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Gli interventi per la cultura a cura di Carlo Fuortes

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Gli interventi per la cultura

a cura di Carlo Fuortes

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I luoghi culturali come fattore di identità e di sviluppo urbanistico e sociale

•Gli spazi della cultura sono stati uno dei principali fattori che ha caratterizzato negli ultimi venti anni lo sviluppo dei beni e delle attività culturali nei paesi occidentali.

• A partire dalla metà degli anni settanta, e simbolicamente dalla realizzazione del Centre Pompidou a Parigi nel 1977, il nuovo spazio culturale è diventato il luogo di riconoscimento e di rinascita di una città e della collettività che la abita.

•Nel ventesimo secolo con la laicizzazione dei principali stati europei i simboli urbani delle città e delle nuove funzioni che queste assumono con i fortissimi processi di urbanizzazione si spostano sempre più sui luoghi culturali. Questa tendenza aumenta ancora negli ultimi trent’anni del secolo a causa della forte crescita della domanda culturale, derivante dal notevole aumento dei livelli di istruzione e di benessere economico dei cittadini e, non ultimo, dell’esplosione dei movimenti turistici internazionali.

• Ma in questi anni, lo spazio culturale ha totalmente modificato la sua fisionomia e la sua funzionalità in ragione di una modalità di fruizione del bene culturale del tutto nuova rispetto al passato.

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La domanda dello spettacolo dal vivo 1960-2000

-

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000

Teatro Lirica Musica Classica Musica Leggera

+ 295%

+ 290%

+ 123%

+ 234%

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La domanda di beni culturali 1960-2000

-

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000

Statali Non statali Totale

+ 218%+ 300 %

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La diffusione di nuovi bisogni e la nascita di un consumatore culturale “nuovo”

• Gli spazi della cultura diventano i principali luoghi da visitare delle città d’arte europee e internazionali, vere e proprie “cattedrali” verso le quali fare “pellegrinaggi laici”. In Europa e nel mondo sono moltissime le realizzazioni che vengono affidate ai più famosi architetti, che divengono famosi al pari degli altri artisti (vedi il fenomeno crescente degli “archistar”).

•La frequentazione dei nuovi spazi culturali, grazie alle molteplici e diversificate attività che in essi si svolgono e quindi alle molte occasioni di visita, rafforza il senso di appartenenza di un cittadino verso la sua città e quindi, i nuovi spazi, più di quelli del passato spesso solo “monumenti di se stessi”, riescono a

rappresentare le nuove identità di una città. • La centralità degli spazi culturali è coincisa con la diffusione di nuovi bisogni e la nascita di un consumatore culturale “nuovo”, che intende il suo tempo libero non solo come pura evasione o svago ma alla ricerca di nuovi stimoli culturali e di conoscenza, che frequenta lo spazio culturale non solo e non tanto per assistere ad uno spettacolo o vedere una mostra ma per “essere” nello spazio architettonico, nel quale socializzare e comunicare, goderne le bellezze, comprare un libro o un disco, o semplicemente prendere un caffè.

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Luogo di serendipity

• Secondo Marc Augè, ad esempio, nella nostra società l’esigenza di socializzazione della collettività si sposta dalla piazza in questi luoghi d’identità delle città, una volta superata l’”agorà virtuale” rappresentata dalla televisione.

• Il museo, l’auditorium o il teatro diventano così luoghi d’incontro, di svago, di consumo, di informazione e apprendimento assumendo, quindi, tratti e funzioni del tutto nuovi rispetto al passato. Lo spazio diviene così “piazza”, bar, addirittura centro commerciale e ovviamente teatro, cinema o museo e ogni altra offerta culturale sia presente. Luogo per eccellenza di serendipity, nel quale trovare molto altro rispetto a quello che si cerca.

• Questa nuova funzione sociale dello spazio culturale necessita evidentemente di spazi e servizi ad hoc, molto differenti da quelli “canonici” che l’architettura fino a ieri aveva previsto. Da qui la necessità di un profondo ripensamento dell’idea stessa di spazio culturale e delle funzionalità e delle destinazioni da dover assolvere.

