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BIBLIOTHECA SARDA  N. 91

Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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 In copertina:Giovanni Ciusa Romagna, Processione , 1933

IL CONSUMO DEL SACROFESTE LUNGHE DI SARDEGNA

prefazione di Vittorio Lanternari

Clara Gallini

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INDICE

Riedizione dell’opera:

 Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna,Bari, Laterza, 1971.

© Copyright 2003ILISSO EDIZIONI - NuoroISBN 88-87825-77-7

Gallini, ClaraIl consumo del sacro : feste lunghe di Sardegna/ Clara Gallini ; prefazione di Vittorio Lanternari.- Nuoro : Ilisso, c2003.293, [53] p. ; 18 cm. - (Bibliotheca sarda ; 91).I. Lanternari, Vittorio1. Religiosità popolare - Sardegna2. Novene - Sardegna394.2660945922

Scheda catalografica:Cooperativa per i Servizi Bibliotecari, Nuoro

9 Prefazione

29 Nota biografica31 Nota bibliografica

IL CONSUMO DEL SACRO

35 Nota all’edizione41 Introduzione

Parte primaI NOVENARI, I PAESI

53 I. Novenario e paese53  Il luogo66  Alcune questioni storiche 70  Le pratiche devozionali 72  La vita quotidiana

77 II. Cinque novenari77  Primi approcci descrittivi (1966)77 San Francesco di Lula85 Santi Cosimo e Damiano di Mamoiada

88  Madonna del Rimedio di Orosei 92  L’Annunziata di Bitti 94  La Madonna di Gonare 

98 III. Cinque comunità98  La zona99  Bitti (5774 ab.)

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211  Le contraddizioni nell’ambito del cattolicesimo214  La pratica religiosa alla novena215  La pratica religiosa in paese 217 Cose da donne 218  Il malocchio221  Il ballo dell’Argia222  Il canale delle donne 224 Conflitti di competenze 

Parte secondaLA FESTA

229 I. La tregua dell’invidia229  L’istituto della festa229  La sospensione della norma231 Ospitalità e dono235  Lotta e patteggiamento240  La tregua delle discordie 242  Il diritto d’asilo

245  La fratellanza e le discriminazioni 249  La libertà dei giovani 255  La festa nell’economia dei consumi 

262 II. Tutti pari262  Il modello della parità265  Parità e scambio268  Il piano del festivo269  La vistosità270  Il consumo275  Il godere consentito

281  L’effimero

 Appendice I285 METODOLOGIA DELLA RICERCA

 Appendice II295 T ABELLE

103  Mamoiada (3233 ab.)105 Oliena (7000 ab.)111 Orosei (4214 ab.)113  Nuoro (30.000 ab. circa)

121 IV. La popolazione dei novenari121  Il censimento (1967)121  Le occupazioni 

127  Maschi e femmine 129  Le classi d’età130  I gruppi parentali 134  Amicizia e vicinato135  I gruppi di paese 

137 V. Questioni economiche e organizzative137  Economia e organizzazione della novena137  Beni in denaro, beni in natura, ore di lavoro139  Il costo di una novena per famiglia141  Il bilancio della novena

170  La questua175  L’autonomia organizzativa183 Struttura dell’organizzazione 

185 VI. Le motivazioni185  L’inchiesta mediante questionario (1967)187  Le voci di fuori 189  Mobilità191  Mass media e trasformazioni 191  Il ballo194 Sondaggi sull’informazione 

197  L’istruzione 199  La promessa201  Le motivazioni di una novena203 Godimento e sacrificio204  Il matrimonio205  Il funerale 206  Il lamento funebre 

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PREFAZIONE

È opportuna una breve premessa orientativa su un pia-no storico-culturale, concernente il contesto ambientale nelquale si colloca il testo originale di Clara Gallini, con la suaricerca – svolta tra il 1967-68 – sul tipico fenomeno sardodelle feste novenali, o “novena”. La novena, che è un rito dipellegrinaggio annuale di 9 giorni – fra maggio e settembre –, coinvolge interi gruppi famigliari e paesani. Essa compor-ta un trasferimento d’una massa di abitanti di vari paesi: abi-tanti diretti verso la loro chiesa separata e più o meno lonta-na dal paese, e ritualmente eletta come santuario al quale siricorre per pregare e svolgere principalmente riti di guarigio-ne e offrire voti di ringraziamento.

La ricerca di Clara Gallini si svolgeva precisamente nelpieno periodo che, dagli anni ’50-60, – il Dopoguerra e i

 vorticosi processi di trasformazione indotti nelle condizionisocio-culturali e strutturali di vita dell’intera nazione – videsvilupparsi e diffondersi in forme d’intensa partecipazioneogni manifestazione già tradizionale di folklore religioso, especialmente le feste religiose popolari locali d’ambito siarurale sia urbano. Il richiamo all’antico culto del santo pa-trono o della Madonna del paese, muoveva e faceva vibrarela massa degli abitanti come simbolo sacro della propriaidentità, della propria appartenenza e sodalità di paesani, so-prattutto rispetto alla crisi indotta dalle travolgenti trasforma-zioni culturali portate dalla trasmutazione del mondo conta-

dino già caratteristico del nostro Paese, nel nuovo mondoindustriale.

Infatti il nostro Paese da agricolo diventava industriale,con l’avvento delle nuove tecnologie, la diffusione dei mediae la nascita della “cultura di massa”. Si affermava via via lanuova “filosofia” del “consumismo” che invadeva la “societàdi massa” come ideologia psicologicamente schiavizzante e

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ad ogni festa religiosa collettiva tradizionale d’origine arcaica,cioè originata da una cultura di base rurale.2

Non senza ragione dunque Clara Gallini si propone disondare il fenomeno “novena” sotto un aspetto certamentesacrale, ma congiuntamente “consumista”. È quanto ella pro-pone nel titolo del libro. Senza gravi difficoltà, le riesce di ri-trovare l’aspetto “consumista”, o “borghese”, nelle feste pre-senti all’epoca della sua ricerca, verso il 1970. Il processo di

“omologazione” culturale è maturato rapidamente, dalla spin-ta degli anni ’50-60, tra i diversi ceti sociali, così da far pro-pri modelli di mentalità e di comportamenti condivisi, daglistrati popolari a quelli borghesi. È nato un modello “neoru-stico” che vuol imitare lo stile della Costa Smeralda. L’indagi-ne svelava che la novena del tempo allora presente, oltre aconservare l’aspetto rituale-religioso, aveva anche acquisitoil nuovo significato, spregiudicato, di riadattata “villeggiaturafamigliare annuale”.

C’è da pensare pertanto che oggi, dopo oltre trent’annidall’epoca della ricerca, con lo sviluppo vertiginoso dato agli

aspetti edonistici e materialisti della vita collettiva e individua-le della società di massa – società resa ligia all’ideologia delconsumismo –, pur serbando un pressante bisogno di comu-nicazione sociale e di solidarietà morale fra simili o fra vicini,come la festività novenale in effetti tuttora dimostra, la com-ponente edonistica che chiamiamo “villeggiatura” abbia ancorpiù incentivato il ricorso ad ogni moderno diversivo di danze,giochi, canzoni, interventi di artisti, cantanti, musicisti. A talicomponenti già accenna il testo originario di Clara Gallini. E c’èda pensare che le generazioni giovani predominino numerica-mente nella partecipazione alla festa, rispetto agli anziani agri-

coltori o pastori. A questo punto sembra opportuno dare un resoconto

abbreviato dei vari elementi che costituiscono la novena, in

 Prefazione 

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2. V. Lanternari, “Il desiderio del ritorno. Dai consumi di massa allascoperta dei «beni culturali»”, in  Prolegomeni a una politica dei beni culturali , Milano-New York, Reggiani, 1992.

che rinnegava o obliterava automaticamente i vecchi modellidi carattere pratico o formale della vecchia cultura.

Ma insieme e in senso contraddittorio prendeva forza unblocco insistente di vecchi rituali religiosi e feste religiosefolkloriche comunitarie, contro l’ondata culturale che PierPaolo Pasolini chiamò, in senso deplorevole, “omologato-ria”, in quanto demolitrice di quella identità tradizionale cul-turale sempre, fino allora, difesa da ogni “piccola patria”, co-

me sacra e psicologicamente come “valore proprio”.1Dunque da un lato il “progresso” industriale e scientifi-

co visto come forza propellente del mondo contemporaneod’Occidente, si imponeva. D’altro lato contraddittoriamenteprendeva piede l’insidioso attentato allo specifico caratteredi “proprio e originale valore identitario” riconosciuto dallacomunità orgogliosamente protagonista del rito o della festareligiosa tradizionale. La festa religiosa popolare tradiziona-le, ereditata dagli antenati come proprio “bene culturale”esclusivo, risulta sempre irrinunciabile nella pratica delleculture più varie. Tanto che qualsiasi tentativo di soppres-

sione fosse mai stato tentato storicamente risultò fallimenta-re, o con reazione comune di squilibrio psico-sociale e ma-lessere comune.

Giova in proposito aggiungere che il “ritorno alle radici”si attua mediante un rito collettivo di paese (o di villaggio co-me “piccola patria”), pur in tempi del tutto recenti, cioè daquando ben più profondo distacco si è praticato dalle tradi-zioni ancestrali in conseguenza delle recentissime rivoluzionielettronica, telematica, digitale, globalista ecc.; dunque il ri-chiamo alle “radici” esprimentesi mediante un rituale caricodi simbolismi identitari e sacrali trova notevole spazio tuttora

nella cultura locale a livello di religiosità popolare, in ogniregione e nazione contemporanea, dove il “moderno” e l’“ar-caico” si ritrovano sistematicamente congiunti e sincretizzati.Si può dunque ben riconoscere il valore di “bene culturale”

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1. V. Lanternari, Crisi e ricerca d’identità. Folklore e dinamica culturale ,Napoli, Liguori, 1977, pp. 97-108, 159-182.

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piccolo villaggio di casette unite fra loro, che è oggi il “villag-gio sacro” delle novene. Ed esso è ben distinto dal villaggioordinario, che è il paese di residenza corrente d’ogni pellegri-no. “Sacro” è il villaggio minimale delle casette unite fra loro,intorno alla chiesa centro della componente devozionale dellafestività novenale. D’altra parte questo villaggio ormai lasciascoprire pure una componente che dobbiamo ammettere co-me “turistica e residenziale” per il breve periodo dei nove dì

di devozioni. Viceversa il “paese”, tutto stradine ed edifici apiù piani con negozi ed opifici, si presta ad attività produttive,mercantili, socio-culturali, in breve “profane”. Qui prevale il“lavoro”, mentre è la “festa” che prevale nel villaggio “sacro”.E tra lavoro e festa, come tra mondo “profano” e mondo “sa-cro”, corre una continuità che è pure una complementarità. Lapreghiera, la devozione, il voto e il ringraziamento alla divinaentità presente nella chiesa, sono altrettante parole e atti fun-zionali al bene che si auspica di ottenere dal potere sacraledella Madonna o del santo. Ma è pur vero che ai sacri riti èbene aggiungere la libera partecipazione solidale di visite in-

terfamigliari, di stretta collaborazione fra persone amiche inoccasioni foriere di confidenziali legami, nuovi e preziosi. In-fatti nel “paese profano” ben difficile e stentata è l’occasionedi stringere nessi psico-morali tra individui impegnati nel pro-prio lavoro, e la società nel suo insieme si sente frammentatae divisa in separati settori di famiglie. Vediamo pertanto emer-gere dall’istituzione novenale, una funzione sociale e insiememorale tesa a promuovere ravvicinamenti tra soggetti o grup-pi dapprincipio estranei, ampliamenti di reciproche conoscen-ze, aperture verso atteggiamenti e mentalità innovative o co-munque nuove per singoli soggetti o singole famiglie.

Così la distinzione fra “paese” e “novena” corrisponde,come ci indica Clara Gallini, a due realtà antitetiche ma com-plementari o – noi diremo – interfunzionali tra loro: da unaparte, il “paese animato” ufficialmente dalla comune vita lavo-rativa di una comunità che riconosce fra i suoi abitanti una pro-pria identità autonoma etnico-culturale. In tale identità ovvia-mente si annovera come requisito essenziale il pellegrinaggio

 Prefazione 

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senso di tempo, di spazio, di modi di agire, di regole fissatee di tendenze predominanti nei rapporti fra le persone che siritrovano occasionalmente tra loro vicine e raggruppate, ben-ché spesso di diversa origine familiare e anche territoriale.

L’operazione-base che promuove e dà il via alla novenaconsiste nel trasferimento, a mo’ di “pellegrinaggio” organiz-zato in gruppi partenti autonomamente da diversi paesi piùo meno vicini, e che seguendo diverse direzioni convengo-

no verso una località comune, cioè “il posto novenale” sitoin aperta campagna. È il centro tradizionale al quale s’indi-rizzano gruppi multipli, tra loro autonomi, destinati a far vitacomune per nove giorni, e dunque a stringere insieme rap-porti che valgono a creare nuove relazioni positive e solida-li; ed è precisamente la più importante funzione svolta dalciclo festivo delle novene nel collegare in senso amichevolegente proveniente da diverse località, e diverse origini di fa-miglia. Il posto novenale è contrassegnato dalla chiesa che,di origine più o meno antica, funge da santuario, costellatotutt’intorno da una corona di piccole casette, quasi capanno-

ni di un’unica stanza, accostati fra loro. Sono meta del viag-gio e umile alloggio cui accedono i gruppi peregrinanti, iquali vi introdurranno, in ordine, le più varie masserizie cheessi debbono trasportare dal proprio paese, con qualsiasimezzo di trasporto: carro o furgone o altro, per vivervi i no- ve giorni fissati del periodo estivo, fra maggio e settembre.

La nostra studiosa segnala che in tempi lontani – si fa ri-salire l’origine delle feste novenali sarde tra il ’500 e il ’600 – la festa presentava una valenza squisitamente religiosa, conofferte personali dai pellegrini dedicate alla Madonna o alsanto in chiesa, mediante ex-voto bene auguranti per la salute

propria e della famiglia, per il fertile successo dei prodottiagrari nonché la salute e la fecondità delle greggi. Nel lontanopassato dunque i pellegrini novenali non trovavano sul postoripari costruiti come oggi, ed erano indotti a consumare pastie a dormire nell’unico riparo esistente, la chiesa. Ne sorseroripetute polemiche del clero responsabile, contro l’unificazio-ne, in sé insostenibile, di “sacro” e “profano”. Ne risultò quel

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l’ordine ingiunto all’arrivo, con criterio adeguato, dal “priore”che si sceglie come regolatore dell’ordine generale del centronovenale, si desume l’insieme di significati psicologico-cultu-rali, e di funzioni comunicative e sociali che emergono a con-fronto con il consuetudinario tenore di vita svolta al paese.Certamente quotidianità e festività si fondono insieme da unlato, per gran parte del tempo d’ogni giornata. Non possononon ripetersi le attività proprie di cucina, di cura dell’abita-

zione, consuete d’ogni casa. Ma qui v’è in più l’esposizionedi oggetti alla fiera esterna, nella grande corte. V’è nel po-meriggio il culto devozionale e penitenziale, specie per ledonne. V’è poi la sera con balli, canti, divertimenti per tutti,giovani e anziani, e soprattutto con l’unificazione di gruppie famiglie originariamente estranee tra loro, e qui invece ag-gregate insieme in un clima caloroso di compartecipazionesolidale e amichevole. Vero è che risulta frequente l’uso se-guito da uomini adulti, di sera, di riunirsi in una bettola abere insieme. Ma gli uomini frequentemente, se il proprio“paese” non è troppo lontano, si ritirano a passare la notte e

l’indomani mattina a casa propria sia per non ammassaretroppa gente nel locale assegnato, sia per lavorare, e quinditornare l’indomani per pranzo.

Un significato nuovo assume il rapporto tra gruppi origi-nariamente stranieri fra loro, mediante l’importante nuovoistituto dello “scambio di visite”, che viene sistematicamenteinaugurato tra adulti di differenti famiglie o gruppi. Sonoscambi che si ama ripetere più volte, per rafforzare il nuovorapporto di durevole amicizia innovativa.

 Alle visite scambievoli si aggiunge ordinariamente, di se-ra fino a tarda notte, il diversivo di giochi, balli a coppie con

musiche di transistor o mangiadischi, ma anche con cantantie suonatori professionali appositamente impegnati per unafesta, decisamente orientata dunque in senso – per così dire – pagano. Ciò prova che soprattutto i giovani di propositoimprimono alla novena, e sempre più lo faranno oggidì, untono moderno, spregiudicato, del tutto laico e – in senso la-to – “consumista” o “borghese”.

 Prefazione 

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annuale della novena, ed è un requisito che noi chiamiamo“folklorico” in quanto è frutto inconfondibile e segno specifi-co di fonte “popolare” tradizionale. Ed è perciò un dato irri-nunciabile. Dall’altra parte troviamo il “villaggio campestre”, ilquale “fuori”, cioè in area libera più o meno distante da ogniproprio paese, raduna genti di diversi centri abitati, in un pae-saggio aperto alla campagna. E gli ospiti provvisori di questo villaggio-campestre si sentono animati da due essenziali ri-

chiami: quello interiore di tono devozionale in un contesto re-ligioso collettivo, l’altro di carattere gioioso e fraternizzante,secondo un clima che potremo dire simpaticamente “turistico”e insieme “socializzante”.

Del resto non è un caso – conviene qui precisare – chel’istituto della novena tipicamente d’origine sarda, vada inter-pretato storicamente come modello di festa sviluppatosi daltipo di feste campestri ovunque diffuse tra società contadine,limitate nel tempo ad una sola giornata, in risposta dunquead un desiderio sordamente percepito e ad un bisognoemerso via via fra contadini e specialmente pastori sardi, di

 vincere il secolare isolamento fra gruppi paesani che ne ca-ratterizzava e a lungo ne caratterizzò il sistema di vita. È ilmodo di rispondere ad una esigenza socialmente via via af-fermatasi a livello di coscienza collettiva, in particolare – anostro avviso – in rapporto alla condizione della vita pasto-rale. A ben vedere, è il fatto che le prime chiese come nuovicentri di attrazione, e di possibile, durevole riparo per le per-sone, furono costruite autonomamente dagli stessi candidatinovenali, e ciò a dispetto della autorità ecclesiastica ufficiale,che entrava in polemica contro l’originaria, indegna mistura, – in chiesa – di sacro e profano. Dunque la nuova iniziativa

ed usanza delle “casette” sta a testimoniare in qual modo sisvolse il processo storico di nascita delle feste novenali in-centrate nella chiesa nuova, collocata in piena campagna.

Dall’esame redatto dalla attenta e rigorosa antropologacirca gli elementi della quotidianità della vita riscontrabili neigruppi e nelle famiglie distribuite tra le varie case secondo

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scaricare mobili, brande, materassi, nonché bambini e unaimmancabile riserva di birra.

S’è presto visto portare ed offrire in voto sacrificale unapecora, in onore del santo Francesco, come dono dovuto inproporzione al peso del malato presente, del quale si speradi ottenere la guarigione. È il voto del pellegrino che accom-pagna un malato per il quale si compie il pellegrinaggio, ol-tre che per molte altre diverse condizioni di sperato favore.

Come si vede, siamo dinanzi ad una cultura ligia alla tra-dizionale base magico-religiosa. Del resto, l’intera società mo-derna, anzi contemporanea – dobbiamo rilevarlo – rifà suespregiudicatamente le credenze e le pratiche magiche già pro-prie degli arcaici ceti rurali. Oggi la magia vuole – differente-mente dal passato – foggiarsi di titoli “scientifici”, nella prete-sa di apparire “moderna”. I partecipanti alla novena di Lulasono soprattutto i Nuoresi, e in più si presentano anche turististranieri (ma raramente gli abitanti di Lula, trattenuti in pae-se). Nell’insieme i presenti danno luogo a libere danze, can-zoni, libagioni, al distendersi serenamente sull’erba dei campi.

Chiaro dunque risulta l’abbinamento di espressioni religiose(o magico-religiose) ed altre, in realtà preminenti, cioè perpiù lunghe ore impiegatevi, di carattere dilettantesco ed edo-nista. Si direbbe che la “capitale” come tale, Nuoro, impongaun tono piuttosto scanzonato e moderno, benché sempre uni-to con atteggiamenti di carattere arcaizzante e tradizionale.

Per quel che concerne la novena della chiesa dei SS. Co-sma e Damiano, la nostra antropologa segnala in essa la mo-bilitazione particolare di pastori di Mamoiada e Orgosolo, iquali vi trovano l’occasione gradita per discutere, tra elementidi paesi differenti, su problemi comuni: per esempio sul gra-

 ve allarme della siccità con facile morìa del bestiame, sul co-sto dei pascoli e sul prezzo del formaggio da loro prodotto.Parlano talvolta anche del banditismo del non lontano passa-to, specialmente famoso ad Orgosolo. Le donne approfittanoper stringere relazioni tra comari di residenza lontana. Pertutti, la sera si dà corso ad una fiera-mercato di oggetti espo-sti su cosiddette “logge”, mentre fra le attività di divertimento

 Prefazione 

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L’importanza attribuita dagli abitanti al ciclo novenario difesta in Sardegna, è provata dal numero di “chiese campe-stri” contate nella ricerca tenuta da Clara Gallini nel 1968.Erano, allora, 41 oltre alcune abbandonate. Non ci risultanooggi eventuali variazioni, che potrebbero utilmente indicareorientamenti prevalenti. Tuttavia dobbiamo dire che in gene-rale feste religiose collettive, di tipo popolare, si affermanoalla lunga come autentici “beni culturali” simbolicamente ca-

richi di un proprio valore “identitario”, e perciò irrinunciabiliper le comunità locali. Oggi sono “beni” ampiamente valo-rizzati a livello scientifico (storico, antropologico).

La ricerca di Clara Gallini assume cinque modelli dichiese campestri novenali, come campioni tipici, nella va-rietà di paesi di collegamento e di organizzazione novenale.Oltre ai casi della Madonna del Rimedio (Orosei), dell’An-nunziata (Bitti), SS. Cosma e Damiano (Mamoiada), Madon-na (Gonare) – tutti dell’area Nuorese, tra i più famosi e fre-quentati, il caso più importante, in quanto collegato con lacittà di Nuoro ed i suoi abitanti, è quello della novena di Lu-

la. Proprio i Nuoresi risultano essere gli organizzatori dellanovena di Lula, da cui essi direttamente dipendono come sta-bilmente e in numero assai grande collegati con essa. Questachiesa-santuario è sacra a San Francesco, che funge da patro-no dei pastori, ed anche controlla gli abigeatari. A propositodi abigeato, è bene sottolineare che ancora all’epoca dellaricerca qui esposta l’economia locale era qualificata come“precapitalista”. Vi si inseriva come pratica frequente e cor-rente, anche l’abigeato.

