine, i rapporti interpersonali, che sebbene vedano una grande maggioranza di giudizi positivi e ottimi (più vicina al primo gruppo di valutazioni), segnalano anche una parte non irrilevante di giudizi negativi.

Fig. 24 - Curve dei giudizi sulla città, totale dei rispondenti. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Questi andamenti diversi, ad una prima osservazione “poco espressivi”

all’interpretazione, ci suggeriscono alcune domande, che tenteremo di affrontare nei paragrafi successivi. Anzitutto, come si articolano questi giudizi secondo le differenze di genere, di età, e in base alla durata della permanenza in Italia? E aldilà del giudizio in sé, le differenze di genere come intervengono nel determinare il “non uso” e il “non utilizzo” di questi aspetti della vita sociale e personale? I giudizi verranno inoltre analizzati sotto la

0

10

20

30

40

50

60

1 2 3 4 5

Servizi sanitari Trasporti pubblici Scuola, formazioneServizi per il lavoro Offerta culturale Rapporti interpersonali

Giudizio Insufficiente

Giudizio Positivo

Giudizio Ottimo

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

122

prospettiva dei titoli di studio e della conoscenza della lingua al momento dell’entrata in Italia. Dopodichè, passeremo ad articolare il dato attraverso altre lenti: quelle dell’integrazione sociale, illustrate nei nostri dati dalla condizione familiare, abitativa e occupazionale.

GIUDIZI SULLA CITTÀ PER GENERE L’articolazione dei giudizi per genere evidenzia anzitutto un dato basilare: una media

più alta dei giudizi femminili rispetto a quelli maschili (tab. 32); ed inoltre il maggior peso dei giudizi femminili “ottimi” (eccetto che per i trasporti).

Tab. 32 - Giudizi sulla città, per genere dei rispondenti. Valori percentuali (escluso “Non sa” e “Non li utilizza”)

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

GiudizioServizi sanitariNegativo 7,4 9,8 8,7Positivo 72,5 61,4 66,7Ottimo 20,1 28,8 24,6Totale 100,0 100,0 100,0

Trasporti pubbliciNegativo 16,2 19,0 17,6Positivo 72,8 70,8 71,8Ottimo 11,0 10,3 10,6Totale 100,0 100,0 100,0

Scuola, formazioneNegativo 14,4 5,8 9,3Positivo 52,9 59,4 56,8Ottimo 32,7 34,8 34,0Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 13,8 16,6 15,1Positivo 72,1 62,1 67,5Ottimo 14,1 21,3 17,4Totale 100,0 100,0 100,0

Offerta culturaleNegativo 5,7 1,2 3,3Positivo 73,3 77,0 75,3Ottimo 21,0 21,8 21,4Totale 100,0 100,0 100,0

Rapporti interpersonaliNegativo 15,3 9,8 12,6Positivo 71,4 71,0 71,2Ottimo 13,4 19,2 16,2Totale 100,0 100,0 100,0

TotaleUomini Donne

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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A fronte di questo maggiore orientamento a esprimere “ottime” valutazioni sui servizi e sulla città in cui abitano e si trovano a vivere, le donne migranti intervistate evidenziano, tuttavia, una maggiore presenza di giudizi negativi per sanità, trasporti e servizi per il lavoro. In particolare, i giudizi sulla sanità possono risultare esemplari dell’articolazione delle valutazioni femminili sulla città: uno spostamento generale verso lo spettro positivo, una significativa presenza di ottime valutazioni su città e servizi, ma, tuttavia, una quota non irrilevante di giudizi negativi e un conseguente restringimento dei giudizi intermedi, ovvero quelli “positivi” (per quanto risultino ancora nettamente maggioritari). I dati paiono suggerire come i giudizi femminili siano il frutto, come e più di quelli maschili, di un uso competente e di una frequentazione diretta di servizi e aspetti della vita sociale della città. Non si tratta, insomma, di giudizi espressi per “sentito dire” o frutto di un “senso comune” costruito in ambito familiare. Riguardo questo aspetto, difatti, osserviamo una generale maggiore intensità di utilizzo dei servizi cittadini da parte delle donne, dal momento che per tutti i campi (eccetto i servizi per il lavoro), le donne esprimono giudizi “non so” e “non utilizza” inferiori a quelli maschili, ed in particolare per i servizi sanitari (tab. 33).

Tab. 33 - Giudizi sulla città, per genere: “Non sa”, “Non risponde”. Valori percentuali sul totale dei rispondenti

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Servizi cittadini

Servizi sanitariNon sa 7,6 2,1 4,9Non li utilizza 12,0 6,6 9,3

Trasporti pubbliciNon sa 2,3 1,4 1,9Non li utilizza 13,8 6,4 10,2

Scuola, formazioneNon sa 37,6 29,6 33,6Non li utilizza 38,5 33,8 36,2

Servizi per il lavoroNon sa 29,5 34,0 31,7Non li utilizza 6,9 10,4 8,6

Offerta culturaleNon sa 14,5 10,2 12,4Non li utilizza 37,1 32,4 34,8

Rapporti interpersonaliNon sa 1,4 1,4 1,4Non li utilizza 2,1 2,4 2,2

Uomini Donne Uomini

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Va ricordato come l’uso dei servizi e della città da parte delle donne migranti, specie a fronte dei processi di integrazione familiare e di ricongiungimento di coniuge e figli, si configuri come una conoscenza, e di conseguenza un uso, di carattere molteplice, sia diretto sia indiretto; ovvero, si tratta spesso di un contatto diretto, per sé e per i propri bisogni, ma anche di un rapporto stabilito insieme e per conto di altri: nell’accompa-gnamento, nella cura, nell’attenzione prestata ai figli e al coniuge. Ciò significa, più semplicemente, che le donne straniere con figli e coniuge in Italia hanno probabilmente più chance di entrare in contatto frequentemente con il sistema sanitario (per i malanni dei figli più giovani), con la scuola frequentata dai figli minori (oltre che con la forma-zione rivolta agli adulti), ed anche con l’offerta culturale, di cui bambini e adolescenti, specie grazie ad una maggiore fruizione dei media di massa, possono rappresentare “guide esperte” per sé e per l’intera famiglia.

L’ETÀ E LA PERMANENZA IN ITALIA L’articolazione per età incrociata con i giudizi sulla città è stata semplificata rispetto

alla suddivisione quinquennale. Ad una prima osservazione dei dati, possiamo eviden-ziare due modelli di giudizio dei servizi cittadini associati con l’andamento delle età: anzitutto, vi sono servizi per i quali il crescere dell’età (e della permanenza in Italia, come possiamo osservare dalle tabb. 34 e 35) è associato ad un aumento sia dei giudizi negativi sia di quelli estremamente positivi. Un esempio di questo andamento è nei giudizi sui servizi sanitari, dei quali i cittadini stranieri mettono in atto un uso evidentemente selettivo con il passare del tempo: da uno generico e sporadico (età giovani e permanenze brevi in Italia, con giudizi concentrati massicciamente sui “positivi”), ad usi più intensi e specifici (uso più frequente e focalizzato: dalle esigenze dell’età riproduttiva fino alle necessità delle età anziane).

Tab. 34 - Giudizi sulla città, per classe di età. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Servizi sanitariNegativo 7,2 9,2 7,3 11,3 8,7Positivo 77,6 63,6 68,9 57,4 66,7Ottimo 15,2 27,2 23,7 31,3 24,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 12,7 15,4 16,9 13,0 15,1Positivo 67,1 68,6 67,5 64,9 67,5Ottimo 20,3 16,0 15,7 22,1 17,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

TotaleServizi cittadini

Fino a 25 anni 26-35 anni 36-45 anni Oltre 45 anniClasse di età

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 35 - Giudizi sulla città, per durata della permanenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Accanto a questo modello dei giudizi articolati per età, assai associato ai caratteristici

bisogni sociali e biologici dei rispondenti più che alla qualità dei servizi offerti; vi è un altro modello, per il quale i dati evidenziano una maggiore dipendenza dalle caratteristiche e dall’effettiva efficacia dell’offerta. Si tratta dei servizi per il lavoro, per i quali le classi di età centrali, tra i 26 e i 45 anni, mostrano giudizi negativi significa-tivamente più alti e giudizi ottimi più bassi delle età più giovani e più anziane.

Naturalmente, su ciò incidono bisogni e domande evidentemente differenti a seconda dell’età, nonché un uso più frequente, più intensivo e, presumibilmente, più competente delle proprie risorse nel mercato del lavoro, da parte dei lavoratori delle classi di età centrali e di quelli presenti in Italia da più tempo. Tuttavia, si può anche ipotizzare una maggiore sofferenza delle classi di età centrali (né giovanissimi, né “lavoratori anziani”), solitamente escluse da alcune opportunità offerte ai soggetti deboli del mercato del lavoro e quindi più esposte agli effetti del ciclo economico.

GIUDIZI SULLA CITTÀ, TITOLO DI STUDIO E CONOSCENZA DELLA LINGUA ITALIANA Le caratteristiche dei rispondenti acquisite precedentemente all’approdo in Italia

rappresentano anch’esse un fattore importante nel decidere i giudizi che gli stranieri danno sulla propria attuale condizione. In questa prospettiva, il titolo di studio dei rispondenti e la conoscenza della lingua italiana paiono correlati, in generale, ad una maggiore fruibilità ed accessibilità dei servizi cittadini, insieme all’espressione di giudizi maggiormente orientati verso i poli positivi.

Titoli di studio più elevati sono legati a giudizi migliori in tutti i campi (tab. 36); tuttavia, è evidente anche l’aumento dei giudizi negativi soprattutto per alcuni servizi decisivi per la vita sociale e occupazionale: servizi sanitari, scuola e formazione, servizi per il lavoro.

Servizi sanitariNegativo 6,5 6,3 8,3 12,3 8,7Positivo 63,0 72,4 64,7 62,7 66,7Ottimo 30,4 21,3 27,0 25,0 24,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 13,3 11,8 19,3 16,0 15,1Positivo 64,4 75,4 60,7 64,6 67,5Ottimo 22,2 12,8 20,0 19,4 17,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

TotaleServizi cittadini

Fino ad 1 anno Da 2 a 5 anni Da 6 a 9 anni 10 anni e oltreDurata della permanenza in Italia

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Tab. 36 - Giudizi sulla città, per titolo di studio posseduto. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Se a ciò si aggiunge lo “scalino” rappresentato da una minore positività dei giudizi dei

rispondenti laureati, possiamo affermare che le persone in possesso di titoli di studio elevati, conoscenza della lingua e in generale una maggiore dotazione culturale pongano richieste (o abbiano aspettative) che non vengono del tutto soddisfatte dal contesto sociale e urbano, soprattutto in alcune aree critiche legate alla salute, alla formazione e al lavoro. Per contro, i giudizi espressi su campi più informali (le relazioni interpersonali) o più orientati dalla libera scelta dei rispondenti verso risorse di mercato (l’offerta culturale) sono più linearmente e positivamente legate sia ai titoli di studio che alla conoscenza pregressa della lingua italiana (tab. 37).

Servizi sanitariNegativo 5,1 11,5 7,0 10,8 8,7Positivo 76,5 64,6 66,0 64,7 66,7Ottimo 18,4 23,9 27,0 24,5 24,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Trasporti pubbliciNegativo 22,9 15,3 17,2 20,6 17,6Positivo 71,1 73,8 71,1 70,1 71,8Ottimo 6,0 10,9 11,7 9,3 10,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Scuola, formazioneNegativo 0,0 15,7 4,2 13,0 9,2Positivo 62,5 53,0 58,3 58,7 56,8Ottimo 37,5 31,3 37,5 28,3 34,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 11,8 12,5 18,9 15,5 15,1Positivo 82,9 69,6 60,0 65,5 67,5Ottimo 5,3 17,9 21,1 19,0 17,4 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Offerta culturaleNegativo 10,0 2,2 2,1 5,1 3,3Positivo 80,0 80,1 72,2 73,1 75,3Ottimo 10,0 17,6 25,8 21,8 21,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Rapporti interpersonaliNegativo 19,8 12,6 9,6 13,8 12,6Positivo 70,3 73,2 72,9 63,8 71,2Ottimo 9,9 14,1 17,5 22,4 16,2Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Servizi cittadiniTotale

Titolo di studio

Fino alla lic. elem.

Lic. media

Maturità o qual. profess.le Laurea

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 37 - Giudizi sulla città, per conoscenza della lingua italiana al momento dell’ingresso. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

GIUDIZI SULLA CITTÀ E CONDIZIONE OCCUPAZIONALE L’uso della città e il giudizio sui suoi molteplici aspetti non appaiono, nei dati

presentati nell’indagine, strettamente dipendenti dalla attuale condizione di occupazione degli utenti intervistati. Sicuramente, essere occupati è un indicatore di integrazione sociale e di disponibilità di risorse economiche decisivo. Nel nostro caso, tuttavia, questo dato è probabilmente diluito dalla specifica ed assai particolare condizione di occupazione dei rispondenti: si tratta, difatti, pur sempre di un lavoro che ha condotto comunque al Cpi, non solo per bisogni amministrativi o burocratici. Spesso (come

Servizi sanitariNegativo 6,0 9,2 8,7Positivo 58,0 68,0 66,7Ottimo 36,0 22,8 24,6Totale 100,0 100,0 100,0

Trasporti pubbliciNegativo 17,8 17,6 17,6Positivo 63,6 73,1 71,8Ottimo 18,7 9,3 10,6Totale 100,0 100,0 100,0

Scuola, formazioneNegativo 6,4 9,9 9,2Positivo 38,3 60,8 56,8Ottimo 55,3 29,2 34,0Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 20,5 14,1 15,1Positivo 43,6 71,8 67,5Ottimo 35,9 14,1 17,4Totale 100,0 100,0 100,0

Offerta culturaleNegativo 3,8 3,2 3,3Positivo 57,0 79,1 75,3Ottimo 39,2 17,6 21,4Totale 100,0 100,0 100,0

Rapporti interpersonaliNegativo 11,4 12,8 12,6Positivo 61,4 72,8 71,2Ottimo 27,2 14,5 16,2Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi cittadiniSi No Totale

Conoscenza dell’italiano

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

128

abbiamo osservato nel capitolo dedicato ai rapporti con il Centro per l’impiego) si tratta di un lavoro precario o in nero, che vede pertanto gli “occupati” fortemente orientati alla ricerca di una nuova occupazione, più sicura e stabile (risponde in tal modo quasi il 40% del gruppo di chi afferma di avere già un lavoro).

GIUDIZI SULLA CITTÀ E ALTRI FATTORI DI INTEGRAZIONE SOCIALE: PRESENZA DEL

CONIUGE, PRESENZA DEI FIGLI, ABITAZIONE Abbiamo già evidenziato, a proposito dei giudizi espressi dalle donne e dagli uomini,

come le valutazioni sulla città e sui servizi dipendano da specifiche condizioni di inte-grazione sociale. Per approfondire questo aspetto, abbiamo articolato il dato dei giudizi con le condizioni familiari (presenza del coniuge e/o dei figli in Italia) e con l’attuale situazione abitativa. L’obiettivo è in questo caso di ricercare alcune correlazioni tra l’integrazione sociale degli utenti stranieri dei Centri per l’impiego e il giudizio espresso sulla città. In linea generale, si conferma un nesso positivo tra la presenza di coniuge (tab. 38) e figli in Italia (tab. 39), combinata in genere con una abitazione in una casa in affitto (tab. 40), da solo o con la propria famiglia, e giudizi maggiormente orientati verso il polo positivo, in particolare evidenziando giudizi “ottimi” sempre superiori alla media. A questa espressione di giudizi migliori, corrisponde inoltre una diminuzione proporzionale dei giudizi negativi. Ciononostante, usi più intensi e diversificati di alcuni servizi (mag-giore integrazione significa anche maggiore intensità di uso e domande e bisogni molte-plici posti ai servizi pubblici) sono associati in alcuni casi ad una crescita dei giudizi posi-tivi ma anche ad un maggior peso dei giudizi negativi, e a un conseguente restringimento della maggioranza di giudizi intermedi, ovvero i “positivi”.

Tab. 38 - Giudizi sulla città, per presenza del coniuge in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Questo aspetto viene messo in luce in particolare per i servizi sanitari e quelli per il

lavoro, la cui conoscenza approfondita e diversificata tende a divaricare gli estremi di

Servizi sanitariNegativo 9,6 6,9 8,6Positivo 54,4 79,3 63,8Ottimo 36,0 13,8 27,6Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 14,7 10,7 12,9Positivo 60,7 82,8 70,6Ottimo 24,7 6,6 16,5Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi cittadiniTotaleNoSi

Presenza coniuge

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

129

giudizio. Sembra venire alla luce, pertanto, un limite strutturale dell’offerta di tali servizi, specie di fronte al crescere dalle complessità delle aspettative e delle richieste portate dagli utenti stranieri maggiormente integrati.

Ad ogni modo, appare evidente come la rete dei servizi cittadini e l’offerta di relazio-ne e di benessere delle città siano legate ad alcune condizioni sociali di base dei rispon-denti; e ciò vale in una relazione certamente biunivoca: migliori servizi migliorano ten-denzialmente l’integrazione e, per un altro verso, condizioni favorevoli all’integrazione (in questo caso condizioni familiari e abitative, ma certamente anche quelle amministrati-ve che determinano la permanenza e il soggiorno) migliorano l’accesso ed anche le pos-sibilità di valutazione competente sui servizi cittadini, qui compresi i servizi per il lavoro, i giudizi sui quali divengono più specifici e articolati (aumento dei giudizi estremi).

Tab. 39 - Giudizi sulla città, per figli presenti in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Tab. 40 - Giudizi sulla città, per attuale condizione abitativa. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera dei Cpi 2006.

Servizi sanitariNegativo 8,2 9,1 8,7Positivo 73,6 55,3 62,4Ottimo 18,2 35,6 28,9Totale 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 12,7 16,8 14,9Positivo 76,2 61,5 68,4Ottimo 11,1 21,7 16,7Totale 100,0 100,0 100,0

TotaleServizi cittadini

Nessun figlio Almeno un figlioFigli in Italia (%)

Servizi sanitariNegativo 8,9 9,0 7,6 8,7Positivo 62,2 77,6 69,7 66,7Ottimo 28,9 13,5 22,7 24,6Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Servizi per il lavoroNegativo 12,6 16,3 21,1 15,1Positivo 68,9 70,4 58,9 67,5Ottimo 18,5 13,3 20,0 17,4Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

TotaleServizi cittadini Casa da solo/

con la propria famigliaCasa condivisa

con altriSoluzioni precarie

e provvisorie

Condizione abitativa

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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3. I CENTRI PER L’IMPIEGO E L’UTENZA EXTRACOMUNITARIA: SERVIZI ATTUATI E MODALITÀ DI REALIZZAZIONE NELLE PROVINCE INDAGATE

3.1 I cittadini stranieri e i Centri per l’impiego

Sicuramente quella dei cittadini extra neocomunitari è stata negli ultimi 5 anni una delle categorie che più hanno caratterizzato le trasformazioni degli utenti dei Centri per l’impiego. Ciò è avvenuto non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi: l’accresciuta quota di stranieri, infatti, ha comportato anche la necessità da parte degli Spi, di adeguare i propri servizi e i propri operatori per fronteggiare richieste da parte di cittadini che, per storia, cultura ed esigenze, presentano forti elementi di originalità. Di tale trasformazione si ha una chiara evidenza se si guarda ai dati raccolti nelle periodiche attività di monitoraggio sui Servizi pubblici per l’impiego svolte dall’Isfol negli ultimi 6 anni, e che qui vengono sinteticamente riproposti al fine di offrire un quadro complessivo della situazione nazionale. Nei paragrafi successivi verranno, invece, analizzati più nello specifico i servizi posti in essere presso i Cpi coinvolti direttamente in questa indagine.

Come si è gia avuto modo di rimarcare, l’aumento della popolazione straniera resi-dente è stato in questi anni molto pronunciato. Dal primo gennaio del 2001 al 1° gennaio del 2006 i permessi di soggiorno validi sono passati da poco meno di 1milione e 400mila a quasi 2milioni e 300 mila, con un incremento di oltre il 65% (fig. 25). A tale crescita hanno contribuito in maniera molto rilevante le aree del settentrione ed in particolare il Nord-Est dove, nei cinque anni qui considerati, i permessi di soggiorno sono praticamente raddoppiati.

Per quanto meno dirompente nell’incremento, il Centro Italia presenta numeri prossimi a quelli del Nord-Est (soprattutto grazie all’area romana), mentre le regioni del meridione, con poco meno di 270mila permessi (pari all’11,7% del totale nazionale), sono quelle meno interessate dal fenomeno. Rimane comunque il fatto che, con diverse gradazioni, tutto il sistema dei Cpi ha dovuto misurarsi con questa nuova tipologia di utenza che, oltre a conquistare peso all’interno della popolazione, aumentava la propria incidenza anche all’interno dell’offerta di lavoro.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Fig. 25 - Permessi di soggiorno validi al 1 gennaio, per area territoriale di residenza. Valori assoluti e variazioni percentuali. Anni 2001 e 2006

Fonte: Istat 2006.

Peraltro, tanto a causa delle scelta migratoria (fatta, nella gran parte dei casi, cercare

un’occupazione all’estero), che per obblighi legislativi (il diritto al soggiorno è, nella gran parte dei casi, vincolato al possesso di un lavoro), i cittadini extra o neocomunitari presentano tassi di attività notevolmente più elevati di quelli degli italiani, soprattutto per la componente femminile. Ne consegue, quindi, un’elevata incidenza sulle forze lavoro nazionali e, di conseguenza, sull’utenza dei Cpi. In particolare, la media delle forze lavoro del 2005 evidenziava che più di 5 soggetti su 100 erano stranieri, valore che saliva a 7 se si considerano le persone in cerca (tab. 41).

Tab. 41 - Forze di lavoro per condizione e cittadinanza. Valori assoluti e incidenza stranieri su totale forze di lavoro. Media 2005

Fonte: elaborazione Isfol su dati Istat.

La componente immigrata disoccupata, quindi, presenta un’incidenza ancora maggiore

di quella occupata, e questo non necessariamente solo per difficoltà di inserimento lavorativo. I lavoratori immigrati registrano periodi di occupazioni meno prolungati rispetto alla media nazionale, con un numero di uscite-ingressi nell’occupazione più elevati rispetto a quelli degli autoctoni. Inoltre, come già detto, gli stranieri presentano tassi di attività più elevati degli italiani. L’insieme di questi fattori (difficoltà di inse-

Condizione

Occupati 1.169 21.393 22.563 5,2In cerca 132 1.756 1.889 7,0Totale 1.302 23.150 24.451 5,3

Stranieri Italiani Totale Incidenza

-

500.000

1.000.000

1.500.000

2.000.000

2.500.000

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole Italia0

20

40

60

80

100

1202001 2006 variazione % 2001-2006

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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rimento, turnover occupazione-disoccupazione, tassi di attività), concorrono all’incidenza relativamente più elevata fra le persone in cerca e, conseguentemente, alla pressione sul sistema dei Spi.

Fig. 26 Percentuale di cittadini neo ed extracomunitari disponibili al lavoro nei Cpi per area geografica

Fonte: Isfol, indagine sui Cpi 2006.

I Servizi per l’impiego, del resto, non sono per gli stranieri soltanto un veicolo per

cercare un nuovo lavoro ma, spesso, anche un passaggio obbligato per mantenere in essere, allorché ci si trovi disoccupati, il proprio diritto a rimanere in Italia attraverso il prolungamento della validità del proprio permesso di soggiorno. Prolungamento ottenibile proprio tramite la certificazione di disponibilità rilasciata dai Cpi. Non a caso la presenza di cittadini stranieri ha conosciuto, anche tra gli iscritti ai Centri per l’impiego, un’elevata crescita, tanto che stando ai dati rilevati dal monitoraggio qui presentato, il 5,4% degli iscritti ex D.Lgs. 181/2000 sono neo od extracomunitarie, con punte che, nel Nord-Est, sfiorano il 16%.

