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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
GENERAL COURSE: DIRITTI UMANI E INCLUSIONE
Inserimento, integrazione, inclusione lavorativa delle persone
con disabilità
Anno Accademico 2017/2018
Elaborato di
Stefania Voltan
2
Importanza del lavoro per l’uomo
"Il lavoro nobilita l'uomo", dice un vecchio adagio.
"Il lavoro vinse ogni ostacolo", canta Virgilio ("labor omnia vicit", "Georgiche, I, 144").
"Il lavoro è dato all'uomo come una maledizione", emerge dal libro della Genesi.
" Arbeit macht frei Il lavoro rende liberi", proclama - non senza una pesante ironia - il
cancello d'ingresso del campo di Auschwitz.
"Lavorare stanca", sostiene Cesare Pavese.
"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", sentenziano i padri costituenti,
inserendo quest'ultima dichiarazione all'articolo 1 della nostra Carta costituzionale.
Insomma, sul lavoro è stato detto tutto, e il contrario di tutto.
Qual è il senso del lavoro?
A livello sociale, il lavoro si esplica quale mezzo di produzione, da cui dipende il
benessere di una data società, in quanto nessun essere umano potrebbe sopravvivere da
solo, senza poter contare sulle risorse del lavoro altrui, sotto forma di beni e servizi; o, se
lo potesse, sarebbe inevitabilmente condannato a regredire verso forme sempre più
primitive di sopravvivenza puramente materiale.
A livello personale, entrare nel mondo del lavoro significa diventare parte del mondo
adulto. Il lavoro ha un senso e un fine che è, in primo luogo, quello del mantenimento di
ciascun essere umano e della sua famiglia. Il lavoratore, in forza del reddito che gli
procura il lavoro, può fare progetti, programmi per il futuro. Non solo: attraverso il lavoro
l’uomo può sperare di migliorare le proprie competenze, aspirare ad un miglioramento
della sua esistenza e magari arrivare a un maggior apprezzamento sociale. Il lavoro è
quindi fondamentale, perché è in gran parte attraverso di esso che la persona costruisce
la sua autostima. Infatti il lavoro ci dà il senso dell'identità personale ("sono un insegnante,
un fabbro, un medico", ecc.), che conferisce valore alle nostre capacità, alla nostra
appartenenza sociale. E' per questo che, in una parola, il lavoro dà la dignità. Sentirsi
capaci di fare qualcosa che gli altri apprezzano riempie di significato la propria vita,
permette alla persona di avere considerazione di sé.
3
Importanza del lavoro per le persone con disabilità
Il lavoro assume i medesimi significati anche per le persone con disabilità, ma per loro vi
sono delle difficoltà:
occorre capire se e come la persona con disabilità può acquisire un ruolo lavorativo,
la disabilità spesso rende difficile portare a termine i compiti lavorativi e questo limita le
opportunità dei lavoratori disabili non solo di ottenere ma anche di mantenere
un’occupazione,
affinché le esperienze lavorative concorrano alla maturazione psicologica e affettiva, la
persona con disabilità andrà sostenuta non solo in fase di inserimento ma anche
durante l’esperienza lavorativa attraverso idonee misure inclusive che le consentano di
sentirsi parte di un gruppo e attraverso ciò le consentano non solo di rivestire al meglio
il ruolo di lavoratore, ma anche di acquisire maggior sicurezza e autonomia.
Anche per le persone con disabilità il lavoro ha una dimensione sociale e una personale.
Si tratta di dimensioni distinte, ma al tempo stesso intrecciate e complementari che,
insieme, forniscono una fotografia della vita della persona con disabilità e della sua
collocazione all’interno della società. Nell’esaminare tali dimensioni è opportuno partire
dalla quella più ampia, relativa ai diritti.
L’obiettivo di questo elaborato è quello di offrire una panoramica che, ben lontana da dal
voler essere esaustiva, intende indicare le ragioni dell’importanza del lavoro per le
persone con disabilità. Intende inoltre indicare i diversi soggetti coinvolti e relativi ruoli
nella realizzazione di tale diritto delle persone con disabilità.
4
Lavoro e diritti umani
I diritti umani tutelano la persona e la sua dignità in tempo di pace e in tempo di guerra.
Sono garantiti dal diritto internazionale ed è compito di ciascuno Stato farli rispettare.
I diritti umani sono oggi garantiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,
proclamata il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Essa
riguarda tutte le persone del mondo, senza alcuna distinzione e sancisce l’esistenza di
diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere in vita.
L’universalità della Dichiarazione è figlia della seconda guerra mondiale e delle sue
tragedie. E’ in quel contesto storico che si afferma la convinzione che non può esserci un
futuro di pace senza il rispetto dei diritti umani. Proprio per prevenire ulteriori drammatici
conflitti si decise di scrivere un documento che indicasse in modo chiaro e semplice quali
sono i diritti inalienabili degli individui.
Il diritto al lavoro è uno dei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
L’art. 23 della Dichiarazione sancisce:
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e
soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale
lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente
che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità
umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
Il diritto al lavoro è un diritto individuale ed è allo stesso tempo un diritto collettivo.
Il diritto al lavoro può essere considerato il primo diritto sociale, in quanto costituisce la
fonte di sostentamento dell’individuo e lo strumento per affermare la sua autonomia ed
indipendenza e, come tale, è anche il presupposto per l’esercizio di molti diritti di libertà. Il
diritto al lavoro può essere, quindi, considerato alla base di tutti i diritti umani: trascurare i
diritti economici e sociali può minare le libertà civili e politiche di un paese. Per questi
motivi il diritto al lavoro non può essere lasciato al libero arbitrio del mercato, ma deve
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costituire oggetto di politiche pubbliche nel quadro di una ampia programmazione di stato
sociale.
Se “Ogni individuo ha diritto al lavoro”, tale diritto è riconosciuto in egual misura anche alle
persone con disabilità. Questo comporta l’abbandono di modelli di tipo segregativo o
assistenzialistico applicati alle persone con disabilità a favore di un modello orientato a
garantire la loro inclusione sociale (Griffo, 2007) dunque anche nel lavoro.
Il diritto al lavoro enunciato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è poi
ripreso e rafforzato in altre norme della legislazione internazionale e nazionale.
A livello internazionale, dopo la prima parziale Dichiarazione dei diritti delle persone
disabili del 1975, il 13 dicembre 2006 gli Stati Membri dell’ONU hanno adottato la
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. La Convenzione prende in esame i
diritti di tali persone, considerando i loro diritti civili e politici, l’accessibilità e la possibilità di
partecipazione, il diritto ad educazione, salute, lavoro e protezione sociale. L’Italia ha
ratificato tale Convenzione il 24 febbraio 2009.