L’eminenza suprema della figura di San Francesco cometitolare della chiesa e della novena, e insieme il nesso strin-

gente istituito con la città “capitale” di Nuoro, sembrano figu-rare come elementi dai quali psicologicamente e inconscia-mente si enuclea quel senso di orgoglio, di prestigio di cuisi vantano i fedeli della novena di Lula. Basti dire che si so-no visti e contati accedere al centro novenale di Lula 500 fe-deli provenienti da Nuoro. Giunti alla “corte”, serie delle ca-sette destinate a ospitarli e loro assegnate all’arrivo, si è visto

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della nostra interprete antropologa, una razionalità nel casosuindicato di furto, come la si ritrova pure in un altro ben di- verso contesto. Infatti una intensa polemica viene pronuncia-ta, in sede di novena, contro l’effervescenza di pratiche ecredenze fondate sulla magia.

Infine, il quinto campione novenale raccolto ed esamina-to da Clara Gallini, è quello della novena e chiesa della Ma-donna di Gonare. Anche qui troviamo qualche caratteristica

distintiva, come del resto risulta in ogni altro caso sopra pas-sato in rassegna. Soltanto donne prendono parte attiva allafesta novenale di Gonare, mentre sono gli uomini che opera-no come organizzatori della novena, senza poi parteciparepersonalmente ad essa. Un accento è posto nella novena, inbase a riti di ordine magico volti a garantire la fecondità dellesingole partecipanti. Qui si impiega un preparato di polveredi pietra raschiata, dal potere magico. Fra le partecipanti allanovena è diffusa l’idea che “la comunità di novena” funge daistituto di socializzazione tendente a creare nuovi vincoli trafamiglie, oltreché entro la famiglia, come si desume dalla di-

stribuzione delle mansioni tra donne e uomini.La nostra antropologa ha voluto integrare i dati raccolti

sulle novene come tipo di festa speciale, con elementi che get-tano luce sul complesso della cultura sarda dell’epoca. Ci limi-tiamo a rilevare aspetti essenziali, soprattutto riguardo ai muta-menti da allora in corso e avviati in senso dinamico. Anzituttoè bene distinguere sul piano sociale due diversi ceti nel mon-do pastorale originario: cioè i pastori proprietari di pascoli,detti principales , e gli affittuari di pascoli, dipendenti dai  prin-cipales . Ma un rapporto potenzialmente conflittuale si apre so- vente fra pastori-proprietari e nullatenenti assunti come soci

minori, o come operatori compensati in natura dal vero padro-ne. Il cosiddetto “servo-pastore” riceve pecore in compensodel lavoro prestato ogni anno, e a sua volta nel tempo, puòarrivare ad essere lui stesso proprietario di un piccolo gregge.Il mondo pastorale in genere subisce varie dinamiche d’ordi-ne socio-economico, grazie ai cambiamenti strutturali dellasocietà italiana, sempre più fortemente dinamicizzati fino ad

 Prefazione 

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di giovani e adulti si ricorre alle carte, alla tombola, ma an-che al ballo, mentre tra gli uomini si preferisce ritrovarsi allabettola a bere in compagnia.

Sulla chiesa e novena della “Madonna del Rimedio”, di-pendente da Orosei, riprendiamo dal testo di Clara Gallinibrevi dati storici utili per intendere l’appellativo “Rimedio”.La cosiddetta “corte di cumbessie ”, ossia la “serie di casette”(qui ad una o anche due stanze), risale ad almeno due seco-

li or sono, ed esse servirono anche da “lazzaretto” per casidi epidemie, o pure da riparo dalle incursioni saracene, inpassato frequenti. Il santuario risulta ricco di ex-voto comeprove di guarigione ottenuta. I temi di colloquio tra donnerivelano di massima interessi riferibili ad arcaiche credenze,fino a tutt’oggi significativamente persistenti, quali: interpre-tazioni di sogni, malattie, malocchio, voti alla Madonna, gua-rigioni magiche, ecc. Gli uomini, a loro volta, sensatamentetornano ogni sera al paese per controllare i propri buoi daeventuale furto. Possiamo dunque asserire che non per tuttigli abitanti la novena vale come “villeggiatura distensiva”.

Passando alla chiesa e novena dell’Annunziata, dipenden-te da Bitti e localizzata in un’area alberata lontana dal paese,si sottolinea un fenomeno particolare di ordine psico-sociale.Fra i pastori che partecipano alla novena sembra ch’essi rice- vano una strana influenza interiore, psichica e mentale, aproposito della paura di abigeato e della reazione all’attaccodi esso eventualmente subito. Sembra dunque che il furto dibestiame sia trasformato, dalla grande abitudine a subirnel’attacco, in una pratica di “gioco” (come un non gravissimofurto di capra, o come uno scherzoso sequestro di persona).Perciò l’abigeato attuato non provoca una reazione di aspra

intolleranza, di odio e rancore contro il responsabile. Di fattoesiste nella comunità locale un forte spirito di collaborazionee solidarietà nel difendere la vittima del furto, fra tutti i mem-bri. Essi sempre si adoperano per scoprire il colpevole. Que-sto perciò nel gioco viene ordinariamente scoperto e punito.Egli dovrà, per pena, pagare a tutti da bere. Così l’esperienzacomunitaria fa propria, da quanto si evince dal resoconto

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 vediamo una mescolanza insolita con comportamenti che po-tremmo dire antesignani di un vero rovesciamento e scombi-namento di regole di vita. E pensiamo che sarà interessante verificare, ritornando sul posto, in quale grado si verifichi latrasformazione di certi comportamenti che potremo dire “au-daci”, pur se oggidì resisi perfino troppo comuni “in città”.L’innovazione è chiara. Come nota l’autrice, esistono delleabitazioni di nuova costruzione, dietro le cumbessie . E si pre-

cisa che alcune sono state proposte dalla chiesa, per affittarlea mercanti di passaggio, e sono state costruite gratuitamenteda lavoratori membri della popolazione novenale. Ma altrecase sono proprietà privata. Il che significa che alcuni nove-nali hanno “osato” costruire una nuova casa per la propriafamiglia, da abitare in qualsiasi periodo. Vero è che la chiesaha stabilito che tali case “private” debbono poi passare allachiesa come sua proprietà. Ma noi conosciamo il problemadell’abusivismo privato, in città oppure in campagna, ovveronei parchi e sui lungomare di tanti paesi idillici e sfiguratidalle costruzioni abusive. Siamo purtroppo stanchi di vedere

trasmodare gli abusi privati, e ci preoccupa vedere la chiesastessa tollerare tali iniziative di soggetti “fuori norma”.

È chiaro che un istituto complesso in sé e plurivalente ol-treché polifunzionale quale la festa novenale, richiede unaorganizzazione per l’ordinamento regolare delle varie opera-zioni riguardanti i rapporti tra l’ente centrale, la chiesa, ed inovenanti, per ogni ciclo festivo sempre numerosi. La re-sponsabilità generale è affidata ad un comitato, gruppo di lai-ci volontari retti dal priore, anch’egli un laico, ma di presti-gio, che può rinnovarsi per più anni, mentre il comitatodecade alla fine del ciclo festivo. La direzione del comitato

provvede alla raccolta di fondi e delle offerte, cura l’edilizia(cioè le condizioni della chiesa e delle casette); provvede allasistemazione dei novenanti nelle stanze, nonché di eventualistranieri pellegrini o turisti in un locale riservato; c’è poi dariscuotere gli affitti delle bancarelle della “fiera-mercato”. Perla parte propriamente “festiva” occorre ingaggiare poeti dia-lettali (che un tempo indicevano gare), un complesso di beat ,

 Prefazione 

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oggi. Le giovani generazioni spesso rifiutano il lavoro manua-le, volendo accedere a ruoli professionali, per cui rari sono igiovani pastori che restano tali. In parte emigrano nel conti-nente (Lazio meridionale, Toscana), vendendo la terra dopoaverla “parcellizzata”. Ma si afferma anche un sistema di ascesasociale, nel cui corso si può passare da assoggettati a proprie-tari, da cooperatori a stipendiati.

Un ulteriore fenomeno osservato da Clara Gallini allora,

in movimento dinamico, riguardante il ruolo della donna nelmondo sardo della pastorizia, è dato dalla crescente autono-mia assunta dalla donna nella gestione della amministrazio-ne degli interessi famigliari e di lavoro, e ciò oltre al tradi-zionale suo ruolo fondamentale nell’attività agraria, nonchénella intraprendenza delle sue libere attività.

Non manca nel libro di Clara Gallini uno sguardo attentoall’economia, che si presenta nelle relazioni interpersonali confrequente preferenza data non tanto a livello monetario, quan-to piuttosto a livello di scambio in natura. È un legame resi-stente con la tradizione premoderna: per esempio scambio tra

un lavoro gratuito e offerta di prodotti alimentari o di consu-mo. Ma tra i ceti abbienti ovviamente funziona l’economiamonetaria: le prestazioni di lavoro si pagano. Del resto nonmancano ovvii rapporti monetari anche nei riguardi dellachiesa da parte dei numerosi soggetti impegnati nella novena. Anzitutto costoro debbono pagare una quota particolare alparroco, o al priore nominato come controllore dell’intera fe-sta nella sua durata. Essi pagano quasi un affitto, per avere ildiritto di vivere quei giorni di “festa” nelle cumbessie o casette.Ciò sembra alludere, se vogliamo, all’usanza di una “villeggia-tura” in albergo. Per il vitto la famiglia può in parte risolvere il

problema con la spesa da fare al paese, parte col versamentodi un obolo alla chiesa. In pratica si viene ad un equilibrio bi-lanciato, nei rapporti fra chiesa e novenali, grazie alle varieofferte da questi ultimi versate alla chiesa nell’anno.

 All’epoca – per noi piuttosto lontana – della ricerca, frale numerose costumanze che rispecchiano una solida persi-stenza e resistenza di usi e atteggiamenti arcaici tradizionali,

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come accade precisamente nel rito dei grandi pellegrinaggiufficiali. Non per caso Clara Gallini ha affrontato assai piùtardi, con pari impegno di interpretazione sul piano storico-culturale e sociale, un pellegrinaggio di estensione interna-zionale e di enorme risonanza religiosa: cioè il caso “Lour-des”. Pure in tal caso ella ha osservato – come dirò – i diversiindirizzi e aspetti, oscillanti fra devozionali e mondani, od’utilità pratica: aspetti che s’incontrano uniti e fusi insieme

pure a Lourdes come in ogni altra grande manifestazione re-ligiosa spettacolare.3

Se il “voto” è rito devozionale centrale della novena, co-me espressione diretta dell’ideologia religiosa dalla quale as-sume significato l’intero orientamento mentale, pratico e cul-turale “arcaico” della stessa novena, altrettanto essenziale efondamentale della novena è la festa, che esprime in modopartecipativo ed esaltante la rottura di quell’isolamento dellafamiglia e del gruppo locale, che caratterizza la routine quo-tidiana della vita di paese. Tale isolamento, appunto, si ri-scatta nei nuovi intrecci socio-relazionali, di cooperazione,

sodalità, ospitalità, con novità di costumi, di comportamentie valori. Inoltre la novena sarda assume una funzione corret-trice rispetto alla crisi di destrutturazione delle campagne edell’economia agro-pastorale locale, che si è sviluppata neidecenni del periodo emerso fino all’età della ricerca.

Clara Gallini ha colto un punto saliente sul piano sociale aproposito del fatto che in Sardegna soltanto gli uomini ricorro-no talora all’emigrazione continentale per uscire dall’isolamen-to locale, e per distaccarsi dalla tradizionalità verso la moder-nizzazione. Così dunque due diverse componenti si associanoe si fondono insieme integrandosi reciprocamente nella nove-

na: la componente religiosa, prevalentemente gestita dalledonne e legata in realtà a condizioni di salute (ossia malattiee sperata guarigione, in famiglia), e d’altra parte la cosiddet-ta componente della “villeggiatura laica”, ossia un recupero di

 Prefazione 

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3. C. Gallini,  Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes , Napoli,Liguori, 1998.

corse di cavalli, e altri divertimenti. Il priore è nominato tracittadini di livello dignitoso, benestante e conosciuto comeesperto. Si dice in proposito che “essere nominato priore èonore più che guadagno”.

Non manca nel libro di Clara Gallini uno sguardo all’eco-nomia limitatamente alle relazioni interpersonali: relazioniche oscillano, secondo casi, tra rapporti di tipo monetario ealtri rapporti d’ordine precapitalistico: cioè in base al sistema

di scambio fra parti: per esempio lavoro (prestato gratuita-mente) e prestazione di prodotti alimentari o di consumo.Ciò si usa in particolare negli ambienti più umili, mentre inambienti socialmente più alti il sistema è quello moderno. Ilrapporto economico tra la chiesa e i novenanti è particolar-mente complesso e articolato. I novenanti debbono pagare alparroco o al priore della novena il proprio diritto di abitareper i giorni della festa nelle cumbessie . Le famiglie e i gruppisi prestano generosamente per sovvenire a eventuali necessitàdi lavoro, come anche a elargire al priore, per la chiesa, offer-te in denaro nel corso dell’anno, come durante la festa. I pa-

stori fanno sovente doni di capi di pecore, pur in numeroconsistente. Dunque si crea un rapporto bilanciato tra offertedei novenanti e la chiesa, per le sue spese. Tutto ciò denotal’esistenza d’un rapporto umanamente generoso e di recipro-ca assistenza tra chiesa e gente che arriva per partecipare alpellegrinaggio, il quale poi diviene anche occasione di diver-timento profano integrandolo spontaneamente e in implicitoaccordo, fra tutti i membri esistenti e le funzioni religiose.

Quanto all’aspetto devozionale più importante, frequen-te e partecipativo, esso è rappresentato dal “voto”. Questo viene promesso al santo (o alla Madonna) come occasionale

e drammatica iniziativa individuale, a favore della guarigioned’una malattia sia propria sia d’un caro famigliare, ovvero a fa- vore del positivo successo d’una ardua opera da compiere,d’un impegno ambiguo e pericoloso, ecc. Ovviamente le de- vozioni individuali nella novena – a parte la messa collettivamattiniera – si tengono nel pomeriggio, ed assumono un carat-tere centrale d’impegno sacrale. Il voto si lega al pellegrinaggio,

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Lourdes reso da Zola nel suo libro del 1894 – un secolo pri-ma dell’età della ricerca sarda della nostra antropologa – ilconsumismo riscontrato da Zola presenta una tinta nettamen-te borghese, esibizionista, perfino vanitosa se si pensa allasete di doni per sé e per altri, il culto d’una oggettistica sacrae insieme utilitaristica con cui si corona la settimana dedicataal rituale severo, carico di fervore religioso. È un consumi-smo “santuariale” frutto di un confuso materialismo, dai ceti

umili dato come positivo, dal ceto benestante borghese as-sunto come feticismo di oggetti sacri nei loro significati sim-bolici. Con grande rilievo Zola sottolineava, e Clara Gallini ri-badisce il tema arcaico, biblico e post-biblico, dei “mercantidel tempio”, del tradizionalissimo binomio del business  col“sacro”. Devozione e commercio si mescolano insieme in for-mazioni plurime ed irreali. Dalla unione del polo economicocol polo simbolico scaturiscono prodotti venali di autenticacontaminazione. Il polo devozionale dell’acqua miracolosa equello del prezioso rituale sacro, unendosi insieme si apronoa pratiche d’ordine tecnico quali l’imbottigliamento dell’ac-

qua e la fusione di cera per candele destinate al mercato.Mentre i pellegrini attendono a doverose operazioni e movi-menti di netto carattere simbolico e sacro, l’organizzazioneecclesiastica gestisce e attende ad una serie di attività prati-che d’ordine utilitaristico e mercantilistico.

Perfino negli ambienti della città di Lourdes e negli stessiluoghi sacri si verificano – notava Zola nel suo libro – pro-cessi di affratellamento fra misticismo penitenziale e vena-lità, ed anche fra dolore e festa, tra fervore religioso e srego-lata ricerca di piacere. «Dal fulcro sacrale della Grotta sipassa alle periferie profane della recezione e del consumo».

E l’osservazione critico-sociologica rivela che l’espansionemoderna della città risponde alle cresciute esigenze datedall’indotto dei pellegrinaggi. Crescono nuovi alberghi, mer-cati, imprese, in corrispondenza alla richiesta diffusa di vo-glie, abbuffate, di sesso. Tutto ciò è scritto e registrato dal li-bro di Zola. Clara Gallini conclude con una nota sintetica:«La doppia anima di Lourdes – ella scrive – si traduce in un

 Prefazione 

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rasserenamento grazie alla compagnia di persone pur nuove,grazie al benefico rito dell’ospitalità. Parliamo di una ospitalità vista come impegnante reciprocità tra le parti, in occasione diogni bisogno: ed è dote concernente solo le donne e i lororapporti. Mentre d’altra parte gli uomini trovano, con la nove-na, un differente supporto realisticamente fruibile per loro: perla precisione, nella ospitalità che loro offre la bettola sistemati-camente aperta per loro la sera. Ma si tratta di un costume

esteso in modo implicito anche al paese. Del resto l’ospitalità èsempre stata longanimemente aperta, in Sardegna, anche aibanditi come ad individui sospetti o marginalizzati: nel mede-simo stile col quale la chiesa riconosce il diritto di asilo.4

In conclusione, certamente la festa novenale, come ognifesta popolare collettiva di qualunque società o comunitàtradizionale, rappresenta una fuga liberatrice dalle strettezzee limitazioni che bloccano la routine della vita ordinaria dicasa e di paese. Nella festa si passa, specialmente nei tre ul-timi giorni, ad un’atmosfera di libertà che consente sprechi esfarzo di cibi festivi, apre all’uso di banchetti all’aperto e al

consumo di capretti, porcetti, muggini di mare, con sfoggioaggiuntivo di dolci, vini, liquori. Si accede dunque ad unsenso di benessere che si può dire “comunitario”. Ciò signi-fica che il consumo si gode in quanto esso è socializzato; esignifica che l’individuo singolo si identifica nella comunità,secondo un’etica di tipico tenore precapitalistico. È un’eticache la festa dispiega verso una solidarietà comunitaria.

In sintesi, nelle feste lunghe di Sardegna il consumismoindotto dalla moderna atmosfera culturale dominante nellasocietà di massa ormai volta ad un’etica individualista di be-nessere, trova la sua specifica espressione in atteggiamenti

legati ad una mentalità di stile paleo-rustico.D’altra parte, per passare al testo che Clara Gallini ricavadal vivissimo resoconto del rituale del pellegrinaggio di

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4. Cfr. G. Satta, “Pratiche dell’ospitalità sarda”, in  Patrie elettive. I segni dell’appartenenza , a cura di C. Gallini, Torino, Bollati-Boringhieri, 2003,pp. 61-91.

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orgiastico, di ebbrezza e di sfrenatezza sessuale: comporta-menti impuri in occasione di feste importanti d’ispirazionereligiosa cristiana. Lo stesso Sant’Agostino denunciò in molticasi le degenerazioni comportamentali di molti esecutori digrandi celebrazioni festive dedicate a temi sacrali. Per esem-pio furono gravissimamente condannate le collettive ricadu-te in forme di vero paganesimo, con trasgressioni di tabùimposti dalle norme cristiane. Ciò accadde spesso in occa-

sione della festa di San Giovanni: una festa ricostruita con si-gnificati salvifici e purificatori sulla base di un antico cultopagano legato alla Natura.6

Del resto anche Clara Gallini non manca di segnalare ilfenomeno antico e pure moderno dei sinodi ecclesiastici inpolemica contro libertà e scandali nelle feste cristiane. E ciricorda che la festa diventa un’occasione di incontri tra gio- vani, schermaglie sessuali, corteggiamenti.

Possiamo ben dire in sintesi che, se la festa novenale sar-da comporta l’antinomica presenza di due contrastanti valen-ze mitico-rituali quali sono: il rito devozionale proteso ad unipotetico obiettivo religioso-terapeutico di guarigione (di pa-zienti presenti al rito), e il suo riscatto nel divertimento, omeglio nell’“orgia” consumista dei divertimenti; tale strutturadella festa conviene sia intesa – piuttosto che occasionalefrutto storico-moderno dell’ondata del consumismo occiden-tale in quanto filiazione dell’iperindustrializzazione – comestruttura omologa a quella di tutte le feste popolari di caratte-re collettivo e tradizionale. Questa struttura informa tutte lefeste popolari tradizionali, dagli antichi ludi romani al Carne- vale, al contrasto nella Roma antica tra la religione dello Sta-to e i Baccanali d’origine popolare e orientale, – Baccanalirespinti dal Senato-consulto come politicamente pericolosi, – 

e oggi le più varie feste locali d’origine rurale, comportantiprima sofferenza e poi gioia e giubilo, prima oppressione epoi liberazione. In tutte queste feste, antiche e moderne, si

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6. V. Lanternari,  Le origini della festa di San Giovanni , in “Vie Nuove”,15 agosto 1954; V. Lanternari, “La politica culturale della Chiesa nellecampagne. La festa di San Giovanni”, in Società, IX, 1, 1955, pp. 64-95.

problema interno che più o meno travaglia il pellegrino, in-ducendolo a scelte differenziate».5

 A complemento di quanto s’è visto e s’è detto a propositodella consuetudinaria mistura di sacro e profano, di sofferenzae divertimento, di malattia e festosità, ritengo a questo puntodi sottolineare personalmente che si tratta – pure nel caso del“consumo del sacro” nelle feste religiose popolari di Sardegna – d’un fenomeno non eccezionalmente né univocamente pro-

dotto dal consumismo preso come principio o valore nuovo efondamentale della nostra civiltà contemporanea, ipertecnolo-gica e perciò iperproduttivista e quindi portatrice d’una con-giunta ineludibilità del consumismo. È bene tuttavia tenerepresente che la voce “consumo”, in contrasto col rito sacro, ècostituzionalmente carattere della festa religiosa come prodottocuturale collettivo, pertinente a qualunque delle culture mon-diali, come espressione di desideri e bisogni di acquisizione diun bene importante per la comunità che partecipa alla manife-stazione indetta culturalmente, in contrapposizione con la con-dizione del “male” che invece opprime la stessa comunità. Diproposito essa fa pressione per uscirne. La festa celebra un ri-to volto a facilitare l’avvento del bene desiderato, e l’elimina-zione della condizione negativa attualmente opprimente.

Non per caso la componente religiosa s’innesta alla festache punta anzitutto alla guarigione di mali di qualunque na-tura. In tali casi il carattere religioso assume in origine un’im-pronta dominante, in quanto che da tale impronta sacra siispira la fede nel superamento del male, e nel nostro casosardo nell’effetto terapeutico-spirituale applicato alla malattiadi ogni paziente che partecipa alla festa. E proprio in nomedella fede della guarigione si esprime in ogni soggetto pre-sente una energia volta alla gioia, alla baldanza, alla soddi-

sfazione psico-fisica: ossia volta a unirsi insieme solidalmen-te a “fare festa”, per il bene di ognuno e di tutti.

Non per caso siamo informati che per l’antichità cristianamedievale la chiesa interveniva con notevole frequenza nel-la denuncia e grave condanna di manifestazioni di carattere

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5. C. Gallini, Il miracolo e la sua prova cit., p. 133.

