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Gerald O’Collins - Cristologia e Soteriologia
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PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA FACOLTÀ DI TEOLOGIA
I ANNO - II SEMESTRE
Corso TP1B08
Cristologia e Soteriologia
Prof. Gerald O’Collins, sj
A. A. 1995-96
appunti di uno studente
TESI 1: nozioni essenziali: cristologia dall’alto e dal basso;
cristologia implicita ed esplicita; interscambio di proprietà (o
“communicatio idiomatum”); natura e persona; unine
ipostatica; “homoousios” e “homoiousios”
INTRODUZIONE
La Cristologia si esprime anche nell’arte: abbiamo davanti a noi il “Giovanni battista” di
Tiziano. Con il suo gesto non attira l’attenzione su di sé, ma sul Cristo. Porta anche un
bastone fatto a forma di croce, e ai suoi piedi è sdraiato un agnello: tutti elementi che
riportano a Cristo.
Il Compito della Cristologia.
Occorre esplorare Cristo in sé, e Cristo per noi. La Cristologia mira a rispondere alla
domanda: chi è Cristo? Allo stesso tempo mira a valutare la sua attività salvifica: Cristo per
noi! Sono due dimensioni che si possono distinguere ma non separare.
Nel mondo ci sono circa tre approcci alla dimensione Cristologica:
1. Verità.
2. Giustizia.
3. Bellezza.
1. Si può fare Cristologia nell’ambito della verità, studiandola scientificamente (v. S.
Tommaso): si tratta di studiare accademicamente la figura del Cristo.
2. C’è anche una Cristologia orientata all’azione, alla ricerca della giustizia e del bene.
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 2
3. Nel mondo orientale, vi è una Cristologia più contemplativa, alla ricerca della bellezza
divina, liturgica, della preghiera e della religiosità popolare. Noi esamineremo in dettaglio il
primo approccio, ma dobbiamo sapere che ve ne sono altri.
Segnaliamo tre componenti di ogni Cristologia: essa deve approfondire la storia, la
filosofia, la linguistica. Dobbiamo usare la nostra ragione in 3 settori: storia, filosofia e
letteratura (linguaggio). Sono questi tre punti fondamentali. La Teologia è descritta come fede
alla ricerca dell’intelligenza storica, filosofica e linguistica. Questo non vuol dire che, storia,
filosofia e linguaggio siano 3 settori distinti, difatti spesso non sono separabili.
I. La Storia
Conosciamo Gesù anche attraverso la storia; essa non è l’unica via che porta a Gesù, ma da un
contributo importante:
1. La “preistoria” (nell’AT) e storia di Gesù
Si tratta dell’analisi dell’ambiente giudaico. L’esistenza storica di Gesù va dal 5 a. C. al 30 d.
C. Non è possibile scrivere una biografia di Gesù: si può scrivere qualcosa sulla sua storia, ma
una biografia in senso stretto è impossibile. Difatti, non abbiamo nessun scritto personale di
Gesù. Abbiamo solo un accesso agli ultimi anni della sua vita. Anche per questi ultimi 2-3
anni non vi è un ordine cronologico preciso. Ecco i motivi per dire che no è possibile scrivere
la biografia di Gesù.
1.1. Le fonti non cristiane
Alcuni autori non cristiani ci hanno lasciato dei dati su Gesù: Tacito, Svetonio ed altri:
a) Gesù fu crocifisso sotto Ponzio Pilato (Impero di Tiberio);
b) vi erano degli ebrei coinvolti nella morte di Gesù;
c) alcuni dei seguaci di Gesù lo chiamavano “il Cristo”.
Gli scrittori non cristiani ci forniscono vari dettagli, ma per il resto dipendiamo dagli autori
cristiani. Paolo ci dà molti dati: Gal 3,16 (Gesù era ebreo). In Rm si dice che Gesù era Figlio
di Davide. In 1Cor11 si parla dell’ultima cena. In 1Cor15 si parla delle apparizioni post-
pasquali. Paolo, però non parla dei miracoli, della predicazione del Regno, delle parabole,
della crocifissione a Gerusalemme, ecc.. In 1Pt (agli ebrei) si parla della sofferenza di Gesù
ma senza altri particolari. Per il resto le nozioni che abbiamo vengono dai Vangeli.
Essi sono sì una testimonianza di fede, ma hanno anche un fondamento storico. Mc,
Mt e Lc hanno carattere sia storico che teologico; Gv è più un Vangelo teologico, anche se ha
un certo valore storico.
1.2. Le risposte successive dei cristiani a Gesù
Di Gesù dobbiamo valutare anche ciò che è avvenuto dopo la sua morte: le risposte che lui ha
suscitato nelle generazioni successive. Tali risposte sono numerose:
a) per i cristiani: è la nascita di una nuova comunità dopo l’effusione dello Spirito;
tutto questo appartiene alla storia di Gesù.
b) ricordiamo anche le risposte non cristiane: nell’Induismo Gesù ha una grande
importanza; per i musulmani è un grande profeta.
1.3. Questioni de facto e de iure
Ricordiamo qui un problema spinoso: in che misura la nostra fede Cristologica dipende
dalla conoscenza storica di Gesù?
La nostra fede, infatti, dipende in qualche modo da un certo sapere storico: essa ha al centro la
figura storica di Gesù stesso.
Due questioni:
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 3
a) de facto: è ciò che sappiamo di Gesù in un modo realmente accessibile;
b) de iure: è quanto dobbiamo sapere di Gesù dal punto di vista storico.
Il sapere storico è quindi importante, ma viene fuori la questione de iure, per poter dare
fondamento alla nostra fede. A tal proposito ci sono i massimalisti, quelli cioè che vogliono
sapere fin troppo: vedi i Vangeli apocrifi, ricchi di particolari e di fatti sull’infanzia di Gesù,
ecc.. Anche oggi abbiamo nuovi fatti sulla vita di Gesù, e molti autori credono di poter
esplorare la vita intima di Gesù.
I minimalisti riducono drasticamente il nostro sapere storico: ad es. Bultmann e Kierkegaard.
Bulmann (1884-1976), come storico, sapeva abbastanza della vita di Gesù, come dimostrano
i suoi scritti. Secondo B. la fede non dipende dalla storia: basta sapere che Gesù è esistito ed è
stato crocifisso. B. voleva fare una rinuncia al sapere storico: la fede è una risposta irrazionale
davanti al Kerygma. Per lui il Kerygma e la fede non sono legittimate dallo studio storico.
Secondo B. Paolo e Gv sono d’accordo con lui. Essi avrebbero costruito la loro teologia senza
riferirsi alla storia di Gesù. Ma se ignoriamo i dettagli storici di Gesù, perché dobbiamo
credere che lui ha portato la salvezza (evento che si realizza nella storia) ?
Paolo non esclude il sapere storico, come abbiamo detto sopra: non dice molto da questo
punto di vista, ma qualcosa sì. Inoltre, è da ricordare che le sue lettere sono scritti occasionali,
inviate in determinate circostanze, per risolvere alcuni problemi nati nelle prime comunità.
Per Gv c’è da dire che la sua è un’opera teologica, ma non ignora la storia: ridurre Gv alla sola
teologia è sempre un errore.
S.Kierkegaard: lui riduce tutto all’incarnazione. L’aspetto kenotico è per lui quello più
rilevante. Egli trascura così le parabole ed altri fatti, compresa la crocifissione, riducendosi a
dire solo che insegna agli uomini molte cose (“Noi abbiamo saputo che Dio è comparso nell’anno tale e
nell’umile figura di servo, egli ha vissuto ed ha insegnato fra noi ed è poi morto, questo è più che abbastanza”.)! Rispetto
a Bultmann, K. Propone un’ipotesi de iure: di fatto la generazione contemporanea ci ha
lasciato molto di più. Ma quali dati abbiamo effettivamente ricevuto?
II. La Filosofia
Essa chiarisce i concetti (es. natura, persona...) e mette possibilità alla prova (ad es., la
possibilità di una persona contemporaneamente divina e umana!). Aiuta anche la questione
ermeneutica: l’autore, il testo, la pluralità delle precomprensioni e dei contesti. Come
interpretare ad es. i testi che esprimono i dogmi Cristologici?
Per Heidegger, la storicità umana è essenziale, e la temporalità non è separabile dalla filosofia.
Per Hegel, va mantenuta l’unità tra storia e filosofia. Ma in che modo contribuisce la
filosofia?
E’ importante per chiarire i termini della Cristologia: ad es. persona umana, libertà,
rappresentante (colui che redime l’umanità). Inoltre, la filosofia ci consente di fare alcune
verifiche: per alcuni sembra paradossale il fatto che Gesù sia libero e impeccabile; altri
considerano paradossale l’incarnazione di un essere infinito quale è Dio. La filosofia,
dicevamo, fa anche ermeneutica, ossia l’interpretazione dei testi.
L’esegesi integrale considera l’autore, le sue intenzioni, il testo in sé, i lettori contemporanei
(con le loro domande) e i contesti di lettura. Essa cerca di bilanciare questi quattro elementi.
La Bibbia rimane la Norma non normata.
III. Il Linguaggio
Spesso il linguaggio biblico è ricco di simboli: ad es. l’Esodo, la crocifissione... Parlare di
simbolismo non esclude affatto la realtà storica. Ci sono anche le figure simboliche: il battista,
Gesù stesso... Come verificare le nostre affermazioni? Per la filosofia, la coerenza è ciò che
più conta. Per la storia è la corrispondenza alla realtà. Per il linguaggio, esso deve illuminare
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la realtà: Heidegger parla proprio di questo, cioè del linguaggio che deve svolgere questa
funzione illuminatrice.
CAMBIAMENTI, SFIDE E DISTINZIONI (lez. 19.2.96)
1. La svolta antropologica
La Bibbia è la rivelazione di Dio indirizzata a noi uomini. Nella Bibbia i destinatari sono i
soggetti umani (DV 1-6): la DV riassume tutto usando il termine “storia della nostra
salvezza”, poiché Dio rivolge all’uomo la sua Parola salvifica. Anche GS mette assieme la
svolta antropologica: non si può capire Cristo redentore senza capire l’uomo e viceversa. Il
nostro Papa, nel suo contributo alla DV, porta avanti la stessa linea: nella sua prima enciclica
Redemptor hominis mette assieme il mistero di Gesù e quello dell’uomo.
Cosa vuol dire per noi svolta antropologica? Vuol dire che si parte dall’esperienza umana: dai
genitori, al mondo a Dio. La nostra esperienza è pluriforme ed ha il suo impatto sulla
Cristologia. Noi ci accorgiamo di essere incompleti, bisognosi di salvezza: siamo alla ricerca
di senso, della luce, dell’amore. Si può dire che questo dinamismo nell’uomo è primordiale.
Alcuni, ascoltando l’espressione antropologia pensano a Feuerbach: la sua tomba grigia e
triste (da ateo!) ci riporta al suo pensiero. Per lui l’uomo è la misura di tutte le cose, ma questo
è un falso antropocentrismo. Ricordiamo l’iniziativa divina: la stessa creazione parte da Dio
che crea un cosmos nel caos primordiale. Una svolta antropologica non esclude questa
iniziativa sia nella creazione che nella redenzione. Inoltre, non dimentichiamo di essere fatti a
sua immagine: guardando l’uomo vediamo Dio.
1.1. La coscienza storica
Un altro cambiamento di grande impatto per la Cristologia è il nuovo senso della storicità
dell’esistenza umana. Noi siamo influenzati dal passato, operanti nel presente e aperti al
futuro. Anche la storicità è una dimensione che rientra nella salvezza operata da Dio. Il Padre
è l’autore della salvezza storica - secondo Paolo - attraverso l’invio del Figlio, il quale, morto
e risorto, ci dona lo Spirito che ci porterà alla “consumazione” di tutte le cose. La Trinità è
così presente nella storia . Si parla delle due missioni economiche: quella storica del Figlio, e
quella dello Spirito Santo.
1.2. Differenza presente - passato
Oggi le differenze culturali e religiose si acuiscono maggiormente rispetto al tempo di Gesù;
siamo più sensibili alle differenze tra l’AT ed il NT. Siamo anche più sensibili alla
discontinuità tra il Gesù pre-pasquale e post-pasquale. Il nuovo senso storico ha portato una
nuova sensibilità ai cambiamenti nella storia. Oggi assume maggiore importanza la vita stessa
di Gesù: nessuno oserebbe scrivere una Cristologia senza tener conto della vita e delle
intenzioni di Gesù, anche se è un compito non facile. Rousseau si chiedeva: come trovare in
un’esistenza limitata la salvezza di tutto il genere umano? Eppure, in quella storia particolare
si trova la salvezza assoluta ed universale!
2. I misteri Cristologici
Essi si estendono dalla creazione alla parusia. Cristo è il Verbo, e per mezzo suo è stato fatto
tutto ciò che esiste. Emerge la domanda: qual è il punto decisivo per costruire la Cristologia?
Alcuni sottolineano la predicazione del Regno come mistero centrale; altri considerano di più
la parusia, mentre altri ancora sottolineano la creazione. Cosa diciamo noi a proposito?
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Potremmo dire che ogni punto di partenza è giustificato, ma crediamo più adeguata la risposta
che viene da Kasper e da Pannenberg: il Cristo morto e risorto è il centro di una adeguata
Cristologia.
La Cristologia deve basarsi sulla Pasqua, dal venerdì santo alla domenica di risurrezione. Il
cristianesimo infatti è partito con la predicazione di Gesù morto e risorto. In 1Cor15, 3-5,
Paolo ci dà questa conferma: egli non dice che Cristo si è incarnato, o che ha predicato il
Regno, ma il nucleo del kerygma che lui stesso aveva ricevuto era Cristo morto e risorto.
Certo dopo vi fu la catechesi, la didakè, ma al centro del kerygma apostolico primitivo vi era
il mistero pasquale di Gesù. Vi è un altro motivo: la nostra liturgia.
Siamo battezzati nella morte e risurrezione di Gesù: questo è il significato del Battesimo,
essere inseriti nella morte e risurrezione di Gesù. Così nell’Eucaristia: annunciamo la morte di
Gesù, proclamiamo la sua risurrezione, e non diciamo: annunciamo la tua incarnazione!
Per questi motivi la nostra Cristologia deve essere centrata sulla Pasqua.
2.1. Come sanare il divario tra la Cristologia (Cristo in sé) e la soteriologia (Cristo pro
nobis o la sua opera salvifica) ?
E’ chiaro che dobbiamo tenere assieme la persona di Cristo e la sua missione. La lettera agli
Ebrei mette assieme questi due aspetti in modo particolare. A volte, alcuni studiosi cattolici
hanno studiato Cristo in sé rimandando in appendice la sua missione salvifica. Altro eccesso è
quello di ridurre tutto all’aspetto soteriologico. L’esempio riportato è quello di Melantone:
conoscere Cristo è conoscere i suoi benefici. Egli, discepolo di Lutero, si è poi reso conto
della veduta estremamente soteriologica.
2.2. Come far vedere poi meglio il legame tra la creazione, la redenzione e la
consumazione escatologica?
Da Ireneo a Teilhard de Chardin si è cercato di mediare questo legame tra i tre momenti
dell’unico dramma: Cristo è coinvolto in questi tre momenti e forse il titolo di Cristo come
ultimo Adamo è utile per pensare assieme i tre momenti.
2.3. Altra questione centrale è quella di Cristo e dei non-cristiani
Da una parte il NT è chiaro: Cristo è l’unico rivelatore: extra Christum nulla salus! In Atti si
dice: “In nessun altro vi è salvezza...” (At 4,12). Così Gv 14,6: Cristo è presentato come la
luce del mondo che illumina ogni essere vivente. Ma i non cristiani? D’altra parte vi è la
nostra esperienza. Anche in Mt, quando si parla dei Re Magi, si vuole intendere la portata
universale della salvezza di Cristo.
3. La terminologia in gergo: Cristologia dal basso e dall’alto
La prima è quella della Chiesa di Antiochia, la seconda quella di Alessandria (cfr Cirillo).
Quella dall’alto dice due cose: a) si parte dall’alto; b) vi è un movimento discendente. Quella
dal basso: a) parte dal Cristo uomo; 2) è ascendente. Quella dall’alto è tipica di Gv, ad es. nel
Prologo: “...il Verbo era Dio... e si è fatto carne.” . Nei sinottici si nota una Cristologia
ascendente, dal basso. Mc parte dal battesimo di Gesù per poi salire. Ecco le due impostazioni
che si completano a vicenda; esse devono far fronte a diverse sfide: quella di Gv deve far
vedere la vera umanità di Cristo, la sua dimensione storica. Quella dal basso deve mostrare
che Gesù è veramente Dio ed è il Figlio. La distinzione non è radicale: la Cristologia dei
sinottici non è totalmente dal basso. Ad es., la predicazione del Regno è un evento “dall’alto”.
Anche il concepimento verginale (descritto da Lc) è un elemento dall’alto. Lo stesso è nel
caso di Gv: non è una pura Cristologia dall’alto, come dimostrano la stanchezza di Gesù, il
suo pianto, ecc..
3.1. Cristologie alte e basse
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Non è questione di movimento: Alta - mette in evidenza la divinità di Gesù, anche se a volte
trascura una completa umanità; Bassa - mette in rilievo l’umanità di Gesù, e a volte rischia di
trascurare la sua divinità.
3.2. Cristologie implicite ed esplicite
Ci si riferisce al modo di dire le cose, non al contenuto o alla dottrina. Nel Vangelo di Mc vi è
una Cristologia abbastanza implicita, ma alta: viene fuori la divinità di Cristo. Mc non porta
avanti una Cristologia soltanto bassa, ma riconosce la divinità di Gesù anche se in modo
implicito (ad es., Gesù prende possesso del tempio: ma chi è allora, per compiere tale gesto?).
Le implicazioni sono notevoli: ci potrebbe essere qualcosa di scandaloso sotto tali
considerazioni implicite.
TESI 2: Gesù come ultimo Adamo, la Sapienza e il Verbo di Dio;
le radici di questi titoli nell’AT e il loro uso nel NT
LA RILEVANZA CRISTOLOGICA DELL’AT (lezione del 20.6.96)
Nota previa: La traduzione greca dell’AT ci offre tutti i termini e i concetti che ritroviamo nel
NT. Così per la Cristologia e la soteriologia vengono usati termini dell’AT. Nell’AT i termini
hanno subito diversi cambiamenti. Esso è stato formato in quasi 1000 anni, ed i termini hanno
subito un relativo assestamento, sicché essi non hanno mai valore monolitico. Notiamo anche
che per il linguaggio dell’AT i cristiani ne hanno fatto una rilettura specie circa i termini
Cristologici. Inoltre, il processo di usare tali termini risale a Gesù stesso. Ad es. Figlio di
Davide è un “titolo basso”, e Mc lo utilizza nel suo Vangelo poiché molto probabilmente
venne usato da Gesù stesso.
Triplice ufficio soteriologico di Gesù
Nel Vat II (LG) si usa notevolmente questo concetto del triplice ufficio di Gesù. Re, Sacerdote
e Profeta sono, nell’AT, persone unte, consacrate. In Is 61 si parla dell’unzione di un profeta.
Tali persone avevano una missione specifica, ed è per questo che venivano unte. Sono tre
modi di interpretare l’attività salvifica di Gesù: Re-pastore, Sacerdote-mediatore, Profeta-
rivelatore e maestro. Già i Padri ne parlano: S.Giustino parla di questo triplice ufficio. Nel
Medioevo, S.Tommaso, S.Bonaventura ne parlarono e successivamente il Card.Newmann e ai
nostri giorni Alfaro, Kasper ed altri ne hanno parlato.
1. Re/Messia
Partiamo da 2 Sam 7 che è nella liturgia latina della vigilia di Natale: la promessa fatta a
Davide per bocca del profeta Natan. Tale promessa indica l’elezione di Davide da Dio, che gli
promette vittoria e di adottare i suoi figli e i loro discendenti. Vi è anche un’alleanza con la
casa di Davide, un patto ed una dinastia eterna. Quella promessa non dipende dalla fedeltà di
Davide o dei suoi successori.
L’immagine del Re davidico è raffigurata in modo ideale da Is 9 e 11 (v. Avvento): cosa farà
quel re? Libererà il popolo, porterà giustizia e pace. Più avanti Ezechiele, che scrive al tempo
dell’esilio babilonese, al cap. 34 promette un Re-pastore per il popolo sofferente. Infine, vi
sono i Salmi regali che indicano le aspettative del popolo dal re unto. Is 2 parla di un
banchetto immenso a Gerusalemme: tutti i popoli godranno di quel banchetto. Gerusalemme è
vista come il centro del mondo. Letteralmente la dinastia regale davidica è sparisce dopo
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l’esilio babilonese: emerge la figura del sacerdote. Nell’AT l’idea di un Messia sofferente non
è mai presente, tranne un accenno in Zaccaria. Is 53 parla del servo sofferente che però non è
il re unto: chi è allora? Qual è il senso originario?
Sembra avere un valore collettivo: è il popolo d’Israele che soffre nel silenzio. La sofferenza
del popolo ha valore vicario. Nel NT Gesù stesso, come Messia e Re, non annuncia una
liberazione dai Romani, ma si presenta come pastore (specie nei sinottici) in cerca di pecore
smarrite. Gv sviluppa quest’immagine a modo suo sullo sfondo sinottico. Dietro vi è il
linguaggio di Gesù stesso. Gesù fu crocifisso col titolo “Re dei Giudei”, ritenuto falso messia
regale. Gesù non si presenta mai esplicitamente come Re, anche se parla del Regno di Dio:
dice di essere invece il Figlio dell’uomo (FdU). Ha però sicuramente una coscienza
messianica implicita, e lo dimostra. Dopo la sua morte i cristiani gli danno il titolo di Cristo
Messia. In 1 Tess, Paolo riprende una tradizione consolidata che dà per scontata la
messianicità di Gesù. Così dire Gesù Cristo vuol quasi dire il nome e cognome di Gesù stesso
(invece di Gesù il Cristo). Quel titolo di Messia si trova in riferimento al mistero pasquale.
2. Sacerdote
Lo sfondo dell’AT è triplice: a) Melchisedek, riflette una situazione antica (Gn 14). All’epoca
il Re era considerato anche sacerdote: così per Melchisedek; b) vi era il sacerdozio levitico,
cioè di coloro (e solo essi) nati nella tribù di Levi; c) in seguito con la fondazione della festa
di Jom Kippur, dopo l’esilio babilonese, abbiamo il sacerdozio sommo presso gli Ebrei. In
quel giorno (Jom kippur) il sommo sacerdote svolgeva un ruolo centrale. Vi era l’attesa di due
personaggi unti: un messia-re ed un messia-sacerdote, come si legge anche nei frammenti di
Qumran. La figura del Messia-sacerdote, inoltre, era la più importante.
Gesù sacerdote: è un problema dal momento che non apparteneva alla tribù di Levi. Inoltre, fu
crocifisso non in luogo di culto ma in un luogo profano. Vediamo però in che modo si
giustifica il suo sacerdozio.
A- l’ultima cena: Gesù compie gesti sacerdotali, spezzando il pane e offrendo il suo sangue in
segno della nuova alleanza. Gesù interpreta quindi la sua morte come un vero e proprio
sacrificio. Dopo la sua morte e risurrezione Paolo (Rm 3) parlerà del fatto che il sangue di
Cristo ha espiato i nostri peccati. In 1 Cor 5,7: “Cristo, nostra Pasqua è stato immolato”, un
versetto breve dove Paolo non cerca di difendere la sua affermazione, ma dà per scontato
che Cristo è la vittima sacrificale.
B- In Ebrei (il cui autore è anonimo) si fa un salto qualitativo: Gesù è visto alla luce di
Melchisedek e del giorno dell’espiazione. Si prendono vari elementi dell’AT: 1)
Melchisedek, personaggio misterioso, di cui non si conoscono le origini. Inoltre, si ritiene
che è superiore allo stesso Abramo. 2) Nel Sal 110,4 si dice anche che è sacerdote per
sempre. 3) In Es 24 vi è un’eco di quel linguaggio: Mosé introduce la nuova alleanza con
Dio; 4) Ger 31 parla della nuova alleanza interiore, e 5) Lv 16, 10 è centrale per i concetti
sviluppati nella lettera agli Ebrei.. Quali sono le condizioni necessarie per il sacerdozio di
Gesù, secondo la lettera agli Ebrei?
In primo luogo Gesù è autorizzato da Dio: Egli è il Figlio di Dio, e il suo sacerdozio è messo
in stretto rapporto con la sua figliolanza divina. Inoltre, Gesù è solidale con l’uomo in virtù
della sua incarnazione.
3. Profeta
Paolo VI, nel discorso del 5/1/1964 parlò di Gesù profeta. Il nostro Papa nella Redemptor
Hominis (n.19) fa lo stesso. Vi era l’attesa di un profeta simile a Mosè (Dt 18, 15-18). Al
tempo di Gesù fu identificato con Elia, altre volte con Gv il battista. Gesù stesso si interpreta
come profeta (Mc 6,4; Lc 13,33). In Lc il popolo lo considera tale e lo stesso succede in Gv.
Nei primi versetti della lettera agli Ebrei si nota come Gesù è più di un profeta. Nei sinottici,
nella sua attività Gesù trascende la sua veste profetica (cfr Mt 5).
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Il triplice ufficio rappresenta altrettanti titoli bassi ripresi poi nel nostro Credo. Nel NT vi
sono altri titoli, come Alfa e Omega, alcuni alti, che mettono in rilievo la sua divinità, altri
bassi per mostrare la sua umanità. Circa la Cristologia ontologica e funzionale, essa cerca di
approfondire la natura e l’essere ontologico di Gesù. La Cristologia funzionale si sofferma su
ciò che Gesù fa: ci rivela Dio, e ci insegna la verità divina. Una Cristologia funzionale va
bene, ma da sola è limitante poiché occorre considerare l’essere stesso di Gesù.
Dobbiamo anche riconoscere che il NT ha una Cristologia prettamente funzionale e
soteriologica: la Cristologia ontologica è implicita ed emerge maggiormente solo con Gv.
LA RILEVANZA CRISTOLOGICA DELL’AT (LEZIONE DEL 23.02.96)
1. L’ultimo Adamo
Si tratta di un titolo “basso”, e i primi cristiani lo usano a proposito di Gesù. Adamo ed Eva, si
dice in Genesi, sono fatti ad immagine di Dio. Ma a causa della loro disobbedienza, il peccato
entrò in loro. Dopo il primo peccato dei nostri progenitori segue una catena di altri peccati.
Nell’AT , però, si riceve a volte anche un’immagine positiva di Adamo: nel libro del Siracide
(49,16), si dice che egli è superiore ad ogni altro essere vivente. Nel libro della Sapienza
(10,1-2), Adamo è riabilitato nella misericordia di Dio: rimane così la sua forza di dominare il
mondo. Altrettanto nel Sal 8, anche se non è nominato esplicitamente Adamo, ci si riferisce a
lui e alla sua dignità che gli proviene da Dio e che è di poco inferiore a quella degli angeli.
Nel NT troviamo il brano di Rm 5 e 1 Cor 15, dove Paolo dice che Adamo è il capostipite
della razza umana: a partire da lui il peccato entrò nell’umanità. Siamo, così, solidali nel
peccato e siamo tutti sotto l’influsso maligno di Adamo. La morte ha dunque raggiunto tutti
perché tutti hanno peccato. Qui Paolo esprime la morte fisica come segno del peccato.
Cristo è sceso allora in campo: egli è il nuovo Adamo: il primo fu disobbediente, il nuovo è
obbediente! Dove ha abbondato il peccato, lì c’è stata la grazia sovrabbondante. Per Paolo,
Adamo e Cristo sono anche “persone collettive”, cioè il loro ruolo è determinante per
l’umanità intera. In 1 Cor 15, 20-22, 45-49 si dice che a causa di Adamo è venuta la morte; a
causa di Cristo è tornata la vita: Adamo viene dalla terra, Cristo viene dal cielo e dà la vita
eterna. Tutti gli uomini portano l’immagine di Adamo e di Cristo.
Alcuni studiosi pensano di trovare altrove, nelle lettere di Paolo, questo riferimento ad
Adamo, anche se a volte sono delle vere e proprie forzature. Da dove viene però questa
Cristologia adamitica di Paolo?
Non è sicuramente pre-paolina: Paolo ha sì ereditato una Cristologia che vede il Cristo come
Signore, ed ha elaborato la sua Cristologia adamitica. Così, in base all’idea di Paolo è nato un
filone che vede Gesù come l’ultimo Adamo: alcuni Padri fanno questo.
Ireneo, ad esempio, propone addirittura l’immagine di Maria come la nuova Eva. Dopo il
periodo patristico, fino ai nostri giorni, troviamo nella liturgia del Sabato santo, proprio l’idea
di Cristo come nuovo Adamo: anche il CCC usa questa immagine. Paolo ha quindi fatto
fortuna con questo suo modello di Cristologia.
Alla luce di Gv 19 (Cristo morto sulla croce), i padri fanno vedere come la chiesa sia nata dal
costato squarciato di Cristo, così come Eva era nata da una costola di Adamo!
2. La Sapienza
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Si tratta di un titolo “alto”. Occorre distinguere tra “personificazione” e “persona”. Nell’AT,
l’attività divina è personificata come la Sapienza. L’autore del libro biblico omonimo dice
che:
1) La Sapienza è preesistente: è generata da Dio prima di ogni altra creatura;
2) è un’immagine perfetta di Dio: è molto più di Adamo e di Eva. Essi erano sì a immagine e
somiglianza di Dio, ma la Sap. È una “replica” perfetta dell’originale (Dio). In Sap 7, 21 si
vedono questi termini della gloria divina riflessa nella Sapienza;
3) per mezzo della Sapienza, Dio creò tutte le cose, e le governa: è strumento della creazione;
4) la Sapienza vive presso gli uomini per condurci a Dio: essa vive dunque in mezzo al
popolo di Dio;
5) la Sapienza è personificata come una profetessa, che invita tutti al suo banchetto (Sap 8,1;
Pro 9,1-6): è un’immagine audace della letteratura sapienziale (una donna bellissima che
invita gli uomini).
Nel NT, non solo Paolo, ma anche i sinottici e Gv hanno usato l’immagine della sapienza per
parlare di Gesù: Mt 11, 19; Lc 11, 31 (la regina di Saba che è ammirata della sapienza di
Salomone: ben più di Salomone c’è qui!). Il Gesù pre-p. si presentava quindi implicitamente
come la Sapienza divina. “Ben più di Salomone c’è qui!”: Salomone era considerato il più
ricco ed il più sapiente. Anche Mc fa riferimento a Gesù sapienza: a Nazareth, la gente che lo
ascoltava nella sinagoga si meravigliava della sua sapienza. Paolo, in 1 Cor, chiama Gesù
“Sapienza di Dio”, sapienza misteriosa rivelata nella follia della croce, che non risponde alla
logica del mondo. Ricordiamo che il NT applica a Gesù varie funzioni attribuite alla Sapienza,
senza parlare apertamente di “sofia”. Gc 1 (prologo) dice che come la sapienza Gesù è
preesistente ad ogni altra creatura. Gesù è anche la luce divina, irradiazione della gloria
divina. Così anche in Eb 1,3. Anche il banchetto della Sapienza è ripreso da Gv 6,35: Gesù
invita gli uomini a convito, rivelando il mistero di Dio agli uomini. Eppure Gv non usa mai
esplicitamente il termine “sapienza” o gli attributi corrispondenti. Troviamo quindi in Gv e in
Eb una Cristologia sapienziale.
I Padri: quasi tutti i Padri riconoscono Gesù come la divina sapienza. Non così per Ireneo:
per lui la Sapienza era lo Spirito Santo. Un esempio però di quell’immagine dei Padri si trova
nella lettura del breviario del 17 dic., tratto da Leone Magno: esso si inserisce in un filone
tradizionale della Chiesa. Nella IV preghiera eucaristica si dice che Dio ha fatto ogni cosa con
Sapienza e Amore (il Figlio e lo Spirito)! Anche oggi si riconsidera questo tipo di Cristologia
sapienziale.
3. Il Verbo-
Nell’AT il è una personificazione dell’attività di Dio (v. libri sapienziali). Il è un
po’ come la sapienza: preesiste alla creazione. Dio crea per mezzo della sua Parola, ed il
rivela la volontà divina agli uomini. e Sapienza sono quindi sinonimi. Perché
Gv sceglie per il prologo il termine ? Non avrebbe potuto usare il termine Sapienza?
1) La tensione tra la sinagoga e la Chiesa nascente fece sì che Gv facesse questo usa (cfr Gv
9). Per gli Ebrei infatti, la Legge sinaitica era la Sapienza e non poteva incarnarsi;
2) Gesù, poi, era uomo, mentre la Sapienza era personificata da una donna bellissima;
3) Gv compone il suo Vangelo alla fine del I sec., dopo Paolo e Lc: Paolo aveva già
sviluppato la sua teologia del Logos, e ancora di più Lc nel libro degli Atti.
La strada era quindi già tracciata negli scritti del NT. Il termine logos si trova dunque nel
prologo di Gv, ma anche nell’Apocalisse, e serve ad affermare la preesistenza di Cristo: egli
preesisteva nell’eternità. Inoltre per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte: il nostro Credo
riprende questo brano senza usare il vocabolo “logos”. Gesù, del prologo, è anche rivelatore,
altra funzione specifica del logos.
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Nel NT ci sono due documenti eccellenti che fanno vedere questa funzione: 2 Cor e Gv. Fin
dal prologo, quindi, Gesù è il logos oltre che la luce ed il “testimone”. Dopo Gv, la sua
teologia del logos ha fatto molta strada: “Il Verbo si fece carne” esprime la realtà più profonda
dell’Incarnazione, ed è citato spessissimo dai Padri. Quel versetto ha provocato un movimento
profondo di riflessione teologica.
In primo luogo, il Verbo fa vedere l’identità e la distinzione nella “deità”: il Verbo appartiene
a chi parla, ma è anche indipendente da chi lo pronuncia (differenza). Questo dunque fa
vedere la distinzione Padre-Figlio.
In secondo luogo, questa terminologia della teologia di Gv si distacca dalla filosofia greca e
non cristiana, come quella di Filone: logos era il termine che collegava al platonismo ed allo
stoicismo. Agostino dirà che i platonici non avrebbero mai potuto dire che il “Verbo si fa
carne”: è impossibile che la trascendenza si limiti.
Il NT ha preso dunque immagini, concetti, ma anche personaggi dell’AT per interpretare
Gesù: Mosé ad es., è menzionato 80 volte nel NT, contro le 58 volte di Davide. Per la
Cristologia di Mt, la fig. di Mosé è quella più citata e significativa. Le radici ebraiche sono
dunque importanti per la nostra Cristologia e liturgia: sono quelle che ci permettono di
interpretare la Cristologia del NT.
TESI 3: Il ministero di Gesù: la sua predica del regno; la sua
autodesignazione come il Figlio dell’uomo; la sua coscienza di
Dio come Abbà. Gesù e la sua pretesa di autorità personale
GESU’ E LA STORIA PREPASQUALE (LEZIONE DEL 26.2.96)
1.1. La storia di Gesù, essenziale per la Cristologia.
Preferiamo parlare di Gesù pre-pasquale, per far vedere meglio la sua identità personale (altri
usano “Gesù della storia”). La storia di Gesù pre-pasquale entra nella nostra fede e nella
Cristologia.
1.2. Nel Credo abbiamo due persone che rendono testimonianza alla realtà storica di Gesù:
Maria e Ponzio Pilato. Essi testimoniano rispettivamente la nascita e la morte di Gesù, due
realtà di ogni esistenza umana.
1.3. La storia è un fondamento perla Cristologia, ma non è tutto, diversamente cadremmo in
estremismi ingiustificati. Il nostro Credo ricorda altri fondamenti: precedenti il Dio
creatore, Dio dei Padri (Abramo, Isacco, Giacobbe), che stabilì la sua alleanza con essi; Gesù
ce lo ricorda nel Vang. di Mc, dove si dice dell’esperienza fatta nel passato. C’è poi
l’esperienza post-pasq. del Signore risorto, con l’esperienza dello Spirito. La storia non è
quindi l’unico fondamento.
1.4. I Vangeli sono testi storici e teologici allo stesso tempo: non si possono ridurre all’una o
all’altra dimensione. Sono fonti limitate, con un’informazione storico-teologica limitata. I
limiti: ad es.. i Vangeli non riportano nessun documento o lettera personale di Gesù, mentre
diversi sono i documenti che risalgono a Paolo. Cicerone, contemporaneo di Gesù ( 43 a.C.),
scrisse 931 lettere, pertanto abbiamo parecchio materiale per ricostruire la sua biografia. Il
nostro accesso a Gesù è limitato ai suoi ultimi anni di vita: prima del battesimo sappiamo
molto poco di lui. Anche l’ordine cronologico degli avvenimenti tra il battesimo e l’ultima
cena non è molto sicuro. Altra sfida del Gesù pre-pasquale è legata al suo mistero personale.
Filippo, ad es., si sente dire che non ha conosciuto bene Gesù, nonostante tutto il tempo
passato con lui.
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1.5. Quando investighiamo su Gesù c’è l’incontro tra due misteri: il nostro e quello di Gesù.
Incontrare profondamente una persona vuol dire incontrare profondamente se stessi!
Molte domande allora emergono: qual è il senso della sofferenza? Qual è il senso della nostra
vita?... Ancora di più nel caso di Gesù: investigando la sua storia è come se investigassimo la
nostra. Uno scrittore inglese non credente, Wilson, scrivendo un libro su Gesù, ha rivelato
implicitamente la sua stessa vita!
1.6. G.Marcel espone bene il tema che stiamo studiando: Conoscere una persona non vuol dire
risolvere un problema, ma approfondire un mistero che ci interpella! Gesù non è mai un
problema da risolvere, ma è il mistero che ci interpella: il mistero entra nella nostra esistenza,
mentre il problema ne rimane al di fuori.
2. I Vangeli come finestre o specchi.
I Vangeli funzionano come finestre e allo stesso tempo come specchi. Mt, Mc e Lc
funzionano così e ci rivelano tre tappe della loro stesura: a) l’attività di Gesù pre-pasquale; b)
la trasmissione delle tradizioni; c) la composizione dei Vangeli stessi esaminata mediante
l’analisi strutturale.
Essi sono anche specchi: studiando i Vangeli vediamo noi stessi ed il nostro mistero
personale. A. Schweitzer dice che il rischio è che studiando i Vangeli vediamo solo la nostra
“faccia”, ossia creiamo Gesù secondo la nostra personalità. Ma sottolineiamo la differenza tra
“creare” (cosa che alcuni fanno) e “vedere” noi stessi in Gesù.
Gv è forse più uno specchio, rispetto ai sinottici, anche se questi ultimi si comportano anche
da specchi. Per Gv il ministero di Gesù durò tre o quattro anni, mentre i sinottici ci presentano
un ministero di quindici mesi circa. Gv, inoltre, parla più diffusamente di Gerusalemme, e
così si capisce meglio l’ostilità delle autorità religiose, che altrimenti non si capirebbe con una
durata minore del ministero. Vi è pertanto una certa attendibilità storica. Ma è chiaro che non
possiamo separare drasticamente Gv dai sinottici.
2.1. I sinottici sono grosso modo più attendibili storicamente: sono quasi tre ritratti di Gesù, ci
lasciano vedere il Gesù post-pasquale. Gv è più un ritratto impressionistico, il ché non
significa che sia meno valido o meno vero.