In materia di diritto al lavoro la Convenzione prevede:
Articolo 27
Lavoro e occupazione
1. Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità al lavoro, su base di
parità con gli altri; ciò include il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso il lavoro che
esse scelgono o accettano liberamente in un mercato del lavoro e in un ambiente
lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità. Gli
Stati Parti devono garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, incluso per coloro che
hanno acquisito una disabilità durante il proprio lavoro, prendendo appropriate iniziative –
anche attraverso misure legislative - in particolare al fine di:
(a) proibire la discriminazione fondata sulla disabilità con riguardo a tutte le questioni
concernenti ogni forma di occupazione, incluse le con dizioni di reclutamento, assunzione
e impiego, il mantenimento dell’impiego, l’avanzamento di carriera e le condizioni di
sicurezza e di igiene sul lavoro;
(b) proteggere i diritti delle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, a
condizioni lavorative giuste e favorevoli, comprese l’eguaglianza delle opportunità e la
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parità di remunerazione per un lavoro di pari valore, condizioni di lavoro sicure e salubri,
comprendendo la protezione da molestie e la composizione delle controversie;
(c) assicurare che le persone con disabilità siano in grado di esercitare i propri diritti del
lavoro e sindacali su base di eguaglianza con gli altri;
(d) permettere alle persone con disabilità di avere effettivo accesso ai programmi di
orientamento tecnico e professionale, ai servizi per l’impiego e alla formazione
professionale e continua offerti a tutti;
(e) promuovere le opportunità di impiego e l’avanzamento della carriera per le persone
con disabilità nel mercato del lavoro, come pure l’assistenza nel trovare, ottenere e
mantenere e reintegrarsi nel lavoro;
(f) promuovere la possibilità di esercitare un’attività indipendente, l’imprenditorialità,
l’organizzazione di cooperative e l’avvio di un’attività in proprio;
(g) assumere persone con disabilità nel settore pubblico;
(h) favorire l’impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e
misure appropriate che possono includere programmi di azione positiva, incentivi e altre
misure;
(i) assicurare che accomodamenti ragionevole siano forniti alle persone con disabilità nei
luoghi di lavoro;
(j) promuovere l’acquisizione, da parte delle persone con disabilità, di esperienze
lavorative nel mercato aperto del lavoro;
(k) promuovere programmi di orientamento e riabilitazione professionale, di mantenimento
del posto di lavoro e di reinserimento al lavoro per le persone con disabilità.
2. Gli Stati Parti assicureranno che le persone con disabilità non siano tenute in schiavitù o
in stato servile e siano protette, su base di parità con gli altri, dal lavoro forzato o coatto.
A livello nazionale, nella Costituzione Italiana il lavoro è considerato un valore fondante
della Repubblica:
Art. 1 - L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. [omissis]
La carta costituzionale italiana riconosce inoltre che il lavoro è per tutti i cittadini tanto un
«diritto», quanto un «dovere»:
Art. 4 - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni
che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
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proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della società.
Il lavoro viene riconosciuto come diritto di tutti i cittadini, in quanto costituisce il
presupposto per l’esercizio di ogni altro diritto; viene riconosciuto anche come un dovere
che il cittadino deve svolgere responsabilmente, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, nella consapevolezza che ogni tipo di lavoro, manuale o intellettuale, contribuisce
in pari misura al bene della collettività.
Per rendere effettivo il principio che tutti i cittadini, anche le persone con disabilità, hanno il
diritto di lavorare sono state emanate diverse norme nazionali. Vanno ricordate:
Legge 30 marzo 1971 nr. 118 che contiene disposizioni in materia di mutilati e invalidi
civili,
Legge 12 marzo 1999 nr. 68 che contiene norme per il diritto al lavoro delle persone
con disabilità,
Legge 26 maggio1970 nr. 381, Legge 27 maggio 1970 nr. 382, Legge 3 aprile 2001 nr.
138, che contengono disposizioni specifiche per persone affette da ciecità e sordità,
Legge 5 febbraio 1992 nr. 104 Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone con disabilità.
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La classificazione delle persone con disabilità
Secondo l’art. 3 c. 1 della Legge nr. 104/1992 “è persona con handicap colui che presenta
una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di
difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorative e tale da determinare
un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Secondo la normativa vigente in Italia le persone con disabilità si distinguono in:
mutilati e invalidi civili,
invalidi del lavoro,
invalidi di guerra, civili di guerra e per servizio,
non vedenti e i sordomuti.
L’art. 2 - Legge 30 marzo 1971 nr. 118 prevede:
Agli effetti della presente legge, si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da
minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari
psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti
da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della
capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Ai soli fini dell'assistenza socio-sanitaria e della concessione dell'indennità di
accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultrasessantacinquenni
che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
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La procedura per il riconoscimento dell’invalidità
I passi per il riconoscimento dell’invalidità civile:
1 - richiesta di certificazione della patologia da parte del medico curante o altro specialista
2 - presentazione della domanda all’INPS
3 - convocazione alla visita medica presso la Commissione Medica istituita presso l’ULSS
competente
4 – spedizione del verbale.
1 – Richiesta di certificazione della patologia da parte di un medico
La persona interessata deve richiedere il certificato introduttivo al proprio medico di fiducia
(medico certificatore). Utilizzando l’apposita procedura informatica il medico certificatore
rilascia un certificato numerato nel quale sono riportati i dati anagrafici e la natura delle
infermità invalidanti.
2 – Presentazione della domanda all’INPS
Una volta che il medico ha rilasciato il certificato, l’interessato ha 90 giorni di tempo per
presentare, autonomamente o tramite patronato di categoria, la domanda telematica
all’INPS. Sulla domanda devono essere indicati gli accertamenti ai quali si è interessati:
invalidità civile, cecità, sordità, disabilità, handicap. Per ogni domanda inoltrata per via
telematica all’INPS, il sistema genera una ricevuta con il protocollo della domanda stessa.
