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Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma Geologia dell’Ambiente Periodico trimestrale della SIGEA Società Italiana di Geologia Ambientale 3/2019 ISSN 1591-5352

Geologia dell’Ambiente - sigeaweb.itGeologia dell’Ambiente • n. 3/2019 2 Pietro Carveni E-mail: [email protected] PREMESSA Col nome di Santorini viene indica-to un gruppo

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Geologia dell’AmbientePeriodico trimestrale della SIGEA

Società Italiana di Geologia Ambientale

3/2019ISSN 1591-5352

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9.00 - 10.00 Registrazione

10.00 - 11.00 Relazioni di apertura lavori

Nicola AlemannoSindaco di Norcia

Vincent OttavianiVice Presidente Sigea

Marco Petrini ArchiLogos

Filippo GuidobaldiPresidente Ordine dei Geologi dell’Umbria

Maria Luisa GuerriniPresidente Ordine Architetti P.P.C. di Perugia

Roberto BalianiRappresentante Rete Professioni Tecniche

Interventi mattina 11.00 – 13.30

Moderazione | Laura Scognamiglio (INGV)

11.00 Faglie e Terremoti in Italia centraleMassimiliano Barchi (Università degli Studi di Perugia)

11.25 Fenomeni geomorfologici sismo indotti: le conoscenze prima e dopo il 1979Gilberto Pambianchi (Università di Camerino)

11.50 Filologia e sicurezza nel restauro architettonico e urbano Antonio Pugliano (Università Roma Tre)

12.15 Beni culturali in zona sismica: Sicurezza è Conservazione Antonio Borri (Università degli Studi di Perugia)

12.40 Analisi dell’effi cacia degli interventi eseguiti dopo il sisma del 1979 su edifi ci del centro storico di Norcia colpiti dai sismi del 2016Luciano Baldi & Francesco Savi (Servizio Rischio Sismico – Regione Umbria)

13.05 Analisi, obiettivi e risultati della ricostruzionePiero Farabollini (Commissario ricostruzione sisma 2016)

13.30 - 14.30 Pausa pranzo

Interventi pomeriggio 14.30 - 19.00

Moderazione | Daniela Di Bucci (Dipartimento Protezione Civile)14.30 La cultura del rischio: i terremoti di Norcia, inquilini

da sempre. Perché conoscerli? Emanuela Guidoboni (INGV e Centro EEDIS, Bologna)

14.55 La vulnerabilità sismica dei centri storici appenninici: un nemico subdolo, o una condizione ampiamente documentata? Gianluca Valensise (INGV)

15.20 Sismabonus: un ottimismo senza misura per la prevenzione del nuovo secolo Roberto De Marco (Sigea)

15.45 Il Piano Nazionale per la Prevenzione del Rischio Sismico con i Fondi del DL 39/2009Mauro Dolce (DPC)

16.10 Dissesti di versante nella microzonazione sismica Marco Amanti, Claudio Campobasso & Vittorio Chiessi (ISPRA)

16.35 Prima durante e dopo: i tempi del terremoto. Istruzioni per l’uso Luciano Giacché (già direttore del CEDRAV)

17.00 Dalla scossa alla RISCOSSA: ipotesi di rinascita per la Comunità di Forsivo Giovanni Bianconi & Bruno Gori (Gruppo di lavoro di ArchiLogos)

Moderazione | Francesco Brunelli (Sigea – ORG Umbria)17.30 Discussione

18.30 Chiusura dei lavori a cura di Vito Claudio Crimi Senato della Repubblica

È stata inoltrata richiesta per crediti formativi per Geologi e per Archietti P.P.C.Con nota del MIUR U.0038320.26-06-2019 è stato concesso l ’esonero dall ’obbligo di servizio ai docenti di ogni ordine e grado.

1979-2019: Norcia, un esempio concreto e straordinario di comunità resiliente

Norcia, Sala Polivalente in via Solferino | 19 settembre 2019

CONVEGNO

SOCIETÀITALIANADI GEOLOGIAAMBIENTALE

CON IL PATROCINIO DI

COMUNE DINORCIA

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Datazione dell’eruzione di età minoica del vulcano

di Santorini e ipotesi sulla nascita di alcuni miti

Pietro Carveni 2

Evoluzione tettono-magmatica del Main Ethiopian Rift.Un laboratorio naturale per l’analisi dei processi

di estensione e rottura delle placche continentali

Giacomo Corti 5

Il ponte Morandi: da simbolo dell’ingegneria

ad opera da demolire

Sara Frumento 11

L’Olio della Madonna. La distruzione di un sacro geosito

durante la corsa all’oro nero in Sicilia

Domenico Macaluso 18

BOX 1

La chiesa e la confraternita della Madonna dell ’Olio 24

BOX 2

Giovanni Stradano 24

Presentazione del volume

“Natural Hazards and Disaster Risk Reduction Policies”

Loredana Antronico, Francesco De Pascale,

Fausto Marincioni 28

Società Italiana di Geologia AmbientaleAssociazione di protezione ambientale a carattere

nazionale riconosciuta dal Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare con

D.M. 24/5/2007 e con successivo D.M. 11/10/2017

PRESIDENTEAntonello Fiore

CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE Lorenzo Cadrobbi, Franco D’Anastasio (Segretario),

Daria Duranti (Tesoriere), Ilaria Falconi, Antonello Fiore (Presidente), Sara Frumento,

Fabio Garbin, Enrico Gennari, Giuseppe Gisotti (Presidente onorario), Gioacchino Lena,

Luciano Masciocco, Michele Orifi ci (Vicepresidente), Vincent Ottaviani (Vicepresidente), Paola Pino d’Astore, Livia Soliani

Geologia dell’AmbientePeriodico trimestrale della SIGEA

N. 3/2019Anno XXVII • luglio-settembre 2019

Iscritto al Registro Nazionale della Stampa n. 06352Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 229

del 31 maggio 1994

DIRETTORE RESPONSABILEGiuseppe Gisotti

COMITATO SCIENTIFICOMario Bentivenga, Aldino Bondesan, Giancarlo Bortolami, Giovanni Bruno, Giuseppe Gisotti,

Giancarlo Guado, Gioacchino Lena, Giacomo Prosser, Giuseppe Spilotro

COMITATO DI REDAZIONEFatima Alagna, Federico Boccalaro, Giorgio Cardinali,

Francesco Cancellieri, Valeria De Gennaro, Fabio Garbin, Gioacchino Lena, Maurizio Scardella

REDAZIONESigea c/o Fidaf - Via Livenza, 6 00198 Roma

tel. 06 [email protected]

PROCEDURA PER L’ACCETTAZIONE DEGLI ARTICOLI

I lavori sottomessi alla rivista dell’Associazione, dopo che sia stata verifi cata la loro pertinenza con i temi di interesse della Rivista, saranno

sottoposti ad un giudizio di uno o più referees

UFFICIO GRAFICOPino Zarbo (Fralerighe Book Farm)

www.fralerighe.it

PUBBLICITÀSigea

STAMPATipolitografi a Acropoli, Alatri (FR)

La quota di iscrizione alla SIGEA per il 2019 è di € 30 e da diritto a ricevere la rivista

“Geologia dell’Ambiente”. Per ulteriori informazioni consulta il sito web

all’indirizzo www.sigeaweb.it

Sommario

In copertina: Sono le 9.37 di venerdì 28 giugno quando brillano le cariche esplosive sul-le restanti pile, n.10 e 11 del Ponte Morandi, a Genova. Mentre i getti d’acqua attenua-no l’eff etto della polvere, un boato accompagna la demolizione progettata e controllata.

A questo numero è allegato il supplemento digitale degli atti del convegnoAlle foci del Tevere: territorio, storia, attualitàtenuto a Roma il 21 maggio 2018scaricabile all’indirizzo web www.sigeaweb.it/supplementi.html

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Geologia dell’AmbientePeriodico trimestrale della SIGEA

Società Italiana di Geologia AmbientaleSupplemento al n. 3/2019ISSN 1591-5352

A cura diAntonia Arnoldus Huijzenveld, Piero Bellotti,

Giuseppe Gisotti

Alle foci del Tevere:territorio, storia, attualità

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2Pietro CarveniE-mail: [email protected]

PREMESSACol nome di Santorini viene indica-

to un gruppo di isole situate nell’Egeo meridionale, circa 110 chilometri a set-tentrione di Creta, facenti parte dell’Ar-cipelago delle Cicladi: Th era, Th erasìa, Aspronisi, Palaea Kaimeni e Nea Kai-meni (Fig. 1).

Le prime tre sono i resti di un’isola più grande, esistente fi no all’Epoca Mi-noica; essa, denominata Kalliste (Bel-lissima) era costituita da un complesso di edifi ci vulcanici poggianti su calcari e marmi del Trias superiore e scisti fi l-ladici terziari (Pichler & Kussmaul, 1969/70).

Nel corso del XVII secolo a.C., in seguito ad una serie di eruzioni paros-sistiche, che probabilmente svuotarono la sottostante camera magmatica, l’isola fu distrutta e si formò una caldera, di cui Th era, Th erasìa e Aspronisi rappresen-tano le parti emerse dell’orlo.

All’interno della caldera, a causa dell’accumulo di materiali eruttati prima in ambiente subacqueo, poi subaereo, si sono formate le isole Palaea Kaimeni e Nea Kaimeni; l’ultima eruzione di Nea Kaimeni è avvenuta nel 1950.

L’ERUZIONE DI ETÀ MINOICA DEL VULCANO DI SANTORINI

Fino ad alcuni anni fa si è sempre pensato che la più antica descrizione di un’eruzione vulcanica, nell’ambito della letteratura occidentale, fosse contenuta nelle lettere che Plinio il Giovane scrisse al suo amico Tacito, descrivendogli la catastrofi ca eruzione vesuviana del 79 d.C., durante la quale perse la vita suo zio, Plinio il Vecchio.

Il documento, conosciuto da tutti i cultori della materia, è di particolare importanza in quanto descrive la nube a forma di pino formatasi durante la fase iniziale dell’eruzione; lo stesso Plinio il Giovane fornisce la giusta interpreta-zione di tale forma, attribuendola alla spinta iniziale dell’esplosione, ed al fatto che, giunte ad una certa quota, i prodotti piroclastici tendevano a disperdersi la-teralmente.

Le conseguenze dell’eruzione sono note: la città di Pompei e i suoi dintorni furono sepolti da lapilli, Ercolano fu di-strutta da una colata piroclastica.

Questo tipo di attività vulcanica venne chiamata Eruzione pliniana da Stoppani (1871-1873).

A parte questa importantissima documentazione, notizie indirette su un’eruzione dello stesso tipo, avvenuta in epoca minoica, ci sono state traman-date da Apollonio Rodio nel mito degli Argonauti, secondo la rilettura critica di Scandone (1987).

Apollonio Rodio descrive il ritorno degli Argonauti dalla Colchide e l’incon-tro col gigante Talos, il quale, volendo im-pedir loro di sbarcare a Creta, tempestò la nave Argo con una pioggia di pietre; Medea, con le sue arti magiche, riuscì ad uccidere il gigante che, come un enorme pino tagliato dai boscaioli, dapprima on-deggiò nel vento e poi cadde di schianto.

Il giorno dopo gli Argonauti, in na-vigazione da Creta verso settentrione, furono avvolti da una fi tta nube attraver-so cui non fi ltrava la luce del Sole; Gia-sone rivolse le sue preghiere ad Apollo, il quale in risposta illuminò il mare con un fulmine e mostrò un’isola a cui gli Argonauti approdarono, e che da loro venne chiamata Anafe, cioè Apparsa.

Questa parte del mito viene in-terpretata così (Scandone, 1987): il gigante Talos rappresenta il pino vul-canico che, alzandosi dal vulcano di Santorini, era ben visibile anche a gran-de distanza; la nave Argo, passando nel braccio di mare compreso tra Rodi e Creta (Fig. 2), venne a trovarsi nella zo-na di massima dispersione dei prodotti piroclastici, spinti verso SE dai venti d’alta quota; il giorno dopo la ricaduta delle ceneri vulcaniche produsse una profonda oscurità, e il fulmine che fece intravedere l’Isola di Anafe è attribui-bile ai fenomeni di elettricità statica che si producono in questi casi nelle nubi di ceneri vulcaniche a causa delle collisioni tra le particelle.

Secondo alcuni studiosi questa eru-zione avrebbe provocato un’onda di maremoto che avrebbe distrutto alcune località rivierasche lungo la costa set-tentrionale di Creta e, probabilmente, buona parte della fl otta tramite la quale i Minoici esercitavano la loro egemonia sul Mediterraneo.

Seguirono probabilmente carestie, ribellioni della popolazione, occupazione dell’isola da parte degli Achei e la scomparsa della Civiltà Minoica.

Pontoniere (1996), in un breve articolo pubblicato nella rubrica “Idee e Scienze” della rivista Panorama dell’8 agosto 1996, riporta i risultati cui sono pervenuti alcuni ricercatori del labora-torio di dendrocronologia della Cornell University di Ithaca, nello stato di New

Datazione dell’eruzione di età minoica del vulcano di Santorini e ipotesi sulla nascita di alcuni mitiSantorini volcano Minoan age eruption dating and hypothesis about some myths birthParole chiave: Mare Egeo, Vulcano di Santorini, eruzione di epoca minoica, dendrocronolo-gia, Mito degli Argonauti, Mito di Demetra e Persefone, Mito del Vello d’oroKey words: Aegean Sea, Santorini Volcano, Minoan Age eruption, dendrochronology, Argonauts Myth, Demeter and Persephone Myth, Golden Fleece Myth

Figura 1. Le isole Thira, Thirassia, Aspronisi, Palea Kaimeni e Nea Kaimeni (Google Earth)

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York, e dell’Università di Reading in Gran Bretagna: essi hanno individuato una perturbazione registrata come ano-malia nella crescita degli alberi dell’e-misfero settentrionale, datata, tramite i metodi della dendrocronologia, al 1628 a.C.; analoga anomalia è stata riscontra-ta in danni subiti da conifere della Cali-fornia. I ricercatori hanno attribuito tale anomalia alla dispersione in gran parte del pianeta dei materiali cineritici emes-si durante l’eruzione di epoca minoica del vulcano di Santorini, analogamente a quanto è accaduto in occasione dell’e-ruzione del 1816 del vulcano Tambo-ra, in Indonesia, che provocò carestie in Europa e in America Settentrionale (Stommel & Stommel, 1983).

CONCLUSIONIIl confronto di dati scientifi ci pro-

venienti da diverse fonti, oltre a deter-minare l’anno in cui è avvenuta l’eru-zione vulcanica di Santorini dell’Età del Bronzo, la quale ha profondamente condizionato la Civiltà Minoica, ha per-

messo di interpretare parte di un mito e di datare la spedizione in Colchide degli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro.

Inoltre, poiché è lecito supporre che l’eruzione di Santorini, con l’immissione nell’atmosfera di grandi quantità di pol-vere vulcanica, analogamente a quanto avvenuto in seguito all’eruzione del Tambora del 1816, abbia causato inten-se perturbazioni climatiche, che hanno interessato buona parte della superfi cie terrestre, possiamo ipotizzare che even-tuali carestie verifi catesi posteriormente all’eruzione abbiano fornito la base “ge-ologica” alla nascita del mito delle dee Demetra e Persefone, conosciute anche con i nomi latini di Cerere e Proserpina.

Secondo il mito, Persefone venne rapita da Plutone, dio degli inferi, in combutta con Zeus; Demetra, avendo udito il grido della fi glia, andò alla sua ricerca per tutto il mondo; ma solo Elios, che vede tutto, le rivelò la verità; Deme-tra, sdegnata, si rifi utò di risalire sull’O-limpo, fi nché non le venisse restituita la fi glia, e rimase sulla terra, abdicando

alla sua funzione divina di produrre le messi; la terra divenne sterile e l’ordine del mondo abitato dagli uomini fu scon-volto. A questo punto si giunse ad un compromesso tra le divinità interessate: Persefone sarebbe stata con la madre a iniziare dalla primavera, con lo spuntare dei germogli dai solchi, e sarebbe torna-ta nell’Ade dopo la semina, per tutto il triste periodo invernale.

Ci sembra lecito ipotizzare che que-sto mito sia nato in seguito ad un perio-do di carestia, provocato dalla dispersio-ne nell’atmosfera di polveri vulcaniche emesse dal vulcano di Santorini.