2.3. Ma cosa fa un artista impressionista? Mette in rilievo alcuni dettagli, tralasciandone altri.
Pertanto Gv è intenzionato a mettere in risalto la figliolanza divina di Gesù. Gv ha inoltre
modificato qualcosa: il FdU è detto nei sinottici come presente (rimette i peccati) e futuro (che
verrà a giudicare). Per Gv il FdU è preesistente, scende dal cielo. Gv, pur conservando la
stessa denominazione, ne modifica la Cristologia. I sinottici fanno vedere Gesù che predica il
Regno, e non se stesso. Gv, invece, modifica la predicazione di Gesù, e non si parla mai del
Regno (tranne Gv 3), ma dell’identità di Gesù stesso: Io sono la via, la verità... Gv ha quindi
modificato massicciamente la predicazione di Gesù. Gv tralascia inoltre altri dettagli:
mancano quasi completamente le parabole, gli esorcismi, anche se parla di Satana.
2.3. Infine, i dati forniti dai Vangeli sono sempre interpretati: i primi discepoli fin dal primo
incontro con Gesù, incominciano ad interpretare la sua persona. Così è anche per noi, quando
conosciamo una persona. Sarebbe impossibile conoscere una persona senza interpretarla. La
testimonianza dei Vangeli è attendibile ma anche interpretata.
3. Il ministero di Gesù: il ministero pre-pasquale possiamo vederlo alla luce di tre aspetti: a) la
predicazione del Regno; b) l’autocoscienza di Gesù; c) la coscienza filiale di Gesù. C’è
qualche radice nell’AT, ma che Gesù cambia radicalmente. Molti ritengono FdU un titolo,
mentre noi lo riterremo come autocoscienza di Gesù. Difatti, quell’espressione assume vari
significati: può significare
1) IO, riferito a Gesù; (il FdU può perdonare i peccati, ossia Io - dice Gesù - perdono...);
2) In Dn 7 FdU è una figura celeste, trascendente.
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Il Papa, nella Redemptoris Missio (12-20), parla della predicazione del Regno di Dio. Tale
predicazione entra anche nella teologia della liberazione.
3.1. Nell’AT Dio è chiamato sovente “Re” (cfr i Salmi ecc.); anche il verbo regnare è usato
frequentemente. D’altra parte, nell’AT, si trova raramente l’espressione il “Regno di Dio”: si
usa il titolo Re, e il verbo regnare, ma mai il Regno di Dio (eccetto in Daniele). Il Libro di
Daniele parla invece del Regno di Dio futuro. Nel NT, Gesù non parla mai di Dio come Re;
tranne forse in Mt 5, ma probabilmente questa è una sua aggiunta. Non parla mai di se stesso
o del Padre come Re. Regno di Dio vuol dire salvezza divina: Gesù parla di un Regno futuro
ancora non realizzato, e di uno presente già realizzato. Vi è una novità: il Regno già
inaugurato è quello che si realizza con la venuta di Gesù. Prima di Gesù, nessuno ha mai
parlato così del regno divino. Altra novità è il legame tra il Regno e Colui che lo predica. Le
parabole sono più che meri esempi o illustrazioni che Gesù fa: esse comunicano il Regno, è
l’invito ad aprirsi al Regno. I miracoli sono poi i primi frutti della venuta del Regno di Dio.
Sono gesti salvifici che anticipano la venuta del Regno. Gli esorcismi mostrano l’opposizione
tra il Regno di Dio e il Regno di Satana. Vi è inoltre la potenza dello Spirito con cui opera
Gesù. Come interpretava Gesù la sua missione?
1. In primo luogo Gesù la interpretava in termini profetici (Mc 6,4 e Lc 13,33); a volte Gesù
dice di essere mandato da Dio (Mc 9,37 e parall.; 12,6 e parall.); al tempo stesso Gesù dice:
“Sono venuto...”, cosa che nessun profeta aveva mai detto, né poteva dire. Gesù dice di essere
più di Giona: da un lato Giona sembra un personaggio divertente, ma dall’altro dimostra la
dimensione universale della salvezza divina. Ecco che Gesù lo prende a modello, dicendo di
essere superiore a lui e a Salomone.
1.1. Gesù aveva quindi un’autocoscienza messianica, anche se non dice mai apertamente di
essere il Messia. Ad es., Mt 11, 2-6 è intitolato “Ingresso Messianico in Gerusalemme” (CEI),
vede la portata messianica di Gesù. Gesù prende però qualche distanza dal titolo di Messia,
come accade, ad es., nella confessione di Pt: Gesù non nega ciò che Pt confessa, ma parla però
del FdU che dovrà soffrire, ecc.. C’è il problema (circa l’attendibilità storica) del processo
subito da Gesù: in Mc 14,15 Gesù, alla domanda “sei tu il Re dei Giudei?”, risponde: “Tu lo
dici!”. Gesù prende distanza da quel riconoscimento. Inoltre, l’iscrizione sulla croce diceva:
“Il Re dei Giudei”: se Gesù non avesse dato adito a tale interpretazione sarebbe inspiegabile
l’iscrizione stessa. Quindi, Pilato e gli altri hanno visto nell’attività di Gesù una certa pretesa
messianica. Inoltre, dopo la risurrezione, i suoi discepoli lo chiamano il Cristo, cioè Messia:
pertanto Gesù deve aver mostrato in qualche modo di avere un’autocoscienza messianica.
1.2. Gesù predica in modo nuovo il Regno di Dio: è l’agente profetico e messianico. Il Regno
futuro è già inaugurato tramite la presenza stessa di Gesù; il Messia regale non promette
liberazione o dominazione; il profeta parla con la propria autorità (v.oltre).
2. Figlio dell’uomo
Vi è un cambiamento tra Gesù pre-pasquale e Gesù post-p., come ci dimostrano gli scritti di
Paolo. In At 7, Stefano e altri lo chiamano FdU. S.Paolo parla di Messia così come di Figlio di
Dio (FdD). In Mc 12, Gesù si riferisce implicitamente il titolo di Signore: dopo la Pasqua
verrà usato moltissimo dai discepoli e dai primi cristiani. Nell’AT, Dn 7 parla del FdU come
un uomo celeste che avrà potere su tutte le cose. Gesù parla invece del FdU come una figura
sofferente. Anche l’autorità di giudice escatologico viene messa in risalto da Gesù (non così in
Dn). Vi sono quindi delle novità portate da Gesù. Inoltre, il rapporto con il FdU sarà decisivo
per la salvezza finale.
2.1. Dio come Abbà: raramente nell’AT si parla di Dio come Padre. Gesù, invece, lo
preferisce come titolo più appropriato.
3. Gesù, predicando il Regno, invita gli uomini alla sua sequela, anche rompendo i rapporti
familiari personali. La sequela di Gesù è più importante di ogni altra cosa.
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3.1. Gesù guarisce nel suo stesso nome, non a nome di Dio. Al tempo del giudaismo, vi erano
infatti guaritori che facevano appello a Dio. Pt e i discepoli, invocheranno il nome di Gesù per
ottenere la guarigione degli ammalati.
3.2. Altra dimostrazione dell’autorità di Gesù è il suo modo di insegnare: i profeti dicevano
“Oracolo del Signore”; Gesù invece insegnava nel suo nome. C’è qualche esempio dove
l’Amen veniva detto alla fine della preghiera/insegnamento: non così per Gesù, che
introduceva il suo discorso con l’Amen. Amen, Amen dico a voi...
3.3. Gesù dimostra di avere anche autorità sul sabato, giorno sacro deciso da Dio, e sul
tempio, presenza di Dio in mezzo al popolo. Gesù parlava del nuovo tempio: ci sarà quello
costruito non da mani d’uomo. Inoltre Gesù interpreta e modifica le legge mosaica: “fu
detto...ma io vi dico..”. Gesù era addirittura pronto ad abrogare la legge orale o scritta (cfr
l’episodio sugli alimenti puri e impuri). Anche il perdono dei peccati subisce una novità:
prima bisognava recarsi al tempio per poi rivolgersi al sommo sacerdote. Gesù non era
sacerdote della tribù di Levi, ma era un “laico”, ma nel suo nome e fuori dal tempio
comunicava il perdono divino, atteggiamento scandaloso perché usciva dal sistema giudaico
fissato da Dio. Gesù fu accusato di bestemmie quando pretendeva di avere la stessa autorità
divina. Gesù sembrava usurpare le prerogative divine.
3.4. Gesù ha l’autorità di attribuire i posti nel Regno finale: il FdU verrà nella gloria per
giudicare tutti (Mc 13,26-27). Si presentava come FdU che verrà nel futuro: Bultmann ed altri,
invece, consideravano quel giudice escatologico un’altra figura diversa da Gesù. Giudicare è
una prerogativa divina: chi giudica è solo Dio. Gesù dimostra quindi un’autorità che trascende
il livello umano.
4. Vi è qui una Cristologia implicita, perché Gesù non diceva apertamente di essere FdD,
inoltre tale Cristologia è “alta”. Gesù dimostrava la speranza di essere rivendicato
escatologicamente da parte del Padre. Nei tre casi che abbiamo esaminato, Regno di Dio,
FdU, Abbà, ci sono riferimenti nell’AT, ma Gesù introduce delle novità sostanziali, non
riscontrabili, se non raramente, nell’AT. In tutti e tre i casi compare l’autorità forte di Gesù.
TESI 4: le intenzioni di Gesu’ di fronte alla propria morte
(lezione del 27.02.96)
1. C’è un asserto tradizionale che dice: “Sapere vuol dire distinguere”. Nel nostro caso si tratta
di distinguere tre domande:
1) Gesù previde la sua morte violenta?
2) In che modo interpretò la sua morte? Che valore ha visto in essa?
3) Per chi voleva morire? I beneficiari sarebbero stati tutti gli uomini?
Si possono esprimere queste domande secondo il kerygma primitivo degli Apostoli, come
illustra bene il brano ormai classico di 1 Cor 15, 3-5: “Vi ho trasmesso...che Cristo morì per i
nostri peccati secondo le scritture...”. I cristiani prima di Paolo interpretavano la morte di
Gesù come un evento salvifico. Si distingue quindi, l’interpretazione della morte di Gesù, nel
periodo pre-pasq. da Gesù stesso, e post-pasq., da parte della comunità cristiana. Le intenzioni
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di Gesù non sono l’unico criterio essenziale per il riconoscere la sua morte come espiatrice; vi
sono altri criteri: il Padre e lo Spirito. Erano anch’essi coinvolti nella morte di Gesù. D’altra
parte dobbiamo dare la giusta importanza alle intenzioni di Gesù, in quanto persona umana.
Affrontiamo la prima domanda: vi sono indizi che fanno vedere la previsione di Gesù circa la
sua morte. Non ci voleva molto, infatti, per capire che Gesù sarebbe morto di morte violenta.
2.1. Di certo non si sa quando Gesù cominciò a capire questo, però ad un certo momento si
vede che si accorge dell’imminenza della sua morte. Difatti, si paragona ai profeti, che
morirono soffrendo ingiustamente, fino a Gv Battista.
2.2. La chiave profetica non è però l’unica interpretazione della missione di Gesù, anche se in
vari testi (cfr Lc) emerge questo aspetto.
2.3. Vi è poi la parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12, 1-9): certamente questa parabola risale
a Gesù stesso, per cui si nota la sua consapevolezza della figliolanza divina e del suo destino
imminente.
2.4. La missione de Gesù provocava delle accuse: l’infrazione del sabato; i suoi miracoli
attribuiti all’azione di Satana; Gesù non rispettava inoltre diverse tradizioni: aboliva la legge
sugli alimenti ritenuti impuri (cfr Mc 7), cambiava la stessa legge divina (“avete inteso che fu
detto...ma Io vi dico!”); perdonava i peccati al di fuori del sistema fissato dalla legge di Mosé.
Gesù non era ingenuo e notava questa opposizione crescente.
2.5. L’ingresso in Gerusalemme fu un vero atto di provocazione verso le autorità religiose:
Gerusalemme era il centro dipotere della casta sacerdotale, e Gesù sembrò sfidare le autorità
del tempo.
2.6. L’ultima cena e la sua preghiera nell’orto degli ulivi sono eventi in cui si vede la fedeltà
di Gesù alla sua missione: pur prevedendo la sua morte la accoglieva secondo la volontà del
Padre.
3.1. Che significato Gesù vedeva nella sua morte? Per chi morire? E’ la questione del senso
redentivo della sua morte, e i destinatari di essa.
3.2. Quando Gesù parla del martirio dei suoi predecessori (ad es. i profeti), non aggiungeva
nulla circa il loro significato redentivo; così nella parabola dei vignaioli omicidi.
3.3. Nelle tre predizioni della passione (Mc 8, 31; 9, 31; 10, 33-34), Gesù annuncia la sua
morte imminente (non la crocifissione), e afferma che sarebbe stato in breve tempo riscattato
per mezzo della risurrezione. Si tratta forse di profezie post-eventum? Molti parlano di una
conoscenza soprannaturale di Gesù, ma non è il caso di tirare in ballo queste affermazioni,
poiché era del tutto prevedibile una morte violenta. La seconda parte di queste predizioni
(risorgere il terzo giorno) è comprensibile alla luce della fiducia incondizionata di Gesù nei
confronti del Padre (Abbà). “Dopo tre giorni” era un’espressione non necessariamente
cronologica, ma vuol significare “dopo breve tempo”, “a breve”. Anche per aspettare una
rivendicazione non ci voleva quindi una conoscenza soprannaturale. Ma tali predizioni
risalgono originariamente a Gesù? Alcuni lo negano e le attribuiscono ai credenti; ma vi è un
nucleo storico che risale a Gesù. Le prove emergono da tre fatti:
1) non si parla di una morte espiatoria, particolare che Gesù tace sempre, mentre la prima
tradizione cristiana (cfr 1 Cor 15, 3-5) interpreta subito la morte di Gesù come espiatoria.
2) non si parla della crocifissione: Gesù parla di sofferenze e di morte, ma non dice come
morirà. Se i primi cristiani avessero creato tali espressioni, non avrebbero omesso la croce;
3) troviamo un parallelo in Gv: egli cambia la portata delle parole di Gesù, ma segna la
tradizione sinottica circa questi eventi (Gv 3, 8-12): parla dicendo: “quando sarò innalzato
da terra...”. Egli, cioè, mette assieme morte e risurrezione (sarò innalzato...e attirerò tutti a
me: evento glorioso).
Dobbiamo riconoscere che questi brani non parlano del valore espiatorio della morte di Gesù:
si parla del destino di Gesù, ma non danno valore redentivo per gli altri.
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3.4. La profezia della distruzione del tempio da parte di Gesù: è un gesto simbolico. Prima
purifica il tempio, scacciandone i venditori, poi fa una profezia sulla distruzione, annunciando
un nuovo rapporto salvifico con Dio. Il Nuovo Tempio è nel cuore dell’uomo, per cui tutta la
comunità cristiana sarà il Nuovo Tempio.
3.5. Il Regno di Dio è centrale nella predicazione di Gesù, ed anche veniva introdotto il
termine , la tentazione prima del Regno finale. Si tratta delle persecuzioni, di una
dura prova (Mc 13) prima della venuta finale. Mc 14, 25, nell’ultima cena Gesù dice che
berrà un nuovo vino nel Regno di Dio. Alla vigilia della sua morte, egli la collega al Regno di
Dio venturo. Si ritiene un versetto autentico, risalente a Gesù stesso. Fare questo collegamento
vuol dire che la morte di Gesù è morte salvifica, un avvenimento del Regno della salvezza.
3.6. Le parole dell’ultima cena: abbiamo da una parte la tradizione di Paolo e Luca, e dall’altra
Mc. Però ci sono vari elementi comuni che servono ad identificare la morte di Gesù come
offerta sacrificale: lo spezzare del pane sta ad indicare il corpo di Gesù; il calice contiene poi
il vino, cioè il sangue sparso per “voi” ( o per “molti”). Quel “voi” può rappresentare sia i
presenti all’ultima cena, ma può anche avere una portata universale. L’ultima cena è
importante per stabilire il valore redentivo della morte di Gesù.
3.7. Il comportamento di Gesù è fondamentale: nel suo caso, Gesù era a servizio degli altri,
soprattutto dei più bisognosi di misericordia e di guarigione: la sua morte è l’ultimo atto di
servizio (cfr Lc 22, 27). Ecco che si può ben collegare la sua vita alla sua morte. Non solo si
dirigeva alle pecore d’Israele, ma a tutti coloro che fanno la volontà del Padre (Mt 15, 24; Mc
3,35).
3.8. Al tempo di Gesù (dai martiri Maccabei) vi era l’idea che la morte di un giusto potesse
espiare i peccati del popolo o della città. Forse Gesù aveva interpretato la sua morte come
quella del servo sofferente (Is 52/53), ma non è del tutto chiaro questo riferimento. Gesù
quindi, affronta la morte come servizio redentivo rappresentativo per tutti.
TESI 5: L’identità di Gesù rivelata mediante il mistero pasquale:
come il Messia, il Figlio di Dio e il Signore.
LA RISURREZIONE DI GESU’ (LEZ. DEL 1.03.96)
1.1. Qual è il nucleo dell’affermazione pasquale? Ci sono due modi sbagliati di rispondere a
questa domanda: a) alcuni la presentano come un mero ritorno di Gesù alla vita (come
Lazzaro) e non fanno riferimento alla vita nuova, trasformata di Gesù. Questo vuol dire
ridurre la risurrezione ad una semplice “rianimazione”. Nei Vangeli di Lc e Gv, Gesù ci viene
presentato dopo la risurrezione con una nuova condizione fisica: è libero di entrare o di uscire
da una stanza passando a porte chiuse; allo stesso tempo mangia ciò che gli viene offerto dai
discepoli, ecc.. Essi però, ci presentano Gesù in un modo “naturale”, pur facendo notare i
cambiamenti della nuova vita che Gesù possiede. 2) L’altro modo di ridurre la portata della
risurrezione è alla semplice conversione dei discepoli. In Rm 4, 25 si legge:
“[Gesù nostro Signore] è stato messo a morte per i nostri
peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione
[...]”.
In primo luogo, quindi, la Risurrezione coinvolge Gesù stesso: solo in un secondo momento
essa riguarda la nostra giustificazione.
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Vi è poi un duplice linguaggio circa la Risurrezione nel NT: quello di abbassamento (kenosi)
fino alla morte in croce, e poi quello di esaltazione, con la gloria conferitagli dal Padre. Ma il
linguaggio primario rimane quello di 1Cor 15, 3-5:
“3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho
ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le
Scritture, 4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo
le Scritture, 5e che apparve a Cefa e quindi ai dodici.”
Tale linguaggio è più storico: c’è un prima (morì, fu sepolto) e un dopo (è risuscitato ..è
apparso). Una cosa importante è ricordare i vari termini che nel NT vengono usati per
esprimere la Risurrezione di Gesù. Vi sono al riguardo almeno sette generi letterari :
1.21 Le formule kerygmatiche: le proclamazioni pasquali della risurrezione risultano essere
monomembri dove viene messa in risalto la sola Risurrezione (cfr 1 Ts 1, 10: “... e attendere
dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti...”, Rm 4, 24). Vi sono poi formule
plurimembri (Rm 4, 25) e quadrimembri, qual è quella di 1 Cor 15, 3-5.
1.22 Le professioni di fede pasquale: in Rm 10, 9 (“poiché se confesserai con la tua bocca che
Gesù è il Signore, e crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.”),
troviamo il credo usato poi nel contesto liturgico battesimale.
1.23 Il nuovo attributo divino: nell’AT ci sono gli attributi dati a Dio; nel NT c’è un attributo
divino centrale: Dio è colui che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Gal 1,1).
1.24 La forma narrativa che troviamo nei Vangeli: i racconti della risurrezione nei Vangeli
sono in questa forma (ad es., la narrazione del sepolcro vuoto, ecc.).
1.25 La forma argomentativa e riflessa (cfr 1Cor 15, 12-58): Paolo dovendo combattere alcuni
errori e malintesi circa la fede pasquale, espone in questa forma la verità della rivelazione. Si
confutano gli errori e con la riflessione e opportune argomentazioni si mette in rilievo tutta la
portata della risurrezione.
1.26 I documenti missionari al principio di Atti: Pt portavoce del collegio dei discepoli dopo
la Pentecoste, parla della cattiva condotta umana e dell’intervento divino (“Sappia dunque con
certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore quel Gesù che voi avete
crocifisso!” At 2, 36).
1.27 Il linguaggio degli inni (Fil 2, 9; 1 Tim 3, 16) e della preghiera (cfr Gv 17,1: “Padre è
giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te...”).
1.31 Consideriamo i due verbi che vengono usati nel NT per indicare la Risurrezione: egheiro
(svegliare) e anistemi (mettere in piedi). La forma primitiva dell’annuncio della risurrezione
era: “Dio [Padre] lo ha risuscitato” (1 Ts 1, 10; 1 Cor 6,14; 15,15; Rm 10, 9), “Dio [Padre] lo
ha risuscitato dai morti” (Gal 1,1; Rm 4,24). Altre volte troviamo il passivo: “fu risuscitato”,
si sottintende Dio (pass. Teologico). Troviamo anche il senso intransitivo: “è risuscitato”, così
come anche espressioni dove Gesù è l’agente della sua propria risurrezione.
1.32 Essendo risorto, Gesù vive: Lc ed altri ne parlano (Lc 24, 5-23: Gesù è il vivente, è lui la
fonte della vita nuova); nel libro dell’Apocalisse 1,18, il risorto si presenta come “il vivente”:
è lui la via la verità, la vita! La Risurrezione è dunque il punto di partenza a cui segue la vita
vera.
1.33 Il linguaggio della glorificazione è tipico degli inni: Fil 2, 1 Tim 3,16ss (“fu assunto nella
gloria”); tale linguaggio si estende anche ad altri brani del NT (Lc 24, 26; Gv 7, 39; 12, 16;
17,1).
1.34 In At 2, 32-33 si uniscono i linguaggi di risurrezione e di esaltazione, che non si
escludono affatto, ma si accordano.
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1.4 La differenza tra i Vangeli canonici e l’apocrifo di Pt: quest’ultimo ha avuto fortuna
nell’arte cristiana, perché riporta vari episodi della vita di Gesù, specie la sua risurrezione e la
testimonianza dei soldati di guardia al sepolcro (Gesù viene raffigurato in piedi fuori dal
sepolcro in mezzo ai soldati attoniti). Tale vangelo fu scritto verso la metà del II sec., e cerca
di descrivere direttamente l’evento della Ris., cosa che i Vang. canonici non fanno. Ma come
mai questi ultimi tacciono sull’argomento? La Risurrezione è l’evento escatologico, e con essa
Gesù inizia la nuova era: essa è soggetta alla fede e non può essere provata o dimostrata!
Parlando di ciò che è successo a Gesù nella ris., i Vang. usano espressioni metaforiche: Gesù
addormentato e poi svegliato dal sonno dei morti, ecc..
2. Le apparizioni
Come sapevano i discepoli che Gesù era risuscitato? Le apparizioni di Gesù sono l’evento
decisivo che si distingue dalla ris. Stessa. Le apparizioni entrano nella nostra storia: ci sono
almeno sei punti da segnalare.
1) Anzitutto l’iniziativa di Cristo risorto: 1 Cor 15 usa per quattro volte il verbo che
indica l’iniziativa divina, per farsi vedere dai discepoli;
2) i discepoli lo riconoscono come il Gesù che era stato crocifisso: Mt 28, parlando della
apparizioni del risorto, non dice mai il Cristo o il Signore, ma per cinque volte nomina Gesù:
è il Gesù maestoso che riceve l’adorazione dei suoi discepoli e delle donne, ma è comunque il
Gesù che era stato crocifisso;
3) la chiamata alla fede: Gesù invita i suoi alla fede (o li conferma nella fede). Incontrando
Gesù risorto si diventa credenti, oppure si è confermati nella fede;
4) i discepoli divengono missionari, cioè apostoli: Gesù manda i suoi a tutte le genti; in Gal 1,
Paolo dice che è diventato apostolo dei gentili dopo l’apparizione di Gesù.
5) l’esperienza dei discepoli è qualitativamente diversa e speciale rispetto alla nostra: i primi
discepoli lo incontrano in un modo singolare, mentre noi siamo chiamati a credere in lui pur
senza averlo visto. Rahner, nel suo Corso fondamentale sulla fede, ha considerato questa
testimonianza speciale dei “fondatori” del cristianesimo. Essi hanno avuto la missione
speciale di fondare la Chiesa col loro stesso fondatore.
6) L’esperienza dei discepoli è di tipo “visivo”: sono testimoni oculari. Tutto questo si nota
nel linguaggio adoperato (1 Cor 9, Gv 20, 18: Maria di Màgdala dice “ho visto il Signore”).
Mentre i profeti dell’AT sono uditori della Parola di Dio, i discepoli sono testimoni oculari.
2.1. Il ritrovamento del sepolcro vuoto è un altro segno che conferma la fede pasquale.
All’inizio suscita delle ambiguità: forse hanno rubato il corpo del Signore! E’ chiaro che da
solo questo elemento non prova la risurrezione. C’è però un nucleo storico: se difatti i primi
cristiani avessero voluto dare un valore centrale al sepolcro, non avrebbero riportato la
testimonianza delle donne (che per i giudei non aveva valore), ma degli uomini.
2.2. La portata teologica del sepolcro vuoto: il dibattito storico non produrrà mai buoni
risultati circa la testimonianza del sepolcro vuoto. Occorre una visione teologica di questo
dato: il fatto che il sepolcro è vuoto simboleggia la pienezza della vita contro la sconfitta della
morte. Non esiste più la morte per chi crede in Gesù, ma solo la pienezza della vita.
2.3. Ricordiamo altri segni che confermano la fede pasquale, primo fra tutti il dono dello
Spirito. Anche il ricordo degli apostoli del Gesù prepasquale; le scritture: per la ris. di Gesù,
c’erano solo pochi versetti dell’AT che le si riferivano. Diversamente per la sua passione e la
sua morte (cfr Is 52-53). Inoltre, predicando Gesù risorto, i discepoli sperimentarono la sua
potenza attraverso il “successo” riscosso nella loro nuova missione.
LA RISURREZIONE DI GESU’ (CONT.) LEZIONE DEL 2.03.96
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Partiamo dalla DV: economia della Rivelazione e storia della Salvezza. Nel primo capitolo
della costituzione dogmatica si parla di questi due temi, due punti importanti del nostro
discorso.
1.1. La rivelazione pasquale; in essa si rivela il Dio trino. Con il mistero pasquale, Dio viene
rivelato come Padre, Figlio e Spirito santo. Gli avvenimenti del Venerdì santo, della Pasqua e
della Pentecoste costituiscono lo specchio dell’esistenza trina di Dio. L’autocomunicazione
pasquale di Dio riflette la sua esistenza “tripersonale”. La missione del Figlio e dello Spirito
mostrano come Dio sia ad-intra.
1.2. La missione del Figlio non è una missione qualsiasi: essa è missione “in relazione”,
poiché inviato dal Padre per rivelare il piano di Salvezza. Il Figlio dipende, è in relazione al
Padre, e tale relazione raggiunge l’apice nella missione pasquale. Gesù mostra inoltre di avere
delle pretese, in virtù di tale relazione: a) annuncia il Regno; b) come il FdU, dice di essere il
giudice escatologico; c) egli è l’inviato del Padre (come allude nella parabola dei vignaioli
omicidi omicidi); d) ha autorità sul tempio, sul sabato, sulla legge... Le sue pretese sono
legittimate: non è il bestemmiatore, ma è il Messia, FdD, rivendicato dallo stesso Dio che lui
chiama Abbà. Tali pretese sono dunque “relazionali”, ossia dipendono dal Padre: in relazione
a Lui, G. è rivelato FdD, Messia, FdU, ecc.. Tali pretese vengono rivendicate dalla
Risurrezione stessa, come dimostrano i seguenti testi:
Rm 1, 3-4: “[...] riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di
Davide secondo la carne, e costituito Figlio di Dio con potenza
secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai
morti, Gesù Cristo, nostro Signore.”
At 2,32-36: “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne
siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo
aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva
promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire.
[...] Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio
ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete
crocifisso!”
In Fil 2,6-11, Gesù è il Signore che tutto il mondo dovrà adorare e riconoscere come tale
(“ogni ginocchio si pieghi ed ogni lingua proclami che G. è il Signore”); Mt 28,9-17 descrive
Gesù che riceve l’adorazione dalle donne e poi dai discepoli.
1.3. La risurrezione serve per rivelare la vera identità “in relazione” di Gesù: essa vuol dire
anche “Nuova Creazione” e mette in luce un’altra prerogativa di Gesù, quella di essere
creatore. Non vi è nel NT la testimonianza di Gesù come creatore di tutto l’universo: ma
risorgendo dai morti egli è riconosciuto come creatore del mondo (cfr 1 Cor 8, 6: “Gesù
Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.”; Col 1,15-17: “[...] per
mezzo di lui tutte le cose sono state create [...]”). Forse ciò si può vedere implicitamente nei
Vangeli, in qualche miracolo operato da Gesù.
1.4. Lo Spirito santo e la sua missione: La rivelazione pasquale include la venuta dello Spirito
santo. La seconda missione, dello Spirito, raggiunge il suo culmine a Pasqua. E’ chiaro che lo
Spirito agiva anche prima, ma la sua missione raggiunge il culmine con l’esperienza pasquale.
Lo Spirito non si incarna: il Montanismo (II-III sec) affermava questa possibilità; nel
cristianesimo ortodosso non si parla assolutamente di questo, ma lo Spirito è colui che ci
rende figli nel Figlio! Lo Spirito non si incarna ma è effuso nei nostri cuori. Lo Spirito viene
per attualizzare per noi la relazione che esiste tra il Padre ed il Figlio. Egli ci porta a
condividere in qualche modo quella relazione intratrinitaria. Ciò che lo Spirito fa per noi
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corrisponde a ciò che Egli è all’interno della Trinità: Egli è l’Amore tra il Padre ed il Figlio, e
tramite la Pasqua ci lascia entrare in questo rapporto d’amore.
1.5. Il mistero trinitario è così rivelato nel mistero pasquale: S.Paolo, sin dalla 1Tess, esprime
la rivelazione del Dio trino in chiave pasquale. Anche Mt (28,19) prende dalla sua comunità la
formula battesimale, usata ancora oggi, e la inserisce nel contesto pasquale: non è un fatto
casuale. Fa così perché vuol dire che il mistero pasquale è il culmine della rivelazione e va
interpretato in chiave trinitaria. Così in Lc (24) e nei primi capitoli degli Atti, si vede come il
culmine della Rivelazione sta nella morte e risurrezione di Gesù, con la venuta dello Spirito
santo. Anche Gv considera questa relazione (v. cc.13-20). Gv è il Vangelo della Riv. per
eccellenza; egli capisce che la riv. del Dio trino sta nel mistero pasquale. Questo mistero,
però, è stato compreso gradualmente: non si dubitava che Gesù fosse una persona distinta dal
Padre, ma si dubitava che fosse realmente Dio.
Fino al Concilio di Nicea, ed anche dopo, ci furono vari dibattiti. Così circa lo Spirito, si
capiva la sua divinità, ma non si capiva se fosse una persona distinta dalle altre della Trinità.
Nicea stabili che Gesù era veramente Dio, e Costantinopoli I stabilì l’identità personale dello
Spirito santo.
1.6. Ma il NT ci dà dei chiari indizi sulla “tripartizione” delle persone divine (cfr Mt 28,20).
1.7. Tramite le due missioni, di Gesù e dello Spirito, i Padri e i primi cristiani hanno
conosciuto la vita interna di Dio. Dobbiamo però distinguere all’interno delle azioni “ad-
extra” di Dio (azioni comuni alle tre persone divine), le peculiarità di ogni singola persona,
poiché ogni persona agisce in modo ad essa conforme (cfr la teoria delle attribuzioni, corso
del prof. Ladaria). Così, ed es., solo il Figlio si incarna, e non il Padre o lo Spirito; allo stesso
modo è lo Spirito che è effuso nei nostri cuori, e non il Padre o il Figlio. L’azione “ad-extra”
coinvolge tutta la Trinità, ma ogni persona agisce in maniera ad essa propria.
2. La Salvezza attuata tramite il mistero pasquale. Il mistero pasquale, è il culmine della
salvezza umana e cosmica.
2.1. Il dono: l’effetto che procurato dal mistero pasquale è definito con più termini nel NT.
C’è una ricca terminologia a riguardo (salvezza, redenzione ecc..).
2.2. L’agente: Gesù riceve diversi titoli per esprimere ciò che lui ha compiuto: il mediatore,
Salvatore, Sommo sacerdote, ultimo Adamo. In Atti 2,36 si dice che Gesù divenne il “Messia
efficace”, morendo e risuscitando. Egli lo era sin dall’inizio, ma in modo ancora più esplicito
nella Pasqua. Luca chiama Gesù Messia e salvatore (cfr Lc 1, sulla nascita di Gesù). In Rm
1,4, Gesù è detto Figlio di Dio “con potenza” e co-datore dello Spirito.
Per esprimere la redenzione e la salvezza di Gesù, 1000 anni fa circa si usavano, sulle lapidi,
le espressioni , poste a forma di croce:
2.3. I beneficiari: sono tutti gli uomini (Lc 24,47; At 2,17; Gal 3, 26-28); Paolo, mediante la
risurrezione, afferma che la salvezza è aperta a tutti gli uomini, per mezzo dello Spirito (Rm
8,18-23).
2.4. Il “luogo” visibile della salvezza è la Chiesa: Cristo risorto non si “vede” più, ma la sua
presenza è visibile nella Chiesa: la risurrezione di Gesù dà inizio alla Chiesa, unitamente
all’effusione dello Spirito. Lo Spirito vive nella Chiesa (cfr 1Cor3), e Paolo dice che la
Comunità è il tempio dello Spirito. Gal 3, 26-27: quanti sono battezzati in Cristo è rivestito di
Cristo e lo Spirito è effuso nei loro cuori. Questo è il linguaggio tipico paolino.
2.5. Cristo è il primogenito, il “fratello maggiore” di molti fratelli e sorelle: Paolo interpreta
così il mistero pasquale. Gesù è la primizia della vendemmia, secondo un’immagine di Paolo.
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Risorgendo dai morti Cristo ha iniziato a cambiare il mondo, indirizzandolo verso gli ultimi
tempi (l’escaton).
3. Parlando della morte e risurrezione di Cristo, conviene seguire la GS, che non parla mai
della morte di Cristo senza il riferimento alla risurrezione e viceversa: le due dimensioni
dell’unico mistero pasquale vengono così tenute assieme. Questo è il centro della Cristologia,
e la liturgia ne è la testimonianza principale. La croce gloriosa getta una nuova luce verso il
futuro (parusia), ma illumina anche il passato. Ciò che sta al centro non esclude né il prima né
il dopo, ma li illumina e dà senso a tutta la realtà.
Storia passata Parusia
LA DISCESA AGLI INFERI, L’ASCENSIONE E LA PARUSIA (LEZIONE DEL 4.03.96)
Parleremo di questi tre misteri Cristologici, che sono strettamente collegati tra loro. Tutti e tre
figurano nel nostro “Credo”, e nella nostra liturgia, il brano classico che si legge nella IV
preghiera eucaristica, subito dopo la consacrazione dice: “In questo memoriale...****
La liturgia introduce tutti e tre questi misteri, e segue la logica della Lex orandi, credendi e
theologiae: se preghiamo in questo modo, vuol dire che Crediamo così, e per cui dobbiamo
fare la nostra riflessione teologica in quel modo.
1. “Discese all’inferno”
Inferno vuol dire “mondo inferiore” (gli inferi): possiamo dire anche il Regno della morte,
dove anche Cristo entra. Per tale evento abbiamo due spiegazioni:
1.1. Chiesa Orientale: Cristo è descritto in questa sua discesa agli inferi in un modo attivo.
Nell’iconografia bizantina si raffigura Gesù che libera Abramo e i Patriarchi; si raffigura
anche la porta degli inferi con accanto il diavolo, mentre al di fuori vi è Gesù che chiama con
sé le anime dei giusti. Con la sua attività Cristo introduce i defunti alla vita eterna con Dio.
Gesù raggiunge quindi l’umanità passata: la sua morte ha questo potere anche sul tempo;
1.2. Chiesa Occidentale: essa riprende anche la spiegazione orientale, ma vi è una visione del
Cristo più passiva. Nel breviario abbiamo una lettura che parla di Gesù che libera Adamo ed
Eva (nell’Ufficio del sabato santo). In 1 Pt 3,18-20, senza entrare nell’esegesi del brano, si
parla del Cristo predicatore e vincitore (“E in Spirito andò ad annunziare la salvezza agli
spiriti che attendevano in prigione [...]”). Nella storia della Chiesa si interpretava quel brano
come la discesa agli inferi di Gesù: Egli libera i Patriarchi combattendo Satana. Ma la
spiegazione della Chiesa occidentale fa vedere che, se Gesù scende agli inferi è perché è
realmente morto! Gesù fu sepolto tra i morti. Ilario di Poitiers, nella sua opera sui Salmi
(53,138), segue questa linea interpretativa.
1.31 S. Tommaso d’Aquino ha chiarito la differenza esistente tra il “limbus patrum” e la
“geenna”. Egli distingueva questi due luoghi dello Sheol: il limbus patrum era il luogo dove si
trovavano i Patriarchi e i giusti; la geenna era il luogo dei dannati.
1.31 Lutero e Calvino affermano che la discesa agli inferi rappresenta semplicemente un
aspetto della morte di Gesù: egli, nella sua passione e nel momento della sua morte, soffre
l’abbandono da parte del Padre, poiché su di lui si è abbattuta “l’ira di Dio”. La discesa agli
inferi non è così un evento “post-mortem”, successivo alla morte, ma è un modo di parlare di
tutta la passione di Gesù.
1.33 H. Urs von Balthasar mette in rilievo questo mistero Cristologico, ed indica la solidarietà
con i defunti ed i peccatori: Cristo ne condivide la sorte, lontano dall’amore e dalla vita in
un’alienazione estrema da Dio.
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2. L’ascensione
2.1. E’ l’evento strettamente connesso alla Risurrezione, essendone un momento intrinseco:
ricorda la glorificazione di Gesù. Nella Bibbia si usano, in proposito, espressioni con il verbo
coniugato in forma passiva ed attiva: ad es., al passivo è elevato, glorificato, salito al Padre
(vedi 1° foglio sulla risurrezione, §1.33 e 1.34); in forma attiva, vedi Lc 24 (i discepoli di
Emmaus), dove Gesù dice che tutti gli eventi che lo riguardavano erano necessari per entrare
nella gloria del Padre. Ascensione, inoltre, non vuol dire assenza: difatti Gesù è sempre
presente, ma in un modo nuovo, mediante lo Spirito. In Mt 28, 20 Gesù dice infatti: “Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Allo stesso modo Lc non dice che Gesù è
assente, tanto che nel libro degli Atti Gesù si manifesta nella vita di Paolo: egli è dunque
presente. Si tratta di una nuova presenza: Gesù vive ora in cielo, ma questo cielo non è
lontano da noi.
2.2. Lc, in Atti 1,9-11, sviluppa il mistero Cristologico dell’ascensione in modo narrativo.
Egli descrive vari elementi. La nube: rappresenta la signoria divina, che sottrae Gesù allo
sguardo dei discepoli. Ascensione vuol dire per Lc anche la fine delle apparizioni; vi è solo
l’eccezione per Paolo, sulla via di Damasco.
Inoltre, Lc vede l’ascensione come evento necessario per la venuta dello Spirito, e segna
anche il tempo della Chiesa. L’ascensione sembra essere una Parusia “invertita”: gli stessi
elementi, il cielo, la nube e gli angeli, vengono descritti in entrambi i casi ma in modo
invertito. Lc lega quindi i due eventi del Cristo risorto.
