12
Giorgio Petracchi 1915 L’Italia entra in guerra Della Porta Editori

Giorgio Petracchi 1915 L’Italia entra in guerraeventi.centenario1914-1918.it/sites/default/files/eventi/... · 2015-09-18 · giorno scendevano in città e tornavano in villa con

Embed Size (px)

Citation preview

Giorgio Petracchi1915

L’Italia entra in guerra

Della Porta Editori

A mio padre, Raffaello Petracchi,un ragazzo del Novantanove

Indice

p. 11

21212427324045505256

6363697276859396

100101104109

Introduzione1915. L’Italia entra in guerrai.

ii.

Luglio 1914i. 28 giugno 1914: un assolato pomeriggio romano2. Il governo «balneare» di Salandra3. L’anima mediterranea della Triplice Alleanza4. L’anima continentale della Triplice Alleanza5. Il neo-triplicismo del di San Giuliano6. Il silenzio del ministro degli Esteri italiano7. La tardiva mediazione tedesca8. Lo stellone d’Italia9. La guerra delle Nazioni

La neutralitài. La neutralità dell’Italia in prospettiva storica2. Gli Alleati e la neutralità dell’Italia3. La Triplice Intesa e la neutralità dell’Italia4. Paese «legale» e Paese «reale»5. L’esercito6. Neutralismo d’agosto e dintorni 7. E i cattolici?8. I nazionalisti9. E i socialisti? Le avanguardie dell’interventismo L’interventismo democratico

10.11.

115122126

134134136141148151161167178182185192197

205

215223

L’interventismo rivoluzionarioLa battaglia franco-tedesca per il controllo della stampa italiana«Italia nostra»: la rivista neutralista dell’Italia pensante

L’interventoi. Il memoriale del 25 settembre: un «imperialismo di buon senso»2. I confini naturali: Trento, Trieste e la questione adriatica3. Il «sacro egoismo» di Salandra4. La missione del principe Bülow a Roma5. Il «parecchio» di Giolitti6. Interludio viennese: il negoziato Sonnino-Burián7. Il Patto di Londra: un «imperialismo deficiente»8. Lo svuotamento del Patto di Londra9. Un complotto neutralista? D’Annunzio e la crisi di maggio «per la più Grande Italia» Giolitti e Salandra Il paese dove le metamorfosi sono possibili

Epilogo

DocumentiIndice dei nomi

iii.

iv.

12.13.14.

10.11.12.

11Introduzione

Introduzione

Ciò che abbiamo udito e conosciutoE i nostri padri ci hanno raccontatoNon lo terremo nascosto ai nostri figli.

Il peso dei padri

La guerra sorprese Raffaello Petracchi, il «ragazzo del Novantano-ve» a cui questo libro è dedicato, studente ginnasiale nel Semina-rio di Pistoia. I seminaristi erano nella residenza estiva di Felceti, appena cinque chilometri fuori dalla città, distanza che un giovane può percorrere in non più di mezzora. Alcuni dei più grandi ogni giorno scendevano in città e tornavano in villa con le notizie della giornata. Grande e dolorosa fu l’impressione suscitata in tutti dall’in-vasione del Belgio e dalle prime precipitose avanzate dei tedeschi, le quali confermavano la potenza raggiunta dalla Germania. Poiché la potenza e la forza hanno sempre esercitato grande attrattiva sui giovanissimi e il più forte è (quasi) sempre il più ammirato, molti parteggiavano per i tedeschi ed anche lui era tra quelli. La battaglia della Marna che arrestò l’avanzata tedesca fu una doccia fredda per i giovani germanofili, un sollievo e un respiro per i pochi francofili che divennero più numerosi. Alcuni sacerdoti esaltarono l’abilità strate-gica del generale Joffre che, oltre a dimostrare di essere un valente stratega era anche, o almeno così si diceva, un cattolico praticante, ciò che aveva molta importanza in quell’ambiente.