Per quanto riguarda la parte del mito in cui Persefone viene rapita da Pluto-ne, è lecito ipotizzare che la fanciulla, mentre in compagnia di altre ninfe era intenta a cogliere fi ori nella campagna al centro della Sicilia, nei pressi del La-go di Pergusa, sia caduta in un sinkhole, generato dal crollo di una caverna car-sica scavata nel Calcare di base e/o nei Gessi della Serie Gessoso Solfi fera Sicilia-na, presenti nella zona; simili fenomeni

Figura 2. Ricostruzione della rotta percorsa dalla nave Argo (da Scandone, 1987)

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lo primaverile una pelle di pecora con i peli rivolti contro corrente, si recupera la polvere d’oro che rimane impigliata nel vello; il “vello d’oro”, di cui gli Argonauti erano andati alla ricerca, quindi, non era costituito da una lana fatta d’oro, ma era solo la pelle di un ovino, utilizzato per raccogliere polvere d’oro.

Come si è voluto dimostrare, a volte ai miti si può attribuire un’origine geo-logica.

TESTI CONSULTATIPichler H. & Kussmaul S. (1969/70), Geo-

logical map of the Santorini Islands (Aegean Sea, Greece). Thera and the Aegean World II, scale 1:20.000.

Pontoniere P. (1996), Re Mida, quanto sei vecchio! Gli anelli incisi nei tronchi de-gli alberi rivelano la loro età. E quella degli antichi imperi. Panorama, 8 agosto 1996, pag. 134.

Scandone R. (1987), Miti ed eruzioni. Le Scienze, Quaderno N° 39, 78-83.

Stommel H. & Stommel E. (1983), L’anno senza estate. Le Scienze, Quaderno N° 4, 65-71.

Stoppani A. (1871-1873), Corso di geolo-gia, 3 voll., G. Bernardoni & G. Brigola, Milano.

usato dalle popolazioni che vivono lun-go la costa orientale del Mar Nero, in Abchazia e in Georgia, zone corrispon-denti all’antica Colchide: sistemando sul fondo di un ruscello durante il disge-

di crollo non sono inusuali nella zona (Figg. 3, 4 e 5).

Il mito del Vello d’oro, alla cui con-quista gli Argonauti erano partiti, trova la sua spiegazione in un sistema ancora

Figura 3. Un sinkhole formatosi nella zona a SW di Enna nel 1984

Figura 4. Stralcio della Carta Tecnica Regionale, Sezione 631070 “Monte Pasquasia”: il sinkhole è evidenziato al centro della f igura

Figura 5. Stralcio dell ’Atlante Stradale d’Italia del Touring Club Italiano, Edizione 2004 (con modifiche): l ’ubi-cazione del sinkhole è indicata dalla freccia (non in scala), al centro della f igura: si noti la vicinanza al Lago di Pergusa, ubicato nella parte centro-orientale della carta

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5Giacomo CortiIstituto di Geoscienze e Georisorse, Consiglio Nazionale delle Ricerche FirenzeE-mail: [email protected]

RIASSUNTOIl Main Ethiopian Rift rappresenta

un’area chiave per studiare i processi di estensione continentale: esso, infatti, in diff erenti porzioni, registra le varie fasi del processo, da quelle iniziali fi no alla incipiente rottura litosferica e formazio-ne di nuove dorsali oceaniche. Il rifting in quest’area si imposta in una regione a topografi a anomala ed è preceduto da importanti fasi di voluminoso vulca-nismo, processi che testimoniano l’in-fl uenza di una o più mantle plumes nella dinamica dell’estensione continentale. Le prime fasi deformative, legate all’al-lontanamento relativo delle placche Africa e Somalia, sono associate allo svi-luppo di grandi faglie bordiere il cui mo-vimento determina lo sprofondamento del fondovalle rispetto agli altopiani circostanti. Col procedere dell’estensio-ne, si assiste ad una progressiva localiz-zazione dell’attività tettono-magmatica nelle zone assiali della depressione; la progressiva intrusione di magma in queste aree tende a indebolire termo-meccanicamente la litosfera innescan-do dei processi che si autoalimentano e che sono in grado di portare alla rottura continentale. In generale, tale dinami-ca evolutiva testimonia una progressiva transizione da morfologia dominata da fagliazione nelle prime fasi deformative a un rifting assistito dal magma (mag-ma-assisted rifting) durante la rottura continentale.

INTRODUZIONELe rift valley continentali sono delle

grandi fratture nella superfi cie terrestre

che si allargano progressivamente nel tempo; esse rappresentano uno stadio inziale nella successione di eventi che porta alla rottura continentale e alla for-mazione di nuovi bacini oceanici, e sono quindi uno dei più importanti processi geodinamici.

La Rift Valley Africana è l’esempio classico di queste strutture tettoniche, il luogo dove il concetto stesso di rift val-ley – “una valle lineare con pareti paralle-le e quasi verticali, sprofondata per azione di una serie di faglie parallele” - è stato originariamente introdotto da John W. Gregory nel 1894. Tale sistema tettoni-co off re delle condizioni ideali per l’a-nalisi dei processi di separazione conti-nentale: tale rift valley, infatti, registra in diff erenti settori le varie fasi del proces-so di estensione e rottura continentale, da quelle inziali all’incipiente sviluppo di nuove dorsali oceaniche (Ebinger, 2005). Inoltre, tali processi sono attivi, off rendo quindi la possibilità di osser-varli e monitorarli in tempo reale.

Scopo di questo articolo è quello di analizzare l’evoluzione tettonica delle rift valley continentale, attraverso l’ana-lisi del settore etiopico della Rift Valley Africana, in particolare del cosiddetto Main Ethiopian Rift. In questa regio-ne, infatti, negli ultimi anni e grazie a vari progetti multidisciplinari interna-zionali (es., Eagle, Afar Consortium, Riftvolc), sono stati acquisiti numerosi dati di vario tipo (geologico, geofi sico, ecc.) che hanno permesso di migliorare notevolmente le conoscenze sul proces-so di estensione e rottura delle placche continentali.

INQUADRAMENTO TETTONICO E DINAMICA DEL RIFTING IN AFRICA ORIENTALE

Il Main Ethiopian Rift (MER) costi-tuisce, assieme alla depressione dell’A-far, il cosiddetto Rift Etiopico, ossia la porzione settentrionale del sistema di rift valley africane, che si sviluppa in territorio etiope (Fig. 1; Mohr, 1983). Il MER è caratterizzato da una morfolo-gia tipica della rift valley con importanti scarpate marginali che separano gli alto-piani somalo e etiope dalla depressione principale. All’interno di quest’ultima, di ampiezza comunemente inferiore agli 80-100 km, è localizzata la mag-gior parte dell’attività vulcano-tettonica (Fig. 1). L’Afar, invece, rappresenta una zona depressa triangolare dove attività vulcanica e tettonica sono estese su una regione molto ampia; importanti scar-pate separano tale depressione dagli al-topiani nella sua porzione occidentale e meridionale (Fig. 1).

La tettonica regionale è controllata dall’interazione tra tre placche principa-li –Africa, Arabia e Somalia- la cui giun-zione tripla è attualmente localizzata nella porzione centrale della depressio-ne dell’Afar (Fig. 1). In particolare, la deformazione estensionale nel MER e nella porzione meridionale dell’Afar è controllata dal moto relativo tra Africa e Somalia, che avviene a tassi di 4-6 mm/anno in direzione circa ONO-ESE (es. Saria et al., 2014); l’estensione nella par-te centrosettentrionale dell’Afar (e nei sistemi oceanici del Golfo di Aden e Mar Rosso) è invece legata all’allonta-

Evoluzione tettono-magmatica del Main Ethiopian Rift.Un laboratorio naturale per l’analisi dei processi di estensione e rottura delle placche continentaliTectono-magmatic evolution Main Ethiopian Rift. A natural laboratory for the analysis of extension and rupture of continental platesParole chiave: rifting continentale, rift valley, Main Ethiopian Rift, tettonica, magmatismoKey words: continental rifting, rift valley, Main Ethiopian Rift, tectonics, magmatism

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namento della placca Araba rispetto al sistema Africa/Somalia a tassi di circa 15-20 mm/anno in direzione circa NE-SO (es. McClusky et al., 2010).

La rift valley in Africa Orientale si sviluppa in una regione caratterizzata da una topografi a anormalmente elevata, il cosiddetto “African Superswell” (mega-rigonfi amento africano; Nyblade and Robinson, 1994), che comprende sia gli altopiani dell’Africa orientale (Etiopia,

Kenya, Tanzania), che l’altopiano del Sudafrica (inoltre, la topografi a anoma-la coinvolge anche il fondo dell’Oceano Atlantico Sud-orientale). Tale topogra-fi a anomala è legata a un sollevamento regionale avvenuto probabilmente ne-gli ultimi 30 milioni di anni circa (es., Moucha e Forte, 2011).

Questa regione a topografi a ano-mala è inoltre caratterizzata dalla pre-senza di voluminosi prodotti vulcani-

ci, i cosiddetti “trappi”, successioni di colate prevalentemente basaltiche che complessivamente raggiungono spes-sori medi di 500-1500 metri, ma che possono arrivare in alcune aree a 3000 metri (Fig. 2; es. Rooney, 2017). Tali vulcaniti attualmente occupano un’area molto estesa che comprende gran parte degli altopiani etiopico e somalo, parte dell’altopiano yemenita e del territorio di Gibuti, e che rappresenta una delle più estese zone vulcaniche del pianeta Terra. Tale intensa attività vulcanica è iniziata intorno a 45 Milioni di anni fa nel Sud dell’Etiopia, ma ha avuto la massima intensità intorno a 32-30 mi-lioni di anni fa (es. Rooney, 2017).

L’importante fase di vulcanismo di tipo trappico ed il sollevamento degli altopiani sono generalmente precedenti alle prime fasi di estensione nel siste-ma Golfo di Aden-Mar Rosso e nella rift valley africana (es. Purcell, 2018). In Etiopia, la deformazione estensionale inizia a circa 27 Ma in Afar e succes-sivamente nel MER (v. sotto). Questa sequenza di eventi, il volume di vulcaniti e l’estensione del sollevamento sono ge-neralmente interpretati come rifl ettere una dinamica attiva del rifting, con l’in-fl uenza di una plume di mantello caldo al di sotto della litosfera nella genesi delle forze tensionali che hanno guidato la formazione della rift valley in Afri-ca orientale. Tuttavia, le caratteristiche e anche il numero di mantle plumes al di sotto della litosfera africana (ad es. esistenza di una superplume di mantello responsabile di topografi a, vulcanismo e rifting in Africa Orientale; es. Moucha e Forte, 2011) rimangono un argomento dibattuto.

CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITÀ TETTONO-MAGMATICA

Il MER è tradizionalmente suddivi-so in tre principali settori: Meridionale (SMER), Centrale (CMER) e Setten-trionale (NMER; Figg. 1,3); tali settori diff eriscono in termini di tempistica e architettura della deformazione, volume del vulcanismo Quaternario e caratte-ristiche litosferiche (es., Mohr, 1983; WoldeGabriel et al., 1990; Hayward and Ebinger, 1996; Bonini et al., 2005; Corti, 2009). Studi geofi sici suggeriscono che la localizzazione e l’iniziale evoluzione del rift siano stati controllati dalla pre-senza di una zona di debolezza a scala litosferica (es., Keranen and Klemperer, 2008).

Il MER è caratterizzato da due di-versi sistemi di faglie normali (Figg. 3,4):

Figura 1. Inquadramento morfologico e tettonico del Rift Etiopico (modello digitale del terreno SRTM 30m). I tre settori del Main Ethiopian Rift (MER) sono indicati come: NMER, MER Settentrionale; CMER, MER Centrale; SMER, MER Meridionale. Nell ’angolo in alto a sinistra è rappresentata l ’estensione della Rift valley africana. Nell ’angolo in basso a destra è riportato l ’inquadramento tettonico della regione

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(1) le faglie bordiere e (2) le faglie assia-li, un sistema generalmente denominato Wonji Fault Belt (WFB; es. Boccaletti et al., 1998). Queste faglie hanno diff e-rente distribuzione e caratteristiche nei vari settori del MER.

Le faglie bordiere sono generalmente lunghe (≥50 km), caratterizzate da im-portante rigetto verticale (tipicamente >500m) e danno luogo alle grandi scar-pate che separano il fondovalle dagli al-topiani circostanti (Fig. 5). Queste faglie si sono formate in tempi diversi nei di-versi settori compongono il MER negli ultimi 10-12 Ma (es., Balestrieri et al., 2016), con una attivazione eterogenea che probabilmente rifl ette variazioni laterali nella resistenza della litosfera. Lavori recenti (Brune et al., 2017; Cor-ti et al., 2018, 2019) mostrano come la struttura litosferica pre-rift e la presenza di discontinuità pre-esistenti abbiano un importante controllo sull’architettura della deformazione (es. sviluppo di ba-cini simmetrici o asimmetrici) e dell’at-tività vulcanica. Dati geologici, geodetici e analisi della sismicità indicano che le grandi faglie bordiere sono attualmen-te inattive nel NMER, mentre risulta-no tutt’ora attive nel CMER e SMER (Gouin, 1979; Wolfenden et al., 2004; Casey et al., 2006; Keir et al., 2006; Pizzi et al., 2006; Agostini et al., 2011a; Kogan et al., 2012; Molin, Corti, 2015).

Figura 2. I trappi a sud di Meychew sull ’altopiano etiope

Figura 3. Pattern di fagliazione e vulcaniti Quaternarie nel Main Ethiopian Rift (modificato da Corti et al., 2018). I tre settori sono indicati come in Fig. 1. La linea tratteggiata indica la traccia della sezione riportata in Fig. 4. Campi vulcanici e caldere sono indicate come segue: Al: Aluto; Bo, Boseti; Ch: Chilalo; Co, Corbetti; Do, Dofan; Du, Duguna; DZ, Debre Zeyt; Fa, Fantale; Ge, Gedemsa; Ko, Kone; NA, North Abaya; SB, Silti-Butajira; TM, Tulu Moye; Zw, Zikwala.I laghi sono indicati come segue: Ab, Abijata; Ay, Abaya; Aw, Awasa; C, Chamo; K, Koka; Ln, Langano; Sh, Shala; Zw, Ziway

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La WFB è un sistema tettono-mag-matico caratterizzato da faglie general-mente corte (tipicamente <20km), con alta densità e rigetto verticale limitato (generalmente <100m) e con associa-te fratture e piccoli graben (Fig. 6; es. Boccaletti et al., 1998). Queste faglie

sono diff use nel NMER, dove si sono sviluppate negli ultimi 2 Ma e formano segmenti disposti en-echelon che taglia-no obliquamente il fondovalle della rift valley (Fig. 3; Boccaletti et al., 1998; Ebinger, Casey, 2001). L’importanza di questo sistema di faglie diminuisce spo-

standosi verso sud: la WFB è in un in-cipiente stadio di sviluppo nel CMER, mentre sono praticamente assenti nel SMER (Fig. 3; Agostini et al., 2011b).

Lungo il MER, l’attività vulcani-ca Quaternaria è dominata da rioliti, ignimbriti, depositi piroclastici e ba-salti (WoldeGabriel et al., 1990). Nel NMER, questa attività è fortemente localizzata lungo i segmenti assiali della WFB, tanto che in questo settore le zone di attività tettono-magmatica prendo-no il nome di ‘segmenti magmatici’ (es. Ebinger, Casey, 2001). In tali segmenti, studi geofi sici mostrano come l’esten-sione avvenga attualmente attraverso una combinazione di intrusione di mag-ma in profondità e fagliazione normale in superfi cie (es., Keranen et al., 2004; Kendall et al., 2005; Mackenzie et al., 2005; Keir et al., 2006). L’intrusione di magma, che caratterizza la litosfera per tutto il suo spessore fi no a circa 75 km di profondità, ha modifi cato fortemente la struttura termo-meccanica litosferica nel NMER sotto la WFB (e.g. Beutel et al., 2010; Daniels et al., 2014). Tale modifi cazione magmatica della crosta/litosfera e il vulcanismo Quaternario diminuiscono signifi cativamente pro-cedendo verso Sud: nel SMER, dati ge-ofi sici indicano una alterazione termo-meccanica della litosfera trascurabile (Dugda et al., 2005; Daly et al., 2008).