Per i cittadini stranieri i Centri per l’impiego si presentano spesso come la principale interfaccia, dopo la questura, con la pubblica amministrane; interfaccia alla quale chiedono spesso competenze anche non strettamente legate alle funzioni che legislati-vamente sono a questa attribuite. Così gli operatori dei Cpi, oltre a dover acquisire nuove competenze (anche linguistiche) e conoscenze tecnico amministrative di norme che, tra l’altro, sono andate cambiando frequentemente negli ultimi 15 anni, hanno dovuto rispondere anche a bisogni non afferenti al solo lavoro. Non a caso la costruzione di ampie reti relazionali con altri soggetti istituzionali legati al tema dell’immigrazione (questure in primis, ma anche servizi sociali, Inps, Asl, ecc.) è stata la principale strategia (vincente nella gran parte dei casi) seguita dal sistema dei Servizi pubblici per l’impiego.

In questo, la frequente provenienza degli operatori dalle Direzioni provinciali del lavoro a seguito della riforma del D.Lgs. 469/98, ha spesso facilitato l’implementazione,

Incidenza stranieri totaleNord-Ovest 14,7Nord-Est 15,6Centro 7,2Sud e Isole 2,2Totale 5,4

14,715,6

7,2

2,2

5,4

02468

1012141618

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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almeno informale, di network istituzionale. In tal modo, non di rado, l’utente che aveva difficoltà ad esempio nel rinnovo del permesso di soggiorno, trovava nel servizio istituito presso il Cpi un ulteriore canale di accesso a informazioni riguardanti la sua pratica. Si consideri, a tal proposito, che la gestione delle pratiche di rinnovo, affidate alle questure, utilizzano strutture in generale poco abituate ad interfacciarsi con il pubblico, e spesso hanno difficoltà, per formazione e per mole di lavoro, a prestare le necessarie attenzioni all’esigenza dell’utente. In tal senso l’apertura di uno sportello destinato a lavoratori immigrati presso il Cpi, magari con un mediatore culturale e con una buona rete di relazioni interistituzionali, offre la duplice opportunità di accedere ad un servizio speci-fico e di poter interagire con operatori più attenti alle esigenze dell’utente. In tal modo, la crescita del ruolo dei Servizi pubblici per l’impiego nelle politiche di inserimento lavorativo degli immigrati ma anche, come visto, di soggiorno e, almeno formalmente, di ingresso144, ha portato ad un costante aumento dei Cpi che offrono servizi specifici a tale utenza. Come prevedibile, la quota di Centri per l’impiego che hanno attivato tale tipologia di servizio, varia da area ad area, e risente in maniera significativa dell’incidenza dei cittadini stranieri sul territorio.

Fig. 27 - Cpi che hanno attivato servizi destinati a utenti neo o extracomunitari. Valori percentuali. Anni 2001-2006

Fonte: Isfol, indagine sui Cpi 2006.

In linea generale, la quota di Cpi con servizi per stranieri attivati ha conosciuto una

crescita decisamente significativa negli ultimi anni, passando da poco più di 3 centri su 10 del 2001, ai 6 del 2006. In altre parole, in 6 anni la percentuale di Centri che hanno attivato uno sportello specifico per lavoratori neo od extracomunitari, o offrono un

144 La riforma del Testo Unico sulle politiche migratorie del 2002 prevede che la domanda nominativa di

assunzione di un lavoratore extracomunitario non presente in Italia sia preceduta dalla pubblicazione della domanda di lavoro nel Cpi di competenza.

Area Attivati2001 2002 2003 2004 2006

Nord-Ovest 32,0 49,0 58,7 26,1 51,8Nord-Est 38,7 57,9 55,8 31,8 65,5Centro 41,7 70,9 54,0 47,6 74,4Sud e Isole 27,4 40,2 27,8 72,2 55,5Totale 35,1 50,7 44,6 48,0 60,0

Cpi che hanno attivato servizi specifici destinati all’utenza

3239 42

2735

4958

71

40

5159 56 54

28

45

2632

48

72

4852

6674

5560

0

10

20

3040

50

60

70

80

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole Totale

2001 2002 2003 2004 2006

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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servizio di mediazione culturale, è quasi raddoppiata. Rilevante è notare come le quote annuali, soprattutto a livello di sub-area, non mantengano sempre un trend constante, segno di come spesso tale tipologia di servizio sia legato a sperimentazioni episodiche. Spesso ciò accade perché la numerosità dell’utenza straniera non è tale da giustificare i costi di tale servizio (come ad esempio nelle aree del meridione), oppure, più di frequente, perché per il servizio, spesso esternalizzato a cooperative sociali, non si riescono a trovare i fondi necessari per andare oltre la sperimentazione o, infine, perchè la rilevazione ha colto l’amministrazione nel momento di rinnovo dei bandi di assegnazione del servizio stesso. Al netto di tale variabilità, è comunque evidente una maggior consistenza delle aree del Nord Italia, ed in parte del Centro, che mostrano un trend di crescita piuttosto costante, a indicare, soprattutto nel settentrione, il consolidarsi di servizi che oramai hanno accumulato vari anni di esperienza.

Non a caso, se si guarda alla tipologia di servizio attivato, lo sportello, che rappresenta il modello più “stabile” e strutturalmente integrato all’interno del Cpi, presenta i valori più elevati proprio nelle zone del Centro-Nord, mentre nel meridione è quasi assente.

Tab. 42 - Servizi per cittadini neo o extracomunitari attivati per area e tipologia. Valori percentuali. Anno 2006

Fonte: Isfol, indagine sui Cpi 2006.

Decisamente più trasversale è, invece, la presenza del mediatore culturale, figura il cui

ruolo si è andato, negli anni, meglio definendosi e che, in linea generale, svolge funzione di facilitatore tra Centro e utente immigrato, seguendolo all’interno dei vari servizi offerti dal Cpi. In tal senso tale figura professionale deve possedere competenze che vanno ben al di là di quelle linguistiche, peraltro preziosissime. Occorre, infatti, che conosca bene le procedure legate al soggiorno, ma anche quelle relative al lavoro e alle peculiarità dei diversi servizi offerti dal centro, in modo da essere di supporto, laddove necessario, tanto all’utente quanto all’operatore. Inoltre, deve poter conoscere a fondo la cultura e le consuetudini di chi ha di fronte, in modo da renderne quanto più possibili espliciti i bisogni.

Non a caso, proprio sulla mediazione culturale hanno agito gran parte delle Province, sia istituendo negli anni corsi di formazione destinati a tali figure professionali, sia prevedendone l’inserimento all’interno dei singoli Cpi.

Mediatore culturale 25,5 34,5 34,9 48,2 38,3Sportello con mediatore 23,6 24,1 38,4 7,3 19,4Sportello 2,7 6,9 1,2 0,0 2,3Nessun servizio 48,2 34,5 25,6 44,5 40,0Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Tipologia di servizioArea geografica

TotaleNord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Anche nel caso delle Province, come già visto per i servizi offerti dai Cpi, si è assistito, in questi anni, ad un costante aumento dell’interesse verso i lavoratori stranieri tanto che le amministrazioni provinciali che hanno promosso o sono state coinvolte in azioni per l’inserimento lavorativo di tale tipologia di utenza sono passate dal 30% del 2001, al 59% del 2006, anche qui, come rilevato in precedenza, con chiare disomogeneità territoriali e andamenti incostanti del trend.

Fig. 28 - Percentuale di Province che hanno promosso o hanno partecipato ad azioni verso immigrati per l’inserimento di cittadini extra o neocomunitari. Anni 2001-2006

Fonte: Isfol, indagine sui Cpi 2006.

3.2 Torino

Il tema dell’inserimento professionale dei cittadini non comunitari è stato affrontato dalla Provincia di Torino attraverso importanti azioni concretizzate in attività e progetti di diversa natura, accomunati dal target di riferimento. Il Servizio lavoro della Provincia coordina l’attività degli stessi Cpi per quanto concerne le normative riguardanti specificamente l’accesso all’impiego in Italia per cittadini extra-comunitari, verificandone l’applicazione. Il Servizio lavoro partecipa inoltre, insieme al Servizio programmazione solidarietà sociale, al Consiglio territoriale per l’immigrazione, istituito presso la Prefettura nel 2000 ai sensi del DPR 394/99, con funzioni di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale. Il Consiglio territoriale raccoglie tutti gli enti che, istituzionalmente o meno, si trovano a contatto con la tematica dell’immigrazione e spesso porta, tramite il Prefetto, proposte (ad esempio di modifica di disegni di legge) al Governo. Nell’ambito del Consiglio, il Servizio lavoro coordina il gruppo di lavoro avente per oggetto l’inserimento lavorativo degli immigrati.

2001 2002 2003 2004 2006Nord-Ovest 63,2 52,4 36,8 90,9 60,9Nord-Est 22,2 68,2 31,8 77,3 81,0Centro 35,0 66,7 57,1 80,0 61,9Sud 13,9 46,2 69,7 37,1 42,9Totale 30,1 52,0 51,6 66,7 59,0

Province che hanno promosso/partecipato ad iniziative per favorire

6352

37

91

61

2232

77 81

35

6757

80

62

14

46

70

3743

30

52 52

6759

68

0102030405060708090

100

2001 2002 2003 2004 2006

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Totale

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

136

Nell’ambito della programmazione sostenuta dal Ministero del lavoro, alla fine del 2003 ha preso avvio, per la durata di un anno, un servizio di mediazione interculturale presso i Centri per l’impiego di Torino e provincia, attuato all’interno del Pon per l’“Attività di consulenza a sostegno dei Servizi per l’impiego per favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati”, affidato all’Ati Ernst & Young - Cies, che coinvolge le Regioni Piemonte, Lazio e Lombardia. Presso i Centri per l’impiego di Torino e provincia sono inoltre periodicamente inseriti in stage gli allievi dei Corsi regionali di formazione professionale per mediatori interculturali. A tale attività, che ha prodotto la traduzione dei materiali informativi sui servizi dei Cpi in arabo, francese, albanese, rumeno e spagnolo, è seguita una Delibera della Giunta provinciale n. 219438/2005 del 17/05/2005 “Attività sperimentale di mediazione interculturale nei Cpi della Provincia di Torino” per la costituzione di un elenco di Mediatori interculturali e l’attivazione di un Servizio di mediazione interculturale nei Centri per l’impiego della Provincia di Torino.

Parallelamente, un accordo tra Ministero del lavoro e Regione Piemonte per la realizzazione di un Progetto sperimentale di integrazione sociale degli extracomunitari, ha previsto il coinvolgimento delle Province per l’attivazione di interventi mirati con l’ausilio di mediatori culturali: tale attività ha beneficiato della positiva esperienza della mediazione culturale e ha permesso la prosecuzione dell’erogazione del servizio, ampliando anche la platea dei Cpi coinvolti.

I positivi risultati ottenuti hanno aperto la strada alla realizzazione di un servizio di mediazione culturale permanente nei Cpi, gestito dal Servizio politiche per il lavoro e l’orientamento della Provincia di Torino. La Rete dei referenti per l’immigrazione nei Centri per l’impiego della Provincia di Torino, composta da 18 operatori che hanno seguito uno specifico percorso formativo, rappresenta un indispensabile riferimento informativo e normativo interno ai Centri per l’impiego.

Nei Centri per l’impiego, quindi, non è stato istituito uno sportello dedicato agli utenti extracomunitari, ma si propone un percorso unico di inserimento lavorativo delle persone in cerca di occupazione, secondo quanto previsto dal D.Lgs. 181/2002. L’inserimento nella banca dati dei Centri per l’impiego della Provincia di Torino è possibile per coloro in possesso di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, lavoro stagionale, lavoro autonomo o in attesa occupazione, per ricongiungimenti familiari, per asilo politico145, ma anche per motivi umanitari, per studio e formazione professionale o nei casi di affidamento (l. 184/83)146.

145 Da ottobre 2005, in seguito all’emanazione del D.Lgs. 140/05, anche i richiedenti asilo possono essere

presi in carico se, passati sei mesi dalla presentazione della domanda relativa al riconoscimento dello status di rifugiato, non hanno ancora ricevuto alcuna risposta da parte della Commissione. Nei Centri per l’impiego della Provincia di Torino è possibile attivare nei loro confronti tirocini formativi anche nei primi sei mesi dalla presentazione della domanda.

146 Quindi, allo stato attuale, per l’assunzione di cittadini stranieri non comunitari preseti in Italia con Carta di soggiorno o permesso di soggiorno con motivo diverso da lavoro subordinato (ad es. famiglia, studio, motivi umanitari, asilo politico) è sufficiente la presentazione della comunicazione di assunzione al Centro per l’impiego.

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La presenza della figura del mediatore interculturale all’interno dei Cpi permette di offrire un servizio di orientamento “a tutto tondo”, su temi non propriamente legati all’inserimento lavorativo, ma che attengono alle pratiche amministrative di pertinenza di altre istituzioni, per rispondere a specifici bisogni del cittadino non comunitario. Così strutturato il servizio di mediazioni interculturale non è uno step obbligatorio per tutti gli utenti non comunitari, ma un’opzione aggiuntiva in risposta ad una specifica richiesta informativa, che, per la sua specificità, non può essere soddisfatta dagli altri operatori.

L’attivazione del servizio di mediazione è curata esclusivamente dal Servizio Politiche per il Lavoro e l’Orientamento della Provincia di Torino, ma per la peculiare tematica trattata non è escluso il rapporto con altri soggetti istituzionali: a partire dalla procedura di registrazione dei Cpi, si è rivelato inevitabile l’inserimento di alcuni passaggi di verifica del permesso di soggiorno dell’utente147, e di conseguenza, di dialogo con le altre amministrazioni competenti, anche per fornire un servizio qualificato alle imprese che richiedono personale. Non si tratta di rapporti formalizzati o istituzionalizzati, ma certamente continuativi e duraturi, spesso nati da progetti specifici che, alla conclusione, lasciano in eredità un canale di comunicazione aperto: è il caso del Comune di Torino, che interviene con i propri servizi specifici in caso di problemi legati all’abitazione.

Nel territorio operano anche diversi attori del cd.”privato sociale”, che intervene sul tema del lavoro degli immigrati a diverso titolo: con tali soggetti i Servizi per l’impiego provinciali non hanno particolari relazioni, per motivi “organizzativi”, per evitare la sovrapposizione o la duplicazione di soggetti e di iniziative. Il privato sociale interviene prevalentemente nel campo della formazione, settore estraneo ai Servizi per l’impiego di Torino. Tuttavia sono auspicabili margini di contatto tra i due settori, una sorta di coordinamento degli sforzi, al fine di garantire da parte dal pubblico un pacchetto di servizi di base ed affidare i servizi più specialistici e legati a particolari problematiche a enti accreditati, creando una rete di servizi in grado di soddisfare tutte le necessità del cittadino non comunitario. In questa rete il Cpi sarebbe deputato ad offrire un servizio di intermediazione lavorativa, di orientamento e placement, per quanto possibile, rivolta indifferentemente a cittadini comunitari e non, creando dei percorsi interistituzionali.

Accanto ai servizi citati, la Provincia di Torino si è occupata delle problematiche che impediscono un efficace inserimento occupazionale degli stranieri attraverso progetti specifici che mirano ad analizzare e trovare soluzioni adatte a migliorare la situazione attuale.

Il Progetto Co.Me. – Tutti i colori del mercato - Parità di accesso al lavoro – è stato realizzato da una partnership geografica che comprende istituzioni, enti locali, organizzazioni datoriali e sindacali, esponenti dell’associazionismo e del privato sociale,

147 A tal proposito, per quanto riguarda le procedure, nel marzo 2005 è stato rivisto ed aggiornato, l’accordo

con la Questura di Torino per consentire l’accesso all’impiego con la sola ricevuta di richiesta di permesso di soggiorno per motivi straordinari, ai casi di protezione sociale ai sensi dell’art. 18 T.U. D.Lgs. 286/98.

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ha come soggetto referente la Provincia di Torino148, ed è rivolto a lavoratori stranieri disoccupati in cerca di lavoro, stranieri a rischio di perdita del permesso di soggiorno per mancanza di lavoro, o aventi motivi di protezione sociale ex. art 18 T.U. (in coor-dinamento con il progetto Equal Life), a stranieri in ricongiungimento familiare e a cittadini non comunitari avviati nei percorsi di prima accoglienza.

Inizialmente presentato, ma non finanziato per esaurimento di fondi, sull’Iniziativa comunitaria Equal - Asse Occupabilità, è stato inserito dalla Regione Piemonte all’interno dell’iniziativa regionale “Valorizzazione Occupabilità”, con la quale sono state sostenute otto iniziative progettuali, non rientranti nell’Ic Equal, ma ritenute idonee a produrre esiti positivi sul territorio in termini di nuova occupazione per soggetti svantaggiati. Obiettivo principale del progetto è l’individuazione di nuovi modelli e strumenti volti a integrare stabilmente le politiche occupazionali con le politiche socio-assistenziali, al fine di costruire una strategia condivisa tra gli attori pubblici e privati del territorio che renda i dispositivi afferenti ai sistemi formativi, del lavoro e socio assistenziali più efficaci rispetto alle dinamiche di mercato. In particolare gli interventi attuati sono diretti alla

148 Gli altri partner del progetto sono: Alma Terra (Associazione senza scopo di lucro, Centro interculturale

di donne migranti e native, luogo amico, capace di sviluppare e sostenere attività culturali, sociali ed economiche delle donne); AMeCu (Associazione di Mediazione Culturale, burocratica, linguistica, familiare, scolastica, sanitaria, giuridica, ecc; offre traduzioni, interpretariato da/e a tutte le lingue maggiormente richieste;e servizi di ricerca lavoro; ricerca casa ed equipollenza titoli di studio); Amma (Associazione industriali metallurgici meccanici affini, fornisce assistenza e consulenza sindacale, sicurezza ed ambiente del lavoro, ricerca e sviluppo, formazione, assistenza operativa ai programmi comunitari); Api-Colf (Associazione professionale italiana delle collaboratrici domestiche per la promozione e tutela delle collaboratrici familiari e assistenti domiciliari); Api Torino; Associazione Apolie (Associazione di persone con compiti di accoglienza e consulenza informativa, orientamento e accompagnamento al lavoro e alla formazione, colloqui personalizzati, prima consulenza alla creazione d’impresa, attività di mediazione interculturale nell’ambito lavorativo); Ascom (Associazione del commercio del turismo e dei servizi della Provincia di Torino); Assot (Agenzia per lo sviluppo del Sud-Ovest di Torino); Cicsene (Centro italiano di collaborazione per lo sviluppo edilizio delle nazioni emergenti, ente senza fine di lucro, svolge ricerche e progetti sulla condizione degli immigrati nel nostro paese, con particolare attenzione al tema dell’integrazione dei quartieri multietnici); Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese di Torino e Provincia); Liberitutti (Piccola società cooperativa sociale, attiva in territori a forte problematicità sociale, economica e fisica, secondo la metodologia dello lavoro di comunità, creazione di progetti integrati di sviluppo sociale ed economico); Le radici e le ali (Piccola cooperativa sociale, si occupa di orientamento allo studio, al lavoro, ai servizi; inserimento scolastico e universitario; traduzione ed interpretariato; orientamento alla formazione professionale; mediazione familiare, lavorativa, culturale. Organizza seminari di informazione e formazione, sia per gli utenti che gli operatori dei servizi); Srf Società ricerca e formazione; Confesercenti; Ufficio pastorale migranti (Arcidiocesi di Torino – Ufficio per la pastorale dei migranti); Sanabil (Cooperativa sociale, si occupa di tematiche socio-educative legate all’immigrazione con particolare riguardo al disagio giovanile); Gruppo Soges Spa (Società nazionale di consulenza e di formazione); Diafa Al Maghreb (Associazione di volontariato, offre sostegno e accompagnamento agli immigrati formazione e promozione delle capacità degli stranieri per l’inserimento lavorativo); Comunità montana Alta Valle Susa; Collegio costruttori edili della Provincia di Torino; Confcooperative Unione provinciale di Torino; Prefettura di Torino; Zona Ovest di Torino Srl (a capitale pubblico, soggetto responsabile del Patto territoriale, promuove lo sviluppo economico, infrastrutturale e occupazionale dell’area); Comitato Oltre il razzismo (Associazione di immigrati); Cgil, Comune di Torino - Settore lavoro; Comune di Torino - Ufficio stranieri; Comunità montana Bassa Valle Susa e Val Ceneschia; Conisa - Consorzio intercomunale socio assistenziale Valle di Susa; Uil; Cisl; Città di Moncalieri, Ufficio pace e stranieri (Centro servizi informativi per cittadini stranieri).

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creazione di una rete accreditata di servizi per l’inserimento professionale e sociale dei cittadini non comunitari presenti sul territorio della Provincia di Torino, alla definizione di un modello integrato di servizi, delle relative procedure e di interventi per l’inse-rimento occupazionale regolare dei cittadini non comunitari, e ad offrire ai cittadini non comunitari sostegno ad attività imprenditoriali attraverso l’erogazione di microcredito.

Il progetto, avviato nel 2002 e concluso nel marzo 2005, ha realizzato una rete di servizi integrati per l’inserimento occupazionale e sociale dei cittadini non comunitari residenti in Provincia di Torino, che ha comportato la progettazione di procedure e standard di servizio comuni a tutte le strutture sul territorio, confluite in un “Manuale di accreditamento – Procedure per i servizi di promozione al lavoro di cittadini/e migranti”, adottato dalle otto Associazioni rappresentative degli immigrati coinvolte nel Progetto per l’accreditamento dei loro servizi di sostegno all’inserimento lavorativo presso le amministrazioni pubbliche.

Inoltre, il progetto ha promosso azioni rivolte sia verso le imprese che verso i cittadini non comunitari in cerca di occupazione, al fine di coniugare le esigenze di sviluppo ter-ritoriale e del tessuto imprenditoriale con le esigenze dell’utenza specifica al quale il pro-getto si rivolge: partendo dall’analisi della domanda di lavoro sono state individuate le potenzialità occupazionali espresse dal territorio e, accostandole all’analisi dei requisiti e delle competenze professionali dei beneficiari, si è tentato un riequilibrio del mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Sono stati attivati 22 tirocini formativi ai sensi della L. 196/97 per sei mesi, con borsa lavoro di 450 euro mensili, presso imprese reperite dalle Associazioni datoriali partner del Progetto, con progetti qualificanti in termini profes-sionali.

Infine, il progetto affianca all’inserimento in azienda anche forme di promozione di lavoro autonomo ed autoimprenditorialità, sperimentando l’attuazione di un fondo di finanza alternativa destinato ad erogare microcrediti a sostegno dello sviluppo dell’imprenditorialità singola e/o associata. Tale intervento è strettamente collegato allo sviluppo del progetto Sefes, finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del pro-gramma “Agire locale per l’impiego” di cui la Provincia di Torino è partner, e il cui obiettivo comprende la realizzazione di uno studio di fattibilità per l’implementazione e la gestione di un fondo di finanza alternativa adattato al contesto locale dei 5 partner ade-renti. Partendo da tale studio di fattibilità il progetto Co.Me. ha operato una piccola spe-rimentazione relativa all’erogazione di microcredito presso alcuni dei beneficiari finali che non abbiano trovato sbocco professionale presso strutture locali ed in possesso dei requisiti e di un’idea imprenditoriale sostenibile sul mercato locale. Il Comitato tecnico per la sperimentazione del programma di Microcredito, fondato su un Fondo di garanzia di 100.000 euro, ha esaminato 9 progetti di creazione di impresa da parte di cittadini immigrati. 5 progetti sono stati approvati ed hanno ottenuto l’affidamento richiesto dalla Banca Popolare Etica, con cui la Provincia di Torino ha avviato una Convenzione; l’analisi dei restanti progetti d’impresa prosegue nella prima metà del 2006, fino alla concorrenza del Fondo destinato all’azione. La sperimentazione si chiuderà nel settembre

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del 2009 (Delibera Giunta regionale n. 109-15113 del 17 marzo 2005). All’interno del sito del Progetto è stata, inoltre, realizzata una Banca Dati di raccolta

delle informazioni relative ai soggetti immigrati in cerca di lavoro, presenti nelle strutture partner del Progetto (400 iscritti al 31.3.2005). Il mantenimento e l’aggiornamento del sito del Progetto Co.Me. e della Banca Dati in esso contenuta sono oggetto del “Progetto Extranet.Work”, promosso dai soggetti costituenti la rete associazionistica del Progetto Co.Me., che ha ricevuto il contributo a sostegno di progetti e iniziative in materia di immigrazione extracomunitaria da parte della Provincia di Torino per il 2005.