Tre anni dopo, il 7 maggio 1917, Raffaello Petracchi fu richia-mato sotto le armi. Dichiarato abile arruolato, partì il 19 giugno, destinato all’8° reggimento d’artiglieria da Fortezza, 5° compagnia,

12 Introduzione

di stanza a Bologna. Era un ragazzo del terzo quadrimestre del No-vantanove: gli mancavano quasi cinque mesi per giungere al com-pimento del diciottesimo anno d’età. Il ritornello di una canzone ripetuto in quei giorni, in modo sguaiato e spensierato, dai «ragazzi del Novantanove» iniziava così:

Noi siamo teneriniTenerini come l’agnelloCi levan dalla puppaCi mandano al macello

I coscritti raggiunsero inquadrati la stazione ferroviaria di Pistoia e salirono su un treno, formato da carri bestiame: «Cavalli 8, uomini quaranta». Così era scritto sui carri che formavano i trasporti militari e che comunemente venivano denominati «tradotte». Alla gente che li salutava ai passaggi a livello lungo la Porrettana rispondevano con il lancio di pezzi della pagnotta ricevuta con il rancio. Il treno arrivò a Bologna nella tarda serata e i giovani furono accasermati. Per Raf-faello Petracchi cominciava la vita militare.

Prima ancora che gli artiglieri della 5° compagnia avessero com-pletato l’istruzione ai pezzi, la Quattordicesima armata austro-tede-sca sfondò completamente il fronte italiano sull’alto Isonzo, a Capo-retto. Era l’alba del 24 ottobre, una fredda e nebbiosa alba autunnale. La Seconda armata italiana, investita in pieno, cessò di costituire una forza combattente. E si sbandò. Masse d’uomini si dispersero e con ogni mezzo raggiungevano le più lontane retrovie del fronte.

La 5° compagnia dell’8° reggimento d’artiglieria fu comandata a bloccare quell’esodo alla stazione di Bologna. Fu la prima missione dei ragazzi del terzo quadrimestre del Novantanove. Racconta Raf-faello Petracchi:

Erano attesi treni sui quali avevano preso posto gli sbandati della sconfitta di Caporetto e noi, baionette in canna, dovevamo circondare il convoglio lungo i marciapiedi laterali del binario ed impedire loro di allontanarsi ul-teriormente. Infatti, non passò molto tempo che un convoglio, affollato in

13Introduzione

modo incredibile, avanzò lentamente sotto la tettoia della stazione; ho detto affollato in modo incredibile, ma non è abbastanza; c’erano soldati sui tetti delle vetture, sui predellini degli stessi, perfino a cavalcioni sui respingenti che uniscono una vettura all’altra. Noi facevamo siepe sui marciapiedi ed impedivamo a quella gente di allontanarsi, mentre gli ufficiali si davano da fare per costringerli ad assumere un improvviso ordine di incolonnamen-to, ricorrendo anche a modi energici, qualche volta violenti. Era una folla ormai sciolta da ogni vincolo di disciplina, vi si trovavano pure elementi riottosi e turbolenti che intendevano di svignarsela ancora – e qualcuno vi riusciva – ma quando vedeva[no] gli ufficiali e i carabinieri presenti in gran numero, ritornavano alla ragione e, sia pure a malincuore, si univano agli altri per incolonnarsi e prepararsi a partire.Ricucita alla meglio, quella massa di sbandati fu avviata verso il luogo di concentramento, nel grande piazzale della caserma del 3° artiglieria da campagna, ai limiti estremi della città, nei pressi delle colline. Ai lati della colonna facevamo ala noi, armati come se quelli fossero prigionieri, invece di nostri commilitoni, forse più sventurati che colpevoli. In un angolo del piazzale della caserma furono subito installate delle cucine provvisorie, per rifocillare quella gente, tormentata da lunghi digiuni, o per meglio dire da una fame da lupi. Molti non avevano neppure l’uniforme, che in molti casi si era ridotta ai soli pantaloni, essendo la giacca sostitu-ita da un indumento civile, più o meno decente. Coloro che indossavano ancora la giacca regolamentare, le avevano tolto le mostrine, dal berretto avevano strappato il fregio perché non si conoscesse più a quale arma e a quale reparto appartenevano.Si rivolgevano a noi giovani con frasi di scherno, facendoci comprendere che, se avessero voluto, la nostra scorta sarebbe stata inutile e ci trattavano con sufficienza, quasi con disprezzo, come sempre i vecchi soldati hanno trattato le reclute, i cosiddetti «cappelloni».