Un’osservazione liturgica: fino al 370, nella Chiesa occidentale, si celebrava a Pentecoste
anche l’Ascensione di Gesù al cielo. Solo dopo quella data l’Ascensione cominciò ad essere
una festa a parte, celebrata dopo 40 giorni la domenica di Pasqua. Lc non ci dà degli elementi
chiari per collocarla 40 giorni dopo Pasqua (cfr Lc 24,51 e At 13,31).
3. La Parusia
3.1. Anche questa realtà è legata alla Risurrezione. Nel Credo si dice: “verrà nella gloria per
giudicare i vivi ed i morti”. La Parusia è la venuta di Gesù con potenza e gloria, nella veste di
giudice escatologico. Questo momento coincide col “giorno di Jahvé”. L’AT parlava di questo
giorno escatologico, atteso alla fine dei tempi. Nel NT quel giorno coincide con la Parusia.
3.2. Il termine vuol dire “visita”, di una persona importante: un imperatore, un alto
funzionario, ecc.. Il termine è usato in Matteo (24,3.27.37.39), nelle lettere di Paolo (1Ts 2,19;
3,13; 4,15; 5,23; 1Cor 15,23).
3.3. A volte si parla del “ritorno” del Signore, ma non è un termine felice, perché dà
l’impressione che il Signore sia assente, sia andato via. La Parusia è invece, un evento
pubblico, un modo diverso di essere presente di Gesù. Nel primo avvento Cristo venne in
umiltà, nella sua kenosi: ha assunto la forma di servo; il secondo avvento sarà nella gloria e
nella potenza. Ecco perché non è il caso di parlare di “ritorno”.
3.4. I sinottici parlano della Parusia, ma in modo differente: vi è continuità, ma anche
discontinuità. Per essi il messaggio del Gesù prepasquale è essenziale: parlano del secondo
avvento alla luce della predicazione di Gesù. Egli aveva parlato del FdU che sarebbe venuto
per giudicare: questo è il cuore del discorso sinottico, e Mt, Mc e Lc pensavano che quel
giorno del giudizio fosse imminente.
3.5. Per Paolo vi è un accento diverso: collega la Parusia alla risurrezione dai morti. In 1Cor
15 si trova questo aspetto. Paolo non parla mai, rispetto ai sinottici, del FdU che verrà nella
gloria. C’è un’attesa prossima, nelle lettere paoline: Cristo non è apparso nella gloria così
come si attendeva. I primi cristiani attendevano la Parusia imminente; c’è un accenno in 2Pt,
ma non si tratta di un vero e proprio “imbarazzo” dei cristiani. Essi si erano abituati al fatto
che la Parusia non si fosse verificata, compreso lo stesso Paolo.
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3.6.Un aspetto più teologico sulla Parusia: essa è già iniziata, non è un avvenimento
completamente futuro. Nel fatto che Gesù è asceso al cielo indica che l’umanità di Cristo è
glorificata. La Parusia è già iniziata, e non è solo un evento futuro: è chiaro che la gloria di
Cristo sarà definitivamente manifestata nel futuro, ma essa è già presente. Ora, questa
presenza è nascosta, ma possiamo ugualmente pregare: “Maranatha, vieni Signore Gesù.” (cfr
1Cor 16,22 e Ap 22,20).
LETTERATURA RECENTE SULLA RISURREZIONE. LEZIONE DEL 5.03.1996
1. Gerd Luedemann (in Die Auferstehung Jesu: Historie, Erfahrung, Theologie, Gottingen
1994): dalla prima pagina del suo libro, si propone di fare una ricerca storica con onestà e
libertà. Divide gli studiosi in due gruppi: quelli che si uniscono a lui nel suo scopo, e tutti gli
altri, che - per lui - sono fondamentalisti e non cercano la verità storica con onestà. Pretende di
avere una superiorità morale sugli altri che soffrono di dogmatismo, fondamentalismo ecc. La
sua epistemologia: per lui sapere vuol dire guardare semplicemente i fatti, ma questa è una
posizione alquanto ingenua.
1.2. Per lui Pietro e Paolo sono i testimoni centrali della fede pasquale, e cerca di spiegare la
loro esperienza alla luce della psicologia profonda (come Freud). Pt era in lutto, aveva tradito
Gesù, ecc..., così si sentiva profondamente colpevole. All’improvviso ebbe un’immagine
vitale di Gesù: non il maestro in persona, ma un’immagine che ha permesso che Pt uscisse
dalla sua condizione. L. si serve delle dinamiche della colpa per spiegare come Pt sia arrivato
alla nuova fede, la quale si è velocemente propagata agli altri discepoli. Per illuminare questa
reazione a catena L. si rifà a due autori: Le Bon e Renan. Si tratterebbe, così, di una
allucinazione collettiva, quella che ha coinvolto i discepoli. Ma Le Bon era assolutamente
contro la religione e assieme a Renan non costituivano una voce scientifica a proposito.
L’allucinazione poi, è una vera e propria forma di malattia mentale, non è accettabile nel caso
dei discepoli. Una ricerca valida, invece, era quella fatta da L. ad Harvard, circa la “dinamica
del dolore”, studiando alcuni casi di 43 vedove e 19 vedovi. Il valore di questa ricerca, anche
se ben fatta, non si adegua al caso di Gesù, di Pt, di Paolo e degli altri. Ci sono due
circostanze che lo dimostrano: 1) G. nel suo ministero, aveva una pretesa straordinaria: la sua
autorità eccezionale e la sua figliolanza divina. Nel caso dei vedovi di Harvard, essi erano
persone normali, senza pretese di sorta; 2) la natura della morte di G. è del tutto singolare,
rispetto alla morte dei coniugi di Harvard. La crocifissione di G. era uno scandalo terribile: vi
è dunque una differenza considerevole, che non permette di giungere ad una conclusione
significativa.
1.3. Per l’esperienza di Paolo, L. si rifà al brano di Rm 7, e L. sa benissimo che la maggior
parte degli studiosi escludono che lì si parli dell’esperienza autobiografica di Paolo. Gli
esegeti infatti hanno lasciato questo tipo di interpretazione. Paolo parla in generale, dell’uomo
non redento, bisognoso della grazia di Cristo. L., però, afferma che quell’esperienza è
personale: Paolo è visto lì come uno pieno di complessi e di conflitti inconsci, desideri
soppressi ecc.; poi giunge l’immagine di Cristo e i problemi si risolvono. E’
un’interpretazione inaccettabile. Problema: come scrivere una psicobiografia di personaggi
morti quasi 2000 anni fa? Normalmente gli storici mettono in dubbio il valore di una tale
opera: i dati sono infatti scarsissimi e si rischia la pura speculazione. La psicologia moderna
non è monolitica, ma vi sono varie scuole.
E’ un processo rischioso, da parte di L., accogliere una scuola escludendo il dialogo o il
dibattito con le altre.
1.4. Anche sulle altre osservazioni, L. non fa delle considerazioni nuove, ma ripete teorie che
altri hanno già proposto: ad es. l’esperienza del perdono come centrale.
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 23
Ad es., L. non cita mai Schillebeeckx, il quale afferma che la chiave di lettura dell’esperienza
di Pt e degli altri è il perdono. Dove troviamo questo nei Vangeli? Sembra non esserci nulla,
neanche in Paolo quando parla della sua esperienza (1 Cor 15, 5-8; 1 Cor 9,1, Gal 1, 12-16;
Fil 3,8). Lc ne accenna appena, e un po’ di più Gv. (20). Nel contesto della Pasqua, manca
dunque questa testimonianza; pertanto, se fosse veramente centrale si sarebbe trovata
maggiormente nei testi pasquali.
Inoltre, 1 Cor 15,6 per L., risale all’esperienza collettiva dello Spirito santo di At 2, 1-13.
Paolo, in 1 Cor 15, parla dell’apparizione a più di 500 persone, un’esperienza straordinaria,
che non si trova altrove. Da più di un secolo, si confronta quel testo con Lc e At: ma i numeri
e l’esperienza non coincidono. At 2 parla di un’esperienza pneumatologica, mentre 1 Cor 15
non fa questo riferimento allo Spirito. Sembra quindi una forzatura: mettere assieme At 2 e 1
Cor 15,6.
Inoltre l’esperienza della via di Damasco , L. la spiega alla luce di 2 Cor 12, 1-10. L’incontro
sulla via di Damasco avviene circa verso il 35 d.C. In 2 Cor. Paolo parla di altre esperienze: il
cuore del discorso è un viaggio “celeste”, dove lui viene rapito in Paradiso. Lì non vede
nessuno ma riferisce di aver ascoltato parole indicibili. L’esperienza di Paolo in 2 Cor è molto
diversa da quella della via di Damasco. In quest’ultimo caso egli divenne Apostolo, mentre in
2 Cor, già lo era.
Ancora, in Ap 1,9-20, Luedemann cerca di trovare il paradigma per gli incontri pasquali. Ma il
veggente di Ap non diventa un apostolo, un testimone del risorto. Quella visione funziona in
modo diverso, e non può illuminare l’esperienza postpasquale. Vi è poi che l’esperienza
postp. è caratterizzata dall’estasi e dalla luce (cfr At 10): in realtà il NT parla dell’estasi, ma
mai nel contesto dei racconti pasquali. Circa le esperienze “luminose” (cfr At 9,22-26), esse
non rientrano nel contesto pasquale. L’apparizione a Maria di Màgdala ha un’attestazione
multipla (Mt e Gv), ma L. non la accetta come esperienza storica.
1.5. Alla fine scopriamo una certa incoerenza nella teoria di L.: egli afferma che tutto è da
giudicare alla luce di ciò che è “storicamente probabile”; però le prove storiche non bastano.
Questa sua seconda affermazione può essere accettabile, perché le prove storiche non
basteranno mai per la fede: occorrono altre esperienze: la preghiera, la comunità ecc.. Circa la
fede, egli segue ciò che disse W.Marxen negli anni ’70: la morte e la risurrezione di Gesù non
aggiungono niente alla fede, ma tutto si trova già nel suo insegnamento. L’esperienza pasquale
non conterebbe dunque per la fede cristiana.
2. Caroline W. Bynum: il suo metodo è buono, servendosi non solo della Bibbia, del
Magistero, della Teologia patristica e medievale, ma investiga personalmente sull’arte, sul
culto, sulla liturgia, sulle usanze funerarie ecc.. Ci sono due conclusioni ricavabili dal suo
studio: a) vi è una certa resistenza popolare ed ufficiale a ridurre la vita nuova ad un’esistenza
puramente spirituale; b) vi è continuità tra il nostro essere terrestre e la vita da risorti. Ciò si
vede già nella storia di Gesù; per mezzo del suo corpo Gesù era in relazione con il mondo, ed
esso è risorto con lui, in tutte le sue dimensioni. Molti non sono d’accordo, e affermano che
risorgeremo in modo indifferenziato: la nostra storia terrena sarà dimenticata. C.W.Bynum
studia la risurrezione in generale, tenendo però al centro la risurrezione di Gesù.
IL FIGLIO DI DIO (LEZIONE DEL 8.03.’96)
Una delle affermazioni del credo dice: “Credo nel Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di
Dio”; ma oltre al credo abbiamo diversi luoghi dove il titolo FdD è centrale. E’ chiaro che i
titoli non dicono tutto di Gesù: occorre esaminare anche ciò che lui disse e operò. I Titoli
hanno tuttavia un’importanza anche liturgica, e servono per riassumere la nostra fede
Cristologica. Ci rivolgiamo ora tre domande:
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1. Da dove proviene tale titolo, qual è la sua origine (FdD)? Nel I sec., nel mondo romano-
ellenistico si applicava tale titolo all’imperatore, e alcuni hanno formulato l’ipotesi che i
cristiani abbiano preso dal mondo pagano-ellenistico tale titolo che poi avrebbero applicato a
G.. Ma tale titolo risale forse a G. stesso, nella sua predicazione? G. non ha parlato mai del
FdD, ma almeno per tre volte si riferisce a se stesso indirettamente come Figlio (Mc 12, 1-12,
la parabola dei vignaioli omicidi; 13, 32: “Quanto poi al giorno o a quell’ora, nessuno li
conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.”; Mt 11, 27:
“Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre...”). Possiamo
anche vedere nell’AT quale significato aveva tale titolo.
2. Il senso del titolo: alcuni vogliono interpretare il titolo FdD solo in senso funzionale: G. era
il F. nel senso che rivelava Dio, una sorta di finestra attraverso la quale possiamo vedere Dio;
la funzione salvifica dimostra che G. ci ha salvato. Ma forse è da trovare nel titolo un
elemento ontologico, intrinseco: nel linguaggio biblico, chiamare qualcuno con un nome o un
titolo rivela l’identità più intrinseca, più profonda.
3. Perché viene dato il titolo FdD a Gesù? I primi cristiani diedero questo titolo a G., ma ci si
chiede perché. Rm 1, 3-4 assieme ad altri testi, può suggerirci la risposta a tale domanda. I
primi cristiani diedero tale titolo a G. solo alla luce della risurrezione. Presi da soli questi
versetti possono far vedere che è la risurrezione a dare ragione di tale titolo. Così in At 13,33,
Lc cita i versetti del salmo (2,7): “Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato”, dove Lc applica quel
salmo all’evento pasquale, e la risurrezione è vista come una sorta di generazione di Gesù da
parte di Dio. Quel versetto da solo può suggerire che i cristiani, solo dopo la risurrezione
diedero tale titolo a Gesù.
Tale titolo potrebbe rievocare anche il ministero di G.: ricordando il G. prepasquale, il suo
operato potrebbe aver fatto sorgere tale titolo. Le tre domande non sono strettamente separate,
ma possono essere distinte. Da dove venne il titolo in questione, a che periodo risale?
1.1. Nell’AT fdD, o i figli e le figlie di D sono espressioni rare. Gli angeli sono detti fdD (Gb
2,1), ma soprattutto il profeta Osea (11,1) chiama il popolo “FdD”: il contesto originale di
Osea sta ad indicare che la figliolanza del popolo non è biologica, ma è a causa dell’elezione
divina. Ci sono altri testi in cui il popolo è chiamato con tale titolo. A volte il linguaggio è
inclusivo: i figli e le figlie. Inoltre il titolo è riferito a qualche individuo: ad es., il re, nel
giorno della sua incoronazione è detto FdD (cfr Sal 2,7 riferito a Davide; 2 Sam 7,14)). Anche
qualche individuo giusto è detto fdD (cfr Sap 2): il giusto che soffre ed è ucciso è detto fdD.
La sua obbedienza ed il suo rapporto con Dio gli ha meritato tale titolo. I Profeti non vengono
mai chiamati fdD: essi sono chiamati, mandati da Dio, ispirati dallo Spirito, ma mai chiamati
fdD. Vi è poi una domanda spinosa riguardo al fatto che fdD era già un titolo messianico: tra i
documenti di Qumran si vede che al tempo di Gesù tale titolo stava entrando come titolo
messianico. E’ naturale che se il re Davidico era detto FdD, il suo discendente, il Messia
regale, merita lo stesso titolo. Nell’AT però non è chiaro: solo con i documenti di Qumran si
nota il fatto che si inizia ad usare FdD come titolo messianico. Forse Figlio dell’Altissimo nel
primo cap. di Lc è da interpretare così: l’angelo chiama il figlio che Maria genererà in quel
modo per indicare che sarà il Messia. Vediamo anche che Dio viene chiamato Padre: mentre
il titolo fdD nell’AT si trova in qualche brano, il titolo Padre riferito a Dio è molto raro. Solo
15 volte troviamo Dio come Padre del popolo, e nel Sal 89 si dice che egli è Padre del Re, ma
mai padre di tutti gli uomini. Nel libro del profeta Isaia si usa l’espressione padre nostro,
almeno due volte, mentre padre mio si trova solo nel Sal 89, ma sono parole che Dio mette
sulla bocca del Re. Il rapporto però non è simmetrico: Dio chiama il popolo Figlio, ma Dio
non chiama Dio come Padre. Gesù, quindi prende un modo di dire dell’AT, ma gli attribuisce
un significato molto più profondo.
1.2. Il primo scritto cronologico dei cristiani risale a S.Paolo: egli usa 17 volte il titolo FdD.
Egli infatti usa molto di più i titoli Signore (Kyrios) e Cristo, ma laddove è usata l’espressione
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FdD, il brano è centrale: ad es., in Gal 4,4, Rm 1,4 ecc.. Il contesto di Paolo è dunque
importante e significativo. E’ da notare che Paolo prende tale titolo da qualche tradizione più
antica: 1 Tess 1,10 è il frammento kerygmatico, dove Paolo cita una formulazione tradizionale
in cui G. è detto FdD. Inoltre, Paolo non cerca mai di dimostrare che G. è FdD: egli lo dà per
scontato. Paolo dunque non è il primo ad attribuire tale titolo a G., ma esso apparteneva alla
tradizione primitiva.
1.3. Nei sinottici è facile trovare tale titolo: abbiamo detto prima che G. non parla mai
direttamente di se stesso come FdD, ma per tre volte indirettamente si definisce come Figlio.
Mt 11 e Mc 12 (contesto pubblico) e Mc 13(contesto dell’insegnamento privato di G.) sono i
tre testi sopra citati. Mc 13, 32 è un testo imbarazzante poiché G. afferma di non sapere l’ora
ultima: solo il Padre ne è a conoscenza. G. sembra riconoscere un limite alla conoscenza del
Figlio. Mt 11,27 è un’espressione semitica che evidentemente risale a G. stesso, che conosce
il Padre e viceversa: conoscenza mutua ed esclusiva.
1.4. Nei sinottici alcuni chiamano G. Figlio di Dio: per Mt (16,16), Pt non solo dice a Gesù
che è il Messia, ma aggiunge Figlio del Dio vivente. Il Vangelo di Mc raggiunge il suo
culmine con la confessione del centurione (Mc 15,39); gli spiriti maligni lo riconoscono come
il Figlio; la voce di Dio stesso nel Battesimo e nel giorno della trasfigurazione, chiama G. il
Figlio di Dio. Durante il ministero di G. qualche uomo lo ha riconosciuto veramente come
FdD? E’ probabilmente da dubitare. I discepoli lo hanno forse riconosciuto come Messia; altri
lo riconoscono come profeta escatologico e maestro, ma non è probabile che lo abbiano
riconosciuto come FdD. Dopo la risurrezione i cristiani cominciarono presto a riconoscere G.
Come FdD, ma non così durante la sua vita terrestre.
1.5. Vi è nei sinottici il titolo di Dio come Padre: G. parla abbastanza di Dio come Padre:
“Padre mio”, “il padre vostro celeste”, ma quest’espressione di Matteo pare che non si possa
attribuire a G. stesso. Nonostante tutto è chiaro che G. parlava di Dio come Padre. Egli
distingueva la propria figliolanza da quella dei discepoli: i discepoli ricevono la loro
figliolanza da G.. Il titolo aramaico “Abbà” si trova nei Vangeli una sola volta (Mc 14,36) al
Getsemani, ed indica il rapporto intimo tra padre e figlio. E’ un’espressione insolita, poiché
non abbiamo nessun caso in cui prima di G. qualcuno abbia chiamato Dio come Abbà.
Evidentemente quest’uso tipico di G. ha spinto gli altri cristiani a fare lo stesso: in Gal 4,6 e in
Rm 8,15-16 vi sono due riferimenti al cristianesimo primitivo che adotta tale titolo. Ma G.
chiamava in altri momenti Dio come Abbà? Sembra di si. In Mt 6,9; 11, 25-26; 16,17 e Lc
11,2 dietro la parola greca si cela l’espressione aramaica Abbà. Purtroppo Mt e Lc hanno tolto
l’espressione aramaica quasi sistematicamente. Lc toglie tutte le espressioni aramaiche che
prende da Mc (vedi la risurrezione della figlia di Giàiro): in Mc ci sono alcune espressioni in
aramaico che sembrano risalire a G. stesso. Solo due termini aramaici sono rimasti in Mt 21, 9
(Osanna) e 27,33 (Gòlgota). La figliolanza di Gesù era dunque unica ed esclusiva e il testo di
Mt 11,27 è centrale. Inoltre, G. invita i discepoli ad entrare in una nuova famiglia, dove essi
diventano suoi fratelli, accettando Dio come Padre: la loro figliolanza dipende da G. (Lc
22,29-30) ed è diversa dalla sua. A tale proposito colpisce la predicazione di Gesù e la
teologia di Paolo e Gv. Paolo mantiene la distinzione di G. stesso e dice che noi siamo figli e
figlie adottivi (Rm8,14-17, Gal 4, 5-7). Gv esprime la distinzione usando vari termini: solo G.
è il huiòs (il Figlio), mentre noi siamo tèkna.
2.1. Il titolo FdD non è semplicemente funzionale ma senz’altro indica qualcosa in più:
indubbiamente il NT mette in rilievo la funzione di G. che rivela il Padre a quelli che credono,
in quanto come Figlio si comporta come salvatore. La sua funzione rivelatrice e salvifica
implica qualcosa di ontologico: G. agisce come figlio perché lo è!
2.2. Passando a Paolo possiamo notare che egli parla di G. come FdD nella sua esistenza
risorta: potremmo coniare il termine post-esistente per indicare l’esistenza del G. risorto e
glorificato che crea la nuova famiglia escatologica (cfr Rm 8,3-32 dove Gesù è il primogenito
risorto post-esistente che introduce nella nuova famiglia escatologica di Dio tutti i battezzati).
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Allo stesso tempo nelle lettere di Paolo c’è anche la pre-esistenza del Figlio: non è molto
sottolineata da Paolo, però vi è qualche riferimento all’attività nella creazione (1Cor 8,6), e la
successione missione nel mondo per rendere gli uomini partecipi alla nuova famiglia
escatologica (Gal 4,4-7). Si capisce abbastanza bene la figliolanza divina di G. nelle lettere di
Paolo alla luce di questi due termini: postesistente e preesistente.
3.1. I cristiani riconobbero G. come FdD indubbiamente alla luce della risurrezione; però essi
non dicono che G. divenne FdD risorgendo dai morti: questa è l’interpretazione ortodossa.
Alcuni infatti sostengono che la figliolanza divina iniziò soltanto con la risurrezione e
l’esaltazione, citando i primi versetti della lettera ai Rm. Ma in quella stessa lettera Paolo dice
chiaramente che G. era già il Figlio nella sua missione “economica” (Rm 8,3.32). Un
problema analogo lo abbiamo in Lc, quando applica a G. il versetto del Sal 2,7: Lc vuol
leggere la risurrezione come una nuova generazione. Lc più volte chiama G. FdD, fin dal
primo capitolo, e di certo non è incoerente e non vuol affermare che è la risurrezione a creare
la figliolanza divina. Gesù con la morte e la risurrezione e la discesa dello Spirito santo, anche
se lo era sin dall’inizio, diviene il Messia efficace. Infine, i primi cristiani riconobbero G.
come FdD per due motivi: nella risurrezione essi sperimentano il potere salvifico di G., e
diventano Figli nel Figlio per mezzo dello Spirito santo; inoltre essi ricordano, nella sua vita,
come G. si comportasse da Figlio nelle sue parole e nelle sue opere.
GESU’ COME SIGNORE (LEZIONE DEL 9.03.’96)
1. E’ il titolo che esprime bene la fede Cristologica dei primi cristiani: Il titolo Kyrios risale
agli inizi del cristianesimo. Eppure in diverse Cristologie recenti tale titolo è spesso
trascurato. Alcune Cristologie recenti non hanno nulla da dire su Gesù Signore. La preghiera
in aramaico citata da Paolo in 1 Cor 16,22 dice “maranà tha”, ossia “vieni Signore”, la stessa
invocazione che si trova in Ap 22,20. Essa esprime la speranza tra i primi cristiani di vedere il
Signore Gesù nel suo ritorno glorioso. Non si pregava “vieni FdU”, il titolo che G. stesso si
attribuiva come giudice escatologico (Mc 13,26 e Mt 25,31), ma “vieni Signore Gesù”.
2. La prima lettera cristiana è 1Tess, il capolavoro di Paolo, dove il titolo kyrios è usato 24
volte: certo le statistiche non sempre dicono cose significative, ma qui per essere la prima
lettera di Paolo vuol dire che tale titolo ha un senso forte, divino, senza doverlo giustificare al
destinatario ma ritenendolo scontato. In tutte le sue lettere Paolo applica tale titolo a Gesù 230
volte: però non si sa se a volte kyrios è G. o il Padre. Paolo si serve di una tradizione pre-
paolina, citando cioè espressioni precedenti (Rm 10,9 e Fil 2,11). Si usa in proposito il
metodo diacronico: leggendo le sue lettere si vede come Paolo si rifà al periodo precedente in
cui G. viene chiamato Signore.
3. Paolo stesso inizia normalmente le sue lettere con un saluto di augurio: in primo luogo si
nota la continuità tra Gesù e Paolo dicendo che Dio è Padre. Paolo non usa nel suo saluto
l’espressione Abbà, ma chiama Dio Padre, portando avanti l’abitudine del Gesù prepasquale.
Il linguaggio di Paolo non è sempre così: Gesù predica il Regno di Dio, ma Paolo ne parla
poche volte. Non vi è quindi continuità tra Paolo e Gesù nel caso del Regno. In secondo
luogo, G. viene chiamato non Figlio ma Signore: “grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro e
dal Signore G. Cristo”. Paolo mette assieme Dio Padre e il Signore G. Cristo come la sorgente
di pace e di grazia: ma cosa vogliono dire questi due termini? Grazia e pace indicano la
pienezza della salvezza, quella shalom che viene concessa a chi crede.
4. In 1Cor 8,6 vi è un’affermazione molto importante che riguarda la preghiera ebraica detta
“Shemà” (Dt 6,4-5: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo”): essa è
trascurata dalle recenti Cristologie, ma Paolo la sottolinea. Paolo prende questa preghiera, la
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divide e pone Gesù al centro. Egli afferma che “c’è un solo Dio, il Padre ... e un solo Signore
G. Cristo, per mezzo del quale esistono tutte le cose”; in altre parole Paolo divide la
professione monoteistica ponendo Gesù Signore al fianco di Dio Padre: diventa così un
monoteismo Cristologico. E’ una posizione audace che Paolo prende senza esitazione: c’è un
solo Dio e un solo Signore. Inoltre, Cristo Signore è il mediatore della creazione: altra
affermazione audace. Per mezzo del Cristo esistono tutte le cose: la creazione è opera divina
poiché solo Dio crea, e attribuirla al Cristo vuol dire riconoscergli una prerogativa divina. Ma
in 2Cor 5, 17, i cristiani sperimentavano già la nuova creazione, e confessavano G. come
agente della prima creazione. Paolo dà anche lì per scontato che G. è creatore di tutte le cose.
5. Una questione terminologica è insita nel termine stesso kyrios: nel greco biblico a volte ha
un significato divino, a volte umano. E’ ciò che accade anche oggi nelle lingue moderne. Nel
caso di Paolo, normalmente kyrios ha un significato “alto” come nell’AT, dove Kyrios (o
Adonai) indicava il nome sacro di Dio, Jahvè. Dio era quindi il sovrano assoluto del Cosmos.
A volte Dio è detto “Signore degli eserciti”, un’espressione molto forte per dire che egli è
sovrano di tutte le forze cosmiche. Nei Vangeli sinottici il titolo Kyrios può essere sia alto che
basso: tra i due estremi ci sono varie possibilità; può indicare il padrone, l’insegnante ecc.. I
casi chiari dell’uso alto si trova in Fil 2,11 o in Gv 13 e 21, Gv 20,28 dove Tommaso chiama
G. “mio Signore e mio Dio”. E’ da sottolineare che il senso alto del termine kyrios si trova già
prima dei Vangeli, nella tradizione prepaolina (cfr Fil 2,11). Alcuni infatti ritengono
erroneamente che all’inizio il titolo kyrios ha senso basso, assumendo sempre più il suo valore
alto.
6. Consideriamo due espressioni che hanno uno sfondo interessante nell’AT: la parola del
Signore e il nome del Signore. Circa la parola del Signore, i profeti dell’AT fanno spesso
appello a questa espressione; dicono infatti: “parola del Signore...” a cui segue l’oracolo e
viceversa. Nel NT a volte si usa la stessa espressione, specie nelle lettere di Paolo e in
particolare nel libro degli Atti. Cosa significa la parola del Signore nel libro degli Atti? E’ il
messaggio del Cristo; è un messaggio su di lui, poiché è lui il contenuto della predicazione ed
è anche il punto di partenza: è Cristo la sorgente della buona novella. Lc usa in At
l’espressione “parola di Dio” (At 8,25) in riferimento a Cristo, espressione che ha il suo
riscontro nel’AT. In 1Tess 1,8, Paolo parla della parola del Signore volendo indicare che il
Cristo crocifisso è risorto.
7. Un caso analogo riguarda l’espressione il Nome del Signore: nell’AT la salvezza viene dal
nome del Signore. E’ il caso del profeta Gioele (Gl 3,5) che afferma: “Chiunque invocherà il
nome del Signore sarà salvato”. Paolo prende quell’espressione e la applica a Cristo: all’inizio
della 1Cor 1,2 per salutare i Corinti. Per essere salvati, nel NT, bisogna invocare il nome del
Signore Gesù. Paolo continua applicando a Cristo proprio l’espressione del profeta Gioele in
Rm 10,13. Chi è il Signore in questo brano della lettera ai Romani? Certamente è il Cristo
risorto e non il Padre.
8. Ci sono diversi brani dell’AT che si riferivano a Dio come Signore e che nel NT vengono
applicati a Cristo: è il caso di Fil 2, 10-11 dove troviamo la chiara eco di Isaia 45,23 (“davanti
a me (Jahvé) si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua”). La lettera agli Ebrei
(non si tratta di una lettera quanto piuttosto di un discorso omiletico, un’omelia) soprattutto
all’inizio (1, 10-12) cita il Salmo 2,7 (“Tu sei mio figlio...”), per applicare a Cristo quel
linguaggio che nell’AT veniva applicato a Dio (Cfr Eb 1, 10-12 Sal 102, 26-28 ).
9. Il titolo usato dell’Apocalisse (Ap 17,14 e 19,16) per Gesù è Signore dei Signori e Re dei
Re; nel contesto, il libro dell’Ap parla di Roma, dei sette colli e dei sette Re (dal punto di vista
storico). Ma il numero 7 è anche simbolico: indica totalità, perfezione. Per cui quel numero
indica tutti i re terrestri: Gesù è il sovrano di tutti i re terrestri.
10. Cristo domina anche sugli Angeli: per il NT è importante far vedere che il Cristo è il
sovrano assoluto (Cfr Fil 2,10: “Ogni ginocchio si pieghi nei cieli...”). Anche in Eb 1-2,16, si
parla degli angeli che sono sottomessi a Gesù, Signore degli Angeli. In Ap 5, 11-14, tutte le
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creature del cielo e della terra adorano il Cristo: è una visione cosmica della sovranità del
Cristo, il quale merita la stessa adorazione che si deve a Dio. E’ interessante in Ap il parallelo
tra l’adorazione a Cristo e a Dio: il linguaggio converge. Gesù è dunque il Signore del
Cosmos.
11. Gesù è anche il Signore del tempo e della storia. Un esempio interessante è quello del
Giorno di Jahvé. Ci sarà il giorno di Dio, il giorno del Signore, quando Dio giudicherà i
peccatori e manifesterà la sua gloria divina, ristabilendo il popolo di Dio. Sempre più dunque
vi era nell’AT l’attesa di quel giorno. Nel NT quest’idea è applicata a Cristo, così il Giorno di
Jahvé diventa la Parusia, ossia il giorno del ritorno glorioso del Cristo. Paolo in 1Cor 1,8 e
5,5 applica al Giorno di Gesù Cristo l’idea del Giorno di Dio. Si parla anche del giorno del
FdU (Lc 17,24-30).
Altri titoli applicati a Cristo
1. Alfa e Omega: nell’AT, il deutero-Isaia (41,4; 44,6) chiama il Signore il Primo e l’Ultimo.
Molti interpretano questi titoli nel senso di Creatore (Primo) e di Sovrano di tutta la storia
(Ultimo): Dio è l’ultimo nel senso che guiderà la storia fino alla fine. Nel libro
dell’Apocalisse, Gesù viene anche detto l’Alfa e l’Omega (Ap 1,17; 2,8; 22, 13): è un titolo
alto, divino, pertanto Gesù come Dio è colui che guida la storia.
2. I vari titoli esaminati (FdD, Signore, Messia, Profeta, ultimo Adamo...) sono certamente
titoli maschili, ma ve ne sono altri neutrali ed altri addirittura femminili. Alfa ed Omega ,ad
es., è un titolo neutrale; Sapienza è un titolo “femminile”: sappiamo infatti che nell’AT la
Sapienza divina è raffigurata come una donna che invita tutti al suo banchetto. Nell’AT ci
sono queste immagini femminili per Dio, ed il NT lo riprende nel modo di parlare di Gesù. Un
esempio per eccellenza è Lc 13,34, dove Gesù parla di sé come una Chioccia che vuole
raccogliere i suoi pulcini. E’ un’immagine molto apprezzata nel Medioevo. Ricordiamo infatti
che nell’AT Dio si è presentato a volte come un’aquila che protegge il suo popolo: Gesù
addolcisce quell’immagine, con un ritratto più domestico, prendendo spunto dalla Chioccia.
GESU’: SALVATORE E DIO (LEZIONE DEL 12.03.’96)
1.1. Nell’AT al centro della fede vi era l’idea di Dio che salva: era l’esperienza comunitaria
della liberazione d’Israele dall’Egitto, il ritorno dall’esilio babilonese, ecc.. Dio era visto come
il Salvatore. Anche a livello individuale, nei Salmi, si nota il ringraziamento da parte di
uomini giusti: essi a volte protestano, si lamentano con Dio, ma alla fine lo ringraziano perché
Jahvé è un Dio che salva.
Non solo Dio, ma anche alcuni uomini dell’AT vengono definiti con l’aggettivo di
“salvatore”: uno dei più famosi è Giosuè, il cui nome vuol dire appunto “Dio salva”. In
ebraico, infatti, Giosuè è omonimo a Gesù.
Nel NT il titolo “salvatore” è riservato a Dio, oppure a Gesù (compare rispettivamente 8 e 16
volte): la tradizione cristiana riprende quindi l’uso dell’AT. Il CCC dimostra una certa
preferenza del titolo “salvatore” (45 v.) rispetto a “redentore” (15 v.).
1.2. Gesù è detto Signore e Salvatore: sin dalla sua nascita (cfr Lc 2,11), l’angelo annuncia la
buona novella ai pastori, e dice che colui che nascerà sarà il Salvatore. Maria, inoltre, dà lei il
nome a Gesù, che significa Dio salva. Nel Vangelo di Mt è Giuseppe a dare il nome a Gesù,
ed anche qui si spiega il significato del nome. Il NT usa i titoli Signore e Salvatore diverse
volte: il binomio non è frequente, ma accompagna tutta la vita di Gesù, dall’annuncio
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dell’angelo a Maria in poi. In 2 Pt 3,2, tale binomio si associa all’insegnamento di Gesù. Un
altro esempio della stessa lettera (2 Pt 2,10), si riferisce alla conoscenza dei fedeli in Gesù.
Conoscere vuol dire fare esperienza, ed è questo che il NT intende: un’esperienza personale,
vitale. In 2 Pt 2,10, Gesù è sperimentato come Signore e Salvatore. Nella Parusia (Fil 3,20 e 2
Pt 1,11) si vede ancora che Gesù nel suo avvento finale sarà il Signore e il Salvatore
dell’umanità.
2.1. Il binomio Dio e Salvatore si trova nel NT più volte: in 2 Pt 1,1 si legge: “la giustizia del
nostro Dio e (del) Salvatore Gesù Cristo”, e sembra essere questa la traduzione più probabile,
dove i titoli vengono attribuiti entrambi a Gesù; però si potrebbe tradurre mettendo fuori
parentesi il del: in quest’ultimo caso si farebbe la distinzione tra il Padre ed il Figlio. Lo stesso
dubbio si ha in Tt 2,13, dove si parla della manifestazione della gloria del nostro Signore Gesù
Cristo: anche qui si può pensare ad una eventuale distinzione tra il Padre ed il Figlio, ma è
improbabile poiché il contesto è quello della Parusia.
Un altro esempio del binomio è in 2 Tess 1,12: si potrebbe dividere “il nostro Dio (Padre) e
Signore Gesù Cristo”, ma il contesto della lettera è il saluto iniziale, dove Paolo parla della
grazia che proviene da Dio Padre e da Gesù.
2.2. Rm 9,5: Paolo mette assieme i 7 privilegi del popolo d’Israele. Il problema sta nella
punteggiatura, che ovviamente manca nel codice originale:
1) “da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio
benedetto nei secoli”;
oppure:
2) “....carne. Dio che è sopra ogni cosa, sia benedetto nei secoli.”.
Nel testo originale, dunque manca la punteggiatura, introdotta poi nel corso dei secoli. Il
Codex Vaticanus (IV sec.), mette il punto lì dove è nella 2a ipotesi, separando così Cristo da
“Dio benedetto nei secoli”. Cosa possiamo dire in proposito? Molti Padri della Chiesa
leggevano Paolo secondo la 1a ipotesi: Gesù, secondo questa interpretazione, è quel “Dio
benedetto nei secoli”. Oggi, invece, gli esegeti sono dubbiosi: Fitzmyer cerca di valutare i pro
ed i contra delle due posizioni, esaminando così il Cristo secondo la carne e secondo la sua
divinità. Riporta, a tale proposito, un altro brano di Paolo, Rm 1,1 ss., dove si parla di Gesù in
modo analogo a Rm 9,5. Ci sono però delle difficoltà, perché Paolo normalmente dice Theòs
riferendosi a Dio Padre. Ma è chiaro che nulla esclude che siamo di fronte ad un’eccezione,
come in Fil 2, 6. Normalmente Paolo rivolge le sue dossologie a Dio Padre; ma nel NT c’è
qualche eccezione, come in Eb 13,21, dove la dossologia è rivolta a Gesù.
In definitiva, in quel caso la dossologia di Paolo si riferisce a quanto lui ha già detto in
precedenza: Paolo stava parlando di Cristo secondo la carne.
In 1 Cor 11,3, il capo di Cristo è Dio Padre, colui che è sopra ogni cosa; ma vi sono delle
eccezioni: Fil 3,21 dice che Cristo ha il potere di sottomettere a sé tutte le cose. Forse la
conclusione più probabile è quella di leggere il versetto precedente in riferimento a Cristo, ma
è solo una probabilità.
2.3. Eb 1,8-9: completa il nostro quadro. L’autore della lettera cita due Salmi:
“Il tuo trono Dio sta in eterno
scettro giusto è lo scettro del tuo Regno;
hai amato la giustizia...”
questo Salmo (45, 7-8) viene messo sulle labbra del Padre, così come:
“Tu, Signore, da principio hai fondato la terra
e opera delle tue mani sono i cieli.
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Essi periranno...”
è il Salmo 102, 26-28, e si riferisce al Figlio, che è Dio eterno e creatore.
2.4. Il Vangelo di Gv per due volte parla di Gesù come theòs (Gv 1,1 e 20,28); forse in Gv
1,18 si parla per la terza volta di Gesù ugualmente come theòs, poiché nel manoscritto che
risale al II sec., si parla di Dio Unigenito e non di Figlio Unigenito, ed è forse la lectio più
probabile.
2.5. Il NT riserva dunque il titolo theòs a Dio Padre, ma con delle eccezioni, che vedono tale
titolo applicato a Gesù. Il NT, inoltre, attribuisce a Gesù altri titoli: A e , Lògos, ecc..