Inoltre, l’area metropolitana torinese, in linea con quanto rilevato a livello nazionale, è interessata da un costante aumento della popolazione anziana, soprattutto di persone sole con problemi di cura, in un contesto sociale caratterizzato dalla pluralizzazione dei nuclei familiari. Nel caso delle famiglie più giovani, questa situazione comporta di norma grandi difficoltà di conciliazione fra impegni lavorativi e problemi di cura; nel caso di quelle più anziane, si traduce in problemi nella gestione del quotidiano. Ciò produce un incremento della domanda di servizi di assistenza domiciliare alle persone e alle famiglie, che non trova risposta nell’offerta di servizi assistenziali. La presenza di donne straniere, dispo-nibili a un lavoro di cura a tempo pieno, consente la domiciliarità del servizio, altrimenti impossibile, ma pone anche problemi complessi legati sia all’esigenza di fornire un servizio qualificato, sia alla tutela dei loro diritti di cittadine e di lavoratrici149.

A Torino, il Consiglio Comunale, nel settembre 2005, ha approvato la Deliberazione quadro “Riordino delle prestazioni domiciliari e socio-sanitarie”, che inserisce tra le prestazioni offerte dal sistema pubblico anche quelle dell’assistente familiare, distin-guendone le funzioni da quelle tradizionalmente esercitate dalle assistenti domiciliari e prevedendo che tali prestazioni possano essere erogate sia mediante la tradizionale formula dell’assegno di cura (erogazione economica alla famiglia affinché assuma una colf) sia mediante fornitori accreditati.

In tale contesto si inserisce il progetto “V.E.L.A. - Valorizzare le esperienze lavorative delle assistenti familiari”, promosso dalla Provincia di Torino in partnership con Csea Spa, Ufficio per la pastorale dei migranti della curia arcidiocesana, Associazione Almaterra, Confcooperative Unione provinciale Torino, Legacoop Piemonte, Cgil, Cisl, Uil, finanziato dalla Misura E1 del Por Piemonte (Fse Obiettivo 3, linea di intervento 3.4 “Sperimentazione di servizi integrati per il rafforzamento delle competenze nell’area dell’assistenza familiare”) che intende aumentare le garanzie, tutele e qualità nel mercato del lavoro di cura locale promuovendo lo sviluppo professionale e la permanenza regolare delle donne immigrate nel mercato del lavoro attraverso attività di informazione, orientamento, formazione, servizi, consulenza e accompagnamento durante il lavoro, supporto alla mobilità professionale e prevedendo inoltre forme di partecipazione attiva delle lavoratrici e delle famiglie.

Il progetto, iniziato nel mese di settembre 2006, si propone di realizzare attività che si

149 Quintavalla E. (2005).

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collocano a un duplice livello: da una parte si intende delineare una strategia volta a migliorare la raccolta e la diffusione delle informazioni rivolte tanto alle lavoratrici quanto alle famiglie che le accolgono; aumentando la trasparenza nell’incontro domanda/offerta nel settore del lavoro di cura, promuovendo servizi integrati già presenti sul territorio cittadino nell’intento di creare una rete stabile, anche attraverso la creazione di un portale web rivolto ai servizi del territorio e ai cittadini, quale punto virtuale di reperimento delle informazioni relative alle risorse già esistenti sul territorio e dedicate ad assistenti familiari e alle famiglie; dall’altra ci si propone di mettere a punto dei percorsi di riconoscimento e valorizzazione delle competenze possedute dalle lavoratrici e di integrare, laddove necessario, tali competenze con azioni di rafforzamento volte a migliorare la qualità del servizio offerto e incrementare la consapevolezza del ruolo ricoperto, in particolare attraverso la sperimentazione di azioni di “tutoring domiciliare”, aumentando la garanzia e qualità del servizio nel mercato del lavoro locale, attraverso il miglioramento del rapporto tra famiglie e lavoratrici immigrate, promuovere la professionalità delle lavoratrici sia in un’ottica di valorizzazione del lavoro di cura sia in termini di mobilità professionale verso un’altra occupazione.

Nello specifico sono stati realizzati percorsi flessibili di orientamento e di formazione rivolti a 30 assistenti familiari occupate, in possesso di regolare permesso di soggiorno, in servizio presso una famiglia residente in Torino, nell’ottica sia del riconoscimento di eventuali crediti già maturati attraverso precedenti esperienze lavorative, sia di una certificazione adeguata delle competenze acquisite.

A completamento del rinforzo di competenze verrà svolta un’attività di accompa-gnamento allo sviluppo delle capacità lavorative, tesa a valorizzare l’apprendimento in situazione mediante un programma mirato di assistenza tecnica attraverso la profes-sionalità di un “Care Manager” con funzioni di supervisione e di tutor domiciliare presso il domicilio della famiglia.

3.3 Firenze

I cittadini extracomunitari rappresentano una fetta consistente degli iscritti ai Centri per l’impiego di Firenze e provincia, persone in cerca di occupazione o di una migliore condizione lavorativa, in molti casi ostacolate nella ricerca di lavoro da problemi linguistici o culturali. La Direzione politiche del lavoro della Provincia di Firenze, è intervenuta, in tal senso, predisponendo servizi e progetti ad hoc attraverso i 21 “punti”della rete dei Servizi per il lavoro, costituita dai 5 Cpi di Firenze, dal “Parterre”, che eroga principalmente servizi alle imprese, i 6 Cpi della Provincia (Borgo San Lorenzo Figline Valdarno, Pontassieve, San Casciano Val di Pesa, Scandicci, Sesto Fiorentino) e 5 sportelli presso alcuni Comuni della Provincia di Firenze e 5 sportelli in Convenzione con le Parti Sociali. I percorsi di inserimento lavorativo dei cittadini extracomunitari offerti

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dai Cpi fiorentini non sono differenti da quelli previsti dal D.Lgs. 181/2002, ma la normativa in materia di immigrazione rende la dichiarazione di immediata disponibilità molto più vincolante che per i disoccupati comunitari poiché necessaria, in caso di perdita dell’occupazione, all’estensione della validità del permesso di soggiorno in Italia.

Ma accanto ai servizi informativi erogati dai Centri per l’impiego, dal 2004 è stato istituito lo Sportello Immigrati, per far fronte a problematiche più specifiche sollevate dall’utenza extracomunitaria, attivo in 3 Cpi di Firenze e in 3 Cpi del territorio provinciale, la cui gestione è affidata, annualmente ed attraverso un bando di gara, ad agenzie o società preventivamente accreditare, secondo quanto previsto dal modello di accreditamento regionale. Lo Sportello, cui l’utente accede dopo aver dichiarato la propria disponibilità lavorativa presso il Cpi, offre consulenza sulla legislazione in mate-ria di immigrazione ai cittadini immigrati su specifiche tematiche relative all’inserimento lavorativo e fornendo anche informazioni su temi affini, quali il ricongiungimento familiare, la conversione e al riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero. Il pool di operatori addetti a tale servizio comprende anche un orientatore e un mediatore culturale, ed operano stabilmente nei due quartieri di Firenze a più elevata densità di popolazione immigrata, nel “parterre” per intercettare le imprese che intendono reclutare lavoratori stranieri, e, a rotazione, in alcuni Cpi della Provincia, in presenza di particolari bisogni espressi dalla comunità straniera prevalente.

Nell’ambito di tale Sportello, il servizio di mediazione interculturale è inteso come spazio di accoglienza e ascolto, finalizzato principalmente a ridurre le barriere linguistiche, fornendo ausilio e traduzione per la stesura del CV ed informazioni dettagliate in lingua sui servizi erogati dal Centro e su altri servizi esistenti sul territorio, che possono rispondere alle esigenze della persona non comunitaria così da facilitare l’integrazione nel locale tessuto lavorativo. Durante gli incontri gli orientatori, con il supporto dei mediatori, forniscono indicazioni sulle opportunità occupazionali con l’accompagnamento al servizio interno di preselezione per l’inserimento nella banca dati Prenet per l’incrocio domanda/offerta lavoro, sulla formazione professionale e sulle modalità di adesione, sul contenuto, sugli sbocchi occupazionali.

Accanto a tali servizi, la Provincia di Firenze ha istituito il Servizio Sos famiglia, presente in tutti i Centri per l’impiego della Provincia, per gestire l’incontro domanda-offerta di lavoro domestico. Si tratta di un sistema di matching specifico che poggia sul sistema informativo Idol, utilizzato da tutti i Cpi della Provincia, che segue la procedura prevista dal D.Lgs. 181/2002, con la dichiarazione di immediata disponibilità lavorativa come assistenti familiari, collaboratori domestici o baby sitter. La domanda di lavoro (in questo caso le famiglie in cerca di lavoratori domestici) può usufruire del Servizio per definire le caratteristiche della figura professionale richiesta e attivare la ricerca. Sos famiglia, sulla base dei requisiti richiesti, convoca e preseleziona, tramite colloquio, uno o più candidati disponibili da segnalare alla famiglia che poi provvede direttamente a contattarli. Inoltre, data la particolarità della domanda di lavoro, spesso poco esperta nelle questioni amministrative relative alle assunzioni, viene fornita assistenza e tutoraggio

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nella stesura dei contratti, e nelle denunce previdenziali e assistenziali. L’organizzazione di tali servizi specifici è curata e gestita prevalentemente dagli uffici

provinciali di Firenze, senza un sostanziale dialogo, se non informale, con altre strutture o enti che possono intervenire a vario titolo sul tema dell’immigrazione e dell’inserimento lavorativo di cittadini extracomunitari. Tentativi di dialogo sono tuttavia presenti, soprattutto con i Comuni, al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni di servizi e con l’esplicita volontà di creare, attraverso il dialogo interistituzionale, dei percorsi comuni che permettano un agevole inserimento degli immigrati nel tessuto lavorativo locale.

3.4 Bologna

La provincia di Bologna, ed in particolare l’area metropolitana, riscontra un problema comune a quello di alcune grandi città italiane con una ancora forte vocazione industriale, vale a dire la presenza di una forte domanda di lavoro rivolta a qualifiche tecniche di livello intermedio, che non trova riscontro in una offerta di lavoro altamente secolarizzata. Per colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro si ricorre a manodopera immigrata, principalmente dell’Est Europa, la quale non è esente da ulteriori proble-matiche, prima tra tutte la garanzia di stabilità.

Nei confronti dell’integrazione dei cittadini extracomunitari presenti nel territorio della provincia di Bologna, le amministrazioni pubbliche hanno riscontrato la presenza di ostacoli che non riguardano solo i “nuovi ingressi”, legati all’incontro/scontro tra culture diverse, a questioni amministrative e alla precarietà del soggiorno stesso in Italia, ma anche gli immigrati ormai “stabili” in Italia, che hanno raggiunto elevati livelli di integrazione sociale, che hanno una residenza fissa, che hanno figli inseriti nel sistema scolastico italiano, ma per i quali il diritto di cittadinanza presenta ancora delle limita-zioni, in particolare per quegli aspetti legati al lavoro e alla formazione.

Il modello di lavoro immigrato nell’area metropolitana di Bologna è prevalentemente rivolto al settore dei servizi, ma i comportamenti di ricerca di lavoro superano i confini provinciali, e ciò comporta la predisposizione di servizi di sostegno all’inserimento lavorativo diversi rispetto a quelli erogabili a soggetti stabilmente presenti nel territorio, cui si possono prevedere interventi più strutturati, con percorsi di riqualificazione più lunghi. Fortemente sentita, infatti, è la questione del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero, vincolata a classificazioni considerate troppo rigide e a procedure lunghe e complesse. Si viene cosi a limitare fortemente la possibilità di intervenire nella “manutenzione” di tali competenze, in termini di possibilità di accesso alla formazione continua (anch’essa legata ai titoli di studio posseduti) e come maturazione professionale on job.

Il continuo monitoraggio sulla presenza straniera e suoi bisogni manifestati ha consentito alla Provincia di Bologna di strutturare servizi specifici. Il supporto

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all’inserimento lavorativo è affrontato dai Servizi per l’impiego della Provincia attraverso un servizio di intermediazione linguistica, esternalizzato alla cooperativa Esoxena, con operatori italiani e stranieri presenti nei Centri per l’impiego. Il servizio di mediazione erogato nei 6 Cpi provinciali, infatti, è una mediazione principalmente linguistica, che supporta l’accoglienza, lo “smistamento” degli utenti alle diverse strutture presenti nel territorio, l’illustrazione dei servizi offerti dal centro e la verifica dei requisiti, dei documenti richiesti, e l’accompagnamento al servizio. Il percorso di inserimento segue, per tutti gli utenti, comunitari e non, quanto previsto dal D.Lgs. 181/2002; pertanto, anche per il cittadino immigrato è previsto un colloquio e la successiva dichiarazione della disponibilità al lavoro.

L’erogazione di tale servizio è costante dal 2002, ma si è perfezionato nel tempo, in particolare per quanto riguarda le competenze degli operatori della mediazione. I mediatori che operano nei Cpi utilizzano il sistema informativo in dotazione ai Centri, seguono il percorso formativo degli altri operatori, al fine di uniformare le competenze e consentire loro di intervenire in tutte le attività del Centro, per poter rispondere al meglio alle richieste dell’utente.

La definizione del servizio di mediazione culturale e della figura del mediatore è stata stabilita con delibere regionali150, che ne indicano le funzioni di “accompagnamento della relazione tra immigrati e contesto di riferimento, favorendo la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e l’accesso ai servizi pubblici e privati; il mediatore assiste le strutture di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all’utenza immigrata, operando all’interno di servizi pubblici e privati e strutture che promuovono l’integrazione socio-culturale”.

Tuttavia, le competenze richieste nei bandi di selezione dei mediatori sono legate principalmente a capacità comunicative in inglese, francese, arabo, piuttosto che una formazione specifica nella mediazione. La composizione stessa della popolazione immigrata presente nel territorio ha impedito di strutturare un servizio mirato, perchè alla rilevanza numerica non corrisponde necessariamente un bisogno di servizi: alcune nazionalità molto presenti a Bologna (prevalentemente provenienti dai paesi dell’Est Europa) hanno minori difficoltà ad imparare la lingua italiana e a rendersi “linguisticamente autonomi” rispetto ad altre comunità presenti in maniera più contenuta, ma per le quali l’intermediazione linguistica è fondamentale per poter accedere ai servizi pubblici in genere,e del lavoro in particolare.

In virtù di tale possibilità di distinguere l’utenza immigrata secondo le competenze linguistiche, è stato possibile predisporre un servizio specialistico di accompagnamento, periodico, organizzato all’interno delle attività dei Cpi, come un “laboratorio di ricerca attiva”, rivolto a piccoli gruppi di utenti extracomunitari “linguisticamente autonomi”, cui vengono fornite informazioni più approfondite, anche in risposta ad esigenze specifiche

150 Delibera di Giunta regionale n. 2212/04 e la n. 265/05 definiscono rispettivamente il profilo di

riferimento della professione di mediatore interculturale e gli standard dell’offerta formativa.

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sollevate dagli utenti stessi, che non possono essere offerte durante il servizio quotidiano di sportello, per motivi legati al tempo e all’affluenza di utenza.

A supporto dell’attività dei Cpi della provincia, il Comune di Bologna è intervenuto con l’attivazione di 14 sportelli comunali, integrati nella rete dei servizi per l’impiego tramite l’adozione del sistema informativo comune e delle stesse procedure, creando in tal modo un servizio più prossimo al cittadino, ma anche una maggiore integrazione interistituzionale, affiancando il Servizio lavoro provinciale ai servizi sociali comunali. Lo stesso principio è alla base di accordi e protocolli di intesa con la Prefettura e con gli Sportelli unici presenti nella Provincia, attraverso i quali vengono erogati alcuni servizi del Cpi, tentando di accorciare i tempi burocratici necessari per i rinnovi dei permessi di soggiorno. Tuttavia il processo che permetterebbe la condivisione di dati tra tutti gli attori coinvolti nelle procedure di regolarizzazione del cittadino immigrato è considerato ancora lontano dal realizzarsi.

Accanto alle attività strutturate, l’integrazione del cittadino immigrato è affrontata anche attraverso progetti mirati, di durata limitata nel tempo. Le azioni promosse dai diversi settori dell’Ente provinciale in tema di lavoro e formazione professionale rivolte ai cittadini stranieri sono numerose e rientrano nel “Piano territoriale provinciale per azioni di integrazione sociale a favore dei cittadini stranieri immigrati” 2005-2007.

In particolare, per la promozione dell’inserimento nel mondo del lavoro, è stato attivato il Progetto Madreperla, co-finanziato dal Fse e dalla Regione Emilia Romagna, di cui è capofila il Comune di Bologna e al quale l’amministrazione provinciale partecipa attraverso la fattiva collaborazione del settore servizi alla persona ed alla Comunità, con la collaborazione di un’ampia rete di soggetti, sia pubblici che privati.

Il progetto ha l’obiettivo di favorire l’emersione, il sostegno e la qualificazione del lavoro di cura a domicilio e si prefigge di realizzare l’individuazione e la formazione, all’interno dei servizi socio-sanitari, delle figure di “tutor” dell’assistenza familiare, quale punto di riferimento qualificato per la famiglia e la lavoratrice. Tali operatori sono in grado di fornire consulenza e sostegno e di costituire il collegamento con la rete dei servizi territoriali, di realizzare bilanci per la valutazione delle competenze delle assistenti familiari e di curare la formazione on job delle assistenti domiciliari. Sono inoltre previsti corsi di avvicinamento alla lingua italiana, in stretto raccordo con i centri di formazione e rivolti alle assistenti domiciliari di cura, e percorsi formativi differenziati, che tengano conto delle diverse competenze delle partecipanti.

Infine è stata prevista la sperimentazione della piattaforma software per gestire il servizio di incrocio domanda/offerta del lavoro di cura a domicilio, ad uso dei Servizi per l’impiego.

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3.5 Roma

Il tema dell’immigrazione nel territorio della Provincia di Roma è legato, a detta delle amministrazioni che organizzano ed erogano servizi rivolti ai cittadini extracomunitari, a complicazioni e blocchi di natura prevalentemente burocratica prima ancora che culturale. Il rapporto tra lavoratore straniero e azienda è vincolato dalla normativa e dai regolamenti attuativi che mettono pesantemente in discussione, a detta degli operatori, la parità di trattamento dei lavoratori stessi: Il mercato del lavoro romano è prevalentemente legato al turismo e alla ricettività alberghiera, alla ristorazione, in cui le forme di inserimento sono per la maggior parte con contratti a tempo determinato, parasubordinato, interinali, e comunque di breve durata; l’eccessiva complicazione della procedura di assunzione, la molteplicità degli interlocutori amministrativi (Sportello unico per l’immigrazione, Centro per l’impiego, Commissariato di PS, Inps, Inail) e le garanzie che il datore di lavoro deve assicurare rendono poco conveniente l’assunzione di un lavoratore extracomunitario, creando una discriminazione indiretta che esclude gli immigrati da una fetta di mercato del lavoro che, per le sue caratteristiche di portata e dinamismo nel contesto romano, potrebbe costituire il principale settore per un inserimento lavorativo regolare.

Il mancato dialogo tra le amministrazioni, che a diverso titolo intervengono nell’inse-rimento lavorativo regolare dei cittadini extracomunitari, aggrava tale problematica.

Il Centro per l’impiego è un osservatorio favorevole per monitorare quanto le proce-dure legate alla normativa sull’inserimento lavorativo degli immigrati abbiano creato un sistema ingestibile in una città come Roma, in cui, per fattori legati alla numerosità della popolazione immigrata e alla distribuzione dei servizi sul territorio risente in modo particolare della lentezza burocratica e dei ritardi di rilascio e di rinnovo dei permessi di soggiorno. I servizi di inserimento lavorativo del Cpi sono offerti a tutti, senza distinzione di nazionalità: l’amministrazione provinciale non ha voluto creare sportelli “esclusivi” per gli immigrati, che seguono le stesse procedure previste per i cittadini comunitari, stabilite dal D.Lgs. n. 181/2002. L’applicazione della norma nel contesto romano ha generato una situazione di sovraccarico di incombenze per il datore di lavoro, che il servizio pubblico non è più in grado di monitorare e su cui è difficile intervenire a causa dei ritardi burocratici. Il Centro per l’impiego, in questo contesto, è chiamato ad intervenire sui tempi tecnici, supportando le imprese, solitamente di piccole dimensioni e con scarsa familiarità con tali pratiche amministrative, e tutelando il lavoratore151. Nei confronti di quest’ultimo, infatti, i ritardi nel rilascio e nei rinnovi dei permessi di soggiorno e la mancanza di comunicazione interistituzionale tra Cpi e questura, comportano problemi rilevanti nel momento della dichiarazione di disponibilità

151 Di fatto, anche se l’assunzione con la sola ricevuta della domanda di rinnovo è accettata, la mancanza di

un permesso di soggiorno valido rappresenta un deterrente per i datori di lavoro, che scoraggia la prosecuzione nelle pratiche di assunzione, a causa dell’incertezza della norma.

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lavorativa, che avvia un calcolo temporale inconciliabile con la permanenza legale in Italia. Un’interpretazione “lasca” della normativa, a Roma, da parte della questura, su autorizzazione della prefettura, e del Cpi, permette di sostenere l’immigrato con permesso di soggiorno in fase di rinnovo nell’accesso ai servizi, considerando il permesso scaduto come “provvisoriamente ancora valido”, permettendo al cittadino extracomunitario di accedere ai servizi o di essere assunto, per 10 mesi, al termine dei quali, se il rinnovo non è ancora avvenuto, (eventualità possibile a Roma) la questura timbra il vecchio permesso a garanzia del percorso di rinnovo intrapreso.

Nei confronti dell’accesso ai servizi formativi e l’integrazione tra formazione e inserimento lavorativo, l’amministrazione provinciale di Roma si sta interrogando sull’adeguamento delle misure di riqualificazione per l’inserimento professionale per adattarle anche alle necessità specifiche dei disoccupati immigrati. La formazione, come percorso di adattamento delle competenze al mercato del lavoro locale, infatti, non è riconosciuta come percorso valido ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, i tempi di erogazione di piani formativi è inconciliabile con quelli di permanenza legale nel territorio, e alcune forme di sostegno alla formazione, richieste dall’utenza immigrata, soprattutto per sopperire al mancato riconoscimento delle qualifiche possedute, sono legate al possesso della Carta di soggiorno e di fatto escludono l’utenza extracomunitaria dei Cpi.

Gli interventi predisposti da parte dei Centri per l’impiego, sono, di fatto, preva-lentemente di natura amministrativa, poiché il problema burocratico viene considerato primario, e la cui mancata soluzione preclude l’accesso a qualsiasi altro tipo di servizio.

Tuttavia, a sostegno degli operatori dei Cpi, è stato istituito il Centro servizi immigrazione – Csi – nato su progetto dell’Assessorato alle politiche sociali e della famiglia con finanziamento della Regione Lazio e assistenza progettuale e operativa del Cueim (Centro universitario per l’economia industriale e manageriale). I Csi sono gestiti direttamente dalla Provincia di Roma tramite Capitale Lavoro Spa e sono incaricati di erogare servizi informativi e di assistenza agli immigrati e collocato nei Cpi, alla fine del 2003, con lo scopo di integrare i servizi al lavoro, agire in maniera trasversale e offrire servizi territoriali diffusi per creazione e consolidare una rete di relazioni positive tra le persone immigrate e la comunità locale, attraverso il coinvolgimento degli enti pubblici e privati che a vario titolo operano nel settore. Attualmente il Csi ha operatori in 10 Cpi della Provincia, più uno sportello “sperimentale” istituito all’interno dell’ufficio anagrafico del Comune di Fiumicino.