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NOTA BIOGRAFICA

Nata a Crema il 19 giugno 1931, Clara Gallini è Professoreordinario fuori ruolo alla Facoltà di Scienze della Comunica-zione dell’Università di Roma “La Sapienza”; è inoltre Presi-dente della Associazione Internazionale Ernesto de Martino e

Socio Fondatore della International Gramsci Society.Esordisce come studiosa di storia delle religioni greca eromana, le sue ulteriori ricerche hanno avuto per oggetto lacultura della religiosità popolare in Sardegna e nell’Europacontemporanea – esaminandone le dialettiche fra tradizionee modernità. Ha inoltre analizzato da diversi punti di vista leforme di produzione e di trasmissione di un discorso etno-centrico nell’immaginario sociale. Un importante settore del-la sua produzione scientifica concerne la cura e l’edizionecritica di vari scritti (editi e inediti) di Ernesto de Martino.

Il suo campo di interessi teorici ha sempre avuto per og-getto lo studio dei sistemi simbolici, con particolare attenzionealle dinamiche di dominio e di dipendenza e ai processi tra-sformativi che in essi si manifestano. Analisi storica e confrontoetnografico hanno costituito strumenti essenziali di approccioall’oggetto di studio, che si sono andati evolvendo col tempo.

Le sue prime ricerche hanno prevalentemente toccato lastoria delle religioni nel mondo classico culminando nell’esa-me dei rapporti tra movimenti religiosi e sociali di protestanella Roma antica e le risposte integrative fornite, sul pianosimbolico, da parte dei nuovi poteri politici. In questa fasefurono dominanti gli indirizzi di Raffaele Pettazzoni, Ernestode Martino, Vittorio Lanternari.

Ha poi fatto seguito la ricerca etnografica sul campo, inSardegna, dove ha studiato diversi istituti culturali (dono,malocchio, feste, riti di guarigione, poesia, ecc.) connetten-doli alle relative forme dei rapporti sociali e di produzione ealle problematiche del cambiamento sociale e culturale.

Ha quindi spostato l’attenzione alle complesse iterazionitra alcune forme di cultura urbana dell’Ottocento italiano e

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dà luogo ad una rappresentazione del “rovesciamento delmondo”, cioè in ogni caso espulsione del mondo negativo eriscatto del positivo.7

Non per caso dunque la componente religiosa s’innestaalla festa, che anzitutto punta alla realizzazione di un “bene”costituito dalla guarigione di malati presenti e appositamentepartecipanti ai riti. Nella festa perciò la dimensione religiosaè dominante, in quanto da essa si ispira la fede nella possi-

bilità di guarire, come effetto – nel nostro caso di Sardegna – di una “spiritualità terapeutica” applicata alla malattia diciascuno. La fede nella guarigione si espande come energia volta ad espressioni di gioia, di baldanza e soddisfazionepsico-fisica, ossia ad unirsi solidalmente a “fare festa”, per ilbene d’ognuno e di tutti.

In realtà pur oggi nelle più diverse feste popolari tradizio-nali a sfondo religioso notiamo che un bisogno di riscatto col-lettivo da pressioni di miseria sofferta, di quotidiane preoccu-pazioni patite, di insicurezza personale e situazioni di rischio,come pure di malattie opprimenti ecc., induce il ricorso allaprovvisoria, quasi millenaristica “evasione” verso il libero con-sumo, il frenetico divertimento, la danza festosa e corale. Èquel che si riscontra nella festa dei Gigli a Nola, la festa della“Macchina” a Viterbo, ecc.8

Uno stretto, funzionale nesso psicologico e dialettico le-ga il rito religioso (= il “sacro”) al “libero consumo”, al di-porto, al gioco e divertimento (= il “profano”), nella festa re-ligiosa popolare, collettiva, tradizionale.

Vittorio Lanternari 

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7. V. Lanternari, “Rovesciamento dell’ordine e simbolismo millenarista.Festa, gioco, rivolta”, in Struttura della festa, cap. I, in  Festa, carisma,apocalisse , Palermo, Sellerio, 1983, pp. 25-60; V. Lanternari “Verità e fin-zione, solennità e gioco nei rituali terapeutici di possessione”, in  Medi-cina, magia, religione, valori , vol. I, Napoli, Liguori, 1996, pp. 225-250.8. C. Prandi,  La religione popolare fra tradizione e modernità, Brescia,Queriniana, 2002, pp. 7, 27-28.

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le posizioni assunte rispetto ad esse, nel tempo, sia dallachiesa cattolica che da diversi scienziati positivisti. Lo studiodel magnetismo e dell’ipnotismo (come luogo di contenderetra diversi poteri) l’ha poi condotta ad un riesame del primosorgere della “psicologia della folla”, per poi passare a unarilettura del dibattito di fine-secolo sui miracoli di Lourdes ela “fede che guarisce” (Charcot, Zola).

Un approccio più articolato al fenomeno Lourdes, ai suoi

caratteri di modernità e alle interazioni culturali presenti sullasua scena conduce la studiosa ad esaminare in particolaredue dimensioni: il rapporto tra discorso medico e discorsoreligioso (per la definizione simbolica del malato) e la carat-terizzazione assieme etnica, nazionalista e internazionalistache definiscono il pellegrino del santuario moderno.

C’è infine un tema, che, sostiene Clara Gallini, sta diven-tando ormai ineludibile. Occuparsi di dislivelli di cultura si-gnifica oggi dover anche fare i conti con quella tradizionaledivisione tra dislivelli “interni” ed “esterni”, forse giustificabilein anni passati (almeno in Italia) ma che ora i grandi movi-

menti migratori stanno mettendo decisamente in crisi (anchein Italia). Per questo l’antropologa ha iniziato a interessarsialla problematica dei conflitti etnici e razziali, aggiornandosisulla più recente letteratura teorica, a livello internazionale.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

 I rituali dell’Argia, Padova, Cedam, 1967 (344 pp.).

 Protesta e integrazione nella Roma antica, Bari, Laterza,1970 (218 pp.).

 Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna, Bari, Laterza,1971 (332 pp.).

 Dono e malocchio, Palermo, Flaccovio, 1973 (191 pp.).

 Le buone intenzioni. Politica e metodologia nell’antropologiaculturale statunitense , Firenze, Guaraldi, 1974 (106 pp.).

C. Gallini, L. Pinna,  Il referendum sul divorzio in Sardegna,Cagliari, Edes, 1975 (139 pp.).

“Introduzione”; “Nota redazionale”, in E. de Martino,  La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali , acura di C. Gallini, Torino, Einaudi, 1977, pp. I-XCIII; pp. XCV-CI (727 pp.).

Tradizioni sarde e miti d’oggi. Dinamiche culturali e scontri di classe , Cagliari, Edes, 1977 (153 pp.).

 Diario di un parroco di villaggio. Lotte di potere e tecniche del consenso in una comunità sarda, Cagliari, Edes, 1981(170 pp.).

 Forme di cultura tra i giovani. Inchiesta sulle associazioni culturali nelle province di Cagliari e Oristano, a cura di C.Gallini, Cagliari, Edes, 1981 (230 pp.).

 Intervista a Maria, Palermo, Sellerio, 1981 (99 pp.); Nuoro,Ilisso, 2003.

 La Sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nel-l’Ottocento italiano, Milano, Feltrinelli, 1983 (375 pp.).

 La ballerina variopinta. Una festa di guarigione in Sardegna,ed. del 1967 rived. e corr., Napoli, Liguori, 1988 (219 pp.);

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IL CONSUMO DEL SACRO

trad. francese, La dance de l’Argia. Fête et guérison en Sardai- gne , Lagrasse, Verdier, 1988.

“La ricerca, la scrittura”, in E. de Martino,  Note di Campo.Spedizione in Lucania 30 Set. - 31 Ott. 1952 , ed. critica a cu-ra di C. Gallini, Lecce, Argo, 1995, pp. 9-75 (366 pp.).

“Presentazione”; “Dai taccuini a «Sud e Magia»”, in  L’opera acui lavoro. Apparato critico e documentario alla “Spedizione 

etnologica” in Lucania, a cura di C. Gallini, Lecce, Argo,1995, p. 7; pp. 263-326 (384 pp.).

Giochi pericolosi. Frammenti di un discorso alquanto razzi- sta, Roma, Manifestolibri, 1996 (151 pp.).

 Ernesto de Martino nella cultura europea, a cura C. Gallini eM. Massenzio, Napoli, Liguori, 1997 (386 pp.).

 Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes , Napoli, Li-guori, 1998 (275 pp.).

 I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino, a cura di C. Gallini eF. Faeta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

“Introduzione” (e intervento), in  Patrie elettive. I segni del-l’appartenenza, a cura di C. Gallini, Torino, Bollati-Borin-ghieri, 2003.

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NOTA ALL’EDIZIONE

 Non ho mai il coraggio di riaprire i libri che ho scrittonel passato. Sfuggo il confronto, e ripensamenti, evoluzioni e involuzioni avvengono dentro di me, spesso a mia insaputa. Ricordo però che l’esperienza dei novenari e quella di scrit-

tura, che ne conseguì, mi accompagna nella memoria come un bene prezioso, come qualcosa che ho fortemente amato e che mi ha marcata nel profondo. Ho riaperto ora il libro, per un dovere d’ufficio, che però ho avvertito come un necessa-rio richiamo a iniziare a rifare, in modo più esplicito, i con-ti con un momento di felicità culturale che fu di certo piùcreativo rispetto all’opacità dell’oggi. Un momento che va si-tuato tra la grande utopia del ’68 e la crisi che ben presto ne  sarebbe conseguita e al cui interno comunque andavo av-vertendo «come primario il bisogno di ripensamenti e di veri- fiche», come avrei scritto nelle riflessioni conclusive all’Ap-

 pendice “Metodologia della ricerca”. Nel guardarmi oggettivamente all’indietro, avverto che il testo porta anche i segni di un linguaggio datato, caratteri- stico di una scrittura di quegli anni e che il lettore di oggi non farà fatica a riconoscere, proprio nella misura in cui (ti- pica locuzione del sinistrese di allora) i riferimenti a Marx,alla classe operaia, alla borghesia e al capitalismo possonorisultare rituali e persino disturbanti. Né sarei più così peren-toria nel definire rispettivamente “precapitalistica” e “feudale” economia e società della Sardegna post-unitaria, fino agli anni del boom economico. Ma il mio sforzo interpretativo va

 situato anche nella precocità del rapporto con quella stagio-ne di studi che cercava di coniugare “antropologia e marxi- smo”: stagione ora passata nel dimenticatoio, annullata conimpietosi colpi di spugna che hanno marginalizzato opere co-me quelle di Maurice Godelier, testi fondamentali per un’etno-logia che non espunga dal suo sguardo la prospettiva dell’e- sercizio del potere.

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 Nota all’edizione 

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 D’altra parte, sempre nel rileggermi, ho ritrovato la chia-rezza e determinazione che mi hanno indotta a condurre una ricerca etnografica autonoma e fuori da alcuni paradig-mi allora dominanti (ancorché non esclusivi) nell’etnologiaitaliana. Erano gli anni in cui si erano enfatizzate le feste,come feste “dei poveri” – ma proprio l’etnografia mi mostravache tutti, poveri e ricchi, ne erano coinvolti con modalità va-riabili a seconda delle rispettive posizioni. Erano più o meno

 gli stessi anni in cui alla cultura popolare tout court si sareb-be attribuito un valore contestativo, di per sé antagonista “al  sistema” – ma proprio l’etnografia mi mostrava che gli istituti  festivi erano capaci di plasmarsi e riplasmarsi “dentro il siste-ma” sociale ed economico di ordine più generale.

 Rispetto all’eredità demartiniana, il mio debito era evi-dente, fondativo (se ben ci si pensa) di tutto un ambito di ri-cerche, che puntasse all’analisi di specifici istituti culturali operanti nel nostro Mezzogiorno. Sul piano teorico-metodolo- gico, per giunta, era l’opera di De Martino a invitarci a riflet-tere sulla natura e la funzione di quelle pratiche e rappresen-

tazioni ascrivibili al campo del  simbolico: un campo che alivello europeo, ai tempi delle mie ricerche, stava appena deli-neandosi in questi termini per offrirsi a nuove forme di atten-zione sistematica: di qui, anche, alcune di quelle lacune,oscillazioni e fatiche che hanno lasciato traccia nel nostro te- sto, proprio nelle sue parti che individuano nel consumo una problematica dimensione del vivere dell’uomo in società.

 De Martino era sempre presente, come riferimento ineli-minabile ma anche incombente. Cercavo allora una strada per continuarne gli indirizzi di ricerca sul campo, ma avver-tivo anche la necessità di svincolarmi da alcuni presupposti,

 fondamentali al suo metodo, ma che non sempre mi pareva potessero trovare verifica negli oggetti che andavo cercando sul terreno. Come coniugare le pratiche festive con forme ipo-tetiche di “crisi della presenza”? Se mai qualche nesso potevaesistere, mi sembrava quantomeno distante e mediato.

 Le questioni che mi si aprivano erano di un duplice ordi-ne. Primo: la necessità di connettere forme e significati degli 

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istituti festivi con le pratiche, reali e simboliche (ma alloranon le avrei chiamate così) della vita quotidiana, mettendoin reciproca relazione novenario e paese. Secondo: la neces- sità di considerare la festa come un sistema di condotte reali e di valori astratti. Ma proprio la ricerca sul campo sarebbe via via andata proponendomi ulteriori questioni, non messe in conto al suo inizio e che mi facevano intravedere che travillaggio e novenario si sottendeva una comune catena di lo-

 giche pratiche e simboliche, positive e negative, riconducibili al principio della reciprocità (però nel testo utilizzo il termi-ne «mutualità», meno preciso). All’inizio, come dicevo, nonavevo affatto chiare queste questioni, che sono andate viavia emergendo nel corso di un lavoro di terreno in cui pro-cedevo anche con una buona dose di empiria, per arrivare magari anche a dirmi che, se avessi iniziato la ricerca sa- pendo quanto alla fine ne avevo appreso, forse l’avrei impo- stata in modo diverso.

 Ma questo è anche il bello di ogni ricerca. Mi appariva anche evidente (mi riferisco sempre alle po-

 sizioni di De Martino, che su questo punto mi aveva prece-duto di dieci, vent’anni), mi appariva sempre più evidente che quanto osservavo non era residuale appartenenza di una cultura in via di estinzione, ma era qualcosa di attuale,a noi contemporaneo. Sino ad allora applicato allo studio di  società extraeuropee, il tema del “cambiamento culturale” mi sembrava una delle prime evidenze che si imponesse allo studio delle nostre forme di cosiddetta cultura popolare. Maquesto studio non era neutro, e non intendeva riferirsi a ri-cadute passive di determinanti generali su comportamenti locali. E nel rileggere l’“Introduzione” a questo libro, mi col-

 pisce l’intuizione di un problema che in ben altri modi (e ad altri livelli) avrebbe acquisito un’importanza rilevante pro- prio in seno agli attuali studi antropologici, sempre più at-tenti a quella dialettica tra globale e locale la cui analisi ri-chiede l’esercizio di nuove etnografie. Di questa dialettica fa parte anche, come dimensione contraddittoria, quella que- stione dell’etnicità di cui oggi si avverte tutta l’importanza

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Vorrei ricordare tutti coloro che hanno in vario modo con-tribuito a questo libro: con consigli tecnici, con rilievi critici ocon la loro semplice e importantissima presenza di persone.

 Le novenanti, chiacchierone e disponibili, di S. Francesco,

di Gonare, di S. Cosimo, dell’Annunziata, del Rimedio, le  zieche mi hanno ospitata all’interno delle loro case, i vari infor-matori, sindacalisti, giovani di paese. Tutti gli studenti dei  gruppi che hanno partecipato all’inchiesta e da cui ho ricevuto stimoli e critiche, nella misura in cui la ricerca si andava tra- sformando per essi in strumento di conoscenza della loro real-tà sociale: Virginia Burrai, Franca Erdas, A. Maria Marras, Ambrogia Mossa, Laura Nieddu, Ignazio Portas, Antonio Satta,Gabriella Satta, Teresa Sedda, Giorgio Solinas, Francesca Suc-cu. Mario Atzori, in particolare, alla cui capacità organizzati-va e al cui impegno critico sono largamente debitrice. E ancora

i colleghi prof. Antonio Sanna e Giancarlo Sorgia, che mi han-no aiutata rispettivamente per le questioni linguistiche e per i  problemi di lettura dei testi secenteschi; la prof. Angela Terrosu Asole, cui devo la puntuale elaborazione dei dati geografici.

 Infine, l’amico Raffaello Marchi, che mi ha introdottanei segreti delle stratificazioni sociali di Nuoro. E con lui  Marilena, Virgilio, Giovanni e Luca, che preferisco ricordare  solo per nome, perché sono stati gli interlocutori, impliciti ed espliciti, di molti dei temi di questo libro. Grazie a te, Luca,in particolare, perché hai seguito il maturarsi di tutta questaesperienza, dall’aiuto nell’elaborazione dei questionari e 

nella documentazione fotografica, fino al coinvolgimento più profondo nelle tematiche che sorgevano e incalzavano,dai primi abbozzi di scrittura fino alla stesura definitiva.

Siete tutti presenti in questo libro, nella misura in cui  può dare un contributo a una presa di coscienza della no- stra complessa realtà politica e sociale.

C.G.

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anche tra i nostri studi, e che in quegli anni cominciava ad emergere forse più nel linguaggio politico che in quello an-tropologico.

 Ma non vorrei limitarmi a questi discorsi, forse un po’ asettici. Non posso non riconoscere che, nel rileggere dopo tan-ti anni questo mio libro, le parti che ho più amato e che mi hanno restituito il senso di tutta una ricerca sono le prime e le ultime. Le prime, che mi hanno fatto ritornare sui luoghi e tra

 persone con cui ho convissuto e scambiato esperienze – la mo-dalità narrativa che avevo allora scelto rispondeva all’esigen-za, che era in me molto forte, di restituire attraverso la pagina scritta tutti i soggetti di questa esperienza convissuta, ritrovan-done gesti e parole. Ma come coniugare dialogicità ed analisi?  Le ultime pagine concernenti il metodo etnografico da me se- guito testimoniano del punto in cui allora ero arrivata e degli interrogativi che allora mi ponevo. Interrogativi cui ancoranon ho trovato soddisfacente risposta.

10 settembre 2003

Clara Gallini

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INTRODUZIONE

Sardegna, isola in sfacelo, mondo arcaico che crolla, vecchie strutture inutilizzabili, fatiscenti ed amare, che si af-flosciano, ormai senza lode, al richiamo del «benessere» con-tinentale.

Nel 1946-47, appena finita la guerra, da accordi coloniz-zatori che nulla trascurarono nei particolari, gli Stati Unitiinondarono l’isola di tonnellate di abiti usati, che vennero venduti a bassissimo prezzo su tutti i mercati di paese, finoai più remoti della Barbagia. E tutte le giovani rifiutarono ilcostume e cominciarono a vestirsi «alla moderna». Episodioemblematico di tutta una frana, rapida e onnicomprensiva,che ha travolto, nel giro di poco più di vent’anni, tutta la giàprecaria economia agropastorale della Sardegna tradizionale:e con essa, tutta una rete di coerenze culturali che, bene omale, l’avevano sorretta per secoli.

Oggetto nel passato di un potere che la voleva isolata edimmobile, la Sardegna si è trasformata rapidamente in oggettodi un potere che la vuole meno affamata, perché comperi dipiù, e che per questo punta sulla sua disgregazione sociale.

Sardegna amara e contraddittoria, situata entro la falsaalternativa di una scelta tra un passato e un futuro che, difatto, significano entrambi solo una cosa: dipendenza.

Da un lato, un mondo antico e dignitoso di coerenze edi virtù, che erano tali perché giorno per giorno, minuto perminuto, esso doveva ristrutturarsi vincolandosi a immagini dieternità, obbligatorietà, ripetizione. Terra aspra ed amara,

che non sapeva il sorriso, per cui la gioia di un piccolissimobene – la salute di un bambino, la nascita di un agnello – era minata dall’angoscia della aggressione e della fine; terrasenza ironia (l’ironia di chi ha molto, e ci sa giocare), chenon conosceva il ludico e l’effimero, rifiutandolo moralmen-te come fatto quotidiano e riconoscendolo come realizzabilesolo entro una eccezionalità stagionale: la festa.

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IL CONSUMO DEL SACRO  Introduzione 

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Sardegna di tristura, che ora senza gioia risponde al ri-chiamo del benessere, ed esplode distruggendosi.

Fino a circa un decennio fa, la penetrazione del capitali-smo nelle campagne sarde è stata progressiva ma lenta, nelsenso che la produzione locale continuava a reggersi sull’agri-coltura e soprattutto sulla pastorizia. Ora, il suo ritmo di avan-zamento ha subìto un tale processo di accelerazione, da cor-rodere in modo definitivo i vecchi modi di produzione e tutta

la rete organizzativa feudale, che li rendeva possibili.Questo è, d’altra parte, un processo che, sia pur conmodalità diversissime, ha coinvolto tutto l’assetto economicoe sociale della nostra penisola e che indica ulteriormente co-me i vari aspetti della «questione meridionale» non siano cheuno dei risvolti di un meccanismo più complesso indottodalle leggi di un sistema capitalistico unitario.

In questo senso, la storia che esamineremo non è unastoria locale. Interessa noi tutti, nella misura in cui abbiamoormai raggiunto la consapevolezza di essere tutti immessientro un unico gioco di poteri, che tende a determinare le

nostre scelte.In una situazione periferica come quella sarda, lo scon-tro frontale tra due mondi incompatibili è fenomeno tantorecente e attuale, da permetterci di decifrare come sotto unalente di ingrandimento la logica di un processo, il cui moto-re determina conseguenze sociali tanto diverse – e, al limite,opposte – a livello urbano e a livello paesano.

Sotto il profilo sociale, l’abbandono di un passato di soli-dali miserie e il salto qualitativo verso un’Italia neoinurbata sista dando attraverso una serie di sussulti e dilacerazioni, incui «vecchio» e «nuovo» sembrano riproporsi entro sincretismi

in apparenza contraddittori, ma la cui forma e la cui naturaappaiono condizionati da un ben preciso gioco di potere.