3 - convocazione alla visita medica presso la Commissione Medica istituita presso l’ULSS
competente
L’interessato riceve dall’INPS una lettera di invito a presentarsi ad una visita per
l’accertamento delle condizioni di disabilità. Il cittadino può farsi assistere, durante la visita,
da un suo medico di fiducia. La visita viene espletata presso la Commissione Invalidi dell’
ULSS competente la quale è integrata dal medico INPS ed è composta da un medico
specialista in Medicina Legale, da un medico specialista nella patologia prevalente oggetto
della valutazione, da un operatore sociale dei servizi pubblici territoriali competenti, da un
medico rappresentante delle Associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UIC, ANFFAS) e,
nel caso di accertamenti finalizzati al collocamento mirato al lavoro, da un medico del
lavoro. La Commissione, per determinare il grado di invalidità, fa riferimento a tabelle
ministeriali che stabiliscono per ciascuna menomazione una percentuale di invalidità. Per
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consentire l’accertamento dell’invalidità va presentata alla Commissione copia della
documentazione specialistica inerente le patologie dell’interessato. Nel caso in cui la
persona sia intrasportabile è possibile richiedere la visita domiciliare. Al termine della
visita, viene redatto un verbale elettronico con il giudizio medico legale.
4 - Il verbale definitivo viene inviato all’interessato dall’INPS. Le versioni inviate sono due:
una contenente tutti i dati sensibili della persona (comprese le patologie e la percentuale di
invalidità) e una contenente il giudizio finale per gli usi amministrativi, che non contiene la
patologia ma le capacità lavorative della persona interessata. Qualora dal riconoscimento
derivi un beneficio economico, l’interessato verrà invitato a completare online o tramite un
Patronato di categoria la domanda di accredito in conto corrente e a fornire i dati necessari
per l’accertamento dei requisiti socio economici. Dopo aver ricevuto il verbale può essere
proposto ricorso al Tribunale competente contro il giudizio della Commissione preposta
all'accertamento della invalidità. La sentenza è inappellabile.
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Percentuali di invalidità e benefici
La persona che viene riconosciuto come invalido civile con una percentuale di invalidità
superiore al 33% ha diritto ad alcuni benefici. Questi variano a seconda della percentuale
di invalidità; vediamo quali sono:
- dal 34% - riconoscimento dello stato di invalido civile con diritto a prestazioni protesiche /
ortopediche
- dal 46% - riconoscimento dello stato di invalido ai fini lavorativi:
iscrizione agli elenchi provinciali del lavoro e della massima occupazione delle
“categorie protette” per il collocamento obbligatorio (Legge 68/99)
esonero contributivo nelle coop. sociali (Art. 4 Legge 381/91)
- dal 51% - congedo straordinario per cure
- dal 67%:
fornitura gratuita di protesi, presidi, ausili in connessione alle infermità invalidanti
tessera di esenzione dal pagamento del ticket per le prestazioni di assistenza
specialistica ambulatoriale, di diagnostica strumentale e di laboratorio
agevolazioni per graduatorie case popolari, per canone telefonico in base ai redditi
posseduti (ISEE)
- dal 74% - assegno mensile di assistenza per invalidi tra i 18 e i 65 anni di età in
presenza di reddito ed altri requisiti stabiliti per legge
- dal 75% - solo per i lavoratori dipendenti: contribuzione figurativa ai fini pensionistici
- 100%:
pensione di inabilità per invalidi tra i 18 e i 65 anni di età in presenza di limiti reddituali
personali; esenzione totale dal ticket sanitario (escluso farmaci di fascia C)
compatibile con l’indennità di accompagnamento e con tutte le pensioni percepite a
titolo di invalidità.
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Inserimento nelle categorie protette
Uno dei benefici previsti a seguito del riconoscimento di invalidità ≥ 46% è l’inserimento
nelle “Categorie protette”. Per quanto qui di interesse, per le persone inserite nelle
“categorie protette” è previsto un collocamento lavorativo mirato.
La Legge n. 68/1999 è la norma quadro che ha come finalità la promozione
dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone con disabilità nel mondo del
lavoro. Le persone aventi diritto all’inserimento nelle “categorie protette”, come previsto
dall’art. 1 della Legge n. 68/1999, sono:
a) persone con grado di invalidità civile ≥ 46%
b) persone invalide del lavoro con grado di invalidità ≥ 34% (l’invalidità deriva da in
infortunio sul lavoro ed è riconosciuta dall’INAIL con una procedura diversa da quella
sopra descritta)
c) persone non vedenti o sorde, di cui alle Leggi n. 381 e 382 del 1970 e successive
modifiche
d) persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con
minorazione ex TU del DPR 915/78 e successive modifiche
e) persone disoccupate ed iscritte negli elenchi del collocamento ordinario (per i disabili
occupati sono previste soglie di reddito minimo che consentono comunque
l’iscrizione).
E’ previsto l’inserimento nelle categorie protette anche per i profughi italiani, gli orfani e
vedove/i per causa di lavoro, di guerra o di servizio ed equiparati (sono equiparati i coniugi
e i figli di grandi invalidi del lavoro dichiarati incollocabili, dei grandi invalidi per servizio o di
guerra), vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata.
Possono ottenere l’inserimento nelle “categorie protette” le persone che abbiano assolto
gli obblighi scolastici e in età compresa tra i 15 e i 65 anni.
Per ottenere l’inserimento nelle “categorie protette” le persone affette da invalidità civile
devono rivolgersi ai Centri per l’impiego territorialmente competenti, ai quali dovranno
essere consegnati il verbale rilasciato dalla Commissione Medica riportante il tipo e la
percentuale di invalidità e il certificato di disoccupazione rilasciato dall’Ufficio Provinciale
del Lavoro.
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Obblighi e benefici per le aziende che assumono lavoratori con disabilità
Dal 1999 ad oggi, la Legge n. 68/1999 è stata ampiamente modificata, incrementando gli
strumenti di tutela per le persone con disabilità e per le fasce deboli al fine del loro
collocamento lavorativo mirato.
Dal 1^ gennaio 2018, l’art. 3 della Legge prevede che le aziende con più di 14 dipendenti
devono riservare le quote di assunzioni di seguito riportate a persone iscritte nelle
categorie protette. Le aziende che impiegano:
da 15 a 35 dipendenti, sono obbligate ad assumere una persona con disabilità,
da 36 a 50 dipendenti, sono obbligate ad assumere due persone con disabilità,
da 51 a 150 dipendenti, sono obbligate ad assumere il 7% dei posti a favore di
persone con disabilità più una persona iscritta nelle rimanenti tipologie di
“categorie protette”,
oltre 151 dipendenti, sono obbligate ad assumere il 7% dei posti a favore di
persone con disabilità più l’1% di persone iscritte nelle rimanenti tipologie di
“categorie protette”.