EVOLUZIONE SPAZIO-TEM PORALE DELL’ATTIVITÀ TETTONO-MAGMATICA

L’analisi delle caratteristiche dell’at-tività tettono-magmatica descritta in

Figura 4. Sezione geologica schematica attraverso la parte centrale del Main Ethiopian Rift (traccia indicata in Fig. 3) (modificato da Corti et al., 2018)

Figura 5. La scarpata di Asela, nel CMER; sullo sfondo il vulcano Chilalo

Figura 6. Piccola faglia interna (Wonji) con cono di scorie in prossimità del Lago Ziway (sullo sfondo)

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precedenza mostra come vi siano im-portanti variazioni sia nell’evoluzione che nelle caratteristiche della stessa nei diff erenti settori del MER. Rias-sumendo, il NMER è caratterizzato dalla presenza dei due sistemi di faglie principali che mostrano tempistiche di attività diverse: le faglie bordiere, attive tra circa 10-12 Ma e 2 Ma, e le WFB, che si attivano intorno a 2 Ma e concentrano attualmente quasi tutta la deformazione estensionale. A questo si associa una importante localizzazione del vulcanismo nei segmenti magmatici assiali della depressione e –nella stessa zona- una signifi cativa modifi cazione termo-meccanica della litosfera. Nel

SMER, invece, l’attività deformativa è localizzata ai margini della depressione, dove le faglie bordiere mostrano attività negli ultimi 10-12 Ma e le faglie assiali sono praticamente assenti. In parallelo, l’attività vulcanica Quaternaria è molto limitata, e la modifi cazione della litosfe-ra trascurabile.

In generale, queste variazioni di evoluzione e caratteristiche dell’attività tettono-magmatica sono interpretate come rifl ettere diff erenti fasi evolutive del rifting (Fig. 7; es. Hayward, Ebinger 1996): il SMER, caratterizzato da una deformazione tettonica localizzata ai margini della depressione, rifl ette stadi di rifting iniziale; il CMER, con defor-

mazione marginale ma anche faglie as-siali incipienti, condizioni rifting in uno stadio intermedio; il NMER, con mi-grazione dell’attività tettono-magmati-ca nell’asse della depressione e abbando-no dell’attività tettonica ai margini, un rifting più maturo. Modelli analogici confermano questo trend evolutivo (es. Corti, 2008, 2012; Agostini et al., 2009) e suggeriscono come parametri quali la cinematica del rifting, ed in particola-re il progressivo aumento dell’obliquità dell’estensione procedendo verso Nord, possono aver favorito l’evoluzione più rapida del rifting nel NMER, rispetto al CMER a SMER (Keir et al., 2015).

DAL RIFTING ALLA ROTTURA CONTINENTALE IN ETIOPIA

Con la localizzazione dell’attività vulcano-tettonica negli stretti segmenti magmatici all’interno della rift valley inizia una forte interazione tra processi magmatici e processi deformativi che caratterizza le fasi fi nali del rifting e porta alla completa rottura delle plac-che continentali. All’interno dei seg-menti magmatici, infatti, la forte risalita di magma, che si accompagna alla forte attività tettonica legata alla presenza di numerosi sistemi di faglie normali, porta ad un progressivo indebolimento termo-meccanico della litosfera (Fig. 7; Buck, 2006). In queste fasi il magma ini-zia a giocare un ruolo primario nel con-trollare l’evoluzione della deformazione, portando al cosiddetto magma-assisted rifting (rifting assistito dal magma): l’in-debolimento termo-meccanico porta ad una localizzazione ed amplifi cazio-ne della deformazione, in un processo che è in grado di autoalimentarsi fi no a portare alla separazione defi nitiva delle placche.

Durante questi fi nali del rifting, l’attività tettono-magmatica è espressa da episodi caratterizzati da signifi cativa intrusione di magma, messa in posto di dicchi e fagliazione normale come testi-moniato dall’evento tettono-magmatico di Dabbahu, in Afar, del 2005-2010. In questo evento, l’allontanamento repen-tino delle placche di circa 10m è stato associato alla messa in posto di 14 dic-chi lungo i 60-70km di lunghezza del segmento magmatico di Manda Hararo, con piccole eruzioni e una serie di fes-sure e faglie, anch’esse estese per tutto il segmento tettono-magmatico. Anali-si geodetiche e sismologiche dei singoli eventi di messa in posto di dicchi sug-geriscono come circa il 90% dell’energia accumulata dall’allontanamento delle

Figura 7. Schema evolutivo del rifting continentale basato su osservazioni nel Main Ethiopian Rift e modelli analogici (da Corti, 2012). Nelle ultime fasi del rifting, la resistenza della litosfera è fortemente ridotta dagli effetti termo-meccanici legati alla forte intrusione di magma, come mostrato dai profili di resistenza della litosfera in condizioni di deformazione tettonica (sinistra) e magmatica (destra) (modificato da Buck, 2006)

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placche maggiori sia stata rilasciata asi-smicamente durante la risalita e messa in posto del magma attraverso i dicchi; la quantità di energia rilasciata attraver-so attività sismica legata al movimento lungo le faglie o l’apertura di fratture è subordinata (Wright et al., 2012 ). Nelle fasi fi nale del rifting e durante la rot-tura continentale il magmatismo tende quindi a diventare molto più importante della deformazione tettonica (fagliazio-ne, fratturazione) nel guidare l’allonta-namento delle placche.

Tale dinamica è simile a quanto avviene nelle dorsali oceaniche, come testimoniato da eventi di rifting come quello di Krafl a (Islanda) avvenuto tra il 1975 e il 1984 (Wright et al., 2012). I segmenti magmatici della depressione dell’Afar, in particolare nella porzione settentrionale della depressione (es. Er-ta Ale, Alayta, Tat’Ale), rappresentano quindi dei segmenti di dorsale medio-oceanica incipiente esposta in superfi cie.

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IL PONTE SUL FIUME POLCEVERA: ANALISI DI UN’INFRASTRUTTURA

In questi mesi a Genova si sta prov-vedendo alla ricostruzione del ponte sul fi ume Polcevera, dopo la demolizione del ponte “Morandi”. Un’infrastruttura autostradale collassata lo scorso 14 ago-sto 2018: le cause e le responsabilità so-no tutt’ora oggetto di indagine, dai primi accertamenti ed ipotesi degli inquirenti l’attenzione è principalmente volta allo stato di salute degli stralli ed al mecca-nismo che ne ha coinvolto l’impalcato. Il crollo del ponte Morandi ha catalizzato l’attenzione mediatica, e non solo, sulle infrastrutture, le stesse defi nite oggi dalle

attuali norme tecniche delle costruzioni (Ntc 2018) quali opere strategiche e ri-levanti la cui vita di utilizzo è compresa tra i 50 ed i 100 anni. Il confronto ed il controllo dell’esistete è tutt’altro che semplice, vengono date delle linee di in-dirizzo la cui applicazione non sempre è agevole e lineare anche per gli addetti ai lavori.

Un altro aspetto messo in luce da questo tragico evento corrisponde all’in-terferenza con le costruzioni circostanti, per lo più civili abitazioni e fabbriche poste in proiezione verticale al di sotto dell’impalcato dell’infrastruttura viaria.

Sempre il 14 agosto, quando avvenne il crollo, dove persero la vita 43 perso-

ne, il fi ume Polcevera era asciutto ma la preoccupazione era destata anche dalle forti precipitazioni che insistevano quel giorno su quell’area, con il timore che potessero manifestarsi fenomeni di na-tura alluvionale.

Queste sono solo alcune delle carat-teristiche portate alla luce dal crollo del ponte Morandi, di cui disserteremo nel seguito dell’articolo.

INQUADRAMENTO TERRITORIALE: IL FIUME POLCEVERA

Il ponte sul fi ume Polcevera sorge su un’area particolare che negli anni ha subito un incremento urbanistico verti-

Sara FrumentoIngegnere civile strutturistaAutore del sito tecnico web Teknoring.comConsigliere del Direttivo Nazionale di SigeaE-mail: [email protected]

Il ponte Morandi: da simbolo dell’ingegneria ad opera da demolireMorandi’s bridge: an example for architecture that has been demolishedParole chiave: Ponte, Morandi, Polcevera, Genova, infrastruttura, demolizioneKey words: Bridge, Morandi, Polcevera, Genoa, infrastructure, demolition

Figura 1 - Abitazione a ridosso del Ponte Morandi. (Foto Michele Guyot Bourg, 2012)

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ginoso. Il comune di Genova si estende su un’area di circa 240 kmq, avente una lunghezza di circa 30 km e compreso tra le valli dei fi umi Bisagno e Polcevera. Attualmente la popolazione raggiunge i 580.000 abitanti ma negli anni Settanta, nel pieno boom industriale per la città di Genova, gli abitanti erano circa 800.000 ed era previsto un potenziale incremen-to a 1.000.000 di abitanti.

L’incremento demografi co accom-pagnato all’attività portuale e non ha prodotto nei decenni un’edifi cazione serrata, che ha portato ad un’imperme-abilizzazione del territorio.

Nello studio “Anthropogenic changes in the alluvial plains of the Tyrrhenian Ligurian basins” condotto da Luino F., Paliaga G., Roccati A., Sacchini A., Turconi L., Faccini F. è presentato il confronto multitemporale delle pianure alluvionali costiere dei bacini idrografi -ci liguri, da ciò si evincono importanti cambiamenti morfologici conseguenti l’antropizzazione del territorio. In parti-colare, quasi tutti i letti dei corsi d’acqua sono stati oggetto di restringimenti, tra cui il fi ume Polcevera. Il restringimento

del letto dei fi umi è accompagnato da un corrispondente consumo del suolo che, nelle pianure alluvionali ligure oggetto del suddetto studio, è sempre superiore al 20%, ma spesso supera il 60 ed l’80%, è il caso del fi ume Polcevera dove è stato raggiunto il 63%.

IL PONTE “MORANDI”: LA VITA DELL’INFRASTRUTTURA

Il ponte sul fi ume Polcevera, detto il “Morandi” dal nome del suo progetti-sta, fu costruito tra il 1963 ed il 1966 ed inaugurato nel 1967. È costituito da una

struttura mista: calcestruzzo armato pre-compresso (c.a.p.) per l’impalcato e calce-struzzo armato (c.a.) per le torri e le pile.

L’ingegnere Morandi brevettò un si-stema di precompressione denominato “Morandi M5” che applicò a diverse sue opere, tra cui il consolidamento di un’ala dell’arena di Verona nel 1953. Ciò che rese famoso il Morandi, però fu la strut-tura del ponte a cavalletti bilanciati che riassume l’unione tra la trave precom-pressa isostatica e le strutture strallate. Questa soluzione fu applicata sul ponte

sul Polcevera ma ancor prima sul più lungo ponte di Maracaibo (Venezuela) lungo 8.7 km e costituito da 135 campa-te, di cui solo le sei centrali con schema isostatico strallato. La sorte del ponte di Maracaibo fu nefasta: a causa di un blackout elettrico, la petroliera Exxon Maracaibo urtò le pile 30 e 31 facendo crollare le tre campate consecutive del ponte, per cui non era stato previsto a livello progettuale l’eventualità di uno scontro tra un’imbarcazione e la strut-tura verticale del ponte.

All’epoca della costruzione dei due ponti le forme caratteristiche delle pile

a telaio intrecciato furono viste come una nuova e razionale forma strutturale destinata ad aff ermarsi nell’ingegneria strutturale.

Per quanto avveniristica, l’opera del Morandi esibiva già dal principio una manutenzione continua; nel progetto originario erano state tenute in debita considerazione le condizioni al contorno territoriali, ovvero la vicinanza al mare e quindi l’attacco del marino alle strutture portanti in c.a. e c.a.p., unitamente alle azioni accidentali quali il vento.

Figura 2 – Confronto della larghezza del f iume Polcevera, rispettivamente negli anni 1815-1823 ed oggi (Luino F., Paliaga G., Roccati A., Sacchini A., Turconi L., Faccini F., 2019)

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A cavallo tra la fi ne degli anni Ot-tanta ed inizio degli anni Novanta, il ponte fu interessato da imponenti lavori di manutenzione straordinaria, tra cui la sostituzione dei cavi di sospensione con nuovi cavi affi ancati agli stralli originari. In quella sede erano stati riscontrati in corrispondenza della pila n. 11 fenome-ni di degrado, pertanto prima dell’inter-vento fu avviato un campo diagnostico che prevedeva le seguenti indagini:• calcestruzzo: ultrasuoni, pull-out,

carotaggi e conseguenti prove di compressione monoassiale;

• acciaio: prove sulle barre;• stato di salute degli stralli valutato

tra gli altri mediante indagini endo-scopiche.A queste indagini seguirono i la-

vori di consolidamento e riparazione, che non si esaurirono in quegli anni ma continuò il monitoraggio continuo dell’opera, in ultimo la manutenzione costante a cui era sottoposto negli anni 2000. In base ad una ricerca eff ettua-ta dal Financial Times sembra che gli interventi necessari furono collocati in

una scala di priorità il cui punteggio an-dava da un minimo di 10 ad un massimo di 70: ce n’era uno classifi cato “60”, cor-rispondente ad un problema riscontrato sulle travi, scoperto per la prima volta nel 2011 e ancora in fase di test supple-mentari nel 2018.

IL PIANO DI DEMOLIZIONE DEL PONTE MORANDI

Il 14 agosto 2018 la città di Genova e la stessa Liguria sono state spezzate: da quel giorno passato e futuro hanno convissuto sulla medesima area.

Da un lato il ricordo vivo della tra-gedia, dall’altro le operazioni propedeu-tiche alla realizzazione delle fondazioni del nuovo ponte accompagnate dalla predisposizione dell’area alle operazioni di demolizione conclusesi lo scorso 28 giugno 2019, con l’esplosione control-lata delle pile n. 10 e 11.

La demolizione è stata preceduta da una serie di operazioni preliminari con-sistite nel (sito web: http://www.com-missario.ricostruzione.genova.it/):

• Integrazione delle ispezioni visive dello stato complessivo del viadotto, utilizzando droni e mediante ispe-zioni dirette ravvicinate;

• Acquisizione dell’esatta geometria dell’opera tramite un rilievo con tec-nologia Laserscan di tutta la struttura in essere, con la fi nalità di acquisire tutte le dimensioni salienti della ge-ometria dell’opera e poter operare i dovuti confronti con gli elaborati pro-gettuali dell’epoca, validandone la cor-rispondenza con l’eff ettivo costruito;

• Esecuzione di un rilievo geometri-co topografi co del piano stradale in asse a ciascuna carreggiata e un rilievo degli spessori della pavimen-tazione con georadar;

• Esecuzione di un rilievo degli inter-venti di manutenzione e di rinforzo strutturale eseguiti sull’opera in pas-sato;

• Eff ettuazione di una mirata campa-gna di indagine geognostica per la verifi ca dei sottofondi esistenti in corrispondenza delle aree d’imposta fondazionale;

Figura 3. Il ponte Morandi ed in verde la pila n.11 su cui furono operati gli interventi sugli stralli (https://www.teknoring.com/news/ingegneria-strutturale/ponte-morandi-genova-analisi-infrastrutturale/)

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• Replica delle attività di indagine svolte sugli impalcati tampone crol-lati (tampone 8-9 e tampone 9-10) anche sugli impalcati tampone tra le altre pile;

• Prove di carico a rottura su travi di bordo isolate degli impalcati tampone;

• Prelievo di provini di materiali per l’esecuzione di determinazioni spe-rimentali:

• Analisi statica del manufatto nelle condizioni attuali, al fi ne di com-prendere se gli eff etti del crollo potessero determinare situazioni di carico anomale;

• Monitoraggio del ponte, allestito tra-mite una serie di sensori in grado atti-vare allarmi in tempo reale sullo stato deformativo anomalo della struttura;

• Collaudo delle opere superstiti, con la fi nalità di verifi carne lo stato di

servizio e di simulare le condizioni di sollecitazione a cui sarebbero sta-te sottoposte le strutture durante le operazioni di smontaggio.Dalle indagini preliminari è risulta-

to che la pila 8 e la pila 10, a causa del crollo lo scorso 14 agosto 2019 della pila 9, erano sottoposte a pericolosi carichi asimmetrici. Questo ha fatto sì che la prima operazione è corrisposta al ribi-lanciamento di entrambe le pile: alla pila n. 8 sono statti applicati dei contrappesi mobili zavorrati, mentre alla n.10 so-no state allestite strutture ausiliarie in acciaio in grado di sostenere i carichi dell’impalcato, quindi di sgravare le strutture esistenti.