3.1. Il NT riconosce la divinità di Cristo descrivendolo come esaltato e seduto sul trono alla
destra del Padre (cfr Mc 14,62; Ef 1,20 ...)
3.2. Il FdU verrà con “le nubi del cielo” (Mc 14,62): è un’immagine tipica dell’AT, con le
nubi, gli angeli, il trono di gloria, segni e testimonianza della divinità di Gesù. Vi è inoltre un
senso totalizzante: Dio so rivolgerà a tutti gli uomini e a tutte le nazioni. Questo linguaggio
totalizzante esprime il dominio universale di Dio.
3.3. Il termine =gloria, è rivolto a Dio (Lc 2,14; Fil 2,11) ma anche a Cristo: 1 Cor 2,8
ma soprattutto Ap 5,13 dove l’Agnello immolato riceve la stessa gloria che è rivolta a Dio.
3.4. Il verbo proskunèo = adorare, riceve il suo significato nel contesto in cui è inserito. Ad
es., Mt 4,10, alla fine delle tentazioni nel deserto, Satana invita Gesù ad adorarlo: Gesù gli
risponde citando Dt 6,13, dove si riconosce che solo Dio merita adorazione. Ma nel caso di
Gesù può significare solo rispetto: nel Vangelo di Mt si trovano tali esempi. In altri casi quel
verbo ha il senso più forte, di vera adorazione (Mt 2,2.8.11). Alla fine del Vangelo di Mt, le
donne e poi i discepoli adorano Gesù risorto (Mt 28,9-17). Anche Mt 14,33, quando Gesù
cammina sulle acque, riceve adorazione dai discepoli. Vi è quindi un’inclusione tra Mt 2 e Mt
28, con l’adorazione degli angeli all’inizio e dei discepoli alla fine.
3.5. L’ultimo esempio del riconoscimento dato a Gesù nel NT è il titolo di Sposo. Nell’AT era
Dio e Dio solo lo sposo del suo popolo (Os 2,19; Is 54,4-8; 62, 4-5; Ez 16, 7-63). Nel NT,
forse Gesù nel suo ministero si è rivelato come sposo, anche se non tutti i biblisti sono
d’accordo. Il brano più forte è Mc 2,18-20: risale probabilmente a Gesù stesso, ma in ogni
modo tutto il NT parla di Gesù come lo Sposo (v. Paolo e Gv in Ap 19,7; 21,2). Il punto
decisivo è che il Messia non è mai identificato come lo sposo: il Messia sacerdotale e regale
non è mai definito come lo Sposo, titolo riservato al solo Dio. L’asserzione di vedere il
Messia come sposo è solo un’ipotesi: di certo si esprime però in modo bellissimo l’identità del
Signore.
GESU’, LO SPIRITO E IL DIO TRINO (LEZIONE DEL 15.03.’96)
Prendiamo in considerazione alcune formule trinitarie del NT:
1.1. La formula battesimale che rimane normativa, Matteo la pone sulle labbra di Gesù: “Nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19). Anche Paolo parla di essere
battezzati in Cristo Gesù, ma non riporta la stessa formula di Mt (cfr Rm 6,3 e 1 Cor 6,11).
Solo successivamente la formula verrà elaborata fino alla formula riportata da Mt 28,19.
1.2. S.Paolo, nell’augurio finale di 2 Cor 13,13 scrive: “la grazia del Signore Gesù Cristo,
l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”, dove la formulazione è
chiaramente trinitaria. La formulazione è precedente, e Paolo la adotta prendendola dalla
tradizione anteriore. L’ordine che Paolo usa in questa lettera è: Gesù, il Padre e lo Spirito.
Inoltre, non si dice, come in Mt, nel nome di Gesù, del Padre,..., che ci riporta alla Signoria
delle tre persone della Trinità, ma Paolo parla della grazia, dell’amore, della comunione.
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1.3. Altre formulazioni ternarie di Paolo si trovano, ad es., in 1 Cor 12, 4-6:
“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità
di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma
uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.”
L’ordine delle persone è ancora cambiato: prima lo Spirito, poi Gesù, infine il Padre. Il
contesto è la sorgente dei carismi della comunità: tutto deriva dal Padre per l’utilità comune,
quindi Paolo non sta facendo un trattato di trinitaria. Si veda anche in Ef 2,18.
2. Il rapporto tra il Figlio e lo Spirito
2.1. Nell’AT si parla dello Spirito di Dio sotto forma di vento, soffio di vita, ispiratore dei
profeti: tale dono, dato ai profeti, non era sempre stabile e poteva essere transitorio, a
differenza del sacerdozio. Lo Spirito, il Verbo e la Sapienza sono praticamente modi sinonimi
di esprimere l’attività potente e rivelatrice di Dio nel mondo: un esempio si può trarre dal Sal
33, 6: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro
schiera”, dove parola e soffio hanno significato parallelo, pressoché equivalente. In Gen 1, 3-
31, Dio parla e le cose esistono: la centralità di questo brano è del logos. Invece, nel Sal 104,
30 (“Mandi lo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra.”) è lo Spirito che rende
possibile la creazione. Spirito e Sapienza sono due altri modi sinonimi di parlare dell’attività
di Dio nel mondo.
L’espressione Spirito santo è rara nell’AT, e compare solo in alcuni casi, come Is 63,10-11;
Sal 51,13, ecc.. Nei frammenti non canonici ritrovati a Qumran, si trova invece più volte
l’espressione “Spirito santo”.
2.2. Nel ministero di Gesù si vede l’azione dello Spirito santo: “lo Spirito santo lo sospinse
nel deserto ...”(Mc 1,13); in Lc 4,14: “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito
santo...”. Le guarigioni e gli esorcismi vengono operate nella potenza dello Spirito. I sinottici
presentano lo Spirito santo allo stesso modo dei profeti, almeno per ciò che riguarda l’attività
prepasquale di Gesù. Inoltre, Gesù rivela il senso e la consapevolezza della sua figliolanza, ma
non dimostra la stessa consapevolezza speciale nei confronti dello Spirito. Questo stato di
cose cambia con la risurrezione, e quasi di instaura un legame “maggiore” tra Gesù e lo
Spirito. Inoltre, Gesù ed il Padre mandano lo Spirito: solo Dio può mandare lo Spirito, e con
la risurrezione Gesù mostra anche questa sua prerogativa divina.
3. Cristo risorto e lo Spirito.
3.1.1. Paolo non nega, ma allo stesso tempo non dice apertamente che Gesù ha mandato il suo
Spirito (cfr Gal 4,4ss; 2 Cor 1,22; 5,5; Rm 5,5). Paolo usa il passivo teologico per dire che
comunque lo Spirito è inviato da Dio. Nelle sue lettere Paolo dice: “Lo Spirito di Dio” (Rm
8,9; 1 Cor 2,11.12.14) e lo “Spirito di Cristo” (Rm 8,9; Gal 4,6): come va interpretato questo
genitivo? E’ infatti equivoco: forse vuol dire lo Spirito che viene da Dio, che è inviato da lui.
Il genitivo indicherebbe quindi origine o provenienza. Ma potrebbe essere un genitivo di
identità, come quando diciamo “la città di Roma”, nel qual caso le espressioni precedenti
significherebbero: “Lo Spirito che è Dio...che è Cristo”. In ogni modo, dobbiamo riconoscere
che Paolo non dice mai espressamente che il Cristo risorto ha mandato lo Spirito.
Paolo ci dà anche una descrizione dello Spirito come persona (cfr Rm 8,16 “Lo Spirito attesta
al nostro spirito che siamo figli..”; 8,26: “Lo spirito viene in nostro aiuto...intercede con
insistenza per noi, con gemiti inesprimibili”): solo una persona può compiere determinate
azioni, e non una forza o una potenza. Anche in Paolo l’espressione “Spirito santo” è rara, e
viene usata solo 13 volte nelle 7 lettere riconosciute come autentiche di Paolo (Rm, Cor, Gal,
Ef, Fil, Tess, Filemone), mentre l’espressione “Spirito” viene riportata più di 100 volte.
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 32
3.1.2. Il Vangelo di Luca: Egli dice chiaramente che lo Spirito è stato inviato da Gesù risorto
(v. At 2,33);
3.1.3. Anche Gv dice lo stesso: c’è una promessa nell’ultima cena e poi, dopo la risurrezione,
vi è l’effusione dello Spirito, secondo lo schema promessa-compimento, così come in Lc.
L’unica differenza è che Lc parla per oltre 50 volte dello “Spirito santo” (Lc+At), mentre Gv
solo 4 volte.
3.2.1. Lc e Gv presentano Gesù come mandante e mandato: essi convergono nel dire che lo
Spirito non è il dono esclusivo del Figlio, poiché Gesù stesso lo riceve dal Padre. Qual è allora
la distinzione tra il Cristo e lo Spirito? La distinzione Padre - Figlio è chiara, mentre Lc e Gv
non distinguono sempre così chiaramente tra il Mandante (=Gesù) e il Mandato (=lo Spirito).
Ad es., At 9,10-16 (o 18,9-10; 22, 17-21) dice che Gesù risorto guida i suoi ministri; ma nello
stesso libro è anche lo Spirito che guida gli Apostoli (At 8, 29; 10,19; 16,6). Luca passa quindi
indifferentemente da un modo di parlare all’altro. In At si trova anche l’espressione “Lo
Spirito di Gesù” (At 16,7), mettendo in stretto rapporto lo Spirito e Gesù risorto. Lo stesso
problema si trova in Gv che non sempre distingue chiaramente tra Gesù risorto e lo Spirito.
Ad es., dal cap. 13 di Gv, Gesù parla della venuta dello Spirito, promettendo allo stesso tempo
il suo ritorno.
3.2.2. Paolo usa due espressioni per parlare della vita nuova di coloro che sono giustificati: lo
Spirito abita in noi (Rm 8, 9.11.16 e 5,5), espressione che praticamente coincide con quella
del Gesù risorto nel quale siamo incorporati (Rm 6,3.11.23; 16,11 ecc.). Lc, Gv e Paolo
parlano quindi di Gesù e dello Spirito alludendo quasi ad una identificazione o convergenza,
cosa che chiaramente non avviene.
3.2.3. E’ evidente però che il NT non identifica il Cristo risorto con lo Spirito: ad es., nel
concepimento verginale di Maria (Lc 1,35), Gesù è concepito per mezzo della potenza dello
Spirito (Lc 1,35; Mt 1,20) e non viceversa; in Gv 1,14 si legge che il Verbo si fece carne, non
lo Spirito; Dio mandò il proprio Figlio “in una carne simile a quella del peccato” per
distruggere il peccato (Rm 8,3), dandolo alla morte (Rm 8,32). E’ il Figlio che è consegnato
alla morte, non lo Spirito. Risorgendo dai morti, Cristo diventa “il primogenito tra molti
fratelli” (Rm 8,29) e la “primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20): non è lo Spirito il
primogenito della nuova famiglia escatologica, ma solo Gesù. Infine, solo nello Spirito
possiamo dire che Gesù è il Signore (1 Cor 12,3), poiché è lo Spirito che ci porta a Cristo e
non viceversa.
Riassunto: tornando all’augurio che Paolo fa in 2 Cor 13,13, si nota come questo racchiuda
tutto il tema della salvezza. Si parla della causa e delle conseguenze della storia della
salvezza: la causa è caratterizzata dalla grazia e dall’amore; gli effetti sono la Koinonia dello
Spirito santo, la creazione cioè della nuova comunità nella comunione dello Spirito santo. La
salvezza è dunque il tema centrale, che i primi Padri riprenderanno in esame: in Gesù, il Dio
tripersonale si rivela come il Dio per noi, che agisce con grazia e amore, creando una nuova
comunità e comunione con noi.
TESI 6: Il contributo cristologico di uno dei Padri seguenti:
Giustino, Ireneo, Tertulliano o Origene
P E R I O D O P A T R I S T I C O
La panoramica fino a CALCEDONIA (451 D.C.)
Ci poniamo tre domande:
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 33
1) Quale esperienza salvifica ha reso possibile nei Padri la nascita di una dottrina
Cristologica?
2) Qual è stata l’importanza della Bibbia per coloro che hanno poi scritto trattati Cristologici?
3) Qual è il contesto in cui essi hanno insegnato la loro Cristologia? La Bibbia, infatti, è letta
in un determinato contesto, ed è questo che vogliamo anche considerare.
1.1. L’esperienza alle spalle dell’insegnamento Cristologico riguardava la salvezza, ossia della
nuova vita ricevuta per mezzo di Gesù, nello Spirito. I primi cristiani sperimentavano in
qualche modo la “deificazione”, cioè la partecipazione alla vita divina. In 2 Pt 1 si fa
riferimento esplicito a quest’idea centrale dell’insegnamento Cristologico. Se questo è
l’effetto che sperimentiamo - dicevano essi - chi è allora Gesù? Chi è lo Spirito santo (cause
di tutto ciò)? Si passa quindi dal Cristo “pro nobis”, al Cristo in sé.
1.2. Così viene formulata la frase di S.Ireneo: “Dio diventa uomo, affinché noi diventiamo
Dio” (cfr anche Atanasio, Basilio, Cirillo). Troviamo questa espressione ai primi vespri del 1°
gennaio: è l’ “admirabile commercium” tra Dio e l’uomo. Lo stesso concetto lo ritroviamo
espresso, ad es., nella formula recitata dal sacerdote quando versa nel calice una goccia
d’acqua.
1.2.1. Dio, dunque, diventa uomo. Per operare la nostra salvezza e divinizzazione, l’agente
deve essere simultaneamente divino e umano. S.Atanasio spiega la necessità della natura
divina del Figlio, perché egli è l’agente della creazione, e solo lui può essere l’artefice della
nuova creazione per mezzo della grazia. C’è dunque parallelismo tra la prima creazione e la
nuova. Un sec. dopo, Cirillo d’Alessandria interpretò diversamente lo stesso assioma
riferendosi alla filiazione: noi diventiamo figli adottivi nella nuova creazione, e ciò non è
possibile se non attraverso il “Figlio naturale”, realmente divino, che ci rende partecipi della
sua figliolanza. Cirillo parte dall’effetto (cioè, dall’esperienza dell’essere figli), per risalire
alla causa: Gesù è anche uomo e non solo Dio.
1.2.2. Dio diventa uomo: “Quod non est assumptum non est sanatum” (Gregorio Nazianzeno,
Epist., 101). La salvezza implica guarigione, anticipata dai miracoli in vista della salvezza
eterna. Noi sperimentiamo così la guarigione, dice Gregorio, la cui causa deve aver assunto
pienamente la natura umana. Gregorio non è l’unico a dire questo: già Origene e Tertulliano
avevano proposto lo stesso assioma.
Nel Vat II, in AG 3, nota 4, vi è un lungo riferimento a questo principio prediletto dai Padri:
“Quod non est...”. Basilio, Leone Magno, ecc., dicono che la redenzione è una sconfitta e una
vittoria dal di dentro: Gesù sconfigge il demonio che agiva all’interno della nostra umanità, e
vince la morte. Il Cristo è il redentore che nella sua piena umanità vince questa battaglia.
2.1. Per ciò che riguarda la seconda domanda che ci eravamo posti, circa l’importanza della
Bibbia, la Scrittura era la norma, il criterio nei dibattiti sulla Cristologia dei primi secoli. E
questo sia per i Padri ortodossi che eterodossi.
2.2. Marcione voleva escludere l’AT dai libri canonici, poiché vedeva nel Dio dell’AT un Dio
crudele e giustiziere. Solo il NT contava per lui, poiché il Dio rivelato da Gesù Cristo è il
Padre buono della parabola del figliol prodigo (Lc 15,11ss), un Dio di misericordia. Per
fondare la sua dottrina, accettava solo un canone ridotto: parte del Vangelo di Lc, 10 lettere di
Paolo, ecc.. In questa dottrina poneva in contrasto esagerato l’AT ed il Vangelo. Giustino
combatté per difendere l’autorità di tutto l’AT, nonostante non ci fosse un canone definitivo.
Egli accettava non solo le cosiddette “memorie” di Lc, ma anche di Mt e degli altri
evangelisti, opponendosi a Marcione, cosa che fece anche il suo discepolo Taziano,
raccogliendo ed armonizzando i quattro Vangeli (Diatessaron, c.155). Vi fu anche la reazione
romana a Marcione, semplificata dal frammento Muratoriano, contenente un elenco quasi
completo dei libri sacri canonici del NT. Alcuni ritengono che tale frammento risalga al IV
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sec., proveniente dall’oriente, ma forse è più probabile farlo risalire al II sec., di provenienza
romana.
2.3. Gli Gnostici affermavano di essere in possesso di nuove rivelazioni e di fatti “inediti” su
Gesù, raccolti in altri scritti.
Ireneo, riaffermando l’AT, accetta l’identità del Dio creatore (Demiurgo) e il Padre di Gesù.
Accetta i quattro Vangeli, illustra l’uso dell’AT e un paolinismo equilibrato (la ricapitolazione
nell’ultimo Adamo). Per la Cristologia di Ireneo, essa non sarebbe pensabile senza il canone
completo dell’AT e del NT. Il canone biblico era dunque al centro dell’attenzione dei Padri.
2.4. Il linguaggio biblico, narrativo viene successivamente interpretato alla luce di quello
dottrinale e filosofico. Sappiamo infatti che la Bibbia usa spesso un linguaggio simbolico, e al
tempo dei Padri sorge la necessità di interpretare quel linguaggio in chiave dottrinale-
filosofica. E’ chiaro che la Scrittura aveva un’autorità indiscussa: così per gli Ariani, solo che
essi affermavano l’inferiorità di Gesù rispetto agli angeli (cfr Eb 1,4). Inoltre, leggendo At
2,36 (“Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e
Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”), essi affermavano che prima di allora Gesù non era
Signore e Cristo. Vi era dunque il problema della subordinazione del Figlio rispetto al Padre
(cfr 1 Cor 15,28; Col 1,15). Anche l’uso Cristologico dell’AT ha creato problemi: es. Pro
8,22. Giustino, commentando quel brano, dice che la Sapienza era prefigurazione di Cristo.
Ma dopo la controversia Ariana, l’espressione “Il Signore mi ha creato all’inizio della sua
attività...” (Pro 8,22), sembrò affermare che Cristo è stato creato, e non generato. Vi sono
dunque problemi Cristologici a riguardo. Atanasio, o gli altri padri ortodossi, avevano altri
brani: 1Cor 8, 5-6, dove Gesù è lo strumento della creazione, ossia la sua natura è divina. Fil
2,9-11, mostra Gesù esaltato che riceve l’adorazione cosmica, e poiché solo Dio merita
adorazione, allora egli è Dio. Ma come interpretare le affermazioni bibliche che sembrano a
volte opposte tra loro?
E’ il caso di Gv 14,28, dove sembra che il Figlio sia subordinato al Padre, mentre in Gv 10,30
si dice che Gesù è il Padre sono una cosa sola. Gli ortodossi e gli Ariani davano quindi per
scontata l’autorità biblica, ma vi erano problemi circa la testimonianza Cristologica.
3. Il contesto
La Bibbia è stata letta in vari contesti; esamineremo quattro elementi del contesto di lettura e
di interpretazione della Bibbia:
a. la realtà politica;
b. gli interlocutori;
c. elementi culturali e filosofici;
d. realtà pastorale.
3.1. Al tempo di Giustino vi era l’oppressione dei cristiani, contesto differente rispetto al
tempo di Costantino, quando invece il cristianesimo sarà la religione ufficiale dell’Impero.
Proprio Costantino sarà l’artefice del primo Concilio ecumenico. Addirittura, il Concilio di
Calcedonia non fu convocato dal papa Leone Magno ma dall’Imperatore Marciano: notiamo
quindi l’influsso politico sull’insegnamento Cristologico.
3.2. Giustino voleva inoltre interpretare Cristo, rimanendo in dialogo con gli Ebrei. Più tardi
Atanasio dedicherà una parte di una sua opera (De Incarnatione Verbi) a tale dialogo. Tra gli
interlocutori abbiamo anche alcuni pagani colti, come Celso, che scrive un’opera contro i
cristianesini (Il discorso veritiero); oppure i cristiani eretici o confusi, altri Vescovi, ecc..
3.3. Per quanto riguarda l’ambiente filosofico, gli stoici, ad es., accettavano quel logos che
permea tutte le cose, secondo una sorta di panteismo; vi erano inoltre le diverse forme di
platonismo, secondo cui l’incarnazione era considerata uno scandalo, data la loro concezione
del dio totalmente trascendente.
3.4. Per molti Vescovi, l’unità della fede era estremamente essenziale: occorreva mantenere
l’unità della professione di fede in Cristo, accettando a volte diverse terminologie. A volte la
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 35
rivalità tra sedi vescovili opposte (cfr Alessandria vs Costantinopoli), ha avuto influssi
rilevanti sulle questioni Cristologiche e sul relativo sviluppo dottrinale.
LO SVILUPPO DI TERMINI, IMMAGINI E FRASI (LEZIONE DEL 16.03.’96)
Crecheremo di commentare tre fenomeni che vanno dal II al V sec d.C., ossia di alcuni
problemi connessi ad alcuni termini, frasi o immagini che hanno fatto difficoltà in ambito
Teologico e Cristologico.
Una simile situazione ha avuto luogo anche perché il testo biblico veniva letto in nuovi
contesti, e pertanto era necessaria un’operazione di inculturazione e di adeguata
interpretazione. In particolare, tre sono i termini chiave dello sviluppo Cristologico di questi
primi secoli: Ousia (a cui è legato il termine homoousios = della stessa sostanza); Hypostasis
e Physis.
I. Alcuni termini chiave
1. Prima di Nicea Homoousios aveva un significato eterodosso (discrepante dalla dottrina
cattolica); non si trova nell’AT e Valentino (uno gnostico di Roma del 140 dC.) parlava
addirittura di una triplice consustanzialità:
a) il nostro spirito umano (pneuma) è consostanziale a Dio;
b) l’anima (psyche) è consostanziale al demiurgo che ha creato il mondo;
c) la materia (ulè) è consostanziale al diavolo.
Questo triplice schema corrispondeva alla suddivisione degli uomini in spirituali, psichici e
materiali, ossia vi era una sorta di classifica: uomini di serie A, B e C.
Paolo di Samosata (deposto come Vescovo di Antiochia nel 268) dice che homoousios al
Padre è il e non il Cristo. Forse voleva intendere che il Padre ed il Figlio condividevano
la stessa materia o sostanza , ma solo dal punto di vista fisico, oppure intendeva negare la
distinzione personale all’interno della divinità: Padre e Figlio sarebbero così due modi di
rivelarsi di Dio come soggetto unico e non distinto in due persone.
In ogni modo, Homoousios ebbe una storia tormentata tra il II e III sec.. Il Concilio di Nicea
(325) decise di affermare che Gesù è homoousios, ossia della stessa sostanza, del Padre. Il
Figlio non è quindi una creatura: i Padri conciliari volevano far vedere che il Figlio non nasce
dalla volontà del Padre, come le altre creature, ma è eterno poiché della stessa sostanza del
Padre. Il termine, però, lasciava qualche perplessità: homoousios vuol dire della stessa
sostanza individuale o generica? Ad esempio: io e mio fratello siamo della stessa sostanza
generica, ma non della stessa sostanza individuale!
2. Hypostasis: Il Concilio di Nicea usava questo termine quasi come sinonimo di homoousios,
e solo in seguito è stato distinto e si è chiarito il significato. E’ un termine usato in diversi
contesti: nel NT, in ambiente filosofico stoico e neoplatonico. In ambito filosofico poteva
avere lo stesso senso di ousia o di principio individuante:
1) ciò che sta sotto;
2) principio individuante, soggetto individuale.
Nel III sec., nella lettera scritta da Papa Dionigi, si vede la sua preoccupazione circa il
“triteismo”, poiché si poteva pensare che Dio avesse tre hypostasis, tre deità, tre essenze
(secondo il primo senso).
Origene, invece, usava il termine come principio individuante, non negando l’unica sostanza
in Dio, ma conservando le tre “persone”.
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 36
Con Nicea, seguendo l’esempio di Papa Dionigi, si adottò il termine secondo il primo
significato. Lentamente però, si affermò sempre più l’uso di Origene, come si vede nei Padri
Cappadoci: Dio, tre soggetti individuali. Il Concilio di Calcedonia stabilì definitivamente che
Dio è 1 ousia e tre hypostasis.
Verso il 376 Girolamo, segretario di Papa Damaso, affermò: “dire che in Dio ci sono tre
hypostasis è impossibile”; difatti per lui hypostasis aveva il primo significato, e quindi seguiva
il Concilio di Nicea e non i Padri Cappadoci. L’uso di questi ultimi prevaleva, e con
Calcedonia si disse che hypostasis (sostanza individuale, principio individuante) coincide con
il concetto di prosopon = persona.
3. Physis: sta a significare “essenza” con attributi propri, ossia principio di attività
(movimento). In natura physis è l’essenza attiva, e come per gli altri due, anche questo termine
ebbe una storia tormentata.
Troviamo l’espressione di Apollinare di Laodicea: “mia physis tou Theou Logou
sesarkomene”, che fa entrare il termine physis nel dibattito Cristologico: secondo
l’espressione di Apollinare si avrebbe un’integrazione della carne col Verbo che toglie
all’umanità del Cristo la ragione (nous), una vera anima superiore. Tutto questo allo scopo di
accentuare la divinità del Verbo: i Padri Cappadoci si opposero decisamente. Un sec. dopo,
Cirillo d’Alessandria riprenderà l’espressione di Apollinare, credendola, erroneamente, di
Atanasio: egli dunque, pur usando la stessa espressione, affermava l’umanità completa ed
un’anima intellettiva del Cristo (psyché logiké).
C’è da notare che, per l’antropologia dell’epoca esistevano due schemi: uno binario e l’altro
ternario:
1) sarx = corpo 2) physis = sarx + psyché
+ +
psyché = anima oppure nous = anima
+
nous = spirito
Ciò che contava era più di tutto il nous = anima razionale. Cirillo d’Alessandria ne fece un uso
un po’ equivoco: con il Concilio di Calcedonia si stabili, però, che in Gesù vi erano due
physeis (divina e umana) ed una hypostasis o prosopon.
II. Immagini e frasi ambigue
Si tratta di scritti di Tertulliano, Atanasio, ecc., che potrebbero portare ad una dottrina
eterodossa.
1. L’incarnazione come una manifestazione. Nella lettera a Tito si parla di manifestazione:
“E’ apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini.
[...] Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore
per gli uomini [...]” (Tt 2,11; 3,4)
Il problema è che si potrebbe pensare ad una mera manifestazione o apparenza: si rischia di
cadere nel docetismo, secondo cui il corpo di Gesù era solo apparente e non autenticamente
umano.
2. L’altro equivoco stava nell’umanità vista come l’indossare un vestito da parte di Gesù: vedi
Cirillo, Quod unus sit Christus, 775 d-e; 766 d.; ma anche Tertulliano, Atanasio, ecc.. Si può
dire che Cristo si “rivestì” della nostra umanità, ma si rischia di ridurre la portata
dell’incarnazione: l’umanità assunta da Gesù non è un vestito da indossare.
TP1B08 - De Christologia et Soteriologia - Pro.f G. O’Collins - A. A. 95/6 - Appunti di uno studente - Pag. 37
3. In Cristo “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9): è l’idea
dell’Incarnazione come “inabitazione”. Cristo è il tempio dove abita il logos eterno. Anche
questa espressione, se usata male, può risultare equivoca, benché appartenga al NT. Si
potrebbe equivocare tra la nostra condizione e quella di Cristo: noi siamo tempio dello Spirito,
ma ciò è un dono che ci viene dalla grazia.
4. L’unione tra la divinità di Cristo e la sua umanità come mescolanza/fusione (terminologia
tratta dallo stoicismo). Tale tipo di fraseologia si trova nei testi dei Padri Cappadoci: la physis
divina mescolata con quella umana. Cirillo d’Alessandria faceva notare che si rischiava di
confondere le proprietà delle due nature.
III. Alcune “intuizioni precoci”
1. La doppia generazione: non è chiara nel NT, ma Paolo, in Rm 1,3ss, dice:
“... riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio
di Dio
con potenza secondo lo Spirito...”
Anche in Gal 4,4 si parla del Padre eterno che manda il Figlio, e della nascita di Questi da una
donna. C’è una lunga lista di Padri che hanno scritto a proposito di questa “doppia
generazione”, secondo quell’intuizione neotestamentaria che Calcedonia accolse
favorevolmente.
2. “Generato non creato”: sono le parole del nostro Credo; nella lettera di Papa Dionigi (DS
114), si usa la stessa frase in greco. Nel Sal 109, nell’originale ebraico, il senso
dell’espressione è di “generazione” del Figlio da parte del Padre, prima ancora della creazione
delle stelle.
3. Doppia consustanzialità: Tertulliano parlava di due sostanze, divina e umana, di Cristo.
Anche questa terminologia è stata assunta da Calcedonia: Cristo è consustanziale al Padre
riguardo alla sua divinità, e agli uomini, circa la sua umanità.
4. Cristo “l’uno e medesimo”: Ireneo usava spesso quest’espressione, o altre equivalenti,
perché voleva difendere la sana dottrina dagli gnostici, che a seconda dei nomi o degli attributi
di Gesù, volevano intendere una pluralità di soggetti. Oggi sarebbe utile ricordare Ireneo tra
quelli che vorrebbero separare il Gesù storico dal Cristo della fede.
S.IRENEO: ADVERSUS HERESES (Contro le Eresie) (LEZIONE DEL 18.03.’96)
Il Concilio di Nicea ebbe luogo nel 325, più di due secoli dopo la stesura del NT:
esamineremo il periodo che va dal 90 d.C. fino al Concilio stesso, con l’apporto che i diversi
Padri della Chiesa hanno dato alla Cristologia. Analizziamo dapprima l’opera di S Ireneo.
1. In primo luogo egli collega la Redenzione con la creazione: è come se si trattasse di un
unico progetto divino, un dramma in due atti con al centro Cristo, il FdD. Ireneo ci dà un
esempio ammirevole di Cristocentrismo.
2. Ireneo non fa molta speculazione, ma si dedica piuttosto all’approfondimento del testo
biblico: lo si potrebbe definire il più grande “teologo biblista”. Da Gv prende i titoli quali:
Verbo, Figlio, ma soprattutto predilige l’espressione “E il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Da
Paolo prende l’idea del Cristo come secondo Adamo, in tutto obbediente al Padre (cfr Rm 5 e
1Cor 15). Inoltre, vede Maria come la novella Eva. Dalla lettera agli Ebrei prende quindi
l’immagine del Cristo come nuovo capo: in Lui tutto si ricapitola. Parte dell’insegnamento di
Ireneo verrà ripreso nel Vat II: a tal riguardo si può vedere GS 38,45. Vediamo un testo tratto
da “Adversus Hereses”:
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“Se uno ci dirà: Allora, come è stato emesso il Figlio dal Padre? Noi gli
rispondiamo che questa emissione o generazione.. o qualunque altra parola
con cui si indica la sua generazione, che è ineffabile, nessuno la conosce: né
Valentino, né Marcione, né Saturnino, né Basilide, né gli Angeli, né gli
Arcangeli, né le Potestà, ma solo il Padre che ha generato ed il Figlio che è
stato generato. Pertanto, essendo la sua generazione ineffabile, tutti coloro
che tentano di spiegare le generazioni e le emissioni non sono sani di mente,
perché promettono di spiegare cose che non si possono spiegare. Infatti, che
la parola è emessa dal pensiero e dall’intelligenza, certamente lo sanno tutti
gli uomini. Dunque, non hanno fatto una grande scoperta coloro che hanno
inventato le emissioni, né hanno scoperto un mistero nascosto se hanno
riferito al Logos unigenito di Dio ciò che tutti capiscono; se di colui che
chiamano ineffabile e innominabile, come se lo avessero assistito alla
nascita, spiegano l’emanazione e la generazione della sua prima nascita,
assimilandolo alla parola umana che viene proferita. Dicendo questa stessa
cosa della sostanza della materia non sbaglieremo, poiché è stato Dio a
produrla. Infatti, abbiamo appreso dalle Scritture che Dio ha il primato su
tutte le cose. Perciò, come l’abbia prodotta, nessuna scrittura loha esposto,
né noi dobbiamo immaginarlo, facendo infinite congetture su Dio, a partire
dalle nostre opinioni, ma dobbiamo riservare a Dio questa conoscenza
(2.28.6-7),
Ireneo si oppose energicamente all’eresia di Marcione: questi separava l’AT (rifiutandolo) dal
NT, poiché riteneva che il Dio dell’AT fosse un Dio crudele, mentre solo il Dio
misericordioso del NT poteva essere accettato. Ireneo confutò questa posizione: tutto l’AT è
Scrittura Sacra, così come il NT non può essere ridotto al solo Vangelo di Lc (ridotto
anch’esso da Marcione). Vi erano poi i Valentiniani ed altri gnostici, che credevano di
possedere nuove rivelazioni e nuove scritture: Ireneo difendeva invece la Regula Fidei, ossia
la Tradizione pubblica della Chiesa che i Vescovi conservavano e tramandavano in continuità
con l’insegnamento degli Apostoli. I Valentiniani erano dualisti: spirito e materia, per loro, si
opponevano. La materia, negativa, derivava dal quel dio-demiurgo dell’AT. Inoltre, gli uomini
erano divisi in tre categorie:
a) pneumatici: questi erano già salvati;
b) psichici: potrebbero giungere alla salvezza;
c) “ilici” (da = materia): condannati a non salvarsi.
Ireneo, invece, dice che la materia non è affatto un ostacolo, anzi proprio perché il Verbo si è
fatto carne, e quindi materia, noi siamo salvati . Per mezzo del corpo e del sangue di Cristo
giungiamo all’immortalità e alla salvezza.
I. Nel brano considerato, Ireneo usa un linguaggio gnostico: “emissione” per lui diventa
sinonimo di “generazione”, ed è ineffabile, cioè misteriosa e non si può comprendere. Ireneo
usa quindi una teologia apofatica (negativa) di fronte al mistero della generazione eterna del
Figlio di Dio: è meglio tacere dinanzi al mistero. Nessuno può dire nulla, né Valentino, né
Marcione; solo il Padre conosce la natura di tale generazione. E chi volesse spiegare tali cose,
di certo “non è sano di mente”. I titoli Figlio e Verbo sono i preferiti di Ireneo: dopo Nicea
sarà Figlio il titolo più usato, assieme a Signore e Cristo.
Vi è un’analogia riconosciuta con riluttanza da Ireneo; quando dice: “Infatti, che la parola è
emessa dal pensiero e dall’intelligenza...(vedi sopra)”, ossia contro le affermazioni degli
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gnostici, analogia che riprenderà anche Agostino. Al termine riporta un’analogia biblica:
“Dicendo questa stessa cosa della sostanza della materia, non sbaglieremo poiché è stato Dio a
produrla.”. La generazione del Figlio è dunque simile alla creazione del mondo materiale:
“Perciò come l’abbia prodotta, nessuna scrittura lo ha esposto, né noi dobbiamo
immaginarlo...”; Ireneo dice che la Scrittura non spiega come Dio abbia fatto materialmente la
creazione, cosa che appartiene al mistero stesso di Dio. Tale analogia è però rischiosa, come il
Concilio stesso affermerà in seguito, sottolineando la generazione del Verbo nell’espressione
“generato e non creato”.
“Il Figlio, che esiste da sempre con il Padre, da lungo tempo e fin dall’inizio
rivela sempre il Padre agli angeli... e a tutti coloro ai quali Dio vuol
rivelarsi; [...] il Figlio di Dio non cominciò ad esistere allora perché esisteva
da sempre presso il Padre” (2.30.9 e 3.18.1)
L’esistenza eterna del Figlio è chiarissima in Ireneo: eternità è un attributo centrale di Dio;
Ireneo mantiene anche l’esistenza eterna del Figlio presso il Padre, contro la dottrina eretica di
Ario.
“La gloriosa generazione che gli deriva dal Padre Altissimo e... la gloriosa
nascita che gli deriva dalla Vergine” (3.19.2)
Questa intuizione di Ireneo verrà ripresa anche dai Padri conciliari a Calcedonia: questa
“duplice generazione” non dà origine a due soggetti, ma all’unico Gesù, FdD.
Al termine del brano esaminato, Ireneo riporta un’analogia di tipo biblico:
“Dicendo questa stessa cosa della sostanza della materia non sbaglieremo poiché è
stato Dio a produrla.
Infatti, abbiamo appreso dalle scritture che Dio ha il primato su tutte le cose.”
La generazione del Figlio è simile alla creazione del mondo materiale: “Perciò come l’abbia
prodotta, nessuna scrittura lo ha esposto, né noi dobbiamo immaginarlo ... ma dobbiamo
riservare a Dio questa conoscenza”. Le Scritture non spiegano come Dio abbia fatto
materialmente la creazione, cosa che appartiene al mistero stesso di Dio. Però, tale analogia
potrebbe risultare rischiosa poiché mette assieme creazione e generazione: sappiamo infatti
che in seguito il Concilio terrà a sottolineare tale differenza nell’espressione “generato e non
creato”.
“Il Figlio esiste da sempre con il Padre, da lungo tempo e fin dall’inizio
rivela sempre il Padre agli Angeli...e a tutti coloro ai quali Dio vuol
rivelarsi”.
L’esistenza eterna del Figlio è chiarissima in Ireneo: eternità è un attributo centrale di Dio, e
Gesù, vero Dio, è eterno come il Padre, contro l’opinione e la dottrina di Ario. La generazione
del Figlio e la sua gloriosa nascita, che gli deriva rispettivamente da Dio Padre e da Maria, è
un’intuizione che Calcedonia riprenderà da Ireneo. Gesù FdD e Gesù Figlio di Maria è sempre
il medesimo soggetto, e non si tratta quindi di due persone distinte.
II. “Dio non aveva bisogno di loro [gli Angeli] per creare ciò che aveva
deciso di creare. Come se non avesse le sue mani! Da sempre, infatti, gli
sono accanto il Verbo e la Sapienza, il Figlio e lo Spirito. Mediante loro e
in loro ha creato tutte le cose, liberamente e spontaneamente, e a loro
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appunto parla dicendo: ‘creiamo l’uomo a nostra immagine e
somiglianza’.” (4.20.1)
“Così pure all’inizio Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno
dell’uomo, ma per avere uno nel quale deporre i suoi benefici.. Né ci
comandò di seguirlo perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per
procurare a noi stessi la salvezza... procura a quelli che lo servono e lo
seguono la vita, l’incorruttibilità e la gloria eterna (4.14.1). Noi gli [a Dio]
rimproveriamo di non averci fatti dèi fin dal principio, ma dapprima uomini
e poi in seguito dèi (4.38.4). Dio è colui che deve essere visto, la visione di
Dio procura l’incorruttibilità e l’incorruttibilità fa essere vicino a Dio
(4.38.3)”.
E’ la sezione dove si trova l’immagine famosa delle “mani di Dio”, riferita al Figlio e allo
Spirito Santo. Ireneo attribuiva allo Spirito Santo l’immagine della Sapienza di Dio, mentre
gli altri Padri la attribuivano al Figlio. Figlio e Spirito sono dunque gli strumenti della
creazione: le due mani di Dio che creano il mondo. “Creiamo l’uomo...” è il dialogo che
Ireneo considera intratrinitario: egli ha una visione più che positiva dell’umanità che è fatta a
immagine e somiglianza di Dio. Dio, inoltre, non aveva bisogno dell’uomo, ma voleva che
qualcuno godesse dei suoi benefici e della sua salvezza. La creazione è frutto della bontà
divina, poiché il bene è “diffusivum sui”, si diffonde da sé. La salvezza, per Ireneo, libera poi
l’uomo dalla corruzione e dalla corruttibilità, più che dal peccato. L’uomo che vedrà Dio
otterrà la salvezza eterna, la vita incorruttibile e immortale. Circa l’idea della divinizzazione,
in 4.38.4, Ireneo fa vedere come tutto rispecchi la volontà di Dio che opera per il bene
dell’uomo.