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La realizzazione e la gestione del nuovo spazio culturale

• La realizzazione e la gestione di uno spazio culturale polifunzionale pone

grandi problemi di ordine economico e finanziario, oltre che gestionale. •Le difficoltà sono legate innanzitutto alla copertura dei costi d’investimento per la realizzazione dell’opera che non consente praticamente mai l’utilizzo di capitali di rischio. La possibilità di utilizzare tecniche di project financing è stata

per molti anni tentata, ma sempre con scarso successo. • L’idea che la gestione dello spazio culturale possa generare un reddito positivo in grado di coprire le quote di ammortamento del capitale investito si è a lungo coltivata negli anni ottanta e novanta. In realtà nella gestione del teatro, museo o auditorium, come meglio descritto nel seguito, è estremamente improbabile, se non impossibile, con i redditi generati giungere alla copertura dei costi di

gestione senza l’apporto di finanziamenti pubblici o privati. •Anche l’inserimento di attività commerciali “aggiuntive” all’offerta culturale – dalla caffetteria alla libreria, dai parcheggi al merchandising - non riesce a generare flussi di reddito netto per la remunerazione del capitale investito.

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Il “mito” della redditività e della gestione privatistica

• L’incapacità e l’impreparazione del sistema pubblico di gestire e valorizzare il sistema culturale di offerta con standard qualitativi di livello europeo e la mancanza di risorse finanziarie derivante dalla crisi della finanza pubblica rafforzarono, negli anni 80/90, l’idea della gestione “privata” dei beni e delle

attività culturali. • Ne nacque un dibattito molto “ideologico” che da un lato vedeva i difensori del carattere “pubblicistico” dei beni e delle attività culturali e dall’altro i sostenitori dell’utilità della gestione privatistica per lo sviluppo e il rilancio del settore. Disputa rivelatasi del tutto infondata, in quanto non teneva conto degli aspetti caratteristici del settore, assolutamente non profit, e che quindi – anche a volerlo – non avrebbero consentito l’ingresso di operatori con obiettivi di

profitto e di sfruttamento del capitale investito. • Non è un caso se oggi, a più di vent’anni dalla promulgazione della Legge Ronchey, che segnò l’avvio di questo dibattito, non esiste nessuna impresa privata che operi nella gestione “diretta” dei beni e delle attività culturali in

grado di distribuire un profitto per le attività che svolge.

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I modelli di governance adottati

• L’amministrazione statale rispose a questi mutamenti del mercato in modo dicotomico.

•Per quanto riguardava la parte dei servizi extraculturali attraverso la Legge Ronchey e successive modifiche e integrazioni, fu trovato un modello di offerta tutto sommato funzionante e rispondente a riportare l’offerta dei musei su standard di livello internazionale

• Per quanto concerne invece il governo dell’offerta culturale non sono state trovate delle misure altrettanto valide, ed anzi, il sistema di offerta è rimasto bloccato alla gestione in economia. Ad esempio nel caso dei musei statali da parte delle Soprintendenze, con scarsissima autonomia gestionale, economica e

finanziaria. • Molto più innovativa è stata l’azione degli Enti Locali che dalla metà degli anni novanta hanno tentato diverse modalità di gestione indiretta, spesso tenendo conto delle specificità economiche del settore, trovando forme di governance più adeguate

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Lo spazio culturale quale soggetto di sviluppo attivo e autonomo del sistema culturale e economico locale

• Cosa ci hanno insegnato questi ultimi decenni di gestione degli spazi culturali?

• Esiste un modello ottimale di governance?

• Qual’è la lezione dell’esperienza che possiamo trarre per il prossimo futuro?

A. Spazio culturale e collettività

B. Autonomia gestionale e responsabilizzazione del management

C. Pubblico / privato. Un falso dilemma

D. Autofinanziamento e autonomia culturale

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A. Spazio culturale e collettività

• Lo spazio culturale deve operare all’interno di una collettività e in relazione a questa. Le dimensioni della collettività di riferimento (da un piccolo paese ad una metropoli, da una regione a tutto il mondo) dipenderanno dalla valenza e dalle ambizioni culturali dello spazio stesso.

• E’ fondamentale che ci sia un legame tra chi offre e chi riceve. Che l’offerta

culturale sia a misura del bacino di domanda dello spazio. • E’ indispensabile che uno spazio culturale (sia esso centro espositivo, museo, teatro o auditorium o un insieme di tutto questo) si trasformi da un luogo fisico in un fattore identitario della società nella quale opera, venga riconosciuto come un valore collettivo.

• Solo in questo modo potrà instaurare dei rapporti fecondi con le tante e differenti “domande” che possono arrivare dalla società. Quelle dei cittadini, del mondo dell’istruzione e dell’educazione. Ma anche la domanda di “reputazione” che proviene dalle imprese. O la domanda di accountability degli stakeholders pubblici (a dire il vero, in Italia, quasi mai esplicitata), che dovrebbero veicolare i finanziamenti in funzione degli effettivi risultati

riscontrati.