Un altro aspetto propedeutico alla demolizione dell’infrastruttura viaria è consistito nella demolizione preventiva degli edifi ci interferenti, ovvero quelli

costruiti a ridosso dello sviluppo verti-cale del ponte.

La demolizione dell’infrastruttura è stata svolta mediante una successione di fasi esecutive, distinte rispettivamente tra tronco di ponente e di levante; in partico-lare, è stato previsto quanto segue:

1. TRONCO DI PONENTE

a. abbassamento a terra dei tamponi me-diante strand jack e cantilever; demoli-zione della pila n. 8 mediante esplosivo.Lo smontaggio della pila è iniziato

preliminarmente con la rimozione delle parti aggettanti laterali, ovvero dei mar-ciapiedi, per poi procedere al posizio-namento dei tiranti di ritegno, posti al fi ne di evitare, dopo la rimozione del-la trave di impalcato, un allargamento eccessivo in sommità delle colonne del ponte. L’impalcato è stato poi diviso in

Figura 4 - Fasi di demolizione del ponte Morandi (Fonte web: Commissario Ricostruzione Genova)

Figura 5 – Demolizione del 28 giugno in cui è visibile la demolizione preventiva dell ’edif icio abitativo (Fonte web: Commissario Ricostruzione Genova)

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tre tronchi longitudinale, successiva-mente sollevate mediante l’impiego di due gru tralicciate stabilizzate cingolate posizionate sul lato sud. Si è iniziato dalla striscia più prossima alla gru per poi terminare con quella centrale.

A questa fase sono poi seguiti il calo della seconda parte di impalcato relati-va alla pila n.5, per poi provvedere alle operazioni di taglio dell’ultima parte di impalcato della Pila 5.b. smontaggio delle pile n. 3-4-5-6-7

mediante gru mobili ad alta capacità. In particolare, sono state previste le seguenti lavorazioni:

• Pila 5: imbragatura di una parte dei sostegni, per procedere al taglio e al trasporto a terra delle parti restanti delle gambe della pila.

• Pila 4: taglio e spostamento a terra delle parti metalliche, per “spoglia-re” la Pila 4 prima del taglio dell’im-palcato.

• Aree di Bypass (dalla Pila 6 in dire-zione Levante): operazioni di scavo per le utenze.

2. TRONCO DI LEVANTE

a. trasloco completo dei palazzi in zona rossa;

b. calo a terra del tampone 11, per sepa-rare fisicamente le due pile strallate;

c. demolizione con esplosivo della pila 10 e della pila 11;

d. successiva frantumazione, deferriz-zazione e gestione di tutti i materiali di risulta.Il 7 maggio iniziarono i lavori di

costruzione a Levante del nuovo ponte sul Polcevera: trattasi di 14 pali di fon-dazione della pila numero 11, nel tratto di superfi cie su cui non insiste quanto resta da demolire del vecchio viadotto sul torrente Polcevera. Nel frattempo, a Ponente furono stati conclusi i lavori per gli 11 pali di fondazione della pila numero 6. Ogni palo viene scavato me-diante trivellazione e le sue pareti soste-nute con l’utilizzo di fanghi bentonitici. All’interno di ciascun palo viene poi calata una gabbia di acciaio che ospita il getto di calcestruzzo che defi nisce la struttura del palo. Sempre a ponente so-no stati avviati i lavori per i 15 pali della pila numero 9, dove è stata già comple-tata l’attività propedeutica di bonifi ca da ordigni bellici.

Prima di arrivare al 28 giugno, giorno della demolizione delle pile 10 e 11 del ponte Morandi, sono state attuate delle opere di mitigazione propedeutiche ai cinematismi che ne seguiranno a seguito della demolizione mediante esplosivo. Tra le opere previste vi sono state:

• Vasche di acqua: le vasche sono sta-te ricavate dal posizionamento di new jersey ed hanno le seguenti dimensioni: lunghe una ventina di metri, per una larghezza di circa 1,5 m. Queste sono state posizionate, piene di acqua, sopra l’impalcato all’altezza di 45 metri ed hanno una larghezza di ricaduta intorno ai 22 metri. I new jersey, posizionati ad un metro e mezzo l’uno dall’altro (per la lunghezza totale di un chilometro e mezzo) sono stati ricoperti da un telo impermeabile per creare le va-sche di contenimento dell’acqua. Le vasche sono state fatte saltare nello stesso istante in cui esplosero le ca-riche esplosive sopra la pila.

• Cuscinetti smorzanti: posti al di sotto delle pile 10 e 11 al fi ne di assorbire le vibrazioni causate dal crollo. I detriti componenti i cumuli hanno assolto

la funzione di “cuscinetti smorzanti”. Possiedono particolari caratteristiche, tra cui la capacità di assorbimento di energia cinetica di caduta e impatto al suolo ed il materiale, della dimensio-ne di 6- 8 centimetri è inerte.

• Al di sotto di questi cumuli fu posi-zionato uno strato di separazione costitu-ito da TNT (tessuto non tessuto) per trattenere le acque di caduta, ugual-mente il TNT sarà applicato anche sopra ai detriti affi nché le polveri siano totalmente contenute.

• Ponteggi con le reti di protezione e anche le cosiddette “vesciche” pie-ne d’acqua in corrispondenza delle “gambe” delle pile, le “vesciche” sono state considerate la prima barriera per mitigare le polveri proprio per-ché applicate in prossimità dei fori da mina dentro sono state messe le cariche esplosive.

Figura 6 – Discesa della trave tampone n.4 (Fonte web: Commissario Ricostruzione Genova)

Figura 7 - Opere di mitigazione: vasche d’acqua (Fonte web: Commissario Ricostruzione Genova)

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Attraverso queste fasi, si è giunti al 28 giugno 2019, giorno dell’esplosione della pila 10 e della pila 11. Le relative cariche esplosive sono state posizionate in modo tale da far implodere la pila 10 verso levante e la pila 11 con una leggera rotazione verso ponente, dove erano sta-te realizzate aree sgombre per accogliere le macerie e i detriti.

Come si legge dal comunicato post-demolizione, è stata previsto un piano di bagnatura dei detriti, che sono previste contemporanee spazialmente e tempo-ralmente alle lavorazioni e movimenta-zioni.

Il Piano di demolizione prevede sul-la parte di Levante l’uso di otto cannon

fog per la nebulizzazione dell’acqua, di cui: • tre cannon fog tra le ex Pile 10 e 11

(due, lato Campasso, uno lato Fil-lak), posizionati in modo da bagnare i detriti delle pile 10 e 11, attivi per 12 ore al giorno (con un impiego di acqua tra i 3000 e i 5000 litri/ora).

• due cannon fog sono stati installati per coprire la restante parte del can-tiere di levante. Inoltre, è sempre presente una botte

lava-strade (attiva in orario lavorativo) e, in collaborazione con IRETI, si stanno predisponendo ulteriori allacci alla re-te idrica per l’installazione di dedicati irrigatori atti a bagnare sia i detriti, sia

la pista di cantiere all’altezza di Salita Bersezio.

Restano in contemporanea in attivi-tà le altre opere di mitigazione (bagna-tura con tre cannon fog zona via Porro, coperture, bagnature delle piste, pulizia dei mezzi) in corrispondenza dei lavori di demolizione e delle movimentazioni su tutto il cantiere.

IL NUOVO PONTE: DAL PROGETTO ARCHITETTONICO DI RENZO PIANO

Un ponte genovese, semplice e parsi-monioso, in acciaio e di colore bianco e che sia destinato a durare mille anni. Ren-

Figura 8 - Cinematismo atteso a seguito dell ’esplosione (Fonte web: Commissario Ricostruzione Genova)

Figura 9 – Getto del 25 giugno 2019 della prima fondazione (Fonte web: PerGenova)

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zo Piano ha donato alla città di Genova il progetto del nuovo ponte che sostituirà materialmente quello del Morandi.

La costruzione del nuovo ponte spetta a PERGENOVA S.C.p.A.. Si tratta della società consortile per azioni costituita da Fincantieri Infrastructure e Salini Impregilo per la progettazione e la costruzione del viadotto Polcevera dell’autostrada A10.

La joint venture rappresenta un mo-dello di collaborazione tra grandi azien-de complementari tra loro con l’obietti-vo di mettere a disposizione della città e del paese un know-how unico costruito in anni di esperienza in tutto il mondo.

L’infrastruttura sarà realizzata sulla area del Ponte Morandi, con i necessari adeguamenti normativi alla selezione dell’impalcato ed ai raggi di curvatura degli svincoli e delle immissioni. Il prin-cipio progettuale è quello della sempli-cità: il Ponte dovrà avere una presenza discreta e sobria, rinunciando ad una monumentalità autoreferenziale. Per ot-tenere una sezione ridotta dell’impalca-to verranno realizzati numerosi appoggi (Fonte Salini Impregilo & PerGenova).

Il nuovo Ponte sarà costituito da un impalcato in acciaio, con una travata con-tinua di lunghezza totale pari a 1067 metri costituita da 19 campate così suddivise:• 14 campate in acciaio-calcestruzzo

da 50 metri;• 3 campate in acciaio-calcestruzzo

da 100 metri;• 1 campata in acciaio-calcestruzzo

da 40,9 metri di approccio alla spal-

la Est per evitare interferenze con le pile del vecchio Ponte Morandi;

• A questo impalcato è strutturalmen-te connessa una rampa in acciaio-calcestruzzo di lunghezza comples-siva pari a circa 110 metri a tre luci.Le caratteristiche geometriche del

progetto, enfatizzate dal sistema di illu-minazione previsto, raff orzano la volon-tà di ridurre la presenza dell’infrastrut-tura all’interno del contesto della Valle Polcevera.

Il progetto prevede 18 pile in cal-cestruzzo armato di sezione ellittica a sagoma costante per l’intero sviluppo in altezza. Saranno realizzate con l’ausilio di casseri rampanti con riprese di getto a passo 4,5 m. Le dimensioni esterne di 9.00 m x 3.00 m sono le stesse sia per le campate da 50 che da 100 metri.

Questa scelta comporta notevoli vantaggi, tra cui l’uniformità prospetti-ca dell’opera, la velocità di realizzazione legata alla necessità di approntare una sola tipologia di cassero esterno e la co-stituzione interna della pila formata da un cassone monocellulare.

L’impalcato sarà realizzato in strut-tura mista acciaio-calcestruzzo con un’altezza complessiva della carpenteria metallica di circa 4,3 m al centro della sezione di impalcato.

Sono previste due corsie per senso di marcia oltre alla corsia di emergenza. Il bordo del ponte è caratterizzato da una barriera protettiva antivento che inte-gra un sistema di approvvigionamento energetico fotovoltaico.

A partire dal 15 luglio 2019, sono iniziati i lavori per l’elevazione della pri-ma pila del nuovo viadotto, la numero 9, e della pila numero 5. Così, dopo la prima fase di lavori alle fondazioni.

Contemporaneamente, sempre a ov-est, iniziano le operazioni di assemblag-gio del primo impalcato in acciaio e si procede con la realizzazione di diversi plinti, segnatamente quelli della pila nu-mero 4 e della pila numero 6.

Nel frattempo, si sta pr ocedendo con le attività propedeutiche all’agibilità delle aree per la costruzione delle pile 8, a ponente, e 10, a levante, mentre pro-seguono, a levante, i lavori per il plinto della pila 11.

BIBLIOGRAFIAFaccini F., Luino F., Paliaga G., Rocca-

ti A., Sacchini A., Turconi L., (2019), Anthropogenic changes in the alluvial plains of the Tyrrhenian Ligurian basins, Rendi-conti Online Societa Geologica Italiana, vol. 48, Luglio 2019.

www.commissario.ricostruzione.genova.it/www.commissario.ricostruzione.genova.it/

contenuto/photo-gallerywww.teknoring.com/news/ingegneria-

civile/demolizione-del-ponte-morandi-analisi-delle-fasi/

www.teknoring.com/news/ingegneria-civile/demolizione-del-ponte-morandi-analisi-delle-fasi/

www.open.online/2019/07/16/financial-times-ponte-morandi-problemi-sicurez-za-prima-crollo/?fbclid=IwAR1W8nuuX6fGA1KuS4AUmeaF06xGURw3nJjSXHXOO8OjCMGZMvZ-Nnlkmo4

www.pergenova.com/it/il-nuovo-ponte.html

Figura 10 – Sezione di impalcato (Fonte web: PerGenova)

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“In Agrigentino, Petrensi et Bibonensi agris, fontes sunt, in quibus oleum (quod bituminis est genus) supernatat.”

Tommaso Fazello, 1628.

L’ingerenza delle attività an-tropiche sugli equilibri che la natura ha consolidato in range temporali lunghi ere

geologiche, è tristemente nota ed alla luce della presa di coscienza di questa destabilizzante interferenza, ogni ini-ziativa suscettibile di influenzare nega-tivamente l’Ambiente, oggi è oggetto di accurate valutazioni preventive.

Non è stato così nel passato recente, in quel XX secolo caratterizzato da una sorta di edonismo proteso a rivendicare la supremazia dell’uomo sulla Natura a qualunque costo: sono gli anni ’50 dei test atomici, esasperati sino al rischio di paventare pan-combustioni dell’atmo-sfera terrestre; sono gli anni di Seveso, gli anni delle selvagge deforestazioni, gli anni di Chernobyl.

L’inizio del nuovo secolo, col disastro petrolifero del Golfo del Messico, non si presenta promettente, ma è innegabile una presa di coscienza planetaria, concre-tizzata con gli accordi di Pechino e di Pa-rigi, sul contenimento della temperatura del pianeta, sul rispetto della biodiversità e sulla tutela del patrimonio geologico.

Ma molti misfatti perpetrati del passato sono irreparabili, come la distru-zione di geo-siti straordinari non sola-mente sotto il profi lo storico, scientifi co o naturalistico, ma persino religioso.

L’OLIO DI SICILIAIl fenomeno dello sgorgamento

spontaneo di idrocarburi in alcuni luo-ghi della Sicilia, è noto sin dall’antichità, come testimoniano Aristotele, Ateneo, Diodoro siculo, (1) (2) (3), un fenome-no che non è sfuggito ai cronisti romani

(4) ed al grande naturalista Plinio il Vec-chio (5), che oltre a descrivere le miniere siciliane di sale, di zolfo e persino quelle di Lapis Specularis, ci riferisce che l’olio di pietra, scaturisce spontaneamente nel territorio di Agrigentum, un territorio dove gli eventi geologici hanno creato effi mere isole vulcaniche come Ferdi-nandea, i giacimenti di sale iconizzati nella cattedrale sotterranea della minie-ra di Realmonte, le bianche marne di Scala dei Turchi, i giacimenti di pesci

L’Olio della Madonna. La distruzione di un sacro geosito durante la corsa all’oro nero in SiciliaThe Oil of the Madonna. The destruction of a sacred geological site in the race for black gold in SicilyParole chiave: affioramento naturale di idrocarburi, ricerca petrolifera in Sicilia, Bivona, Sciacca, AgrigentoKey words: natural oil seep, oil research in Sicily, Bivona, Sciacca, Agrigento

Domenico MacalusoRicercatore U.E. progetto “Discovering Magna Graecia”Direttore Scientifico WWF Sicilia - Area MediterraneaE-mail: [email protected]

fossili di Aragona, i geodi di gesso sele-nitico delle miniere di Montallegro e le infernali miniere di zolfo, dove secondo la tradizione cristiana, concluse i suoi miseri giorni Barabba.