Gli operatori del Csi intervengono sulle questioni di diritto ai servizi, di prestazioni previdenziali, offrendo non solo una mediazione linguistico-culturale, ma un supporto all’interpretazione e all’applicazione delle norme sull’immigrazione, offrono informa-zione, accoglienza, orientamento e accompagnamento ai servizi presenti sul territorio, operando in modo integrato con le attività del Cpi e sfruttando la funzionalità del Cpi come “portale” di accesso a numerosi servizi. I mediatori non hanno funzioni di affian-camento agli altri operatori, sono essi stessi operatori di sportello, con in più competenze

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specifiche linguistiche e culturali. Tale organizzazione ha la finalità di semplificare il servizio, renderlo più immediato ed accessibile da parte dell’utente.

3.6 Milano

La Provincia di Milano è caratterizzata da una forte presenza di immigrati irregolari e l’alto tasso di stabilizzazione è senz’altro un dato strutturale del fenomeno migratorio e richiede una sempre più pronta ed efficace politica di integrazione. A favore di essa si muovono le Autonomie Locali promuovendo la collaborazione interistituzionale e la concertazione sociale, secondo le disposizioni normative.

La Provincia di Milano, in collaborazione con altre Istituzioni pubbliche e private, promuove e sostiene politiche di accoglienza e di integrazione delle persone immigrate. A partire da studi e ricerche specifiche sul tema, come quello condotto dalla Fondazione Ismu sui ricongiungimenti familiari all’interno del suo territorio, volta ad individuare i percorsi migratori e a mettere in luce i bisogni, le aspettative e le modalità per favorire l’integrazione, ha istituito protocolli di intesa con altri attori, volti ad intervenire efficacemente nel processo di regolarizzazione ed inserimento sociale degli extra-comunitari: d’intesa con la Questura di Milano a partire dal 1° giugno 2005, ha attivato un servizio on-line che facilita le procedure legate ai permessi di soggiorno attraverso la prenotazione dell’appuntamento per la consegna della domanda di rinnovo; in collaborazione con Caritas Ambrosiana, e d’intesa con la Prefettura di Milano ha attivato un Forum Immigrazione, avviato nei giorni del Decreto flussi extracomunitari 2006, come spazio di condivisione per dubbi e difficoltà relativi alle disposizioni legislative. Insieme ad esso gestisce la sezione FAQ (Domande frequenti) del sito web provinciale, costantemente aggiornata per consentire ulteriori chiarimenti in materia di immigrazione. Infine, tramite l’Osservatorio mercato del lavoro coordina, supporta e monitora le attività di sviluppo del welfare locale.

Nell’ambito degli studi sul fenomeno migratorio in specifici contesti locali è stato istituito, nel 2004, un Progetto Pilota regionale “Ricerca intervento finalizzata alla conoscenza delle caratteristiche dei cittadini non comunitari disoccupati e alla sperimentazione dei nuovi servizi al lavoro per l’inserimento lavorativo”152. Nell’ambito di tale progetto è stato organizzato l’intervento “Immigrati disoccupati e servizi per l’impiego – valorizzazione e sviluppo di competenze per immigrati”153, che si configura come “ricerca-intervento”, finalizzato ad indagare il disagio occupazionale dei lavoratori stranieri presenti nel territorio provinciale, le loro modalità di accesso ai servizi per

152 La ricerca è pubblicata in Colasanto M. (2004). 153 L’intervento, finanziato dalla Regione Lombardia e dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, è

stato realizzato in Ats dalla Provincia di Milano con l’Agenzia regionale per il lavoro (capofila), la Fondazione Ismu e le Province di Lecco e Varese.

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l’impiego e sui percorsi seguiti nel mercato del lavoro locale154, attraverso lo studio dei comportamenti di un campione di utenti dei Cpi della Provincia di Milano, in cui non sono previsti servizi specifici nei confronti del target degli immigrati, ma percorsi di inserimento comuni, secondo il D.Lgs. n. 181/2002; gli utenti sono stati supportati da un’equipe di mediatori linguistico-culturali155 nel percorso di orientamento, bilancio di competenze, accertamento della professionalità successivo al colloquio di orientamento di base, lasciando all’impegno e alla spontaneità individuale la decisione tra le diverse opzioni e la possibilità di modulare l’azione di ricerca.

L’atteggiamento più diffuso mostrato dagli immigrati nei confronti del Cpi, come emerge dallo studio condotto, è di considerarlo come estrema risorsa, da sperimentare solo aver tentato altre strade, principalmente di tipo informale, per la ricerca di un nuovo lavoro, o ancora, è prevalente un uso strumentale, attuato ai soli fini amministrativi del rinnovo del permesso di soggiorno.

Di fatto, i risultati della ricerca-intervento mostrano come il canale di ricerca di lavoro principalmente utilizzato è quello informale, costituito dalla rete di connazionali, di amici italiani o di ex colleghi di lavoro. In tale rete informale si inserisce l’opera di associazioni religiose, sindacali o culturali, e delle organizzazioni del così detto privato sociale, come istituzioni facilitatici. Tuttavia, se è vero che il network informale risulta più efficiente per l’inserimento lavorativo, tale canale riproduce inevitabilmente fenomeni di segmen-tazione del mercato, di specializzazione etnica di lavori, di segregazione occupazionale e mancanza di mobilità professionale. Ne deriva che il servizio per l’impiego, come mediatore formale dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, con l’attuazione di stru-menti adeguati ad affrontare la specificità dell’utenza immigrata (a partire dalla mediazione linguistica fino al recupero delle competenze professionali degli utenti) può intervenire per contrastare il fenomeno della dequalificazione professionale degli immigrati. Il ruolo dei Cpi si configura, quindi, come nodo cruciale all’interno della rete di servizi volta a migliorare l’accesso al lavoro degli immigrati, diventando il punto di raccordo tra le diverse istituzioni deputate, a vario titolo, a facilitare il processo di inte-grazione sociale, a partire da quelle preposte alla regolarizzazione dello status giuridico, al riconoscimento delle credenziali formative, fino a giungere alle organizzazioni del privato sociale, che operano nel campo delle migrazioni 156 . Tale dialogo interi-stituzionale, per essere realmente efficace, non può prescindere dalla condivisione di pro-cedure e soluzioni operative riguardanti l’intreccio tra soggiorno, ricerca di lavoro e costi-tuzione del rapporto di lavoro dei cittadini extracomunitari, pur rispettando le reciproche competenze. 154 La trattazione dell’intervento e dei risultati prodotti è in Brambilla M., Lo Verso L. (a cura di) (2006). 155 Il servizio di mediazione culturale allestito presso i Cpi rientra nell’ambito della programmazione

sostenuta dal Ministero del lavoro, attuato all’interno del Pon per l’“Attività di consulenza a sostegno dei Servizi per l’Impiego per favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati”, affidato all’Ati Ernst & Young - Cies, che coinvolge le Regioni Piemonte, Lazio e Lombardia.

156 Calzolai C, Piccolo A. L’accesso ai servizi per l’impiego e l’intervento di mediazione linguistico-culturale: riflessioni da due progetti pilota in Brambilla M. op.cit.

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4. CONCLUSIONI

I capitoli precedenti permettono di costruire un quadro complesso della realtà dei lavoratori immigrati in Italia. Per quanto, infatti, la rilevazione quantitativa abbia interessato solo una porzione limitata dei cittadini stranieri, è possibile tracciare alcune considerazioni in parte estendibili anche a realtà diverse da quelle dei grandi centri urbani qui presi in considerazione. L’insieme di tali spunti non possono che delineare un modello di integrazione ambivalente, che in parte segnala un progressivo e faticoso processo di integrazione, spesso affidato alle sole forze e capacità individuali, comunque in atto e, dall’altro, denuncia la difficoltà di emancipazione e crescita professionale di una componente rilevante e in netta crescita della forza lavoro, alla quale il nostro sistema produttivo fa ormai sistematicamente ricorso.

Come già puntualizzato nella prima parte di questo volume, i lavoratori immigrati non solo vanno a coprire settori o ambiti produttivi lasciati liberi dagli autoctoni, ma vengono impiegati in quelli meno aperti all’innovazione e alle ristrutturazioni tecnologiche (e spesso operanti in regimi di a-legalità e qualche volta di semi-illegalità contrattuale). Non a caso si è fatto riferimento, a tal proposito, comparti di lavoro secondari, segmentati e, in qualche maniera, preclusi ai meccanismi di mobilità ascendente dei lavoratori. Di tale segmentazione e precarietà è un indicatore significativo anche l’alto numero di utenti intervistati che hanno fatto ricorso almeno ad una delle procedure di regolarizzazione avviate negli ultimi anni (più di 6 su 10). In tal senso, si è evidenziato come il concetto di complementarietà tra forza lavoro immigrata e autoctona risulti particolarmente efficace se si considera il ricorso al lavoro immigrato come determinate per il contenimento del costo del lavoro orario, in particolare laddove si riscontrino significative carenze nell’offerta di manodopera. È peraltro vero che, proprio il passaggio da una situazione lavorativa irregolare (che, ribadiamolo, risulta essere la principale via all’“inserimento lavorativo”) ad una regolare, sta ad indicare come i lavoratori stranieri siano una componente ormai integrante e strutturale tanto della forza lavoro che del sistema produttivo nazionale. Inoltre sembra che, avendone la possibilità, i datori di lavoro siano in molti casi disponibili ad assumere regolarmente i lavoratori immigrati, (e questo anche in aree dove il fenomeno del lavoro sommerso è particolarmente presente), come a dire che l’elevato ricorso a tali procedure sembra evidenziare un problema di legalità dipendente non solo da un sistema diffuso di scarso rispetto della normativa di tutela del lavoro, ma anche da difficoltà di ordine tecnico-amministrativo (numero esiguo di ingressi cui si accede tramite procedure lente e complesse). L’accesso alla legalità (sia in

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termini lavorativi che di diritto al soggiorno), diventa quasi un percorso obbligato, che segna la progressiva stabilizzazione dello straniero nel paese ospitante. Più della metà degli intervistati, infatti, risulta essere in Italia da almeno 6 anni, parte dei quali caratterizzati da un periodo di clandestinità o semiclandestinità (rilevante, in questo senso, è la quota di intervistati entrati con un visto turistico), per poi guadagnarsi “sul campo” uno status giuridico e sociale maggiormente garantito e sicuro, come evidenziato progressivo miglioramento della situazione abitativa e dal ricongiungimento con i propri familiari. Si è anche evidenziato, però, come il percorso non sia sempre così lineare. In particolare, il persistere di alti tassi di femminilizzazione per comunità presenti anche da un numero significativo di anni in Italia indica la maggior difficoltà per le donne immigrate ricostruire il proprio nucleo familiare, soprattutto in ragione dell’elevato numero di queste ultime che coabita con la famiglia per la quale lavora (si trovano in tale situazione il 7,8% delle donne intervistate, contro l’1,2% degli uomini). Parallelamente, proprio la condizione abitativa, uno degli elementi chiave individuati come segnale di integrazione, mostra valori relativamente positivi, con più della metà degli intervistati che se ne dichiara soddisfatta e con quasi 10 utenti su 100 che afferma di essere proprietario del proprio alloggio.

Ma è il lavoro, o meglio la qualità dell’occupazione disponibile, a rappresentare il vero elemento discriminate tra cittadini italiani e immigrati; non a caso viene considerato inadeguato alle proprie capacità da un intervistato su due. A fronte di un livello di istruzione medio alto, infatti, i lavoratori stranieri possono accedere quasi esclusivamente a occupazioni poco o per nulla qualificate, spesso peggiorando significativamente la propria condizione rispetto alle esperienze lavorative maturate in patria. Si evidenziano, a questo proposito, due meccanismi che accentuano tale discrasia: da un lato, un modello di inserimento che si fonda sostanzialmente su meccanismi micro sociali, tipici delle reti etniche157 (più di 7 utenti su 10 ha trovato lavoro tramite amici o parenti). Ciò rende spesso difficile alla forza lavoro immigrata l’emancipazione da stereotipi che rendono poco spendibile il capitale formativo e lavorativo accumulati. D’altro canto è fortemente sentita, anche dagli stessi operatori dei Cpi, la questione del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero, vincolata a classificazioni considerate troppo rigide e a procedure lunghe e complesse. Si viene cosi a limitare fortemente la possibilità di inter-venire nella “manutenzione” di tali competenze, sia in termini di possibilità di accesso alla formazione continua (anch’essa legata ai titoli di studio posseduti), sia come matu-razione professionale on job. Emerge, al contempo, la volontà degli intervistati di acquisire competenze più specifiche e, soprattutto, riconoscibili, per qualificare la propria offerta e acquisire competenze più specifiche, al fine di meglio per specializzare la propria offerta.

È in tale ambito che qui pare evidenziarsi il ruolo del sistema dei Servizi per l’impiego, ruolo in parte potenziale e in parte già ricoperto dalle esperienze qui

157 Ambrosiani M. (2002).

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esaminate. La posizione straordinariamente strategica che, almeno nei grandi centri urbani, coprono i Centri per l’impiego, sia per ragioni amministrative, che logistiche, è stata rafforzata attraverso la sperimentazione nel tempo di servizi avanzati di orien-tamento e sostegno ai cittadini immigrati, che hanno mostrato l’ampia possibilità di intervento a favore del target di utenza qui considerato.

Fermo restando l’impossibilità di sostituirsi, almeno in termini di efficacia, ai meccanismi individuali di ricerca del lavoro che fanno dell’iniziativa personale il proprio fondamentale motore, il Servizio pubblico per l’impiego può e deve (ed in parte lo sta già facendo) ritagliarsi un ruolo di supporto e sostegno, sia potenziando e implementando (ovviamente non da solo) i meccanismi di certificazione, che offrendo opportunità forma-tive adeguate (in termini di contenuti e di accessibilità) che, infine, operando come mediatore tra cittadino e istituzioni pubbliche o, laddove necessario, mondo impren-ditoriale.

Si tratta, come si vede, di costruire modelli di intervento complessi e multisettoriali, che hanno nella capacita di relazionarsi con soggetti esterni al sistema Spi, istituzionali e non, un elemento fondamentale del loro successo. È altrettanto vero che, in tale dinamica, occorre che l’intero modello della gestione dei flussi migratori (in termini di procedure, congruità in termini qualitativi e quantitativi dei flussi di ingresso e, infine, di diritti riconosciuti) trovi soluzioni che ne garantiscano una maggio efficacia ed efficienza. Ma è altrettanto vero che, per caratteristiche e complessità, il tema dell’immigrazione coinvolge tali e tanti piani che solo un approccio congiunto e, appunto, complesso, permette di costruire modelli di integrazione non subalterna.

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ALLEGATI

REPORT SINTETICI DELLA RILEVAZIONE QUANTITATIVA NEI CENTRI PER L’IMPIEGO INTERESSATI

QUESTIONARIO DI RILEVAZIONE

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REPORT SINTETICI DELLA RILEVAZIONE QUANTITATIVA NEI CENTRI PER L’IMPIEGO INTERESSATI

A. CENTRO PER L’IMPIEGO DI BOLOGNA La rilevazione è stata condotta presso il Cpi di Bologna, sito in Via Todaro 8/a, dal 5 giugno al 4 luglio 2006 prevalentemente nella fascia oraria antimeridiana. In tale lasso di tempo sono stati compilati, tramite interviste individuali, 248 questionari. La popolazione migrante residente a Bologna (considerando i dati riferiti al dicembre 2005) ha raggiunto circa 28.000 unità, con una leggera prevalenza delle donne sugli uomini (51% rispetto al 49%). L’incidenza dei migranti sul totale dei residenti è superiore alla media nazionale, e raggiunge il 7,5% circa. Le nazionalità più presenti in città sono quelle filippina, maroc-china, bengalese, cinese e albanese, che mostrano un elevato tasso di concentrazione, raggiungendo insieme circa il 43% del totale degli stranieri residenti a Bologna. Tuttavia, non vi è una nazionalità assolutamente preminente: il primo gruppo nazionale raccoglie poco più di un decimo degli stranieri residenti.

Tab. 1 - Stranieri residenti nel Comune di Bologna per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V. a. % Maschi 13.787 49,0 Femmine 14.325 51,0 Totale 28.112 100,0

Fonte: Osservatorio provinciale delle immigrazioni, dati 31 dicembre 2005.

Tab. 2 - Prime cinque nazionalità residenti nel Comune di Bologna. Valori percentuali Nazionalità % Filippine 11,7 Marocco 9,9 Bangladesh 7,8 Cina Popolare 6,9 Albania 6,7 Altre 56,9 Totale 100,0

Fonte: Osservatorio provinciale delle immigrazioni, dati 31 dicembre 2005.

Informazioni anagrafiche Il gruppo di utenti intervistati presso il Centro per l’impiego di Bologna mostra tratti anagrafici solo in parte simili ai dati del totale degli stranieri residenti in città. Tra gli utenti del Cpi intervistati, la presenza degli uomini è superiore a quella delle donne, e si attesta sul 58,5% dei rispondenti. Le nazionalità rispecchiano la concentrazione diffusa delle presenze straniere nella città; tuttavia, va però osservato, tra gli intervistati, il peso più rilevante dei cittadini del Bangladesh, che superano il 22% dei rispondenti (7,8% sul

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totale degli stranieri residenti in città), e la scarsa presenza dei cittadini filippini, che, pur essendo la prima nazionalità in città, sono fuori del gruppo delle prime sei nazionalità censite dalla presente indagine sul Cpi di Bologna.

Tab. 3 - Utenti intervistati per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V. a. % Maschi 145 58,5 Femmine 103 41,5 Totale 248 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 4 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali). Valori assoluti e percentuali Classe di età V. a. % Fino a 20 anni 15 6,0 21-25 19 7,7 26-30 50 20,2 31-35 44 17,7 36-40 48 19,4 41-45 33 13,3 46-50 18 7,3 51 e oltre 21 8,5 Totale 248 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 5 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali) e per sesso. Valori percentuali % % Classe di età

Maschi Femmine Totale Fino a 20 anni 6,2 5,8 6,0 21-25 9,7 4,9 7,7 26-30 20,7 19,4 20,2 31-35 17,9 17,5 17,7 36-40 22,1 15,5 19,4 41-45 11,0 16,5 13,3 46-50 5,5 9,7 7,3 51 e oltre 6,9 10,7 8,5 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tornando a considerare gli utenti intervistati, osserviamo una popolazione decisamente giovane, con oltre il 50% dei rispondenti con meno di 36 anni; mentre la classe più nume-rosa è quella appena successiva, tra i 36 e i 40 anni, con il 19,4%. Incrociando l’infor-mazione dell’età con quella del genere dei rispondenti, si osserva come le donne presentino una maggior concentrazione nelle classi d’età più mature, dai 40 anni in su. Gli uomini, al contrario, presentano tassi di concentrazione più alti nelle classi di età giovani e centrali.

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Tab. 6 - Utenti per prime cinque nazionalità residenti. Valori percentuali Nazionalità % Bangladesh 22,2 Perù 11,3 Marocco 6,9 Federazione Russa 5,6 Ucraina 5,2 Moldova 5,2 Altre 43,5 Totale 100,0

Fonte: Osservatorio provinciale delle immigrazioni, dati 31 dicembre 2005.

Dati relativi al soggiorno

I dati relativi al soggiorno dei rispondenti evidenziano, anzitutto, un andamento che mostra chiari segni di dipendenza dai provvedimenti di regolarizzazione che hanno avuto luogo tra la fine degli anni ‘80 e il 2002. Inoltre, la fig. 1 indica come dopo una consistente crescita degli arrivi in città, negli anni intorno al 2000-2001, e una conse-guente diminuzione in corrispondenza con la regolarizzazione del 2002, gli utenti del Cpi tornino a crescere in maniera consistente, con il 12% di essi presente in città da un anno o pochi mesi, e oltre il 41% da 2/5 anni.

Fig. 1 - Utenti per numero di anni di presenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

La grande maggioranza dei rispondenti (66,9%) ha usufruito almeno una volta di un provvedimento di regolarizzazione. Ben il 60% degli utenti ha dichiarato di essere entrato in Italia con un visto di turismo, o addirittura senza alcun visto (quindi, con tutta proba-bilità, illegalmente). Riguardo al permesso di soggiorno attuale, il 67,3% delle risposte si

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concentra su permessi di soggiorno per lavoro subordinato; seguono il permesso per ricongiungimento familiare (15,3%) e, a distanza, la Carta di soggiorno (6,9%).

Tab. 7 - Utenti per anni di presenza in Italia (per classi) e utenti che hanno utilizzato almeno una regolarizzazione per annualità del provvedimento. Valori percentuali % Anni di presenza in Italia Fino ad 1 anno 12,1 Da 2 a 5 anni 41,9 Da 6 a 9 anni 21 Da 10 a 14 anni 13,3 Da 15 a 19 anni 7,3 20 anni e oltre 4,4 Totale 100,0 Regolarizzazioni % utenti regolarizzati 66,9 Di cui nel 1987-88 5,4 1990 3,6 1995-96 5,4 1998 16,3 2002 61,4 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 8 - Permesso di soggiorno posseduto e visto al momento dell’ingresso in Italia. Valori percentuali Permesso di soggiorno % Lavoro dipendente non stagionale 67,3 Ricongiungimento familiare 15,3 Carta di soggiorno 6,9 Asilo politico 2,8 Nessuno 2,8 Lavoro autonomo 1,2 Lavoro dipendente stagionale 0,4 Richiesta d’asilo 0,4 Altro 2,8 Totale 100,0 Visto Turismo 41,5 Nessuno 28,6 Ricongiungimento familiare 15,3 Lavoro stagionale 7,7 Lavoro dipendente 2,4 Richiesta asilo 2,0 Motivi di studio 1,6 Motivi umanitari 0,4 Altro 0,4 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Situazione occupazionale

Tra gli utenti stranieri del Cpi, una percentuale significativa (41,1%) dichiara di essere attualmente occupato; tra di essi, più del 60% lavora con un contratto di lavoro dipen-dente, a tempo determinato o indeterminato. Segue, con il 13,7, il gruppo di coloro che sono occupati con un contratto di lavoro parasubordinato. Significativa è la percentuale di coloro che dichiarano di svolgere un lavoro senza alcun tipo di contratto; questa opzione, con il 12,7, si rivela essere la quarta modalità lavoro. Va evidenziato, inoltre, che la gran-de presenza di contratti di lavoro subordinato vede però una prevalenza di impieghi a tempo determinato, e quindi temporanei. Le occupazioni dichiarate158 si concentrano su lavori dequalificati (sono il 61,8% degli intervistati e, in particolare, oltre il 45% è occu-pato come collaboratore domestico/assistente familiare, o addetto alle pulizie). Si tratteg-gia, quindi, un binomio composto da lavoro temporaneo (subordinato o parasubordinato) e impieghi a bassa qualificazione, specialmente nei servizi. Tra i non occupati, infine, prevalgono i disoccupati in cerca di nuova occupazione, ma non sono pochi coloro che sono in attesa del primo inserimento lavorativo (circa il 15% dei rispondenti).

Tab. 9 - Condizione di occupazione per genere. Valori percentuali Occupazione Maschi Femmine Totale Si 33,8 51,5 41,1 No 66,2 48,5 58,9 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 10 - Utenti occupati per tipologia di relazione di lavoro o contratto. Valori percentuali Tipologia di occupazione % Dipendente a T.D. 35,3 Dipendente a T.I. 28,4 Co.co.pro.- Co.co.co.- Co. Occ. 13,7 Lavoratore senza contratto 12,7 Lavoro autonomo 4,9 Altro 1,0 Non risponde 3,9 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 11 - Utenti occupati per professione dichiarata. (Valori percentuali. Classificazione Istat, 2001) Professioni % Collaboratori domestici e assimilati 25,5 Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese ed enti pubblici ed assimilati 19,6 Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio 12,7

segue tab.