III. “Il Figlio, essendo accanto alla sua creatura fin dall’inizio, rivela il
Padre a tutti: a quelli a cui il Padre vuole, quando vuole e come vuole
(4.6.7). Tutti gli esseri apprendono, per mezzo del suo Verbo, che vi è un
solo Dio Padre, che contiene tutte le cose e dà a tutti di esistere.../il Figlio è
rivelatore del Padre dall’inizio, perché è con il Padre fin dall’inizio (4.20.6-
7). Il Verbo... da sempre era presente al genere umano (3.18.1, cfr 3.16.6).”
Il Figlio si fa prossimo ad ogni creatura: nessuno è fuori dalla sua presenza e dal suo influsso.
Il Figlio è visto qui come il mediatore ed il rivelatore universale, presente dappertutto e per
tutti (cfr Vat II, AG). Inoltre, il Figlio rivela il Padre liberamente “a tutti coloro ai quali Dio
vuol rivelarsi”. Questa sezione è importante soprattutto perché Ireneo vuol far vedere che
nessuno è lontano dal Verbo (riferimento alle differenti religioni). Il Padre è trascendente e
invisibile, ma il Figlio, in qualità di mediatore, lo rivela e dona lo Spirito.
IV. “E’ lui [il Verbo, Cristo] che dice a Mosè: ‘ho ben veduto l’afflizione
del mio popolo che è in Egitto, e sono sceso per liberarli’; è il Verbo di Dio,
abituato fin dal principio, a salire e discendere per la salvezza di coloro che
erano afflitti” (4.12.4).
Ireneo cerca di difendere la trascendenza del Padre, e fa vedere che le visioni dell’AT sono in
realtà Cristofanie, e non teofanie. Il Verbo era attivo sin dall’inizio della storia del popolo di
Dio, ed era lui il mediatore con il Padre. Ireneo segue una pista che si trova in S. Paolo (1Cor
10,4: “tutti bevvero la stessa bevanda spirituale, bevevano infatti da una roccia spirituale che
li accompagnava, e quella roccia era il Cristo.”) e in Gv (12,41). Giustino, invece, interpreta
Cristo come “angelo” o “messaggero” nell’AT.
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V. “Il Verbo di Dio, Gesù Cristo Signore nostro, che per il suo
sovrabbondante amore si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è
lui stesso (5 pref.). Per questo appunto il Verbo si fece uomo e il Figlio di
Dio si fece Figlio dell’uomo, affinché l’uomo.. diventi figlio di Dio ... come
avremmo potuto unirci all’incorruttibilità e all’immortalità, se prima
l’incorruttibilità e l’immortalità non fosse divenuta ciò che siamo noi?
(3.19.1)”. Contro gli ebioniti: “Come possono essere salvati, se non era
Dio che operò la loro salvezza sulla terra? (4.33.4)”.
Dio diventa uomo affinché noi fossimo divinizzati: è l’idea dell’ “admirabile commercium”.
Contro alcuni giudeo-cristiani, gli ebioniti, Ireneo sviluppa questo punto, insistendo sul fatto
che per la salvezza gli uomini avevano bisogno dell’intervento di Dio.
VI. “E’ Dio colui che avevamo offeso nel primo Adamo, non compiendo il
suo comandamento, e con il quale, nel secondo Adamo, siamo riconciliati,
divenendo obbedienti fino alla morte (5.16.3). Come per la sconfitta di un
uomo, il genere umano discese nella morte, così per la vittoria di un uomo
saliamo alla vita (5.21.1). Come Eva dunque, disobbedendo divenne causa
di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria ... obbedendo
divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano (3.22.4) Il FdD
quando si incarnò e divenne uomo, ricapitolò in se stesso la lunga storia
degli uomini... affinché ricuperassimo in Cristo Gesù, ciò che avevamo
perduto in Adamo, cioè l’essere ad immagine e somiglianza di Dio
(3.18.1)”.
Cristo è il secondo Adamo che, attraverso la sua divinità e umanità, ha potuto salvarci. Il
primo Adamo ci portò la morte, il secondo Adamo ci ha portato la vita. Maria, seconda Eva, è
la donna obbediente che ci dona la salvezza, dando alla luce il Salvatore del mondo. L’ultima
idea è quella della ricapitolazione, ossia del recupero di ciò che avevamo perduto in Adamo.
E’ questo un altro aspetto dell’idea della ricapitolazione vista come “restaurazione”: Cristo
riassume e porta a compimento la storia dell’umanità.
VII. “Giovanni conosce un solo e medesimo Verbo di Dio - e questo è
l’Unigenito e si è incarnato per la nostra salvezza, Gesù Cristo nostro
Signore ... affinché ... non pensassimo che altro era Gesù e altro Cristo, ma
sapessimo che è uno solo e il medesimo (3.16.2). Il Verbo, l’Unigenito, che
da sempre è vicino al genere umano, si unì e si mescolò alla sua creatura...
e si fece carne; e questo stesso è Gesù Cristo Signore nostro, che patì per
noi e risuscitò per noi (3.16.6). A proposito del battesimo... non è vero che
allora Cristo discese in Gesù, né che altro è Cristo e altro è Gesù; ma è il
Verbo di Dio, il Salvatore di tutti e Signore del cielo e della terra, che è
Gesù (3.9.3).”
Gli gnostici cercavano di distinguere tra Gesù uomo e il Cristo, il Verbo eterno creatore del
cosmo: Ireneo difende l’unità di Gesù Cristo, poiché il Verbo eterno è Gesù, che ha avuto una
storia umana. Ireneo ripete come ritornello l’espressione “uno solo e medesimo”, per
sottolineare quest’unità del Cristo. In 3.16.6, Ireneo usa un linguaggio ambiguo (si unì e si
mescolò...), ma l’intento è di sottolineare la vera umanità di Gesù Cristo.
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LA DIVINITÀ E L’UMANITÀ DI CRISTO: TERTULLIANO E ORIGENE
(LEZIONE DEL 19.03.’96)
Vedremo in primo luogo, secondo i due autori, il rapporto che esiste tra l’umanità e la divinità
in Cristo; in secondo luogo vedremo come si concilia, per essi, la divinità di Gesù e la sua
appartenenza alla Trinità con il monoteismo ebraico.
1. Tertulliano
Combatteva su due fronti: all’interno della stessa comunità cristiana, e all’esterno, contro il
politeismo pagano.
1.1. Contro il monarchismo modalista: i cristiani modalisti erano per un monoteismo rigido,
senza distinzioni personali all’interno della divinità. In primo luogo i Patripassiani, con a capo
Prassea, ritenevano che il Padre è colui che si è incarnato, ha sofferto sulla croce ed è
risuscitato. L’unico soggetto in Dio è il Padre.
Vi era poi Noeto che seguiva la stessa linea di Prassea. I Sabelliani (220 d.C.) hanno esteso lo
stesso errore alle tre persone della divinità: queste erano semplicemente tre modi di rivelarsi
dell’unico soggetto divino. Il loro fondatore, Sabellio, fu condannato da Papa Callisto (DS
105), ma la sua dottrina si era già diffusa in gran parte dell’Africa del nord. Alcuni fra i
Sabelliani erano pronti a parlare di tre “prosopon”, tre ruoli diversi di Dio, ma comunque non
esisteva affatto, per loro, distinzione personale in Lui. Essi affermavano l’esistenza di una
hypostasis e tre ruoli, in cui il Logos/Figlio non si distingue affatto dal Padre.
Vi erano poi gli Adozionisti, secondo cui il Gesù storico era un mero uomo, su cui scese lo
Spirito Santo: Gesù, quindi fu deificato (adottato come Figlio) al momento del Battesimo,
tutt’al più dopo la Risurrezione, ma non ha nulla di diverso dagli altri profeti.
1.2. L’altro fronte di combattimento di Tertulliano era costituito dal politeismo pagano:
Tertulliano cerca di difendere l’unità in Dio, sviluppando un linguaggio trinitario: assieme ai
Padri Cappadoci, esaminò la Trinità, per poi passare alla Cristologia.
1.3. Tertulliano, circa la Trinità, adoperava un linguaggio che affermava una sostanza e tre
persone (anche se usa il termine sostanza allo stesso modo in cui noi usiamo natura). Egli
riconobbe in Dio una unità o sostanza differenziata: essa non è divisa, bensì è complessa, e al
suo interno vanno distinte le tre divine persone. Egli fu il primo ad adottare massicciamente il
termine persona, e per primo attribuisce a Dio il termine Trinitas. Le tre persone partecipano
alla sostanza comune: non sono divise o separate, ma distinte. Come salvaguardare allora il
monoteismo, senza cadere nell’equivoco politeista?
Tertulliano adottò delle analogie rifacendosi al mondo materiale, che chiaramente lui stesso
riconobbe come limitate: ad es., il Logos procede dal Padre come un raggio dal sole; lo stesso
ragionamento vale per lo Spirito. Così, l’espressione che usiamo nel Credo “Luce da luce”, si
rifà a quest’idea di Tertulliano. Altra analogia era quella della fonte da cui scaturisce un
fiume, al quale si collegano poi diversi canali d’acqua. Si tratta senz’altro di immagini
limitate, poiché ci rimandano in qualche modo al subordinazionismo, o addirittura che il
Figlio e lo Spirito siano una “porzione” del Padre, ma che ci dicono qualcosa della realtà
trinitaria.
1.4. Circa la Cristologia, Tertulliano affermava la vera e reale Incarnazione, poiché il FdD ha
assunto una vera esistenza umana, in un corpo di carne, contro i docetisti e contro Marcione, il
quale aveva una visione negativa della materia. Una frase cara a Tertulliano era: “Caro, cardo
salutis”, ossia “la carne, cardine della salvezza”. Egli insistette moltissimo su questo aspetto:
Gesù, vero Dio ma anche vero uomo. Inoltre, sviluppò la terminologia trinitaria circa il Padre
ed il Figlio: per quest’ultimo, le due sostanze (nature diremmo noi) conservano le loro
proprietà e sono congiunte, non mescolate in una sola persona. Questa intuizione di Tetulliano
fu ripresa da Calcedonia e dal Papa Leone Magno.
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I suoi contributi sono dunque diversi: anzitutto terminologicamente, adottando i concetti di
sostanza e persona; in Cristo vi è una sola persona con due sostanze (nature) non mescolate.
Contro gli gnostici, conserva l’umanità integrale del Cristo; nel mondo occidentale Tertulliano
ha eliminato in anticipo tendenze eterodosse provenienti dall’Oriente.
Ad es., contro Ario, Tertulliano faceva vedere che si può riconoscere in Gesù il vero Dio;
contro Apollinare, esclude in anticipo la divisione di Gesù FdD e Gesù Figlio di Maria: Gesù
è una persona sola.
2. Origene (254)
Contemporaneo di Tertulliano , nato ad Alessandria, soffrì la persecuzione dei Romani. Fu
uno scrittore prolifico, forse il più fecondo del bacino Mediterraneo. La sua specialità era
l’esegesi, tendendo, più che ad una teologia sistematica, a ricavare commenti spirituali dalle
Scritture. Origene converge con Tertulliano, nel senso che sviluppa la sua teologia in reazione
alle eresie del tempo. Contro i modalisti, manteneva le tre hypostasis nella Trinità: hypostasis
nel senso di soggetto individuale e non di sostanza.
2.1. Contro gli Adozionisti, difendeva la generazione eterna del Verbo: il Cristo non è una
creatura, ma esiste eternamente, anzi “non c’è stato un momento in cui non fosse” (ouk en
hote ouk en, cfr De Principiis 1.2.9; 4.1.2; 4.4.1). Contro i Valentiniani, negava qualsiasi
divisione in Dio: Egli non si separa dal Figlio, così come questi non è una porzione del Padre,
anche quando si incarna.
2.2. Origene sosteneva una sorta di “subordinazionismo” quando parlava delle missioni
economiche del Figlio e dello Spirito. Nonostante parlasse del potere infinito del Figlio e dello
Spirito, al pari del Padre, e della loro eternità, Origene ha spesso fatto uso di un linguaggio
maldestro e impreciso. Il Logos, per Origene, è il mediatore, un po’ come nel platonismo, lo
strumento della Creazione e della Rivelazione. Tutto sommato è evidente che Origene affermi
in tutte le sue opere la divinità del Figlio.
2.3. Circa l’umanità del Verbo, manteneva una teoria platonica: la preesistenza delle anime,
che solo successivamente, e a partire da un dato momento, vengono ad esistere in un corpo
creato. Così sarebbe avvenuto anche per Gesù. E’ vero che l’anima di Gesù in quanto uomo,
così come il suo corpo, è una realtà creata anche se priva di peccato, ma non è lecito parlare
della preesistenza dell’anima.
Origene sembra anche introdurre esplicitamente l’idea della “Communicatio idiomatum”,
concetto che probabilmente risale ad Ignazio d’Antiochia e a Paolo stesso. La comunicazione
degli idiomi consiste in questo: c’è un solo soggetto in Cristo che gode di due nature distinte,
una infinita, divina, l’altra umana, finita. In virtù della Communicatio idiomatum, si possono
attribuire ad una natura gli attributi propri dell’altra. Ad es., “Il FdD morì sulla croce”: Gesù,
vero Dio, morì sulla croce, ma in quanto era anche vero uomo. O ancora: “Il Figlio di Maria
creò il mondo”. Gesù, vero uomo, creò il mondo, poiché era anche vero Dio. Il titolo
Teotokos, Madre di Dio, può così essere applicato a Maria in virtù della communicatio
idiomatum: Maria ha dato la vita all’uomo Gesù, il quale è però, vero Dio, quindi Maria è
Madre di Dio.
TESI 7: l’insegnamento cristologico di Nicea I, Costantinopoli I,
Efeso, Calcedonia e Costantinopoli III.
LA DIVINITÀ DEL FIGLIO /LOGOS: ARIO, NICEA E S.ATANASIO
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1. Ario (± 260-336 d.C.)
Abbiamo parlato precedentemente della dottrina trinitaria di Origene: tre hypostasis, ossia tre
individui distinti tra loro. Origene, in qualche modo, ha insinuato una sorta di subordinazionismo del
Figlio e dello Spirito rispetto al Padre.
1.1. Ario apparteneva alla scuola di Alessandria e spinge alla forma estrema il subordinazionismo di
Origene. Per Ario solo il Padre è il vero Dio, poiché è ingenerato, e l’essenza divina è incomunicabile.
Il sostantivo homoousios, per Ario, è inaccettabile, poiché interpretava in modo fisico quell’aggettivo,
quasi che il Figlio fosse una porzione fisica del Padre; ma Dio non si può dividere in due o tre parti.
1.2. Anche i Sabelliani fanno da sfondo ad Ario: essi erano per la “monarchia divina” assoluta, non
distinguendo Padre, Figlio e Spirito, che altro non sono che ruoli differenti dell’unico soggetto divino.
Essi, pertanto, si rifiutavano di distinguere i tre principi personali divini. Ario, invece, faceva queste
distinzioni, anche se ha trascurato lo Spirito. Volendo inoltre salvaguardare l’assoluta unità di Dio,
diceva che il Figlio era infinitamente inferiore al Padre: è una creatura, ma non come le altre creature.
Atanasio gli rimproverò questa sciocchezza. Il Figlio era creato ex-nihilo, per volere del Padre;
inoltre, non esisteva dall’eternità. Ario si servì della frase “c’è stato un momento in cui non esisteva”,
frase del III sec., che Origene aveva rigettato.
1.3. Il Logos, per Ario, è quasi un demiurgo intermediario tra Dio e l’Universo, inferiore a Dio, che
forma le altre creature: non è veramente Dio, così come non è veramente uomo. Difatti, per Ario, il
Logos incarnato non ricevette l’anima umana razionale. Questa idea falsa ritornerà qualche decennio
dopo, nelle opere di Apollinare.
1.4. I primi Xni seguivano la prassi della sinagoga: gli Ebrei alla fine della preghiera, aggiungevano la
dossologia per rendere gloria a Dio. Nel IV sec., la dossologia era “Gloria al Padre per il Figlio nello
(o con lo) Spirito”, e Ario interpretava il “per” come l’inferiorità del Figlio. I Xni ortodossi, invece,
ripresero la dossologia anteriore, risalente già al III sec. “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito
Santo”: si tratta della piccola dossologia, mentre la grande dossologia è il “Gloria in excelsis Deo”.
2. IL CONCILIO DI NICEA (325)
2.1. Il concilio sottolineò la vera divinità del Figlio, anche se usò in parte una terminologia non
sempre precisa. Il Figlio è “dalla sostanza (ousia) del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da
Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre” (DS125); il Padre quindi comunica
pienamente la sua divinità al Figlio. La divinità di Gesù è espressa in dimensione trinitaria, e non al di
fuori di tale contesto. A Nicea si deve dunque l’espressione “generato, non creato”.
2.2. I Padri Conciliari condannarono coloro che sostenevano la non preesistenza del Figlio: anàtema
contro quelli che ritengono del Figlio che “ci fu un momento in cui non c’era, fu creato dal nulla e di
un’altra hypostasis o ousia” dal Padre (DS126), compresi Ario e i suoi seguaci. Essi adotteranno i
termini hypostasis e ousia come sinonimi. Papa Dionigi, scrivendo al Vescovo di Alessandria, usava
hypostasis come sostanza/essenza, e non come Origene: principio individuale.
L’aggettivo “homoousios” = della stessa sostanza, ha trovato alcune difficoltà: era da intendere come
essenza comune a diversi individui (sostanza generale), o specifica e individuale?
Atanasio riconobbe il problema: il senso numerico individuale di tale aggettivo fu chiarito in seguito
dai padri Cappadoci. L’altro equivoco risale all’uso dei termini hypostasis e ousia. Se si usa “della
stessa hypostasis”, alcuni Vescovi obiettavano che si potesse cadere nell’errore Sabelliano: nessuna
distinzione personale.
3. DOPO NICEA
I Vescovi accettarono con riluttanza “homoousios”; alcuni proposero il termine “homoiousios” = di
una sostanza simile. Come mai, però, i Padri conciliari scelsero homoousios? Forse per opporsi ad
Ario, che rifiutava in assoluto il termine homoousios.
3.1. Alcuni Vescovi dicevano che homoousios non era un termine biblico, e quindi non andava
adottato. Il nostro stesso Credo segue un linguaggio biblico, per cui non era opportuno usare un
termine extra-biblico. Paolo di Samosata, Vescovo deposto, usò lo stesso aggettivo, pertanto i Vescovi
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non vollero riprendere lo stesso suo linguaggio. Altri vedevano una possibile erranza linguistica, come
per i Sabelliani. L’altra questione riguardava il significato specifico o generico di homoousios, ma
tale questione non fece molta strada.
Altri ancora dicevano che tale aggettivo poteva interpretarsi in senso materiale, e pertanto il Padre ed
il Figlio erano due parti della stessa materia.
3.2. I difensori del termine furono diversi, ad es. Basilio: egli, in dialogo con quelli che preferivano
homoiousios, affermava che “somiglianza” non può essere il termine adatto per esprimere la divinità
del Padre e del Figlio. Il termine poteva essere accettato solo se indicava una somiglianza senza
differenza. Egli, inoltre, proponeva la linea di Origene, interpretando hypostasis come principio
individuante, distinto da ousia. Egli dice: “Accetto la formulazione «simile per essenza» se vi si
aggiunga l’espressione «senza differenza»” (Epist. 9.3). Basilio inoltre appoggerà la piccola
dossologia “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo”, risalente a Mt 28,19.
3.3. Atanasio (±295-373) fu un altro difensore dell’insegnamento Xtologico di Nicea: egli si oppose
agli Ariani, ma dal 350 insistette sul termine homoousios per esprimere l’unità del Figlio col Padre.
Al tempo stesso era aperto al termine homoiousios, a qualche condizione: il Figlio è eterno, sempre
presente al Padre, e non è una creatura per volere divino.
3.4. La Xtologia di Atanasio detta del Logos/sarx, aveva al centro Gv 1,14: “Il Verbo si fece carne”.
Egli metteva in rilievo la divinità del Figlio dicendo che il Padre non è mai senza il suo Verbo. La
creazione operata dal Figlio sta ad indicare la divinità stessa del Figlio. Circa la divinizzazione di noi
uomini, Atanasio diceva che una simile opera la poteva realizzare solo un “figlio naturale” di Dio,
ossia un Figlio realmente Dio. Vi è però qualche ombra nella Xtologia di Atanasio: egli non accetta la
mescolanza tra umanità e divinità in Gesù, e neanche che il Figlio abbia assunto l’umanità
“trasformandosi”, come potrebbe succedere se l’acqua miracolosamente si trasformasse in vino. Gesù,
per Atanasio, ha sofferto fisicamente, pur senza mai aver avuto malattie. L’anima razionale umana,
inoltre, non era importante teologicamente: la sua interpretazione apriva la strada ad Apollinare, che
negava l’anima razionale di Xto. Ancora oggi, però, alcuni ritengono che l’anima del Xto fosse solo
divina e non realmente umana.
L’UMANITA’ E L’UNITA’ DI CRISTO
1.1. Nicea ha dato un insegnamento piuttosto trinitario, mantenendo la divinità eterna del Figlio. La
questione si estende alla divinità dello Spirito. Verso il 360 vi erano due partiti: gli homoousiani, che
sostenevano che Figlio e Spirito erano della stessa sostanza del Padre; contro di loro vi erano gli
Ariani, o Anomei, secondo i quali lo Spirito è inferiore al Padre ancor più del Figlio.
1.2. “Una ousia e tre hypostasis” è la terminologia classica, che risponde alla formula di Tertulliano
“una sostanza e tre persone”. I Padri Basilio, Gregorio Nazianzeno e spesso Gregorio di Nissa,
usavano scambievolmente hypostasis (sussistenza individuale e distinta con le proprietà particolari) e
prosopon (il “volto” o la manifestazione visibile dell’hypostasis). Prosopon è un termine meno
metafisico rispetto a hypostasis.
Il termine physis, usato da Origene e Atanasio, fu usato anche nel concilio di Costantinopoli
I.
1.3. Atanasio, che morì dopo una vita tormentata, parla della physis di Dio; pur essendo pronto a
parlare di tre hypostasis in Dio, preferisce usare prosopon. Egli non condivide il linguaggio dei Padri
Cappadoci, ma riprendendo Nicea, usa hypostasis come principio individuale.
1.4. Con Costantinopoli I (381) abbiamo lo stesso linguaggio trinitario dei Padri Cappadoci: in
occasione del Sinodo post-conciliare, in una lettera a Papa Damaso, i Padri sinodali adottano il
linguaggio dei Padri Cappadoci: “una sola divinità, potenza, sostanza (ousia) ... in tre perfettissime
hypostasesin, cioè in tre perfetti prosopois” (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p.28).
2.1. La problematica Xtologica fu causata da Apollinare: Atanasio riprese quello stesso linguaggio per
errore. Incarnandosi, il Verbo di Dio non avrebbe assunto, secondo Apollinare, una umanità integrale.
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Apollinare usava sarx nel senso greco e non in quello biblico: in quest’ultimo caso sarx indica
l’umanità intera (tutti gli uomini), o un’umanità integrale.
2.2. Apollinare interpretava sarx secondo l’uso greco. L’uso di physis è anche equivoco, mettendo da
una parte in rilievo l’unità del soggetto, dall’altra il principio unico attivo nel Verbo incarnato, ma
senza l’anima razionale. Il concetto di sarx è dunque ridotto a corpo più anima vivificante ma non
razionale.
2.3. Gregorio di Nazianzo, e dopo Gregorio di Nissa, parlano, nella Xtologia, delle due physeis di
Xto. Per primo Gregorio Nisseno distingue physeis e il prosopon di Xto. Il vocabolario trinitario è
dunque assunto in Xtologia.
Solo a partire dal 431 si comincia ad applicare hypostasis a Xto.
3. Costantinopoli I: riafferma che il Figlio è homoousios al Padre (v. già Concilio di Nicea), contro gli
Anomei e quelli che negavano la divinità dello Spirito Santo. Essi non hanno però introdotto nel
nostro Credo l’aggettivo homoousios in riferimento allo Spirito. Vi fu anche un’anàtema
all’insegnamento di Apollinare, che negava l’umanità integrale di Xto, escludendo la presenza di
un’anima superiore. In conclusione: Nicea afferma che Gesù è veramente Dio; Costantinopoli I, che
Gesù è veramente uomo.
4. L’unità di Xto secondo i Cappadoci: come spiegare il mistero dell’unione in Xto della sua umanità
e divinità?
I Padri Cappadoci non sono stati di grande aiuto; essi cercavano di spiegare l’unità con termini presi
dalla filosofia stoica: si servono delle categorie materiali di krasis e synkrasis (mescolanza). Si
possono mescolare due metalli o altre sostanze, ma non si può parlare allo stesso modo circa
l’umanità e la divinità di Xto. Questa diventerà, un sec. dopo, l’eresia dei monofisiti.
5.1. La scuola antiochena (Logos/anthropos) e quella alessandrina (Logos/sarx): come spiegare
l’unione tra la vera divinità (contro l’eresia ariana) e l’umanità perfetta (contro l’eresia apollinarista)?
Ad Antiochia (Xtologia dal basso: dai Vangeli), e ad Alessandria (Xtologia dall’alto: da Gv) vi è
quella sorta di opposizione Logos anthropos - sarx: S.Giovanni Crisostomo (Antiochia) da una parte e
Cirillo d’Alessandria dall’altra.
Entrambe le scuole volevano opporsi ad Ario e ad Apollinare, mantenendo la vera divinità e umanità
di Xto, anche se seguivano vie differenti. Difatti gli Ariani erano abbastanza presenti, nonostante la
condanna di Nicea; gli apollinaristi invece non sparirono subito.
5.2. Nestorio (+451) dal 428 patriarca di Costantinopoli. Il suo problema era di tipo terminologico. Il
termine synapheia indicava per lui una sorta di unione morale delle due nature, in un prosopon di Xto.
Egli voleva difendere l’integrità delle due nature, ma il termine synapheia potrebbe anche voler
indicare due individui. La sua Xtologia era quindi criticabile, poiché poteva alludere non ad un unico
soggetto. Il termine prosopon, per Nestorio, non indicava una mera apparenza, ma una
manifestazione; ma il termine in questione potrebbe avere significato puramente funzionale: due figli,
quello di Maria e quello di Dio, uniti moralmente. Il termine prosopon, inoltre, era usato al plurale, il
ché indicava che in Xto ci sono due soggetti.
Cirillo d’Alessandria criticò prontamente questa posizione sbagliata di Nestorio.
5.3. Altro problema attorno al titolo mariano di Teotokos = Madre di Dio. Questo era già usato dalla
gente comune, e risale al Vangelo di Lc, quando Elisabetta chiama Maria “Madre del mio Signore
(Kyrios)” (cfr Lc 1,43). Quel titolo, sviluppato da Origene, e usato nel IV sec., era quindi alquanto
diffuso. Nestorio non poteva accettare tale titolo: sappiamo però che tale titolo è legittimo in virtù
della “communicatio idiomatum”. Nestorio, forse, non ha riflettuto abbastanza sul Credo, il quale
parla di un solo soggetto, Gesù Xto nostro Signore, FdD, con diversi attributi umani e divini.
IL CONCILIO DI EFESO (431)
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1.1. La problematica centrale è stata creata dall’insegnamento di Nicea I e da Costantinopoli I
(divinità e poi umanità del Xto). Nella lettera sinodale mandata da Papa Damaso (382) si dice “è
divenuto perfetto uomo negli ultimi tempi per la nostra salvezza”. Quel Sinodo è stato trascurato
perché avvenne subito dopo Cost.I, e ci dà l’interpretazione ufficiale del nostro Credo. L’enfasi è
messa sulla salvezza: il motivo soteriologico è centrale. I primi due concili (Nicea e Cost. I) volevano
dunque difendere l’integrità della divinità e l’umanità del Xto. Ma come interpretare l’unione tra le
due senza eliminare la diversità?
1.2. Il problema può essere ricondotto alla comunicazione degli idiomi, la prassi che risale al NT: ad
es., S. Paolo dice che “il Signore della gloria fu crocifisso”. La comunicazione degli idiomi permette
di parlare dello stesso soggetto secondo gli attributi di una natura, e al tempo stesso di una seconda
natura posseduta dallo stesso soggetto. Ad es., “Il Figlio di Maria creò il mondo”, intendendo che
Gesù, nato da Maria, in quanto Dio, creò il mondo. Questa prassi risale dunque a S.Paolo e ai primi
Padri della Xsa, come Melitone di Sardi (“Dio fu crocifisso”); Tertulliano ugualmente adottò un
linguaggio simile. Anche i Padri cappadoci, come Gregorio di Nazianzo, che scrisse “il Figlio di Dio
nacque..”. La questione però si concretizzò attorno al titolo mariano di “theotokos”, che ha tuttavia
una portata Xtologica: Maria è detta Madre di Dio. Come possiamo affermare questo? Alcuni
pensavano fosse sufficiente dire che Maria è madre dell’uomo Gesù. Ma liturgicamente, anche
secondo l’usanza popolare, Maria è Madre di Dio. E’ un solo soggetto che giustifica quella
attribuzione: il Figlio dell’Eterno è anche Figlio di Maria.
1.3. Il problema, dalla fine del IV sec., era quello di cercare la soluzione a livello delle nature, invece
che al livello personale. Alcuni sostennero, secondo un’analogia maldestra, che l’unione tra le nature
del Xto è come l’unione tra l’anima ed il corpo (v. Cirillo...). Si tratta di un’analogia rifiutata ad es.,
da S.Tommaso. Difatti, anima e corpo non sono nature complete: la nostra anima e il nostro corpo
divengono una sostanza completa solo stando assieme. Nel caso del Xto si tratta dell’unione di due
nature complete.
Inoltre, l’umanità e la divinità rappresentano una dualità di nature, che di per sé non può giustificare
l’unità. Infatti, la soluzione del problema si trova a livello personale.
2. Nestorio voleva ad ogni costo mantenere la distinzione tra umanità e divinità di Xto, poiché solo
così, per lui, veniva mantenuta l’integrità di entrambe le nature. Egli afferma che bisogna distinguere
l’uomo Gesù e il FdD “... per non far scomparire le proprietà delle nature (ta ton physeon)
assorbendole nell’unica filiazione” (epistola a Cirillo). Il problema relativo a Nestorio, con il termine
“congiunzione” non indicava la kenosi dell’unione, ma di una separazione tra umanità e divinità.
Tutto sommato la terminologia di Nestorio introduceva due soggetti, il FdD e il Figlio di Maria uniti
moralmente tra loro.
3.1. Cirillo, senza saperlo ha adottato una frase di Apollinare: “mia physis tou (theou) logou
sesarkomenoe(ou)”; credeva infatti che la frase fosse di Atanasio. Cirillo voleva difendere l’umanità
integrale del Xto, ma in realtà la frase è alquanto equivoca. Con “Mia Physis”, Cirillo voleva riferirsi
ad un unico soggetto (concreto, esistente) in Xto. Ma all’epoca physis poteva anche indicare natura,
come principio di attività, sicché alcuni critici leggevano quella frase come se venisse mescolata
l’umanità e la divinità del Xto. Cirillo stesso si difese da quelle critiche dicendo che non voleva creare
quella confusione.
3.2. La seconda Epistola di Cirillo a Nestorio è un documento estremamente importante per lo
sviluppo della dottrina Xtologica, e preparò la strada al Concilio di Calcedonia. Ci sono almeno sette
punti centrali:
1) Cirillo si appella al Credo, considerandone il valore teologico: lì gli attributi umani e divini sono
riferiti allo stesso soggetto. Si confessa infatti “un solo Signore Gesù Xto, Dio vero da Dio vero,
della stessa sostanza del Padre,... si è fatto uomo...”, sicché il nostro credo esemplifica la
comunicazione degli idiomi.
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2) Nella stessa lettera Cirillo introduce l’espressione “kath’hypostasin”, che la grande eco anche a
Calcedonia, ossia unione ipostatica; ma non dobbiamo commettere un errore anacronistico: a volte
vuol dire ipostaticamente, ipostaticamente, ma quando Cirillo usa l’espressione vuol dire
“sostanzialmente”, e non è sempre del tutto chiara.
3) Parla anche di una carne animata da un’anima razionale (logikè), opponendosi chiaramente ad
Apollinare. Indubbiamente Cirillo non esplorava il significato teologico dell’anima razionale del
Xto, ma senza dubbio non è apollinarista.
4) Si parla inoltre di due nature, nonostante l’espressione “mia physis”, linguaggio che poi diventerà
ufficiale a Calcedonia.
5) Si parla anche della doppia generazione, idea che risale ad Ireneo.
6)La comunicazione degli idiomi, idea che risale ad Origene e che Cirillo rende più esplicita.
7) Cirillo difende anche il linguaggio che risale ad Ireneo: un solo soggetto in Xto, opponendosi
all’idea dei “due Figli”, e di usare il termine “prosopon” al plurale. Difende inoltre il titolo
mariano di “theotokos”.
4.1. Concilio di Efeso (giugno 431): Cirillo si dimostrava un po’ prepotente, in quanto aprì il Concilio
senza aspettare i Vescovi provenienti da Antiochia, il Patriarca e i tre delegati del Papa. Il Concilio
essenzialmente riconobbe la seconda lettera di Cirillo come conforme alla fede di Nicea I: in quella
lettera Maria è detta “theotokos”, sicché quel titolo venne approvato come valido. Scomunicò
Nestorio, che fu quindi deposto.
4.2. L’importanza del Concilio sta nel fatto che si oppone a qualsiasi separazione tra l’umanità e la
divinità di Xto: Efeso mette quindi in rilievo l’unione tra umanità e divinità. Ma se l’umanità e la
divinità non sono separate, come si illumina la loro distinzione? Efeso non intendeva negare la
distinzione tra umanità e divinità, anche se non l’ha spiegarta. Inoltre, cosa succede alla nuova
umanità creata di Gesù nell’incarnazione, quando il Logos la assume? Efeso non ha chiarito questi
punti. Altro problema riguarda la terminologia, che per diversi anni è rimasta alquanto fluida. I
termini chiave sono hypostasis, prosopon e physis. Cirillo, ad es., grande protagonista del Concilio,
usa indifferentemente sia “mia physis” che “due nature”. Anche per quanto riguarda hypostasis, Nicea
lo usava come sinonimo di ousia (essenza, sostanza), e Cirillo stesso usava hypostasis e prosopon
come sinonimi.
5.1. I vescovi antiocheni (esclusi dal concilio da Cirillo) composero la cosiddetta “formula di unione”,
accettata da Cirillo, e adottata da Calcedonia. In quella formula (agosto 431) gli antiocheni accettano
il titolo mariano di theotokos, e quindi implicitamente accettano la comunicazione degli idiomi
(abbandonando Nestorio). In secondo luogo parlano di “perfetto Dio e di perfetto uomo”: le due
nature, umana e divina, sono perfette in Xto. Accettarono la doppia generazione, eterna e temporale, e
la doppia consostanzialità: Xto è consostanziale al Padre nella sua divinità, e agli uomini nella sua
umanità. Abbandonarono il termine “congiunzione” di Nestorio, e adottarono il termini “henosis” =
unione, usato da Cirillo e “duo physeon” = due nature, inconfuse. In questo modo prepararono la
strada per il concilio di Calcedonia.
5.2. Cirillo, nell’epistola 39 cita parola per parola la formula di unione, volendo evitare qualsiasi
malinteso, accettando l’espressione delle due nature, ecc.. Però parla della “differenza delle nature
dalle quali c’è l’unione”, aprendo la porta, non volendo, all’eresia di Eutiche: l’idea delle due nature
prima dell’incarnazione, confuse nell’incarnazione.
IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451)
Le scuole di Antiochia e Alessandria ebbero un influsso notevole ai Concili di Efeso e Calcedonia:
esse difendevano l’umanità e la divinità di Xto, e si opponevano, quindi, ad Ario e ad Apollinare. La
differenza è che Antiochia proponeva una Xtologia dal basso, preferendo i Vangeli sinottici
(Giovanni Crisostomo fece un ampio commento al Vangelo di Matteo), mentre la scuola di
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Alessandria proponeva una Xtologia dall’alto. Essa metteva in rilievo l’unione in Xto, mentre
Antiochia metteva in risalto la distinzione tra l’umanità e la divinità di Xto. Si tratta ovviamente delle
tendenze tipiche delle due scuole.
Dopo Efeso (431), la formula di unione mise pace tra Antiochia ed Alessandria: Nestorio fu deposto e
mandato in esilio. Dopo la morte di Cirillo d’Alessandria (444), ci fu una polemica suscitata da:
1.1. Eutiche, che affermava che dopo l’incarnazione, la natura umana del Xto è stata assorbita da
quella divina. Nonostante la sua veneranda età e la sua confusionarietà, ebbe un grande influsso,
spingendo all’eccesso l’insegnamento di Cirillo. Aprì la strada al monofisismo (una sola natura in
Xto), ma tutto sta nel come si interpreta il termine physis.
I “Difisiti”, che difendevano le due nature nel Xto, potrebbero essere ortodossi o eterodossi a seconda
della definizione che essi adottano di physis.
Tornando a Eutiche e alla sua teoria, dopo l’incarnazione ci sarebbe una sola physis in Gesù, quella
divina. Egli propone una sorta di mescolanza: la natura umana sta a quella divina come una goccia di
miele nel mare, cioè sparisce. Eutiche fece appello alla formula controversa di Cirillo: “mia physis tou
(Theou) Logou sesarkomene”. Cirillo, sappiamo, voleva sottolineare l’unicità del soggetto. Eutiche,
invece, con la sua teoria, metteva in dubbio la nostra redenzione, poiché “ciò che non è assunto non è
redento”. Dal momento che la natura umana sparisce nel Xto, assorbita da quella divina, come può
egli aver salvato l’umanità?
Ecco che questa posizione fu fortemente attaccata.
1.2. A Costantinopoli (448) il Sinodo permanente presieduto da Flaviano, condanna Eutiche. Flaviano
parlava di un’hypostasis e un prosopon in Xto.
1.3. Un anno dopo Eutiche sarà riabilitato al Sinodo di Efeso del 449, sinodo che il Papa Leone
Magno definì “Latrocinium”, poiché avevano deposto Flaviano e approvato Eutiche. Papa Leone
scrisse una lettera a Flaviano, un documento di autentica Xtologia.
2. Il Tomus ad Flavianum: Dalle espressioni chiare e concise, con l’uso di antitesi: un equilibrio fra
la dualità delle nature e l’unità della persona.
“Salva igitur proprietate utriusque naturae et in unam coeunte personam,
suscepta est a maiestate humilitas,[a virtute infirmitas, ab aeternitate
mortalitas]”
(DS 293; COD, pag.28)
“Rimanendo quindi intatta la peculiarità di ambedue le nature e convenendo in
un’unica persona è stata assunta dalla maestà l’umiltà [dalla potenza la
debolezza, dall’eternità la mortalità.]”
Questa lettera in primo luogo mette in rilievo la nostra salvezza: Dio si è fatto uomo affinché fossimo
divinizzati. Papa Leone Magno usa un’espressione di Tertulliano: “Nell’incarnazione le due nature
mantengono le loro caratteristiche”. Tertulliano parlava di “due sostanze”, mentre Papa Leone parlava
di “nature”, termini che però nel loro contesto si equivalgono. Tertulliano dice anche “... et in unam
coeunte personam”, adoperando il termine persona. Si parla anche della generazione del Xto: Leone
segue l’idea della doppia generazione di Ireneo (da Dio e da Maria), secondo quanto diceva anche il
Credo, che mette in rilievo l’unicità del Xto.