Treni carichi di sbandati continuarono ad arrivare a Bologna per molti altri giorni. I campi di raccolta riorganizzavano gli sbandati e li rispedivano al fronte in nuove formazioni. La 5° compagnia fu allora comandata di scorta ai treni che riavviavano a nord quella truppa.

Meta di quei viaggi erano alcuni paesi dei dintorni di Padova. Lasciavamo i nostri raccomandati nel luogo che ci veniva indicato, poi noi di scorta era-

14 Introduzione

vamo lasciati liberi, con l’ordine di rientrare a Bologna nel più breve tempo possibile. Intanto anche noi avevamo avuto la ventura di vedere le strade attorno a Padova e di farci un’idea approssimativa di quello che poteva essere stata la ritirata dal Carso al Piave. La sede stradale era affollata di soldati che retrocedevano in grande disordine, di carri di profughi carichi di persone e di masserizie, nei campi e nei prati laterali gente che bivaccava, gruppi di militari e di civili attorno a dei fuochi per scaldarsi o per cuocere qualche vivanda; ogni tanto sul limitare della strada o nella fossa la carogna di un mulo o di un cavallo, dalle cui cosce erano state asportate grandi fette di carne che forse venivano arrostite ai fuochi accesi poco lontano.Qualche reggimento, preceduto dal colonnello a cavallo, marciava ordi-natamente verso il nord, cioè controcorrente, facendosi largo a fatica, co-stringendo i carri a ritirarsi ai margini della strada e la massa degli sbandati a scendere nella fossa e nei campi laterali, se volevano proseguire nel loro cammino.Un reggimento di cavalleria con l’elmo metallico ricurvo col becco in avanti e le lunghe lance terminanti in una bandierina triangolare, lo vedemmo avanzare a piccolo trotto verso il fronte, reclamando per sé una parte note-vole della sede stradale; spettacolo per noi inconsueto e molto ammirato. Erano i primi segni, in mezzo a tanto sfacelo, che non tutto era andato in rovina e che esistevano ancora reparti efficienti e pronti ad opporsi alla valanga nemica ed a fermarla.Bello spettacolo fu offerto anche da un reggimento in ritirata, che a ranghi compatti ed ordinati, bandiera in testa custodita nel fodero e affidata ad un giovane ufficiale, marciava verso Padova, certamente diretto ad una base di riposo e di riordinamento. I soldati, curvi sotto il peso dello zaino e col fucile a bilanciarme, avanzavano con passo grave e pesante, in silenzio, scuri e severi in volto, ancora con aspetto fiero e veramente militaresco.«È un reggimento della 3° armata che viene dal Carso» – dissero alcune voci all’intorno – e tutti, forse anche gli sbandati, provammo un sentimento di ammirazione e di rispetto per quella truppa che in mezzo al caos aveva mantenuto, pur ritirandosi, l’ordine e la disciplina che distinguono un re-parto militare da un armento1.

1 Queste pagine delle memorie sono state anticipate nel libro di M. Maggini, La memoria dispersa. Soldati di Tizzana alla Grande Guerra, Pistoia, Settegiorni Editore, 2012, pp. 125-127.

15Introduzione

Queste pagine dei suoi ricordi che ho ascoltato non una, ma cento volte, mio padre ha messo negli anni della sua vecchiaia per scritto, perché non ne perdessi la memoria. Attraverso di esse ho appreso molto sulla materialità della guerra (dal rancio alle giberne, ai calibri delle granate), sugli aspetti antropologici (il rapporto tra meridio-nali e settentrionali, la mediazione esercitata dai toscani, l’ospedale militare, il tifo, gli scontri nei campi di prigionia fra soldati serbi e croati), sugli aspetti psicologici (la paura del nemico, soprattutto di quello con il «chiodo» sull’elmetto). Ciò che mio padre non sapeva spiegarmi è come fosse successa questa immane tragedia da cui fu presa e deviata tutta la sua vita. E chiedeva a me, perché glielo spie-gassi, perché l’Italia voltò le spalle alla Triplice Alleanza, perché non rimase neutrale, perché scese in guerra il 24 maggio 1915.