Il D. Lgs. 185/2016 prevede sanzioni a carico delle aziende per il mancato adempimento
dell’obbligo di assunzione di persone con disabilità. Trascorsi 60 giorni dalla data in cui
insorge l’obbligo di assumere lavoratori con disabilità, per ogni giorno in cui resta scoperta
la quota d’obbligo, il datore di lavoro è tenuto a versare la somma di 153,20 €.
Specularmente la Legge n. 68/1999 prevede degli incentivi a favore delle aziende che
assumono personale con disabilità. Gli artt. 13 e 14 di detta legge prevedono a partire dal
2018 che al datore di lavoro che assume un lavoratore appartenente alle categorie
protette spetta un incentivo economico, la cui misura varia a seconda delle caratteristiche
del lavoratore assunto e del tipo di contratto. L’incentivo economico, da richiedere
all’INPS, è pari a:
per l’assunzione di lavoratori con disabilità a tempo indeterminato che abbiano
una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% spetta un incentivo pari
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al 70% della retribuzione mensile lorda ai fini previdenziali; la durata
dell’incentivo è di 36 mesi;
per l’assunzione di lavoratori disabili con riduzione capacità lavorativa compresa
tra il 67% ed il 79%, spetta un incentivo pari al 35% della retribuzione; la durata
dell’incentivo è di 36 mesi;
per l’assunzione di lavoratori con disabilità psichica e intellettiva con riduzione
della capacità lavorativa al 46%, spetta un’agevolazione pari al 70% della
retribuzione; la durata dell’incentivo è di 60 mesi se l’assunzione è a tempo
indeterminato, è invece di 12 mesi in caso di assunzione a tempo determinato;
un rimborso forfetario parziale delle spese necessarie all’adozione di
accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con riduzione della capacità
lavorativa superiore al 50%, incluso l’apprestamento di tecnologie di telelavoro o
la rimozione delle barriere architettoniche che limitano l’integrazione lavorativa
della persona con disabilità.
Nell’eventualità in cui sussistano sia i presupposti di applicazione dell’incentivo previsto
per l’assunzione di persone con disabilità, sia i presupposti di applicazione di incentivi
previsti da altre disposizioni sotto forma di riduzione contributiva, il datore di lavoro può
godere per il medesimo lavoratore di entrambi i benefici purché la misura complessiva
degli incentivi non superi la misura del 100% dei costi salariali.
Quindi l’incentivo per l’assunzione di persone con disabilità è compatibile con altri incentivi
quali ad esempio:
bonus over 50 disoccupati da 12 mesi;
bonus donne disoccupate senza lavoro da almeno 24 mesi o da almeno 6 mesi,
qualora appartenenti ad aree svantaggiate o impiegate in determinati settori
produttivi o professioni;
bonus Assunzioni Garanzia Giovani è cumulabile con il “bonus disabili 2018” nel
limite del 100% dei costi salariali.
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Modalità per l’assunzione dei lavoratori delle “categorie protette”
Le modalità attraverso le quali si procede all’assunzione del lavoratore appartenente alle
“categorie protette” presso aziende private sono:
la chiamata nominativa, con possibilità di una preselezione delle persone con
disabilità;
la convenzione per l’assunzione a tempo indeterminato con contestuale distacco
presso cooperative sociali, imprese sociali, disabili liberi professionisti o altri datori
di lavoro privati non soggetti a obbligo di assunzione. Gli oneri retributivi e
contributivi sono a carico del soggetto ospitante, al quale il datore di lavoro si
impegna a conferire commesse di importo non inferiore. Ai lavoratori assunti in
base a queste convenzioni spetta il trattamento economico previsto dalle leggi e dai
contratti collettivi nazionali;
la convenzione con finalità formative (tirocinio formativo e di orientamento) prevede
l’inserimento temporaneo in azienda, può essere utilizzata per singola persona, non
può avere una durata superiore a 12 mesi eventualmente rinnovabili una sola volta
per altri 12 mesi;
l’avviamento da graduatoria.
Ferma restando la quantità di persone da assumere, presso gli enti pubblici le assunzioni
avvengono:
con richiesta di avviamento a selezione, per i profili per i quali è richiesto il requisito
della scuola dell’obbligo;
con procedure concorsuali per le qualifiche superiori, nelle quali le persone
appartenenti alle categorie protette hanno diritto alla riserva di un numero di posti
pari alla complessiva quota d’obbligo fino al 50% dei posti messi a concorso.
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Servizi pubblici per il collocamento lavorativo mirato
La Legge n. 68/1999 prevede che l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità sia
realizzato attraverso servizi pubblici di sostegno e di collocamento mirato.
Sono servizi pubblici per il collocamento lavorativo mirato:
i CPI Centri provinciali per l’impego
i SIL Servizi per l’integrazione lavorativa.
Nella Regione Veneto, in attuazione della Legge n. 68/1999, è stata emanata la Legge
Regionale n. 16/2001, la quale all’art. 6 prevede che per le attività di progettazione,
accompagnamento e valutazione delle politiche di inserimento lavorativo delle persone
con disabilità, i CPI si avvalgono dei SIL Servizi di integrazione lavorativa.
I Centri per l’Impiego (CPI) sono delle strutture decentrate dell’Amministrazione
Provinciale. Essi svolgono funzioni ed erogano servizi in materia di gestione del
collocamento, di preselezione, di incontro tra domanda e offerta del lavoro, di
orientamento al lavoro, di iniziative volte ad incrementare l’occupazione e prevenire lo
stato di disoccupazione. Per il collocamento lavorativo mirato i CPI si occupano
dell’iscrizione nell’elenco delle “categorie protette” delle persone con disabilità certificata
e attivano tutte le misure previste per favorirne l’inserimento lavorativo e consentire ai
datori di lavoro di assolvere agli obblighi di assunzione previsti dalla legge n. 68/1999.
Il CPI riceve dalle aziende le richieste di personale con disabilità e le pubblica. Gli
interessati comunicano la propria disponibilità/candidatura alle offerte di lavoro pubblicate.
In relazione alle candidature ricevute viene svolta la preselezione dei candidati ritenuti più
idonei e da segnalare all’azienda che li contatterà per il colloquio relativo all’offerta di
lavoro. Le aziende informano il CPI dei risultati dei colloqui svolti e di eventuali assunzioni.
I SIL sono istituiti presso le ULSS per programmare e realizzare l’integrazione lavorativa e
sociale delle persone con disabilità. La Legge Regionale n. 16/2001 attribuisce ai SIL i
compiti di:
valutare le potenzialità e i bisogni individuali delle persone con disabilità e delle
aziende,
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programmare e gestire percorsi individuali di integrazione lavorativa,
promuovere la collaborazione tra imprese, sistema scolastico per la formazione
professionale e il sistema di cooperazione sociale.