3.1. Il Concilio di Calcedonia fu voluto dall’imperatore Marciano: Papa Leone pensava che con la sua
lettera avesse risolto il problema tra Eutiche e Flaviano, ma l’imperatore insistette affinché il Concilio
avesse luogo. Esso ebbe l’originalità di interpretare dinamicamente la dottrina della fede,
confermando il Simbolo Niceno integrato da Costantinopoli I. Calcedonia riconobbe anche il valore
ortodosso della seconda lettera di Cirillo a Nestorio, la lettera di Cirillo a Giovanni d’Antiochia del
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433 ed il Tomus di Papa Leone Magno. Approvò anche una nuova formula del Credo, che risentì della
formula d’unione e del Tomus.
3.2. La prima parte riassume la formula d’unione, aggiungendo solo due frasi: “vero Dio e vero
Uomo”; “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato”. Il testo è il seguente:
“Seguendo i santi padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo
e medesimo Figlio, il Signore Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e
perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima
razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e
consostanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato
(cf Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in
questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e
madre di Dio, secondo l’umanità”
(DS 301)
Calcedonia, quindi, non propone un Credo ma un “insegnamento”, come si legge chiaramente
all’inizio del testo. Essi affermano l’unione in Xto della perfetta divinità e della perfetta umanità.
Contro Apollinare conferma che Gesù ha un’anima razionale; è consostanziale a Dio (divinità) e agli
uomini (umanità). E’ confermata anche la doppia generazione, così come il titolo teotokos per Maria.
Si tratta di 6-7 elementi che nella prima parte di Calcedonia derivano dalla formula d’unione.
3.3. La seconda parte, più innovatrice, confessa l’unico e medesimo Xto in due nature, opponendosi
chiaramente ad Eutiche che affermava: “da due nature”.
Il testo greco usa quattro avverbi che si possono così tradurre:
“Uno e medesimo Cristo Signore unigenito, da riconoscersi in due nature,
senza confusione, immutabili (contro Eutiche)
indivise, inseparabili (contro i Nestoriani)
L’umanità non è confusa o mescolata alla divinità. Circa il termine “immutabile”, c’è da chiedersi in
che senso la natura umana è immutabile.
Nell’unione, le nature mantengono le loro proprietà (“salva le proprietà di entrambe le nature”, DS
293); inoltre, la persona di Gesù Xto è unica: prosopon e hypostasis sono usati come equivalenti (“che
concorrono in una sola persona [prosopon] e sussistenza [hypostasis]). Il Xto non è quindi diviso in
due persone.
3.4. I Padri conciliari chiamano Gesù “persona divina”, non alla lettera ma con espressioni
equivalenti: FdD, perfetto nella deità, vero Dio, e altre espressioni che indicano che quell’unica
persona è divina.
4.1. Qual è il contributo di Calcedonia alla Xtologia?
Unione ipostatica: ossia unione personale. Gesù è un’unica persona, ma non così per le sue nature,
che costituiscono invece la sua dualità. E’ un solo soggetto che opera con le sue due nature. Nel NT
abbiamo piuttosto una Xtologia narrativa a due stadi: Gesù prepasquale, dove l’umanità è più chiara, e
poi Gesù risorto, dove emerge manifestamente la sua divinità. Calcedonia, invece, mette al secondo
posto la narrazione, quasi sottoponendola ad una sorta di astrazione, per dare più rilievo alla
riflessione teologica.
4.2. Vi è un progresso terminologico, con la chiarificazione di prosopon, physis e hypostasis. Non
dobbiamo però essere anacronisti, ma dobbiamo considerare che la definizione di Boezio di persona
seguirà un secolo dopo Calcedonia: il Concilio sarà solo la base di partenza per una chiarificazione
dei termini.
Il Concilio non chiarisce i termini, ma li usa, mentre la chiarificazione spetta ai teologi. Molti
criticano la posizione di Calcedonia, perché sembra che l’umanità di Xto sia incompleta, quasi
spersonalizzata. Ma dobbiamo chiederci: Chi è Xto? Cos’è Xto? Quest’ultima domanda coinvolge le
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sue due nature; egli aveva tutte le proprietà umane essenziali. Distinguendo tra Chi e Che cosa si può
evitare un malinteso: essere persona non aggiunge nessuna perfezione (volontà, intelligenza, ecc.)
poiché si è servito della natura umana stessa. I primi due Concili, Nicea e Costantinopoli I
condannarono Ario e gli Apollinaristi. Dopo Efeso e Calcedonia ci furono i seguaci di Nestorio e di
Cirillo che si distaccarono dalla Chiesa: la Chiesa dell’Assiria in Oriente (seguaci di Nestorio)
rappresenta un gruppo separato; i Copti (seguaci di Cirillo) che esistono ancora oggi.
ALCUNE NOTE RIASSUNTIVE: IL CONCILIO DI EFESO (431)
La Chiesa Assira d’Oriente: è una Chiesa molto antica, che risale al tempo degli Apostoli, piccola
ma di grande importanza. Era tra le prime Chiese dopo Gerusalemme ed Antiochia. I suoi membri
riconoscono in S.Bartolomeo e in S.Tommaso i loro fondatori; in quella comunità vi furono scrittori
quali Afraate (+345) ed Efrem il Siro (+373). Si parla della separazione di questa Chiesa al momento
del Concilio di Efeso, poiché ci fu una certa adesione alle idee nestoriane. In realtà vi erano state
divisioni già prima, che non divennero certo radicali con il Concilio. Ma come mai queste divisioni?
La Chiesa Assira si trovava al di fuori dell’Impero Romano, in Persia ed in India, e vi erano difficoltà
nei contatti con l’occidente. Alcuni la definirono Chiesa nestoriana, ma l’attuale Patriarca rifiuta
questo appellativo: è Chiesa Cattolica Assira d’Oriente. Si contano oggi circa 400.000 aderenti; si
tratta di una Chiesa di martiri e di diaspora, diffusa in varie nazioni, soprattutto Iraq ed Iran. Nel
Medioevo e all’inizio del nostro secolo ha sofferto massacri non indifferenti. I Caldei, invece, sono
coloro che hanno deciso di riunirsi alla Chiesa romana.
Il documento del 1994, firmato dal nostro Papa e dal Patriarca della Chiesa Assira (Dichiarazione
Cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente), parte dal mistero
dell’Incarnazione quale punto comune nella fede. Si parla di “mistero”, al singolare, dell’Incarnazione
e di Xto. Non si trova nel nostro Credo o nei Concili, ma risale al Vat.II: è un modo prediletto di
parlare di Rahner, ad esempio. Ne fa lo stesso uso il nostro Papa, Giovanni Paolo II; indubbiamente ci
sono “misteri” Xtologici, ma è giusto dire che il mistero Xtico è unico.
Analizziamo ora le parti del documento:
“Quali eredi e custodi della fede ricevuta dagli Apostoli, così come essa è stata formulata dai nostri
Padri comuni nel simbolo di Nicea”: ci si rifà al concilio di Nicea, con il passaggio lex orandi - lex
credendi, riprendendo subito una frase del Concilio: “Noi confessiamo un solo Signore Gesù
Cristo...”.
Ci sono tre titoli centrali nel credo niceno: Signore, Xto e Figlio. Se ne aggiunge un quarto: Verbo di
Dio, titolo usato anche a Calcedonia, ma che è anteriore a Nicea. Nel documento Gesù è detto anche
“La seconda persona della Trinità”, come si legge già nel Concilio di Costantinopoli II (DS 424,
426), del VI sec.. Il motivo della salvezza, nel I paragrafo, è descritto così:
“ [...] è disceso dal cielo e si è fatto uomo per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio, la seconda persona
della Trinità...”.
Nello stesso paragrafo sono indicate le “due generazioni”: “[...] nato dal Padre prima di tutti i
secoli,... si è incarnato assumendo dalla Santa Vergine Maria un corpo animato da un’anima
razionale...”; questa dottrina risale a Cirillo, Ireneo, ed è rispresa da questa dichiarazione. Gesù,
inoltre, è pienamente uomo, con un’anima razionale, secondo quanto affermarono già i Padri
Cappadoci e il Concilio di Calcedonia. Alla fine di questo primo paragrafo si dice che:
“.. con il quale fu unito [al corpo animato..] sin dal momento del suo concepimento.”: pertanto non c’è
mai stato un uomo Gesù che solo dopo il concepimento è stato assunto dal Verbo di Dio. Sin dal
concepimento l’umanità è stata assunta in pienezza: Gesù Xto e Verbo di Dio è l’unico soggetto
individuale.
Nel secondo paragrafo si notano gli influssi di Calcedonia (451) per quanto concerne la terminologia
adottata:
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“Perciò il nostro Signore Gesù Xto è vero Dio e vero uomo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella
sua umanità...”. Inoltre Gesù è “consustanziale con il Padre e consustanziale con noi in ogni cosa,
eccetto il peccato.”.
“La sua divinità e la sua umanità sono unite in un’unica persona...”: qui vi è una semplice inversione
di vocaboli rispetto a Calcedonia. “Senza confusione né cambiamento, senza divisione né
separazione”: si tratta dei quattro avverbi presi da Calcedonia (che è seguito alla lettera) contro la
tendenza di Eutiche e di Nestorio.
“In lui è stata preservata la differenza delle nature della divinità e dell’umanità, con tutte le loro
proprietà, facoltà ed operazioni.”: viene usato il termine “nature” (physis), aggiungendo che le
proprietà umano-divine sono conservate integralmente in Gesù Xto. Vengono aggiunti i termini
“facoltà ed operazioni”, che risalgono a Costantinopoli III, il Concilio che condannò il
monoenergismo ed il monotelismo, ossia quella tendenza che affermava una sola volontà e operazione
in Gesù.
Alla fine del paragrafo si dice: “la divinità e l’umanità sono unite nella persona dello stesso ed unico
FdD e Signore Gesù Xto, il quale è l’oggetto di una sola adorazione”: l’espressione ricorda i termini
“stesso ed unico” di S.Ireneo.
Inoltre, con Costantinopoli II (DS 431) si stabilì che Gesù, il FdD, è l’unica persona oggetto di una
sola adorazione: così noi adoriamo la stessa persona che è simultaneamente FdD e Fd Maria.
Il terzo paragrafo “Xto pertanto non è un ‘uomo come gli altri’ che Dio avrebbe adottato per risiedere
in lui ed ispirarlo, come è il caso dei giusti e dei profeti”: il documento esclude quindi qualsiasi forma
di adozione; il Xto non è come i giusti o i profeti. Xto supera tutti coloro che sono ugualmente tempio
dello Spirito, poiché egli è il Verbo di Dio. Segue ancora la doppia generazione “generato dal
Padre... nato negli ultimi tempi da una madre”. Questo documento intraprende un’altra strada rispetto
al Vat.II, che non usava ripetere più volte lo stesso concetto, come qui avviene per la doppia
generazione.
“L’umanità alla quale la BVM ha dato la nascita è stata sempre quella dello stesso FdD.”: non ci
sono quindi due figli, ma Maria ha messo al mondo il FdD. Si riconosce poi, come ci siano due prassi
liturgiche: la Chiesa Assira non usa l’aggettivo “Theotokos” ma “Madre di Xto”, mentre la tradizione
cattolica le usa entrambe. Nonostante tutto le due Chiese rispettano le loro usanze reciprocamente.
Questa varietà negli usi e nelle espressioni teologiche è legittima e porta ad una complementarietà,
come si legge in Unitatis Redintegratio (UR) al n.17.
Tali usanze sono inserite nel contesto della preghiera e della liturgia: non si insiste sull’uniformità del
linguaggio, così come già aveva stabilito il Vat.II.
Il quarto paragrafo “Tale è l’unica fede che noi professiamo nel mistero di Xto”: parla di mistero al
singolare. Si menzionano le controversie del passato che “hanno condotto ad anatemi pronunciati nei
confronti di persone o di formule. Lo Spirito del Signore ci accorda di comprendere meglio oggi che
le divisioni così verificatesi erano in larga parte dovute a malintesi”.
“Tuttavia, prescindendo dalle divergenze cristologiche che ci sono state, oggi sperimentiamo noi
stessi [versione italiana: noi confessiamo uniti la stessa fede...] uniti nella confessione della stessa
fede nel FdD che è diventato uomo perché noi, per mezzo della sua grazia, diventassimo FdD”. Vi è
un errore di traduzione dall’inglese, poiché alcuni cercano di evitare il linguaggio esperienziale che il
nostro Papa usa coraggiosamente. L’idea dell’admirabile commercium è inserita alla fine di quel
periodo.
L’economia della salvezza (paragrafo sesto) è ripresa sul modello dei Padri della Xsa: “Esso riguarda
[il mistero dell’Incarnazione] il FdD inviato per salvarci. L’economia della salvezza, che ha la sua
origine nel mistero della comunione della Santa Trinità - P, F e SS - è portata a compimento
attraverso la partecipazione a questa comunione, secondo la grazia, nella Chiesa una, santa,
cattolica e apostolica, Popolo di Dio, Corpo di Xto e Tempio dello Spirito.”.
Il paragrafo settimo dice alla fine: “Il sacramento dell’ordinazione al ministero sacerdotale nella
successione apostolica è garante, in ogni Xsa locale, dell’autenticità della fede, dei sacramenti e
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della comunione”. In questo ministero sacerdotale sono coinvolti non soltanto i Vescovi, ma anche i
sacerdoti.
“Tuttavia, la profonda comunione spirituale nella fede e la reciproca fiducia che già esistono tra le
nostre Xse, ci autorizzano d’ora in poi a considerare come sia possibile testimoniare insieme il
messaggio evangelico e collaborare in particolari situazioni pastorali, tra le quali, e in modo
speciale, nel campo della catechesi e della formazione dei futuri sacerdoti”: questa collaborazione
nella catechesi e nella formazione dei sacerdoti è già iniziata. Con questo documento torna la pace tra
le due parti dopo secoli di malintesi. Esso rappresenta in qualche modo la rivincita di Nestorio, che
non ne esce condannato.
LA TERMINOLOGIA NEI CONCILI
Cerchiamo di riassumere quanto abbiamo detto sinora circa i termini adottati, e in special modo per i
termini ousia, physis e hypostasis.
Ousia
Questo termine può indicare “proprietà”, ossia beni materiali (cfr Lc 15); esso provocò delle difficoltà
quando venne usato nell’aggettivo “omoousios”= della stessa sostanza. In che senso si intende della
stessa sostanza?
Ad es., Ireneo parlando della risurrezione dice: “risorgeremo con lo stesso corpo”, ma cosa vuole
intendere, la stessa persona o lo stesso corpo fisico?
Faremo quindi una distinzione dei suddetti termini applicati al Dio Tripersonale e poi applicati al
Figlio, passaggio che già Tertulliano fece nel III sec., in “Adversus Praxean”.
TERMINOLOGIA PER IL DIO TRIPERSONALE
OUSIA
1. S.Giustino: E’ il primo teologo Xno, martire a Roma nel II sec.; era anche filosofo e afferma che
l’ousia del Padre non è suddivisa: nella generazione del Figlio, l’ousia del Padre non viene divisa.
Giustino non sviluppò ulteriormente questa affermazione che si trova in “Dial.”, 128.4.
2. Dionigi d’Alessandria (+264): nella controversia con il Papa omonimo (Dionigi), commentò il
termine omoousios usato in maniera ortodossa. Egli intendeva omoousios per sottolineare la
distinzione personale P-F, pur condividendo la stessa ousia. Paolo di Samosata usò in senso
eterodosso, eretico, il termine omoousios, ma probabilmente intendeva l’aggettivo nel senso
modalista: P e F sono due “modi” di manifestarsi dell’unico soggetto divino.
3. Con Nicea, omoousios è usato per condannare Ario ed isolare la sua eresia.
4. Basilio e i Padri cappadoci: una ousia e tre hypostasis; il Sinodo del 388, con la lettera a Papa
Damaso, usò l’espressione “Trinità consostanziale” (omoousios Trias). Il nostro Credo non ha
introdotto la consostanzialità dello Spirito, cosa che invece ha fatto quel Sinodo.
PHYSIS
Questo termine aveva diversi significati: natura, principio di attività, natura individuale, soggetto.
1. La scuola di Alessandria: Origene, così come Atanasio, parlavano di physis divina.
2. I padri Cappadoci: Basilio, Gregorio di Nissa e di Nazianzo parlano dell’unica physis di Dio, un
solo principio di operazione.
HYPOSTASIS
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Fu il termine molto contestato, poiché evocava ai latini il termine “substantia”; nel II sec., Origene lo
usò nel senso di ‘soggetto’. Il problema si è concretizzato circa il significato di sostanza = ciò che sta
sotto, e di ‘soggetto’.
1. Papa Dionigi: Egli escludeva le tre hypostasis nel senso di tre sostanze.
2. Nicea: lo intendeva come sinonimo di ousia, così come diceva Papa Dionigi.
3. Basilio: usava il termine nel senso di ‘soggetto’. Atanasio rimase leale alla terminologia di Nicea:
in Dio ci sono tre ‘prosopai’, e non ebbe difficoltà ad usare hypostasis al plurale, nel senso di ousia
(tre soggetti). Nel Sinodo del 382 si parlò di tre hypostasis in Dio, così come per i Padri cappadoci.
PROSOPON
Non era un termine con tanti sensi, ma vi era una certa varietà di significati: volto, manifestazione,
soggetto. I modalisti e i sabelliani affermavano che in Dio vi erano tre ‘prosopai’, come tre modi di
rivelarsi (tre volti) dell’unico Dio.
I Cappadoci: parlavano delle tre persone divine, tre soggetti distinti. Nel Sinodo del 382 prosopon ed
hypostasis vennero usati come sinonimi.
LA TERMINOLOGIA PER IL FIGLIO
OUSIA
1. Giustino diceva che il Logos è della stessa ousia del Padre (v. sopra)
2. Dionigi usava omoousios nel senso ortodosso: il F è della stessa sostanza del P, contrariamente a
Paolo di Samosata, che lo usava in senso eterodosso. Da qui capiamo come la terminologia è stata
causa di discordie.
3. Nicea: (v. sopra)
4. Costantinopoli I (DS 150) ha ratificato definitivamente ‘homoousios’ aggiungendo qualcosa sullo
Spirito Santo nel Credo.
5. Calcedonia disse che il F è homoousios al P e a noi: la consustanzialità di Gesù è sia rispetto al
Padre che agli uomini (DS 301).
PHYSIS
1. Apollinare introdusse il termine in Xtologia “mia physis...”, ossia l’unica natura usata in senso
eterodosso: il Logos prende il posto dell’anima razionale in Gesù. Gregorio di Nazianzo e G. di Nissa
si opposero, difendendo le due nature in Xto.
2. Cirillo (V sec.), usando il linguaggio di Apollinare, intendeva dire che nel Xto c’è un solo soggetto.
Al plurale Cirillo usava il termine nella polemica contro Nestorio, anticipando Calcedonia: in Xto due
nature (DS 302).
HYPOSTASIS
Nel campo Xtologico, compare a Nicea, dove indicava il sinonimo di ousia (v. Girolamo, Papa
Dionigi..), ossia la realtà sostanziale. Nel V sec., hypostasis avrà più il senso di soggetto.
Cirillo diceva che il Xto è 1 hypostasis, un soggetto: introdusse anche l’avverbio ‘kath’hypostasys’ =
ipostaticamente, personalmente (1 solo soggetto).
Calcedonia usò il termine nel senso di persona.
PROSOPON
E’ un termine biblico; Gregorio di Nissa sembra il primo ad usare un prosopon di Xto, nel senso di un
soggetto.
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Cirillo, contro Nestorio, usa il termine per contrastare la dualità nel Xto.
Calcedonia, nella dichiarazione con la Xsa d’Assiria, usa il termine persona, termine usato dalla Xsa
d’Oriente.
COSTANTINOPOLI II E III; NICEA II
La Xsa occidentale (latina) aveva delle difficoltà a riconoscere Cost. I: difatti non c’era nessun
Vescovo occidentale presente al Concilio.
1.1. S.Gregorio Magno riconobbe quel Concilio, e dopo cinque mesi dalla sua elezione a Papa scrisse
in una lettera sinodica a cinque patriarchi orientali (febbraio 591): “Come i quattro libri del santo
Vangelo, così professo di accogliere e venerare i quattro Concili...” (DS 472). Nella stessa lettera dice
di riconoscere anche il Concilio di Cost.II. I primi quattro Concili venivano così considerati la norma
essenziale ed ortodossa per la dottrina trinitaria e Xtologica.
Anche l’Imperatore Giustiniano (governò dal 527 al 565) introdusse nella sua professione di fede i
risultati dei primi quattro concili.
1.2. Vi è uno sviluppo logico nei primi quattro concili: Nicea I insegnò che Xto è Dio, della stessa
sostanza del Padre; Costantinopoli I che Xto è perfettamente uomo. Efeso: Xto ha due nature non
separate, e Calcedonia aggiunse che esse non sono confuse.
Anche le eresie hanno svolto un ruolo decisivo per le affermazioni dogmatiche conciliari: per
controbattere Apollinare, che negava l’anima razionale in Xto sostituita dal Logos; il Nestorianesimo,
che spinse agli estremi la distinzione tra le due nature in Xto; Eutiche, che portò all’estremo le
affermazioni di Efeso, dicendo che la natura divina ha assorbito quella umana del Xto. Ci furono
anche i monofisiti e i difisiti, ecc..
2.1. Costantinopoli II (553): riprende il Concilio di Efeso, mentre Cost. III riprenderà Calcedonia.
Nicea II riprenderà invece tutti e quattro i precedenti Concili.
Cost. II fu promosso da Giustiniano: egli voleva tentare di riconciliare i Monofisiti e i difisiti,
condannando i Nestoriani, ma ciò non avvenne. Cost II rappresenta il ritorno ad Efeso e alla teologia
Alessandrina, mettendo in rilievo l’unità in Xto. Ci sono due espressioni da segnalare:
1. “per composizione” (kata synthesin): è la meno felice, rispetto alla seconda che rimane
normativa;
2. “due nature”: cf Calcedonia, una diversa espressione dell’ ‘una natura incarnata del VdD’
di Cirillo.
Queste due espressioni tendevano a sottolineare l’unità del Xto; in questo concilio vennero
condannati anche tre altri antiocheni (Teodoro di Mopsuestia, Teorodo di Ciro e Ibas di Edessa) (DS
434-437), e Nestorio.
Si adotta qui la stessa terminologia di Cirillo (DS 429). Questo concilio stabilì definitivamente la
Xtologia dell’unione personale (ipostatica) in Xto. Vi fu anche una conseguenza pratica per il culto: si
disse che “si deve venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne”
(DS 431), passando così dalla fede alla preghiera (lex credendi - lex orandi). In definitiva,
dall’insegnamento dogmatico si deve passare alla liturgia, ossia al culto.
2.2. Vi è anche l’espressione “Xto è uno della santa Trinità”: il Concilio di Calcedonia non ha detto
letteralmente che Xto è uno della SS Trinità. Costantinopoli II elimina ogni dubbio adottando almeno
tre volte quella espressione. Come mai è adottata questa terminologia? L’occasione fu data dalla visita
di alcuni monaci orientali a Roma (519): essi affermavano che uno della Trinità aveva sofferto ed era
morto. Questa espressione, in virtù della communicatio idiomatum, è esatta ed è adottata anche nella
teologia contemporanea (v. Sobrino).
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3.1. Costantinopoli III: tentò di riconciliare ancora i monofisiti e i duofisiti. Due sono i personaggi
coinvolti in questo tentativo. Sergio di Costantinopoli e Papa Onorio I tentarono questa
riconciliazione, ma nonostante le loro buone intenzioni, non vi riuscirono.
Sergio di Costantinopoli (610-638) propose “una sola energia” in Xto, cercando un compromesso tra
monofisismo e difisismo calcedonese. Egli cioè accettava l’insegnamento di Calcedonia, ma parlava
di un solo modo di agire del Xto (monoenergismo). Papa Onorio preferiva un altro linguaggio: “una
sola volontà in Xto”, ossia il linguaggio del monotelismo. Forse Papa Onorio voleva proporre
un’unione morale tra la volontà umana e divina in Xto, le quali collaborano strettamente tra loro. O
forse parlava in senso ontologico: Xto, che ha una sola volontà, quella divina.
Non si tratta di un insegnamento infallibile del papa; negli scritti dei due protagonisti si legge però
una tendenza monofisista: per Onorio, Gesù ebbe una sola volontà, quella divina, pertanto si nega la
vera umanità del Xto. Sergio considera l’attività di Gesù non derivante dalla sua persona, ma dalla sua
natura, quella divina. Queste due tendenze hanno ridotto la natura umana del Xto.
3.2. Costantinopoli III: risolse questo problema del monoenergismo e monotelismo, affermando che in
Xto ci sono due volontà in perfetta armonia tra loro, e due operazioni (energie) indivise ma inconfuse
(DS 556-558). Questo Concilio può essere visto come l’applicazione pratica del Concilio di
Calcedonia. Quest’ultimo manteneva le distanze tra le due nature in Xto, e Cost.III mantiene le
distanze tra le due volontà e le due operazioni in Xto. In definitiva Costantinopoli III mantiene
l’umanità integrale del Xto, sicché soteriologicamente si afferma che noi siamo salvati “dal di
dentro”, poiché Dio si è fatto uomo.
S.Tommaso affermava che Xto uomo è il redentore immediato, e Dio è la causa remota: forse non è
un linguaggio preciso, ma rende bene l’idea, secondo un linguaggio adottato anche dai Padri della
Xsa.
4.1. Nicea II (787): è l’ultimo concilio ecumenico per i nostri fratelli greci ortodossi. Rispose
all’eresia iconoclasta, cioè a coloro che rifiutavano di avere immagini sacre nelle loro Xse.
Storicamente Maometto (570-632) e i musulmani rifiutavano la venerazione di immagini sacre. Nel
638 occuparono Gerusalemme, che restò in loro possesso fino al 1099.
Giovanni Damasceno, da parte sua, difese l’uso delle immagini di Xto, che potevano essere venerate
in virtù dell’Incarnazione: l’immagine rappresenta la presenza della persona che si venera, pertanto
non si adora l’immagine del Xto ma il Xto stesso, a cui l’immagine rinvia. Giovanni Damasceno morì
nel 749, e dopo alcuni anni il Concilio di Nicea sottolineò e ribadì il suo insegnamento. Tale concilio
riassume l’insegnamento dei primi sei concili. Anche liturgicamente Nicea II ebbe un’importanza
rilevante, poiché nell’824 si celebrò la “Festa dell’Ortodossia”, contro, cioè tutte le eresie.
IL MEDIOEVO: ANSELMO, ABELARDO E BERNARDO
Da S. Anselmo in poi ci sono almeno tre elementi relativamente nuovi:
1. enfasi sull’umanità e libertà del Xto;
2. opera salvifica: dopo Calcedonia, l’interesse soteriologico si era affievolito. Con il
medioevo
si ha un recupero di questo importante aspetto della salvezza;
3. la filosofia greca platonico-aristotelica viene ripresa con serietà. Siamo all’inizio del
periodo Scolastico.
1.1. Ricordiamo alcune teorie sulla salvezza. Essa era intesa come deificazione: Dio si è fatto uomo
perché noi fossimo deificati. C’era l’idea anche della salvezza come vittoria: quest’idea risale alla
Scrittura: la salvezza è il risultato del conflitto da cui Xto esce vittorioso, lottando contro il diavolo e
contro la morte. E’ quanto viene espresso anche in alcuni inni della liturgia (“Vexilla regis prodeunt”
e “Pange lingua gloriosi” di Venanzio Fortunato). Venanzio mette assieme croce e risurrezione. A
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Roma, l’arco di Tito simboleggia la sua vittoria in terra santa: allo stesso modo la croce viene ora
vista come il trofeo o il vessillo di vittoria. Anche l’Exultet è un inno di vittoria e si canta la notte di
Pasqua per indicare la vittoria della luce sulle tenebre. Così anche il “Victimae paschali laudes”,
composto da Vipone nel 1050 ca., che si recita la domenica di Pasqua.
1.2. Vi era anche un’altra interpretazione della salvezza, meno felice della precedente, ed era quella
del riscatto versato al demonio. Gli uomini, schiavi, sono stati riscattati dal Xto, ed il prezzo di
questo riscatto sarebbe stato dato al diavolo. Questa metafora fu sviluppata in modo maldestro da
Origene: il diavolo avrebbe dovuto ricevere questo riscatto, ma rimase deluso, perché Xto ha vinto su
di lui e sulla morte.
Gregorio di Nazianzo si oppose a questa interpretazione metaforica.
1.3. Cosa dire a proposito dei “diritti del diavolo”? In questa interpretazione c’è da dire solo che
veniva preso seriamente il carattere negativo del peccato e del male; anche la redenzione di Xto è
stata considerata come un’impresa onerosa. Inoltre, Croce e risurrezione venivano distinte ma non
separate, ed il Xto, anche se ucciso, risulta paradossalmente il vincitore. La morte non è quindi
l’ultima parola sulla vita.
2.1. S.Anselmo parla di “satisfactio”, dal punto di vista apologetico nel dialogo con i musulmani e gli
Ebrei. Per i primi, la morte in croce del FdD sembrava scandalosa e assurda. Pertanto Anselmo voleva
rendere intelligibile l’Incarnazione e la morte di Xto. Egli usa il termine “soddisfazione” che non è un
termine biblico, ma deriva dal diritto romano. Soddisfare vuol dire “fare abbastanza”, in questo senso:
1) fare penitenza prima del battesimo: Tertulliano infatti, usava in questo contesto il termine
“satisfactio”;
2) dopo Tertulliano il termine aveva un senso più ampio: la condotta penitenziale più
generale.
Quest’idea si trova nel libro “Cur Deus Homo” (1098) di S.Anselmo, libro che ha influito
grandemente nel mondo cattolico occidentale fino al nostro secolo. Bisogna riconoscere ciò che
Anselmo dice.
2.2. Egli parte dal peccato e dalle sue conseguenze: è l’onore offeso di Dio. Il cavaliere deve tutto al
suo Re o Principe, e il peccato è una sorta di furto: abbiamo rubato l’onore dovuto a Dio. La
riparazione esige non soltanto una restituzione completa, bensì anche un qualcosa di più, un’opera di
sovraerogazione. Ci sono quindi due possibilità di soluzione:
a) il castigo/pena imposta da Dio;
b) la soddisfazione di ordine morale.
Ma Dio non vuole vendetta, anche se bisogna riparare questa situazione. Occorre l’opera di
sovraerogazione, dare un di più oltre al pentimento.
2.3. L’uomo peccatore deve “satisfacere” ma non può, dovendo già tutto a Dio. Per Anselmo, inoltre,
il peccato ha un disvalore infinito: è una violazione infinita, perché l’offesa è diretta a Dio, la cui
maestà è infinita. Anche se l’uomo si pente, ciò non basterebbe a soddisfare Dio. Ma Egli vuol
completare il bene cominciato, la salvezza, poiché è fedele.
2.4. Allora solo un Dio-uomo può “satisfacere”: solo il FdD incarnato può offrire qualcosa di infinito
a Dio, poiché lui solo è il Dio fatto uomo. L’unione ipostatica, personale consente a Gesù di portare a
termine questo compito. Il FdD non è sottoposto alla legge del peccato e della morte, ed ha qualcosa
da offrire: la sua stessa vita. Accettando liberamente la morte, egli offre il dono infinito a Dio.
Come valutare la teoria di Anselmo?
Alcuni accettano bene la sua dottrina, altri la criticano aspramente.
2.5. Anselmo vuole mettere in evidenza l’intelligibilità dell’incarnazione e della Risurrezione: la fede
in cerca d’intelligenza. Anselmo ha un senso elevato di Dio, che non punisce in modo geloso volendo
vendicarsi, ma è misericordia infinita. Inoltre, Anselmo prende seriamente in considerazione il
peccato, quale offesa infinita a Dio. Riconosce che la nostra redenzione è stata operata dal di dentro,
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poiché Dio si è fatto uomo. Solo così è giunta all’uomo la salvezza, tramite l’incarnazione: un dono
dall’alto e dal “di dentro”. La morte di Gesù non è una punizione, contrariamente a quanto detto da
alcuni studiosi. Infine, Anselmo distrugge la teoria dei “diritti del demonio”.
2.6. Ci sono però alcuni punti negativi:
1) l’idea di giustizia commutativa (cfr CCC 2411): bisogna rispettare cioè i diritti degli altri. E’ la
giustizia come viene intesa oggi: pagare il dovuto, rispettare i diritti degli altri, ecc.. Ma la giustizia
biblica è la fedeltà amorevole di Dio, come dice Paolo, che va oltre la giustizia commutativa.
2) Anche la visione anselmiana del peccato non è propriamente quella biblica: nell’AT il peccato si
presenta come infedeltà (matrimoniale), e non come onore offeso.
3) La vita del Xto, inoltre, non è così importante per Anselmo: è quasi un preludio alla morte.
Parabole, miracoli, ecc, quasi non contano per Anselmo.
4) La risurrezione non è presa in considerazione nella sua importanza e centralità, tramite la quale
siamo redenti e deificati. Nel CCC c’è un accenno alla teoria di Anselmo (615-616), anche se non è
citato apertamente.
3.1. Abelardo portava avanti il metodo scolastico e non quello di Anselmo: per Abelardo la salvezza è
un’opera d’amore e non di “soddisfazione”. La critica mossa a questa teoria è di essere troppo
soggettiva: in realtà ha dei lati positivi che non vanno tralasciati.
3.2. Per Dante l’amore è una dimensione ontologica dell’uomo e dell’universo (cf anche Teilhard de
Chardin).
4.1. Nella religiosità (misticismo) popolare, si metteva in evidenza l’umanità di Gesù, portando avanti
l’idea di alcune figure mistiche (Giuliana di Norwich). Si tratta di una visione realistica della
sofferenza del Xto. Così le crociate, se da un lato erano evidentemente un fatto negativo, dall’altro
esprimevano il desiderio di conoscere i luoghi dove visse Gesù. Vi è quindi una tendenza popolare
che contrasta quella accademica: la teologia dei pellegrinaggi e della visione popolare. Vi è dunque la
possibilità di esplorare direttamente la vita e la morte di Gesù.
S.TOMMASO
1. Anselmo e Abelardo hanno preparato la strada a S.Tommaso: il primo ha messo meglio in luce
l’umanità e la volontà umana di Xto rispetto alla soteriologia, e inoltre gli ha fornito gli elementi circa
la teoria della “soddisfazione”; Abelardo ha contribuito dal punto di vista filosofico, preparando il
passaggio all’Aristotelismo (e platonismo). Tommaso, infatti, fa largo uso della terminologia
aristotelica: materia e forma, atto e potenza, causa efficiente, materiale... . Ma è chiaro che Tommaso
si serve di questi concetti adattandoli al discorso teologico. Ricordiamo anche il lato contemplativo di
S.Tommaso: egli fu un grande teologo accademico, ma allo stesso tempo fu anche un mistico, come si
nota dalle sue preghiere eucaristiche e da altri scritti.
2.1. La Xtologia di Tommaso: ci riferiremo alla Summa Theologiae, che rappresenta il culmine della
Xtologia tommasiana, anche se la produzione del nostro autore in questo campo è alquanto vasta.
Nella S.Th. III, Tommaso parte dall’Incarnazione: è una Xtologia dall’alto, come quella che si trova
nel prologo di Gv (“Il Verbo si fece carne”). Tommaso in questo punto si avvicina a Cirillo
d’Alessandria e ad altri Padri. Subito dopo Tommaso parla del motivo dell’Incarnazione: perché Dio
si è fatto uomo?
Il motivo risale al peccato originale: se Adamo ed Eva non avessero peccato il FdD non si sarebbe
incarnato. Pertanto, il motivo fondamentale è la redenzione dai nostri peccati, anche se Tommaso ce
ne indica altri. Ad es., per il fatto che la “bontà si diffonde” (bonum est diffusivum sui), principio che
risale a Dionigi l’Areopagita (VI sec.), Tommaso intende dire che Dio, Sommo Bene, per sua natura si
comunica agli uomini. Lo stesso principio sarà usato da K.Rahner, e nella “Dominum et vivificantem”
del nostro Papa Giovanni Paolo II. Un altro motivo è simile a quello che più in là formulerà Teilhard
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de Chardin: l’unione ipostatica è la perfezione della natura umana. Non si può, cioè, pensare
un’evoluzione più alta per la natura umana al di fuori dell’incarnazione: essa ha permesso al VdD di
manifestarsi agli uomini.
2.2. Nella teologia dell’Incarnazione di Tommaso ci sono altri elementi:
1) la grazia di Xto: è quella che si trova nell’umanità assoluta del VdD; a questo riguardo
Tommaso adotta un triplice schema:
1. grazia dell’unione: è quella dell’unione ipostatica, la più alta poiché la natura
umana di Gesù è unita personalmente alla natura divina del VdD;
2. grazia abituale: è lo stato della grazia soprannaturale che santifica l’umanità di Xto
in modo unico;
3. grazia capitale: Xto incarnato è il capo del Corpo mistico, e pertanto possiede una
grazia particolare che permette di impartire alle altre membra del corpo la stessa
grazia.
2) vi è anche la “scienza” del Verbo incarnato: quale conoscenza aveva l’uomo Gesù? Qui si
nota il principio di perfezione: Tommaso gli attribuiva tutte le perfezioni, sicché
l’umanità del Xto aveva il massimo delle perfezioni. Gesù non ignorava nulla (sapeva
tutte le lingue!), e sapeva tutto. Da qui la difficoltà a riconoscere nel Xto un’autentica
umanità, che in quanto tale è da riconoscersi limitata. Ecco che Gesù, per Tommaso,
possedeva una triplice scienza:
a) visio beatifica: è la visione di Dio goduta dai santi nel cielo. Per Tommaso Gesù
ha avuto nella
sua vita terrena questa visione;
b) scienza infusa: è la scienza degli angeli o dei profeti, infusa da Dio, che permette
di vedere le cose con una chiarezza del tutto speciale;
c) la scienza acquisita: la mente del Xto aveva anche acquisito sperimentalmente le
conoscenze che possedeva.
2.3. Il triplice ufficio del Xto: profetico, sacerdotale, regale. Tale schema risale all’AT ed ha avuto
largo influsso nella Xtologia. Tommaso segue difatti diversi Padri e afferma che Xto ci salva come
profeta: rivelando i misteri divini, come sacerdote e come Re (pastore).
Il Vat.II, nella LG, ha adottato lo stesso triplice schema.
2.4. La vita di Xto: a differenza di Anselmo, Tommaso riconosce l’importanza della vita prepasquale
di Gesù e del suo ministero. La vita di Gesù rivela, in modo parziale, la sua identità. Essa comincia a
renderci partecipi della salvezza operata dal Xto. Purtroppo, dopo Tommaso, molti teologi hanno
trascurato la vita concreta di Gesù, passando dall’incarnazione alla passione e morte. Nel nostro
secolo c’è stato un recupero dell’importanza della vita di Gesù, con la riscoperta dei Vangeli sinottici.
2.5. Passione e morte: Tommaso segue Anselmo, modificando la sua teoria, e aggiungendo il tema
della carità (v. Abelardo). Seguendo Anselmo, Tommaso distingue quattro modi dell’efficacia della
passione di Gesù: il merito, la “satisfactio”, il sacrificio e la redenzione.