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B. Autonomia gestionale e responsabilizzazione del management

• Non sono molti i fattori necessari e indispensabili affinché uno spazio possa raggiungere quanto fin qui detto. Uno certamente è costituito dalla necessità di una completa e piena autonomia gestionale. E’ sicuramente una delle principali precondizioni al superamento dell’organizational failure tipico delle istituzioni culturali pubbliche. Questo fallimento deriva dall’ovvia impossibilità per una struttura pubblica, rigida e burocratica, di svolgere la sua azione nelle forme sopra descritte.

• Per innovare il sistema di offerta culturale italiano è indispensabile che l’amministrazione pubblica trasformi il suo ruolo da quello di gestore diretto dell’offerta ad uno più proprio di regolatore, finanziatore e controllore del

sistema culturale pubblico. • Parallelamente è indispensabile un processo di autonomia e responsabilizzazione degli spazi culturali che devono essere trasformati da “oggetti” all’interno dell’amministrazione pubblica in “soggetti” autonomi non profit con l’obbligo di dare piena rendicontazione sul raggiungimento degli

obiettivi statutari definiti.

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C. Pubblico / privato. Un falso dilemma

• L’esperienza italiana di questi anni ha dimostrato – in linea con quanto avviene nel resto del mondo – che, nel settore in parola, non ponendosi la possibilità del profitto viene meno l’opportunità di una gestione privata in senso stretto. E, quindi, il coinvolgimento di capitali privati può avvenire solo in forme di mecenatismo e/o sponsorizzazione.

• Le forme giuridiche private non profit (in primis quella della fondazione) si

adattano, invece, molto bene alla gestione dei beni e delle attività culturali. • In particolare la flessibilità e l’adattabilità dello statuto di una fondazione possono consentire:

a. una proprietà e un controllo dell’amministrazione pubblica e obiettivi sociali e culturali pienamente pubblicistici,

b. una gestione orientata all’efficienza ed efficacia organizzativa ed economica ed una piena autonomia e responsabilizzazione manageriale,

c. una diversificazione finanziaria che può prevedere entrate commerciali e finanziamenti privati, sia sotto forma di erogazioni liberali che di

sponsorizzazioni.

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D. Autofinanziamento e autonomia culturale

• Il processo di autonomizzazione, e non di privatizzazione, deve però evitare il rischio di una destabilizzazione economica e finanziaria che potrebbe minarne le possibilità di successo dalla nascita. Si è detto che l’obiettivo di questo processo non deve significare una deresponsabilizzazione finanziaria dell’amministrazione pubblica, quanto piuttosto il raggiungimento di una maggiore efficacia ed efficienza nell’uso delle risorse pubbliche.

• Il finanziamento pubblico deve trasformarsi in un volano, un moltiplicatore di nuovi redditi, nuove risorse e nuovi finanziamenti privati. I finanziamenti e i redditi derivanti dal sistema privatistico (siano essi erogazioni liberali, sponsorizzazioni o entrate commerciali) devono essere aggiuntivi e non

sostitutivi di quelli pubblici. • Solo in questo modo si possono creare i presupposti per lo sviluppo del sistema. Altrimenti il risultato si trasformerebbe, nella migliore delle ipotesi, in un “gioco a somma zero”.

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D. Autofinanziamento e autonomia culturale

• E’, invece, importante che ogni spazio culturale trovi una sua dimensione economica e finanziaria in relazione al proprio ambito operativo e ai rapporti instaurati con i soggetti pubblici e privati. Se lo spazio culturale rappresenta un valore condiviso per la collettività nella quale opera, può trovare un equilibrio economico-finanziario, raggiungendo un buon livello di diversificazione finanziaria tra redditi, finanziamenti pubblici e privati.

• Credo che sia la strada più corretta per un vero sviluppo del settore. Ed è l’unica che può portare ad un incremento dell’autofinanziamento degli spazi culturali – cioè del volume di redditi e finanziamenti associati all’attività endogena del soggetto stesso – e, quindi, una minore dipendenza nel medio lungo periodo dal finanziamento pubblico.

• Nel settore culturale un elevato livello di autofinanziamento significa autonomia sulla programmazione svolta, sui servizi offerti, sulle politiche

tariffarie, in una parola vera autonomia culturale. • La nascita e l’ampliamento di un sistema di offerta con queste caratteristiche credo possa essere il vero fattore di sviluppo sostenibile del sistema culturale del nostro Paese