I SIL, in collaborazione con i CPI, dopo aver valutato da un lato le potenzialità delle
persone con disabilità e dall’altro le esigenze delle aziende:
individuano il potenziale candidato,
presentano il suo curriculum all’azienda, che effettua una prima verifica della
corrispondenza tra le caratteristiche richieste e quelle possedute dal candidato,
realizzano un colloquio conoscitivo tra la persona e il datore di lavoro o
responsabile aziendale delle risorse umane,
verificano l’utilità e l’interesse per l’azienda e il candidato di avviare un periodo di
tirocinio formativo e di orientamento della durata di 12 mesi estensibili fino a 24
mesi,
Se il tirocinio si conclude positivamente o l’azienda accetta il candidato proposto, prima di
firmare il contratto di assunzione deve essere effettuata una valutazione da parte del
medico del lavoro.
Al termine di questo percorso, il lavoratore può entrare in azienda per il periodo di prova.
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Strumenti di progettazione professionale: attività di orientamento
Negli ultimi anni si è registrata una maggior attenzione nei confronti dell’avvio al lavoro: la
crisi economica ha inciso negativamente sul mercato del lavoro e ha avuto effetti ancor più
pesanti per le persone con disabilità.
Per controbilanciare gli effetti negativi della crisi economica sono state cercate varie
soluzioni e, in particolare, si è puntato molto sull’attività di orientamento. Realizzare
questa attività di orientamento è importante per tutti i potenziali lavoratori, comprese le
persone con disabilità. Per tutti infatti l’avvio al lavoro è importante non solo dal punto di
vista economico, ma anche dal punto di vista sociale e del riconoscimento della propria
dignità personale: avere uno stipendio porta ad una maggiore autonomia, autostima e
crescita personale.
Molti studi si sono incentrati sull’attività di orientamento finalizzata ad una più efficace
inclusione lavorativa. Nel tempo si è osservato che se inizialmente l’obiettivo dell’attività di
orientamento era quello di valutare le attività lavorative più adatte alle persone in base alle
loro caratteristiche, successivamente l’obiettivo si è invertito ed è diventato quello di
individuare le persone più adatte alle attività lavorative ovvero, come spesso si afferma, “la
persona giusta al posto giusto”.
Tra le prime teorie sull’orientamento quella più nota è stata la teoria di Holland, conosciuta
anche come modello RIASEC. Secondo questa teoria la scelta professionale è
espressione della personalità dell’individuo. Essa suddivide le persone in sei diversi
tipologie:
le persone di tipo “realistico”, che preferiscono generalmente attività che prevedono
l’utilizzo di oggetti, attrezzi e macchinari. Possiedono competenze di tipo tecnico-
meccanico,
le persone di tipo “investigativo”, che sono interessate all’osservazione della realtà.
Sono generalmente persone analitiche, critiche, razionali, riservate,
le persone di tipo “artistico”, che preferiscono produrre qualcosa di nuovo. Sono
generalmente complesse, emotive, idealiste, originali,
le persone di tipo “sociale”, che preferiscono le attività a contatto con gli altri, al fine
di assisterli, educarli, informarli, curarli. Sono generalmente generose, gentili,
socievoli e comprensive,
le persone di tipo “intraprendente”, che sono interessate a esercitare influenza sugli
altri al fine di ricavarne vantaggi personali. Sono persone per lo più ambiziose,
esibizioniste, sicure di sé,
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le persone di tipo “convenzionale” preferiscono attività sistemiche, di elaborazione e
archiviazione di dati. Sono generalmente ordinate, ubbidienti ed efficienti.
Secondo questa teoria, durante l’attività di orientamento vanno valutate le caratteristiche
della persona per poi andare ad individuare l’attività lavorativa più idonea.
Questa teoria appare oggi superata per almeno due motivi. In primis oggi i metodi di
lavoro cambiano molto velocemente e ai lavoratori viene richiesto continuamente di
aggiornare le proprie competenze. Inoltre in un contesto di costante cambiamento,
nascono professioni sempre nuove, caratterizzate da competenze sempre differenti.
Altri approcci teorici si sono sviluppati per trovare risposte diverse: uno di questi approcci è
la prospettiva socio – cognitiva, SCCT. Nell’approccio socio-cognitivo SCCT, ogni persona
fin dalla nascita è esposta a molte attività, dalla cui ripetizione riceve forme diverse di
rinforzo. Le persone svilupperebbero gradatamente le loro abilità e una serie di
convincimenti a proposito di ciò che succederà se realizzeranno queste attività. Come in
un circuito virtuoso la possibilità di ripetere certe attività, portando ad ottenere dei risultati
positivi, porterebbe a percepire un maggior senso di efficacia.
Risultati di ricerche su questo approccio indicano che le credenze di efficacia
migliorano l’inclusione lavorativa anche in presenza di persone con disturbi psichici e
menomazioni intellettive (Nota, Ginevra. Carrieri, 2010).
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Promuovere l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità attraverso
l’orientamento
Occuparsi di attività di orientamento con persone con disabilità comporta l’analisi delle loro
strategie per affrontare e risolvere in modo efficace varie situazioni difficili.
Svolgere attività di orientamento con persone con disabilità significa occuparsi di
inclusione lavorativa e della capacità degli altri soggetti di accoglierle con le loro diversità.
L’inserimento e la permanenza in azienda del lavoratore dipendono da molti elementi: in
primis per le persone con disabilità sono determinanti sia le patologie sofferte che le
esperienze vissute. Sono quindi significative alcune caratteristiche del lavoratore:
la tipologia di disabilità: fisiche, cognitive, cecità, sordità
la durata della disabilità: dalla nascita, permanente, temporanea
la visibilità della disabilità
la pericolosità e irruenza della disabilità
le precedenti esperienze lavorative
lo stile interpersonale.
Queste caratteristiche della persona con disabilità devono essere valutate durante l’attività
di orientamento.
L’attività di orientamento nei confronti di persone con disabilità presenta delle peculiarità.
Nel 2007 è stato messo a punto il “Portfolio per l’assessment, il trattamento e
l’integrazione delle disabilità – Orientamento (Soresi e Nota, 2007), che prevede una serie
di strumenti per approfondire alcune dimensioni importanti per la progettazione
professionale: interviste oppure questionari opportunamente costruiti durante colloqui di
orientamento consentono di fare un bilancio esaustivo delle credenze di efficacia nutrite
dalle persone con disabilità a proposito della loro capacità di scelta professionale.