È un territorio quello di Agrigento, che con le sue testimonianze archeologiche ed i sui fenomeni naturali, come le macalube, richiamava tra il settecento e l’ottocento, viaggiatori da ogni nazione e tra le me-raviglie che i viaggiatori potevano osser-vare, c’era anche l’affi oramento spontaneo

Figura 1. Fonte bituminosa, da Georgii Agricolae “De Re metallica” Basilea 1556

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dell’olio dalle pietre: “È assai abbondante in Sicilia il petroleo – scriveva nel 1813 l’abate Francesco Ferrara, primario professore di fi sica (6) - nei tempi di Dioscoride era tanto copioso in varie sorgenti presso gli Agrigenti-ni, che quegli abitanti se ne servivano di esso per le lucerne invece di olio, così veniva detto comunemente olio di Sicilia…”

Si trattava di un fenomeno che si manifestava prevalentemente tra il ter-ritorio di Palermo (Petralia, il cui topo-nimo deriva proprio da petrolea) e due comuni della provincia di Agrigento, Bivona ed Alessandria della Rocca “… due miglia fuori Bivona andando ad Ales-sandria, evvi una fontana sopra di cui l ’olio di pietra nuota, chiamata fontana dell ’o-lio; essa è vicina ad una Chiesa detta della Madonna dell ’olio come a Petralia, dove si va il mercoledì, ed il sabato a raccoglierlo per usarlo nei diversi mali della pelle. La Chiesa è in cura di alcuni Eremiti.” (6)

È singolare che in questi luoghi, si edifi casse prospiciente al sito dell’affi ora-mento del petrolio, una chiesa dedicata al culto della Madonna e che al nome della santa Vergine, venisse associato quello dell’idrocarburo: a Petralia ed a Bivona, i santuari si chiamavano della Madonna dell’Olio e ad Alessandria, della Madon-na della Rocca (dalla grotta le cui rocce bituminose, trasudavano petrolio).

Questo connubio geologia/religio-ne è solo apparentemente casuale: nel medioevo, erano i religiosi (monaci, sa-cerdoti) a gestire le fonti di un naturale presidio sanitario, come l’olio di pietra, in quanto questo idrocarburo era con-siderato un dono divino, anche perché veniva utilizzato a scopo terapeutico, un vero e proprio farmaco, che curava numerose malattie.

Gli antichi storici e naturalisti, indi-cavano presso Agrigento, delle fonti, dei fi umi e persino un lago, dove affi orava il prezioso idrocarburo: “Generasi anchora grasso, et de liquore d’olio, in Sicilia nel fonte Acragantino – scrive Plinio nella sua Na-turalis Historia, XXXV, 51 (5) - e paesani lo ricolgono colle pannocchie delle canne, per-ché a quelle di subito s’appicca, et usanlo per le lucerne et per ungere la rogna delle bestie.”

“Nel laco di Agrigento – riferisce Soli-no - nuota di sopra all ’acqua l ’olio. Questo untume si accosta alle frondi delle canne, per il continovo voltarci sopra, et da esse frondi, si raccoglie un medicamento a modo di untione, che giova a’ morbi, che vengono ne gli armenti.” (4)

Ma è a Bivona, che il fenomeno as-sumeva proporzioni considerevoli ed erano dei i monaci a gestire questa ve-ra e propria ricchezza, gli Agostiniani. “Nel paese di Sacca (Sciacca) è una fonte,

le cui acque si congelano, e diventan pietre, ond’ella è detta fonte Pietra” riferisce nel 1628 lo storico Domenicano Tommaso Fazello (7) descrivendo le fonti meravi-gliose di Sicilia e “… nel paese di Agri-gento, di Pietra, e di Bivona, sono alcune fonti, che l ’oglio, ch’è una certa specie di bitume, non vi va al fondo (supernatat).”

La tradizione narra che a Bivona, nel sito interessato dal fenomeno, fosse stato rinvenuto un quadro della Ma-donna ed in quel luogo, venne edifi cato un santuario dedicato alla Madonna dell’Olio. Secondo fonti d’archivio, il toponimo Madonna dell ’Olio, risale al-meno al 1514.

La raccolta del petrolio, come ripor-tato dal naturalista Francesco Ferrara (6) avveniva due volte la settimana, il mer-coledì ed il sabato (i giorni dedicati alla Madonna) in una vasca di pietra costruita sulla sorgente, dove l’olio decantava: “… se ne raccoglie quei due giorni perché è ne-cessario un certo tempo perché le particelle dell’olio potessero radunarsi alla superfi cie.”

Se dal mero punto scientifi co, l’af-fi oramento spontaneo di petrolio trova oggi spiegazione nella interazione tra sovrappressioni, temperature, forze di galleggiamento e natura delle rocce, per la gente comune lo scaturire olio dalle pietre era una grazia divina, che per-metteva loro, in cambio di una semplice off erta, di illuminare le loro abitazioni al posto del costoso e fumoso olio di oliva e di curare le malattie della loro pelle e quella dei loro preziosi animali da soma.

La fede era talmente forte, che come già si è detto, l’affi oramento più copioso del petrolio, veniva messo in relazione con i giorni della settimana dedicati alla Madonna, come riportato nel 1782 da un altro illustre viaggiatore, Jean -Pierre Houel, quando a Bivona visita la cappel-

la di Notre-Dame de l ’huile (8): “…cette huile ne coule en abondance que le jour con-sacrés a la Vierge, c’esta-à-dire, le mercredì & le samedì.”

Il petroleo illuminava meglio dell’o-lio di oliva e guariva numerose malattie: la pomata all’Ittiolo viene ancora usata per fl uidifi care gli ascessi. Ma l’olio di pietra, sembrava possedere anche pro-prietà miracolose, almeno da quanto do-cumentato da un manoscritto del 1600, conservato negli archivi Vaticani, dove fra Guglielmo da Bivona, nel 1649, ha elencato le malattie guarite ed i miracoli attribuiti all’olio della Madonna.

PETROLIO E MEDICINAI naturalisti avevano già cercato di

dare una spiegazione molto più scien-tifi ca e meno divina, alla formazione di questa miracolosa sostanza, dalle mi-steriosi origini… “Io penso che l ’olio di Sasso - disserta nel 1784 Balthazar Ge-orges Sage (9) - sia reso dalla decomposi-zione, che prova il carbone di terra, quando penetrato nel calore dei fuochi sotterranei, rende, in certo modo, per distillazione, l ’olio bituminoso che contiene.”

George Sage è abbastanza vicino a spiegare la natura organica dell’olio di pietra ed il nostro Alessandro Volta, nel 1778 aveva da poco compreso la natu-ra dell’aria infi ammabile delle paludi: “… Eppure gli accidenti non molto rari di cister-ne e sepolcri, in cui al calar un lume, in luogo di estinguersi, come il più delle vote accade, si vide anzi tutta l’aria andare in fi amma, pare che dovessero fargli nascere sospetto che l’aria infi ammabile può avere origine an-che dal solo naturale corrompimento, portato però all’ultimo grado, e fi no alla riduzione delle sostanze organiche in terra.” (10)

Dal canto loro, i medici greci e ro-mani, arabi e medievali, hanno descritto

Figura 2. La vasca oggi all ’intero della chiesa, dove aff iorava e si raccoglieva l ’olio di pietra. (Foto D. Macaluso)

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ed esaltato le virtù dell’olio di pietra, un vero e proprio presidio terapeutico, per “… homini et bestie”.

Aristotele, Plinio, Dioscoride, il grande Andrea Mattioli, Brasassola, Gabriele Falloppio ed i medici della scuola salernitana, hanno fornito le in-dicazioni terapeutiche ed i modi di som-ministrazione dell’unguento sgorgato dalla terra ed in particolare Bartolomeo Bertacchi (11) nel 1666, ne ha descritto ed elencato le virtù:

“Alli stomachi, che per essere umidi et frigidi, hanno diffi coltà nel fare la dige-stione, e sono incommodati da catarri, tossi umide, strettezza di petto, puzzore di boc-ca, vapore alla testa, tremore di cuore.

È rimedio effi cace per li vermini (os-siuri), per l ’apoplessia, mal caduco (epiles-sia) e vertigine, giova grandemente. Mal di pietra, retenzione d’orina, dolori alla vessica, coliche fredde e mal di punta (?).

Non può trovarsi rimedio più effi cace, nell ’aiutare la Donna Partoriente, ungen-done il pettenecchio (non necessita tradu-zione) e le sue parti dentro, e fuori.

Alle moroidi, ch’escono fuori, rende-si molto utile, ungendole con quest’Oglio, mescolato con oglio di spico.

Si può usare ne’ morsi de gli animali velenosi, con ragare la parte off esa, & insie-me in tutte le ferite, che non siano mortali.

Alle maccatture, e scottature, è sicuris-simo rimedio tal ’unzione; come pure risana le buganze (escare) causate dal freddo.

Impedisce, che nelle piaghe tanto de gli uomini, come de gli animali, non si gene-rino vermini.

In tempo di peste, non vi è preservativo, e rimedio migliore.

Quest’Oglio riesce eccellentissimo ap-presso i Pittori, per fare vernici fi nissime.

Per i fuochi artifi ciali di qual si sia sor-te, non si puote trovare cosa migliore, non potendosi tale liquore né con acqua né con neve, né con altra umidità; anzi in queste, e nel vento maggiormente s’accende.

Il dett’Oglio, è anche ottimo, & esperi-mentato per levare qualunque macchia da’ Panni, anche colorati, e neri, benchè fossero di grasso, ò d’oglio, ò di altra cosa atti a macchiare.”

OLIO A MARE A Bivona, in certi periodi, l’affi ora-

mento del petrolio raggiungeva livelli notevoli, così da esondare dalla vasca di raccolta, riversarsi nel ruscello Santa Margherita, raggiungere il fi ume Ma-gazzolo e sfociare in mare, nella Sicilia sud occidentale, dove per accaparrarsi questo straordinario dono della natura, si scatenava una vera e propria corsa all’oro nero, un tesoro che non poteva andare

perduto: decine di imbarcazioni, prove-nienti da ogni angolo del Mediterraneo, si accalcavano in quello specchio di mare, per raccogliere in una maniera singola-re, l’olio che fl ottava sull’acqua: da alcu-ne scialuppe i marinai chini sull’acqua, procedevano a raccogliere il petrolio con delle spugne, che inzuppavano nell’ac-qua intrisa di olio e che poi spremevano in alcuni orci a bordo delle barche.

Si trattava di uno spettacolo incon-sueto, unico, talmente singolare, da at-trarre la curiosità del pittore fi ammingo Giovanni Stradano, un raffi nato artista ospite della corte di Cosimo I dei Medi-ci, a Firenze. Stradano visita il sud-Italia

nel 1576, dove oltre a documentare (con la precisone ed il dettaglio dei particolari che lo contraddistinguevano), la tecnica di produzione dello zucchero nel trappeto della Verdura, presso Sciacca, “fotografa” col suo pennello ciò che avviene davanti la foce del Magazzolo, facendo sviluppa-re quell’immagine, al grande Philip Gal-le, che la trasforma col suo bulino, in una dettagliata incisione su rame.

Questa ed una quarantina di al-tre stampe, realizzate dalla coppia Van der Straet e Galle, furono raccolte in una pubblicazione che ebbe un grande successo editoriale “Venationes ferarum, avium, piscium. Pugnae bestiariorum &

Figura 3. Bulino su rame di Philip Galle (Tav. 36) su disegno di Jan Van der Straet, tratta dall ’opera “Venationes

Ferarum, Avium, Piscium” edita per la prima volta ad Anversa nel 1578 che mostra uomini a bordo di vari tipi di imbarcazioni (sulla destra una galea), intenti a raccogliere con delle spugne il petrolio che galleggia sull ’acqua. Il cartiglio recita: “Naphta bituminis est liquidi genus: in mare manat Montibus è Siculis, fluidisque supernatat undis: spongiam eam excipiunt nautae, expressamque recundit Ollis, ut varios hominium servetur in usus.” (La nafta è un tipo di bitume liquido: arriva in mare dai monti della Sicilia, il fluido galleggia sulle onde: i marinai la raccolgono con le spugne, e spremendole la conservano nelle anfore, perché serve agli uomini per diversi usi). (Coll. privata)

Figura 4. Lo specchio di mare, della Sicilia sud-occidentale dove sfociava il Mayhasolo (Magazzolo), col suo pre-zioso olio di pietra. Al centro, poco a destra, la città di Bivona. Carta di Gerard Marcator “Siciliae Regnum” 1589

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mutuae bestiarum” edita per la prima volta ad Anversa nel 1578 ed oggetto di numerose ristampe.

Il disegno dove la ressa fra pescato-ri per accaparrarsi il petrolio, rasenta la rissa (un pescatore respinge un concor-rente con un arpione), è così dettagliata da fornirci l’indicazione esatta del fi ume oggetto del naturale sversamento, un precisone che paradossalmente è stata fuorviante: sulla sinistra del disegno, si può osservare la costa, con una città for-tifi cata sita su di un promontorio. Que-sto particolare ha portato alcuni studiosi ad identifi care la città con Licata, molto più a sud di Agrigento ed il fi ume, con un corso d’acqua vicino alla città dei templi. Ma la quella raffi gurata da Stra-dano posta su un promontorio, munita di cinta muraria, di due castelli e di un eremo in secondo piano, è la nobile città di Sciacca ed il siculu fl umen indicato nel cartiglio dell’incisione, è il Magazzolo.

Ma si tratta di due siti che non si possono trovare a sinistra dell’osservato-re, ma dal lato opposto. Il mistero è stato chiarito osservando un disegno originale di Stradano, i pescatori di perle, conserva-to a Washington allo Smithsonian Design Museum (Piancasteli collection): l’azione si svolge alla destra del foglio, ma quando Philip Galle riporta su rame il disegno e lo incide, la scena si rifl ette di 180 gradi e ciò che a destra, si ritrova nella parte opposta: dunque, nel disegno che fece il fi ammingo, la costa della Sicilia è a destra e la città fortifi cata, su di un promontorio, a nord del Magazzolo, è proprio Sciac-ca. Anche l’antico toponimo Majasolio, sembra richiamare il fenomeno di cui è stato protagonista questo fi ume.

Signifi cativo il rinvenimento di un relitto navale in questo specchio di mare, teatro di una avvincente competizione: si tratta della chiglia di una grande im-barcazione verosimilmente seicentesca, dal fasciame composto da lunghissime ordinate; si tratta di un relitto che ci riporta alla vivida scena immortalata da Stradano, in cui alcune delle barche sfi orano la collisione.

LO SCEMPIOLa natura elargisce questo dono si-

no all’inizio del ‘900 del secolo scorso, quando avviene uno scempio, perpetrato non certo in nome della Madonna, ma del dio denaro: la presenza di petrolio in quelle contrade, non sfuggì alle giovani compagnie petrolifere, che nonostante la fl ebile ed inutile protesta dei monaci, non esitarono a trivellare i terreni adia-centi alla chiesa, a meno di 150 metri di distanza dal luogo sacro! Ramiro Fabia-

Figura 5. Invertendo il disegno di 180 gradi, la citta visibile nel disegno di Stradano, si trova a destra dell ’osser-vatore e corrisponde in ogni particolare alla Sciacca del 1500: la citta è cinta di mura, le barche sono ormeggiate ma senza un porto, in basso il torrione di Cala Regina a ridosso del promontorio di Camordino, Su un’altura si vede il castello vecchio ed in secondo piano, a distanza un monte dove si erge il monastero di San Calogero

Figura 6. Due delle imbarcazioni impegnate nella raccolta del petrolio entrano in collisione ed un marinaio, è intento ad allontanare le barche

Figura 7. Relitto navale rinvenuto dall’Autore in prossimità della foce del fiume Magazzolo. (Foto D. Macaluso)

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ni direttore dell’Istituto di Geologia di Roma, in occasione del VII Congresso Nazionale del Metano e del Petrolio, nel 1952 stila un resoconto sulla ricerca di idrocarburi in Sicilia, dall’inizio del ‘900, sino alla seconda Guerra Mondiale, una relazione dettagliata dove esordisce pro-prio con un riferimento a “l ’olio di Agri-gento degli antichi.” (12)

Nel suo intervento fa cenno ad al-cune deludenti prospezioni operate in Sicilia dal 1901 al 1902, dalla Societé des Pétroles et Perforationes Artesiennes (in seguito divenuta Petroli d’Italia), ma è nel 1912 che la ditta I. A. Douglas pro-cede alle vere prime trivellazioni nell’I-sola, che vengono eff ettuate presso Ler-cara (Palermo) ed a Bivona, in località “Madonna dell ’Olio!”