In un passato tanto recente da essere ancora attualità vivain certe zone non soltanto della Sardegna, i grandi atti di circo-lazione comunitaria – e cioè i più importanti rituali sociali cheassicuravano un decorso normale ai fini della sopravvivenza

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del gruppo – si realizzavano attraverso un lussuoso gesto diconsumo. Negli istituti del dono, dell’ospitalità, del banchetto,della festa, l’opulento consumo dei beni era prevalentementeindirizzato verso significati sociali: non era mai un atto dacompiersi in privato, perché si sarebbe trasformato in colpa se-greta. Era da godersi soltanto con gli altri, in gruppo. Si sanci- va in esso – e nella festa, esemplarmente, una volta per tutte – una complessa legge di mutualità, che legava secondo una ca-

tena, potenzialmente infinita, di prestazioni e controprestazio-ni, famiglia e famiglia all’interno del gruppo e, più largamenteancora, comunità e comunità, gruppo umano e natura, intesacome prima datrice. A sua volta, il consumo vistoso costituivaun atto eccezionale, festivo, grandioso, da esibirsi entro untempo e uno spazio eccezionale: era cioè reso possibile dauna produzione indirizzata verso il massimo contenimento deibisogni quotidiani. È facilmente evidenziabile in tutto questocomplesso la precisa matrice strutturale di un modo precapita-listico di produzione, che in questi atti di consumo sociale tro- vava il proprio riconoscimento e la propria solennizzazione, e

che in essi pagava il costo sociale della propria esistenza. Al limite opposto, i nuovi modelli di consumo. Possonoanche riscattare dalla fame e dal freddo – forse, e non ovun-que, perché c’è sempre chi ne fa le spese, e la stessa Sardegnaè tra questi. Sono di fatto resi possibili non, come in passato,da un più o meno paritetico contenimento dei bisogni quoti-diani del gruppo, ma dal contenimento dei bisogni quotidianidi ben precisi gruppi umani relegati ai margini. Promettonoun’eterna domenica, avanzando la felice proposta di un Paesedel Bengodi che sarebbe a disposizione delle masse. Di fatto,non mirano a realizzare un consumo sociale, ma un ben preci-

so tipo di accumulazione capitalistica. L’atto di «consumo» vie-ne così a trasformarsi in uno di «acquisto», e di un acquisto atitolo individuale, perché ogni voce propagandistica aveva as-sicurato proprio questo: la ascesa sociale tua, di te come sin-golo, al mondo privilegiato di chi gode quotidianamente diuna lunga, inestinguibile festa. Di qui, anche la mistificatricelocuzione di «civiltà dei consumi». Il fatto primario non è il

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IL CONSUMO DEL SACRO  Introduzione 

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consumo, né tanto meno il consumo sociale, ma il rapportoaccumulazione capitalistica-lavoro-acquisto. In altre parole: ilnuovo consumo conferma a sua volta un ben preciso mododi produzione.

Per concepire la nuova trasformazione in questo senso, siè dovuto liquidare un certo passato, cioè un certo tipo di eco-nomia: non soltanto quella precapitalistica (feudale), ma anchequelle altre forme protocapitalistiche a noi più vicine nel tem-

po, e che ancora si reggevano sull’etica del risparmio. Ma si ri-chiede anche un notevole grado di conformismo sociale: uneguale modello viene proposto come raggiungibile da tutti; siindirizzano più o meno consapevolmente verso la conserva-zione determinati istituti proprio di quel passato, la cui povertàeconomica e miseria culturale si era a gran voce denegata.

La logica secondo cui stanno avanzando questo tipo dieconomia e i modelli culturali da essa proposti è talmentecomplessa e generatrice a sua volta di contraddizioni, chequanto ho appena detto può suonare come genericità ovviae trita. Prendiamola come ipotesi di lavoro, da verificarsi e

correggere entro un preciso contesto sociale ed economico.E limitiamola a un problema ancora più preciso: il rapportotra passato e presente entro un istituto sociale di consumo,come la festa.

In Sardegna, la vecchia economia agropastorale sta rovi-nosamente crollando, e con essa tutto il grande sistema ca-lendariale del ciclo festivo, che scandiva lungo tutta l’annatail rapporto organico tra momento produttivo e momento diconsumo comunitario. Nonostante questo, ogni paese haconservato e talvolta perfino potenziato una sua festa an-nuale – del santo patrono, o in chiese campestri. Anzi: in

questi ultimissimi anni l’istituto è fatto oggetto di vistosissi-me forme di rilancio, non ultime la ricostruzione di alcunechiese campestri ormai in rovina.

La festa sta trionfalmente entrando nell’economia deiconsumi.

Il processo è molto recente, direi quasi iniziale, rispetto atrasformazioni più o meno analoghe che possono essersi date

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in altre zone della penisola. E per questo può essere ulterior-mente rivelatore. Cogliendolo sul primo farsi, ne emerge in tut-ta evidenza la meccanica secondo cui si correlano coerente-mente tanto destrutturazioni quanto compromissioni tra passatoe presente: il tutto, entro l’ambito dell’imposizione dall’esternodi un gioco di poteri, che tocca le radici non di un solo istitu-to «arcaico», ma di un intero sistema economico e sociale.

Oggetto della nostra inchiesta – condotta nel 1967-68 – è

stato appunto l’istituto della festa campestre. In particolare,abbiamo concentrato la nostra attenzione su un fenomenopiù complesso ma anche più facilmente aggredibile, data lasua notevole durata nel tempo: una lunga festa di nove gior-ni – detta Novena – che, in tutta l’area centrale della Sarde-gna, vede il trasferimento in campagna di interi gruppi fami-liari. Si tratta di comunità sacrali e temporanee, più o menograndi: le più modeste raccolgono una decina di famiglie, lepiù imponenti possono superare il centinaio. In loro funzio-ne, si è venuto articolando un particolarissimo paese-santua-rio, formato dalla chiesa e da piccolissime casette accostate

l’una affianco all’altra, che si snodano attorno ad essa. Tuttoil complesso non vive che i giorni della novena, mentre con-serva un silenzioso abbandono per tutto il resto dell’anno.

La festa grande continua ad essere l’unico momento di ri-conoscimento comunitario, e spesso richiama dall’estero gliemigrati. Ed è l’unica occasione ormai in cui si ribadiscono i vecchi valori di una mutualità non ancora del tutto liquidata. Lafesta, di fatto, si struttura su di essa: ne conferma tutte le leggi.

Ma, se la festa oggi non finisce, e viene anzi potenziata,sia pure come elemento singolo, lo si deve forse a un altroordine di considerazioni.

La festa è «bella», piace, perché copre le precarietà esi-stenziali mediante la valorizzazione, in via eccezionale, delludico, del gratuito, dell’edonistico.

I suoi contenuti di grandezza, il suo proclamato riferi-mento alla liceità del godere, anche se contenuto entro i li-miti temporanei e comunitari della cerimonia, sono tutti ele-menti che finiscono per costituire ulteriori punti di leva, sui

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IL CONSUMO DEL SACRO  Introduzione 

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quali potrà agire e penetrare la nuova etica consumistica delludico, dell’effimero, del godimento quotidiano. In questosenso hanno colto nel segno i vecchi, quando dicono cheoggi, rispetto ai loro tempi, «ogni giorno è domenica».

La consumizzazione della festa è un processo rapido eimmediato, che può iniziare subito, partendo dal basso. Seballo tradizionale e musiche tradizionali cominciano ad esse-re messe in crisi, se ormai sono molti a provare tedio per la

gara poetica – tenzone di due o più cantori che per ore di-scettano su un unico tema: Onore e Virtù, Pastorizia e Agri-coltura, Dio e Natura o, magari, Passato e Presente – la festasi è però rinnovata: il complessino beat  va ormai soppiantan-do ballo sardo e gara poetica, ci si ubriaca alla bettola, matenendo all’orecchio ciascuno il proprio transistor. In questaprospettiva va anche considerata la tendenza alla turisticizza-zione della novena. Un tempo si andava a novenare esclusiva-mente per voto, e ci si consentiva di godere solo dietro l’alibi(sincero) del ringraziamento per uno scampato pericolo. Oracomincia, in alcuni casi, ad emergere la tendenza a fare della

novena una villeggiatura devozionale. Al limite, esiste già il villaggetto-santuario di S. Leonardo, il quale ha perso ormaila propria caratterizzazione sacrale, per trasformarsi in unamenissimo villaggio turistico-residenziale, frequentato, neimesi estivi, da famiglie piccolo-borghesi.

È un fenomeno, questo, che va visto in connessione contutta una tendenza – presente ormai in misura notevole an-che in Sardegna – alla turisticizzazione del dato folklorico. Anche in questo caso, c’è tutta una sfumatura di atteggia-menti, che vanno da una scelta, dal basso, di certe trasfor-

mazioni, al potenziamento (se non all’imposizione: ma è piùraro), dall’alto, di altre trasformazioni. Siamo comunque nel-l’ambito di un medesimo costume, che coinvolge in misuraeguale i diversi strati sociali, ma che si caratterizza soprattut-to come un fenomeno di origine borghese.

Possiamo, per esempio, imbatterci nel recupero di alcunielementi della tradizione, da parte di alcuni gruppi paesani,

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che aspirano a una certa promozione sociale. Ci si procuraun piccolo blasone di nobiltà rispolverando e mettendo inbella vista la cassapanca istoriata o la conocchia della non-na, oppure noleggiando o facendosi confezionare, secondogli schemi antichi, ma «più bello» perché più lustro di nailone di ori, un costume da festa, da esibirsi durante le cosiddet-te sfilate «folkloristiche».

È chiaro che, in questi casi, è il modello borghese, col

suo gusto del neorustico, che rimbalza anche a livello paesa-no: e l’accostamento del vero col falso appare violentissimo. A S. Serafino di Ghilarza, due villette calcinate, costruite daqualche capomastro locale ad imitazione del neorustico del-la Costa Smeralda, si affiancano, come un pugno in un oc-chio, all’omogeneo e conchiuso villaggio-santuario, con lesue casette basse, i muri in grigia pietra viva, i tetti dalle lun-ghe, ritmiche ombre.

Le cose, sotto questo aspetto, qui in Sardegna si compli-cano in modo notevole, nella misura in cui esiste ancora, atutti i livelli sociali, la tendenza ad affermare la propria uni-

tarietà ed autonomia etnica. La  sarditude è un grosso fatto,politico e di costume.Un solo esempio: la rinomatissima festa di S. Efisio, a

Cagliari il 1 maggio.La sua risonanza era ed è ancora grande: tutto il Campida-

no agricolo si riversa in città – un tempo si arrivava, a gruppi,sulle traccas , i carri a buoi, pesantemente e spagnolescamenteadorni di fiori, frutti, tappeti. Centro di ogni interesse è la pro-cessione del santo, che si svolge secondo un itinerario benpreciso, dalla sua chiesa a quella di Pula, un paesetto a unatrentina di chilometri da Cagliari, sul mare. Qui il santo, che si

è trasferito su una portantina dorata e in una sosta intermediasi era messo un abito da viaggio, si cambia vestito, fa tre giornidi vacanza, per poi tornare indietro al suo domicilio abituale erimettersi, alle porte di Cagliari, l’abito cittadino.

Il fatto di costume più saliente è che oggi alla processionesi assiste , non si  partecipa: S. Efisio è diventato uno dei piùgrossi richiami turistici, per sardi e stranieri, su cui puntano

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città e regione, che lo reclamizzano su tutti i dépliants  invi-tanti a visitare la Sardegna. Un tempo, alla processione parte-cipavano i diversi gruppi di paese, ciascuno contraddistintosecondo i propri costumi da festa: e questo costituiva un so-lenne momento di riconoscimento, mediato dalla città, dellediverse comunità di paese. Ora, la processione è uno spetta-colo organizzato dall’ESIT (Ente Sardo Industrie Turistiche),che sovvenziona i vari gruppi folklorici di paese, perché ven-

gano a sfilare come gli elefanti dell’Aida. E i gruppi folkloricisono, naturalmente, sorti in quei paesi in cui le nuove genera-zioni ormai tendono a rifiutare il ballo tradizionale, preferen-do ad esso altri tipi di divertimento. Qui, è l’orgia del «pittore-sco». Costumi sgargianti, ori, belle donne, maschi a cavallo, laguardia del santo in rossi moreschi costumi, un illividito con-siglio comunale costretto a mettersi in frac e tubino e a trasfe-rire a una sella ignota e precaria lombi peraltro plasmati solosulla poltrona del burocrate…

 Verso forme analoghe di turisticizzazione si stanno avvian-do, nei confronti delle loro feste, le principali città della Sarde-gna, le uniche che dispongano di mezzi per poter portare

avanti in grande questo tipo di discorso: Cagliari (con S. Efi-sio), Oristano (con la Sartiglia, una specie di palio che si vincequando il cavaliere infilza con l’asta un anello), Sassari (con laCavalcata Sarda: significativo nome posticcio), Nuoro (con laSagra del Redentore, alquanto in crisi). I gruppi folklorici locali vivono per lo più di buona volontà e di sovvenzioni regionali.

Di fatto, questo tipo di turisticizzazione del dato popola-re è collocabile entro un contesto politico, economico e so-ciale profondamente reazionario, che presume di riscopriree rilanciare sul mercato i fasti di un mondo contadino, peral-tro ormai languente, o che comunque deve morire in tutte le

sue forme arcaiche che altrimenti lo ancorerebbero alla piùabietta dipendenza economica.

Le cose però non vanno tutte così trionfalisticamente co-me si vorrebbe.

È proprio lo stesso mito del benessere ad essere anche gra- vido, oggi, di contraddittorietà e di potenzialità di eversione,

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nella misura in cui, accompagnato e sostenuto dai mezzi di in-formazione, media infinite possibilità di confronto con chi, al-trove, vive una vita diversa, di lusso o di fame.

 Appunto per questa sua reversibilità, qualora piombi al-l’improvviso su una comunità arcaica, il mito del benessere viene a determinare, con la violenza di una fiumana, situa-zioni nuove, cariche di infiniti possibili sbocchi, non sempree solo negativi.

Suoneranno le trombe del giudizio? Sorgeranno le forzenuove che, da antagoniste, realizzino sul piano della azionela consapevolezza che il benessere ha da essere uno scopocollettivo, e non una ascesa-fuga individuale?

È molto difficile fare una previsione, nell’attuale climapolitico nazionale e, in particolare, in quello della Sardegna,regione dalle strutture arcaiche non rinnovate – e per questoin ancor più rapido sfacelo –, con una classe operaia mode-sta quanto a numero, dispersa tra i vari «poli di sviluppo» esoffocata entro la morsa di un ceto dirigente la cui vocazio-ne clientelare è ora ulteriormente potenziata dal suo nuovoruolo di mediatrice col mondo esterno dell’industria.

Una certa ondata di contestazione, che negli ultimi treanni ha visto scendere in piazza intere popolazioni paesane,si mostrava ancora sensibilmente debole quanto a contenutopolitico. Per un intervento repressivo, di tipo più o menoscopertamente poliziesco, riuscì abbastanza facile liquidarla.Ci si trova ora in un momento di vuoto e di recessione, incui tutte le fila sono da riprendere. Ma da che punto?

L’evidenza che emerge dai risultati della nostra ricercainduce più allo sconforto che all’ottimismo.

Ma questo è in parte dovuto anche all’angolatura che si è voluto dare alla nostra inchiesta. Se dovessi iniziarne attual-

mente un’altra, penso che il punto centrale abbia da esserecapovolto nel senso di una analisi di quelle contraddizioni,che qui diamo più come a priori che come fatto dimostrato, eda cui dovrebbero invece emergere indicazioni più precise aifini di una scelta di un comune campo d’azione. Questa fasedi conoscenza e di denuncia possa almeno costituire un pri-mo passo per la maturazione degli altri ordini di problemi.

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PARTE PRIMA

I NOVENARI, I PAESI

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I. NOVENARIO E PAESE

Il luogoImmaginatevi tre-cinque chilometri (o anche più) di stra-

da bianca, immaginatevi deserti di rocce – pietre di rosso ogrigio granito –, immaginatevi un cielo implacabile, immagi-

natevi un’erba esile e magra interrotta all’improvviso damacchie di verde intenso (sono i cespugli di lentischio), im-maginatevi pianure rosee di asfodeli e colline bianche di ci-sto a maggio, immaginatevi fiumane di oleandri a giugno, el’enorme solitudine di un orizzonte dilatato. Ma il pastore at-tento sente il silenzio popolato di presenze: lo scampanìo dialtre greggi più distanti, gli avvoltoi che volano bassi, conun lento e pesante muover d’ali, il  pek peghet della quaglia,il fruscio, al tramonto, del cinghiale che va all’abbeverata,l’odore della volpe, i balzi del leprotto, attirato, la notte, dal-le luci delle automobili che, là in fondo, corrono lungo la

provinciale senza avvertire né rumori né odori.Siamo, al solito, piuttosto alti, tre-quattrocento, talvolta

anche ottocento o mille metri: sono altitudini, queste, dovenon arriva più il coltivo – il grano della pianura, la vite dellamezza collina, gli olivi e i mandorli della collina. Ci pascola-no solo le pecore, perché la pecora sarda si adatta a tutto,anche a mangiare gli sterpi, ma anche per questo ci si devecontentare di farla figliare solo a gennaio, quando sarà lon-tano di qui, sui pascoli più teneri, giù verso la pianura. Intutto il centro della Sardegna i pastori ricorrono ancora almetodo antico della transumanza: quelli, beninteso, supersti-ti al salasso dell’emigrazione che li ha spinti, soli, in Svizzerao nel Belgio, o, con pecore masserizie e tutto, oltre il Tirre-no, nel grossetano o nell’agro romano, a pascolare sulle bri-ciole dei continentali, che ormai hanno abbandonate campa-gne e agricoltura, lasciandosi dietro le spalle un terrenodivenuto incolto e quindi regredibile a pascolo.

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 I. Novenario e paese P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

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al paese; al di là si stendono chilometri di terre incolte, aboschi o macchie, che sono il territorio del pastore.

In questa solitudine campestre, spalancata tra paese epaese, sorgono i villaggetti della novena, agglomerati di abi-tazioni che, assieme alla chiesa attorno alla quale si accovac-ciano, presentano la straordinaria e «antieconomica» peculia-rità di rimaner chiusi e disabitati per un anno intero, finchénon si rianimano per vivere un’intensa ed effimera vita di

nove giorni. Allora interi gruppi familiari verranno, da uno apiù paesi, per sciogliere una promessa fatta al Santo e rima-nere lì a soggiornare sotto la sua tutela, facendo festa e dan-dosi ai piaceri dell’ospitalità.2

Come molte feste rurali, le novene si tengono nei mesicompresi tra maggio e settembre, con un netto infittirsi via viache ci si sposta verso quest’ultimo mese (tab. 1 a-b). Maggioè la fine dell’annata pastorale: si torna dalla transumanza, sitosano le pecore, si vende il formaggio; vengono poi i mesiestivi della mietitura, e infine settembre – Capidanni nel vec-chio dialetto –, il periodo di stasi dei lavori agricoli, il mese

dei matrimoni e dei contratti di lavoro e di locazione. A mag-gio e a settembre la vecchia economia agropastorale aveva unpo’ più di denaro da spendere, e lo dilapidava nella festa, chefaceva tornare tutto al punto di prima. E anche ora, benché ilprimo motore economico risieda ormai altrove, i vecchi ritmistagionali continuano a venir rispettati.

La zona dei novenari è inserita entro la parte forse più«arcaica» della Sardegna: e anche quella che attualmente stasoffrendo delle più contrastate dilacerazioni, dall’emigrazio-ne al banditismo. I novenari sono attualmente in auge in tut-ta la fascia centrale dell’isola, dal golfo di Oristano a quellodi Orosei, passando attraverso il cuore del Nuorese: non ètanto mare che si congiunga a mare, quanto piuttosto unaciviltà agropastorale dell’interno, che riesce appena a tocca-re le zone costiere.

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2. Si vedano in “Appendice” i criteri di delimitazione del fenomeno e diraccolta dei dati.

Il paese può essere in vista o fuori della vista: siamo co-munque «in campagna»,1 perché mancano case e coltivi, e aperdita d’occhio incombe, come presenza drammatica, unanatura non modificata dalla mano dell’uomo, che semmai èintervenuto solo nel senso di un suo depauperamento. Tuttisappiamo che dei boschi, che facevano della Sardegna unagrande selva, quasi nulla è rimasto, perché, a suo tempo, icontadini improvvidamente cercarono di ricavare tutto il ri-

cavabile dagli alberi e perché il resto lo fece l’amministrazio-ne piemontese, passata sull’isola come uno sciame di termi-ti, con le sue concessioni di monopoli a carbonari toscani,compagnie ferroviarie (per i travetti), commercianti inglesi.

I paesi della Sardegna sono in genere piccoli agglomeratidi 2200 persone in media, se si conteggiano, tra la popola-zione, anche i grossi centri (Cagliari, Sassari, Oristano, Igle-sias, Nuoro), meno ancora, duemila abitanti circa, se si esclu-dono questi ultimi. Paesetti, dunque, separati l’un l’altro danotevoli spazi: e la distanza – desertica distanza – si va facen-do sempre maggiore (venti, trenta chilometri), quanto più ci

si allontana dalle immediate adiacenze della pianura e deglialtipiani occidentali. In tutto il blocco centro-orientale, ognipaese è un’isola.

Tra paese e paese, non un casolare, un cascinale che in-tervenga in modo «umano» – culturale – sulla natura. Eraquanto già scandalizzava i riformisti settecenteschi (un Ge-melli ad esempio), che proponevano per il «rifiorimento»della Sardegna l’imposizione del modello settentrionale e to-scano della fattoria agricola, da disseminarsi su tutta l’isola.Di fatto (utopie illuminate a parte), la particolare strutturadell’economia tradizionale è stata, in questo senso, decisiva.Orti e seminati si disponevano – e si dispongono, qualoranon siano stati abbandonati – per una stretta corona attorno

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1. Ci possono essere anche in paese chiese con novenari (vedi tab. 2 a,b): in questo caso però si tratta per lo più di costruzioni un tempo ester-ne al paese, ora alla periferia di un centro nel frattempo ingranditosi. So-no rarissimi i casi di novenari sorti all’origine all’interno stesso del paese.

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P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI1

TAVOLA I - Distribuzione  geografica dei novenari 

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In quest’area, abbiamo contato (e non pretendiamo diessere esaustivi) ben 41 chiese campestri in cui si pratica an-cora la novena residenziale e 43 in cui l’usanza è scomparsaa memoria d’uomo, pur rimanendo, il più delle volte, sia lachiesa che la festa grande, della durata di uno, due o tregiorni (vedi tab. 1 a-b e tavola I).

 Alcuni novenari sono ormai frequentati da poche fami-glie – dieci, quindici –, altri riescono a convogliare varie

centinaia di persone.In ogni caso, nei giorni della festa grande l’affollamentoè considerevole, e supera spesso le molte migliaia di indivi-dui.

Può darsi che l’area di diffusione di questi centri sacraliin passato fosse assai più estesa – qualche ricordo ne restain altre zone dell’isola – ma si dovrebbe comunque cercaremolto addietro nel tempo per trovare l’eventuale presenza diquanto qui invece costituisce una realtà viva, imponente e,in alcuni casi, in via di rilancio. E non possiamo fare a menodi chiederci che sorta di realtà stia dietro, condizionandolo,

a questo grosso fenomeno di una socialità arcaica.La Costa Smeralda è lì, a pochi chilometri, con le suebaie d’ambra e d’ametista, con le sue spiagge da ultimoparadiso, segrete e inaccessibili ai comuni mortali, tenutilontano da gorilla gallonati, spiagge alle cui coste attraccanole «barche» di Margaret, dell’Onassis e di John John – «Signo-re, proteggi la mia barca» ti scrivono sul timone, e ti mercifi-cano anche la antica paura del mare –, spiagge di sabbia tut-ta d’oro per uomini tutti d’oro, dall’eterna domenica.