1) L’uomo peccatore riceve una sorta di riparazione dei suoi peccati in virtù della
“satisfactio”;
2) “si dice sacrificio nel senso proprio del termine ciò che si fa per rendere a Dio l’onere
che propriamente gli spetta, allo scopo di placarlo”: l’idea del sacrificio che mira a
placare Dio è da prendere con le dovute cautele;
3) Tommaso parla anche dell’amore di Xto che liberamente accetta la morte per placare
Dio. Tommaso ripete qui lo stesso concetto del sacrificio.
2.6. Circa la redenzione, Tommaso riprende le stesse espressioni di Anselmo: “un uomo
semplicemente uomo non poteva soddisfare per la totalità del genere umano; Dio non doveva
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soddisfare; bisognava quindi che Gesù Xto fosse Dio e uomo”. Allo stesso tempo, modifica la teoria
della soddisfazione:
1) Tommaso non riconosce la necessità assoluta della soddisfazione: l’amore infatti può
cancellare l’offesa;
2) “satisfactio” comporta l’aspetto della pena: per Anselmo non era così; Tommaso la
ritiene come il prezzo da pagare a Dio, un riscatto versato a Dio (e non al diavolo).
2.7. Tommaso ha commentato largamente il mistero pasquale, seguendo S.Paolo in RM 4,25, anche se
utilizza una terminologia aristotelica: il Xto è la causa efficiente ed esemplare della nostra
giustificazione.
3.1. La Xtologia di Tommaso ha dei punti positivi, come la rivendicazione della volontà umana
autentica di Xto che collabora con quella divina (cfr. Costantinopoli I). A questo riguardo i Sinottici,
con l’episodio del Getsemani, ci danno una valida testimonianza. La salvezza è quindi realizzata
anche “dal di dentro”, sicché nella passione il Xto non è semplicemente un individuo passivo, ma la
sua volontà umana è determinante. Anche nell’esegesi biblica, Tommaso ci dà dei validi contributi: la
Scrittura è normativa. Egli non distingue tra Gv e i Sinottici, e attinge largamente anche da S.Paolo.
Circa gli uffici del Xto, Tommaso afferma che egli è il mediatore della salvezza e della rivelazione, in
virtù di quel triplice ufficio. Anche i misteri della vita di Gesù, Tommaso li fonda sulla stessa vita
concreta del Xto.
3.2. l’eredità dubbiosa: la separazione tra la creazione e la redenzione che Tommaso ha attuato, oggi
sono visti come i due atti di un unico dramma. Inoltre, la teoria della visione beatifica esclude
l’autentica umanità di Gesù. Infine, l’idea della pena, come prezzo da pagare a un Dio che va placato
ha aperto una strada tortuosa nell’interpretazione teologica degli anni successivi a Tommaso.
DAL MEDIOEVO ALLA RIFORMA
Al centro dell’attenzione di questo periodo è l’opera salvifica del Xto. C’è uno spostamento dal Xto
in sé al Xto per noi. Chi è dunque il Xto per noi?
Da S. Anselmo in poi si è messa dunque al centro l’opera redentrice del Xto.
1.1. Tornando ai primi sette concili, sappiamo che ci furono le controversie circa la natura e la
persona del Xto (in sé). Vi era la considerazione soteriologica, ma essa rimaneva un presupposto
“dietro le quinte”. Secondo Calcedonia, Xto fu generato “in questi ultimi tempi per noi e per la nostra
salvezza da Maria vergine” (DS 301). Secondo il credo niceno, ampliato poi da Costantinopoli I, Xto
discese dal cielo per noi e per la nostra salvezza, e fu crocifisso per noi. Più avanti a Calcedonia, non
si disse nulla sulla morte e risurrezione di Xto, almeno nella definizione Xtologica.
1.2. Nell’insegnamento ufficiale della Xsa c’è dunque pochissimo sulla salvezza: le controversie
riguardavano piuttosto la persona e le nature del Xto. Il Magistero non ha proposto mai alcuna propria
teoria della redenzione. Le dispute e gli sviluppi riguardano piuttosto il “lato soggettivo” della
redenzione: il Xto è il salvatore, ma occorre vedere come è stata accettata e trasmessa la redenzione.
2.1. La festa del Corpus Christi, ad esempio, è una festa promossa dopo l’iniziativa della beata
Giuliana di Liegi (+1258). Stava ad indicare una devozione rinnovata all’Eucaristia, ed in particolare
si concepiva la Messa come un sacrificio espiatorio. Parlare in questi termini sta a significare che la
morte di Xto in croce è stato un sacrificio espiatorio. Tale festa incoraggiò anche il discorso dei meriti
infiniti di Xto, che ha evitato che noi soffrissimo (ci ha condonato la pena). Circa la parola “merito”,
essa non risale al NT ma al modo di parlare giuridico, introdotto da Tertulliano.
2.2. Ricordiamo uno sviluppo non troppo positivo delle indulgenze, fenomeno che riguarda la Xsa
occidentale: l’idea era della remissione dei peccati attraverso una pena temporale che la Xsa applica
(e che il fedele paga!). Tale prassi ebbe inizio nell’XI sec., e abbiamo anche una teologia delle
indulgenze elaborata da S.Tommaso: la Xsa ufficiale applica il tesoro dei meriti di Xto (e dei santi)
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“conservati in cielo”. E’ un linguaggio metaforico per parlare degli effetti della morte e risurrezione di
Xto. Parlando in questo modo Tommaso voleva dire che i meriti di Xto hanno valore infinito. Vi
furono però degli abusi: indulgenze vendute per costruire basiliche (v. S.Pietro) ed altri episodi che
fecero scattare la protesta di Lutero, con la soluzione presa al Concilio di Trento (DS 1835).
2.3. Nel 1492 Cristoforo Colombo (e gli europei) scoprono l’America e l’esistenza di milioni di
uomini che non hanno mai sentito parlare del Xto e del Vangelo. Tale scoperta provocò una grande
crisi in campo teologico: come spiegare e trasmettere dunque la salvezza operata per mezzo di Xto al
di fuori della Xsa? Si partì dal fatto che il Xto è il Salvatore universale, anche se si doveva risolvere il
problema di come annunciarlo a chi non lo aveva mai conosciuto.
3.1. RIFORMA E CONTRORIFORMA.
Al centro della Riforma luterana vi era la questione di come spiegare la giustificazione attuata da Xto.
Lutero proponeva l’idea della “imputazione”: la salvezza del Xto ci è imputata, una spiegazione
questa di tipo giuridico, poiché in questo modo si vede la giustizia del Xto al di fuori di noi, che ci
viene imputata dall’esterno, così che siamo giudicati giusti da Dio; una sorta di verdetto su di noi.
I cattolici e gli ortodossi riconobbero nella giustificazione una vera e propria trasformazione: Xto ci
ha trasformati interiormente (cfr RM 5,5); siamo resi giusti e non solo dichiarati tali. Nel nostro
secolo, in Germania, negli USA ecc, sono stati tentati dialoghi tra luterani e cattolici; è chiaro però,
che la Riforma ha messo al centro l’opera salvifica del Xto, approfondendo il concetto di
giustificazione. Melantone, più giovane di Lutero, teologo sistematico, affermava che “conoscere Xto
è conoscere i suoi benefici” (Christum cognoscere hoc est beneficia eius cognoscere, non quod, isti
docent, eius naturas, modos incarnationis contueri), anche se poi riconobbe che questa espressione
era alquanto unilaterale (soteriologica).
3.2. Trento dovette così imbattersi nelle questioni riguardanti Lutero, Melantone e gli altri riformatori.
Nel documento del 1547 si nota un linguaggio piuttosto tomista, con i termini “meriti” e
“soddisfazione”: non si parla però di sacrificio. La causa meritoria della nostra giustificazione è Xto.
Egli ha soddisfatto alla nostra giustificazione. Il Concilio, però, come spesso accadeva, usava alcuni
termini (v. soddisfazione) senza darne una definizione precisa. Trento è d’accordo con Lutero nel dire
che la giustificazione è l’opera del Xto.
3.3. Alcuni anni dopo (1562), vi fu un altro documento sull’Eucaristia: la riforma protestante aveva
suscitato alcune controversie all’interno dei protestanti stessi. Il Concilio, senza definire sacrificio,
insegna che la Messa è un sacrificio e Xto, che si offrì “una volta sola” a Dio “sull’altare della croce”,
continua ad offrirsi al Padre in veste di vittima e di sacerdote, per la redenzione dai peccati. Il modo
incruento dell’offerta non ripete il modo cruento della croce (DS 1739-43, 1751-54). La morte del Xto
è così un sacrificio non solo di espiazione, ma anche di lode, di adorazione, ringraziamento. Trento
ebbe anche una visione universale del sacrificio, al di fuori di Xto, il quale è certo il vertice di ogni
sacrificio, sia dell’AT che della natura, ossia di tutta l’economia salvifica al di fuori dell’AT.
4.1. Nella teoria d’Anselmo degli elementi penali, questi erano già stati introdotti da Tommaso ed
altri. Anselmo sosteneva che la soddisfazione non implica il castigo o la punizione. Purtroppo
S.Tommaso ed altri hanno introdotto questi elementi nella teoria di Anselmo. La giustizia divina non
è più commutativa, ossia quell’equilibrio morale che fa sì che ognuno - ad es. - paghi il dovuto, ma
vendicativa: vi è una pena da pagare a causa di un castigo. In questo modo si introdusse l’idea del Xto
come sostituto: lui è stato punito sulla croce al nostro posto. Con l’approccio di Lutero e Calvino
entra dunque quest’idea: la collera di Dio si abbatte su Xto, il peccatore punito sulla croce per placare
l’ira divina. Dio entra in guerra con Dio!
A sostegno di questa teoria, Lutero si serviva di alcuni brani biblici quali: Gal 3,13; 2 Cor 5,21; Sal
22; Is 53; Lv 16.
4.2. Anche fra i cattolici, fino alla nostra generazione si trovano idee analoghe: J.B. Bossuet (1627-
1704) afferma che la vendetta divina si placa a spese del Figlio; L. Bourdaloue (1632-1704): sotto la
vendetta divina Xto soffre la pena del danno. Questi ed altri predicatori sostenevano la punizione del
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Xto che paga il prezzo dovuto a Dio: egli è soggetto all’ira divina. Ma in questo modo ne esce
completamente trasformata la fisionomia del Padre, che invece per Gv e Paolo è primariamente
Amore. Tali predicatori forse avevano dimenticato la misericordia di Dio che prende l’iniziativa per
salvarci, invertendo l’ordine: prima la vendetta, poi la misericordia.
IL RETROTERRA FILOSOFICO DELLA CRISTOLOGIA MODERNA
Si tratta di esaminare quei fattori filosofici che hanno un certo influsso sulla Xtologia attuale.
1.1. La cosiddetta “svolta antropologica” ha come punto di partenza Cartesio, col suo principio
“cogito ergo sum”: egli rivolge la sua attenzione al soggetto individuale che pensa. Cartesio ha
incoraggiato questa svolta in direzione del soggetto, partendo dall’esperienza che ognuno ha di se
stesso e del mondo. La svolta antropologica ha una valenza positiva, ma anche negativa ed equivoca.
Ad es., nella teologia F.D.E. Schleiermacher affronta il discorso teologico e Xtologico secondo un
approccio antropocentrico: al centro di tutto, secondo lui, c’è la nostra coscienza religiosa. Mentre per
Lutero erano validi i tre principi: solo Xto, solo grazia, solo fede, per Schleiermacher vale solo la
coscienza religiosa. Per lui la religione Xna ha come fondamento dei sentimenti di dipendenza
assoluta. Egli è stato il fondatore del protestantesimo liberale, con lo sviluppo della vita storica di
Gesù, ossia della “Gesuologia” piuttosto che della Xtologia.
Opposta a questa posizione vi è quella di K.Barth (1886-1968). Per vedere meglio come la svolta
antropologica abbia una valenza equivoca esaminiamo altri autori.
J.H.Newman: nella voce della coscienza egli trova la prova dell’esistenza di Dio; è lì che Dio è
presente. La svolta antropologica può quindi essere vista nel fatto che qui è la coscienza personale che
porta a Xto. Bultmann e Rahner partono invece dall’analisi della situazione umana: Rahner fa vedere
come il dinamismo del soggetto umano è teso e aperto al trascendente e all’infinito; l’uomo è quindi
ontologicamente aperto a Dio. Bultmann sosteneva che è dinanzi al Kerygma ogni uomo deve
prendere posizione.
1.2. Cartesio rappresenta anche un’altra tendenza, quella di interpretare qualsiasi fenomeno in modo
oggettivo e scientifico. Egli era anche matematico e uomo di scienza. Tale tendenza dell’oggettività
scientifica è esemplificata da Galileo (1564-1642) e da Newton (1642-1727): quest’ultimo voleva
spiegare tutto matematicamente. Il mondo è una grande macchina che funziona con le sue leggi: è
l’immagine meccanicistica del mondo, un “continuum” chiuso di cause ed effetti che esclude
epistemologicamente la partecipazione personale. Le leggi fisiche, infatti, si comprendono in modo
distaccato, oggettivo, senza alcun coinvolgimento personale. Si introduce così l’idea del positivismo
scientifico. Con Einstein (1879-1955), Bohr e con la fine della fisica e meccanica classica, quell’idea
meccanicistica del mondo viene meno. Le leggi del cosmo, come dirà Heisenberg (1901-1976), sono
soggette al “principio di indeterminazione”: le leggi esaminate non più in modo rigido e immutabile
ma statisticamente. Lo scrittore M.Polanyi (1891-1976) portò avanti la teoria della conoscenza
personale: non esiste un sapere totalmente oggettivo e distaccato, ma vi è sempre una componente
personale, in ogni scienza. Un osservatore ha sempre la sua mentalità, immaginazione, fantasia,
cultura, che per forza di cose influiscono sulla sua conoscenza.
2. Illuminismo: è una tendenza che si incrocia con quella vista in precedenza, ed è un movimento
nato in diverse nazioni, come l’Inghilterra, Francia, USA ecc.. Il mondo va spiegato alla luce della
ragione: la libertà è al centro e va esercitata in modo etico, nucleo centrale del Xmo. Nella Xtologia
ciò vuol dire che Xto è il docente di una nuova etica e di una nuova morale, ossia viene escluso il suo
messaggio escatologico e apocalittico del Regno di Dio. Ancora oggi, alcuni seguono questa pista,
negando l’insegnamento globale di Gesù.
3. Deismo: Dio non interviene nella storia del mondo, ma dopo averlo creato lo lascia in balia di se
stesso. Il deismo ha un impatto fatale sulla Xtologia: niente miracoli, niente risurrezione.... Dio,
invece, interviene -contrariamente alle idee deiste- con la sua provvidenza amorevole.
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4. Idealismo speculativo: Hegel è il personaggio chiave, con la sua filosofia della storia, ossia della
storia dello spirito assoluto. Esso, pervenendo a sé nell’altro da sé e nell’umanità, fa sì che la storia
sia un fenomeno globale: la verità sta nel tutto, nella totalità. Dopo la sua morte ci fu una separazione
tra i suoi discepoli: gli hegeliani di sinistra negheranno la divinità di Gesù e perfino l’esistenza di Dio
(v. Strauss, Feuerbach, Marx). L’influsso di Hegel oggi si nota, ad es., in Moltmann, o in Pannenberg:
per lui importa che la risurrezione abbia anticipato la fine di tutti i tempi. Anche per lui la verità è da
trovare nella totalità, che si ricava dall’evento della risurrezione. Egli parla anche di “prolessi”: Xto,
risorgendo dai morti, ha anticipato la fine della storia. Nel caso di Moltmann, vi è l’idea della storia
sofferente di Dio, quando dice che nella passione di Gesù,la storia della sofferenza è diventata la
sofferenza di Dio; la croce è così un evento interno a Dio stesso.
5. Darwin: indubbiamente la teoria dell’evoluzionismo nacque con un carattere prettamente
biologico, ma essa si estese ben presto ad altri settori. Ad esempio, alcuni scienziati parlano di
evoluzione cosmica, ecc.. Ricordiamo Teilhard de Chardin (1881-1955), che parla di cosmogenesi,
antropogenesi, Xtogenesi: l’evoluzione, per lui, sta nella Xtificazione di tutto l’universo, a partire
dall’evento dell’incarnazione. Tutto il mondo cammina verso Xto, punto finale dell’universo è fine
intrinseco dell’evoluzione cosmico-storica. Alcuni critici lo hanno accusato di essere un poeta: ma la
poesia è, a volte, l’unico modo di dire la verità!
6. La pluralità di filosofie: come si pone la Xtologia oggi dinanzi ad una grande varietà di filosofie?
Nel nostro secolo confluiscono varie scuole o correnti filosofiche: esistenzialismo (Kierkegaard,
Heidegger, Marcel), pragmatismo americano (Peirce, Dewey ...), ermeneutica (Schleiermacher,
Ricoeur...), fenomenologia (Husserl, Edith Stein...), analisi linguistica (Wittgenstein...), neotomismo
(Gilson, Maritain...).
Heidegger, nella sua opera precoce, vede il significato delle cose nella creazione: occorre che noi
stessi diamo significato al mondo. Il pensiero più maturo, invece, considererà il manifestarsi
dell’essere. Nel Pragmatismo americano si afferma che la verità si fa, e la si dimostra nella prassi: da
qui il riflesso in campo Xtologico. Nell’ermeneutica troviamo alcuni elementi positivi che sono stati
usati, ad es., nell’interpretazione dei Vangeli. In campo fenomenologico c’è da notare il punto
positivo che prende in considerazione l’esperienza (v. il nostro Papa attuale). Nell’analisi linguistica
c’è da considerare la possibilità di andare al senso del linguaggio Xtologico. Attualmente vi è anche la
riscoperta della filosofia tomista con autori quali Gilson, Marcel ed altri.
Cosa vogliamo dalla filosofia? Almeno la possibilità di chiarire alcuni concetti che vengono usati in
Xtologia. I filosofi ci invitano e ci stimolano anche a pensare in un modo più coerente. Ad es., vi è la
questione della divinità di Gesù che può benissimo essere affrontata con la collaborazione di teologia,
Xtologia e filosofia.
IL RETROTERRA DELLA XTOLOGIA MODERNA
1.1. La nuova coscienza storica, determinatasi in questi ultimi anni, incide notevolmente sulla attuale
Xtologia. Specie la ricerca storico-critica la quale, risalendo alle fonti, analizza i testi biblici più
antichi. La nostra fede è inserita in una storia, pertanto essa è interpellata dagli stessi studi storici. Nel
sec. scorso, lo storico von Ranke e J.H.Newman ci mostrano due fasi che hanno dato un notevole
contributo in tal senso. Von Ranke ha voluto portare avanti una storiografia neutrale: l’ideale è di
studiare gli avvenimenti in modo oggettivo e scientifico. Per coloro che la pensano come lui, la fede
blocca tale procedimento storico-scientifico. Mentre S.Agostino scriveva “se non credete, non
capirete”, von Ranke direbbe: “se credete, non capirete”. J.H.Newman ritiene all’opposto che la
nuova coscienza storica apre la via alla fede: egli proprio studiando l’evoluzione storica della dottrina
Xna, si convertì al cattolicesimo. Per lui la fede non è un ostacolo: essa si apre alla storia e la storia ci
apre alla fede.
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1.2. La ricerca storico-critica sulla vita di Gesù parte da Reimarus (1694-1768), i cui scritti furono
pubblicati postumi. Per lui, Gesù era un personaggio politico, e dopo la sua morte i discepoli
avrebbero inventato tutta la storia della Risurrezione, rubando il cadavere nel sepolcro. A.Schweitzer,
nella sua opera del 1906, studia ed analizza tante “vite” di Gesù, e fa una divisione in due gruppi:
a) quelli che facevano vedere come nella storia di Gesù c’è un fondamento solido per la
fede Xna;
b) quelli più increduli, che volevano liberare Gesù dalle dottrine Xli: un Gesù liberato dai
dogmi e dal dominio della Xsa. In definitiva essi dicevano si a Gesù, no alla Xsa e ai
dogmi.
Una conclusione ben fondata del suo libro è che ogni epoca della teologia ha trovato riflesse in Gesù
le sue idee, e ogni singolo lo ha creato secondo la propria personalità. In altre parole, ogni epoca ha
proiettato su Gesù la propria mentalità e cultura, sicché ogni scrittore si rifletteva in lui al momento di
scrivere di Gesù. Di certo non è possibile scrivere uno studio storico in modo completamente
oggettivo, come diceva von Ranke, poiché abbiamo necessariamente delle precomprensioni.
Occorre quindi essere coscienti di questo dato di fatto: nel caso di Gesù, molti fattori entrano nella
nostra precomprensione: ai nostri giorni, molti studiosi non accettano, ad es., i miracoli, poiché
sostengono che non si addicano a Dio, e scrivendo portano nei loro testi questo modo di vedere le
cose.
1.3. Il contributo dell’esegesi storico-critica: le tre tappe nella formazione dei Vangeli:
a) la proclamazione orale degli eventi di Gesù fino all’anno 30 d.C.;
b) la storia delle forme: Bultman e Dibelius;
c) la storia della redazione: Marxen e Conzelmann.
2. Anche le scienze umane hanno un impatto sulla Xtologia: queste nuove discipline incidono in
modo differente cercando di illuminare la storia di Gesù, dei discepoli e della Xsa primitiva.
A) La Psicologia: a Freud si deve lo sviluppo di questa scienza assieme alla scoperta
dell’inconscio. In campo Xtologico si è così tentato di fare una sorta di analisi
psicologica dei discepoli, di Gesù, ecc.. E’ chiaro che si tratta di tentativi assurdi,
poiché i personaggi in questione sono vissuti 2000 anni fa. Luedemann aveva tentato
una simile impresa.
B) Antropologia culturale: è uno strumento valido che, nel nostro caso, studia la cultura
mediterranea al tempo di Gesù, confrontandola con quella odierna. Siamo di fronte al
problema dell’inculturazione: come introdurre il messaggio di Gesù nelle categorie
culturali di oggi? Tale scienza ci è dunque di valido aiuto: ogni Xtologia, infatti, è
inserita in una cultura o in un insieme di culture.
C) Sociologia: è forse la disciplina che più ha studiato la vita di Gesù e la nascita della Xsa.
I sociologi cercano di chiarire il contesto dell’attività di Gesù e della nascita della Xsa.
D) La storia delle religioni: studiando i vari culti, orientali ad es., molti hanno creduto di
trovare parallelismi rilevanti con il Xmo (v. il culto di Mitra). Tale tentativo continua
ancora oggi, ma con scarsi risultati, a causa di parallelismi poco aderenti o addirittura
forzati, con divinità o personaggi mitici, che pertanto non sono affatto storici.
3. Altri nuovi fattori
3.1. I movimenti liturgici: essi purtroppo hanno uno scarso impatto sulla Xtologia, nonostante la
grossa novità portata dalla costituzione sulla liturgia Sacrosancutm Concilium. Il centro della liturgia
è il mistero pasquale di Xto; inoltre è importante la presenza di Xto in tutta la liturgia (memoria,
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presenza, attesa). In SC 83, si parla dell’ufficio sacerdotale di Xto che innalza l’inno di lode per tutta
l’umanità: è un brano che introduce la sezione sull’ufficio divino di Xto.
Tale brano fa sorgere la domanda: chi è Xto per quei popoli, o quelle nazioni che non hanno mai
sentito parlare di lui? Il movimento ecumenico ha influito sulla Xtologia a livello personale, ad es, tra
Balthasar e Barth, tra Rahner e Moltmann. Il movimento femminile ha fatto sì che venissero
recuperati diversi elementi: ad es., la Xtologia sapienziale, dove si nota l’immagine della sapienza
raffigurata da una donna.
3.2. La teologia neopatristica orientale: parecchi teologi ortodossi orientali hanno dato validi
contributi in ambito eucaristico. Nel mondo latino infatti non abbiamo una Xtologia eucaristica. E’
interessante anche vedere che col Vat II si parla molto di Xto sacerdote, anche se in occidente tale
visione non ha avuto un forte impatto.
3.3. La violenza del nostro secolo ha lasciato una forte scia nella Xtologia: più di 100 milioni di
persone sono state uccise, e come direbbe Pascal, continua la passione di Xto nel mondo. Questa
sofferenza universale è dunque un fattore rilevante per l’attuale Xtologia. Ci sarebbero altri fattori
da analizzare, come la crisi ecologica, o il movimento carismatico, che ha rivalutato la
figura del Xto quale terapeuta e guaritore, e ha rilanciato la pneumatologia
collegandola alla visione Xtologica.
TESI 8: Cosa vuol dire riconoscere Gesù come “vero Dio e vero
Uomo”? L’unione ipostatica, la pre-esistenza personale del
Verbo e il concepimento verginale. L’autocoscienza e il sapere
umano di Gesù; la sua fede e l’impeccabilità
PARTE SISTEMATICA
LA DIVINITÀ DI CRISTO
1.1. Il Concilio di Nicea I aveva affermato di Gesù che è “Dio vero da Dio vero” ; ma cosa indica la
parola “divinità” secondo i Padri conciliari ? Anzitutto essi stabilirono quattro punti essenziali : 1)
Dio è uno ; 2) Dio è Onnipotente ; 3) Creatore ; 4) Eterno. Confessando che il Figlio è della stessa
sostanza del Padre, si rimane nell’ambito del monoteismo. Nel IV sec., Costantinopoli metterà meglio
in evidenza l’eternità del Figlio. Ricordiamo anche la lettera sinodale del 382 inviata a Papa Damaso,
dove si afferma che Xto è assolutamente perfetto. Ciò vuol dire che il Figlio è ricco di ogni
perfezione, senza che ci sia bisogno di un’ulteriore specificazione (v. DS 301). Da dove proviene,
inoltre, il significato di “Dio” ?
1.21 La Sacra Scrittura racconta la storia di Dio manifestata agli uomini : da Israele a Gesù. Quali
sono gli attributi divini rivelati, conosciuti in questa lunga storia ? Chi è il Dio di Abramo, Isacco e
Giacobbe ? Chi è il Dio di Gesù Cristo ? La risposta più completa si trova in qualsiasi dizionario
biblico, alla voce “Dio”. Si possono riassumere alcune caratteristiche centrali : nell’AT Dio si è
rivelato come Redentore e Salvatore. Dio è anche il Signore della storia, specialmente nella III parte
del libro di Isaia. Infine, Dio è anche il Creatore. Nel nostro Credo, nella liturgia e nel Magistero, gli
attributi di Dio vengono ripetuti innumerevoli volte. Due Concili hanno un’importanza rilevante a
riguardo : il Lateranense IV (DS 800) ed il Vat. I (DS 3001-03, 3021-25). Dio è definito come
“immenso”, attributo che non risale alla Scrittura ma alla filosofia medievale (cfr. Laterano IV),
“immutabile” e “assolutamente semplice” (v. S.Tommaso).
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1.22 Nel linguaggio filosofico scolastico, da Anselmo in poi, si è molto riflettuto sugli attributi divini.
L’eredità filosofica aristotelica e platonica influì enormemente sui Padri della Chiesa. Chi è il Dio dei
filosofi ? Pascal non era molto contento dell’idea che di Dio avevano i filosofi. Il punto di partenza è
quella frase di S.Anselmo : “Dio è colui del quale non si può pensare il più grande”.
1.23 Dio è anche l’ “oggetto” della nostra esperienza religiosa : un grande autore che ha incoraggiato
la riflessione su Dio in questi termini è S.Agostino. Dio ci trascende, è al di là di ogni cosa creata, e al
tempo stesso Dio è intimamente presente poiché è il Dio-con-noi. Agostino ne parla in modo
straordinario nelle “Confessioni” e nelle altre sue opere.
1.31 Una descrizione biblica ed esperienziale : Dio è colui che abita una luce inaccessibile (1 Tim 6,
16) e nello stesso tempo “in lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28), Dio è santo,
ossia trascendente, ma nello stesso tempo immanente (mysterium tremendum et fascinans).
1.32 La descrizione filosofica mette assieme le proprietà totalizzanti di Dio : onnipotente, onnisciente
e onnipresente. Si tratta delle perfezioni di Dio ; oppure si usa il linguaggio apofatico : Dio infinito,
immutabile, incorporeo. Altro ancora è il linguaggio che cerca di descrivere il suo essere : “Ipsum
esse per se subsistens” (v. S.Tommaso), ed infine Dio come Causa prima e creatore di tutte le cose.
2.1. Dicendo che Gesù è “Dio vero da Dio vero”, riconosciamo in lui le proprietà autenticamente
divine : è lui il Verbo di Dio. L’incarnazione è il modo equivalente di riconoscere le sue
caratteristiche divine : in Gesù di Nazareth leggiamo la storia umana del FdD. In modo particolare si
riconosce in lui il Salvatore, il Rivelatore ed il Creatore. Il NT stabilisce solo a Dio e a Gesù il titolo
di Salvatore ; Gesù è anche rivelatore, titolo che non ritroviamo letteralmente nel NT, ma vengono
usate espressioni equivalenti, soprattutto nel Vangelo di Giovanni. Il titolo “Creatore” lo si trova già
nelle lettere di Paolo (cfr. 1 Cor 8), nel prologo di Gv, ecc.. Gesù è eterno, e solo lui può farci dono
della vita eterna (cfr. Gv 6,6) : già nel prologo (Gv 1,1) si può notare l’espressione “In principio era il
Verbo”, che indica l’eternità di Gesù.
2.2. Con l’arianesimo si pose il problema della divinità di Gesù. Ma cosa si intende col termine “neo-
arianesimo” ? Oggi alcuni sostengono che Gesù abbia rappresentato effettivamente la volontà del
Padre agli uomini, ma rifiutano la divinità di Gesù. Affermano che egli è piuttosto una “finestra”
aperta sul divino, ma che non è divino in sé. Coloro che seguono la pista neo-ariana si avvalgono di
una traccia puramente epistemologica : Gesù ci fornisce cioè la vera conoscenza di Dio. Ma accettare
un’epistemologia ontologica significherebbe dire che Gesù in se stesso è divino : Dio è presente in
Xto, ma la natura di tale presenza non è specificata.
Gesù è anche il Rivelatore escatologico di Dio : egli ha potuto fare questo anche senza essere
personalmente divino. Altri parlano anche di Gesù quale rivelatore assoluto, senza prendere però
posizione sulla sua divinità.
2.3. Ma se Gesù fosse solo un rappresentante di Dio, che amore avrebbe Dio per noi ? Varrebbe
ancora l’affermazione di Gv 3, 16 “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” ?
Gesù è il segno per eccellenza dell’amore di Dio per noi.
3. Da una parte abbiamo la nostra lista di attributi divini, che possiamo attribuire a Gesù, d’altra parte
egli ci rivela che Dio è trino : è una strada a doppio senso. Partendo da alcuni attributi divini, li
riconosciamo in Xto ; lui e lo Spirito ci rivelano chi e che cosa è Dio.
L’UMANITÀ DI CRISTO
1.1. Leggendo i Vangeli, l’umanità del Xto è presentata in maniera chiara, specialmente in Lc che,
dopo la nascita di Gesù da Maria, dice brevemente che cresceva in età e sapienza.
1.2. Dopo il periodo apostolico, alcuni eretici, come i docetisti e gli gnostici contestarono l’umanità di
Gesù. I Padri, come Ignazio di Antiochia, intrapresero la difesa di questo aspetto della persona di
Gesù, mettendo in risalto soprattutto la sua nascita e la sua morte. Così essi affermavano che Gesù è
realmente esistito, uomo come noi, che ha sofferto davvero sulla croce, poiché il suo corpo era
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veramente umano. Apollinare, negando la vera umanità di Gesù, sosteneva che in lui non c’è anima
razionale : questa era sostituita dal Logos divino. Gregorio di Nazianzo, riprendendo ciò che già
diceva Origene, afferma : “quod non est assumptum non est sanatum”, per ribadire che se Gesù non si
fosse fatto veramente uomo, non avrebbe potuto salvarci. Allo stesso modo Leone Magno mette bene
in rilievo l’integrità dell’umanità di Gesù :
“egli dedicò tutto se stesso per ricuperare l’uomo che era stato ingannato...
vincendo il diavolo... Infatti non potremmo vincere l’autore del peccato e della
morte, se non assumesse la nostra natura e la facesse sua colui che né il peccato
poté contaminare, né la morte detenere” (DS 291-94)
1.3. Ma cosa significa “perfetto uomo” ? Il Sinodo del 382, nella lettera a Papa Damaso afferma :
“non accettiamo un’incarnazione senz’anima, senza intelligenza, imperfetta, ben sapendo che il
VdD... è divenuto perfetto uomo” (COD). E’ una risposta chiara all’eresia di Apollinare. Papa Leone
dal canto suo afferma : “completo in ciò che è suo, completo in ciò che è nostro” (DS 293).
Calcedonia ribadirà più o meno la stessa affermazione : “perfetto nella sua umanità... [composto] di
anima razionale e di corpo” (DS 301). Essere perfetto nell’umanità indica : a) avere l’anima
razionale ; b) avere un vero corpo umano. Costantinopoli III ha specificato che una vera natura umana
vuol dire includere una volontà e attività (operazione) umana (DS 553-58). Per completare il quadro
ricordiamo il Vat II, con la GS che, nonostante non sia un documento Xtologico, ne contiene gli
elementi sparsi qua e la.
2.1. Ricordiamo un fatto deplorevole del Xmo, circa una certa tendenza monofisita : non sempre
l’umanità del Xto è stata considerata nella sua integralità. Agostino o Tommaso d’Aquino hanno
spesso insistito su questo dicendo che per mezzo dell’uomo-Xto ci muoviamo al Dio-Xto. Ma
nonostante le loro affermazioni, spesso vi è stato un monofisismo pratico. Ma quali proprietà sono
necessarie e sufficienti per essere uomini, almeno in questa vita terrestre ? Possiamo dire che sono
almeno cinque gli elementi essenziali :
2.2. “essere umano” vuol dire in primo luogo avere un corpo ; essere dotato di ragione, ossia
razionalità ; volontà libera, che non è autonomia assoluta, ma capacità di autodeterminazione ;
capacità di una vita emotiva, ossia esprimere le emozioni e l’affettività ; memoria : oltre alla
continuità fisica, possediamo la continuità col nostro passato, che è coscienza diacronica della nostra
vita.
2.3. Il secondo elemento deriva dal fatto che l’uomo è un essere dinamico, che realizza progetti che lo
portano gradatamente alla sua realizzazione. L’uomo è un essere in cammino, in continuo divenire. La
crescita è dunque una caratteristica essenziale dell’essere umano. In un certo senso possiamo
affermare che non siamo umani, ma lo diventiamo.
2.4. In terzo luogo notiamo che l’uomo è un essere “sociale”, così come si legge in GS 12, dove il Vat
II cerca di superare una concezione individualistica e spiritualistica. Ci sono diversi aspetti da
segnalare al riguardo : l’uomo parla una lingua che gli permette di comunicare con gli altri ; l’essere
umano è, per via della sessualità, uomo o donna, per cui vi è relazione e complementarietà tra i due
sessi ; l’uomo è legato ad una certa cultura o tradizione, ecc..
2.51 Ricordiamo un paradosso : da una parte la condizione umana è finita, limitata, particolare
(nazionalità specifica, maschio o femmina, limiti fisici e intellettuali). Ogni essere umano dipende
dagli altri esseri umani e dal mondo circostante ; in quanto essere creato, dipende da Dio, e come
limite ultimo vi è quello inevitabile della morte.
2.52 Se da un lato siamo limitati, dall’altro siamo aperti all’infinito. S.Agostino affermava che i nostri
cuori sono aperti a Dio. I Tomisti trascendentali sottolineano proprio questa apertura ontologica
dell’uomo a Dio (Maréchal, Lotz, Rahner ...) ; inoltre ogni uomo ha dentro di sé il desiderio della
pienezza della vita, del senso e dell’amore.
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3. Riconosciamo pertanto in Xto la piena umanità, anche alla base di sei constatazioni :
1) come essere umano, Gesù ha avuto l’esperienza tipica dell’incarnazione, sperimentando “dal di
dentro” la nostra condizione umana ;
2) Gesù è divenuto il mediatore tra noi e Dio : per svolgere tale ruolo non poteva essere un angelo,
ma deve essere vero Dio e vero uomo. Il nostro “rappresentante” è “uno di noi” (cfr. Eb) ;
3) Con l’incarnazione il FdD è in grado di insegnarci concretamente come vivere la nostra vita : come
pregare, come vivere. Si rende cioè possibile l’imitazione di Xto. Gesù stesso ci ha invitati ad
imitarlo e ad imitare il Padre : “siate perfetti come perfetto è il Padre mio”, a trascendere quindi la
nostra stessa esperienza. L’imitazione di Xto risale agli inizi del Xmo, come si nota da alcune
lettere di Paolo ;
4) L’incarnazione è un segno convincente che Dio ci comprende e ci ama. La presenza del FdD tra
noi è indispensabile per tale comprensione ;
5) Non solo imitiamo Gesù, ma lo seguiamo : è la dimensione della sequela Christi ;
6) Dio ci redime e ci salva dal di dentro per mezzo del Xto fatto uomo : è un’idea cara ai Padri. La
salvezza è la grazia che viene da “uno di noi”.
4.1. Oggi si parla molto del significato che deriva dall’umanità del Xto : da una parte è un limite, a
causa della natura umana stessa. In questo modo Gesù era, ad es., ebreo, vissuto in un determinato
periodo storico, ecc.. Alcuni di questi “limiti” sono rilevanti e non vanno trascurati : il fatto che fosse
ebreo, o uomo.
4.2. Da un lato riconosciamo in Xto un’esistenza autenticamente umana, dall’altro è Gesù che rivela
l’uomo all’uomo (v. GS 22). Ciò significa, ad es., che Gesù illumina e dà senso al successo o alla
sofferenza umana : morendo sulla croce pone un interrogativo sul nostro modo normale di valutare il
successo di una vita o della sua sofferenza. Anche per il peccato, Gesù si presenta come colui che è
senza peccato e che ci libera da esso.
LE DUE NATURE (INTEGRE) DI CRISTO
1.1. Ci sono espressioni equivalenti, come “Dio-uomo” (III sec., ORIGENE) per indicare la duplice
natura del Xto. C’è chi preferisce usare degli aggettivi, come “divino” oppure “umano”. In tutte le
nostre lingue “natura” è un termine con più significati : ad es., natura può indicare il mondo naturale ;
si oppone poi a volte natura umana a cultura umana. Nel contesto Xtologico, natura indica le proprietà
fondamentali, l’essenza o la sostanza, essenza intesa come principio di attività. Come sappiamo, la
fede Xtologica tradizionale riconosce in Xto due nature : quella umana e quella divina.
1.2. Dire natura vuol dire rispondere alla domanda : che cos’è Xto ? La persona, invece, è la risposta
alla domanda : chi è Xto ? Indica il soggetto a cui attribuire determinate azioni.
1.3. Ci sono molti testi del NT che possono indicare la natura del Xto, come la lettera agli Ebrei : in
essa si parla della “crescita” del Xto (“reso perfetto...”, 1,4 ; 2, 9-10 ; 5, 9-10) come uomo, ma anche
come Dio (1, 2-3. 8-12 ; 2, 10). Vi è anche l’insegnamento classico di Leone Magno nel “Tomus
Flavianum”. Nella Tradizione (Calcedonia e Leone Magno) appare chiara la presenza e la distinzione
delle due nature in Xto.
2.1. Vi sono state però delle obiezioni e difficoltà lungo i secoli circa le due nature in Xto ; ad es.,
alcuni hanno obiettato che un individuo con due nature non può essere altro che un ibrido. Però, in
questo caso si equivoca poiché il linguaggio stesso può essere travisante : le due nature, infatti, si
trovano su livelli infinitamente diversi.