Il petrolio viene rinvenuto ed a mezzo di una discenderia-galleria, ne vengono estratte alcune tonnellate: interessante una nota sulle caratteristiche di questo petrolio del prof. Fabiani, che riesce ad ottenere alcuni campioni: si tratta di un olio leggero, del peso specifi co di 0,85.

Ma una piena del torrente Santa Margherita, nell’inverno successivo, ostruisce il condotto ed il sito ormai stravolto dagli scavi (con collinette di fango maleodorante), da tubi e da ba-racche, viene abbandonato.

Dal 1931 al 1934, l’A.G.I.P. da po-co costituita, eff ettua delle prospezioni nell’Agrigentino, una ricerca coordinata da Guido Bonarelli, che a conclusione delle prospezioni, dà il via a due son-daggi per quell’epoca molto profondi, uno a Ganci, in provincia di Palermo e nel 1931 ancora una volta “…vicino alle manifestazioni della Madonna dell ’Olio.”

La perforazione raggiungerà i 1104 metri, ma le aspettative saranno delu-denti e dopo avere impiantato un vero e proprio campo petrolifero, sventrato terreni e prosciugato l’antica sacra fon-te, i petrolieri smantellano i macchinari, abbandonano le baracche e smobilitano.

Cosa è successo? La spiegazione è sempre del prof. Fabiani, che scorge in questa operazione, una errata interpre-tazione dei dati geologici ed alcuni gros-

solani errori procedurali: i terreni erano stati ritenuti eocenici, mentre in realtà, come evidenziato dal rinvenimento di Lepidocicline, si trattava di rocce del Miocene superiore e la sonda era stata posizionata sulla cresta di un anticlinale, dai fi anchi fortemente inclinati.

Rabbia e delusione, per questa infeli-ce impresa: la rabbia dei monaci custodi del sacro fonte, che si ritrovano impie-tosamente isolati in un luogo divenuto sterile, sventrato ed abbandonato e la delusione del popolo.

Non si è fatto cenno sinora, all’atteg-giamento dei fedeli, dei bivonesi, di fronte all’ingerenza dei petrolieri, un atteggia-mento che non è prettamente di ostilità, tutt’altro! Ma prima di lasciarsi andare a giudizi aff rettati ed a critiche, bisogna calarsi nel contesto della Sicilia dei pri-mi anni del secolo scorso, in cui a fronte della miseria più tetra, erano già arrivate notizie riportate dai parenti emigrati in America, in cui si favoleggiava del benes-sere apportato proprio dal petrolio: ades-so questo benessere sembra a portata di mano, un’altra grazia divina legata al pe-trolio, che consentirà ai numerosi poveri jurnatari dei ricchi latifondisti, di vivere meglio, senza la necessità di abbando-nare gli aff etti familiari, per raggiungere terre oltreoceano! I bivonesi assaporano fi nalmente il gusto della rivalsa sociale ed economica, apportata delle industrie petrolifere, che danno lavoro ed avviano un indotto che per un brevissimo spazio di anni, ha dato un impulso ad un’econo-mia stagnate da secoli. Ma si tratta di un miraggio che dura poco tempo. Poi tutto torna come prima.

La delusione e la rabbia è anche di Ra-miro Fabiani, sentimenti che manifesta al congresso di Roma, di occasioni perdute per la Sicilia; ed in quella prestigiosa as-sise, il direttore dell’Istituto di Geologa dell’Università di Roma, manifestando un altro rammarico: la mancata “esplora-zione” delle macalube di Aragona …

Ma qui stiamo parlando delle ma-calube di Aragona, di uno straordinario geosito noto sin dall’antichità, uno dei più famosi della Sicilia, tappa obbligata del Grand Tour che storici, naturalisti ed aristocratici di tutto il mondo, in-traprendevano per visitare l’Italia e le sue isole; in questa sua comunicazione al congresso del 1952, il prof. Rami-ro Fabiani parla di un’altra occasione perduta, quella di estrarre gas naturale dalle macalube, senza preoccuparsi dello sconvolgimento di un altro sito naturale che “… è antichissimo, e l ’epoca della sua nascita non può trovarsi, che nella storia della Natura. Eterna è la sorgente che pro-

Figura 8. 1931: il campo petrolifero “Madonna dell’Olio” di Bivona, primo sondaggio dell ’A.G.I.P. in Sicilia. (Foto G. Cannella)

Figura 8. 1930, pozzo Bivona 1: primo sondaggio dell ’A.G.I.P. in Sicilia. Al centro gli ingegneri Amorelli, Zan-matti e Fabiani. (Fondo Archivi Personali – Associazione Pionieri e Veterani ENI)

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duce i vapori, i quali combattono sempre la stessa terra diluita dall ’acqua.” (13). Evi-dentemente è successo qualcosa che ha impedito questo ancor più grave scem-pio “S’era predisposta anche un’esplorazio-ne delle più importanti ‘macalube’, anzi-tutto quelle di Aragona (Agrigento), ove vulcanelli di fango emettono gas costituti dal 98% di metano ed a periodi entrano in violente eruzioni. Ma pur avendo scelto il punto ove sondare, la cosa non poté più avere seguito.” (12- 14).

Fortunatamente la sensibilità che fi nalmente abbiamo acquisto (anche se tardivamente), ha fatto sì che questo luo-go magico e surreale, descritto persino da Platone del Fedone, sia oggi la Riserva Naturale Integrale Macalube di Aragona.

Remiro Fabiani auspica comunque nuove ricerche in Sicilia, con studi geo-logici di grande dettaglio ed esplorazio-ni geofi siche con mezzi senza confronto: “Da tutto questo fervore di indagini, possa venire fi nalmente l ’avvio all ’esplorazione meccanica e sarà premio ambito dei pionie-ri, se dai nuovi sondaggi sortirà l ’auspicata soluzione del problema petrolifero della no-stra diletta Sicilia!”(12).

Il mancato boom petrolifero, per l’opinione pubblica siciliana, era molto sospetto: secondo molti siciliani, non si trattava di errori, ma di una lucida stra-tegia volta a far stagnare nella miseria l’Isola, lasciandola fuori da una indu-strializzazione che stava apportando benessere nel nord Italia; si trattava di

una opinione diff usa, colta anche dal prof. Fabiani: “La diff usione veramente notevole degli indizi e delle manifesta-zioni d’idrocarburi della Sicilia, venne sempre ritenuta dagli abitanti la prova indiscutibile dell ’esistenza di grandi gia-cimenti petroliferi, tanto da ingenerare la convinzione che il petrolio c’è, ma non si vuol trovarlo.” (12)

Ed il malcontento diventa inevitabil-mente, arma di propaganda politica, co-me si evince da uno straordinario reperto, un manifesto elettorale, dove il confronto tra Partito Comunista e la Democrazia Cristiana è oltremodo aspro!

Nel 1952, si torna a rinfocolare spe-ranze nella popolazione dell’agrigentino ed il 26 gennaio, un corrispondente del Giornale di Sicilia (14), titola il suo pez-zo: “Si troverebbe del petrolio, nel sottosuolo di Bivona”. Si tratta di un articolo sin-golare, il cui contenuto è degno di esse-re più volte riportato, per comprendere quanto la miseria, faccia sperare nella realizzazione di iniziative, in palese confl itto: nell’articolo, viene dapprima esaltata la natura selvaggia dei luoghi, la verde conca del Magazzolo. Protagoni-sta è l’occhio del giornalista, che a bordo di una corriera “spazia estatico sul mera-viglioso panorama che all ’orizzonte non ha termine e riposa su quella folta vegetazione, che a mo’ d’un immenso tappeto verde, copre la pianura sottostante ed i monti vicini.” E non può mancare in questo quadro bucolico “…un pastorello che fa brucare le sue caprette bianche al suono delicato di uno zufolo, quasi innalzi al sole e alla natura un inno di gaudio e di gratitudine.”

E dopo avere descritto questo pae-saggio idilliaco, il nostro inviato, ralle-gra i lettori alla notizia che fi nalmente il Governo sembra intenzionato ad aprire le zone vergini come la valle del Magaz-zolo, allo sfruttamento industriale: “… è di ieri la notizia diramata uffi cialmente, che ricerche petrolifere saranno condot-te in provincia di Agrigento” Bivona non resterà esclusa da queste ricerche, anche perché già da diversi anni è stata dichia-rata Zona Petrolifera! E il giornalista va ancora oltre, auspicando dell’altro, sempre nello stesso territorio, dato che ci sono buone speranze che a Bivona si dovrebbe anche realizzare una Stazione Climatica, nel quadro della valorizzazio-ne turistico-industriale: se l’aria salubre come poca ve n’è in Italia: la ricchezza delle acque e di vegetazione, vanno de-gnamente sfruttate, possibilmente con la costruzione di una colonia per tracoma-tosi. “Doniamo all ’umanità i doni e le bel-lezze della Valle del Magazzolo, ma off ria-mo soprattutto ai soff erenti, la possibilità di

Figura 9. La pagina del mese di settembre 2010 del calendario turistico “I Love Agrigento” dedicato alle macalube di Aragona

Figura 10. Manifesto elettorale del 1955, dove la propaganda politica è giocata sulla ricerca petrolifera in Sicilia. (Coll. privata)

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BOX 2Giovanni Stradano

“Tra i più famosi Pittori della Fiandra è da numerarsi Giovanni della nobilissima Famiglia Strada di Bruges, che nacque nell ’an-no 1536 … - scrive nel 1773 Luigi Bastianelli (17) - Apprese egli i principi della Pittura dal proprio Genitore, che parimente si chiamava Giovanni, dopo la morte di esso continuò i suoi studi appresso a Massimiliano Franco, e fi nalmente diventò professore sotto la disciplina di Pietro Lungo Olandese Artefi ce di grandissimo nome.”Jan Van der Straet, secondo le fonti uffi ciali, nacque Bruges, ma nel 1523 e produsse le sue prime opere, dei disegni su tessuto per arazzi, ad Anversa. Nel 1545 si spostò a Lione per sei mesi, per raggiungere in seguito Venezia, dove realizzò alcune pregevoli opere e raggiunse quindi Firenze. Il giovane Jan, aveva saputo che Cosimo I Granduca di Toscana, era un grande estimatore delle belle arti e si stavano realizzando sontuosi arazzi e essendosi distinto proprio come pittore di tessuti, chiese ed ottenne di entrare nella cerchia degli artisti del Granduca ed in particolare del grande Vasari, che non restò indiff erente al talento del giovane fi ammingo. Giovanni Stradano, come si fa adesso chiamare, realizza subito delle opere straordinarie, come i cartoni per gli arazzi del Carro del Sole e quelli del ciclo di Giosuè; a Reggio Emilia viene chiamato dal commissario del Papa per degli aff reschi, quindi si sposta a Roma nell’anno del Giubileo e realizza i disegni delle sculture greche presenti a Roma.

Rientrato a Firenze, dipinge per la principessa Eleonora di Toledo, moglie di Co-simo I, in un terrazzo del Palazzo Vecchio, tutte le città d’Italia e per il Granduca, la battaglia tra Pietro Strozzi ed il marchese di Marignano. Quando il Vasari viene incaricato di abbellire il Palazzo con magnifi cenza, il “professore” ricorre all’aiuto di Giovanni Stradano, che realizza quattro tavole ad olio, con le più illustri donne ebree (Ester), romane (il ratto delle Sabine), greche (Penelope) e toscane (Gualdrara Betti). Ormai è famoso ed apprezzato, gli vengono commissionati dipinti per varie chiese di Firenze, come un Cristo nell’orto, un’Assunta, una scena di Cristo che caccia i mercanti dal Tempio ma è notevole per pathos, ricchezza di colori e scienza prospettica, la superba tavole realizzata per la chiesa dell’Annunziata, con Gesù crocefi sso in atto di rivolgersi al Ladrone con la Vergine, San Giovanni e la Maddalena, appiè della Croce, mentre un soldato appronta la spugna imbevuta d’aceto, per l’agonizzante Gesù. Opera anche a Napoli, dato che nel 1576 raggiunge il sud-Italia ed anche la Sicilia, un interessante viaggio in cui il fi ammingo, attratto da alcuni metodi di caccia, della tecnica di produzione dello zucchero, della pesca delle ostriche e del corallo e del recupero dell’olio che galleggia sul mare, disegna ciò che vede a tor-nato ad Anversa, incarica il grande incisore Philip Galle di riportare su carta ciò che osservato, pubblicando nel 1578 l’opera memorabile e fortunata “Venationes Ferarum, Avium, Piscium, Pugnae”. Il 3 novembre del 1605, Giovanni Stradano muore a Firenze e suo fi glio Scipione, pittore anche lui, realizza il busto che si trova nel monumento sepolcrale della chiesa dell’Annunziata, dove il grande artista fi ammingo, riposa. (17)

BOX 1La chiesa e la confraternita

della Madonna dell’Olio

A partire dal ’500 una confraternita, quella della Madonna dell’Olio si prende cura della chiesa-santuario, con il sostegno spirituale dei padri Gesuiti del collegio di Bivona; la confraternita, gestiva le generose off erte che i devoti corrispondevano alla Madonna (18). La chiesetta aveva persino una dependance al centro del paese, l’oratorio della compagnia della Madonna dell’Olio, nell’attuale piazza S. Domenico. Tutt’ora, la statua viene portata in processione dal santuario, distante 3 miglia da Bivona, alla chiesa Madre della cittadina, dove rimane per tutto il mese di maggio. Questo dimostra che si tratta di un culto che va al di là della presenza o meno dell’olio di pietra, dato che la Madonna, viene invocata persino nei periodi di siccità: “O bedda matri de l ’Ogghiu, la grazia vogliu e la voglio avanti chi scura: mannati l ’aqua a li lavura!”Trad: “O bella madre dell ’Olio, la grazia voglio e la voglio prima che faccia sera: mandate l ’acqua ai seminati!”

Ritratto di Giovanni Stradano: questa raff inata inci-sione, porta la f irma del Vasari, in quanto realizzata copiando fedelmente il ritratto del pittore f iammingo, che Giorgio Vasari realizzò per una stanza del soff itto del Palazzo Vecchio di Firenze. (Coll. privata)

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guarire i loro mali con il clima medicamen-toso di Bivona” “Posizionando – sarebbe il caso di aggiungere – la stazione climatica, accanto alla torre di degassamento del pozzo petrolifero della Madonna dell ’Olio!”

Ma di petrolio, non se ne troverà più o, come sospettano in molti, non se ne vuole trovare: il potere economico, viene a scon-trarsi con poteri forti e con la probabile compiacenza di poteri altrettanto forti, che l’ultima cosa che vogliono, è lo svi-luppo della Sicilia: sono gli anni di Entico Mattei e della sua misteriosa scomparsa.

Intanto a Bivona, dopo le due feroci aggressioni, il modesto giacimento che il mercoledì ed il sabato, da migliaia di anni profondeva olio di pietra ai fedeli, si è prosciugato, sino all’ultima goccia e l’ultimo monaco, vissuto dal 1931 come eremita, era morto nel 1934.

Ho visitato la chiesetta di Bivona, in occasione di un servizio televisivo su questa vicenda che Debora Verde ha rea-lizzato per il format Mediterraneo, di RAI 3 (15) ed amareggiato, ho sostato a lungo davanti la statua della Madonna: la santa Vergine tiene in braccio il Bambinello, ma entrambi, non reggono più in mano le ampolle, che un tempo erano colme dell’olio miracoloso. I contenitori d’ar-gento, giacciono su di un tavolo … vuoti!

In compenso il Magazzolo, nel mese di novembre del 2015, ha nuovamente rilasciato in mare dell’olio, una enorme macchia nera che questa volta non ha attratto barche e raccoglitori di petrolio, ma giornalisti e forze dell’ordine: si trat-tava di materiale altamente inquinante, residuo di lavorazione di un oleifi cio! Lo scempio continua…

Oggi la deliziosa chiesetta-santua-rio, da poco oggetto di un restauro, si

Figura 13. Simulacro ligneo della Madonna dell ’Olio, di anonimo scultore del XIX secolo. (Foto D. Macaluso)

Figura 14. Bivona, santuario della Madonna dell ’Olio: le ampolle d’argento che un tempo contenevano l ’olio di pietra. (Foto D. Macaluso)

Figura 12. Gian Maria Volontè in Sicilia, in una scena del f ilm di Francesco Rosi, Il caso Mattei, 1972

Figura 11. Ragusa contrada Grotta d’acqua. Pozzo petrolifero n. 2. Prova di produzione. (Cartolina del 1957, coll. privata)

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trova in un luogo tornato ameno, do-po gli scempi del secolo scorso, a pochi metri dal lago-diga Castello ed anche se non c’è più la presenza dei monaci custodi, la chiesa è scelta dai fedeli, per celebrarvi Matrimoni e Prime Comu-nioni ed è sede dei Boy Scout.