Due mondi che si guardano, per poco ancora parallelied opposti. Due mondi ambigui entrambi, perché la realtànuova, se mai uscirà, non potrà farlo che rompendo conqueste premesse.

La comunità della novena si porta dietro tutto un mondodi condizionamenti economici e sociali, che la àncorano in-dissolubilmente a quella comunità di paese che l’ha espres-sa. E questo nonostante – anzi  perché  – entrambe ci appaio-no come due realtà antitetiche, ma complementari.

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40 Dualchi S. Pietro Apostolo41 Ottana B.V. Assunta42 Scano Montif. S. Antioco43 Borore S. Lussorio44 Mamoiada S. Cosimo45 Orgosolo B.V. Assunta46 Olzai L’Angelo47 Norbello S. Ignazio da Laconi48 Aidomaggiore S. Barbara49 Aidomaggiore S. Maria

50 Sedilo S. Costantino Imp.51 Ollolai S. Basilio52 Santulussurgiu S. Leonardo53 Gavoi N.S. d’Itria54 Abbasanta S. Agostino55 Sorradile S. Maria de Torrana56 Sorradile S. Nicolò57 Tadasuni S. Michele58 Bidonì S. Maria de Ossolo59 Fonni S. Maria dei Martiri60 Bonarcado S. Maria de Bonacattu61 Ghilarza S. Giovanni Battista62 Ghilarza S. Michele

63 Ghilarza S. Serafino (o S. Raffaele)64 Ghilarza S. Maria Ausiliatrice («Trempu»)65 Ghilarza (fr. Soddì) S. Maria Maddalena66 Boroneddu S. Salvatore67 Nughedu S.V. S. Basilio Magno68 Paulilatino S. Cristina69 Teti S. Sebastiano70 Ardauli S. Quirico71 Neoneli S. Angelo72 Ula Tirso S. Maria Maddalena73 Busachi S. Susanna74 Villanova Truschedu S. Gemiliano75 Fordongianus S. Lussorio

76 Siamaggiore S. Ciriaco Martire77 Cabras S. Salvatore78 Oristano N.S. del Rimedio79 Ruinas S. Teodoro80 Nureci N.S. d’Itria81 Sadali S. Elena82 Ussassai Il Salvatore83 Ulassai S. Barbara

Tavola I - Distribuzione geografica dei novenari 

N. C ART. COMUNE CHIESA

1 S. Teresa di Gallura Mad. del Buoncammino2 Luogosanto N.S. di Luogosanto3 Sedini S. Pancrazio4 Perfugas S. Giorgio5 Nulvi S. Tecla

6 Siligo S. Elia di Montesanto7 Siligo S. Vincenzo Ferreri8 Pattada B.V. del Carmelo9 Onanì (fraz. Mamone) S. Bachisio

10 Thiesi N.S. di Seunis11 Bultei Mad. del Monte12 Bitti B.V. Annunziata13 Bitti N.S. del Miracolo14 Giave SS. Cosma e Damiano15 Lula S. Francesco16 Mara B.V. Addolorata17 Anela N.S. delle Rose (o Mesumundu)18 Bonorva S. Lucia

19 Bono S. Raimondo20 Bono S. Restituta21 Semestene S. Nicolò di Trullas22 Orune B.V. della Consolata23 Irgoli S. Michele24 Esporlatu S. Barbara25 Orosei N.S. del Rimedio26 Illorai Madonna della Neve (o de Luke)27 Bolotana S. Bachisio28 Sindia S. Demetrio29 Lei S. Marco30 Lei S. Michele31 Nuoro N.S. di Valverde

32 Orotelli B.V. di Sinne33 Silanus S. Bartolomeo34 Silanus S. Sabina35 Macomer (fraz. Mulargia) S. Elena36 Bortigali S. Maria de Saùcu37 Oliena B.V. di Monserrato38 Birori S. Stefano39 Orani-Sarule N.S. di Gonare

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prima rottura che lo spazio della novena propone rispetto aquello, noto e quotidiano, dell’orizzonte di paese.

È una natura diversa e più varia, che dà l’immagine dellalibertà. Una libertà raggiungibile con poche ore di camminoa piedi, come si faceva fino a pochi anni orsono: ora ancorpiù ravvicinata, a portata di una mezz’ora di automobile.

Una libertà che si crede di ottenere, situandosi entro unazona-limite.

Un numero considerevole di chiese campestri con nove-na è infatti decentrato rispetto alla superficie dell’agro comu-nale, ed è molto spesso situato in un punto vicinissimo altracciato del suo confine o addirittura sul confine stesso; sipuò anche dare il caso che, in questo luogo, si situi la con-fluenza di tre o più confini di paese (tab. 2 a-b). Sappiamoche i tracciati dei limiti comunali furono stabiliti legalmente edisegnati su carte catastali attorno alla metà del secolo scor-so. Sappiamo anche che gli operatori cercarono di rispettare,il più possibile, l’andamento di quei confini che la tradizioneorale, rigorosamente osservata per secoli, attribuiva all’agro

di ogni singolo abitato. Per questo, possiamo ritenere che laattuale ubicazione «di confine» delle chiese campestri rispon-da a una situazione assai vicina a quella originaria.3

Essere al confine significa due cose: situarsi in una posi-zione il più possibile eccentrica rispetto al paese e proten-dersi, al contrario, verso l’altro o gli altri paesi più vicini. La

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3. Dovremmo anche ricordare le particolarissime vicende di un certonumero di chiese, che un tempo appartennero a villaggi medievali, orascomparsi. Gli abitanti di questi villaggi finirono per confluire nel paese

 vicino, da cui attualmente dipende anche la superstite chiesa campe-stre, e può darsi che abbiano conservato, nei secoli, l’immagine di unmitico ritorno alla patria d’origine. È però assai più probabile pensare auna riutilizzazione di queste chiese preesistenti, per le nuove funzionidella novena, dato che sembra che l’inizio dell’uso di novenare non siapiù antico dell’età della Controriforma. È comunque significativo che,anche in questi casi, la chiesa campestre tenda a situarsi ai limiti delterritorio del paese.

Sono due mondi profondamente diversi, a prima vista.Il paese è sempre lì, stabile nel tempo, e visibile a tutti,

perché per la sua strada ci si deve comunque passare. Lachiesa campestre bisogna invece cercarsela, spesso in fondoa una strada che finisce proprio lì.

I paesi hanno una situazione geografica alquanto unifor-me: un notevole numero di agglomerati umani, compresi ipiù grossi, è presente a quote molto basse, più o meno tra il

livello del mare e i duecento metri. Cominciano poi subitole colline, molto aspre, che non consentono, se non rara-mente, insediamenti umani sui loro declivi: e sono paesi,per lo più, esposti al rischio delle frane. Bisogna poi aspetta-re a superare i cinquecento e i seicento metri, perché torni-no a farsi abbastanza frequenti gli agglomerati umani. Si co-struisce allora su ampi versanti di rilievi o addirittura sullepiatte distese offerte dai terrazzi alluvionali o dagli altipianilavici o granitici, che consentano di coltivare almeno un po’di terreno nelle vicinanze di casa.

L’ubicazione di una chiesa campestre, richiedendo minor

spazio, viene scelta invece con un maggior grado di libertà,che consente quindi di tener conto anche di motivazioni este-tiche: si segue, di solito, un sicuro senso paesaggistico. È ra-rissimo il caso che comunità di novena sorgano ai marginidella pianura (come il Rimedio di Oristano, o S. Giovanni inSinis presso Cabras); il più delle volte sorgono in montagna:potrà essere la testata di una piccola valle (come l’Annunzia-ta di Bitti), o la vetta di un monte (come la Madonna di Go-nare), da cui si spazi su un ampio paesaggio; potrà essere,come avviene anche per i paesi, il cuore di un altopiano. Maper lo più si preferisce costruire sul dolce declivio di un colle

che scende giù, pochi chilometri più in basso, verso il fiumeo un lago, oppure su uno sprone o al bordo, quasi precipite,di un altopiano o di un pianoro, da cui lo sguardo abbracciampie distese di monti e di valli. La zona circostante è spessoricca di fonti e quindi di vegetazione, di macchia o degli ulti-mi boschi rimasti. È raro che vi si coltivi (tab. 2 a-b). Ecco la

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di chiesa E su questa intelaiatura l’attuale caos edilizio

 I. Novenario e paese 

comunità di novena è insomma una specie di zona franca

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di chiesa». E su questa intelaiatura, l attuale caos edilizio,che tende a rifiutare la solidarietà di gruppo, con un movi-mento centrifugo verso la periferia: qui ogni abitazione vuoltrasformarsi in «palazzina» a un piano, senza un tetto, finchénon si avranno i soldi per costruirlo. Con una violenza cheferisce, ci viene incontro la prima immagine dell’individuali-smo dei consumi.

La «piazza di chiesa» è uno spazio sociale utilizzato per

abitudine dagli anziani, seduti immobili sui muretti. Diventaspazio più largamente comunitario solo nelle ore serali o neigiorni di festa.

La vita quotidiana di produzione si svolge peraltro per l’uo-mo sul luogo di lavoro, per la donna nel segreto della casa.

Che la casa sia nuova o tradizionale, presenta sempre unelemento costante: la chiusura verso il proprio interno. Inesi-stenti le piazze (tranne quella della chiesa parrocchiale), ma-scherati i caffè e le bettole che non hanno tavolini all’ester-no; all’aperto, fermi, si vedono solo gli uomini: gli anziani e igiovani, grevi ormai di un’eguale vecchiaia, che non ha futu-ro da attendersi. È raro, se non nelle sere d’estate, incontraregruppi di donne che facciano capannello, sedute sulla soglia.Solo i bambini vivono nella strada: peraltro – a differenza diquanto avviene nel nostro meridione – la vita familiare è se-greta, conchiusa con dignità e assieme sospetto, all’internodelle pareti domestiche. Loggiato o giardino non danno sullastrada, ma si celano all’interno delle mura domestiche, chespesso si articolano attorno a un cortiletto centrale. Fuori,son porte e finestre chiuse, attraverso le quali è difficile poterdare una sbirciata: ma la sensazione che pesa, greve, sullenostre spalle, è sempre quella di portarsi dietro un paio d’oc-chi scuri, che osservano, registrano e giudicano.

È questo il primo incontro che si ha, a livello ancora diimpressione, con due grossi fenomeni sociali: la chiusura in-trafamiliare e il grande controllo sociale esercitato dal grup-po. Il modello borghese ha al massimo aggiunto un giardi-netto attorno alla casa, ma ha ancora poco scalfito, se nonalla superficie, questa maschera occhieggiante.

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comunità di novena è, insomma, una specie di zona franca«fuori» del paese dalla cui parrocchia dipende, ma «al centro»di convergenza di un certo numero di paesi diversi.

È in questo peculiarissimo punto che si sono poste lepremesse per la realizzazione, entro la festa, di un momentodi libertà.

Libertà vigilata, di breve tempo, pronta immediatamentea venir risucchiata entro le durezze della vita di sempre, co-

me un elastico che prima si tiri al massimo e poi, all’improv- viso, si molli, facendolo ribattere di nuovo sulla mano, nellaposizione da cui era partito.

 Anche l’urbanistica delle due comunità – di paese e dinovena – risponde a criteri antitetici.4

Il paese fa corpo, come un pugno chiuso, entro unospazio sociale guadagnato di fronte a una natura che isola esepara, e a un modo di produzione (quello agricolo e pasto-rale) che frantuma in microunità familiari autonome.

Il paese afferma la propria socialità contro la natura e unmodo di produzione che isola e separa.

La novena si apre alla natura, vi si immerge con confiden-za. La festa nega la produzione e afferma il vivere di gruppo.Il paese è solidale all’interno e antagonista all’esterno: e pa-

ga la propria affermazione con un considerevole prezzo socialedi intime chiusure e tensioni. La novena riesce a liberarsene.

Entriamo in un paese e giriamo per le sue strade. Casein mattoni di terra cruda, se siamo in pianura, case in grani-to grigio-marrone, se siamo in collina. Forme irregolari chesi snodano lungo imprevedibili vicoli, minuscoli e scoscesi,a fitta tela di ragno attorno alla via principale e alla «piazza

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4. Sull’urbanistica paesana e sull’architettura delle chiese campestri, ve-di: V. Mossa, “Le «cumbessías» o «muristenes»”, in Ichnusa, 2 (1950), pp.55 sgg.; V. Mossa,  Architettura religiosa minore in Sardegna, Sassari1953, pp. 35-36 e  Architettura domestica in Sardegna, Sassari 1957.Molto più ricco di dati informativi il saggio di A. Mori, “Centri religiositemporanei e loro evoluzione in Sardegna”, in Studi Sardi , X-XI (1952),pp. 389 sgg., che individua la tendenza alla trasformazione in agglome-rati urbani dei piccoli agglomerati sorti attorno alle chiese campestri.

una sola stanza priva di finestre mentre la porta dà sempre

 I. Novenario e paese 

Il villaggio della novena è tutto l’opposto: in esso le ca-

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una sola stanza, priva di finestre, mentre la porta dà sempresulla piazza; più moderna è la casetta a due piani, presentein alcuni novenari tra i più vivi e in via di rilancio. Vanno in-fine ricordate le «logge», che servivano, e raramente ancoraservono, per l’esposizione delle merci nei giorni della fiera.Sono per lo più addossate ai fianchi della chiesa, ma si pos-sono snodare secondo percorsi più lunghi, specie in santuaridi notevole importanza, come S. Cosimo di Mamoiada, e so-

prattutto S. Costantino di Sedilo, cui restano ormai solo setteo otto casette, ma al contrario vari e imponenti filari di loggeper i mercanti.

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(1951), pp. 47 sgg.; A. Mulas, 8 (1951), pp. 35 sgg. In S’Ischiglia vedasi:M. Berdondini, IV, 10 (ottobre 1952), pp. 16 sgg.; A. Sanna, IV, 6 (giu-gno 1952), pp. 2 sgg.; A. Boscolo, V, 4-5 (aprile-maggio 1953); A. Mulas, V, 12 (dicembre 1953), pp. 3 sgg.; M. L. Wagner, VII, 1-2 (gennaio-feb-braio 1955; cfr. anche,  La lingua sarda, Berna 1950, p. 167); A. Sanna, VII, 3-4 (marzo-aprile 1955); A. Mulas, VIII, 1-2 (gennaio-febbraio 1956).Di origine meno antica sembrano essere termini come lozzas , abbastan-za frequenti fuori della nostra zona, o altri, peraltro meno frequenti, che

fanno riferimento all’utilizzazione di loggiati e stanze come dormitori(dormitorius : Busachi; posadas : Ussassai, Baunei) o come botteghe (but-tegas : Santulussurgiu). Varrebbe la pena di riconsiderare l’esito postmedievale dei terminicumbessía e muristenes , ormai per lo più connessi a un istituto chenon ha più nulla a che vedere con quello del monachesimo medievale.Di fatto sembrerebbe che lo schema architettonico dei villaggetti di no- vena ricordi in qualche modo quello del monastero affiancato o circon-dato dal chiostro. Ma la questione è assai complessa: esistono pure sor-prendenti analogie con gli schemi architettonici dei cosiddetti «santuari»nuragici, caratterizzati da un cortile delimitato da stanze o loggiati (si veda ad esempio la pianta del «santuario» di S. Vittoria di Serri in G. Lil-liu,  La civiltà dei Sardi. Dal neolitico all’età dei nuraghi , Torino 1967,

p. 241). D’altra parte, va anche detto che l’organico schema costruttivodei villaggi di novena sembra si sia definito in epoche alquanto recenti,dato che ancora nel secolo scorso loggiati o casette in muratura eranomolto pochi rispetto ai ripari occasionali e temporanei che si costruiva-no per le feste: per questo si vedranno più avanti le testimonianze dei vari  Libri dell’Amministrazione . È possibile che si sia conservata persecoli una memoria ancestrale, eventualmente fissata di volta in voltaattraverso l’utilizzazione di materiali deperibili?

Il villaggio della novena è tutto l opposto: in esso, le ca-se non si chiudono, ma si aprono verso l’esterno: la grande«corte», che circonda la chiesa, e che costituisce il vero cen-tro comunitario, il luogo degli incontri.

Perché, paradossalmente, il paese è fatto per chiudersi,il novenario è fatto per incontrarsi.

La pianta del villaggio-santuario, pur rispondendo a que-sto criterio, può presentare diverse varianti locali: può essere

più o meno circolare, rettangolare o trapezoidale; altre voltepuò essere assai meno regolare, dovendosi adattare allecondizioni del terreno; nei villaggi più piccoli e semiabban-donati possono essere rimaste sette-otto casette vicino a mu-ra diroccate; in quelli più frequentati, al contrario, si posso-no sviluppare varie fila o blocchi di abitazioni, separati da vicoli o vere e proprie strade.

Di fatto, il complesso è sorto così, un po’ alla rinfusa, at-torno alla chiesa che, probabilmente, nei secoli passati eraquasi isolata, fornendo ai pellegrini pochi ripari in muraturae moltissimi alloggi temporanei, in canne, frasche o altromateriale deperibile. Così almeno pare di dedurre dalla let-tura dei vecchi Libri dell’Amministrazione .

Poi, piano piano, a gruppi di due o tre, sorsero le caset-te (cumbessías , muristenes ), l’una addossata all’altra, copertespesso da un tetto comune.5 Ogni abitazione è formata da

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5. Il nome più diffuso è quello di muristenes , che denota le casette intutta l’area dei novenari da noi circoscritta. Una piccola zona interna at-torno a Nuoro utilizza invece il termine di cumbessías (Nuoro, Oliena,Mamoiada, Orune, Bitti, Lula, Onanì, Fonni, Esporlatu, Bono; unica lo-calità eccentrica alla zona: Siamaggiore).La parola muristene deriva direttamente da monasterium; cumbessía in-

 vece sembra essere un astratto collettivo da connettersi a conversus . Itermini fanno rispettivamente riferimento al fenomeno medievale delmonachesimo e all’istituto dei «conversi» (cioè laici che donavano i pro-pri beni ai vari monasteri, per acquistarsi il diritto di essere seppellitinel chiostro). È questa l’etimologia più persuasiva, proposta da A. San-na nell’ambito di una lunga polemica con studiosi sardi e con lo stesso Wagner nelle riviste Ichnusa e S’Ischiglia.In  Ichnusa  vedasi: V. Mossa, 2 (1950), pp. 35 sgg.; M. Berdondini, 3

sorte spesso in modo autonomo e indipendente dall’autorità

 I. Novenario e paese 

Alcune questioni storiche

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sorte spesso in modo autonomo e indipendente dall autoritàecclesiastica centrale, tanto da preoccupare lo stesso episco-pato sardo, che se ne vedeva sfuggire il controllo. Il sinododi Arborea del 1708 ordina che non si eriga chiesa, oratorioo cappella senza licenza vescovile, «considerato l’eccessivonumero di queste chiese, per giunta fabbricate tutte senza ladotazione necessaria».8

La Spagna indubbiamente contribuì per la sua parte,suggerendo o imponendo col suo prestigio di dominatricediversi moduli liturgici. Suggerì il cerimoniale di molte feste,ne creò di nuove, introdusse nell’isola quel modo tipico dicantare in onore dei santi – i  goigs : in sardo gozos 9 – che an-cora si ascolta in varie cerimonie; introdusse, per la stessaorganizzazione delle chiese campestri, la figura dell’hermita-no, personaggio che aveva il compito di sorvegliare il san-tuario e di girare di paese in paese, per la questua, portandocon sé una cassetta contenente l’immagine del santo.10 Manon sembra abbia introdotto l’usanza della novena, che pareassente da tutto il folklore religioso spagnolo e pirenaico.

Come e quando si diffusero in Sardegna i novenari nel-la loro forma caratteristica? Le prime notizie risalgono allaseconda metà del ’600. Il  Libro dell’Amministrazione  deibeni della chiesa di S. Maria de Saùcu (del Sambuco) diBortigali (che inizia all’anno 1604)11 all’anno 1660 computail pervenire di certi introiti dae sos noinantes de festa; il si-nodo di Arborea del 1680 a sua volta vieta che en las oca- siones de fiestas o novenas  ci si intrattenga nella chiesa permangiare e dormire.12

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8. Cfr. nota 10.9. Sui goigs cfr. J. Amades, El Goigs , Barcelona 1940.10. Sull’hermitano o plegador o  santero, raccoglitore di offerte per mo-nasteri o santuari pirenaici, vedi R. Viollant y Simorra,  El Pireneo Espa-ñol , Madrid 1949, p. 555.11. Arch. Parrocch. di Bortigali.12. Sin. Arb. 1680, tit. VI, cap. II, p. 192. Di «novene» parlano anche uneditto settecentesco di Bosa,  Editti di Bosa, pp. 38 sgg. e il Sinodo di  Bosa del 1780, cap. XVIII, par. XVI, p. 91.

 Alcune questioni storicheL’uso paraliturgico della novena, di origine medievale, eb-

be in Europa una moda crescente, a partire dal XV secolo.6Ma l’istituto del novenario presso una chiesa campestre nontrova (almeno allo stato attuale delle conoscenze) parallelicontinentali, e sembra essere una caratteristica isolana, da cor-relarsi dunque alle particolari condizioni storiche e socioeco-nomiche della Sardegna. Nella sua forma passata e attuale, il

novenario non è che l’ulteriore estensione nel tempo (e in untempo canonizzato) dell’usanza, diffusissima, della festa cam-pestre, da cui non si differenzia per carattere e finalità. Il fattoperò che, qui in Sardegna o in certe sue zone, la festa si pro-lunghi per un numero maggiore di giorni sarà anzitutto da ve-dersi come una soluzione escogitata per superare, in qualchemodo, il secolare isolamento interlocale, così caratteristicodella vita dell’isola.7

È probabile che l’origine delle feste campestri sia moltoantica (medievale? preromana?). Un certo numero di chieserurali è situato nei pressi di nuraghi o di zone di culto nura-gico (testimoniate da betili, pozzi sacri, ecc.). La fondazionedi alcune di esse sembra anche da connettersi all’influenzadel monachesimo medievale. Sta di fatto però che fu il seco-lo della Controriforma a dare alla Sardegna, sotto questoaspetto, la sua attuale forma. Sappiamo che a partire da que-sto periodo si moltiplicarono le erezioni di chiese campestri,

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6.  Enc. Ital. XXIV, 1002, s.v. “Novena”. La durata delle feste dei santi(eventualmente precedute dalla «vigilia») in tutto il periodo premedieva-le e medievale fu in genere di uno o tre giorni, rarissimamente diun’ottava: B. Kötting,  Peregrinatio Religiosa (Wallfahrten in der Antike und das Pilgerwesen in der alten Kirche), Münster 1950, p. 326.7. Nel secolo passato (l’Angius ne fa alcuni cenni) esistevano determina-te chiese campestri o santuari famosi, la cui festa poteva durare anchequindici giorni, un mese. Allora, i diversi gruppi paesani vi si recavanosecondo turni stabiliti dalla consuetudine, ed avevano a disposizione cia-scuno un certo numero di giorni. Istituti del genere sono ormai scompar-si, e attualmente i novenari costituiscono l’esempio delle feste più lun-ghe esistenti nell’isola.