158 Si è provveduto a ricodificare le informazione raccolte secondo la Classifica delle Professioni Istat 2001.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 11 segue Professioni % Personale non qualificato nei servizi turistici 11,8 Esercenti e addetti alla ristorazione ed ai pubblici esercizi 8,8 Personale addetto gestione degli stock, degli approvvigionamenti e alla gestione amministrativa 2,9 Artigiani ed operai specializzati del tessile e dell’abbigliamento 2,9 Personale non qualificato nelle costruzioni ed assimilati 2,9 Impiegati a contatto diretto con il pubblico 2,0 Commessi e assimilati 2,0 Artigiani ed operai specializzati addetti alle costruzioni e al mantenimenti di strutture edili 2,0 Infermieri e assimilati 2,0 Tecnici paramedici 1,0 Tecnici dei servizi sociali 1,0 Professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati 1,0 Personale ausiliario di magazzino, dello spostamento merci, delle comunicazioni ed assimilati 1,0 Commerciante ambulante 1,0 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 12 - Utenti non occupati per tipologia. Valori percentuali Tipologia di non occupazione % Disoccupato in cerca di nuova occupazione 67,8 In cerca di prima occupazione 15,1 Studente 4,1 Altro 3,0 Non risponde 12,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Istruzione e formazione Gli intervistati presentano un livello di istruzione nel complesso medio-alto; il 27,9% dichiara di possedere un diploma o una qualifica di scuola superiore, mentre ben il 16,2% è laureato. Tuttavia, sono anche consistenti coloro che non posseggono alcun titolo di studio (12,1%), e il 12,6% è in possesso solo della licenza elementare. Il 2,3% dei titoli di studio sono stati ottenuti in Italia (e tra di essi non vi è nessuna laurea); e di questi appena il 3,7% è riconosciuto. Tra i diplomi prevalgono quelli di area liceale non professionale, con oltre il 40% dei diplomati; in compenso, le lauree più diffuse si riferiscono all’area tecnico-scientifica (35%). Un numero non elevato di rispondenti (11,7%) ha frequentato corsi di formazione, dei quali oltre due terzi in Italia. Nonostante un numero non massiccio di frequentanti corsi di formazione, circa la metà dei rispondenti affermano che sarebbe loro utile intraprendere un’attività formativa, la quale si orienta diffusamente a diversi campi, con la prevalenza relativa di quelli tecnico-elettronici-informatici (21,3%).

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Tab. 13 - Utenti per titolo di studio posseduto. Valori percentuali Titolo conseguito

in (*) Titolo riconosciuto in

Italia(*) Titolo di studio Totale (**)

In Italia All’estero Si No Nessun titolo 12,1 Licenza elementare 12,6 0,0 100,0 0,0 100,0 Licenza media 31,2 5,2 94,8 5,2 94,8 Maturità o qualifica professionale 27,9 1,4 98,6 5,8 94,2 Laurea 16,2 0,0 100,0 0,0 100,0 Totale 100,0 2,3 85,6 3,7 96,3

(*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 14 - Utenti diplomati e laureati per tipologia di diploma ottenuto. Valori percentuali % Tipologia di diploma Liceo non professionale 42,0 Economico-contabile 14,5 Tecnico-meccanico-informatico 10,1 Infermieristico 10,1 Scientifico 2,9 Turistico-alberghiero 1,4 Materie umanistiche 1,4 Altro 7,2 Non risponde 10,1 Totale 100,0 Disciplina di laurea Tecnico-scientifico 35,0 Umanistico 10,0 Economico-statistico-matematico 47,5 Psico-pedagogico 2,5 Medico-veterinario 2,5 Non risponde 2,5 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 15 - Utenti per corsi di formazione frequentati. Valori percentuali Tipologia % % di utenti che hanno seguito un corso di FP 11,7 Paese in cui è stato conseguito un corso Italia 65,5 Estero 24,1 Non risponde 10,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 16 - Argomento attività formativa svolta in Italia e richiesta. Valori percentuali % Attività formativa svolta Tecnico-elettroniche-informatiche 31,6 Qualifiche meccaniche-edili 26,3 Assistenza alle persone 15,8 Turistico-alberghiero 10,5 Artigianato qualificato e artistico 7,7 Marketing/comunicazione 5,3 Altro 5,3 Non risponde 5,3 Totale 100,0 Attività formativa richiesta % di utenti che richiedono un’attività formativa 51,2 Argomento attività formativa Tecnico-elettroniche-informatiche 21,3 Qualifiche meccaniche-edili 16,5 Assistenza alle persone 15,7 Artigianato qualificato e artistico 14,2 Turistico-alberghiero 12,6 Segreteria/amministrazione 4,7 Commercio e addetti alla vendita 1,6 Marketing/comunicazione 0,8 Altro 11,8 Non risponde 0,8 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 17 - Utenti che conoscevano la lingua italiana al momento dell’ingresso in Italia e utenti che hanno frequentato corsi di lingua italiana. Valori percentuali % Conoscenza italiano Si 8,5 No 91,5 Totale 100,0 Frequenza corsi di italiano Si 32,3 No 67,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 18 - Giudizio sulla qualità del lavoro offerto in Italia. Valori percentuali Sì 63,7 No, lavori al di sotto delle mie capacità 27,0 Non risponde 9,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il Centro per l’impiego Le utenti e gli utenti sono stati inoltre interrogati su alcuni aspetti del loro rapporto con il

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Centro per l’impiego. I motivi della presenza presso il Cpi il giorno dell’intervista vedono la maggior parte dei casi centrarsi sulla ricerca di lavoro (65,3%); segue un gruppo consi-stente di richieste informative, riguardo il lavoro e il soggiorno (rispettivamente, 34,7% e 20,2%). Un’altra area si riferisce ad azioni tese a mutare la propria condizione occupazio-nale o accrescere le conoscenze professionali: il 20,2% si presenta presso il Cpi per cambiare lavoro, mentre il 17,7% per frequentare un corso di formazione. Le difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi non paiono assolutamente pressanti: il 78,9% dei rispondenti dichiara di non aver incontrato difficoltà. I problemi veri e propri evidenziati si concentrano, ma in misura limitata, sulla lingua e sulla complessità delle procedure da seguire. Rispetto ai canali che hanno portato gli utenti a conoscenza dell’esistenza del Cpi, prevalenti sono quelli legati alle relazioni informali (amici, parenti, conoscenti) con il 70,6%; di rilievo anche il ruolo del datore di lavoro (17,4%). Di un certo peso i canali associativi e sindacali, utilizzati almeno da un quarto dei rispondenti. Le modalità e i canali della ricerca di lavoro corrispondono in buona misura a questa mappa delle reti di conoscenza e informazione delle persone intervistate. Difatti, oltre l’80%% ha ottenuto un lavoro attraverso canali informali. Tra gli altri canali, di qualche significatività sono le agenzie di lavoro interinale e la ricerca personale attraverso annunci sui giornali. Piuttosto utilizzati Internet (16,5%) e associazioni e sindacati (25,8%); tuttavia, sembra trattarsi di canali scarsamente efficaci: anche se rappresentano modalità di ricerca di lavoro per oltre un quarto dei rispondenti. Infine, solamente una percentuale minoritaria degli utenti (8,5%) ha dichiarato di aver ottenuto un lavoro grazie ai servizi offerti dal Cpi.

Tab. 19 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi. Valori percentuali (Multirisposta) Motivi presenza presso il Cpi % su rispondenti Ricerca di un lavoro 65,3 Informazioni relative al lavoro 34,7 Informazioni legate al soggiorno 20,2 Cambiare lavoro 20,2 Corso di formazione 17,7 Dichiarazione di disponibilità 17,7 Pratiche amministrative 8,9 Accompagnamento 8,9 Certificazione titoli di studio 2,4 Frequentare stage 0,4 Altro motivo 2,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 20 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi. Valori percentuali (Multirisposta) Difficoltà nel rapporto con il Cpi % su rispondenti Nessuna difficoltà 78,9 Lingua 11,4 Procedure 5,7

segue tab.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 20 segue Difficoltà nel rapporto con il Cpi % su rispondenti Disponibilità informazioni 2,8 Individuazione operatore/servizio 1,2 Altra difficoltà 4,5

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. Valori percentuali (Multirisposta) Canale di conoscenza del Cpi % su rispondenti Amici, parenti 71,7 Sindacato/associazioni 25,1 Datore di lavoro 17,4 Comune 9,7 Ambasciata 4,9 Giornali 3,6 Altri uffici pubblici 2,8 Questura 0,4 Altro canale 8,5

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 23 - Canali utilizzati per la ricerca di lavoro

Canali di ricerca lavoro L’ho utilizzato

Mi ha dato lavoro

Non l’ho utilizzato Totale

Agenzie interinali 36,7 16,1 47,2 100,0 Scuole, formazione, università 2,4 2,0 95,6 100,0 Annunci sui giornali 33,5 29,4 37,1 100,0 Invio curriculum 18,1 9,3 72,6 100,0 Amici, parenti, conoscenti 6,9 80,6 12,5 100,0 Internet 16,5 1,2 82,3 100,0 Agenzie private di mediazione 11,7 1,2 87,1 100,0 Sindacati e associazioni 25,8 3,2 71,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il nucleo familiare e la situazione abitativa La buona percentuale di utenti che dichiarano di avere il proprio coniuge in Italia (pari al 40% degli intervistati sposati) conferma i dati più generali su una tendenza alla stabilizzazione degli stranieri residenti. Tale aspetto viene inoltre confermato dal fatto che ben il 43,1% delle persone che dichiarano di avere figli ne hanno almeno uno nel nostro paese. In qualche maniera, anche la situazione abitativa sembra riferirsi a comunità che hanno ormai superatro, nella gran parte dei casi, la situazione d’emergenza iniziale, in favore di soluzioni più stabili e durature. La gran parte degli intervistati, infatti, risponde di abitare da solo (con la propria famiglia) in un’abitazione in affitto (50%) o, marginal-mente, di proprietà (1,6%). Ciononostante, la condivisione con altre persone è la seconda situazione abitativa, con il 30,6% dei rispondenti; mentre le situazioni precarie sono significative, e superano il 16%. Il grado di soddisfazione per la situazione abitativa è

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discreto, ma articolato: circa il 40% dei rispondenti considerano l’attuale sistemazione adeguata, ma solo il 6,0% la giudica una sistemazione definitiva, e ben il 19,8% afferma di vivere una situazione abitativa per nulla soddisfacente. Inoltre, tra chi ne sostiene la provvisorietà, prevale decisamente la ricerca di una casa meno cara rispetto a una più confortevole (23,4%, contro il 4,8%), confermando come quello dell’abitazione rimanga un ostacolo fondamentale per i processi di integrazione, soprattutto nelle grandi città.

Tab. 24 - Utenti coniugati e con figli e presenza del e dei figli coniuge in Italia. Valori percentuali Tipologia % Utenti coniugati 52,8 Di cui con coniuge presente in Italia 39,7 Utenti con figli 52,4 Di cui con figli presenti in Italia 43,1

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 25 - Utenti per situazione abitativa attuale Situazione abitativa % Casa in affitto da solo 50,0 Casa in affitto con altri 30,6 Parenti, amici, conoscenti 8,1 Sul luogo di lavoro 6,0 In una casa di proprietà mia 1,6 Strutture di accoglienza 1,6 Altre soluzioni precarie 0,6 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 26 - Adeguatezza della situazione abitativa Adeguatezza abitazione % Si, la considero adeguata 44,8 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una meno cara 23,4 No, per nulla 19,8 Si, la considero definitiva 6,0 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una confortevole 4,8 Altro 0,4 Non risponde 0,8 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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B. CENTRO PER L’IMPIEGO DI FIRENZE La rilevazione è stata condotta presso il Cpi di Firenze, sito in Via Cavour 11/19, dal 5 giugno al 4 luglio 2006, che risulta essere uno dei 5 Centri per l’impiego presenti sul territorio cittadino (che, nel loro insieme, costituiscono il Cpi di Firenze). In tale lasso di tempo sono stati compilati, tramite interviste individuali, 134 questionari. La popolazione straniera residente a Firenze (considerando i dati riferiti al dicembre 2005) ha superato 32.000 unità, con una leggera prevalenza degli uomini sulle donne (51,4% rispetto al 48,6%). L’incidenza dei migranti sul totale dei residenti è superiore alla media nazionale, e raggiunge l’8,9%. Le nazionalità più presenti sono quelle cinese, albanese, filippina, rumena e peruviana, che mostrano un elevato tasso di concentrazione, raggiungendo insieme quasi il 50% del totale degli stranieri residenti a Firenze.

Tab. 1 - Stranieri residenti nel Comune di Firenze per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V. a. % Maschi 16.498 51,4 Femmine 15.602 48,6 Totale 32.100 100,0

Fonte: Comune di Firenze, Ufficio Comunale di Statistica, dati 31 dicembre 2005.

Tab. 2 - Prime cinque nazionalità residenti nel Comune di Firenze. Valori percentuali Nazionalità % Cina Popolare 12,3 Albania 11,4 Filippine 9,6 Romania 8,0 Perù 7,3 Altre 51,4 Totale 100,0

Fonte: Comune di Firenze, Ufficio Comunale di Statistica, dati 31 dicembre 2005.

Informazioni anagrafiche Il gruppo di utenti intervistati mostra tratti anagrafici piuttosto simili a quelli del totale degli stranieri residenti a Firenze, con una specificità dovuta alla composizione degli utenti che frequentano il Centro. La presenza delle donne è inferiore a quella degli uomini (attestata sul 57,5% dei rispondenti). Tornando a considerare gli utenti intervistati, osserviamo una popolazione decisamente giovane, con quasi il 60% dei rispondenti con meno di 36 anni; un dato sottolineato anche dalla classe più numerosa, quella dai 31 ai 35 anni, con il 21,6%. Incrociando l’informazione dell’età con quella del genere dei rispondenti, si osserva come le donne presentino una maggior concentrazione nella classe tra i 21 e i 25 anni. Gli uomini, al contrario, presentano tassi di concentrazione più alti nelle classi centrali e mature, mentre le donne tornano a segnare percentuali più elevate dei rispondenti maschili solo nelle età superiori ai 51 anni.

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Tab. 3 - Utenti intervistati per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V.a. % Maschi 77 57,5 Femmine 57 42,5 Totale 134 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 4 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali). Valori assoluti e percentuali Classe di età V. a. % Fino a 20 anni 6 4,5 21-25 24 17,9 26-30 20 14,9 31-35 29 21,6 36-40 25 18,7 41-45 12 9,0 46-50 8 6,0 51 e oltre 9 6,7 Non risponde 1 0,7 Totale 248 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 5 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali) e per sesso. Valori percentuali Classe di età Maschi Femmine Totale Fino a 20 anni 5,2 3,5 4,5 21-25 14,3 22,8 17,9 26-30 15,6 14,0 14,9 31-35 23,4 19,3 21,6 36-40 19,5 17,5 18,7 41-45 9,1 8,8 9,0 46-50 6,5 5,3 6,0 51 e oltre 6,5 7,0 6,7 Non risponde 0,0 1,8 0,7 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 6 - Utenti per prime cinque nazionalità residenti. Valori percentuali Nazionalità % Perù 17,9 Marocco 14,2 Somalia 8,2 Sri Lanka 6,0 Brasile 5,2 Altre 48,5 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Dati relativi al soggiorno I dati relativi al soggiorno dei rispondenti evidenziano, anzitutto, un andamento che mostra chiari segni di dipendenza dai provvedimenti di regolarizzazione che hanno avuto

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luogo tra la fine degli anni ‘80 e il 2002. Inoltre, la fig. 1 mostra come dopo una consi-stente crescita degli arrivi in città, negli anni intorno al 2000-2001, e una conseguente diminuzione in corrispondenza con la regolarizzazione del 2002, gli utenti del Cpi tornino a crescere, con l’8,2% di essi presenti in città da un anno o pochi mesi.

Fig. 1 - Utenti per numero di anni di presenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

La maggioranza dei rispondenti ha usufruito almeno una volta di un provvedimento di re-golarizzazione; inoltre, più del 50% ha dichiarato di essere entrato in Italia con un visto di turismo, o addirittura senza alcun visto (quindi, con tutta probabilità, illegalmente). Ri-guardo al permesso di soggiorno attuale, il 37,3% delle risposte si concentra su permessi di soggiorno per lavoro subordinato; la Carta di soggiorno e il permesso di soggiorno per lavoro autonomo raccolgono ciascuno circa il 16% delle risposte; seguono i ricongiungi-menti familiari (11,2%) e un non irrilevante 8,2% che dichiara di essere in possesso di un permesso per asilo politico.

Tab. 7 - Utenti per anni di presenza in Italia (per classi) e utenti che hanno utilizzato almeno una regolarizzazione per annualità del provvedimento. Valori percentuali % Anni di presenza Fino ad 1 anno 8,2 Da 2 a 5 anni 34,3 Da 6 a 9 anni 29,1 Da 10 a 14 anni 16,4 Da 15 a 19 anni 7,5 20 anni e oltre 4,5

segue tab.

0

2

4

6

8

10

12

14

0 5 10 15 20 25

Anni in Italia

Ute

nti C

pi (%

per

ann

i di p

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nza

in

Italia

)

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Tab. 7 segue % Totale 100,0 % utenti regolarizzati 47,0 Di cui nel 1987-88 3,2 1990 7,9 1995-96 15,9 1998 17,5 2002 47,6 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 8 - Permesso di soggiorno posseduto e visto posseduto al momento dell’ingresso in Italia. Valori percentuali % Permesso di soggiorno Lavoro dipendente non stagionale 37,3 Carta di soggiorno 16,4 Lavoro autonomo 16,4 Ricongiungimento familiare 11,2 Asilo politico 8,2 Lavoro dipendente stagionale 3,0 Nessuno 3,0 Richiesta d’asilo 0,7 Altro 3,7 Totale 100,0 Visto Turismo 27,6 Nessuno 24,6 Ricongiungimento familiare 16,4 Lavoro stagionale 4,5 Richiesta asilo 3,7 Lavoro autonomo 6,0 Motivi di studio 7,5 Lavoro dipendente 3,0 Motivi umanitari 6,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Situazione occupazionale Tra gli utenti stranieri del Cpi, poco più di un terzo (il 36,6%) dichiara di essere attualmente occupato, quasi l’80% dei quali con un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato o indeterminato. Assai limitato è, invece, il ricorso alle altre tipologie di contratto (somministrazione, interinale e contratto di collaborazione), e il numero dei lavoratori senza contratto. Le occupazioni dichiarate159 si concentrano su lavori dequali-ficati (sono il 61,7% degli intervistati; in particolare, circa il 30% è occupato come col-

159 Si è provveduto a ricodificare le informazione raccolte secondo la Classifica delle Professioni Istat 2001.

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laboratore domestico/assistente familiare, e il 17% è addetto ai servizi turistici non qualificati). Accanto a questa concentrazione, si segnalano percentuali meno consistenti di artigiani, operai qualificati e professioni qualificate del commercio. Tra i non occupati, infine, prevalgono largamente i disoccupati in cerca di nuova occupazione (con l’81%), mentre coloro che sono in attesa del primo inserimento lavorativo rappresentano l’11,1%. La presenza di altre categorie di utenti non occupati (studenti e casalinghe/i) raccoglie il 7,2% dei rispondenti.

Tab. 9 - Condizione di occupazione per genere. Valori percentuali Occupazione Maschi Femmine Totale Si 33,8 40,4 36,6 No 66,2 59,6 63,4 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 10 - Utenti occupati per tipologia di relazione di lavoro o contratto. Valori percentuali Tipologia di occupazione % Dipendente a T.I. 53,1 Dipendente a T.D. 30,6 Lavoro autonomo 8,2 Co.co.pro.-Co.co.co.- Co. Occ. 4,1 Lavoratore senza contratto 4,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 11 - Utenti occupati per professione dichiarata. (Valori percentuali. Classificazione Istat, 2001) Professioni % Collaboratori domestici e assimilati 29,8 Personale non qualificato nei servizi turistici 17,0 Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio 12,8 Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese ed enti pubblici ed assimilati 10,6 Personale addetto all’accoglienza all’informazione e all’assistenza della clientela 4,3 Imprenditori gestori e responsabili di piccole imprese 2,1 Ingegneri architetti e professioni assimilate 2,1 Tecnici dei servizi sociali 2,1 Personale di segreteria ed operatori su macchine di ufficio 2,1 Esercenti e addetti alla ristorazione ed ai pubblici esercizi 2,1 Professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati 2,1 Artigiani ed operai specializzati addetti alle costruzioni e al mantenimenti di strutture edili 2,1 Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili 2,1 Artigiani ed operai specializzati delle lavorazioni alimentari 2,1 Personale non qualificato nell’agricoltura 2,1 Personale non qualificato nelle costruzioni ed assimilati 2,1 Esercenti delle vendite al minuto 2,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 12 - Utenti non occupati per tipologia. Valori percentuali Tipologia di non occupazione % Disoccupato in cerca di nuova occupazione 81,0 In cerca di prima occupazione 8,3 Studente 6,0 Casalinga/o 1,2 Non risponde 5,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Istruzione e formazione Gli intervistati presentano un livello di istruzione medio-alto; il 40,9% dichiara di possedere un diploma o un qualifica di scuola superiore, e ben il 21,2% è laureato. Solo l’1,5% non ha titolo di studio, mentre il 3,8% è in possesso solo della licenza elementare. Nel complesso, il 7,7% dei rispondenti ha ottenuto il proprio titolo in Italia. Accanto al fenomeno degli stranieri che frequentano, con profitto, l’istruzione primaria e secondaria italiana, vi è una buona incidenza del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero (insieme a quelli ottenuti in Italia, i titoli riconosciuti raggiungono il 18,5%). Tra i diplomi prevalgono le aree scientifiche (24,1%); e le lauree più diffuse si riferiscono all’area tecnico-scientifica (28,6%). L’orientamento ad intraprendere percorsi formativi è significativo: il 41% dichiara di aver seguito uno o più corsi di formazione successivi al percorso scolastico. Tra questi, oltre il 55% ha frequentato corsi in Italia (o anche in Italia). Di questi corsi, sono maggiormente frequentati quelli di area turistico-alberghiera (26,7%), seguiti dall’area tecnico-elettronica-informatica, con il 20%. Inoltre, circa due terzi dei rispondenti affermano che sarebbe loro utile intraprendere un’attività formativa, la quale in modo più accentuato che per i corsi di formazione già frequentati, si orienta a campi tecnici.