E sulle acque del ruscello Santa Margherita, sembra fl ottare una sotti-lissima sostanza traslucida, oleosa…

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI(1) Aristotelis, Meteorologicorum, lib. IV.

Lipsiae, 1836.(2) Ateneo, Sulle cose ammirande di Sicilia,

lib. 6.(3) Diodoro Siculo, Biblioteca storica volga-

rizzata dal cav. Compagnoni. Milano, 1820.(4) Solino, Delle Cose Maravigliose del

Mondo. Venezia, 1557.(5) Caio Plinio Secondo, Historia Natu-

rale, tradotto per Cristhophoro Landino. Venezia, 1543.

(6) Francesco Ferrara, Storia Naturale della Sicilia. Catania 1813.

(7) Tommaso Fazello, Le due Deche dell ’Historia di Sicilia. Palermo, 1628.

(8) Jean-Pierre-Louis Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari. Paris 1782.

(9) Balthazar Georges Sage, Elementi di Mineralogia docimestica, 1784.

(10) Alessandro Volta, Lettere sull’aria in-fiammabile nativa delle paludi. Milano, 1778.

(11) Bartolomeo Bertacchini, Breve de-scrizione delle eccellenti virtù dell ’Oglio di Sasso. Piacenza, 1666.

(12) Ramiro Fabiani, Atti del VII Congresso Nazionale del Metano e del Petrolio. Roma, 1952.

(13) Francesco Ferrara, I Campi Flegrei della Sicilia. Messina, 1810.

(14) Domenico Macaluso, Vulcanesimo se-dimentario e ricerca di idrocarburi in mare, “Geologia dell’Ambiente”, 2/2016.

(15) Domenico Zaccaria, Si troverebbe petrolio anche nel sottosuolo di Bivona, “Il Giornale di Sicilia”, 26 gennaio 1952.

(16) http://www.rai.it/dl/RaiTV/pro-grammi/media/ContentItem-4fa15220-2850-4640-b646-476229a24fba.html#p=

(17) Luigi Bastianelli, Serie degli uomini più illustri nella Pittura, Scultura e Archi-tettura. Firenze, 1773.

(18) Antonino Marrone, Storia delle co-munità religiose e degli edif ici sacri di Bivo-na. Comune di Bivona, 1997.

(19) Niccolò Serpetro, Il mercato delle meraviglie della Natura. Venezia, 1653.

(20) Antonio Mongitore, Della Sicilia ricercata, vol. II. Palermo, 1753.

(21) Giovanni A. Massa, La Sicilia in Pro-spettiva, vol. II. Palermo, 1709.

(22) Gaetano Allotta, Olio di Pietra in Akragas. Agrigento, 1997.

(23) Comunità Ecclesiale di Bivona, Le chiese di Bivona. S. Stefano di Quisquina, 2010.

(24) Philippi Cluverii, Sicilia Antiqua, Leida, 1619.Figura 17. Il ruscello Santa Margherita. (Foto D. Macaluso)

Figura 16. La chiesa della Madonna dell ’Olio, a circa 3 km da Bivona. (Foto D. Macaluso)

Figura 15. Novembre 2015: sversamento in mare dalla foce del f iume Magazzolo di residui di lavorazione dell ’olio, da parte di un oleif icio sito sul corso del f iume. (Per gentile concessione di Claudio Lombardo, responsabile dell ’As-sociazione Mareamico di Agrigento)

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La Sigea ha avviato in ambito nazionale una rassegna cultu-rale per promuovere la cultu-ra geologica. Lo scopo della

rassegna culturale La scienza e la tec-nica raccontate è quello di potenziare la comunicazione e la divulgazione dei temi scientifici e tecnici attraverso la presentazione di libri, scritti da scien-ziati e studiosi, che trattano specifici temi afferenti alla cultura delle Scienze della Terra. Gli eventi prevedono la presentazione da parte degli autori dei loro libri; ogni presentazione è preceduta da un semi-nario scientifi co che tratta in termini semplici e generali il tema aff rontato dal libro.Eventuali disponibilità di autori e case editrici, o segnalazioni di libri da pre-sentare nell'ambito della rassegna La scienza e la tecnica raccontate, potran-no essere inviate all’indirizzo e-mail: [email protected]

EVENTINapoli, 4 novembre 2019Pan | Palazzo delle Arti Napoli Via dei Mille, 60 - Napoli

Catania, 4 settembre 2019Palazzo della Cultura“Auditorium Concetto Marchesi”via Vittorio Emanuele II, 121 - Catania

Messina, 19 maggio 2019La Feltrinelli Point Via Ghibellina, 32 - Messina

Roma, 2 aprile 2019Sala Convegni “Giuseppe Dalla Vedova”Palazzetto Mattei, in villa CelimontanaVia della Navicella, 12 - Roma

Bari, 28 maggio 2018Biblioteca De GemmisComplesso S. Teresa dei MaschiStr. Lamberti, 3/4 - Bari

Rassegna culturale

La scienza e la tecnica raccontate

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28Loredana AntronicoConsiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Rende (CS)E-mail: [email protected]

Francesco De PascaleConsiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Rende (CS)E-mail: [email protected];

Fausto MarincioniUniversità Politecnica delle Marche, AnconaE-mail: [email protected]

“Natural Hazards and Disaster Risk Re-duction Policies” è il secondo volume pub-

blicato all’interno della collana scien-tifica interdisciplinare “Geographies of the Anthropocene” (www.ilsileno.it/geographiesoftheanthropocene), edi ta da “Il Sileno Edizioni” e nata nel 2017 dall’idea di un gruppo di studiosi italia-ni e stranieri. La collana “Geographies of the Anthropocene” ha l’obiettivo di discutere i processi in atto nell’era dell’Antropocene in un contesto inte-grato e multidisciplinare, attraverso i contributi di geoscienziati e umanisti ed intersecando gli apporti di varie di-scipline: Geoscienze, Geografia, Geoe-tica, Filosofia, Antropologia, Sociologia dell’Ambiente e del Territorio, Psicolo-gia, Economia, Environmental Huma-nities e discipline affini.

La collana “Geographies of the Anthropocene” pubblica volumi onli-ne, sia collettivi che monografi ci, con lo scopo di fornire rifl essioni, materiali di lavoro e sperimentazioni nei campi della ricerca e dell’educazione alle nuove ge-ografi e dell’Antropocene. Inoltre, inco-raggia proposte che aff rontano uno o più temi relativi al contesto interdisciplinare dell’Antropocene.

Il concetto di Antropocene, conia-to dal biologo Eugene Stoermer negli anni Ottanta (Grinevald, 2007), poi ri-preso e approfondito dal Premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen nel 2000 (Crutzen e Stoermer, 2000; Crutzen, 2002; 2005) si riferisce alle infl uenze antropogeniche, a scala planetaria, sulla composizione e le funzioni del Sistema Terra e sulle forme di vita che lo abitano. Pertanto, il dibattito sull’Antropocene, inserito nel quadro teorico delle scienze naturali ed umane, può rappresentare un’occasione importante per contribui-re a superare la separazione storica tra studi fi sici e umani, ai fi ni soprattutto di comprendere seriamente i processi

di interazione tra gli esseri umani e la natura piuttosto che per raggiungere un’improbabile visione olistica (Zano-lin, 2019).

Il volume “Natural Hazards and Di-saster Risk Reduction Policies” raccoglie quattordici saggi originali, di autori di tutto il mondo, che esplorano le strate-gie e la capacità delle comunità locali di adattarsi ai pericoli naturali e ai disastri ad essi conseguenti.

“Pericolo naturale” è un termine ampiamente utilizzato da scienzia-ti, autorità, amministratori pubblici e professionisti per indicare un evento naturale estremo che può impattare su un sistema territoriale ad esso esposto. Con la parola “Rischio” si intende, inve-ce, la conseguente perdita economica e di vite umane che un tale evento estre-mo causerebbe sul sistema territoriale. In altre parole, il pericolo contempla la plausibilità di un impatto fi sico (evento estremo), mentre il rischio considera il danno economico-sociale che ne conse-guirebbe. Un gran numero di comunità umane si sono insediate in aree perico-lose, dove eventi naturali come frane, terremoti, uragani, tsunami, alluvioni o

eruzioni vulcaniche si verifi cano in mo-do ricorrente; questo ha creato esposi-zione di infrastrutture e vite umane a tali pericoli generando un rischio di perdite economiche e ambientali diff use, secon-do la nota formula: “Rischio = Pericolo-sità x Vulnerabilità x Esposizione”.

Sebbene siano stati compiuti no-tevoli progressi nel chiarire le cause e gli eff etti legati ai pericoli naturali, sa-rebbero necessari ulteriori sforzi per ri-durre il rischio di disastri; per esempio, riducendo l’esposizione e la vulnerabilità degli individui. In eff etti, i recenti dati scientifi ci mostrano un aumento dei di-sastri, che non può essere attribuito solo a una maggiore frequenza di fenomeni fi sici estremi, ma spesso essi sono de-terminati da fattori economici, sociali, culturali, istituzionali e politici. Di con-seguenza, promuovere la riduzione del rischio di disastri signifi ca attivare una serie di azioni, strategie o politiche che coinvolgono, a diverse scale, vari attori sociali, compresi i responsabili politici, i professionisti e i membri della comunità accademica (UNISDR, 2015). In parti-colare, è necessario condividere la sfi da con cittadini e istituzioni, con il settore pubblico e privato ai fi ni di: a) ridurre la vulnerabilità e l’esposizione ai rischi dei cittadini e delle infrastrutture, b) promuovere la gestione sostenibile del territorio e dell’ambiente e c) migliorare la preparazione e i sistemi di preallarme per gli eventi estremi.

Lo scopo del volume “Natural Ha-zards and Disaster Risk Reduction Poli-cies”, pertanto, è quello di documentare una serie di casi studio da diversi Paesi del mondo, che perseguono la riduzio-ne del rischio di disastri attraverso la preparazione, la mitigazione, la risposta alle emergenze e l’attuazione di pratiche durante le fasi di recupero, ripristino e ricostruzione post-disastro.

Il volume contiene quattordici capi-toli suddivisi in tre sezioni: 1) percezione del rischio di disastri, 2) pianifi cazione e

Presentazione del volume “Natural Hazards and Disaster Risk Reduction Policies”Parole chiave: Pericoli naturali; Governance del rischio; Resilienza sociale; Riduzione del rischio di disastriKey words: Natural hazards; Risk governance; Social resilience; Disaster risk reduction

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gestione dei disastri e 3) mitigazione e preparazione al disastro.

La prima sezione, “Percezione del ri-schio di disastri”, comprende cinque sag-gi. Cruz-Bello e Alfi e-Cohen presentano due casi studio sul Messico in cui la po-polazione è stata direttamente coinvolta nella valutazione del rischio alluvione. Per questo studio sono state applicate due diverse metodologie partecipative e sono stati riportati i loro eff etti. Gli autori descrivono anche i processi partecipativi attraverso i quali le comunità locali sono state invitate a sviluppare strategie per mitigare la loro vulnerabilità (strategie la cui fattibilità è stata valutata direttamen-te dall’autorità di Protezione Civile loca-le). Gli esperimenti illustrati dagli autori hanno dimostrato come le metodologie partecipative possano contribuire a sen-sibilizzare le comunità locali sul delicato rapporto uomo-ambiente.

Salami, von Meding e Giggins, se-guendo i presupposti dell’ecologia poli-tica urbana, presentano uno studio sulla vulnerabilità sociale alle inondazioni a Bere, un insediamento urbano all’inter-no della metropoli di Ibadan, in Nigeria, con un’alta densità abitativa e bassi livelli di reddito. Gli autori evidenziano la co-struzione sociale della vulnerabilità alle inondazioni nell’area di studio; in parti-colare, dai risultati emerge come i fattori socio-politici giochino un ruolo signifi -cativo nella creazione di una vulnerabi-lità disomogenea alle inondazioni della popolazione residente. Di conseguenza, gli stessi incoraggiano un approccio più completo alla mitigazione del rischio, superando le strategie strutturali e con-siderando varie attività per raff orzare la consapevolezza, la preparazione e la pia-nifi cazione a livello di comunità.

L’arcipelago vulcanico delle Azzor-re è l’area di studio presentata da Rego, Pereira e Pacheco. Il tema aff rontato in questo lavoro riguarda la percezione del rischio e, in particolare, le modalità at-traverso cui le comunità locali conside-rano i rischi e i benefi ci di vivere vicino a un vulcano. La ricerca mostra che le comunità locali che vivono nell’arcipe-lago vulcanico sono consapevoli, più del previsto, dei rischi reali; tuttavia, sembra che tendano a trascurare tale rischio di fronte ai vantaggi off erti da un paesaggio così unico. Questi benefi ci includono i) un forte senso di appartenenza e di le-game all’interno della comunità e ii) le attività economiche specifi che sviluppate intorno e sul vulcano.

Anche il caso studiato da Canniz-zaro riguarda un vulcano attivo, l’Etna, in Sicilia. Anche in questo caso, l’autore

Figura 1. Danni al cimitero comunale di Samo (RC) a seguito di un fenomeno franoso di tipo scorrimento–colata avvenuto nel novembre del 2015. (Foto di Loredana Antronico)

Figura 2. Danni ad edif ici a seguito del terremoto dell ’Aquila dell ’aprile 2009. (Foto Fausto Marincioni)

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aff ronta l’apparente irrazionalità di rico-noscere, e apparentemente respingere, il rischio tangibile rappresentato dal vive-re in diretto contatto con una minaccia naturale. Emerge che il forte sentimento di appartenenza a quel luogo specifi co sviluppa un atteggiamento fatalistico da parte della comunità locale; i residenti accettano che il vulcano Etna possa es-sere sia una fonte di vita e di prosperità economica, sia morte e distruzione.

Farabollini, Lugeri F. e N. mettono in evidenza il coinvolgimento umano nella creazione di disastri, suggerendo la messa in atto di processi partecipativi ed educa-tivi per promuovere un uso del territorio più sano e l’interazione uomo-ambiente.

La seconda sezione, intitolata “Piani-fi cazione e gestione del disastro”, com-prende quattro contributi.

Gugg analizza il Piano di emergen-za del Vesuvio per la città di Napoli. In eff etti, l’esistenza stessa di questo stru-mento di gestione delle emergenze, oltre a riconoscere il tangibile rischio vulcani-co concreto, è utile anche allo scopo di aiutare le comunità locali a comprendere la loro esposizione e vulnerabilità e come aff rontare un eventuale fenomeno lega-to all’attività vulcanica. Inoltre, il Piano di emergenza del Vesuvio rappresenta una grande opportunità per costruire un dialogo tra i vari stakeholder, allargando il numero di individui e gruppi coinvol-

ti nel processo di pianifi cazione delle emergenze. Infi ne, l’autore sottolinea la necessità di costruire una visione condi-visa per la fruizione futura del territorio coincidente con l’entroterra del Vesuvio.

Gatto, Balducci e Marincioni aff ron-tano il tema dell’inclusione di soggetti con disabilità, con bisogni funzionali e di accesso, nella pianifi cazione e gestio-ne dei disastri. Gli autori sollecitano un nuovo approccio per coinvolgere diret-tamente tali individui, così come le loro famiglie, anche nei processi decisionali. Certamente, riconoscono la necessità di un forte impegno politico per promuo-vere e realizzare un approccio di gestio-ne delle emergenze così inclusivo.

Annesi, Rizzo e Scamporrino si concentrano sulle componenti fi siche, sociali e istituzionali di una città. Il loro lavoro riguarda i processi di recupero a seguito di un terremoto e come questi processi possano infl uenzare lo svilup-po delle aree interne. Vengono analiz-zati tre diversi eventi sismici avvenuti in Italia: terremoto del Fucino, 1915; ter-remoto del Belice, 1968; terremoto de L’Aquila, 2009. Gli autori propongono la Strategia Nazionale per le Aree Inter-ne (SNAI) come strumento privilegiato per gestire con successo la prevenzione delle catastrofi , sia dal punto di vista tec-nico che di pianifi cazione.