Durante le interviste possono essere poste queste domande:
-si considera uno che, se lo desidera, è riuscito ad ottenere ciò che vuole?
-si ritiene in grado di fare quello che dice?
-si ritiene in grado di portare a termine ciò che dice?
-si ritiene in grado di prendere buone decisioni per sé e per gli altri?
Durante i colloqui di orientamento vengono messi in evidenza:
-la fiducia nelle proprie capacità di scegliere e realizzare quanto deciso
-la fiducia di saper gestire situazioni difficili
-la fiducia nei confronti della propria capacità di prendere decisioni
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-la fiducia nella propria capacità di autocontrollo emozionale
-la fiducia nella propria capacità di portare a termine compiti e attività
-la fiducia nei confronti della propria capacità di affrontare con successo situazioni e
attività diverse.
Quanto alla valutazione della capacità di problem solving, si possono utilizzare alcuni
schemi di intervista (cfr. Soresi e Nota 2007) e di questionari (cfr. “So approntare i miei
problemi?” di Soresi e Nota 20001b; 2003; “Problem solving inventory” di Heppner 1988
Soresi e Mirandola 1998). In particolare i due questionari citati indagano tre abilità di
problem solving:
la capacità di risolvere situazioni difficili e di autodeterminazione,
la presenza di un atteggiamento positivo nei confronti delle situazioni
problematiche,
la capacità di analizzare cause e conseguenze,
la percezione di una persona di poter controllare le proprie emozioni e
comportamenti.
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Il grado di soddisfazione dopo l’ingresso in azienda
Consapevoli che l’avvio dell’attività lavorativa di una persona con disabilità non equivale
sempre a un buon grado di soddisfazione del datore di lavoro e del lavoratore, risulta
sicuramente utile che i Servizi di integrazione lavorativa SIL realizzino una ulteriore fase di
monitoraggio per indagare “come” si stanno concretamente svolgendo le esperienze
lavorative.
Questa ulteriore fase di indagine dà la possibilità di capire da un lato quanto l’attività
lavorativa sia inclusiva e dall’altro supportare la relazione che si crea tra datore di lavoro e
lavoratore, favorendo la lettura e la gestione di alcuni comportamenti da parte del
lavoratore.
Questa nuova fase di indagine si sviluppa in:
esplorazione del contesto e predisposizione degli strumenti
realizzazione interviste con i datori di lavoro e i lavoratori
analisi dei dati ottenuti e restituzione ai partecipanti.
Sul versante aziendale è importante parlare con la persona che, concretamente, valuta il
lavoratore con disabilità. Questa persona è diversa a seconda delle dimensioni aziendali:
nelle piccole imprese è il datore di lavoro, nelle medie è il tutor o il responsabile delle
risorse umane, nelle grandi, se presente, può essere il disability manager.
Per svolgere questa indagine può essere utile realizzare delle interviste attraverso le quali
si cerca di capire:
quanto l’esperienza lavorativa è stata soddisfacente
se il lavoratore ha ricoperto una mansione di cui l’azienda aveva effettivamente
bisogno
il beneficio ottenuto dall’azienda e i costi che l’azienda ha dovuto sostenere per
consentire l’esperienza lavorativa
se il lavoratore è effettivamente incluso nell’organizzazione
se l’azienda vorrebbe assumere nuovamente il lavoratore.
L’intervista è un metodo particolarmente utile per accedere alle attitudini e ai valori
individuali che non possono essere necessariamente osservate o rilevate con un
questionario.
I temi indagati nell’intervista con i datori di lavoro e i lavoratori sono:
il contesto: la natura del lavoro, il settore di attività
i benefici e le preoccupazioni percepiti all’inizio dell’esperienza
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l’immagine del candidato ideale
il percorso di selezione del candidato
la scelta della mansione: le figure che si sono occupate della sua identificazione e i
ragionamenti che hanno orientato la scelta, così come le caratteristiche del compito
e le abilità richieste per poterlo portare a termine
l’incidenza dei fattori personali e professionali del datore di lavoro, la sua
formazione, gli stati d’animo
gli adattamenti e le modifiche intervenute per favorire il lavoratore e quelle che,
invece, non possono essere tollerate
il grado di soddisfazione e la volontà di condividere l’esperienza con altre
organizzazioni.
I risultati ottenuti dall’intervista, dopo specifica elaborazione, vengono resi agli
intervistati allo scopo di:
rappresentare le dinamiche e le situazioni concrete
far acquisire maggiore consapevolezza ai soggetti coinvolti
migliorare la realtà lavorativa.
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Gestire la disabilità nelle organizzazioni: il Disability Management DM
L’esperienza lavorativa è un momento critico per le persone con disabilità, perché:
rappresenta una possibilità di uscire dal loro mondo e di affermarsi, nonostante le
limitazioni derivanti dalla disabilità
la loro condizione di “disoccupato” è spesso vissuta con un senso di ingiustizia
è un’esperienza che può essere accompagnata da sfiducia e diffidenza.
L’interazione con i colleghi e con i superiori è uno dei mezzi principali che aiutano i nuovi
arrivati a conoscere le loro organizzazioni e a entrare a far parte del gruppo di lavoro. Il
percorso di socializzazione delle persone con disabilità può talvolta essere legato alle
basse aspettative dei colleghi e dei superiori nei loro confronti.
Il tema dell’esperienza professionale dei lavoratori con disabilità può essere analizzato
partendo da due differenti punti di vista:
cosa succede quando un lavoratore disabile fa il suo ingresso in azienda?
come si realizza l’incontro tra il mondo delle organizzazioni e quello della disabilità?
Descrivere gli elementi che determinano l’esperienza lavorativa non è sufficiente senza
una riflessione che si sviluppi all’interno delle organizzazioni stesse. Il DM è nato proprio
per facilitare l’incontro tra la realtà aziendale e quella dei lavoratori con disabilità, partendo
dall’attenzione alle esperienze quotidiane.
Il DM è un filone di studi che si pone l’obiettivo di gestire le diversità presenti nelle
organizzazioni, al fine di sviluppare un ambiente che sia favorevole a tutti i lavoratori
(Roosvelt, 1991:10).
Inizialmente il DM era un insieme di strategie messe in atto per permettere alle persone
che subiscono un infortunio di poter riprendere la loro attività lavorativa.