Tab. 13 - Utenti per titolo di studio posseduto. Valori percentuali Titolo conseguito

in (*) Titolo riconosciuto in

Italia(*) Titolo di studio Totale (**)

In Italia All’estero Si No Nessun titolo 1,5 Licenza elementare 3,8 0,0 100,0 0,0 100,0 Licenza media 32,6 9,3 90,7 18,6 81,4 Maturità o qualifica professionale 40,9 7,4 92,6 18,5 81,5 Laurea 21,2 7,1 92,9 21,4 78,6 Totale 100,0 7,7 90,8 18,5 81,5

(*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. 2 mancate risposte. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 14 - Utenti diplomati e laureati per tipologia di diploma ottenuto. Valori percentuali %

Tipologia di diploma Scientifico 24,1 Economico-contabile 16,7 Tecnico-meccanico-informatico 16,7 Magistrale-linguistico-operatore sociale 13,0 Turistico-alberghiero 7,4 Materie umanistiche 5,6 Infermieristico 3,7 Altro 1,9 Non risponde 11,1 Totale 100,0 Disciplina di laurea Tecnico-scientifico 28,6 Umanistico 10,7 Economico-statistico-matematico 35,7 Psico-pedagogico 14,3 Medico-veterinario 7,1 Altro 3,6 Totale 100,0 Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 15 - Utenti per corsi di formazione frequentati. Valori percentuali % Tipologia % di utenti che hanno seguito un corso di FP 41,0 Paese in cui è stato conseguito un corso Italia 54,5 Estero 41,8 Entrambe 1,8 Non risponde 1,8 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 16 - Argomento attività formativa svolta in Italia e richiesta. Valori percentuali Attività formativa % Turistico-alberghiero 26,7 Tecnico-elettroniche-informatiche 20,0 Qualifiche meccaniche-edili 13,3 Assistenza alle persone 13,3 Artigianato qualificato e artistico 10,0 Marketing/comunicazione 3,3 Segreteria/ amministrazione 3,3 Altro 6,7 Non risponde 3,3 Totale 100,0 % di utenti che richiedono un’attività formativa 65,7 Argomento attività formativa Tecnico-elettroniche-informatiche 35,2

segue tab.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 16 segue

Attività formativa % Qualifiche meccaniche-edili 11,4 Turistico-alberghiero 10,2 Assistenza alle persone 9,1 Artigianato qualificato e artistico 8,0 Segreteria/amministrazione 5,7 Marketing/comunicazione 2,3 Commercio e addetti alla vendita 2,3 Altro 15,9 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 17 - Utenti che conoscevano la lingua italiana al momento dell’ingresso in Italia e utenti che hanno frequentato corsi di lingua italiana. Valori percentuali % Conoscenza italiano Si 29,1 No 70,9 Totale 100,0 Frequenza corsi di italiano Si 47,0 No 53,0 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 18 - Giudizio sulla qualità del lavoro offerto in Italia. Valori percentuali No, lavori al di sotto delle mie capacità 53,0 Sì 43,3 No, lavori con capacità non possedute 0,7 Non risponde 3,0 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il Centro per l’impiego Le utenti e gli utenti sono stati inoltre interrogati su alcuni aspetti del loro rapporto con il Cpi. I motivi della presenza presso il Cpi il giorno dell’intervista vedono la maggior parte dei casi concentrarsi sulla ricerca di lavoro (64,9%). Un’altra area si riferisce ad azioni tese a mutare la propria condizione occupazionale o accrescere le conoscenze professio-nali: il 20,2% si presenta presso il Cpi per cercare di cambiare lavoro, il 17,7% per fre-quentare un corso di formazione. Le difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi non paiono assolutamente pressanti: il 79,8% dei rispondenti dichiara di non aver incontrato difficoltà. Tuttavia, il primo problema incontrato si riferisce a difficoltà avute con le pro-cedure e con la disponibilità di informazioni per gli utenti. Scarsamente evidenziato nelle risposte il problema della lingua. Rispetto ai canali che hanno portato gli utenti a cono-scenza dell’esistenza del Cpi, prevalenti sono quelli legati alle relazioni informali (amici,

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parenti, conoscenti) con il 53,7%; percentuali via via più marginali di utenti hanno utiliz-zato canali istituzionali e associativi per venire a conoscenza del Cpi. La ricerca di lavoro accentua la dimensione informale delle reti di conoscenza e informazione delle persone intervistate: difatti, circa il 68% ha ottenuto un lavoro attraverso canali non istituzionali. Tra gli altri canali, di qualche significatività sono le agenzie di lavoro interinale e la ricer-ca personale di lavoro attraverso annunci sui giornali. Solamente una percentuale minoritaria degli utenti (7,5%) ha dichiarato di aver ottenuto un lavoro grazie ai servizi offerti dal Cpi.

Tab. 19 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi. Valori percentuali (Multirisposta) Motivi presenza presso il Cpi % su rispondenti Ricerca di un lavoro 64,9 Dichiarazione di disponibilità 24,4 Cambiare lavoro 20,6 Corso di formazione 16,0 Frequentare stage 15,3 Informazioni relative al lavoro 13,0 Pratiche amministrative 10,7 Informazioni legate al soggiorno 7,6 Certificazione titoli di studio 1,5 Accompagnamento 1,5 Altro motivo 0,8

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 20 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Difficoltà nel rapporto con il Cpi % su rispondenti Nessuna difficoltà 79,8 Procedure 7,0 Disponibilità informazioni 5,4 Lingua 3,1 Individuazione operatore/servizio 2,3 Non esprimono giudizi 1,6 Inefficienza del Cpi 0,8 Altra difficoltà 1,6

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Canale di conoscenza del Cpi % su rispondenti Amici, parenti 53,7 Altri uffici pubblici 10,4 Sindacato/associazioni 6,0 Comune 5,2 Questura 1,5 Datore di lavoro 1,5 Giornali 1,5 Altro canale 23,1

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Tab. 22 - Canali utilizzati per la ricerca di lavoro Canali di ricerca lavoro L’ho utilizzato Mi ha dato lavoro Non l’ho utilizzato Totale Agenzie interinali 25,4 21,6 53,0 100,0 Scuole, formazione, università 6,7 1,5 91,8 100,0 Annunci sui giornali 41,8 20,9 37,3 100,0 Invio curriculum 36,6 12,7 50,7 100,0 Amici, parenti, conoscenti 11,9 67,9 20,1 100,0 Internet 35,8 5,2 59,0 100,0 Agenzie private di mediazione 8,2 3,0 88,8 100,0 Sindacati e associazioni 11,2 6,7 82,1 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il nucleo familiare e la situazione abitativa L’elevata percentuale di utenti che dichiarano di avere il proprio coniuge in Italia (pari al 55,4% degli intervistati sposati) conferma i dati più generali su una tendenza alla stabilizzazione degli stranieri residenti. Tale aspetto viene inoltre confermato dal fatto che ben il 44,4% delle persone che dichiarano di avere figli ne hanno almeno uno nel nostro paese. In qualche maniera, anche la situazione abitativa sembra riferirsi a comunità che hanno ormai superatro, nella gran parte dei casi, la situazione d’emergenza iniziale, in favore di soluzioni più stabili e durature. La maggioranza relativa degli intervistati, infatti, risponde di abitare da solo (con la propria famiglia) in un’abitazione in affitto (38,1%) o di proprietà (3,7%); ma, per quasi un quarto dei rispondenti, le soluzioni abitative risultano essere ben più precarie. Il grado di soddisfazione è buono, con oltre il 41,8% dei rispondenti che considerano l’attuale sistemazione adeguata, e l’11,2 che la considera definitiva. Tuttavia, va segnalato il 18,7% dei rispondenti che considerano la propria sistemazione abitativa per nulla soddisfacente.

Tab. 23 - Utenti coniugati e con figli e presenza del e dei figli coniuge in Italia. Valori percentuali Tipologia % Utenti coniugati 48,5 Di cui con coniuge presente in Italia 55,4 Utenti con figli 40,3 Di cui con figli presenti in Italia 44,4

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 24 - Utenti per situazione abitativa attuale Situazione abitativa % Casa in affitto da solo 38,1 In una casa di proprietà mia 3,7 Casa in affitto con altri 34,3 Parenti, amici, conoscenti 13,4 Sul luogo di lavoro 3,7 Strutture di accoglienza 2,2 Altre soluzioni precarie 4,5 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 25 - Adeguatezza della situazione abitativa Adeguatezza abitazione % Si, la considero adeguata 41,8 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una meno cara 13,4 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una confortevole 14,9 Si, la considero definitiva 11,2 No, per nulla 18,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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C. CENTRO PER L’IMPIEGO DI MILANO La rilevazione è stata condotta presso il Cpi di Milano, sito in Viale Jenner 24, dal 5 giugno al 4 luglio 2006 prevalentemente nella fascia oraria antimeridiana. In tale lasso di tempo sono stati compilati, tramite interviste individuali, 309 questionari. La popolazione migrante residente a Milano (considerando i dati riferiti al dicembre 2005) ha superato 162.000 unità, con una leggera prevalenza degli uomini (50,6%) sulle donne. A Milano l’incidenza dei migranti sul totale dei residenti è considerevole, e raggiunge il 12,5% circa. Le nazionalità più presenti sono quelle filippina, egiziana, peruviana, cinese ed ecuadoriana, che mostrano un elevato tasso di concentrazione, raggiungendo insieme oltre il 53% del totale degli stranieri residenti a Milano.

Tab. 1 - Stranieri residenti nel Comune di Milano per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V. a. % Maschi 82.303 50,6 Femmine 80.479 49,4 Totale 162.782 100,0

Fonte: Ufficio statistica Comune di Milano, dati 31 dicembre 2005.

Tab. 2 - Prime cinque nazionalità residenti nel Comune di Milano. Valori percentuali Nazionalità % Filippine 16,4 Egitto 12,9 Perù 8,5 Cina Popolare 8,0 Ecuador 7,6 Altre 46,7 Totale 100,0

Fonte: Ufficio statistica Comune di Milano, dati 31 dicembre 2005.

Informazioni anagrafiche Il gruppo di utenti intervistati presso il Centro per l’impiego di Milano mostra tratti ana-grafici piuttosto simili a quelli del totale degli stranieri residenti in città, con l’evidenza di alcune specificità. La presenza degli uomini è inferiore a quella delle donne (attestata sul 55% dei rispondenti). Anche le nazionalità rispecchiano le presenze straniere nella città: ben quattro delle cinque prime nazionalità censite tra gli/le utenti del Cpi corrispondono all’elenco delle nazionalità più diffuse in città. Tornando a considerare gli utenti intervi-stati, osserviamo una popolazione relativamente giovane, con oltre il 45% degli utenti con meno di 36 anni; mentre la classe più numerosa è quella dai 36 ai 40 anni, con il 17,8%. Incrociando l’informazione dell’età con quella del genere dei rispondenti, si osserva come le donne presentino una maggior concentrazione nelle classi d’età comprese tra i 21 e i 30 anni. Gli uomini, al contrario, presentano tassi di concentrazione più alti delle donne nelle due classi centrali, mentre queste ultime tornano a segnare percentuali più elevate dei corrispondenti maschili nelle età superiori ai 45 anni.

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Tab. 3 - Utenti intervistati per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V a. % Maschi 139 45,0 Femmine 170 55,0 Totale 309 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 4 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali). Valori assoluti e percentuali Classe di età V. a. % Fino a 20 anni 23 7,4 21-25 42 13,6 26-30 43 13,9 31-35 49 15,9 36-40 55 17,8 41-45 37 12,0 46-50 32 10,4 51 e oltre 24 7,8 Non risponde 4 1,3 Totale 309 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 5 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali) e per sesso. Valori percentuali Classe di età Maschi Femmine Totale Fino a 20 anni 9,4 5,9 7,4 21-25 12,2 14,7 13,6 26-30 12,2 15,3 13,9 31-35 16,5 15,3 15,9 36-40 18,0 17,6 17,8 41-45 15,1 9,4 12,0 46-50 7,2 12,9 10,4 51 e oltre 7,2 8,2 7,8 Non risponde 2,2 0,6 1,3 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 6 - Utenti per prime cinque nazionalità residenti. Valori percentuali Nazionalità % Perù 14,2 Filippine 13,6 Egitto 11,0 Ecuador 10,4 Sri Lanka 5,8 Altre 45,0 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Dati relativi al soggiorno I dati relativi al soggiorno dei rispondenti evidenziano, anzitutto, un andamento che mostra chiari segni di dipendenza dai provvedimenti di regolarizzazione che hanno avuto

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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luogo tra la fine degli anni ‘80 e il 2002. La fig. 1 mostra come dopo un calo fisiologico degli arrivi, successivo alla regolarizzazione del 2002, gli utenti del Cpi tornino a crescere, con quasi il 10% di essi presenti in città da un anno o pochi mesi. Del resto, la grande maggioranza dei rispondenti (67%) ha usufruito almeno una volta di un provve-dimento di regolarizzazione. Facilmente, inoltre, del gruppo di persone che hanno regolarizzato il proprio soggiorno in Italia fa parte il 62% dei rispondenti che ha dichiarato di essere entrato in Italia con un visto per turismo, o addirittura senza alcun visto (quindi, con tutta probabilità, illegalmente). Riguardo al permesso di soggiorno attuale, circa il 55% delle risposte si concentra su permessi di soggiorno per lavoro subor-dinato; seguono il permesso per ricongiungimento familiare (18,4%) e la Carta di soggiorno (11,3%).

Fig. 1 - Utenti per numero di anni di presenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 7 - Utenti per anni di presenza in Italia (per classi) e utenti che hanno utilizzato almeno una regolarizzazione per annualità del provvedimento. Valori percentuali Presenza in Italia % Anni di presenza Fino ad 1 anno 9,7 Da 2 a 5 anni 27,8 Da 6 a 9 anni 28,2 Da 10 a 14 anni 19,1 Da 15 a 19 anni 9,7 20 anni e oltre 5,5 Totale 100,0

segue tab.

0

2

4

6

8

10

12

14

0 5 10 15 20 25 30

Anni in Italia

Ute

nti C

pi (%

per

ann

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in It

alia

)

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Tab. 7 segue Presenza in Italia % % utenti regolarizzati 67,0 Di cui nel 1987-88 5,3 1990 9,2 1995-96 18,4 1998 15,9 2002 46,9 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 8 - Permesso di soggiorno posseduto e visto al momento dell’ingresso in Italia. Valori percentuali % Permesso di soggiorno Lavoro dipendente non stagionale 55,3 Ricongiungimento familiare 18,4 Carta di soggiorno 11,3 Richiesta d’asilo 3,6 Nessuno 2,6 Lavoro autonomo 1,9 Asilo politico 1,6 Lavoro dipendente stagionale 1,6 Altro 3,6 Totale 100,0 Visto Nessuno 34,3 Turismo 27,2 Ricongiungimento familiare 19,4 Lavoro dipendente 6,8 Motivi di studio 3,9 Motivi umanitari 1,6 Richiesta asilo 1,6 Lavoro stagionale 0,3 Non risponde 2,6 Altro 2,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Situazione occupazionale Tra gli utenti stranieri del Cpi, quasi un terzo (il 31,1%) dichiara di essere attualmente occupato, più del 50% dei quali con un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato o indeterminato. Assai limitato è il ricorso alle altre tipologie di contratto (somministrazione, interinale e contratto di collaborazione). Notevole è, al contrario, la percentuale di coloro che dichiarano di svolgere un lavoro senza alcun tipo di contratto, pari al 31,3% degli occupati, quota che, di fatto, si rivela essere la seconda modalità

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lavoro. Le occupazioni dichiarate160 si concentrano su lavori dequalificati (sono il 57,4% degli intervistati e, in particolare, oltre il 40% è occupato come collaboratore domestico/assistente familiare, o addetto alle pulizie). Accanto a questa concentrazione, vi sono percentuali meno consistenti, ma non irrilevanti, di artigiani, operai qualificati e professioni tecniche e impiegatizie. Tra i non occupati, infine, prevalgono i disoccupati in cerca di nuova occupazione, ma non sono pochi coloro che sono in attesa del primo inserimento lavorativo (circa un sesto dei rispondenti).

Tab. 9 - Condizione di occupazione per genere. Valori percentuali Occupazione Maschi Femmine Totale Si 30,2 31,8 31,1 No 69,8 68,2 68,9 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 10 - Utenti occupati per tipologia di relazione di lavoro o contratto. Valori percentuali Tipologia di occupazione % Dipendente a T.I. 40,6 Lavoratore senza contratto 31,3 Dipendente a T.D. 13,5 Lavoro autonomo 6,3 Co.co.pro.-Co.co.co.- Co. Occ. 3,1 Interinale/somministrazione 1,0 Altro 4,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 11 - Utenti occupati per professione dichiarata (Valori percentuali. Classificazione Istat, 2001) Professioni % Collaboratori domestici e assimilati 28,7 Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese ed enti pubblici ed assimilati 13,9 Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio 12,0 Personale non qualificato nei servizi turistici 6,5 Personale non qualificato nelle costruzioni ed assimilati 6,5 Esercenti e addetti alla ristorazione ed ai pubblici esercizi 5,6 Personale di segreteria ed operatori su macchine di ufficio 2,8 Personale addetto all’accoglienza, all’informazione e all’assistenza della clientela 2,8 Imprenditori gestori e responsabili di piccole imprese 1,9 Professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati 1,9 Artigiani ed operai specializzati addetti alle costruzioni e al mantenimenti di strutture edili 1,9 Artigiani e operai specializzati alle rifiniture delle costruzioni 1,9

segue tab.

160 Si è provveduto a ricodificare le informazione raccolte secondo la Classifica delle Professioni Istat 2001.

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Tab. 11 segue Professioni % Artigiani ed operai metalmeccanici specializzati ed assimilati 1,9 Personale ausiliario di magazzino, dello spostamento merci, delle comunicazioni ed assimilati 1,9 Specialisti in discipline artistico-creative 0,9 Tecnici dell’amministrazione e dell’organizzazione 0,9 Insegnanti 0,9 Tecnici dei servizi sociali 0,9 Personale addetto alla gestione degli stock, degli approvvigionamenti e alla gestione amministrativa 0,9 Commessi e assimilati 0,9 Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili 0,9 Ebanisti, attrezzisti, artigiani ed operai specializzati del trattamento del legno ed assimilati 0,9 Conduttore di veicoli a motore e a trazione animale 0,9 Esercenti delle vendite al minuto 0,9 Guardie private di sicurezza 0,9 Totale 100,0 Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 12 -Utenti non occupati per tipologia. Valori percentuali Tipologia di non occupazione % Disoccupato in cerca di nuova occupazione 68,7 In cerca di prima occupazione 16,4 Studente 4,2 Casalinga/o 2,3 Altro 3,3 Non risponde 5,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Istruzione e formazione Gli intervistati presentano un livello di istruzione medio-alto; il 46,6% dichiara di posse-dere un diploma di scuola superiore, mentre il 12,2% è laureato. Solo l’1,3% non ha titolo di studio, e l’8,4% è in possesso solo della licenza elementare. Nel complesso, il 7,9% dei rispondenti ha ottenuto il proprio titolo in Italia (ma tra di essi non vi è nessun laureato). Accanto al fenomeno degli stranieri che frequentano, con profitto, l’istruzione primaria e secondaria italiana, vi è la scarsissima incidenza del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero. L’orientamento ad intraprendere percorsi formativi è significativo: il 36,9% dichiara di aver seguito uno o più corsi di formazione successivi al percorso sco-lastico. Tra questi, circa il 50% ha frequentato corsi in Italia (o anche in Italia). I contenu-ti dei corsi paiono piuttosto polarizzati tra qualifiche a più alta specializzazione (tecnico-elettroniche e informatiche, con ben il 34,6%) e basse qualifiche nella produzione e nei servizi (assistenza alle persone e qualifiche meccanico-edili, con, rispettivamente il 28,8% e il 9,6%). Inoltre, circa i due terzi dei rispondenti dichiarano che sarebbe loro utile intraprendere un’attività formativa, la quale in modo significativo (circa il 40%) si orienta a campi tecnici (elettronica, informatica), e in misura minore nel campo socio-assistenziale (15%).

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Tab. 13 - Utenti per titolo di studio posseduto. Valori percentuali Titolo conseguito

in (*) Titolo riconosciuto in

Italia(*) Titolo di studio Totale (**)

In Italia All’estero Si No Nessun titolo 1,3 Licenza elementare 8,6 3,8 96,2 3,8 96,2 Licenza media 30,6 11,8 88,2 12,9 87,1 Maturità o qualifica professionale 47,4 8,3 91,7 9,7 90,3 Laurea 12,2 0,0 100,0 8,1 91,9 Totale 100,0 7,9 90,8 9,9 90,1 (*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. 4 mancate risposte. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 14 - Utenti diplomati e laureati per tipologia di diploma ottenuto. Valori percentuali % Tipologia di diploma Tecnico-meccanico-informatico 14,6 Economico-contabile 8,3 Magistrale-linguistico-operatore sociale 6,9 Turistico/alberghiero 5,6 Infermieristico 4,9 Scientifico 4,2 Materie umanistiche 2,1 Liceo non professionale 0,7 Altro 2,8 Non risponde 50,0 Totale 100,0 Disciplina di laurea Economico-statistico-matematico 37,8 Tecnico-scientifico 24,3 Umanistico 10,8 Medico-veterinario 10,8 Psico-pedagogico 2,7 Altro 5,4 Non risponde 8,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 15 - Utenti per corsi di formazione frequentati. Valori percentuali Tipologia % % di utenti che hanno seguito un corso di FP 36,9 Paese in cui è stato conseguito un corso Italia 45,6 Estero 49,1 Entrambe 5,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 16 - Argomento attività formativa svolta in Italia e richiesta. Valori percentuali Attività formativa % Tecnico-elettroniche-informatiche 34,6 Assistenza alle persone 28,8 Qualifiche meccaniche-edili 9,6 Turistico-alberghiero 7,7 Artigianato qualificato e artistico 7,7 Segreteria/amministrazione 5,8 Marketing/comunicazione 1,9 Altro 3,8 Totale 100,0 % di utenti che richiedono un’attività formativa 62,5 Argomento attività formativa Tecnico-elettroniche-informatiche 45,6 Assistenza alle persone 15,0 Artigianato qualificato e artistico 7,3 Turistico-alberghiero 6,7 Qualifiche meccaniche-edili 6,2 Segreteria/amministrazione 2,1 Marketing/comunicazione 1,0 Commercio e addetti alla vendita 0,5 Altro 4,1 Non risponde 11,4 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 17 - Utenti che conoscevano la lingua italiana al momento dell’ingresso in Italia e utenti che hanno frequentato corsi di lingua italiana. Valori percentuali % Conoscenza italiano Si 6,1 No 93,9 Totale 100,0 Frequenza corsi di italiano Si 27,5 No 72,5 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 18 - Giudizio sulla qualità del lavoro offerto in Italia. Valori percentuali Qualità del lavoro offerto % No, lavori al di sotto delle mie capacità 41,1 Sì 23,6 Non risponde 35,3 Totale 100,0

Fonte: Isfol, Indagine sull’utenza straniera 2006.

Il Centro per l’impiego Le utenti e gli utenti sono stati inoltre interrogati su alcuni aspetti del loro rapporto con il Centro per l’impiego. I motivi della presenza presso il Cpi il giorno dell’intervista vedono

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una netta prevalenza della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (67,2%). Segue, con il 15,6%, il numero di coloro che hanno accompagnato un parente, un amico o un conoscente. Altro motivo di rilievo (10,3%) è il disbrigo di pratiche amministrative, con le quali si intende soprattutto la documentazione da accompagnare a richieste inerenti l’indennità di disoccupazione o maternità, la mobilità, oppure l’ottenimento di benefici socio-assitenziali (esenzione spese sanitarie, assegni di sostegno erogati da soggetti pubblici e del non-profit). Le difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi non paiono eccessivamente pressanti: il 58,3% dei rispondenti non esprime giudizi (si tratta soprattutto di persone al primo contatto con il Centro), ed il 21,4% dichiara di non aver incontrato difficoltà. I problemi maggiori si concentrano, comunque, sulla scarsa disponibilità di informazioni e sulla complessità delle procedure da seguire, mentre la lingua rappresenta un problema assai marginale (da considerare, accanto a questo dato, la forte presenza di intervistati presenti presso il Cpi per accompagnare un’altra persona). Rispetto ai canali che hanno portato gli utenti a conoscenza dell’esistenza del Cpi, prevalenti sono quelli legati alle relazioni informali (amici, parenti, conoscenti) o occupazionali (il datore di lavoro); percentuali via via più marginali di utenti hanno utilizzato canali formali per venire a conoscenza del Cpi (tra questi, spicca la Questura, con il 17,8% delle risposte). Le modalità e i canali della ricerca di lavoro corrispondono in buona misura a questa mappa delle reti di conoscenza e informazione delle persone intervistate: difatti, quasi il 70% ha ottenuto un lavoro attraverso canali informali. Tra gli altri canali, di qualche significatività sono il ricorso a sindacati e associazioni e ad agenzie di lavoro interinale. Nessuno dei rispondenti, infine, ha dichiarato di aver ottenuto un lavoro grazie ai servizi offerti dal Cpi; questo, probabilmente, anche in ragione dell’elevato numero di intervistati che si recavano al Cpi per dare la dichiarazione di disponibilità, per l’accompagnamento di altre persone o per questioni amministrative.