1552; ritorna poi puntualmente, con insistenza degna di nota

 I. Novenario e paese 

Questo è tutto: indicazione forse però sufficiente, se la si

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55 ; p pu u , ge con altrettanto notevole ricchezza di particolari, in ogni si-nodo, fino a quello di Torres del 1887, che registra però an-che la scomparsa dell’uso della veglia in chiesa.15

Oggi, la veglia in chiesa è praticata ancora in qualche lo-calità dell’isola, ma è ridotta a sola pratica devozionale, limi-tata esclusivamente alle donne, che si riuniscono in preghie-ra: ma il passato pagano ha lasciato una traccia nel nome di«Diana» che talvolta designa ancora l’usanza.

Peraltro, tutto quello che tre secoli di polemica ecclesiasti-ca ebbero come esito fu, nel complesso, il respingere la festaalla luce del sole e fuori dalle mura della chiesa: e questo hacomportato, come conseguenza, una certa più chiara defini-zione dei confini tra «sacro» e «profano». In chiesa si svolgonole pratiche devozionali; fuori può svolgersi la festa. È eviden-temente una soluzione di compromesso, che continua a la-sciare intatta la sostanza della cosa, e cioè il fatto che socialitàe godimento continuino a dispiegarsi attorno a una chiesa.

Chiese campestri continuarono ad essere erette anchenei secoli seguenti a quelli della Controriforma, e persino

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15. Diamo qui le fonti sinodali relative alle veglie nelle feste campestri,oltre a quelle citate sopra. Sin. Torres 1555 (da D. Filia,  La Sardegnacristiana, vol. II, Sassari 1913, pp. 28-30); Alghero 1567-70, cap. 26, to-mo II; Alghero 1572, p. 36;  Alghero 1581, cap. 33, tomo II, fol. 46; Tor-res  1625, pp. 79 sgg.; Cagliari 1628, p. 96; Torres  1633, pp. 115-116sgg.;  Arborea 1649, p. 37; Torres 1694, tit. XIV, cap. VII, pp. 460 sgg.;Cagliari 1715, tit. XIII, cap. I, pp. 193 sgg.;  Alghero 1728, pp. 124 sgg.; Arborea 1756, cap. 25, p. 201;  Ampurias 1777, cap. VI, pp. 186, 214; Alghero 1785, cap. IV, pp. 185 sgg.; Torres 1877, pp. 106 sgg.I sinodi più recenti (Cagliari 1882, pp. 34 sgg.; Cagliari 1886, libr. I, p.29; Alghero 1912, tit. IV, cap. I, par. 354, p. 100; Tempio 1933, const. III,cap. III, p. 40; Cagliari 1939,  pars III, cap. II, pp. 34 sgg.) non vietanoormai più l’usanza di pernottare in chiesa: tranne  Alghero 1912 e Tem- pio 1933 che menziona però la veglia  sicubi permanet. Continuano in- vece i divieti di ballare, bere e pranzare, benché senza specificare do- ve, il che potrebbe far pensare a un lento indirizzars i della praticafestiva dall’interno della chiesa al suo esterno, come attualmente avvie-ne: Cagliari 1882 vieta infatti di ballare ecc. in vestibulo delle chiese.

Qu u p u ,correla con quanto sappiamo di più preciso circa le festecampestri in generale. Le notizie ad esse relative risalgonopiù o meno alla seconda metà del ’500 e si fanno anch’essepiù numerose nei secoli successivi. Le strette connessioni tra«sacro» e «profano» presenti nelle feste suscitarono preoccu-pazioni presso le autorità ecclesiastiche che, con una conti-nua polemica, cercarono di introdurvisi come elemento ditrasformazione in senso devozionale e di controllo moralisti-co: la letteratura sinodale – l’unica che presenti una certautilizzabile continuità di informazione – è piena di direttiveper interventi di questo tipo.

Nei secoli scorsi, il momento centrale della festa era co-stituito dalla veglia in chiesa. Durante la veglia si mangiava ebeveva, si cantava e si ballava in libera e allegra promiscui-tà. Chi era stanco per il viaggio, uomo o donna che fosse,portava i propri bagagli in chiesa e si stendeva su giacigliimprovvisati; si poteva anche dormire nei cimiteri o nellelogge esterne all’edificio.13 Il disordine festivo doveva esserenotevole, e accresciuto dall’immancabile presenza degli ani-mali – «immonde bestie», per il sinodo di Ales del 169614  – che erano serviti per il trasporto dei loro padroni o che, ilgiorno dopo, sarebbero finiti nell’arrosto.

Tutti questi comportamenti furono considerati scandalosie lascivi dall’autorità ecclesiastica, che si prefisse sempre,con una lotta in cui fu la più forte, di separare il «profano»da un «sacro» che non ne poteva prescindere. L’interdizionepiù antica del ballo in chiesa risale al sinodo di Torres del

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13. Divieti di dormire nei cimiteri e in porticibus : Sin. Bosa 1591, p. 92;Sin. Torres 1606, cap. XXVII, parr. 27 sgg., pp. 95 sgg. Il prof. Sanna miha anche comunicato oralmente di aver registrato pochi anni fa dalla voce di una contadina di Bonorva il termine cumbessía col significatodi «tomba», «cimitero»: ulteriore indice della sua ipotesi circa l’originedel termine, di cui alla nota 2. Cumbessía quindi oggi come «loggiato»,«portico», «stanzetta» attorno alla chiesa, dove si può vivere in festa o ri-posare dopo la morte.14. Sin. Ales 1696, tit. XV, punct. IX.

e digiunando, pregando e ascoltando la divina parola del sacerdote

 I. Novenario e paese 

nella seconda metà dell’800 e nella prima di questo secolo.

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g p g pche va in loro compagnia, si preparino ai sacramenti e alla celebra-zione della festa in onore del santo, al quale fecero voto.17

Questo però non deve significare che, nei tempi passati,la novena fosse un luogo di ascetismo controriformistico:doveva piuttosto essere un piccolo mondo molto variato, nelquale le pratiche devozionali e penitenziali coesistevano conaltre più goderecce, contro cui, come si è visto, da sempre il

cattolicesimo ufficiale ebbe a combattere. Potremmo anziipotizzare che, nei secoli passati, a un massimo di libertà ri-spetto al bere, al mangiare e al fare all’amore, corrispondes-se, d’altra parte, un massimo interesse per le pratiche devo-zionali e penitenziali.

Queste ultime non furono mai condannate dai sinodi, senon in via eccezionale e alquanto avanti nel tempo: il sinododi Bosa del 1780 si riferisce, con un certo disprezzo, all’inizia-tiva di nonnulae mulierculae che durante la novena avrebbe-ro percorso a ginocchia nude il perimetro della chiesa e lasua «corte» (atrium) antistante.18 Attualmente, questo compor-

tamento cerimoniale si sta facendo uno spettacolo sempre piùraro, e così pure altre forme di penitenza in auge fino allascorsa generazione: il viaggio alla chiesa campestre cammi-nando a piedi scalzi e portando sulla testa una grossa pietra,l’uso di condurre dal Santo gli ossessi o i malati, ecc.

Unica pratica religiosa di un certo arcaismo contadino èrimasta quella connessa al particolare privilegio dell’Annun-ziata di Bitti di assolvere le anime dei defunti, mediante unabreve preghiera recitata dal sacerdote. Ciascuno potendosiacquistare l’assoluzione di un familiare per la modica spesadi 200 lire, le richieste di questo servizio superano in ogni

anno le varie centinaia.

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17. V. Angius, in G. Casalis,  Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino 1833 sgg., XIII(1845), p. 309.18. Sin. Bosa 1780, cap. XVIII, par. XVI, p. 91.

p qNuovi santi, come S. Ignazio da Laconi (Norbello) o S. Vin-cenzo Ferreri (Siligo) si intitolarono a chiese nuove, che finoa una trentina d’anni fa continuarono ad essere costruite nelpiù ossequioso e spesso inconsapevole rispetto dei modellitradizionali di scelta dei luoghi e degli schemi urbanistici.16

 Vediamo ora come pratiche devozionali (in chiesa) e fe-sta (fuori della chiesa) si articolino attualmente nei novenari.

Le pratiche devozionaliLa vita quotidiana della novena riserva uno spazio relati-

 vo alle pratiche devozionali: c’è, in genere, solo la messa delmattino e la novena del pomeriggio. La partecipazione aqueste cerimonie non è neppure totale, specie per gli uomi-ni. L’esiguità dello spazio concesso alle pratiche devozionaliè un fatto relativamente nuovo, nel senso che, fino a due otre generazioni fa, la novena aveva un aspetto maggiormentepenitenziale e veniva intesa come preparazione ai godimentidella festa. Sono ancora molti gli anziani che ricordano che sipoteva andare alla novena per praticare il digiuno e per dor-mire scomodamente, appoggiando la testa sopra un sasso. Verso la metà del secolo scorso, a proposito di S. Salvatore diCabras e del Rimedio di Oristano, l’Angius, che percorse edescrisse quasi tutti i paesi della Sardegna, notava:

Tra le molte cose che si potrebbero annoverare è notevole, co-me in altre, così nella diocesi di Oristano, la consuetudine che mol-te persone dell’uno e dell’altro sesso, ma in maggior numero don-ne e anche famiglie intere, abbandonata la casa e intermesse leloro facende vadano presso alcune chiese rurali per farvi novena, vivano disagiatamente in alcune rustiche casupole o sotto capanne,

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16. Dalla tabella dei dati sommari (tab. 1) abbiamo dovuto omettere lenotizie storiche circa l’origine delle singole chiese, dato che disponeva-mo di una limitatissima documentazione attendibile, e dato che (tranneche per le date più recenti) non sempre è dimostrabile un nesso inizia-le tra data di fondazione della chiesa e eventuale contemporanea istitu-zione del relativo novenario.

possono essere novenari più o meno festaioli, cioè più o

 I. Novenario e paese 

Nel complesso, soltanto la novena del pomeriggio ha

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meno frequentati, più o meno goderecci, più o meno «paga-ni»; ed è chiaro che il ritmo di vita di un novenario frequen-tato da dieci famiglie è ben diverso da quello di uno fre-quentato da cento o più gruppi familiari. Ma li accomunauna sostanziale affinità di struttura, per cui le differenze ap-partengono più a un ordine quantitativo che qualitativo.

La mattina, la «corte» vive un clima rarefatto: le donnesono uscite dalla messa, indugiandosi a conversare a gruppi,e sono ormai rientrate nelle loro abitazioni, dove hanno va-rie ore occupate dalle faccende domestiche.

C’è da lavare, da vestire i bambini, infine da preparare ilpranzo. C’è soprattutto da rendere abitabile e pronta per le visite l’unica stanza a disposizione. La cumbessía ha per lomeno una branda, un tavolo, delle sedie, un fornello a bom-bola, un mobile o delle scatole per contenere le masserizie,altre scatole e valige per i cibi di scorta, per gli abiti, ecc. Senella stanza si abita, come spesso, in molti, diventa un lavo-ro d’incastri tenere l’ordine, cosa che peraltro riesce e costi-tuisce punto di onore. Il lavoro in questo caso si moltiplica,e di molto, perché il vano la notte si trasforma in dormitorio,riempito all’inverosimile di brande, materassi, stuoie, che lamattina si devono rimuovere, ammucchiandoli dove si può.

Fino a un paio di generazioni fa, quando l’aspetto peni-tenziale era più accentuato, chi andava al novenario portavacon sé pochissimi oggetti e nessun mobile: si dormiva sustuoie o, se si era in montagna, su giacigli di felci; si cucina- va accendendo fuochi all’aperto. È da tener presente che al-lora anche le abitazioni normali erano quasi totalmente privedi mobilio, che si riduceva, per lo più, alla cassa per il corre-do, a un paio di cavalletti che sostenevano il pagliericcio, ed

eventualmente alla tavola per impastare il pane. Anche ilcomfort del novenario era molto minore, nel senso che ripariin canne e frasche, tende e baracche erano prevalenti rispet-to alle costruzioni in muratura, spesso riservate alle famigliepiù abbienti, mentre le poche altre abitazioni destinate ai pel-legrini erano sovrappopolate all’inverosimile.

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conservato un ambito cerimoniale relativamente elaborato: èdi fatto l’unico momento che chiami a raccolta non solo tuttii membri della piccola comunità sacrale, ma anche gruppipiù o meno numerosi di persone, che provengono dal paese vicino a piedi – quello che si chiama fare la novena a bía e torra, a andare e tornare – o anche da molto più lontano,ora che si hanno a disposizione automobili e motociclette.Questa maggiore importanza cerimoniale della novena ri-spetto alla messa condiziona quindi tutto il ritmo della gior-nata, per cui nelle ore pomeridiane si intensificano gli arrividi persone, gli scambi di visite e così via. In chiesa si recita-no per la novena orazioni particolari, si riceve la benedizio-ne, si cantano i  gozos . Segue poi quasi sempre la processio-ne che si snoda, per una o tre volte, attorno al perimetrodella chiesa o dell’intero complesso delle cumbessíe .

Una processione può essere anche organizzata autonoma-mente da un singolo novenante che, con una spesa di un mi-gliaio di lire o giù di lì, si assicura la collaborazione del sacer-dote, un certo seguito di persone e una certa dose di prestigio.

La vita quotidianaNell’anormalità della vita del novenario, di giorno tende

a riprodursi un ritmo di vita quotidiana, intessuto di gesticonsueti, che mediano l’appaesamento entro un orizzonteestraneo e un più largo aprirsi ai rapporti sociali. Socialità efesta, a loro volta, si dischiudono progressivamente, sia nel-l’arco della giornata che in quello di tutta la novena: le ulti-me ore del giorno e gli ultimi tre giorni della novena sono imomenti culminanti.

È una vita che nega quella di paese, nella misura in cui

 vuol essere eccezionale, ma che assieme la conferma, nellamisura in cui i moduli di riferimento di ogni comportamentosono sempre quelli del paese. Ed è nello stesso tempo, para-dossalmente, una vita quotidiana e festiva.

Quotidianità e festività tendono a fondersi, anche se può variare la misura in cui entrano in reciproco rapporto: ci

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anche in paese per la «passeggiata» domenicale. Godono però

 I. Novenario e paese 

Tutta la mattina è impiegata dal lavoro femminile: nella

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di una certa maggior libertà di incontri, mediati dalle conver-sazioni familiari di gruppo, dal pretesto di ascoltare le canzonidi un transistor, ecc. Provocazione reciproca e corteggiamentosono ancora, nel complesso, gli unici modi in cui i due sessisi sanno incontrare.

Si avvicina l’ora della novena, comincia ad affluire gentedai vari paesi. Parenti ed amici vengono in visita, ed ancheper prendere la benedizione. Si mette in moto la macchinadell’ospitalità – e anche per questo con ritmo maggiore o mi-nore a seconda dell’importanza della chiesa e quindi del nu-mero degli arrivi. Possono essere anche ore di ritmo convulso.

Ci si apre ai rapporti sociali coi nuovi venuti secondo leforme d’obbligo dell’«invito» ( su cumbídu) – biscotti, vino,caffè. Ogni nucleo familiare può arrivare a ricevere ancheuna ventina e più di visitatori, e il prestigio dato dalle rela-zioni sociali aumenterà di conseguenza.

Questo ritmo conviviale tende ad aumentare fino a rag-giungere il proprio climax il giorno della festa grande, chedi solito conclude il ciclo della novena. Per essere precisi, lafesta dura in genere tre giorni, e tale è anche spesso la dura-ta delle feste che si celebrano in quelle chiese campestrisenza novena, che non mancano, in media, in un paese sar-do su due. Queste giornate di festa si distinguono da quelledella novena più per quantità che per qualità di occasioni: siintensificano tutti gli aspetti conviviali, l’affluenza di ospiti, ipranzi, le ubriacature, i balli. Anche le bancarelle di venditaaumentano, ma è ormai un ricordo il mercato di merci e dibestiame che si teneva quasi in ogni festa.

Le sere della novena, i visitatori se ne vanno, mentre lefamiglie si riuniscono per la cena. Pranzo e cena sono nor-

malmente più abbondanti e di qualità migliore del solito,con un primo piatto di pastasciutta e un secondo di carne:non si dimentichi che ancora attualmente la maggior partedelle famiglie contadine si nutre di sola pastasciutta, con almassimo l’aggiunta di un po’ di formaggio, mentre la carneè riservata alla domenica o addirittura alle grandi occasioni.

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«corte», quasi deserta, gironzolano solo bambini e cani. Qual-che rara bancarella delle solite invariabili cose che si trovano intutte le fiere, fa magri affari: si dovranno aspettare i giorni dellafesta grande perché bancarelle ed acquisti si moltiplichino.

Gli uomini, o dormono per smaltire la sbronza della seraprecedente, o sono già alla bettola per mettere le basi diquella della giornata. La difficoltà più grande che abbiamoincontrata nel nostro lavoro è stata ovunque quella di trova-re uomini sufficientemente sobri da essere in grado di soste-nere o perfino di iniziare una conversazione.

Nel complesso tende a riprodursi quella divisione di com-piti, che indirizza le donne verso la casa e l’uomo all’esterno:o al lavoro o all’unico luogo di socialità maschile, la bettola.

Molti uomini, mariti o figli, hanno lasciato la famiglia perandare in paese a lavorare: questo si verifica soprattutto neinovenari più vicini al paese e a prevalente composizione et-nica unitaria. Non torneranno che per il pranzo, o addiritturanel tardo pomeriggio; alcuni possono anche preferire torna-re di nuovo la notte a casa, per sorvegliarla.

Queste del mattino sono le ore in cui si avverte predo-minante la presenza di una vita femminile, che a sua volta – qui come in paese – tende poco ad esibirsi fuori delle paretidomestiche. La «corte», come in paese la strada, è ancora deibambini.

Dopo il pranzo e il riposo pomeridiano, cambiano pro-gressivamente ritmo e fisionomia della «corte». Si esce sullaporta di casa e si formano gruppi di vicini per lunghe con- versazioni, si gioca a carte o alla tombola. Per i giochi, vigesempre la separazione tra i sessi: si gioca a carte per lo piùsolo tra uomini o solo tra donne; la tombola è esclusivamen-

te femminile; la morra, gioco di strada o di bettola, esclusi- vamente maschile. Le conversazioni invece possono com-portare la partecipazione di due o più nuclei familiari, con lapresenza sia di uomini che di donne.

Quanto ai giovani, tendono ancora prevalentemente a riu-nirsi secondo gruppi distinti per sesso e per età, come avviene

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II. CINQUE NOVENARISi cena presto, dopo il primo buio: la luce elettrica, se’è è ’i d i i i di i l i i d

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Primi approcci descrittivi (1966)La nostra inchiesta ha preso in esame, in particolare, la

situazione di cinque novenari: S. Francesco di Lula, la Ma-donna del Rimedio di Orosei, l’Annunziata di Bitti, i SS. Co-simo e Damiano di Mamoiada e la Madonna di Gonare.

Sono tra i più famosi e frequentati del Nuorese, e si ca-ratterizzano variamente per diversi motivi: il numero e laprovenienza etnica dei novenanti; la connotazione più o me-no devozionale o festaiola; la diversità delle configurazionisociali ed economiche dei principali paesi afferenti ad essi.

È un’area sufficientemente circoscritta per presentareuna certa omogeneità culturale, ma anche sufficientemente variata nel proprio interno perché se ne possano fare emer-gere certe differenze, a livello sia di comunità di novena chedi comunità di paese.

L’inchiesta si è svolta in due tempi: una prima fase disondaggi durante la primavera e l’estate del 1966; una se-conda di verifica, mediante questionari, durante la primaverae l’estate successiva nei cinque novenari-campione e duran-te l’autunno-inverno ’67-68 nei cinque paesi di riferimento.

Ripercorrere questo itinerario nelle sue stesse forme si-gnifica segnare le tappe della maturazione di un processoconoscitivo.

Comincerò dai primi appunti del ’66.

San Francesco di LulaIl centro sacrale di S. Francesco pare abbia una tradizio-

ne antica, che ne fa uno dei luoghi di culto più popolari ditutto il Nuorese; la fama dei suoi miracoli dura tuttora. È ilprimo che affronto, e mi impressiona per il biancore deimonti che lo sovrastano: i bianchi monti di Lula.

Non so niente della sua storia; per quante ricerche abbiafatto non mi è stato possibile trovare documenti antichi. Si

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c’è, è un’introduzione recentissima, di questi ultimi due-treanni. E poi, la notte: silenziosa o festaiola a seconda dei no- venari o delle occasioni. Ci sono novenari più tranquilli, incui ci si diverte solo la notte che precede la festa grande; al-tri che concedono buona parte delle loro serate al diverti-mento: si può restare a lungo a giocare o a conversare; sipuò ballare «alla moderna» al suono di transistor o di man-giadischi, o «alla sarda», e in questo caso nei rispettivi quar-tieri ogni gruppo di paese balla il proprio ballo. Come sem-pre, questo divertimento comporta una notevole parte diesibizione: e anche qui per i balli si formano numerosi ca-pannelli di spettatori. Il giorno della festa, non si farà chetrasferire alla luce del sole tutto quanto la (relativa) normali-tà della novena aveva riservato all’eccezionalità notturna.

La sera, nelle bettole dura ancora più a lungo il chiasso,ritmato dalla scansione di animatissime morre o da qualchetentativo (più o meno riuscito) di canto maschile in coro.

Inizia infine nel buio la difficile operazione di trasforma-re in dormitorio la propria stanza: poi si va tutti a dormire emagari a compiere quei peccati di cui la mattina si andrà acercare, non molto lontano, l’assoluzione.

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sussurra dell’esistenza di un atto notarile cinquecentesco, lai bbli zi bb it d t i it

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Ma non so in che misura queste immagini mi potrannoi d if i t t t l it d l

 II. Cinque novenari 

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cui pubblicazione verrebbe ritardata per non risuscitare un vecchio conflitto di competenze, che ora ha raggiunto un fair play equilibratore. La chiesa è situata infatti in territoriocomunale di Lula, ma dipende dalla parrocchia di Nuoro ela sua festa è organizzata solo dai nuoresi, che la considera-no loro patrimonio.