Appiotti, Bertin e Musco analizzano i processi di recupero post-disastro dopo un evento sismico presentando il caso di studio del Comune di Cascia, nel Centro Italia. In particolare, il comune di Cascia sta sviluppando un progetto per elabora-re un piano di sviluppo globale a lungo termine per il suo territorio. Il progetto, ancora in corso, fornisce intuizioni su quanto sia fruttuosa una collaborazione pubblica e privata nel coinvolgimento attivo delle comunità locali. Allo stesso tempo, questo saggio discute possibi-li compromessi tra soluzioni bottom up proposte dai cittadini e processi top-down provenienti da istituzioni consolidate.

La terza sezione, intitolata “Mitiga-zione e preparazione ai disastri”, com-prende cinque contributi. Lo studio con-dotto da Fassoulas et al. si concentra sul programma UNESCO chiamato “Glo-bal Geoparks”. Gli autori suggeriscono di utilizzare il patrimonio geologico e cul-turale, le conoscenze scientifi che previste nel programma UNESCO per sviluppa-re prodotti educativi e attività di forma-zione e per sensibilizzare sia i cittadini che i visitatori ai rischi legati ad eventi naturali. Ciò contribuirebbe anche a sod-disfare gli accordi internazionali come il Quadro di Sendai per la Riduzione del

Figura 3. Un uomo spala il fango dalla propria abitazione a seguito di un fenomeno di mud-debris flow verif icatosi nel bacino del T. Cannamele (comune di Zambrone, VV) nel 2010. (Foto di Giuseppe Grillo)

Figura 4. Crollo del ponte ferroviario a seguito della piena del torrente Cancello (Marcellinara, CZ) che ha causato l ’interruzione della linea Catanzaro-Lamezia nel novembre 2011. (Foto Loredana Antronico)

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Rischio di Disastri (Sendai Framework for Disaster Risk Reduction).

L’obiettivo dichiarato del contributo di Cadierno Gutierrez e Losada Gómez è quello di mettere in discussione l’uso dell’espressione “disastro naturale” nelle narrazioni comuni. La loro ricerca è ra-dicata nella defi nizione stessa di rischi e disastri come costruzioni sociali. Da questa prospettiva, i pericoli naturali sono visti come caratteristiche naturali dell’ambiente, verso cui gli esseri uma-ni sono tenuti a diventare resilienti. Gli autori discutono anche il ruolo dei mass media nell’impatto sul comportamento individuale e collettivo, aumentando o minando la capacità adattiva.

Anche Cerase discute della comuni-cazione dei disastri, considerando come questa funzione sociale possa essere uti-lizzata per fornire informazioni tempe-stive e complete per la scelta di azioni salvavita in caso di un evento calami-toso. L’autore discute, inoltre, dell’im-plementazione di diverse strategie per coinvolgere i membri della comunità.

Il lavoro di Grimalt e Geli si con-centra sull’isola di Maiorca, discutendo i muri a secco come mezzi tradizionali di mitigazione delle inondazioni. Mentre queste strutture fornivano protezione e promuovevano lo sviluppo agricolo, attualmente stanno perdendo la loro importanza (e la loro funzione) a causa della recente espansione delle attività terziarie e della riduzione delle attivi-tà agricole. Gli autori suggeriscono che questi muri a secco dovrebbero essere ripristinati anche per il loro valore di pa-trimonio culturale, a sostegno del parti-colare rapporto uomo-ambiente che ha modellato il paesaggio dell’isola.

Il lavoro di Kumar si basa sul cambio di paradigma dei disastri da atti divini ad atti degli esseri umani, mostrando come le misure di risposta alle calamità si sono evolute nel tempo dalla resistenza alla resilienza agli eventi estremi. L’autore riferisce come in India la gestione dei disastri abbia avuto inizio focalizzan-dosi sul rischio specifi co di carestia, per evolversi successivamente in un approc-cio più globale volto a migliorare la resi-lienza complessiva delle comunità locali.

Il volume, che raccoglie contributi provenienti sia dall’Italia sia da Spagna, Portogallo, Messico ed India, porta avan-ti un dialogo multiculturale necessario ed auspicabile sulle questioni relative all’at-tuazione delle politiche di riduzione del rischio di disastri.

I capitoli che caratterizzano il volume contribuiscono all’attuale dibattito scien-tifi co sull’ecologia umana dei disastri,

La notte fra il 14 e 15 agosto, a Trieste, ci ha lasciato Giuliano Sauli, che è stato per tutti noi un amico, uno studioso, un tecnico illuminato che ha creato in Italia l’Ingegneria natura-listica. Ma anzitutto egli è stato una persona di grande valore umano, che ha saputo credere in nobili ideali, ha saputo trasmetterli, ha saputo tramu-tarli in obiettivi di grande concretezza e pragmatismo: così egli ha coinvol-to tanta gente di varie esperienze ed estrazioni tecnico-scientifi che, crean-do sperimentazioni e occasioni di lavoro, e contribuendo a costituire associazio-ni, come l’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica (AIPIN) e gruppi di associazioni, come il Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifi che per l’Ambiente ed il Paesaggio (CATAP), capaci di raccogliere intorno a sé tecnici di diverse discipline scientifi che. Giuliano Sauli ha fatto in modo che anche le variegate associazioni che fanno parte fi n dal 2007 del CATAP (As-sociazione Analisti Ambientali, Associazione Italiana per l’Architettura del Paesaggio, Associazione Italiana Naturalisti, Associazione Italiana Pedologi, Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica, Società Italiana di Ecolo-gia del Paesaggio, Società Italiana di Geologia Ambientale), collaborassero per creare iniziativee culturali e scientifi che, lavorando con varie istituzioni italiane.

Rimpiangeremo non solo l’intuito e la capacità organizzativa con cui aveva saputo creare e far crescere l’ingegneria naturalistica in Italia, ma anche la sua ruvida umanità triestina, e la forza da “carro armato” con cui ci coinvolgeva e mandava avanti le iniziative, sempre attento ai valori della scienza applicata. Per il CATAP rimpiangeremo il fondatore e chi ha saputo legarci ad un percorso interdisciplinare unico in Italia. Dovremo adesso trovare il modo per poterlo ricordare nella maniera migliore.

Giuseppe Gisotti

esplorando le strategie e la capacità delle comunità locali di adattarsi ai pericoli na-turali e ai disastri (White, 1942; Whyte, 1986; Alexander, 2013; Blaikie et al., 2014). Il fi lo conduttore tra i diversi casi di studio è la necessità che l’Homo sapiens defi nisca i propri diritti e le proprie re-sponsabilità nelle dinamiche ambientali, compresi eventi estremi e disastri. Infi ne, la scelta di come aff rontare il pericolo, la vulnerabilità e i disastri evidenzia la na-tura etica della riduzione del rischio di disastri; controllo della natura o adatta-mento ai suoi cicli?

BIBLIOGRAFIAAlexander D. E. (2013), Resilience and

Disaster Risk Reduction: An Etymological Journey. Natural Hazards and Earth Sys-tem Sciences, 13(11), 2707-2716.

Antronico L., Marincioni F. (a cura di) (2018), Natural Hazards and Disaster Risk Reduction Policies, Il Sileno Edizioni, Collana “Geographies of the Anthropocene”, Rende, www.ilsileno.it/geographiesoftheanthropo-cene (Ultimo accesso: 03/05/2019).

Blaikie P., Cannon T., Davis I., Wisner B. (2014), At Risk: Natural Hazards, People’s Vulnerability and Disasters. Routledge.

Crutzen P.J., Stoermer E. (2000), The “Anthropocene”, IGBP Newsletter, 41.

Crutzen P.J. (2002), Geology of mankind, Nature, 415:23.

Crutzen P.J. (2005), Benvenuti nell ’Anthro-pocene! Andrea Parlangeli Ed, Milano.

Grinevald, J. (2007), La Biosphère de l ’An-thropocène: climat et pétrole, la double me-nace. Repères transdisciplinaires (1824-2007). Geneva, Switzerland: Georg/Edi-tions Médecine & Hygiène.

Zanolin G. (2019), L’uomo e la natura nell ’Antropocene: riflessioni teoriche e ap-procci alla ricerca, in Salvatori F., (a cura di), L’apporto della Geografia tra rivoluzio-ni e riforme. Atti del XXXII Congresso Geo-grafico Italiano (Roma, 7-10 giugno 2017), A.Ge.I., Roma, pp. 91-97.

UNISDR (2015), Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015–2030; United Nations International Strategy on Disaster Reduction: Geneva, Swit-zerland, 2015; Available online: http://www.unisdr.org/files/43291_sendai-frameworkfordrren.pdf  (ultimo accesso: 01/05/2019).

White G.F. (1942), Human adjustments to floods. PhD, Dissertation, Department of Geography, the University of Chica-go. https://biotech.law.lsu.edu/climate/docs/Human_Adj_Floods_White.pdf (Ulti mo accesso: 07/05/2019).

Whyte A. V. (1986), From hazard perception to human ecology. Geography, Resources and Environment, 2, 240-271.

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SOCIETÀITALIANADI GEOLOGIAAMBIENTALE

INTRODUZIONE ALLA GEOARCHEOLOGIA NELLA PRATICA PROFESSIONALE

Roma, 22-23 ottobre 2019C/O Fidaf via Livenza, 6

Responsabile: Gioacchino Lena

I giorno (4 ore) 22 ottobre 201913.30 - 14.00 Registrazione

14.00 - 14.30 Presentazione del corso a cura di Gioacchino Lena (SIGEA) & Francesco Violo (CNG)14.30 - 16.30 L’Olocene. La scala cronologica di riferimento. Climi e loro eff etti in epoca storica

Gioacchino Lena (Sigea)16.30 - 18.30 Applicazioni archeometriche per lo studio di malte e intonaci antichi

Domenico Miriello (Unical)II giorno (8 ore) 23 ottobre 2019

09.30 - 11.30 Vero o falso: la diagnostica per l’autenticazione di manufatti lapideiDomenico Miriello (Unical)

11.30 - 13.30 Eventi catastrofi ci, sprofondamenti, comparsa di sorgenti in geoarcheologiaStefania Nisio (ISPRA)

13.30 - 14.30 Pausa pranzo

14.30 - 16.30 Elementi di geomorfologia applicata alla ricerca archeologicaPiero Bellotti (Università di Roma “Sapienza”)

16.30 - 18.30 Ambienti e facies deposizionali di interesse geoarcheologicoCarlo Rosa (SIGEA)

Richiesti crediti formativi per geologi

CAVITÀ DI ORIGINE ANTROPICA, MODALITÀ D’INDAGINE, ANALISI E INTERVENTI PER LA MITIGAZIONE RISCHIO

Roma, 21-22 ottobre 2019C/O Fidaf via Livenza, 6

Direzione scientifica: Maurizio Lanzini, Marina Fabbri e Franco Violo

I giorno (8 ore) 21 ottobre 201908.30 - 09.00 Registrazione

09.00 - 09.30 Presentazione del corso a cura di Maurizio Lanzini (SIGEA) & Francesco Violo (CNG)09.30 - 11.30 Dissesti causati da cavità sotterranee. Banche dati

Stefania Nisio (ISPRA)11.30 - 13.30 Tecniche di rilievo di cavità sotterranee e scheda censimento cavità

Michele Concas & Adriano Morabito (Roma Sotterranea)13.30 - 14.30 Pausa pranzo

14.30 - 16.30 Paramerizzazione geotecnica di reti caveali e modelli di valutazione del rischio di crolloMaurizio Lanzini (Sigea)

16.30 - 18.30 Metodologie disponibili per l’analisi dei fattori di rischio delle cavità e relativi gradi di accuratezzaPiernicola Lollino (CNR-IRPI)

II giorno (4 ore) 22 ottobre 201909.30 - 11.30 Monitoraggio, allertamento e gestione del rischio ai fi ni di Protezione Civile

Angelo Corazza (DIP PC)11.30 - 13.30 Tecniche di messa in sicurezza di ambienti ipogei

Maurizio Allevi & Gabriele Sani (Servizio Dissesto idrogeologico, Comune di Roma) Richiesti crediti formativi per geologi

La Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea) in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Geologi hanno organizzato i corsi di aggiornamento professionale

Durata di 12 ore | Iscrizioni ai corsi limitati a un massimo di 40 partecipanti

Segreteria organizzativa a cura di Sigea | www.sigeaweb.it • [email protected]

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II CIRCOLARE

PRESENTAZIONE

L’Associazione culturale e scientifica Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale) riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente con D. M. 24 maggio 2005, e la Fondazione INARCASSA nell’intento di promuovere la cultura della

previsione, della prevenzione e della mitigazione dei rischi geologici in Italia, organizza un convegno dal titolo “Analisi e attività di mitigazione dei processi geo-idrologici in Italia”. L’evento ricorre in occasione del trentennale della Legge 183/1989, prima normativa organica italiana sulla difesa del suolo. Il Convegno, indirizzato ai tecnici e ai ricercatori (geologi, ingegneri, architetti, agronomi, forestali, ecc.) interessati alla problematica del dissesto geo-idrologico, desidera coinvolgere le istituzioni, gli Enti pubblici e gli Enti di ricerca più impegnati nella previsione, prevenzione, monitoraggio e mitigazione del rischio geo-idrologico. Esso vuole affrontare in una chiave integrata e attuale i vari aspetti associati alla pericolosità geo-idrologica del nostro Paese, concentrandosi sui fenomeni franosi e alluvionali (che hanno prodotto, dal 1944 al 2012, numerose vittime e danni economici per 61,5 miliardi di Euro); sull’occupazione da parte dell’uomo delle zone pericolose; sugli interventi strutturali per ridurre la vulnerabilità dei beni esposti (e di conseguenza il rischio geo-idrologico) e sulla gestione dell’emergenza. Particolare attenzione sarà rivolta agli interventi non strutturali utili alla prevenzione del rischio geo-idrologico.

RICHIESTA DI MEMORIE - PROROGA SCADENZE

Potranno essere proposte memorie scientifiche relative alle seguenti sessioni:1. Analisi e modellazione dei processi geo-idrologici: frane, alluvioni e sprofondamenti2. Evoluzione dei processi e sistemi di monitoraggio3. Interferenza dei processi geo-morfologici con strutture e infrastrutture4. Interventi strutturali e non strutturali per la mitigazione del rischioI contributi (massimo 10 pagine comprese tabelle e figure) dovranno essere inviati entro il 30 settembre 2019 all’indirizzo e-mail [email protected] seguendo le norme per gli autori disponibili sul sito http://www.sigeaweb.it/documenti/istruzioni-rivista.pdf.Gli autori riceveranno le valutazioni dei referee entro il 30 novembre 2019 e dovranno restituire il testo corretto entro il 31 dicembre 2019. Gli Atti del Convegno (presentazioni a invito e memorie accettate) saranno pubblicati come supplemento in formato digitale della rivista ufficiale della Sigea “Geologia dell’Ambiente” - ISSN 1591-5352.

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Pomarico (MT) - Ph Gianni Palumbo

SOCIETÀITALIANADI GEOLOGIAAMBIENTALE

COMITATO PROMOTORENicola Casagli, Egidio Comodo, Antonello Fiore, Fabio Luino, Luciano Masciocco, Gaetano Vinci

SEGRETERIA ORGANIZZATIVASigea, Fondazione INARCASSA

PATROCINI RICHIESTI

Info: [email protected]

MATTM | ISPRA | CNR, ENEA | Consiglio Nazionale Architetti | Consiglio Nazionale Geologi | Consiglio Nazionale Ingegneri

| Consiglio Nazionale Agronomi e Forestali | Ordine Geologi Lazio | RemTech | Ordine degli Ingegneri della Provincia di

Roma | Ordine degli Archietti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia | Società Geologica Italiana | AIGA

| AIGEO | AGI - Associazione Geotecnica Italiana

Roma, 29 novembre 2019

Convegno Nazionale

ANALISI E ATTIVITÀ DI MITIGAZIONE DEI PROCESSIGEO-IDROLOGICI IN ITALIA

Organizzato dalla Società Italiana di Geologia Ambientale (Sigea) e Fondazione INARCASSA

Sala Convegni del CNR, P.le Aldo Moro, Roma

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