2.2. Anche dire che Gesù è “pienamente umano” potrebbe mettere in cattiva luce la piena divinità di
Gesù. Va infatti distinto il “pienamente” dal “meramente”. Ad es., uno può essere pienamente sindaco
di Roma, senza essere meramente sindaco. Ci muoviamo chiaramente su esempi non pienamente
calzanti, specie se si considera che in Gesù si parla di aspetti essenziali e non secondari.
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2.3. Schleiermacher è un rappresentante del protestantesimo liberale : egli ritiene che la dottrina delle
due nature sia incoerente. Difatti egli si chiede come sia possibile che la stessa persona possa “avere
parte a due nature completamente diverse”, ed essere simultaneamente infinito (nat. divina) e finito
(nat. umana). Come ridurre quindi queste difficoltà ?
2.4. Ricordiamo altri binomi che creano difficoltà : materia / spirito, tempo / eternità, divino / umano.
I termini di tali binomi si situano a livelli diversissimi, ma non si può dire che si escludano a vicenda.
Essi sono piuttosto poli complementari. Ad es., materia - spirito : nelle scienze naturali si può dire che
la materia si presenta come in una scala con gradi di crescita ed evoluzione progressivi :
Materia
umana
animale
organica
inorganica
E’ come se la materia dimostrasse potenzialmente una certa affinità con lo spirito. L’uomo, ad es., è
un essere materiale ma anche spirituale. La realtà materiale e quella spirituale sono diverse ma non si
escludono a vicenda ; se così non fosse, Dio - essere puramente spirituale - non potrebbe creare il
mondo materiale. Considerazioni analoghe possono essere fatte per ciò che riguarda tempo ed
eternità, dal momento che Dio, eterno, crea realtà temporali, ecc.. Guardando alla Bibbia, gli esseri
umani sono creati a immagine e somiglianza di Dio : esseri materiali e spirituali con impressa
l’immagine di Dio, ossia l’uomo porta in sé i segni della divinità.
2.5. La natura umana di Xto è finita e limitata : ciò non è un difetto, ma un dato di fatto. Dio è invece
illimitato. La conseguenza, dice Schleiermacher, è una contraddizione : nella sua divinità Xto è
onnisciente, mentre nella sua umanità egli è limitato. L’incarnazione sarebbe per lui una
contraddizione in termini. Ma è lo stesso principio di non contraddizione che ci aiuta nel caso di
Gesù, poiché umanità e divinità non si predicano sotto lo stesso aspetto e nello stesso campo di
riferimento. Occorre infatti che si mantenga la distinzione tra Gesù “in quanto Dio” e “in quanto
uomo”.
3. J. Moltmann, ad es., mantiene la divinità di Xto anche se non condivide il pensiero di Calcedonia.
Per lui e per Pannenberg l’unione delle due nature nell’ipostasi del Logos significherebbe una natura
umana depersonalizzata e mutilata. Vi è però un malinteso al livello del significato di “natura” e di
“persona”. Essere persona non aggiunge alcuna perfezione : tutte le proprietà essenziali appartengono
alla natura. Quando parliamo della natura di Xto, stiamo rispondendo alla domanda : cos’è Xto ?
4. Un’altra difficoltà deriva dal fatto che spesso la natura umana di Xto è passata in secondo piano. E’
chiaro che Calcedonia non ha voluto trascurare i misteri della vita di Xto, cosa che anche nel
medioevo, con Tommaso d’Aquino non è successa.
Spesso fuori dal contesto Xtologico si usano i termini “natura” e “persona” come equivalenti : si parla
dei diritti personali come di diritti naturali ; attualmente alcuni sostengono che “natura” abbia
cambiato significato rispetto a Calcedonia : in realtà il termine “natura” ha acquistato una ricca
gamma di significati.
L’UNIONE IPOSTATICA
1. Con l’espressione “unione ipostatica” si indica l’unità personale del soggetto, l’unione tra le due
nature nella seconda persona divina della Trinità. E’ la persona stessa di Gesù il fondamento
dell’unità delle sue due nature ; Gesù è l’unico soggetto ontologico : è lui che esiste, agisce, esercita
la sua volontà, ecc.. E’ anche l’unico soggetto logico : è il “qualcuno” a cui attribuire le sue azioni,
l’unico soggetto logico d’attribuzione.
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2.1. Calcedonia definisce Xto come un hypostasis o prosopon in due nature, senza definire cosa
voglia dire persona. Dopo Calcedonia il concetto di persona si è andato man mano sviluppando, sino
ad oggi : Boezio, ad es., ha “coniato” una definizione di persona (naturae rationalis individua
substantia) anche se con i suoi limiti (ad es., manca la dimensione della relazionalità). Dopo di lui ci
sono stati i contributi medievali di Riccardo di S.Vittore, S.Tommaso, e in tempi moderni quelli di
Cartesio, Locke, ecc..
2.2. In sintesi, volendo dare una definizione di persona potremmo dire che è quell’essere individuale
che gode di razionalità e di libertà, che sussiste in se stesso e agisce come soggetto in relazione
(soprattutto) con le altre persone, gode della propria identità incomunicabile e possiede una dignità
assoluta e diritti inalienabili.
Sussistenza indica l’esistenza in se stesso. Le persone divine sono in relazione tra loro : questo è
anche l’elemento che le distingue. Per noi esseri umani, l’aspetto primordiale che ci caratterizza come
persone è che siamo in relazione a Dio. Dato l’aspetto fondamentale e distintivo della relazionalità,
una persona “isolata” sarebbe una contraddizione in termini.
2.3. Nel caso di Gesù, si può applicare a lui la definizione che abbiamo appena formulato; Gesù è un
soggetto razionale e libero in due sensi : gode di una razionalità divina e di un’intelligenza umana ;
gode di una duplice volontà ed è in relazione al Padre nello Spirito. Nella vita trinitaria vive questa
relazione, e nel contesto umano la rende manifesta.
3.1. Xto è un uomo e un individuo umano, ma non è strettamente una persona umana : è una persona
divina che ha assunto questa natura umana. E’ quanto pensa S.Tommaso d’Aquino ; si potrebbe dire
che il Logos ha personalizzato la natura umana di Gesù. Ma come può essere veramente umano senza
essere una persona umana ? L’assenza di una persona umana non sminuisce la sua umanità, poiché le
perfezioni umane sono presenti a livello della natura umana: in altri termini, l’essere personale non è
una realtà da possedere.
3.2. Alcuni parlano della “persona umana” di Gesù, volendo riferirsi alla personalità storica del
Nazareno. Per personalità si intendono quegli aspetti che Gesù dimostrava di avere in pubblico, e che
emergono dai Vangeli : il suo modo di parlare, di comportarsi, ecc.. Si potrebbe parlare quindi degli
“accidenti” della sua natura umana.
3.3. Poiché Xto è un unico soggetto, gli attributi di una natura possono essere riconosciuti propri della
persona anche quando essa è nominata in riferimento all’altra natura (v. communicatio idiomatum) ;
per questo possiamo dire, ad es., che “Il Figlio di Maria creò il mondo”, oppure “il FdD morì sulla
croce”.
3.4. Gesù è un unico soggetto con due coscienze (o menti) e due volontà libere. Da qui sono derivate
alcune questioni, come l’opposizione tra volontà umana e quella divina, la sua impeccabilità, ecc.. Ma
come è possibile che Gesù abbia due menti ? Certamente non è schizofrenia : le due menti esistono a
due livelli infinitamente diversi, per cui c’è la mente divina, condivisa dal Padre e dallo Spirito, quella
umana, propria del Gesù uomo.
4.1. Per molti moderni la coscienza di sé e la consapevolezza della propria identità distinta non si
identificano semplicemente con l’essere persona. Io mi riconosco, per mezzo della mia autocoscienza,
distinto da tutti gli altri, ma l’essere personale non si identifica con l’autocoscienza di sé : chi dorme
non è cosciente di sé, ma non cessa di essere persona ! Nell’autocoscienza c’è la consapevolezza di
essere un “IO” personale, il senso della propria identità. Nel caso di Xto, il suo essere personale non
può identificarsi con la sua coscienza umana ; psicologicamente Gesù, però, è cresciuto nella
autoconsapevolezza del suo essere personale.
4.2. La memoria per alcuni si identifica con il proprio essere personale : indica la continuità
diacronica della persona stessa. Ma non ci può essere identificazione, poiché si potrebbe perdere la
memoria, senza per questo perdere la propria identità personale. Applicando tutto questo a Gesù, si
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può dire che la sua memoria umana ha sicuramente avuto un certo impatto sulla coscienza della sua
identità personale. E’ chiaro però che la sua memoria inizia con la sua esistenza umana.
LA PREESISTENZA PERSONALE DI CRISTO
1.1. Parlare della preesistenza di Xto vuol dire parlare del suo essere eterno, vuol dire che al momento
della sua nascita (5 a.C.), la sua persona non cominciò ad esistere, poiché era già esistente
dall’eternità.
1.2. Gesù esisteva già “prima” della sua incarnazione, e “prima” della creazione del mondo.
Negativamente, preesistenza vuol dire che l’esistenza personale di Gesù non deriva né dagli uomini,
né dalla storia, cosa che invece accade per noi. Positivamente, l’esistenza personale di Gesù ha le sue
radici nel Dio eterno. Circa la definizione di Boezio dell’eternità, “interminabilis vitae tota simul et
perfecta possessio”, essa ha avuto più successo rispetto alla definizione di persona. L’eternità è, per
Boezio, un modo di definire la vita piena e perfetta di Dio : in lui non c’è un prima e un dopo, ma un
“adesso” eterno.
1.3. Occorre sottolineare il significato dell’aggettivo “personale” : per gli ebrei la Legge era eterna,
sicché alcuni parlavano della preesistenza della Torah, ma è chiaro che non si tratta di preesistenza
personale. Nella filosofia antica erano le “idee” a preesistere nel cielo platonico, ma anche in questo
caso non si può parlare di preesistenza personale.
1.4. Nel libro di J.D.G Dunn (“Christology in the Making”) si mantengono due tesi : prima del Xmo
non si trova l’idea di un essere personale preesistente che discende dal cielo e si incarna; pertanto,
questa costituisce una novità senza precedenti. La conclusione che si impone è che, se Dunn ha
ragione, tale preesistenza non è un’idea mitologica storicizzata. Anche se nell’AT la sapienza ed il
Logos sono personificazioni dell’attività divina, esse però non persone distinte ma mere
“personificazioni”.
2.1. L’altra tesi consiste nel fatto che Dunn riconosce la preesistenza di Xto per la prima volta nel
prologo di Gv (1, 1-3 ; si veda anche 17, 5.24). Molti studiosi non sono d’accordo ; infatti Dunn non
riconosce che ci sono altri testi anteriori che riprendono questo aspetto della persona di Gesù : ad es.,
in Fil 2, 6-8 (preesistenza, abbassamento ed esaltazione) ; Col 1, 15-17 ; Eb 1, 1-3.6 ; 9, 26 ; 10, 5-10
(il FdD attivo nella creazione). In 2 Cor 8, 9 Paolo parla di Gesù che da ricco si fece povero, perché
per la sua povertà noi diventassimo ricchi. Circa la creazione del mondo, in 1 Cor 8, 6 Gesù è
descritto come colui che ha creato tutte le cose ; così anche nella lettera agli Ebrei, dove Gesù è il
“primogenito” preesistente introdotto nel mondo (Eb 1, 6) e che “è apparso nella pienezza dei tempi
per annullare il peccato” (Eb 9, 26). In Paolo si parla non della venuta di Gesù ma della missione del
Figlio : cfr. Rm 8, 3 ; Gal 4, 4. Qualcuno obietta che anche nell’AT i profeti venivano mandati da Dio,
come accade nel NT per Gv il Battista. C’è però da dire che nessuno dei profeti è mai stato chiamato
FdD, pertanto la loro missione era di natura diversa.
2.2. I Padri della Xsa, da Ignazio d’Antiochia in poi, parlano della doppia nascita di Gesù : quella
divina nell’eternità, e quella umana nel tempo. A noi interessa la prima nascita, quella eterna, dal
Padre. Gesù è stato generato, ossia ha la sua origine nel Padre, e non è stato quindi creato.
2.3. Il Concilio di Nicea I afferma che Gesù è consostanziale al Padre (eterno) ed è mediatore della
creazione : “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di lui tutte le cose sono
state create” (DS 125). Pertanto viene respinta l’idea di un istante in cui egli non sia esistito (DS 126).
Costantinopoli I riprende il linguaggio di Nicea aggiungendo una frase importante : “nato da Padre
prima di tutti i secoli” (DS 150). Nel caso di Nicea e Costantinopoli, l’insegnamento sull’eternità del
Figlio utilizza un linguaggio temporale : è impossibile per noi uomini, limitati nel tempo e nello
spazio, usare un linguaggio che esuli dallo spazio e dal tempo.
2.4. L’importanza del nostro argomento è triplice : 1) tocca l’essere stesso di Gesù ; 2) coinvolge ciò
che Gesù ha fatto per noi ; 3)dimostra che il FdD si dona per noi, accettando un’esistenza kenotica.
Nel primo caso la preesistenza di Gesù è un modo di parlare della vita piena e perfetta che è in Dio.
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Coloro che negassero la preesistenza di Gesù automaticamente negherebbero la sua divinità. In
secondo luogo, Gesù oltre ad essere il salvatore universale è anche il mediatore della creazione.
Infine, il FdD assume un’esistenza concreta e storica, facendosi povero da ricco che era, per noi e per
la nostra salvezza. E’ messa quindi in risalto la redenzione e la salvezza operate per mezzo suo.
3.1. Ci sono due estremi da considerare : i massimalisti, ossia coloro che ritengono che Gesù fu
consapevole della sua preesistenza eterna personale presso il Padre, poiché la ricordava. Ma
evidentemente fanno confusione tra il dato ontologico della preesistenza personale ed il dato
psicologico, della coscienza di quella preesistenza. Esaminando i Sinottici, si vede che Gesù era
umanamente consapevole di godere un rapporto unico col Padre. Ma quella consapevolezza umana
non deve essere confusa con la “memoria” di essere il FdD. Nel Vangelo di Gv, è più il Verbo eterno
che parla ; ma non si deve trascurare l’esperienza fondamentale dei sinottici.
3.2. Per i minimalisti, poi, la preesistenza di Gesù è solo intenzionale, interpretandola come
preesistenza nell’intenzione divina, nel mondo in evoluzione e nella storia umana. Ma questo si può
dire della nostra esistenza, che in modo misterioso era già inserita nel progetto eterno di Dio. Alcuni
quindi intendono ridurre la portata della preesistenza : ma perché ? Forse non riescono a distinguere
bene tra l’essere personale di Gesù e la sua natura. Da qui la necessità di distinguere bene questi due
aspetti.
IL CONCEPIMENTO VERGINALE
Si parla di “concepimento” perché Gesù è venuto al mondo senza l’intervento di alcun uomo, ma per
azione dello Spirito santo.
1.1. Molte sono le obiezioni al concepimento verginale : in primo luogo troviamo i deisti che, nel
‘700, asseriscono che dopo la creazione del mondo, Dio non interviene più nella storia dell’umanità.
Le loro idee si ritrovano anche oggi, quando si vuole escludere qualsiasi intervento speciale da parte
di Dio.
1.2. Una difficoltà storica della scuola della storia delle religioni : il concepimento verginale si
ritroverebbe anche nelle leggende circa divinità maschili che fecondano donne mortali. Si citano a tal
proposito alcune leggende dell’Egitto, o del culto romano (Marte che genera Romolo e Remo,
violando la figlia del Re di Albalonga), ecc.. Ma tali parallelismi non sono così evidenti : ad es.,
Romolo e Remo non sembrano essere personaggi realmente esistiti ! Inoltre, nel loro concepimento
c’è stato un rapporto sessuale, mentre non è così nel caso di Gesù. Vi è anche da notare che nei primi
50 anni del Xmo, non ci sono stati contatti tra i primi Xni e le altre religioni, con le loro leggende.
Eugeen Drewermann ritiene che il concepimento verginale è una possibilità psicologica per tutti : il
racconto di Mt e Lc, secondo lui, sarebbe da ridurre ad una mera possibilità psicologica, al di fuori
della storia concreta particolare.
1.3. Una difficoltà ermeneutica viene da E. Schillebeeckx ed altri, i quali, commentando il
concepimento verginale, vedono in esso solo una verità teologica, che ci dice qualcosa della vita di
Gesù ma che non è veramente una realtà storica. Ma perché non accettare una verità storica che è
anche verità teologica ? Spesso nella storia dell’umanità troviamo esempi del genere : fatti informativi
di realtà storiche che hanno anche valore teologico. Ad es., nel 1969 ci fu il primo allunaggio, un fatto
storico ma anche simbolico ; ancor di più la stessa crocifissione di Gesù. Vi è però un presupposto
sbagliato : l’opposizione tra storia e fede, che risale all’Illuminismo.
1.4. Una difficoltà teologica viene da parte di coloro che vogliono rivendicare la piena umanità di
Gesù (come Papa Leone Magno). Se Gesù non fosse stato concepito in modo naturale, la sua piena
umanità ne risulterebbe diminuita, quindi il concepimento verginale metterebbe in cattiva luce la vera
umanità di Gesù. Ma in questo caso si confondono le proprietà meramente universali con quelle
veramente essenziali.
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2.1. Matteo e Luca riferiscono il concepimento verginale come un avvenimento attuale che è anche
storico. Anche se è impossibile armonizzare i racconti dei loro primi due capitoli, e sostenere la
storicità di tutti i dettagli contenuti, c’è però la possibilità di valutare alcuni elementi storici. Pur
servendosi di tradizioni differenti e avendo diversi punti di vista, concordano che la procreazione di
Gesù da Maria è frutto di un intervento specifico dello Spirito santo. La portata teologica e Xtologica
del concepimento verginale sta nella sua portata salvifica, come si legge in DV 11.
2.2. Il concepimento verginale esprime l’origine divina di Gesù. La sua origine da Maria garantisce la
sua piena umanità. Nacque da una donna (il segno della sua umanità), nacque da una vergine (segno
della su divinità). In un quadro più ampio, partendo da Paolo, egli mette l’enfasi sul mistero pasquale
(Rm 1, 4) : il Xto crocifisso è risorto. Il NT parte dalla proclamazione kerygmatica di questo mistero :
Mc incentra il suo discorso teologico sul battesimo, Mt e Lc sul concepimento, e Gv sul principio
assoluto.
2.3. Un altro aspetto da considerare è che lo Spirito è attivamente presente in tutta la vita di Gesù : fin
dal suo concepimento era benedetto dallo Spirito. Tutta la Trinità è presente nel concepimento
verginale, ma viene evidenziata l’azione dello Spirito nelle diverse fasi della vita di Gesù. E’ chiaro
che tutto il mistero del Xto ha una dimensione trinitaria.
2.4. Un altro significato teologico del concepimento verginale è l’inizio della nuova creazione : Gesù
è stato concepito per noi e per la nostra salvezza ; questo è un aspetto profondo della nuova creazione,
che è dono di Dio, dono che possiamo solo ricevere, poiché incapaci di mettere in atto da soli.
2.5. Si può inoltre riconoscere un parallelismo tra il seno di Maria ed il sepolcro vuoto. Come Maria è
l’unica testimone del concepimento verginale, alla fine della vita terrestre di Gesù è il sepolcro vuoto
(nuovo, non ancora usato) che assieme alle pie donne testimoniano la risurrezione di Gesù. Questo
parallelismo, che vede legati il concepimento verginale e la risurrezione di Gesù è particolarmente
caro all’Aquinate e a K. Barth.
LA SCIENZA UMANA DI CRISTO
1.1. La duplice libertà è una conseguenza logica del Concilio di Calcedonia : in quanto ha assunto
l’umanità integrale, Gesù possiede una volontà umana, e conseguentemente la libertà umana. Circa il
problema della scienza umana di Gesù, ci riferiamo al periodo storico della vita prepasquale.
1.2. Leggendo alcuni Padri della Xsa, troviamo la questione dei limiti della conoscenza di Gesù, in
riferimento a due versetti particolari del Vangelo, Mc 5, 30 : “Chi mi ha toccato il mantello ?”
(l’episodio dell’emorroissa, con il parallelo in Lc 8, 45). I Padri spiegano quei versetti dicendo che
Gesù finge di non sapere chi l’abbia toccato, e ciò a scopo pedagogico. Un altro versetto sulla
nescienza di Gesù è quello di Mc 13, 32 : egli dimostra di non conoscere il giorno della fine del
mondo e del suo trionfo finale. Anche qui alcuni Padri si sono rifiutati di riconoscere il limite di
Gesù : egli fingeva anche in questo caso, poiché la conoscenza di Gesù non può avere limiti. Origene
ed altri cercavano di commentare quei versetti evitando ogni riferimento ai limiti di Gesù, senza tener
quindi conto di quanto è scritto in Lc 2, 52 : “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio
e agli uomini”. Cirillo d’Alessandria, invece, riconobbe la crescita umana di Gesù, poiché come tutti
gli uomini egli obbediva alle leggi della natura umana che aveva assunta. Il problema, però, rimaneva
nella controversia con gli ariani, i quali si servivano delle affermazioni neotestamentarie relative alla
nescienza di Gesù per “provare” che il Logos fu creato. E’ chiaro che in questo caso si faceva
confusione tra il sapere limitato di Gesù e la sua identità personale.
1.3. Nel medioevo, la via preparata da Agostino è ripresa da S.Tommaso: secondo il suo schema,
l’anima umana di Xto godeva di una triplice scienza : 1) scientia visionis ; 2) scientia infusa ; 3)
scientia experientiae. A noi interessa la prima, ossia la visione beatifica : Gesù, secondo questa idea,
avrebbe avuto la costante visione del Padre, faccia a faccia. E’ la visione che di Dio hanno i beati in
Paradiso. S.Tommaso attribuiva all’anima di Gesù tale scientia visionis per sottolineare la perfezione
della scienza del Xto. Egli quindi spingeva agli estremi l’affermazione del Concilio di Costantinopoli
I, che sottolineava la perfetta umanità di Gesù.
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1.4. Qualche documento ufficiale della Xsa riprende l’idea di Tommaso, soprattutto due encicliche di
Pio XII, la più importante delle quali è la “Mystici Corporis” (DS 3812). Secondo questo documento
Gesù, sin dal seno materno, aveva la visio beatifica, conoscendo tutto e tutti. E’ da sottolineare che
quella enciclica era piuttosto un documento sul mistero della Xsa e non Xtologico.
1.5. In tempi più recenti troviamo altri documenti: la Commissione Teologica Internazionale, anche se
non fa parte del Magistero, è stata costituita a livello internazionale per analizzare questioni come
quella che stiamo studiando. Tale Commissione ha affrontato la questione nel suo documento “La
coscienza che Gesù aveva di se stesso e della sua missione” : in esso e in altri due documenti previ
non si parla di visio beatifica. Così la Pontificia Commissione Biblica, dove si parla invece di una
coscienza graduale, sulla pista dataci da Lc. Il Catechismo parla spesso della visione beatifica (1023,
1028, 1032, 1045, 1274, 2090...), ma nel contesto del nostro destino finale. Al # 473 si parla della
conoscenza intima e immediata che il FdD, fatto uomo, ha del Padre suo, ma non si tratta della visione
beatifica. I teologi come Lonergan, Rahner, Ratzinger e Brown hanno preparato la strada ai documenti
a cui abbiamo accennato sopra.
2. Perché la concezione tommasiana è stata abbandonata ?
2.1. In primo luogo, la visio beatifica sembra escludere la sofferenza : se Xto avesse avuto realmente
la visione che i beati godono nel cielo, difficilmente si spiegherebbe la sua autentica sofferenza.
Coloro che sostenevano la visio beatifica, infatti, parlavano di un miracolo costante che impediva a
Gesù di vivere nello stato permanente di felicità tipico dei beati. Altri ancora spiegavano la visione
beatifica con l’immagine del monte altissimo : tale è la mente del Xto, per cui sulla vetta tutto è chiaro
e limpido, mentre sulle pendici ci possono essere nubi e tempesta. Appare evidente che questa
spiegazione è alquanto artificiosa e affatto esauriente.
2.2. Circa la questione della libertà umana, se Gesù avesse avuto la visione beatifica, non avrebbe
avuto senso parlare di obbedienza, perché avrebbe avuto una conoscenza perfetta di Dio e della sua
volontà.
2.3. Xto non simulava le tentazioni e le lotte interiori nella preghiera (cfr. Mc 1, 12-13 ; Lc 22, 28 ; Eb
2, 18 ; 4, 15): accettando questa realtà è difficile accogliere contemporaneamente l’idea della visione
beatifica.
2.4. Come conciliarla poi con una vera crescita in scienza ? S.Tommaso aveva il suo triplice schema,
ma circa la scienza sperimentale, essa trova difficilmente spazio accanto alla visione beatifica.
2.5. Almeno un paio di volte i Sinottici parlano dei limi nella scienza umana di Gesù (vedi 1.2.) :
prendendo sul serio quei brani, si vede come la scienza umana di Gesù fosse limitata.
2.6. Il Concilio di Calcedonia afferma che “la proprietà di ciascuna natura è salvaguardata” (DS 302),
accettando il principio di Leone Magno secondo cui l’unione ipostatica salvaguarda le proprietà di
ciascuna natura. La logica di Calcedonia suggerisce che il limite della scienza di Gesù non è
“sconveniente”, ma corrisponde alla natura della scienza umana.
3.1. Troviamo nei Sinottici anche qualche altro evidente limite della conoscenza umana di Gesù : per
quanto riguarda la conoscenza religiosa, Gesù era abbondantemente istruito nelle Scritture, ma con
dei limiti. Ad es., Mc riporta che Gesù attribuisce il Sal 110 a Davide : molti esegeti moderni
ritengono invece che diversi salmi furono composti diversi secoli dopo Davide. E’ chiaro che
l’attribuzione dell’autore e il genere letterario non riguardano il messaggio centrale, ma è altrettanto
chiaro che Gesù condivide le nozioni limitate del suo tempo.
3.2. Il Logos, assumendo la natura umana, agisce nelle condizioni limitate di ogni uomo ; l’umanità,
nonostante la sua trascendenza è pur sempre limitata.
LA CONOSCENZA UMANA DI GESÙ
L’identità di Gesù, così come ci viene riferita dai Sinottici, si ricava dalla sua missione, al punto che
quasi le due realtà convergono. E’ chiaro che non abbiamo un accesso diretto alla vita interiore di
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Gesù, dal momento che non ha lasciato nulla di scritto ; abbiamo solo gli scritti tramandatici dai suoi
discepoli. Di Gesù sappiamo che ebbe una straordinaria santità, per cui il suo mistero è quanto mai
profondo.
1.1. Distinguiamo tra la scienza (il sapere) di Gesù, e la sua autocoscienza, anche se sono due aspetti
legatissimi : ci conosciamo conoscendo !
1.2. La coscienza della nostra identità personale si sviluppa per mezzo dei contatti con il mondo, con
Dio e con gli altri. Non siamo degli enti separati dagli altri o dal resto del mondo.
1.3. Per Gesù si apre la questione della sua coscienza umana : dell’infanzia di Gesù sappiamo solo
pochi particolari ; sappiamo che a 12 anni ha affermato di dover fare la volontà del Padre suo. Prima
del battesimo, poi, non abbiamo dati sufficienti per ricostruire la vita di quel periodo.
1.4. Quale metodo possiamo allora seguire per ricavare qualche dato sulla conoscenza di Gesù ? C’è
praticamente solo la possibilità della deduzione aprioristica per quegli eventi prima del Battesimo
(cfr. Lc 2, 49). Dopo il battesimo si può seguire il metodo induttivo, in modo da mettere in risalto che
tipo di autocoscienza emerge dalle sue parole e dalle sue azioni.
2.1. Secondo il metodo aprioristico deduttivo, Rahner afferma che più un essere è elevato, più è
cosciente di sé, ossia essere e conoscenza si influenzano reciprocamente. Nel caso del Logos divino,
la sua natura umana assume il livello più alto tra gli esseri creati. In questo caso, per mezzo della
natura umana, il Logos sarebbe consapevole umanamente della sua identità personale. Vi è anche un
altro principio da tener presente : la crescita nel concettualizzare la propria autocoscienza, per cui
pian piano cresciamo nella conoscenza di noi stessi. Gesù, per mezzo della sua conoscenza umana, ha
compreso la sua identità. Occorre segnalare che la risposta di Rahner non è intratrinitaria, ma rimane
nell’ambito dell’unione ipostatica, Logos e natura umana.
2.2. L’impostazione induttiva, alla luce dei Vangeli sinottici, ci dice che dal Battesimo in poi, con la
vita pubblica di Gesù, egli non va in cerca della sua identità personale : è consapevole umanamente di
essere Figlio del Padre. Questa prospettiva storica mette in evidenza l’aspetto trinitario della vita di
Gesù. E’ la prospettiva presa in esame da Kasper, e sottolinea l’aspetto della relazionalità. L’analisi
induttiva è in grado di accogliere il modo graduale con cui Gesù ha appreso la sua identità. Alcuni
tentano di spiegare il Battesimo di Gesù come la scoperta che lui fa della sua identità : gli esegeti,
però, non sono d’accordo, poiché si tratterebbe di una forzatura. Piuttosto il Battesimo può essere la
conferma per Gesù della sua identità personale.
3. Abbiamo detto che la vita di Gesù è caratterizzata dalla sua missione.
3.1. L’approccio induttivo : Gesù era consapevole del suo ruolo unico nel determinare il rapporto
definitivo tra Dio e gli esseri umani ; per mezzo dei suoi gesti e delle sue parole si comprende che
accogliere la sua persona è determinante per la salvezza degli uomini. In Mc 14, 25 si nota poi il
legame tra la predicazione del Regno e la morte al servizio del Regno (“In verità vi dico che io non
berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”).
3.2. Secondo l’approccio deduttivo è impossibile che Gesù fosse completamente all’oscuro della sua
identità e missione salvifica.
3.3. Si può pensare che Gesù abbia avuto una coscienza graduale della sua missione, anche se è
difficile mettere in ordine cronologicamente i suoi dati biografici che ricaviamo dai Vangeli. E’ chiaro
che Gesù iniziò con la predicazione del Regno, e solo ad un certo punto iniziò a parlare della sua
sofferenza e della sua morte. La Commissione teologica, nel documento del 1979, si mostra pronta ad
accogliere questa graduale comprensione di Gesù circa la sua passione e morte.
3.4. Attualmente, vi è un certo consenso sul carattere escatologico della predicazione di Gesù. Vi sono
però tre tendenze. Secondo A. Schweitzer, J. Weiss ed altri, Gesù predicava una fine imminente del
tempo, ma morì deluso poiché tale fine non giunse. Dodd e Bultmann parlano invece di
un’escatologia realizzata. Culmann e altri dicono che la fine è già inaugurata, ma non ancora
consumata, creando un certo consenso tra i teologi. L’errore sta forse nell’annunziare un aut aut tra
escatologia futura, ed escatologia già presente. Forse i due aspetti andrebbero tenuti assieme. La
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dimensione escatologica pervade la predicazione di Gesù, che aspetta un divino intervento decisivo
nella storia del suo popolo. Il regno già instaurato è caratterizzato dalla centralità e dalla signoria di
Gesù. Un altro elemento da ricordare è che non va ridotta la questione del “quando” della parusia.
Dalla sua predicazione si capisce che la scadenza è a breve (cfr. Mc 9,1), ma ci sono altri detti in cui il
tempo finale è impreciso (Mc 13). Parlando del regno presente e futuro, Gesù utilizza un linguaggio
apocalittico, che si rifa a Daniele, Ezechiele, ecc., un linguaggio fortemente simbolico.
LA FEDE DI GESÙ
1.1. Ricordiamo qualche dato storico : la dottrina scolastica prima di Tommaso, con Pietro Lombardo
e altri associavano la fede alla conoscenza. In Gesù la fede veniva praticamente esclusa a causa della
visione beatifica. Questa teologia di Tommaso, Pietro Lombardo ecc., ha avuto un largo influsso nel
medioevo.
1.2. Ai nostri giorni, teologi cattolici e protestanti hanno ripreso la questione : Balthasar, Guillet,
Sobrino, e altri. Per G. Ebeling Gesù è il testimone per eccellenza della fede, per cui diventa il
fondamento della fede stessa risorgendo dai morti. Nel nostro secolo ci sono stati tre cambiamenti
che hanno dato un’altra visione alla fede di Gesù.
1.3. In primo luogo non c’è più una visione massimalista della conoscenza umana di Gesù, ossia non
si prende più in considerazione la visione beatifica. L’approccio più intratrinitario dice che, nella sua
esistenza umana, Gesù vive la sua relazione al Padre nello Spirito : è la prospettiva di Kasper e di altri
teologi che vedono la vita terrestre di Gesù in riferimento al Padre e allo Spirito. Vi è poi
l’impostazione più personale della fede : nella DV (n.5), invece di concepire la fede dal punto di vista
conoscitivo, la si vede come l’orientamento globale della persona.
1.4. Un altro binomio da sottolineare è quello della Fides qua e Fides quae. La “Fides qua” è
l’obbedienza della fede, come ci dice Paolo (Rm 1, 5 ; 16, 26), l’avere fiducia in Dio e rimanere saldi
in lui (Is 7, 9). Essa si esprime soprattutto nella preghiera che è anche il suo nutrimento. La Fides
quae esprime il contenuto che si professa. Paolo in Rm 10, 9 mette in rilievo che il contenuto della
fede sta nella Risurrezione di Gesù. Giovanni invece riassume il contenuto della fede nella
confessione di Gesù come Figlio di Dio. Nel nostro credo, ciò che confessiamo comprende anche la
dimensione temporale diacronica : il passato (es. “discese dal cielo), il presente (“creatore del cielo e
della terra”), e il futuro (“aspetto la risurrezione dei morti e la vita che verrà.”)
2.1. Nel NT la fede coinvolge diverse sfumature : non si tratta quindi di un concetto monolitico. Ma
Gesù esercitava la fede ? Partiamo dicendo che i termini fede e credere sono i più usati nel NT : il
sostantivo pistis () è usato circa 243 volte, e il verbo pisteuein () 241 volte. Gesù
normalmente è considerato l’oggetto della nostra fede (cfr. Rm 10, 8-10), se non addirittura il
fondamento. Per Gv, che usa 98 volte il verbo credere, è proprio Gesù l’oggetto della nostra fede. Il
NT però non ci dimostra che Gesù esercitasse direttamente la fede, forse perché gli Evangelisti ce lo
descrivono alla luce della risurrezione.
2.2. In Paolo ricorre spesso la frase “fede di Gesù” (cfr. Rm 3, 22-26 ; Gal 2, 16a.b.20 ; 3, 22 ; Ef 3,
12 ; Fil 3, 9). La questione coinvolge il valore di quel genitivo : è soggettivo o oggettivo ? Se fosse
tradotto come gen. oggettivo, vorrebbe dire che è Gesù l’oggetto della fede. Altri preferiscono
tradurre col gen. soggettivo, ossia la fede che Gesù ha esercitato nella sua esistenza umana. La
maggior parte degli studiosi, però, ritiene che quel genitivo vada tradotto come oggettivo. Non si può
certo risolvere la questione analizzando solo l’espressione “ ”, ma ponendo
l’attenzione su altre espressioni, come quella di Fil 2, 8. Paolo parla lì dell’obbedienza di Gesù,
facendo vedere come in quel caso vi è l’obbedienza della fede. In Rm 5 si fa il raffronto tra Xto
obbediente e Adamo disobbediente : l’atteggiamento di Gesù ci riporta a quello della fede.
2.3. In Eb 12, 2 si legge, nella traduzione della CEI : “corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta
davanti, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede.”; qualche altra
traduzione (NRSV e NJB) aggiunge “autore e perfezionatore della nostra fede”. E’ chiaro che si tratta
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di traduzioni che risentono dell’influsso teologico. Nel contesto immediato, Eb 12, 2 si trova alla fine
di una lunga lista di testimoni della fede : Gesù è l’esempio per eccellenza di una vita vissuta nella
fede. Nel contesto di tutta la lettera ci sono elementi che riguardano la fede, come l’obbedienza (cfr.
5, 7-10 ; 10, 7-9), la preghiera (5, 17), la lealtà nelle prove (2, 17-18 ; 4, 15), e fedeltà (3, 1-2). La
lettera agli Ebrei analizza questi elementi relativi alla fede, pertanto non sarebbe fuori luogo parlare
della fede di Gesù stesso.
2.4. I Sinottici, testimoni principali della vita terrestre di Gesù, non parlano esplicitamente della fede
di Gesù : nei Sinottici, Gesù parla di fede come colui che ne ha una personale esperienza. In Mc 9, 23,
Gesù risponde al padre dell’epilettico indemoniato e gli dice “Tutto è possibile per chi crede !”, e lo
può affermare perché è lui in prima persona a farne l’esperienza. In Lc 17, 6 e Mt 6, 30, Gesù
rimprovera i suoi interlocutori i quali si dimostrano uomini di poca fede, e non assumono quindi il suo
stesso atteggiamento. Sulla montagna, Gesù incoraggia ad avere fede (v. Mt 7, 7-11), proprio perché
lui per primo ha sperimentato l’efficacia della preghiera. Ricordiamo anche le sue azioni
caratteristiche : la sua preghiera costante legata alla fede (Mc 1, 35 ; 6, 46) ; l’obbedienza alla volontà
del Padre (Mc 14, 32-42) ; la fedeltà nelle tentazioni (Mc 1, 12 ; Lc 22, 28), ed infine la fiducia sul
futuro (Mc 9, 31 ; 14, 25). Nonostante la consapevolezza di una morte violenta, aveva fiducia nella
volontà del Padre.
2.5. Riprendendo la distinzione tra fides qua e fides quae, e applicandola a Gesù, vediamo che la
prima ci mostra che Gesù è obbediente al Padre. Ma in chi credeva Gesù ? Egli conosceva la sua
identità personale, conosceva il Padre e la sua missione. Il CCC al # 473 parla della conoscenza
intima del Padre, quindi come tale non era oggetto di fede. Però rimangono altri elementi da
confessare, come ad es., la storia della salvezza riportata nell’AT (cfr. Mc 12, 18-27). Vi sono quindi
elementi del passato che rientrano nella sua confessione di fede, così come nel discorso della
montagna Gesù professa la sua fede circa la provvidenza divina. Per quanto riguarda il futuro, Gesù
parla della sua fiducia in Dio, poiché la sua vita è nelle sue mani ed egli risusciterà i morti nell’ultimo
giorno ed il suo regno verrà con potenza.
2.6. Bisogna sottolineare che la fede è una realtà analoga : Abramo è un esempio della fede, ma il
contesto della sua confessione è ben diverso dal nostro.
2.7. S. Paolo, parlando di Gesù, ci dice che dobbiamo imitarne la fede : credere in lui, ma anche
credere come lui (cfr. 1 Ts 1, 6 ; 1 Cor 11, 1).
L’IMPECCABILITÀ E GRAZIA DI CRISTO
1.1. Il peccato non è la trasgressione di una norma astratta, ma è infedeltà personale: seguendo la pista
dei profeti, il peccato è una disobbedienza personale al Dio misericordioso che, nonostante l’infedeltà
del popolo, si mantiene fedele.
NOTA: MANCANO LE ULTIME DUE TESI:
TESI 9: i diversi modelli di salvezza. L’universalità della mediazione
salvifica e rivelatrice di Cristo.
TESI 10: Una sintesi conclusiva in termini della presenza
cristologica e salvifica del Gesù risorto. O un’altra sintesi?