Il DM si è poi sviluppato attraverso tre passaggi:
1. DM come pratica per accomodare le differenti tipologie di disabilità
2. DM come processo negoziale tra datore di lavoro e lavoratore, con interessamento
di tutta l’organizzazione
3. DM come progetto personalizzato.
Qualunque sia la disabilità o la sua causa, la presenza nell’azienda di una persona
vulnerabile richiede degli accomodamenti tanto nell’organizzazione del lavoro
(distribuzione dei compiti, adattamento delle postazioni con introduzione di ausili specifici,
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flessibilità oraria, telelavoro, ecc.), quanto nella socializzazione delle persone presenti
negli ambienti di lavoro (la relazione tra la persona con disabilità e i colleghi, la capacità di
comunicare tra loro, l’intervento dei colleghi nel rispetto del nuovo lavoratore, la capacità di
quest’ultimo di chiedere aiuto ai colleghi, ecc.).
Quando questo accomodamento è considerato ragionevole per l’organizzazione?
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, all’art. 2
definisce “accomodamento ragionevole” l’insieme di modifiche e di adattamenti necessari
ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve
ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e
l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà
fondamentali.
L’accomodamento è quindi la “messa in pratica” di indicazioni politiche, attraverso cui si
consente l’armonizzazione delle esigenze della persona con disabilità con le procedure di
un luogo di lavoro. La buona riuscita di un processo di accomodamento richiede il
contributo di tutti i membri dell’organizzazione, una grande conoscenza del contesto e un
insieme di capacità che consentano la creazione di relazioni positive tra tutti i colleghi.
Tuttavia qual’ è la soglia oltre la quale l’accomodamento è considerato sproporzionato?
Non è sufficiente valutare l’accomodamento solo secondo l’aspetto economico, gli
investimenti necessari o i minori guadagni. Va tenuta in considerazione anche la
dimensione soggettiva che ne deriva: la scelta di accogliere una persona con disabilità è
vissuta come giusta in quanto affermazione di un diritto umano o ingiusta in quanto
percepita come mancanza di equità?
La presenza di una dimensione soggettiva apre un maggior spazio al DM, legato alla sua
dimensione sociale. Il DM è infatti considerato come un percorso interattivo, che richiede il
coinvolgimento di tutti, dai datori di lavoro ai lavoratori, siano essi persone con disabilità,
responsabili delle risorse umane, tutors e tutti i colleghi. Diverse sono le strategie che
possono essere impiegate:
la creazione di un clima che favorisca una relazione di aiuto tra i dipendenti,
la definizione di mansioni coerenti con il profilo di competenza,
interventi di formazione sia per le persone di riferimento (tutors, supervisori, ecc.),
interventi di formazione per tutto il personale per ridurre i pregiudizi,
interventi di team building, ecc.
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Questo quadro dimostra come il DM sia un percorso che richiede il coinvolgimento di tutti i
colleghi, estendendo i benefici a tutti i membri dell’organizzazione. Secondo questa
concezione il DM è:
un filone di ricerca che, prendendo atto degli impatti della disabilità e ponendosi come fine
di coniugare obiettivi aziendali di produttività con obiettivi individuali di qualità della vita
lavorativa, rimodella l’organizzazione e i processi aziendali nel tempo e nello spazio. Nel
tempo, perché l’azienda deve continuamente conformarsi alle mutevoli esigenze dei
lavoratori e ai progressi tecnologici e scientifici; nello spazio, perché la validità delle
soluzioni adottate induce la stessa azienda ad estenderne l’applicazione anche ad altre
sue partizioni (funzioni, divisioni, reparti ecc.), così come stimola altre aziende ad
emularne la sperimentazione” (Angeloni, 2011:39).
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Inserimento, integrazione o inclusione lavorativa?
I termini “inserimento”, “integrazione” e “inclusione” lavorativa rappresentano tre diversi
approcci dell’esperienza lavorativa delle persone con disabilità.
Il concetto di inserimento, nato con la prima normativa che ha sancito il diritto al lavoro per
le persone con disabilità, è stato abbandonato (almeno a livello teorico) con il passaggio
alla Legge n. 68/1999 che ha visto l’introduzione del termine integrazione lavorativa,
espressione oggi condivisa almeno a livello nazionale. Solo recentemente, in ambiente
internazionale, ha iniziato a farsi largo una prospettiva nuova, definita come inclusione.
Questi tre scenari, inserimento – integrazione – inclusione, delineano tre differenti
modalità di realizzazione delle esperienze lavorative per le persone con disabilità.
E’ infatti molto diverso pensare ad un posto di lavoro qualsiasi, ad un percorso lavorativo
specifico per la tal persona oppure, infine, ad un percorso che non sia per nulla diverso
da quanto viene realizzato per qualsiasi altro dipendente.
L’inserimento lavorativo
Il concetto di inserimento definisce l’ingresso di un individuo in un contesto istituzionale,
sociale oppure produttivo già esistente. Nel caso della normativa italiana l’inserimento è:
• obbligatorio: disposto dalla legge che individua anche il sistema di sanzioni per i
trasgressori e gli incentivi (sgravi fiscali) per chi assume;
• mirato: definito come l’insieme degli strumenti che permettono la valutazione della
persona con disabilità nella sua capacità lavorativa e il suo inserimento più idoneo.
Fare inserimento lavorativo, vuol dire trovare un posto di lavoro, una collocazione (ecco la
valenza del termine collocamento) in una cella, dentro uno spazio (Zanolin, 2000). In
questa prospettiva il “lavoratore” è colui che occupa un posto, senza prestare attenzione
alla tipologia di attività che la persona svolge (Manoukian, 2000).
E in effetti il compito dei Servizi pubblici preposti è quello di trovare questa collocazione,
che garantisca alla persona un’opportunità lavorativa e, contemporaneamente, consenta
all’azienda di assolvere all’obbligo a cui è soggetta.
Limite di questo approccio è che le aziende e i Servizi pubblici possono limitarsi a produrre
delle prassi generiche che non sono in grado di rispondere né alle esigenze dei lavoratori
con disabilità né a quelle dell’organizzazione stessa (Bombelli, 2008).
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L’ integrazione lavorativa
Con l’introduzione della Legge n. 68/1999 il termine inserimento viene sostituito da quello
di integrazione lavorativa che, tutt’ora, ispira le esperienze che accompagnano i lavoratori
con disabilità all’interno dei contesti organizzativi.
La cultura dell’integrazione è incentrata sulla valorizzazione delle differenze tra i colleghi.
Alla base di questa prospettiva c’è la valorizzazione delle diversità all’interno della forza
lavoro e la ricerca di potenziali benefici proprio a partire dalle differenze. Il riferimento è ad
un’interazione tra differenze, tra parti diverse all’interno di un processo dinamico (Marabini,
2000).