Tab. 19 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Motivi presenza presso il Cpi % su rispondenti Dichiarazione di disponibilità 67,2 Accompagnamento 15,6 Pratiche amministrative 10,3 Informazioni relative al lavoro 8,3 Informazioni legate al soggiorno 4,6 Ricerca di un lavoro 4,0 Corso di formazione 2,3 Altro motivo 2,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 20 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Difficoltà nel rapporto con il Cpi % su rispondenti Non esprimono giudizi 58,3 Nessuna difficoltà 21,4 Lingua 2,0 Disponibilità informazioni 6,1 Procedure 4,7 Inefficienza del Cpi 1,4 Individuazione operatore/servizio 0,3 Altra difficoltà 10,8

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Canale di conoscenza del Cpi % su rispondenti Amici, parenti 50,7 Questura 17,8 Datore di lavoro 9,9 Altri uffici pubblici 7,9 Sindacato/associazioni 5,6 Comune 4,9 Giornali 2,6 Altro canale 1,6

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 22 - Canali utilizzati per la ricerca di lavoro Canali di ricerca lavoro L’ho utilizzato Mi ha dato lavoro Non l’ho utilizzato Totale Agenzie interinali 11,0 9,7 79,3 100,0 Scuole, formazione, università 1,0 1,6 97,4 100,0 Annunci sui giornali 10,7 9,7 79,6 100,0 Invio curriculum 9,1 2,3 88,7 100,0 Amici, parenti, conoscenti 10,4 68,6 21,0 100,0 Internet 5,2 1,0 93,9 100,0 Agenzie private di mediazione 2,3 6,1 91,6 100,0 Sindacati e associazioni 3,2 12,0 84,8 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il nucleo familiare e la situazione abitativa L’elevata percentuale di utenti che dichiarano di avere il proprio coniuge in Italia (pari al 65% degli intervistati sposati) conferma i dati più generali su una tendenza alla stabilizzazione degli stranieri residenti. Tale aspetto viene inoltre confermato dal fatto che ben il 65% delle persone che dichiarano di avere figli ne hanno almeno uno nel nostro paese. In qualche maniera, anche la situazione abitativa sembra riferirsi a comunità che hanno ormai superatro, nella gran parte dei casi, la situazione d’emergenza iniziale, in favore di soluzioni più stabili e durature. La gran parte degli intervistati, infatti, risponde di abitare da solo (con la propria famiglia) in un’abitazione in affitto (47,2%) o di proprietà (16%) ma, per quasi un quinto dei rispondenti, le soluzioni abitative risultano

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essere ben più precarie. A fronte di tali percentuali, però, solamente il 30% circa dei rispondenti esprime un giudizio di adeguatezza della propria situazione abitativa, e il 22,3% considera la propria abitazione del tutto provvisoria, sperando in una soluzione meno cara, confermando come quello dell’abitazione rimanga un ostacolo fondamentale per i processi di integrazione, soprattutto nelle grandi città.

Tab. 23 - Utenti coniugati e presenza del coniuge in Italia. Valori percentuali Tipologia % Utenti coniugati 49,2 Di cui con coniuge presente in Italia 65,1 Utenti con figli 57,0 Di cui con figli presenti in Italia 64,8

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 24 - Utenti per situazione abitativa attuale Situazione abitativa % Casa in affitto da solo o con la famiglia 47,2 Casa in affitto con altri 17,5 In una casa di proprietà mia 16,2 Parenti, amici, conoscenti 5,8 Strutture di accoglienza 5,8 Sul luogo di lavoro 5,8 Altre soluzioni precarie 1,0 In albergo o pensione 0,6 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 25 - Adeguatezza della situazione abitativa Adeguatezza abitazione % Si, la considero adeguata 30,1 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una meno cara 22,3 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una confortevole 20,7 Si, la considero definitiva 9,4 No, per nulla 5,8 Altro 6,5 Non risponde 5,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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D. CENTRO PER L’IMPIEGO DI TORINO La rilevazione è stata condotta presso il Cpi di Torino, sede di via Bologna 153, dal 5 giugno al 4 luglio 2006 prevalentemente nella fascia oraria antimeridiana. In tale lasso di tempo sono stati compilati, tramite interviste individuali, 166 questionari. La popolazione migrante residente a Torino (considerando i dati riferiti al dicembre 2005) ha superato 68.000 unità, con una leggera prevalenza delle donne sugli uomini (50,9% rispetto al 49,1%). L’incidenza dei migranti sul totale dei residenti è superiore alla media nazionale, e raggiunge il 7,6% circa. Le nazionalità più presenti sono quelle rumena, marocchina, peruviana, albanese e cinese, che mostrano un assai elevato tasso di concentrazione, raggiungendo insieme due terzi del totale degli stranieri residenti a Torino.

Tab. 1 - Stranieri residenti nel Comune di Torino per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V. a. % Maschi 33.437 49,1 Femmine 34.710 50,9 Totale 68.147 100,0

Fonte: Istat, Osservatorio sull’immigrazione in Piemonte, dati 31 dicembre 2005.

Tab. 2 - Prime cinque nazionalità residenti nel Comune di Torino. Valori percentuali Nazionalità % Romania 30,1 Marocco 18,4 Perù 7,2 Albania 5,6 Cina Popolare 4,6 Altre 34,1 Totale 100,0

Fonte: Istat, Osservatorio sull’immigrazione in Piemonte, dati 31 dicembre 2005.

Informazioni anagrafiche Il gruppo di utenti intervistati presso il Centro per l’impiego di Torino mostra tratti anagrafici piuttosto simili a quelli del totale degli stranieri residenti in città, con l’evidenza di alcune specificità. La presenza delle donne è superiore a quella degli uomini, e si attesta sul 56% dei rispondenti. Anche le nazionalità rispecchiano le presenze straniere nella città: ben quattro delle cinque prime nazionalità censite tra gli/le utenti del Cpi corrispondono all’elenco delle nazionalità più diffuse in città (con l’eccezione dei cittadini cinesi, spesso presenti tra i residenti assai più che nelle statistiche dei servizi per l’impiego). Tornando a considerare gli utenti intervistati, osserviamo una popolazione decisamente giovane, con oltre il 58% dei rispondenti con meno di 36 anni; un dato sottolineato anche dalla classe più numerosa, proprio quella dai 31 ai 35 anni, con il 24,7%. Incrociando l’informazione dell’età con quella del genere dei rispondenti, si osserva come le donne presentino una maggior concentrazione nelle classi d’età comprese

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tra i 21 e i 30 anni. Gli uomini, al contrario, presentano tassi di concentrazione più alti delle donne nelle classi centrali e mature, mentre queste ultime tornano a segnare percentuali più elevate solo nelle età superiori ai 51 anni.

Tab. 3 - Utenti intervistati per genere. Valori assoluti e percentuali Genere V.a. % Maschi 73 44 Femmine 93 56 Totale 166 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 4 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali). Valori assoluti e percentuali Classe di età V. a. % Fino a 20 anni 9 5,4 21-25 15 9,0 26-30 32 19,3 31-35 41 24,7 36-40 35 21,1 41-45 14 8,4 46-50 6 3,6 51 e oltre 14 8,4 Totale 166 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 5 - Utenti intervistati per età (classi quinquennali) e per sesso. Valori percentuali Classe di età Maschi Femmine Totale Fino a 20 anni 6,8 4,3 5,4 21-25 8,2 9,7 9,0 26-30 15,1 22,6 19,3 31-35 27,4 22,6 24,7 36-40 20,5 21,5 21,1 41-45 11,0 6,5 8,4 46-50 4,1 3,2 3,6 51 e oltre 6,8 9,7 8,4 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 6 - Utenti per prime cinque nazionalità residenti. Valori percentuali Nazionalità % Marocco 30,1 Romania 22,9 Perù 14,5 Albania 4,2 Nigeria 3,6 Altre 24,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Anni in Italia

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in It

alia

) Dati relativi al soggiorno

I dati relativi al soggiorno dei rispondenti evidenziano, anzitutto, un andamento che mostra chiari segni di dipendenza dai provvedimenti di regolarizzazione che hanno avuto luogo tra la fine degli anni ‘80 e il 2002. Inoltre, la fig. 1 mostra come dopo una consistente crescita degli arrivi in città, negli anni intorno al 2000-2001, e una conse-guente diminuzione in corrispondenza con la regolarizzazione del 2002, gli utenti del Cpi tornino a crescere, con il 6% di essi presenti in città da un anno o pochi mesi. La grande maggioranza dei rispondenti (59,6%) ha usufruito almeno una volta di un provvedimento di regolarizzazione. Inoltre, ben il 60% ha dichiarato di essere entrato in Italia con un visto di turismo, o addirittura senza alcun visto (quindi, con tutta probabilità, illegal-mente). Riguardo al permesso di soggiorno attuale, il 62,7% delle risposte si concentra su permessi di soggiorno per lavoro subordinato; seguono il permesso per ricongiungimento familiare (21,1%) e, a distanza, la Carta di soggiorno (4,8%).

Fig. 1 - Utenti per numero di anni di presenza in Italia. Valori percentuali

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 7 - Utenti per anni di presenza in Italia (per classi) e utenti che hanno utilizzato almeno una regolarizzazione per annualità del provvedimento. Valori percentuali Presenza in Italia % Anni di presenza Fino ad 1 anno 6,0 Da 2 a 5 anni 36,1 Da 6 a 9 anni 38,6 Da 10 a 14 anni 12,0 Da 15 a 19 anni 6,6 20 anni e oltre 0,6 Totale 100,0

segue tab.

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Tab. 7 segue Presenza in Italia % % utenti regolarizzati 59,6 Di cui nel 1987-88 0,0 1990 3,0 1995-96 9,1 1998 18,2 2002 68,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 8 - Permesso di soggiorno posseduto e visto al momento dell’ingresso in Italia. Valori percentuali % Permesso di soggiorno Lavoro dipendente non stagionale 62,7 Ricongiungimento familiare 21,1 Carta di soggiorno 4,8 Lavoro autonomo 3 Asilo politico 1,8 Lavoro dipendente stagionale 1,8 Nessuno 0,6 Altro 4,2 Totale 100,0 Visto Turismo 35,5 Nessuno 25,3 Ricongiungimento familiare 24,7 Lavoro stagionale 7,8 Richiesta asilo 1,6 Motivi di studio 1,2 Lavoro dipendente 1,2 Motivi umanitari 0,6 Altro 1,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Situazione occupazionale

Tra gli utenti stranieri del Cpi, poco meno di un quinto (il 18,7%) dichiara di essere at-tualmente occupato, quasi il 50% dei quali con un contratto di lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato. Assai limitato è, invece, il ricorso alle altre tipologie di con-tratto (somministrazione, interinale e contratto di collaborazione). Notevole è, al contra-rio, la percentuale di coloro che dichiarano di svolgere un lavoro senza alcun tipo di con-tratto, pari al 41,9% degli occupati, quota che, di fatto, si rivela essere la prima modalità lavoro. Le occupazioni dichiarate161 si concentrano su lavori dequalificati (sono il 51,7% degli intervistati; in particolare, circa il 38% è occupato come collaboratore domestico/ 161 Si è provveduto a ricodificare le informazione raccolte secondo la Classifica delle Professioni Istat 2001.

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assistente familiare, o addetto alle pulizie). Accanto a questa concentrazione, vi sono percentuali meno consistenti, ma non irrilevanti, di artigiani, operai qualificati e profes-sioni tecniche (specialmente nei servizi sociali). Tra i non occupati, infine, prevalgono i disoccupati in cerca di nuova occupazione (con il 74,8%), ma non sono pochi coloro che sono in attesa del primo inserimento lavorativo (l’11,1%). La presenza di altre categorie di utenti non occupati (studenti e casalinghe/i) raccoglie l’11,1% dei rispondenti.

Tab. 9 - Condizione di occupazione per genere. Valori percentuali Occupazione Maschi Femmine Totale Si 19,2 18,3 18,7 No 80,8 81,7 81,3 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 10 - Utenti occupati per tipologia di relazione di lavoro o contratto. Valori percentuali Tipologia di occupazione % Lavoratore senza contratto 41,9 Dipendente a T.I. 35,5 Dipendente a T.D. 12,9 Lavoro autonomo 3,2 Co.co.pro.-Co.co.co.- Co. Occ. 3,2 Interinale/somministrazione 3,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 11 - Utenti occupati per professione dichiarata. (Valori percentuali. Classificazione Istat, 2001) Professioni % Collaboratori domestici e assimilati 20,7 Addetti non qualificati a servizi di pulizia in imprese ed enti pubblici ed assimilati 17,2 Artigiani ed operai specializzati addetti alle costruzioni e al mantenimento di strutture edili 10,3 Tecnici dei servizi sociali 6,9 Commessi e assimilati 6,9 Esercenti e addetti alla ristorazione ed ai pubblici esercizi 6,9 Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio 6,9 Personale non qualificato nei servizi turistici 6,9 Professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati 3,4 Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili 3,4 Artigiani ed operai specializzati delle lavorazioni alimentari 3,4 Personale non qualificato nelle costruzioni ed assimilati 3,4 Commerciante ambulante 3,4 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 12 - Utenti non occupati per tipologia. Valori percentuali Tipologia di non occupazione % Disoccupato in cerca di nuova occupazione 74,8 In cerca di prima occupazione 11,1 Studente 3,7 Casalinga/o 7,4 Altro 3,0 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Istruzione e formazione Gli intervistati presentano un livello di istruzione medio-alto; il 44% dichiara di possedere un diploma o un qualifica di scuola superiore, mentre il 10,8% è laureato. Solo l’1,2% non ha titolo di studio, mentre il 6% è in possesso solo della licenza elementare. Nel complesso, il 6,6% dei rispondenti ha ottenuto il proprio titolo in Italia (ma tra di essi non vi è nessun laureato). Accanto al fenomeno degli stranieri che frequentano, con profitto, l’istruzione primaria e secondaria italiana, vi è la scarsa incidenza del riconosci-mento dei titoli di studio conseguiti all’estero (nel complesso, il 10,6% dei titoli di studio dei rispondenti sono riconosciuti). Tra i diplomi prevalgono le aree tecniche, meccaniche e informatiche, con quasi il 40% dei diplomati; e le lauree più diffuse si riferiscono all’area tecnico-scientifica. L’orientamento ad intraprendere percorsi formativi è signi-ficativo: il 42,8% dichiara di aver seguito uno o più corsi di formazione successivi al per-corso scolastico. Tra questi, circa il 50% ha frequentato corsi in Italia (o anche in Italia). Di questi corsi, sono maggiormente frequentati quelli di area tecnico-produttiva, sia a più alta qualificazione (elettronico-informatica, con il 18,2%), sia quelli a qualificazione più bassa (qualifiche meccaniche-edili, con il 21,2%); seguono i corsi finalizzati all’assistenza alle persone, con il 15,2% delle scelte formative. Inoltre, circa la metà dei rispondenti affermano che sarebbe loro utile intraprendere un’attività di formazione, la quale si orienta perlopiù a campi produttivi (20,5%, per qualifiche meccaniche ed edili) e, in modo più accentuato che per i corsi già frequentati, al campo socio-assistenziale (22,7%).

Tab. 13 - Utenti per titolo di studio posseduto. Valori percentuali Titolo conseguito

in (*) Titolo riconosciuto

in Italia(*) Titolo di studio Totale (**)

In Italia All’estero Si No Nessun titolo 1,2 Licenza elementare 6,0 0,0 100,0 3,8 96,2 Licenza media 38,0 7,9 92,1 7,9 92,1 Maturità o qualifica professionale 44,0 8,2 91,8 8,2 91,8 Laurea 10,8 0,0 100,0 33,6 66,4 Totale 100,0 6,6 92,2 10,6 89,4 (*) percentuali di riga; (**) percentuali di colonna. Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 14 - Utenti diplomati e laureati per tipologia di diploma ottenuto. Valori percentuali % Tipologia di diploma Tecnico-meccanico-informatico 39,7 Economico-contabile 13,7 Infermieristico 6,8 Magistrale-linguistico-operatore sociale 4,1 Liceo non professionale 4,1 Scientifico 2,7 Turistico-alberghiero 1,4 Materie umanistiche 1,4 Altro 2,7 Non risponde 23,3 Totale 100,0 Disciplina di laurea Tecnico-scientifico 27,8 Umanistico 22,2 Economico-statistico-matematico 16,7 Psico-pedagogico 11,1 Medico-veterinario 5,6 Altro 5,6 Non risponde 11,1 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 15 - Utenti per corsi di formazione frequentati. Valori percentuali Tipologia % % di utenti che hanno seguito un corso di FP 41,0 Paese in cui è stato conseguito un corso Italia 54,5 Estero 41,8 Entrambe 1,8 Non risponde 1,8 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 16 - Argomento attività formativa svolta in Italia e richiesta. Valori percentuali % Attività formativa Qualifiche meccaniche-edili 21,2 Tecnico-elettroniche-informatiche 18,2 Assistenza alle persone 15,2 Turistico-alberghiero 12,1 Artigianato qualificato e artistico 9,1 Marketing/comunicazione 6,1 Segreteria/amministrazione 5,8 Commercio e addetti alla vendita 3,0 Altro 12,1 Non risponde 3,0 Totale 100,0 % di utenti che richiedono un’attività formativa 53,0

segue tab.

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Tab. 16 segue % Argomento attività formativa Qualifiche meccaniche-edili 22,7 Assistenza alle persone 20,5 Tecnico-elettroniche-informatiche 13,6 Artigianato qualificato e artistico 12,5 Turistico-alberghiero 6,8 Segreteria/amministrazione 3,4 Marketing/comunicazione 1,1 Commercio e addetti alla vendita 1,1 Altro 2,3 Non risponde 15,9 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 17 - Utenti che conoscevano la lingua italiana al momento dell’ingresso in Italia e utenti che hanno frequentato corsi di lingua italiana. Valori percentuali % Conoscenza italiano Si 22,3 No 77,7 Totale 100,0 Frequenza corsi di italiano Si 39,8 No 60,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 18 - Giudizio sulla qualità del lavoro offerto in Italia. Valori percentuali Qualità del lavoro offerto % Sì 45,8 No, lavori al di sotto delle mie capacità 34,3 No, lavori con capacità non possedute 1,2 Non risponde 18,7 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il Centro per l’impiego Gli utenti sono stati inoltre interrogati su alcuni aspetti del loro rapporto con il Centro per l’impiego. I motivi della presenza presso il Cpi il giorno dell’intervista vedono la maggior parte dei casi concentrarsi sulla ricerca di occupazione (53,0%), quasi analoga al numero di coloro che si recano presso il Cpi per la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (44,6%). Segue, con un significativo 24,1%, il numero di coloro che attendono al disbrigo di pratiche amministrative, con le quali si intende soprattutto la documentazione da accompagnare a richieste inerenti l’indennità di disoccupazione o maternità, la mobilità, oppure l’ottenimento di benefici socio-assitenziali (esenzione spese sanitarie,

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assegni di sostegno erogati da soggetti pubblici e del non-profit). Circa un sesto dei rispondenti, inoltre, ha formulato richieste di informazioni relative alle pratiche e procedure per il soggiorno. Le difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi non paiono assolutamente pressanti: ben il 78,2% dei rispondenti dichiara di non aver incontrato alcuna difficoltà. Tra i problemi effettivamente segnalati, invece, vi sono l’inefficienza del Cpi (8,5% dei rispondenti), il problema della lingua (7,9%) e della complessità delle procedure da seguire per l’accesso ai servizi (5,5%). Rispetto al primo aspetto, va specificato che col termine “inefficienza” abbiamo inteso sintetizzare diverse risposte che indicavano un mismatch tra le aspettative portate da – o procurate a – gli utenti, e i servizi effettivamente offerti del Centro. Si tratta, ovviamente, di una percezione degli utenti stessi, aldilà di elementi obiettivi che possano confermarla o confutarla. Si consideri, inoltre, che spesso le richieste di questi ultimi vanno al di la delle effettive competenze del Cpi, percepito, in tali casi, più come uno sportello informativo generico che non come un servizio specificamente destinato al lavoro. Rispetto ai canali che hanno portato gli utenti a conoscenza dell’esistenza del Cpi, prevalenti sono quelli legati alle relazioni informali (amici, parenti, conoscenti) o occupazionali (il datore di lavoro), rispettiva-mente con il 70,6% e il 12,9%. La rete formale si raccoglie, invece, principalmente intorno al 12,9% di coloro che hanno ricevuto informazioni da uffici pubblici e dall’8% che ha fatto ricorso a sindacati e associazioni. Percentuali via via più marginali di utenti hanno utilizzato altri canali istituzionali per venire a conoscenza del Cpi. Le modalità e i canali della ricerca di lavoro corrispondono in buona misura a questa mappa delle reti di conoscenza e informazione delle persone intervistate: difatti, oltre il 70% ha ottenuto un lavoro attraverso canali informali. Tra gli altri canali, di qualche significatività sono le agenzie di lavoro interinale e il ricorso a sindacati e associazioni. Solamente una percentuale assai minoritaria degli utenti (4,8%) ha dichiarato di aver ottenuto un lavoro grazie ai servizi offerti dal Cpi.

Tab. 19 - Motivi per i quali si è recato presso il Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Motivi presenza presso il Cpi % su rispondenti Ricerca di un lavoro 53,0 Dichiarazione di disponibilità 44,6 Pratiche amministrative 24,1 Informazioni legate al soggiorno 16,3 Informazioni relative al lavoro 15,7 Cambiare lavoro 7,2 Corso di formazione 5,4 Frequentare stage 2,4 Certificazione titoli di studio 1,8 Accompagnamento 1,2 Altro motivo 1,8

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Tab. 20 - Difficoltà incontrate nel rapporto con il Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Difficoltà nel rapporto con il Cpi % su rispondenti Nessuna difficoltà 78,2 Inefficienza del Cpi 8,5 Lingua 7,9 Procedure 5,5 Disponibilità informazioni 1,8 Individuazione operatore/servizio 1,2 Altra difficoltà 1,8

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 21 - Canale attraverso il quale si è venuti a conoscenza del Cpi. (Valori percentuali. Multirisposta) Canale di conoscenza del Cpi % su rispondenti Amici, parenti 70,6 Datore di lavoro 12,9 Altri uffici pubblici 12,9 Sindacato/associazioni 8,0 Questura 5,5 Comune 4,3 Giornali 2,5 Contattato direttamente dal Cpi 1,2 Ambasciata 0,6 Altro canale 4,3

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 22 - Canali utilizzati per la ricerca di lavoro

Canali di ricerca lavoro L’ho utilizzato

Mi ha dato lavoro

Non l’ho utilizzato Totale

Agenzie interinali 19,9 24,1 56,0 100,0 Scuole, formazione, università 2,4 5,4 92,2 100,0 Annunci sui giornali 12,7 6,6 80,7 100,0 Invio curriculum 13,9 9,6 76,5 100,0 Amici, parenti, conoscenti 3,0 72,9 24,1 100,0 Internet 4,2 0,0 95,8 100,0 Agenzie private di mediazione 0,6 1,8 97,6 100,0 Sindacati e associazioni 4,8 12,0 83,1 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Il nucleo familiare e la situazione abitativa L’elevata percentuale di utenti che dichiarano di avere il proprio coniuge in Italia (pari all’80% degli intervistati sposati) conferma i dati più generali su una tendenza alla stabilizzazione degli stranieri residenti. Tale aspetto viene inoltre confermato dal fatto che ben il 73,7% delle persone che dichiarano di avere figli ne hanno almeno uno nel nostro paese. In qualche maniera, anche la situazione abitativa sembra riferirsi a comunità che hanno ormai superatro, nella gran parte dei casi, la situazione d’emergenza iniziale, in favore di soluzioni più stabili e durature. La gran parte degli intervistati, infatti, risponde

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di abitare da solo (con la propria famiglia) in un’abitazione in affitto (65,1%) o di proprietà (13,3%) ma, per quasi il 10% dei rispondenti, le soluzioni abitative risultano essere ben più precarie. Il grado di soddisfazione è buono: solo l’1,2% dei rispondenti giudica per nulla soddisfacente l’attuale abitazione, mentre oltre il 55% la considera adeguata o definitiva. Anche tra chi ne sostiene la provvisorietà, inoltre, prevale decisa-mente la ricerca di una casa più confortevole a una meno cara (rispettivamente 33,1% e 8,4%), confermando come quello dell’abitazione rimanga un fattore fondamentale (in questo caso, più favorevole che in altri contesti urbani) per i processi di integrazione, soprattutto nelle grandi città.