Ci arrivo senza saper bene cosa aspettarmi. Unica imma-gine di riferimento, il ricordo di un colloquio avuto, quattroo cinque anni fa, con un pastore di Orgosolo, che mi avevaraccontato una sua recente vicenda. Si era trovato a vagare,fuori di senno, per la campagna: ma doveva aver seguito ilsegreto richiamo di qualche percorso ancestrale perché, do-po giorni di cammino, giunse fino a S. Francesco. Dormìnella chiesa che il custode impietosito gli aveva aperto, e lamattina infine riacquistò la coscienza.19 Ricordo ancora lasua figura: un giovane mite, dai pazienti occhi azzurri, unpo’ pingue e lento, l’immagine opposta dell’orgolese secco,slanciato, autonomo e aggressivo. Diceva che la vita del pa-store non era fatta per lui…

Collego in qualche modo questa immagine con quantosi dice di questo S. Francesco, patrono dei pastori. So inoltreche – almeno fino alla passata generazione – il Santo era an-che patrono dei ladri e degli abigeatari, i quali, fatto il col-po, ringraziavano il patrono con una parte della refurtiva opresenziando alla novena. Mi è stato anche detto che pertradizione la festa è organizzata a turno dai macellai dellacittà. Correlo pastorizia, abigeato e vendita (più meno «legale»)a un modo di produzione precapitalistica, da cui è potenzial-mente estraneo il principio dalla proprietà privata e per cui sicreano valori negativi come «furto» o «rapina» quando ci si

 venga a scontrare con un tipo di economia privatistica e mo-netarizzata.

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19. La ricerca di qualche pratica di incubazione terapeutica risultò ne-gativa, sia in questo che in tutti gli altri novenari visitati.

servire da riferimento per penetrare entro la vita del novena-rio. Parto insomma da zero.

Primissime impressioni: disordine e orgogli. Una bruttachiesa con cupole e vari locali annessi alla rinfusa: non inviaaltri messaggi se non quelli di una vuota pretenziosità.

Tra le persone invece, più che disordine è ritmo convulso.Quanto agli orgogli – i prestigi – meritano un lungo dis-

corso. La fiera delle vanità.Prime immagini: il traffico e l’andirivieni della nuova co-

munità in fase di costituzione. Arrivo all’inizio della novena,di pomeriggio. Il complesso sacrale è un grosso paese – sco-prirò che ci abitano circa 500 persone, tra adulti e bambini – che sta finendo la sua formazione: arrivano le ultime famigliedi novenanti, che scaricano dai camion brande e materassi, valige, scatole, grossi involti, bambini, bambini. Si stannomettendo su le bancarelle dei torronai e dei venditori di gio-cattoli; le bettole, costruite in legno, sono già in piena effi-cienza. Incontro un amico di Orgosolo, attivista di partito,che è qui a trasportare casse di birra – un camion al giorno.

È difficile farsi strada nella ressa.E veniamo alle vanità e alla storia della prioressa. È un

episodio che va raccontato per intero.Sto cercando, senza successo, gli amici che dovrebbero

introdurmi da chi mi ospiterà per la novena, non so beneche fare, quando mi viene incontro la moglie dell’organizza-tore della comunità, il priore, che un efficientissimo telefonoarabo ha già informata del mio arrivo. Mi vuole ospite delpriorato: la seguo, ingenua e fiduciosa.

Ritmo convulso anche nelle stanze del priorato, che è ungrosso edificio. A decine gli ospiti vengono e vanno, mentre

quelli che si intrattengono più a lungo se ne stanno rigida-mente seduti, come pappagalli su un trespolo, su sedie alli-neate lungo le pareti. Il tipico modo di sedersi contadino, nonpiù libero e sciolto, quando utilizzi strumenti non suoi: le ma-ni in grembo, le donne; poggiate rigidamente sulle ginocchia,a reggere il berretto, gli uomini. Zitelle baffute passano con

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enormi vassoi di caffè e biscotti. Tra poco comincerò a odiaresavoiardi e amaretti che tutti mi offriranno come unica e ini

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L’uso non è specificatamente sardo, e ritorna o ritornava in uncerto numero di santuari della penisola: ma è interessante no

 II. Cinque novenari 

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savoiardi e amaretti, che tutti mi offriranno come unica e ini-mitabile specialità del loro paese, ignorata da chi abita ventichilometri più in là. Di fatto, tutti i paesi non fanno che sa- voiardi, amaretti e altri dolci di mandorle.

Sotto il caos apparente del priorato sta un’organizzazioneefficientissima, cui mi iniziano prioressa e priore. C’è una stan-za-office , piena di tavoli carichi di bicchieri e tazzine e centi-naia di biscotti. C’è poi un’enorme cucina, dove donne indaf-faratissime e sudate lavorano dalle quattro di mattina alle diecidi sera alla preparazione del pranzo per gli ospiti, che ognigiorno sono come minimo una trentina. C’è anche da prepara-re una minestra speciale,  su filindéu, di cui chiunque passi inpriorato – e son magari centinaia di persone nei giorni dellafesta grande – deve mangiare almeno un paio di cucchiaiate.Mi informano che attorno al priorato ruota un personale diuna cinquantina di persone circa, uomini e donne, raccolti dalpriore tra parenti e amici, che collaborano gratuitamente.

C’è infine il grande cortile-mattatoio, il vero centro produtti- vo della festa. Ogni giorno si sacrificano le pecore per il pranzo

dei novenanti e dei visitatori. La carne viene lessata in enormicalderoni di rame. Della pecora si utilizza tutto. Col sangue si fa su zurrette , un apprezzatissimo sanguinaccio cotto nello stoma-co dell’animale. Le pelli verranno salate e poi vendute.

La carne viene distribuita quasi ogni giorno dal priore inpersona tra i novenanti, secondo un codice ben preciso dirotazione nell’assegnazione delle parti. Viene anche imbandi-ta, mattino e pomeriggio, su tavoli all’aperto in un altro corti-le del priorato, perché tutti i visitatori ne possano godere.

Nella stanza dove si conservano le carni c’è anche una bi-lancia: una grossa stadera che, oltre alle varie utilizzazioni

quotidiane, ne può avere anche una più eccezionale, sacra.Ogni voto è un patto di scambio che si instaura con un santo:in questo caso, l’esattezza dello scambio arriva fino al gram-mo. Se si ammala un bambino, si può promettere a S. France-sco di «riscattarlo» mediante l’offerta di un peso uguale di car-ne d’agnello o di vitello o dei rispettivi equivalenti monetari.

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certo numero di santuari della penisola: ma è interessante no-tare la particolare connotazione che qui assume l’ideologiainerente al rito. La malattia è vissuta implicitamente come unessere sequestrati da un Santo che, come un bandito, esigeun «riscatto». Ricordo che, al Rimedio di Oristano, ho sentitochiamare col nome di «riscatti» anche gli ex voto offerti al San-tuario. Né banditi né santi compiono un’azione riprovevole,perché rubare non è rubare, ma prendere per sé.

Qui a S. Francesco assisterò tra breve a un’altra forma diriscatto, questa volta non individuale ma collettiva: è il ritodella bisaccia (bertula). Il bambino malato viene messo en-tro una delle due tasche di una candida bisaccia di lino; l’al-tra tasca servirà per la raccolta delle offerte che la madreraccoglierà questuando di porta in porta. Tutto il gruppo hacontribuito così, di fronte al Santo, al riscatto sociale di unsuo membro: non ho visto nessuno che negasse l’offerta, etutto si è svolto in un clima di intensa commozione. Nonpoche le donne che piangevano.

Il rito della  pesada deferisce invece il gesto simbolico al

rappresentante della comunità di novena: il priore, che loesegue di persona.

Datami un’ulteriore dimostrazione dei suoi compiti, il prio-re mi erudisce per ore su oneri e privilegi, impegni e virtù del-la sua difficile carica.

Mi chiedo intanto che fine abbiano fatto i miei amici.Finalmente mi ritrovano, dopo ore di angoscia: la priores-

sa aveva tentato il colpo di avermi sua ospite senza avvisarele legittime pretendenti alla mia persona, che abitavano allaporta accanto. Mi ero trovata, senza saperlo, al centro di unconflitto di autorità: chi mi stava aspettando (amica di amici)

era zia20 Tatana (Sebastiana), acerrima rivale della prioressa.Forte di un passato di ben un trentennio di novene coronatoanche da priorato del marito, accusava l’altra, ultima arrivata,di essere una parvenue . Il conflitto per la mia ospitalità era di

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20. Ziu, zia è epiteto di rispetto dato alle persone di una certa età.

fatto il culmine di una serie di tensioni, che avevano tra l’altroportato al rifiuto da parte della prioressa di concedere a zia

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Dal balconcino delle nostre stanze si controlla la quasitotalità della «corte»: la chiesa e le cumbessíe a due piani co-

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portato al rifiuto, da parte della prioressa, di concedere a ziaTatana l’uso della stanza da lei abitata da un numero impreci-sabile di anni. Il mio ritrovamento mette in situazione di infe-riorità la prioressa, che tenta infine la mossa disperata di con-trattarmi, proponendo di fare a mezzo della mia ospitalità (ungiorno ciascuna): ma ormai la battaglia è perduta. Il prestigiodi zia Tatana torna a trionfare, traendo lustro e decoro dal fat-to di ospitare presso di lei una professoressa.

 Vivo con zia Tatana e zia Franzisca, costrette dall’infameprioressa a una coabitazione coatta, la cui iniquità le fa spes-so letteralmente piangere di rabbia. Siamo di fatto sistematein due confortevolissime stanze al primo piano, tra le mi-gliori del complesso.

Sono due personaggi. Nuoresi entrambe, entrambe sullasessantina. Alta, secca, altera, con due penetranti occhi grigi, ilineamenti regolari, il portamento di gran classe, la prima; pic-coletta, grassoccia, la seconda, pasticciona, con molto menostile, ma è una simpaticissima estroversa. A tavola, le piace ab-bandonarsi alla battuta grassa, con la scusa che «tanto, siamo

tra donne»; si diverte a fare la parodia del lamento funebre o anuotare, come una bambina, sul letto, con quel suo corpaccio-ne pienotto e generoso. E poi, si commuove fino alle lacrime,nel raccontare la storia dell’origine della sua novena a vita: hafatto il voto il primo anno di matrimonio, quando le si ammalògravemente il marito. Per fortuna S. Francesco, apparsole insogno, lo guarì. È tabaccaia, mentre zia Tatana è proprietaria,assieme alla sorella, di un ristorante, piccolo ma rinomato, checonduce con energia e con notevoli capacità di organizzazionee aggiornamento.  Zia Franzisca è ora vedova; zia Tatana haun marito invisibile, che fa rarissime comparse per portare in-

 verosimili quantità di carne. Rimane allora muto in un angolo,seduto su una sedia impagliata, col berretto in mano.

Entrambe mi avviluppano nelle maglie di un’ospitalitàtotale e possessiva. Non è possibile un passo senza il loroconsenso, un colloquio senza la loro pianificazione. Ma de- vo molto alla convivenza con loro.

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totalità della «corte»: la chiesa e le cumbessíe a due piani, co-me la nostra; altre invece più vecchie ed umide. Le personesono distribuite in modo iniquo, evidentemente in rapportoal censo: le stanze peggiori sono anche le più affollate, e sipuò arrivare anche a una quindicina di persone.

Il grado di comfort rispecchia, più o meno, la media pae-sana. C’è da un paio d’anni la luce elettrica. Si dispone di unasola fontana, fuori del perimetro, presa d’assalto con lunghecode di donne (non è «cosa da uomini» trasportare acqua).Non ci sono latrine, tranne quella del prete, cui potrò chiede-re la chiave nei momenti di bisogno. Privilegi e controlli di status ! Gli uomini pisciano un po’ ovunque. Per il resto, si vain campagna, le donne magari a gruppi. Se sono sole, nonperdono il loro tempo: ho ormai fotografata nel ricordo l’im-magine dignitosissima di una zia corpulenta, che sgranandosiil rosario, fa le sue funzioni in piedi, alla moda antica.

Il novenario è in auge: pare infatti che le presenze sianoaumentate notevolmente in questi ultimi anni, a differenzadi altri luoghi. Può darsi che questa sia una tendenza al con-

centramento di quanto prima era variamente decentrato: maè solo un’ipotesi. Le opinioni locali al proposito sono diver-se: l’ambiente del priorato l’attribuisce, per ovvie ragioni, al-le eccezionali capacità dei singoli priori; zia Tatana e il cap-pellano domenicano, che da dieci anni segue la novena,ritengono che sia merito degli olienesi, tutti sbafatori.

Gli olienesi sono effettivamente molti, concentrati in un«quartiere»; c’è poi gente da tutta la Baronia; e da Dorgali, Or-gosolo, Mamoiada, e perfino più lontano. Ma non è da di-menticare che S. Francesco è il santuario dei nuoresi: e an-che di questi ce n’è un certo gruppo, abbastanza indicativo

per le categorie sociali in esso rappresentate. C’è una presen-za alquanto cospicua di piccoli contadini e pastori, quasi tuttianziani, che in città costituiscono ormai residuo ed eccezio-ne. Tra i mestieri nuovi, qualche raro piccolo impiegato e unbuon numero di autisti, che il quotidiano rischio professiona-le rende più disponibili a una tutela magico-religiosa.

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Da Lula invece, distante circa 5 km, vengono ogni gior-no le donne a piedi per la novena: ma per S Francesco è

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Il penultimo giorno della festa arriva il nuovo priore ac-compagnato da una scorta a cavallo Però i cavalli sono or-

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no le donne a piedi per la novena: ma per S. Francesco èquasi come se il paese non esistesse. S. Francesco esiste in- vece, in qualche misura, per Lula: c’è un mercato in paese, ela sera della festa si farà una gara poetica in piazza. Maquelli di Lula hanno altro cui pensare: c’è il problema delladisoccupazione, dei bassi salari nella miniera, il problemasoprattutto della silicosi. Stanno per fare una marcia di pro-testa a Cagliari, davanti alla Regione: ma con quale esito?

 A S. Francesco, nel frattempo, la macchina della festacontinua a muoversi con ritmo sempre più convulso. Le matti-ne dei primi giorni sono ancora relativamente tranquille, e gliunici vistosi scambi interfamiliari sono costituiti dai gruppettiche si formano all’uscita dalla prima messa e che indugiano alungo prima di sciogliersi per il rientro.

Ma i pomeriggi e poi anche le mattine sono ormai invasidalla marea dei visitatori, sia al priorato che presso le singo-le famiglie. Non c’è una pausa. Sono affollate le cumbessíe ,lo spazio antistante; il piazzale della chiesa si fa sempre piùpopolato finché, gli ultimi giorni, diventerà difficile attraver-

sarlo. È la fiera dell’ospitalità, e i suoi strumenti sono l’offer-ta della casa e del cibo. Guai a sottrarsi.

Il grande traffico dura fino allo scendere della sera; poici sono i balli, a gruppi di paese, nelle zone abitate da quellidi Oliena, Ollolai, Bitti, ecc. Si formano gruppetti di spettato-ri; noto che molti giovani si provano per la prima volta atentare i passi del ballo tradizionale.

Chi può, si ritira e cerca di riposare. Noi si chiacchiera,un po’ di tutto, ma non di politica.  Zia Tatana è convintache si stesse meglio prima. Mi viene il gelo: è meglio me nestia zitta.

Si avvicina il giorno culminante della festa: arrivano acentinaia i pellegrini che hanno fatto, magari a piedi nudi, latrentina di chilometri di strada da Nuoro. Ci sono anchemolti giovani, che vogliono ringraziare, con un ringrazia-mento nel complesso abbastanza piacevole, S. Francescoche li ha fatti promuovere.

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compagnato da una scorta a cavallo. Però i cavalli sono ormai presenti non più in via strumentale, ma come simbolodi una continuità di tradizione. Il passaggio delle consegneavviene secondo modalità rituali: priore vecchio e priorenuovo scambiano tra loro due analoghe teche, che conten-gono la statuetta del Santo. Il priore, che non può essere ce-libe, sfila con la moglie in processione fino alla chiesa.

Tutti ormai stanno per sbaraccare. Il pomeriggio le mas-

serizie vengono caricate sui camion.Ma non è ancora finito. Resta, per l’ultimo giorno, la fe-

sta più bella: la sosta in campagna, a  s’Arbore (l’Albero), unboschetto sulla strada di Nuoro. Il pranzo è offerto dal prio-re nuovo. Si fa merenda con panini, e si comincia a beredalle nove di mattina. Si arrostisce un’incredibile quantità dipecore, capretti e «porcetti». Alla tavola del priore la carne èimbandita assieme a S. Francesco: la sua teca è messa in ta- vola, tra piatti e bottiglie. Si beve, si canta e si balla, ci sidistende sull’erba, godendo della libertà, delle presenzeumane. È una mangiatoria generale. L’importanza del man-

giare assieme. Impossibile resistere agli inviti. Ci ubriachia-mo tutti, e ci addormentiamo, sotto gli alberi, fino a sera.

Santi Cosimo e Damiano di MamoiadaS. Cosimo ha uno stile personalissimo, anche se più o me-

no tutte le sue cumbessíe  sono state ricostruite una ventinad’anni fa sulle vecchie, che erano anche meno numerose. È riu-scito a darsi quello stile sobrio dell’architettura rustica di mon-tagna, con le pietre a vista, caratteristico dei paesi della zona – Mamoiada, Orgosolo, Fonni in particolare – peraltro violente-mente rifiutato in questi ultimi due anni, che stanno vedendo

tutti i paesi trasformarsi in grossi cantieri edili, perché ciascunafamiglia ha voluto, e nello stesso tempo, la casa «alla moderna»,e se la sta ricostruendo con le rimesse degli emigrati o coi mu-tui regionali. Tra poco, penso, se vorremo ancora trovare unesempio di architettura rustica, non resterà che S. Cosimo. Magià anche qui si parla di trasformazione, modernizzazione.

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È questo un novenario, come dire, ancora più pastoraledegli altri. Non so se dal suo censimento risulterà anche una

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il fatto che trovarsi qui significhi avere molte possibilità diincontro e mettere le basi per relazioni, destinate poi a con-

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degli altri. Non so se dal suo censimento risulterà anche unaeffettiva presenza numerica di pastori proporzionalmente mag-giore a quella degli altri novenari: voglio dire che la presenzadi un’economia pastorale qui la si avverte in modo più imme-diato. S. Cosimo è infatti al centro di una delle zone di pascolomigliori del Nuorese. Tutto l’altopiano – il Marghine – è solca-to da una fitta rete di sentieri, che più o meno convergonoqui; a vista d’occhio, a pochi chilometri di distanza, scorgo Sa

 Itria (La Madonna d’Itria) di Gavoi, dove pure c’è un novena-rio. È un pascolo estivo, perché il freddo vi scende presto: aiprimi di novembre perciò i pastori transumano verso il sud o verso le piane attorno a Nuoro, per tornare qui in montagna aiprimi di maggio. Son questi dunque i mesi in cui l’altopiano vive la sua vita di lavoro: vediamo transitare numerose greggi,e perfino alcuni gruppi di residenti alla novena hanno il capo-famiglia nelle vicinanze, con le pecore. Farà visite saltuarie epotrà farsi vivo, al massimo, il giorno della festa.

Tornano nei discorsi i soliti problemi: il latifondo – la piùparte dell’altipiano è di proprietà di una sola famiglia –, i

prezzi dei pascoli e del formaggio, eccessivi i primi, irrisori isecondi, e per di più fissati in anticipo, per cui tutto il rischioricade sul pastore. E i rischi sono molti, a partire da quellopiù consueto: la siccità, che fa stragi di bestiame. Paradossal-mente, chi si avverte in situazione meno precaria è il servo-pastore che, rifiutando il tradizionale compenso in natura,cioè in pecore e agnelli, che gli offriva con gli anni una cer-ta possibilità di mettersi in proprio, preferisce ora assumerela figura del salariato, che gli consente almeno di evitare i ri-schi dell’imprenditorialità.

La popolazione di S. Cosimo appare formata prevalente-

mente dagli abitanti di Mamoiada: è infatti il loro centro sacra-le. Un certo numero di essi vi risiede, spesso per villeggiare;altri fanno la novena ogni giorno, a piedi o in automobile.

Ma è anche questo un istituto intertribale, ed ha una po-polazione abbastanza variata: si viene da tutti i paesi dellazona, ed è ben presente, anche a livello di consapevolezza,

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incontro e mettere le basi per rela ioni, destinate poi a conservarsi. Una donna di Orgosolo mi dice che l’anno passatosi era fatta, qui a S. Cosimo, ben dieci comari, con cui poi siscambiò delle visite.

La vita delle prime ore del mattino appare, come al soli-to, chiusa, intrafamiliare. Gli unici capannelli sono quelli de-gli orgolesi, che leggono il giornale. Siedono sulla porta, agruppetti di quattro o cinque uomini, e magari anche un

paio di donne anziane; uno legge ad alta voce le notizie cheinteressano, e cioè – com’è prevedibile – quelle sul banditi-smo; gli ascoltatori sottolineano con esclamazioni, commen-tano, discutono.

Si sussurra che Mesina sia in circolazione nei paraggi,ma gli orgolesi tacciono. C’è anche al novenario la madredel suo rivale Muscau, la cui uccisione fece scegliere a Gra-zianeddu la strada dell’esilio. Con grande stile, afferma diavere perdonato all’uccisore del figlio. Poi si chiude in undignitosissimo silenzio.

Gli orgolesi si sono dimostrati, nei nostri confronti, i più

chiusi, quasi ostili: ed hanno le loro buone ragioni, maledet-tamente stufi, come sono, di sentirsi al centro di un’attenzio-ne curiosa, che li vuole tanto «diversi» dagli altri, quando iloro problemi non sono che gli stessi di tutto il travagliatissi-mo Nuorese. (Comunque, il nostro rapporto con gli orgolesiha potuto risolversi, grazie a una famiglia di vecchie amiche,incontrata due porte più in là di quella che ci era stata chiu-sa in faccia).

Il pomeriggio, al solito, le relazioni si intensificano: ci siscambiano visite, ci si prestano oggetti (pentole, stoviglie), sifanno altri capannelli per giocare a tombola o a carte, o sem-

plicemente per conversare; la sera, si balla, alla sarda o allamoderna. Ma sono ancora deserte le «logge» per i mercanti,conservatesi (come ormai capita raramente di vedere) intattenella loro forma arcaica. Sono a doppia fila, una addossata alfianco della chiesa, l’altra di fronte, in modo da lasciare nelmezzo un grosso vicolo per i passanti.

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Qui, come anche vedrò a Gonare, l’aspetto devozionaleè forse più rimarcato: non nel senso di un intensificarsi delle

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Si entra, e colpisce la grande «corte» assolata e polverosa,in cui tutto, alla luce del mattino, appare rarefatto. Ma poi su-

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ppratiche religiose, che sono sempre le stesse, ma per la par-tecipazione ad esse di tutto il gruppo compatto dei nove-nanti. Non in tutti i novenari mi pare avvenga così.