Questo volume intende rispondere all’artigliere Raffaello Petrac-chi e a tanti che, come lui, si ponevano e si pongono queste do-mande. E si propone di farlo come deve o dovrebbe fare lo storico, predisponendo il materiale in un ordine cronologico, inquadrando il contenuto in una narrazione singolare e coerente. Il punto di par-tenza è l’avvenimento, a partire dal quale ogni storia acquista la sua logica e il suo significato. E quindi questa storia prende le mosse dal luglio 1914, ma ricostruisce anche tutto ciò che precede quella data per capire la profondità delle radici italiane nella Triplice Alleanza e la difficile decisione di reciderle e di entrare in guerra contro i vecchi alleati.

16 Introduzione

Nota dell’autore

La difficoltà maggiore per individuare le linee portanti della storia di questi dieci mesi è stata l’estrema abbondanza dei materiali sia documentari, sia bibliografici accumulatisi in questi cento anni. Nel-la ricostruzione del testo oltre alla documentazione diplomatica, ho dato molto spazio alla memorialistica, fondamentale per ricostruire i restroscena degli avvenimenti, ma alcune opere sono state essenziali per la comprensione storica. Si tratta dell’opera di Luigi Albertini, Le origini della guerra del 1914, una storia in tre volumi, usciti nel 1942-1943 per i Fratelli Bocca Editori di Milano (ripubblicata nel 2010 dalla Goriziana LEG), ancora insuperati per la chiarezza e per l’architettura della narrazione. Accanto ad essi, il volume di Brunello Vigezzi, L’Italia di fronte alla Prima Guerra Mondiale, vol. I, L’Ita-lia Neutrale (Milano-Napoli, Ricciardi Editore, 1966) costituisce un affresco, da cui non si può prescindere, sugli ondeggiamenti e sui movimenti dell’opinione dei gruppi e dei partiti, con il gusto delle citazioni brevi e incisive. Infine, il volume di Alberto Monticone, La Germania e la neutralità dell’Italia: 1914-1915 (Bologna, il Mulino, 1971) ha allargato la nostra comprensione ad un mondo prima non mai bene indagato e ha reso in modo esemplare lo spessore che de-vono assumere le relazioni internazionali.

Nelle note ho richiamato solo le opere effettivamente consultate. Ho imparato da Vilfredo Pareto ad evitare di riportare nelle note elenchi di opere puramente esornative, che l’A. non legge e men che mai studia, non foss’altro per il fatto che a tale opera farebbe difetto il tempo. Se ho mancato di consultare altre opere, che sarebbero state importanti per la ricostruzione del mio punto di vista, me ne assumo la responsabilità.

Nel corso di questo lavoro ho contratto alcuni impegni di grati-tudine con gli amici Danilo Breschi, Ettore Cinnella, Mauro Mo-retti, Roberto Pertici, Luciano Segreto, che da anni collaborano con

17Introduzione

me ai corsi di storia contemporanea organizzati dall’Università del Tempo Libero di Pistoia. Ringrazio anche i colleghi dell’Università di Udine Andrea Gardi e Gianluca Volpi per i materiali fornitimi e Francesco Lefebvre D’Ovidio, dell’Università La Sapienza di Roma, per i volumi dei documenti diplomatici italiani, che mi ha procurato. Un ringraziamento particolare, infine, a Riccardo Maffei per l’aiuto nelle ricerche.

E non posso fare a meno di rivolgere un pensiero grato a mia moglie Piera.

Pistoia, aprile 2015

Nota dell ’autore

18 Capitolo primo