Tab. 23 - Utenti coniugati e presenza del coniuge in Italia. Valori percentuali Tipologia % Utenti coniugati 54,2 Di cui con coniuge presente in Italia 80,0 Utenti con figli 59,6 Di cui con figli presenti in Italia 73,7

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 24 - Utenti per situazione abitativa attuale Situazione abitativa % Casa in affitto da solo 65,1 In una casa di proprietà mia 13,3 Casa in affitto con altri 12,0 Parenti, amici, conoscenti 6,6 Strutture di accoglienza 2,4 Altre soluzioni precarie 0,6 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

Tab. 25 - Adeguatezza della situazione abitativa Adeguatezza abitazione % Si, la considero adeguata 45,2 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una confortevole 33,1 Si, la considero definitiva 10,8 Solo provvisoriamente finché non ne trovo una meno cara 8,4 No, per nulla 1,2 Altro 1,2 Totale 100,0

Fonte: Isfol, indagine sull’utenza straniera 2006.

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Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori

Area Sistemi del Lavoro

Centro per l’impiego di _________________________ Intervista n. ________

INDAGINE SULL’UTENZA EXTRACOMUNITARIA DEI CENTRI PER L’IMPIEGO

A - INFORMAZIONI ANAGRAFICHE 1. Sesso M F 2. Età |_|_| anni 3. Paese di nascita ____________________________________________________________ 4. Cittadinanza _______________________________________________________________ 5. Eventuale altra cittadinanza _________________________________________________ 6. Provincia di residenza (se residente) ____________________________________________ 7. Provincia di soggiorno (se non residente) ________________________________________

B - DATI RELATIVI AL SOGGIORNO 8. Qual è il suo attuale permesso di soggiorno?

Lavoro Autonomo Lavoro dipendente non stagionale. Lavoro dipendente stagionale Ricongiungimento familiare Asilo politico Richiesta d’asilo Carta di soggiorno Nessuno Altro (specificare_____________________________________________)

9. Da quanti anni è stabilmente in Italia? Numero di anni: |_|_|

10. In che provincia risiedeva o soggiornava quando è entrato in Italia? Stessa provincia Altra provincia (specificare____________________)

11. Con quale visto ha fatto ingresso in Italia?

Lavoro Autonomo Lavoro dipendente non stagionale Lavoro dipendente stagionale Ricongiungimento familiare Richiesta d’asilo Motivi umanitari Motivi di studio Turismo Nessuno Altro (specificare___________________________________________)

12. Ha usufruito di un provvedimento di regolarizzazione?

Si una volta Si, più di una volta No (passare alla domanda 14)

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13. Nel caso abbia risposto “Si” alla precedente domanda, in che anno ha fatto l’ultima richiesta di regolarizzazione? Anno |__|__|__|__|

14. Prima di fare il suo ingresso in Italia ha soggiornato per almeno 3 mese in altri

paesi?

Si (specificare l’ultimo paese di soggiorno________________________) No

C – SITUAZIONE OCCUPAZIONALE 15. Attualmente è occupato? Si No (passare alla domanda 18)

16. Se è occupato, che tipo di lavoro svolge?: Dipendente a tempo indeterminato Dipendente a tempo determinato Interinale/somministrazione Collaborazione a progetto, Co.co.co., o occasionale Lavoro autonomo (imprenditore, libero professionista, lavoratore in proprio, socio

di cooperativa, ecc.) Altro (specificare_____________________________________________)

17. Qual è la sua professione attuale?___________________________________________ (passare alla domanda 19)

18. Se non è occupato, lei è: Disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione In cerca di prima occupazione Casalinga/o Studente Altro (specificare_____________________________________________)

19. Da quanto tempo è alla ricerca di un lavoro? Da meno di 3

mesi Da 3 a 6 mesi Oltre 12 mesi Al momento non cerco

lavoro

20. Nel Suo paese d’origine era occupato? Sì (spec. professione_______) No

D - ISTRUZIONE E FORMAZIONE 21. Qual è il suo titolo di studio, e dove lo ha conseguito?

Conseguito Riconosciuto in Italia? Titolo di studio

In Italia All’estero Si No Nessun titolo Licenza elementare………………………… Licenza media……………………………… Diploma di maturità o qualifica professionale

(specificare ___________________________) Laurea……………………………………

(specificare ___________________________)

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22. Indichi il numero di anni di istruzione frequentati con successo In Italia |__|__| All’estero |__|__| Totale |__|__|

23. Ha frequentato corsi di formazione

professionale? Sì No (passare alla domanda 26)

24. Dove ha frequentato i corsi di formazione professionale? (è possibile inserire più risposte)

In Italia All’estero (passare alla domanda 26)

25. Se ha frequentato corsi di formazione in Italia, può indicare (relativamente all’ultimo corso effettuato) Oggetto del corso________________________________________________________ Data (anno) |__|__|__|__|

26. Le sarebbe utile intraprendere un’attività formativa o un corso di formazione professionale? Sì No

27. Se si, può indicarne l’argomento? __________________________________________

28. Il suo attuale lavoro, o i lavori che generalmente le offrono, corrispondono alle sue capacità

e qualifiche (titoli di studio, corsi, precedenti esperienze lavorative)? No, mi offrono lavori al di sotto delle mie qualifiche e capacità No, mi offrono lavori che richiedono capacità e qualifiche che non posseggo Si

29. Al momento dell’arrivo in Italia conosceva già la lingua? Sì No 30. Ha frequentato corsi di lingua italiana? Sì No

E - IL CENTRO PER L’IMPIEGO 31. Per quale motivo si è rivolto al Centro per l’impiego? (max 3 risposte)

Ricerca di un lavoro Per cambiare lavoro Per frequentare uno stage o un tirocinio Per sbrigare pratiche amministrative Per dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro Per frequentare un corso di formazione Per richiedere informazioni/consulenza per questioni relative al lavoro Per richiedere informazioni/consulenza legate al soggiorno (permesso di soggiorno, ecc.) Per certificazione delle proprie competenze (titoli di studio, esperienze lavorative,

titoli formativi,…) Altro (specificare_____________________________________________)

32. Quali difficoltà ha incontrato nell’accedere ai servizi (massimo 3 risposte)

Non ho trovato difficoltà Problemi relativi alla lingua Procedure amministrative troppo complicate o lunghe Le informazioni richieste non erano disponibili Difficoltà nell’individuare l’operatore/il servizio competente Altro (specificare_____________________________________________)

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33. Attraverso quale canale è venuto a conoscenza dell’esistenza del Centro per l’impiego? (max 3 risposte)

Questura Contattato direttamente dal Cpi Comune Altri uffici pubblici Ambasciata, consolato Giornali, Televisione e radio Sindacato e/o associazioni Datore di lavoro Amici, parenti, conoscenti Altro (specificare_____________________________________________)

34. Quali dei seguenti canali ha usato fino ad oggi per cercare lavoro ?

L’ho utilizzato

Mi ha dato un lavoro

Non l’ho utilizzato

Agenzie interinali/ di somministrazione……………. Scuole/istituti di formazione/Università……………. Risposta ad annunci sui giornali……………………. Invio curriculum ad aziende……………................... Amici parenti conoscenti…………………………… Siti internet per la ricerca di lavoro………………… Agenzie private di mediazione…………………… Sindacato e/o associazioni………………………….

35. Il Centro per l’impiego le ha consentito di trovare un lavoro in passato? Sì No

F – IL NUCLEO FAMILIARE E LA SITUAZIONE ABITATIVA 36. È coniugato/a? Si No (passare alla domanda 40) 37. Se Sì, il/la coniuge è presente in Italia Si No (passare alla domanda 40)

38. Se Sì quando è entrato in Italia il coniuge? Anno: |__|__|__|__| 39. Il coniuge presente in Italia è occupato? Si No

40. Ha figli? Si No (passare alla domanda 43)

41. Quanti figli ha? |__|__| Di questi quanti sono minorenni? |__|__|

42. Quanti figli sono presenti in Italia? |__|__| Di questi quanti sono minorenni? |__|__|

43. Dove alloggia attualmente ?

In una casa di proprietà mia o dei miei familiari In una casa in affitto insieme ad altri immigrati In una casa in affitto (da solo e/o con i miei familiari) In un albergo o pensione a pagamento Presso parenti, amici e conoscenti In strutture di accoglienza (centri di accoglienza, dormitori ecc.) Sul luogo di lavoro Altre soluzioni precarie e provvisorie Altro (specificare_____________________________________________)

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44. Trova adeguata alle sue esigenze la sua attuale sistemazione abitativa? No per nulla Solo provvisoriamente finché non ne trovo una più confortevole Solo provvisoriamente finché non ne trovo una meno cara Sì, la considero adeguata alle mie attuali esigenze Sì la considero una sistemazione definitiva per me e la mia famiglia Altro (specificare_____________________________________________)

45. Come giudica questa città in termini di?

1 2 3 4 5 Non so

Non li utilizzo

Servizi sanitari (ospedali, pronto soccorso…) Trasporti pubblici………………………… Scuole, formazione……………………… Servizi per il lavoro (Centri per l’impiego, ecc.) Offerta culturale (cinema, sport, teatri…)… Rapporti interpersonali (gentilezza, disponibilità, ecc.)...

(1=pessimo, 2=scarso, 3=sufficiente, 4=buono, 5=ottimo)

Grazie per la cortese collaborazione

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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Numeri

pubblicati: N. 1, 1998 La mobilità degli occupati: tipologie e segmenti, di S. Porcari e C. Malpele

N. 1, 1999 Incentivi alle assunzioni: ipotesi per la valutazione e prime applicazioni, di M. Ferrara, C. Malpede, M. Mancini e M. Marocco

N. 2, 1999 La formazione per i patti territoriali e le aree di crisi, di D. Gilli e A. Scassellati

N. 3, 1999 Flessibilità in uscita e occupazione: segmenti e profili dei soggetti a rischio di licenziamento, di M. Marocco, V. Parisi e S. Porcari

N. 4, 1999 Le professioni: ipotesi classificatorie e nuove categorie interpretative, di A. Mocavini e A. Paliotta

N. 5, 1999 Gli incentivi all’imprenditorialità nelle politiche attive del lavoro: gli interventi dello Stato e delle Regioni, di M. Mancini e V. Menegatti

N. 6, 1999 Strategia europea per l’occupazione: analisi comparata dei Piani nazionali di azione, di L. Incagli e S. Porcari

N. 7, 1999 Il lavoro interinale indagine esplorativa, di V. Menegatti e E. Mari

N. 1, 2000 La riforma dei Servizi Pubblici per l’impiego: l’originalità del modello italiano, di M. Marocco e L. Incagli

N. 2, 2000 Valutare le politiche per l’occupabilità le borse lavoro, di A. Mocavini e M. Lattanzi

N. 3, 2000 Modelli per l’occupazione a confronto: strategie Ocse e orientamenti europei, di V. Parisi

N. 4, 2000 I sistemi di protezione del reddito dei disoccupati in Italia tra politica sociale e strategia per l’occupazione. Analisi e confronti internazionali, di M. Mancini

N. 5, 2000 Interventi per lo sviluppo locale nel Mezzogiorno e ruolo della formazione - Rapporto 2000, a cura di D. Gilli

N. 6, 2000 Job vacancies in Italia - Il quadro teorico, le indagini, le evidenze empiriche, di A. Mocavini e A. Paliotta

N. 7, 2000 Valutare gli interventi per l’occupazione: I tirocini di orientamento, a cura di C. Serra

N. 8, 2000 Obiettivo occupazione: le strategie dei paesi europei, di M. Curtarelli e S. Porcari

N. 1, 2001 Servizi per l’impiego - Rapporto di monitoraggio 2000, di D. Gilli, G. Perri e F. Tantillo

N. 2, 2001 Strumenti per le analisi di flusso nel mercato del lavoro - Una procedura per la ricostruzione della struttura longitudinale della Rilevazione trimestrale Istat sulle forze di lavoro, di M. Centra, A. Discenza e E. Rustichelli

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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N. 3, 2001 La riforma del part-time - Il “compromesso tra tutela e flessibilità in Italia ed in Europa”, di M. Emanuele, M. Marocco e E. Rustichelli

N. 4, 2001 Ict e “New Ecomomy” - Orientamenti della letteratura e primi elementi per la costruzione di un percorso critico, di A. Paliotta e A. Pannone

N. 5, 2001 Il lavoro interinale - Prime Analisi su dati amministrativi, di F. Carmignani, E. Rustichelli e G. Marzano

N. 6, 2001 Valutare gli interventi per l’occupabilità - I piani di inserimento professionale ed elementi comparativi con altre misure, a cura di C. Serra

N. 7, 2001 Verso nuovi dispositivi di workfare - Lavori socialmente utili - Profili valutativi, di M. Marocco e A. Scialà

N. 1, 2002 Monitoraggio Spi 2001 - Analisi di profondità dei Centri per l’impiego: per target, per funzioni e per strutture, a cura di D. Gilli

N. 2, 2002 La programmazione regionale a sostegno dei Servizi per l’impiego - Azioni di sistema ed integrazione con lo sviluppo locale, a cura di G. Di Domenico

N. 3, 2002 Servizi per l’impiego - Rapporto di monitoraggio 2001, di D. Gilli, R. Landi e G. Perri

N. 4, 2002 I Servizi privati per l’impiego: il caso delle Agenzie di collocamento, a cura di G. Linfante

N. 5, 2002 I nuovi Servizi per l’impiego: esperienze di formazione del personale, di R. Landi

N. 6, 2002 Monitoraggio Spi 2002 - “Analisi di profondità dei Centri per l’impiego: per target, per funzioni e per strutture”, a cura di D. Gilli

Supplemento Le fonctionnement des Centres pour l’emploi en Italie - Suivi 2002, Supplément au n. 6/2002 des “Monographies sur le Marché du travail et les politiques pour l’emploi”

Supplemento The Functioning of the Employment Centres in Italy - 2002 Monitoring, Supplement to Issue N. 6/2002 of the “Monographs on the Labour Market and Employment Policies”

N. 7, 2002 Le politiche per l’occupabilità: Valutazione della loro efficacia attraverso un’analisi sui giovani in cerca di lavoro che hanno partecipato a Piani di inserimento Professionale o a Tirocini, a cura di C. Serra

N. 1, 2003 Monitoraggio Spi 2002 - Analisi di profondità dei Centri per l’impiego nelle regioni Ob. 1, a cura della Struttura Isfol di monitoraggio Spi

N. 2, 2003 Servizi per l’impiego e sistema imprenditoriale. Esigenze ed aspettative dei datori di lavoro, di G. Di Domenico

N. 3, 2003 Indagine sulle attività di monitoraggio svolte dai Servizi per l’impiego, di F. Tantillo e M. Ferrara

N. 4, 2003 Rilevazione semestrale sulla domanda di lavoro: il percorso metodologico, di L. Incagli, A. De Sanctis e D. Radicchia

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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N. 5, 2003 La rete Eures in Italia - Analisi del quadro normativo-istituzionale, valutazione degli aspetti organizzativi, di M. Bonanni e R. Landi

N. 6, 2003 L’organizzazione dei Servizi per l’impiego - Un’analisi sperimentale, a cura di G. Di Domenico

N. 7, 2003 L’utenza dei Cpi e il livello di soddisfazione per i servizi erogati, di G. Baronio, C. Gasparini, G. Linfante, G. Natoli e F. Tantillo

Supplemento Users of the Employment Centres and the level of satisfaction for the services provided, by G. Baronio, C. Gasparini, G. Linfante, G. Natoli e F. Tantillo Supplement to Issue N. 7/2003 of the “Monographs on the Labour Market and Employment Policies”

N. 8, 2003 Formazione del personale Spi: ricognizione ed analisi valutativa delle attività formative 2001-2002, di R. Landi e L. Palomba

Supplemento Formazione del personale Spi nelle regioni Ob. 1, di R. Landi e L. Palomba, Supplemento al n. 8/2003 delle “Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”

N. 9, 2003 Evoluzione del sistema dei Servizi per l’impiego nelle regioni Ob. 1, a cura della Struttura Isfol di monitoraggio

N. 10, 2003 Public Employment Services in Europe - Innovative practices in the provision of services: on-line, to companies, and to long-term unemployed, a cura di G. Di Domenico Services publics de l’emploi en Europe - Expériences innovantes dans l’offre de services: en ligne, aux entreprises, aux chômeurs de longue dureé, a cura di G. Di Domenico

N. 11, 2003 Lavoro atipico e Servizi per l’impiego - Studi di caso e modelli di intervento, di M. Curtarelli e C. Tagliavia

N. 12, 2003 Rassegna internazionale della letteratura in materia di Servizi per l’impiego, a cura di L. Incagli e M. Marocco

N. 13, 2003 Employment Services - Summary of the Monitoring Exercise 2002, a cura di S.Rosati Les services de l’emploi - Synthese du suivi 2002, a cura di S. Rosati

N. 1, 2004 Indagine campionaria sul funzionamento dei Centri per l’impiego nelle regioni del Mezzogiorno, a cura di D. Gilli e M. Parente

N. 2, 2004 Relazione tra Servizi per l’impiego e Aziende-utenti - L’impatto delle procedure informatizzate, a cura di G. Di Domenico

N. 3, 2004 Dossier regionali sul mercato del lavoro 1-2004, a cura di G. Riccio

N. 4, 2004 Analisi del valore aggiunto delle azioni di sistema del Pon a sostegno della riforma dei Servizi per l’impiego - Un’indagine pilota, a cura di M. D’Onofrio, L. Guazzaloca, A. Salomone

N. 5, 2004 Reti tecnologiche e reti di relazioni nei Servizi pubblici per l’impiego: un’analisi territoriale, a cura di D. Di Francesco, C. Serra

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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N. 6, 2004 Invecchiamento e lavoro - Elementi per un profilo meridionale, di S. Porcari e M.L. Mirabile

N. 7, 2004 Gli utenti e i Centri per l’impiego, di G. Baronio, M. D’Emilione, C. Gasperini, G. Lintante e F. Tantillo

N. 8, 2004 Il lavoro ripartito, tra riforma legislativa e contrattazione collettiva, a cura di M. Emanuele

N. 9, 2004 Gli interventi formativi rivolti agli operatori dei Servizi per l’impiego: dal monitoraggio alla valutazione della qualità, di M. Bonanni, M. Ferritti e L. Palomba

N. 10, 2004 Dossier regionali sul mercato del lavoro - Il lavoro femminile, a cura di G. Riccio

N. 11, 2004 Comparative Atlas on Employment Services in the enlarged European Union, di G. Di Domenico

N. 12, 2004 I lavoratori adulti tra programmazione regionale e politiche locali - Un’analisi comparata, di S. Porcari, P. Riccone e G. Folini

N. 13, 2004 Dalle collaborazione coordinate e continuative al lavoro a progetto, di M. Marocco e E. Rustichelli

N. 14, 2004 Dossier regionali sul mercato del lavoro - 2/2004, a cura di G. Riccio

N. 15, 2004 La rete Eures in Italia - Monitoraggio 2003, a cura di M. Bonanni e R. Landi

N. 1, 2005 Servizi per l’impiego e welfare locale - Indagine comparata sulle forme di cooperazione fra Spi e comuni in Italia e in Europa, di I. Appetecchia, C. Gasparini, Giacobbe e F. Tantillo

N. 2, 2005 L’utenza extracomunitaria nei Centri per l’impiego - Una prima indagine sperimentale, di G. Baronio e M. D’Emilione

N. 3, 2005 Servizi informatizzati per il lavoro - La percezione delle aziende-utenti, di G. Di Domenico

N. 4, 2005 Dossier regionali sul mercato del lavoro - 3/2004, a cura di G. Riccio

N. 5, 2005 Osservatorio sulle politiche regionali di sostegno ai lavoratori adulti, a cura di G. Riccio

N. 6, 2005 Indagine campionaria sul funzionamento dei Centri per l’impiego 2004, a cura di D. Gilli e R. Landi

N. 7, 2005 Il nuovo part-time - La concertazione della flessibilità, a cura di E. Rustichelli

N. 8, 2005 Il contratto di inserimento - Una nuova opportunità per l’ingresso nel mercato del lavoro, a cura di M. Emanuele

N. 9, 2005 Lavoratori anziani e mercato del lavoro europeo - Studi, politiche pubbliche e buone prassi aziendali, di D. Gilli, M. Parente e C. Tagliavia

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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N. 10, 2005 Il nuovo mercato delle Agenzie per il lavoro in Italia - Prime evidenze empiriche, a cura di G. Di Domenico e M. Marocco

N. 11, 2005 Reti tecnologiche e reti relazionali nei sistemi del lavoro regionali e provinciali, di D. Di Francesco, S. Rossetti e C. Serra

N. 12, 2005 Rapporto sul mercato del lavoro nel Mezzogiorno, a cura di A. Amendola e E. Rustichelli

N. 13, 2005 La ricerca di lavoro - Raccolta di studi empirici, a cura di E. Mandrone e D. Radicchia

N. 14, 2005 I Servizi per il collocamento mirato - Rilevazione censuaria 2004 - Monitoraggio sui servizi per l’inserimento lavorativo delle persone disabili, di P. Checcucci e F. Deriu

N. 15, 2005 Le politiche di workfare in Europa - Esperienze di integrazioni tra Servizi al lavoro e Sistemi di welfare, di G. Di Domenico

N. 1, 2006 Verso il lavoro - Organizzazione e funzionamento dei Servizi pubblici per cittadini e imprese - Monitoraggio 2004, a cura di D. Gilli e R. Landi

N. 2, 2006 Venti anni di Contratti di formazione lavoro, a cura di S.D. Rosati

N. 3, 2006 Gli utenti e i Centri per l’impiego, di G. Baronio e M. D’Onofrio

N. 4, 2006 Caratteristiche e funzionamento dei Servizi per l’impiego nelle aree Obiettivo 1- Rilevazione 2004, a cura di G. Scarpetti

N. 5, 2006 Studio sui profili professionali degli operatori dei Centri per l’impiego e delle Agenzie per il lavoro, a cura di M. Bonanni

N. 6, 2006 Valutare l’esperienza lavorativa degli adulti: patrimonio del futuro, a cura di G. Riccio

N. 7, 2006 Imprenditori immigrati: il dibattito scientifico e le evidenza empiriche dell’indagine Isfol, di S. Laj e V. Ribeiro Corossacz

N. 8, 2006 Il sistema privato dei servizi all’impiego – Risultati d’indagine 2006, di G. Di Domenico e M. Marocco

N. 9, 2006 La rete Eures-Italia – Primi elementi di valutazione 2005-2006, a cura di M. D’Onofrio e R. Landi

Supplemento Il monitoraggio Isfol del sistema dei servizi per il lavoro in Italia e in Europa - Bibliografia per argomenti (2000-2006), a cura di G. Scarpetti, supplemento al n. 9/2006 delle Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego

N. 1, 2007 Indagine campionaria sul funzionamento dei Centri per l’impiego 2005-2006, a cura di D. Gilli e R. Landi

N. 2, 2007 Interventi per favorire l’occupazione in tutte le età della vita: più lavori e di qualità migliore, a cura di G. Riccio

N. 3, 2007 Analisi dei sistemi di monitoraggio dei Servizi per l’impiego a livello regionale e locale - Alcune evidenze empiriche, a cura di M. D’Emilione e M. Parente

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ISFOL – Area “Ricerche sui sistemi del lavoro”

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N. 4, 2007 L’istituzionalizzazione del ruolo di Intermediari delle università e dei Consulenti del lavoro - Evidenze dal monitoraggio 2007, di G.Di Domenico e M. Marocco

N. 5, 2007 Differenziali salariali. regionali e performance economica, a cura di S. Porcari e F. Devicienti