Lavorare per l’integrazione significa attivare un cambiamento reciproco sia da parte del
lavoratore che dell’azienda, che porta alla piena partecipazione della persona all’attività
produttiva e alla sua realizzazione personale attraverso il lavoro (Marabini, 2000).
Tra inserimento e integrazione muta la prospettiva: non si tratta più di trovare un posto di
lavoro, ma di favorire un agire rivolto a rendere possibile la realizzazione di sè del
lavoratore (Zanolin, 2000). L’obiettivo, in questo caso, non è più adempiere agli obblighi di
legge, ma trovare il posto giusto per una data persona, intraprendendo le azioni
necessarie sia nella fase di ingresso che in quelle successive (Bombelli, 2008). Il
momento della presentazione in azienda è estremamente delicato: la persona deve
acquisire le regole interne al contesto, mentre i colleghi hanno bisogno di comprendere
una realtà che non deve spaventare ma arricchire (Mannucci, 1997: 70-73).
L’azienda non è più un soggetto passivo ma, al contrario, è chiamata a una ricerca di
aggiustamenti e cambiamenti del proprio processo produttivo a vantaggio di tutti,
compreso il proprio interesse organizzativo e produttivo (Montobbio, 1999).
In questa prospettiva cambia anche il ruolo dei Servizi pubblici poiché si trovano “a metà”
tra gli interessi del lavoratore e dell’azienda.
Si realizza in questo modo una triangolazione tra azienda, lavoratore e servizi, basata
sulla mediazione, che ha l’obiettivo di operare sempre sue due fronti: promuovere
l’evoluzione della persona con disabilità per raggiungere la maggior autonomia e capacità
lavorativa possibile e determinare un cambiamento aziendale (Mazzonis et al, 2005: 50).
Il lavoro, può rappresentare un circolo virtuoso in cui le diverse componenti, individuali e
sociali, si modificano a vicenda (Valentini e Rizzo, 2011: 34). E questo, a cascata, può
portare a modificare la percezione che la persona con disabilità ha di sé, ma anche il suo
ruolo nella società; può in aggiunta portare allo sviluppo di una cultura dell’accoglienza,
della solidarietà, dell’accettazione e delle diversità (Cardini “et al”, 2001).
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Il panorama degli studi italiano si chiude attorno al concetto di integrazione lavorativa ma,
come abbiamo visto in precedenza, sta emergendo in questi ultimi anni, anche un
concetto nuovo, legato al termine inclusione.
L’inclusione lavorativa
La diversità è vista come l’insieme delle differenze reali e percepite rispetto ad etnia,
status, abilità che influenzano le relazioni tra le persone e si basano sul potere di alcuni
gruppi che categorizzano sé stessi e gli altri (Bell, 2011: 4). Parlare di inclusione
lavorativa, quindi, significa uscire dalla logica che distingue le persone con e senza
disabilità e diventa applicabile a qualsiasi lavoratore. In altre parole, attraverso questo
concetto è possibile racchiudere tutti quegli interventi che l’organizzazione può mettere in
atto per accogliere ciascun dipendente.
Per definire il concetto di inclusione, Pless e Maak, utilizzano l’immagine della “casa
dell’inclusione”, che può essere costruita sulla base di alcuni pilastri:
• principio del riconoscimento reciproco: affrontare la diversità significa riconoscere la
differenza. Valorizzare la diversità significa garantire gli stessi diritti a tutti e, allo stesso
tempo, riconoscere l’unicità di ogni persona;
• comprensione reciproca: al fine di creare una cultura inclusiva, in cui le persone lavorano
insieme per raggiungere obiettivi comuni, diventa fondamentale capirsi, rispettarsi e
favorire relazioni, in modo da far emergere le voci degli attori emarginati;
• pluralità di punti di vista: nella pratica può essere più difficile garantire il rispetto di tutti i
punti di vista. Ciò che è considerato giusto, o sbagliato, deve emergere da una visione
condivisa, ed è indispensabile creare un dialogo aperto e partecipato per poter poi
giungere ad un approccio comune alle questioni.
Per essere in grado di realizzare inclusione lavorativa sono necessarie delle competenze
che però hanno bisogno di essere parte di un sistema più ampio di management,
altrimenti rischiano di non avere effetti a lungo termine:
• avere rispetto ed empatia;
• riconoscere l’altro come diverso ma secondo un principio di uguaglianza;
• mostrare apprezzamento per la pluralità delle voci presenti nell’organizzazione;
• dichiarare chiaramente quali sono i parametri di valutazione dei comportamenti;
• ascoltare attivamente;
• cercare di capire i punti di vista e le opinioni diverse;
• incoraggiare la comunicazione aperta in tutte le interazioni;
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• favorire un processo decisionale partecipativo;
• alimentare l’integrità morale, soprattutto nel caso di dilemmi di natura etica;
• promuovere uno stile di leadership cooperativa;
• stimolare il dialogo continuo che è fondamentale per sviluppare relazioni di fiducia;
• restituire sempre un feedback ai dipendenti sia attraverso l’apprezzamento che le critiche
costruttive utili a modificare l’atteggiamento e a liberare il potenziale nascosto;
• provare anche a capire le cause di scarso rendimento e a trovare con i dipendenti le
soluzioni migliori per aumentare le prestazioni;
• offrire la possibilità ai dipendenti di esprimere i bisogni e le aspirazioni (Pless, Maak,
2004: 130-140).
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BIBLIOGRAFIA
E.P. Luciano Galiazzo, Convegno “L’integrazione lavorativa delle persone con disabilità”,
Conselve (PD), 9 giugno 2017
AA.VV., Preatti Convegno Internazionale “Decent Work, equity and inclusion. Passwords
for the present and the future”, Padova, 5-7 ottobre 2017
Salvatore Soresi (a cura di), Promuovere l’inclusione lavorativa e sociale, in Psicologia
delle disabilità e dell’inclusione, Il Mulino, 2016, Bologna, pagg. 291-302
Salvatore Soresi (a cura di), Strumenti e procedure di assessment per l’orientamento e la
progettazione professionale, in Psicologia delle disabilità e dell’inclusione, Il Mulino, 2016,
Bologna, pagg. 303-318
Salvatore Soresi (a cura di), Nuove dimensioni per progettare il futuro professionale e per
dare significato al lavoro, in Psicologia delle disabilità e dell’inclusione, Il Mulino, 2016,
Bologna, pagg. 319-338
Emanuela Zappella, tesi di dottorato di ricerca “Purchè dia il suo contributo: l’inclusione
professionale delle persone disabili nel territorio di Bergamo e provincia”, Bergamo, A.A.
2012/2013