Ciò non esclude che, anche qui, la bettola abbia per gliuomini la solita importanza. Una canzoncina, peraltro estre-mamente banale, dice appunto:

 A Santu Cosimu andamus tottus cantus in vettura. A forza de sa cotturanon bidimus s’istrada.Si nos dades allozzunon che torramus a Mamojada.21

Madonna del Rimedio di Orosei A due chilometri da Orosei, ormai alla sua periferia, sta-

rei per dire si chiude – e non si apre, o si distende – il san-tuario della Madonna del Rimedio, conchiuso entro un am-

bito circolare di muri. Le cumbessíe si snodano così, tutte dialtezza eguale, attorno alla chiesa: questo andamento archi-tettonico omogeneo potrebbe ricordare la originaria funzio-ne di lazzaretto cui, a quanto mi si dice, avrebbe assolto ilsantuario nei secoli passati.

Lazzaretto e «rimedio» contro due calamità: le epidemie egli assalti dei saraceni, che dalla non lontana Tunisia conti-nuarono con le loro incursioni fino al 1806, ultima data dellaloro comparsa su queste spiagge. Questa storia un po’ parti-colare avvicina il Rimedio alle vicende di certi nostri santuarimedievali, senza che qui si sia avuta, come spesso invece al-

trove, un’evoluzione verso forme di vita comunitaria più sta-bile: ospedali o agglomerati urbani.

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21. «A San Cosimo andiamo / tutti quanti in vettura. / Per la grandeubriacatura / non vediamo la strada. / Se ci date alloggio / non tornia-mo a Mamoiada».

, , pp pbito si mette a fuoco anche la presenza di una certa sporciziacomunitaria, indicativa del grado di miseria che troveremo qui.

Le cumbessíe  sono 87, ciascuna occupata, in genere, dauna famiglia, raramente da due: si ricorda che un tempo nonlontano ogni stanza era molto più affollata. Ora, la maggiorparte delle presenze è rappresentata dalle famiglie di Orosei;poche quelle provenienti da altri paesi, per lo più da non di-

stanti località della Baronia: Loculi, Irgoli, Galtellì. Un temposi veniva anche da più lontano, specie da Dorgali, da cui orainvece si tende a venire in pellegrinaggi di poche ore.

Nonostante queste limitazioni, il numero dei partecipantie la vita comunitaria molto intensa fanno di questo santuarioun fatto molto vitale. Si devono aggiungere anche le nume-rose pellegrine che, a piedi, magari due volte al giorno, co-rona in mano e almeno due o tre bambini ai lati, si fanno lanovena a bía e torra, giungendo al santuario per la polvero-sa e assolata strada tra gli oliveti.

Il Rimedio viene considerato un soggiorno piacevole,

quasi una villeggiatura «di montagna»: il terreno è infatti ap-pena un poco più mosso rispetto alla pianura di Orosei, chegiunge fino al mare. Pare che ci sia una certa tendenza aperpetuare, per anni, il ritorno alla novena, con o senza pro-messe nuove. C’è chi dice: son sempre le stesse famiglie cheritornano… E anche questo andrebbe controllato. C’è anchela tendenza a raddoppiare la novena, facendone un’altra su-bito dopo, il che è a sua volta indice di una notevole af-fluenza di presenze al santuario.

I servizi, al solito, sono inesistenti. C’è una fontana, chenon dà sempre acqua, c’erano due latrine, poi chiuse perché

troppo sozze; la luce elettrica è stata portata l’anno scorso,ma manca l’allacciamento alle singole stanze. Abbiamo dettodella sporcizia comunitaria; le stanze – per lo più con un pa- vimento in terra battuta, i pochi pavimenti in cemento es-sendo dovuti all’iniziativa di famiglie «ricche» – sono invecerelativamente pulite e ordinate.

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Il santuario è carico di ex voto in cera: bambini, gambe,seni, toraci. Ingialliti ricoprono, come tanti cadaveri, metà

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da prima dell’adolescenza, quando si imporranno ferree ediversificate assunzioni di ruoli sessuali.

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della parete di destra.Li fabbrica tutti in paese una donna che ha anche fama di

fattucchiera e che conserva il monopolio della produzione te-nendosi il procedimento segreto e non ammettendo nessunoalla stanza dove conserva gli stampi e i paioli per la fusione.

Gli ex voto, la miseria, la paura. La paura grande di uomi-ni e donne della Baronia. Mai incontrata tanta paura come nei

loro discorsi, che sempre si concludono con un deo timo («iotemo»). Paura che fa loro vedere pericoli anche nel sogno, cheli fa credere all’«incontro» con le anime dei morti ( s’obiàda, ori-gine di malattie), al malocchio portato dall’invidia, paura che lifa rivolgere alla Madonna, che provveda con qualche rimedio.

La Baronia si regge – o piuttosto non si regge – su unamiserrima economia agricola: ridottissima la pastorizia, mi-nore anche la piccola proprietà frazionata. Perfino i grossiproprietari non sono ricchi latifondisti, ma solo persone unpo’ più agiate della media, che è una delle più drammatiche.

Forse anche per questo, al Rimedio la vita comunitaria è

più visibile che altrove. C’è anzitutto un’intensa vita familia-re, favorita anche dalla specializzazione locale del santuarioe dalla sua grande vicinanza al paese. I mariti tornano quidal lavoro spesso anche per il pranzo, comunque per la ce-na, sul tardo pomeriggio: è questa, al solito, l’ora più vivace.Raramente però si trattengono anche per dormire: si lasciacon diffidenza la casa e soprattutto, quando c’è, il giogo dibuoi. Pare che un tempo ci fosse meno abigeato e più «fidu-cia» reciproca, e che per questo i nuclei familiari potesseroricostituirsi per intero alla novena: ma bisogna sempre pren-dere con cautela ogni affermazione relativa all’esistenza di

un tempo migliore nel passato.La notte, i giacigli ospitano un numero incredibile dibambini – cinque, dieci: la natalità mi sembra altissima – ammassati seminudi. Li ho visti occupati in vari giochi ses-suali, senza che questo richiamasse l’attenzione dei genitori. Anche qui però, la libera promiscuità cessa totalmente già

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Fuori, dicevo, la vita è più largamente comunitaria chealtrove: si mangia all’aperto, sotto una tettoia di canne e fra-sche, che ciascuno si è costruito davanti alla propria abita-zione. Questo facilita il formarsi di gruppi vicinali, l’intrec-ciarsi di discorsi, e anche un certo consumo vistoso del cibo.Non ci si ignora tra vicini, si conosce l’esatta ubicazione diquesto o quel gruppo paesano, ci si va a far visita.

L’ideologia magica si avverte ancora come una presenzagreve. I pescatori con cui parlo distinguono con esattezza eprecisione i casi in cui il pesce è mancato per cause «natura-li» da quelli in cui è mancato per cause non naturali, cioèper il malocchio. Egualmente, le donne distinguono tra ma-lattie che hanno bisogno dell’intervento medico e malattieche si curano con la «medicina» del malocchio o dell’obiàda.Sono in genere i casi straordinari e inopinati, davanti ai qualinon sembra reggere una spiegazione razionale, e che diven-tano quindi emblematici di tutto l’incontrollato e incontrolla-bile che minaccia l’esistenza.

Discorsi da cumbessía, colti a caso. Il film con Tognazzi – Un delitto d’onore  – girato a Orosei, e che molti hanno visto,è piaciuto perché mostra un’Orosei bella, da folklore turisti-cizzato, come mai le capita di essere nella sua quotidianità. Ilproblema del delitto d’onore li lascia totalmente indifferenti.

 Altri discorsi: se sia meglio chiamare la suocera mamma,mammai o socra. I parti mostruosi: un pastore di Orune di-ce che gli è nato un vitello con due teste. Le donne citano ilcaso di una loro vicina di cumbessía, una donna di Irgoli,che una quindicina d’anni fa avrebbe partorito un muletto.Un altro pastore presente afferma impassibile che una volta

una carrozza partorì un vitello: le donne sono incredule, malui regge tanto bene la parte, che mi chiedo ancora adessose parlasse sul serio o per scherzo.

La «critica»: sento delle giovani polemizzare contro lausanza di portare abiti da lutto, pronte però a criticare la vici-na che, pur essendo in lutto, l’altra sera partecipò a un ballo.

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Le risa: il disco cantato a ritmo di pernacchie, con padre,madre, figlio, fidanzata e prete esorcista come protagonistid ll h l d d l h

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molti lavoratori, specie mietitori, occupati a giugno nelleoperazioni del raccolto.

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della canzone. L’ho sentito almeno dieci o quindici volte, hafatto il giro di tutta la corte, suscitando enorme successo.Giustificazione colta a volo: «Anche il Signore scorreggia».

L’Annunziata di BittiÈ un complesso molto civettuolo, con tante piccole ca-

sette bianche, disposte disordinatamente e adorne di balcon-

cini in ferro battuto e di architravi.Per raggiungerlo, si fanno una trentina circa di chilome-

tri di una strada disastrosa fino all’anno scorso, ora in riasse-sto perché diventi carreggiabile. Si ha da attraversare tutta lazona della colonia penale di Mamone, desolata, prima di ar-rivare all’Annunziata, ricca di alberi. Anche qui, è evidente lasua situazione di confine, posta com’è su uno sprone chepenetra entro la vallata del rio Mannu. Dall’altra parte, Lodèè distante solo otto chilometri di strada migliore. Si vede neipressi il Monte di Barisone, che, a detta del guardiano dellachiesa avrebbe fermato in antichità l’ultimo assalto dei bar-

bari, «non so, forse al tempo delle crociate».Circa la storia dell’Annunziata si sa ben poco. Pare che

alla Diocesi di Nuoro ci siano documenti che ne attestano lafondazione tra il 1724 e il 1739.22 Il  Libro della novena (ci-clostilato) spinge molto più indietro, al XVI secolo, il sorgeredella chiesa, ma non cita fonti controllabili.

Di certo, si sa solo che la data della festa avrebbe avutouno spostamento, indicativo dello stretto nesso di antitesiesistente tra momento produttivo e momento festivo. Daipochi documenti raccolti presso l’Archivio Parrocchiale siapprende che la festa principale dell’Annunziata si celebrava

a giugno, e che nel 1922 si ebbe l’autorizzazione a celebrarlaa maggio, visto il disagio che altrimenti avrebbero avuto

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22. La chiesa sarebbe stata eretta a spese del canonico MichelangeloSerra, che resse dal 1724 al 1739: cfr. Can. M. Sale,  Archivio storico del-la Diocesi di Nuoro, I (1954), p. 54.

Clima e funzione della novena – così come poteva esse-re fino alla passata generazione – emergono da uno scambiodi lettere che nel 1883 il pievano di Bitti ebbe col vescovo diNuoro, cui chiedeva se potesse esporre in continuazione ilSacramento nei giorni della festa e della novena, dato ilgrande afflusso dei fedeli, e dato che «all’avvicinarsi solo alla valle, si sentono interiormente cambiati, si estinguono gli

odi e i rancori nei più fieri nemici, ed altro non vi regna cheuna fratellanza cristiana».

La risposta del vescovo fu affermativa, purché si badassead avere ogni attenzione perché «per impedire ogni irrispet-to sia entro la Chiesa che nelle sue vicinanze, ivi restinoproibiti i balli, ed altri divertimenti di dissipamento, e chesono occasione d’immoralità, e d’indecenza».

Mi aspettavo di trovare all’Annunziata un clima notevoledi vita comunitaria, che in qualche modo si manifestasse vi-sibilmente. Era stata forse la mitizzazione che i bittesi aveva-no fatto di un loro passato non molto lontano, quando il

paese si riempiva, in ogni casa, di ospiti occasionali, e quan-do si arrivava qui in carro a buoi e si viveva per i nove gior-ni giocandosi scherzi in continuazione.

Lo scherzo più giocato – non per niente siamo in unazona notoria d’abigeato – era quello del furto: si rubava unoggetto o una capra, che magari stava dormendo vicino ailoro ignari proprietari. O si sequestrava una persona. Si an-dava poi in gruppo a cercare la refurtiva, recitando la partedei carabinieri; trovato il colpevole, lo si processava e infinelo si condannava a offrire da bere a tutti. La parodia toccavaevidentemente le istituzioni più importanti: il furto, il seque-

stro di persona, il processo; talvolta si parodiava anche ilmatrimonio, quando si rapiva una ragazza e poi se ne cele-bravano scherzosamente le nozze.

Ci si divertiva molto allora: lo affermano tutti con uncerto rimpianto, ma sono le stesse persone che ora non sa-prebbero più divertirsi così.

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Il clima della giornata è quello consueto dei giochi dibambini, degli andirivieni delle donne, della ragazza che por-

ll M d l’ hé è ll li

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

della amministrazione comunale, mediante l’offerta da partedi ciascuno di una o due o più giornate di lavoro. È super-fl h i ifi hi i f di i

 II. Cinque novenari 

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ta alla Madonna l’ex voto, perché è stata promossa alla licen-za magistrale. È la solita vita quotidiana del novenario, privadi eventi, almeno per me che non la vivo dall’interno, maper chi la sperimenta, profonda e cosciente esperienza co-munitaria. Non pochi bittesi mi avevano descritto, già in pae-se, la loro gioia nel riscoprirsi, e nel riscoprirsi come personedello stesso paese, durante la vita quotidiana della novena.

Quello dell’Annunziata è sempre stato considerato luogo pro-prio ed esclusivo dei bittesi, e la sua festa la festa del paese.

Polemici e caustici nei confronti delle ideologie magichetradizionali, le attaccano con una foga che sa alquanto di di-mostrativo: si ha da mantenere una certa fama di razionalitàe di cultura, quella che fa proclamare Bitti (un po’ sul serio,un po’ per scherzo) «la piccola Roma», arrotondando un po’l’erre, come fan tutti i bittesi.

Spero ancora nei famosi divertimenti della serata. Ci siritrova infine nella bettola: molti uomini sono già ubriachi,altri cantano alla sarda, ma solo per far piacere a noi cittadi-

ni; uno improvvisa una altisonante poesia in nostro onore.Fuori, comincia il diluvio: la notte, tutte le cumbessíe sa-

ranno allagate, l’acqua entra dalle porte mal connesse, daibuchi nel soffitto. Ha tirato anche molto vento, che ha con-tribuito a finir di sconquassare molti tetti. La mattina, le no- venanti hanno il loro daffare a portare fuori materassi, indu-menti, masserizie per farli asciugare. Cominciano ad arrivare,da Bitti e da Lodè, in motoretta, i primi gruppi di diciottenni,che vengono a cercar ragazze, sperando in quella disponibi-lità che nei giorni di festa è ad esse consentito di dimostrare.

La Madonna di GonareCi si arrivava, fino all’anno scorso, per due strade, poco

più che due mulattiere: una da Orani, l’altra da Sarule. Que-st’anno Orani, a proprie spese, ha costruito sul vecchio trac-ciato una buona carreggiabile: a proprie spese significa che illavoro è stato fatto, indipendentemente da qualsiasi intervento

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fluo notare che cosa questo significhi in fatto di impegnocomunitario.

Gonare è limite e centro. È limite tra i due territori, il cuiconfine passa nel bel mezzo della chiesa. È (caso molto ra-ro) sulla vetta di un monte di circa mille metri, coperto displendidi boschi di lecci, querce e felci, e la vista domina unpaesaggio amplissimo, che, nelle mattinate limpide, va da

mare a mare. Si dovrebbe arrivare a vedere di lì cinquantatrépaesi: a questa possibilità di essere centro, centro anche visi- vo, Gonare deve forse una delle sue ragioni d’essere.

E penso anche a quello che un tempo deve aver signifi-cato per la nostalgia delle novenanti – per lo più donne, ve-nute qui con solo una parte della famiglia – il potersi indica-re a dito dove stava il loro paese.

Gonare è uno dei più prestigiosi santuari del Nuorese; lasua fondazione risalirebbe al XII secolo, quando Gonario,giudice di Torres, ringraziò la Madonna per uno scampatopericolo in mare. La costruzione attuale sembra però per lo

meno secentesca. A differenza dei nostri altri centri religiosi, e forse per

questa sua antichità ed estensione di fama, la zona di Gona-re conserva una imponente esemplificazione di un culto del-le pietre, appena cristianizzato. C’è  su brazzolu (la culla),dove la Madonna avrebbe deposto il bambino: è una pietradella  glissade , che fino alla generazione passata serviva an-cora per riti di fecondità femminile, mentre ora bambini eragazze vi scivolano per divertimento. Lo stretto sentiero infi-ne, che dalle cumbessíe si inerpica fino al santuario sovrastan-te, è punteggiato da una serie di pietre magico-devozionali:

una, dove la Madonna avrebbe infilato il braccio, un’altra conl’impronta dello zoccolo del suo mulo, e infine s’imbarador- giu, specie di nicchia a forma di sedile, dove la Madonna sisarebbe seduta per riposarsi: in alto, una piccola fossa indicadove avrebbe poggiato la mano. Qui, la roccia alquanto fria-bile (probabilmente pietra di talco, come quella delle vicine

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cave di Orani) viene soffregata con un sasso per ricavarneuna polvere dalle supposte virtù terapeutiche. La pratica è

l t i

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Le donne della Baronia, dolci, grasse, sfatte e rassegnate – la rassegnazione alla miseria, ai figli a decine e agli aborti;d d l i l t d d li hi i dibil

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ancora largamente in uso.Rispetto agli splendori del passato, il santuario sembra in

ribasso. Le cumbessíe sono di due tipi: il primo gruppo, appun-to quello più antico, è addossato al muro della chiesa, ed è ca-dente. Le altre casette, costruite più in basso, sono recentissimee danno verso la campagna e un panorama amplissimo. Honotato quasi una decina di stanze vuote. La luce elettrica è arri-

 vata l’anno scorso, ma non si è ancora fatto l’allacciamento;l’acqua delle stupende sorgenti è lontana, e costa fatica o de-naro farla trasportare dai ragazzi o da un muletto.

(Ritornata a Gonare l’anno dopo, trovai la luce elettrica,e tutte le cumbessíe occupate).

La vita vi scorre tranquilla e modesta, senza gli sprechidi S. Francesco di Lula: c’è una sola bettola e un’altra si co-struirà il giorno della festa; alcune famiglie vi vengono an-che a villeggiare, soggiornandovi per tutto il mese di agostoed eventualmente lasciando poi il posto ai novenanti, senon vogliono seguire le pratiche religiose.

Le presenze non sono molte, ma c’è un grosso afflussodi novenanti a piedi: almeno un’ottantina, ogni giorno, daSarule e una ventina circa da Orani. Ma la scarsità relativadelle presenze è compensata dalla varietà di composizionedel gruppo, che motiva la precisa osservazione di una don-na di Oliena: «Qui c’è tutto il mondo!».

 Varietà di tipi umani. Le donne di Ollolai, dallo sciallesfrangiato e dall’andatura zingaresca, la treccia alta e raccoltain una sorta di tutulo, ricoperto poi da un grande scialle.Morbide, sciatte e vivaci, gesticolano con movenze arcaiche,portandosi le palme alle tempie, battendosi il petto, levando

alte le mani. Sono capaci di scacciar di casa il figlio maschio,che ha osato degradarsi sposando una donna perduta, per-ché ha fatto la serva in continente. E poi di chiudergli dietrole spalle la porta di casa, e di riunirsi, madre e figlie, a fare illamento funebre per il figlio ormai morto, meglio anzi sefosse morto davvero in un incidente stradale.

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donne dal naso piccolo e tondo e dagli occhi imprevedibil-mente azzurri, che sanno anche sorridere di sé quando dico-no: «Sa, noi siamo forse un po’ troppo credule». Dov’è l’alte-rigia e l’orgoglio possessivo di quelle barbaricine, come ziaTatana?

La ragazza-madre di Orgosolo – splendida figura da in-dossatrice, bionda e slanciata – che è stata messa incinta da

un signore di Nuoro, benestante, di cui tutti sanno nome ecognome. La terribile madre di lui, così si dice, avrebbe im-pedito le nozze dei giovani; l’orgolese si porta al santuario ilbambino e si fa le sue faccende con una grande dignità, chetutti approvano.

I ragazzi di Orani, modesta copia dei capelloni continen-tali, insoddisfatti e inquieti tra i nuovi modelli culturali che lisollecitano e l’impossibilità di realizzarli se non nelle formeesterne dell’abito. Poche le prospettive di lavoro, l’economiaè in ristagno, la campagna non rende. Non c’è che fare co-me i vecchi: sedersi a gruppi sui muretti, in paese. E la sera

ronzare attorno alle ragazze del santuario, che impieganoancora le tecniche arcaiche del civettare, imposte dal lororuolo di femmina: chiamare con lo sguardo o un movimentodell’anca, e poi battere in ritirata.

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dilacerate, trovano forse nel novenario l’ultima espressionedel loro vivere associato.

III. CINQUE COMUNITÀ

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Bitti (5774 ab.)«Il mio paese produce formaggio, preti e suore»: questo

 – e non una parola di più – è il contenuto del tema di unoscolaro di terza elementare, che doveva descrivere il suopaese. L’episodio è avvenuto un paio d’anni fa, e me lo de-scrive un funzionario della C.G.I.L. di Nuoro, bittese e, come

tutti i bittesi, in un ambivalente rapporto di odio e di amorecol proprio paese.

Bitti regge la propria economia esclusivamente sulla pa-storizia. Ma anche qui, come altrove, la situazione sociale èfortemente contrastata. Anche qui ci sono i soliti prinzipales :quattro o cinque famiglie possiedono la maggior parte delterreno e fittano la loro terra ai pastori. Il terreno che possie-dono non è molto, alla fin fine, dato che è sufficiente al pa-scolo di quattro o cinquecento pecore. Ma il fitto è esoso emette alle strette il pastore privo di terre.

Il quadro della pastorizia – qui come altrove – è profon-

damente contraddittorio: per meglio dire, anche le sue con-traddizioni si spiegano riferendole a una gradualità di siste-mi di sfruttamento, i cui condizionamenti più distanti stannoormai fuori dell’isola. Non è un paradosso che la voce pa-storizia rappresenti la parte più attiva del bilancio della re-gione, mentre i singoli bilanci delle aziende pastorali fatica-no a chiudersi positivamente, stretti come sono tra due costiimposti dall’esterno: da un lato il fitto dei pascoli (redditofondiario) e dall’altro il prezzo del latte e del formaggio, sta-bilito ormai a livello internazionale dal Mercato Comune.D’altronde, una certa parte della stessa non competitività

economica è strettamente connessa all’arcaismo dei metodinon solo di conduzione (feudale), ma anche di allevamentodel bestiame, anch’esso frantumato in piccole greggi non se-lezionate se non alla resistenza a pascoli magri.

 A Bitti, la situazione stava arrivando al punto di rottura almomento in cui scrivevo queste note: nel 1966 erano censiti

La zonaNei nostri cinque novenari confluiscono famiglie che

provengono da paesi diversi della zona, ma il nucleo piùconsistente è costituito da gente di Bitti, Orosei, Mamoiadarispettivamente per l’Annunziata, il Rimedio e S. Cosimo e

da nuoresi e olienesi soprattutto per S. Francesco.Diverse per importanza (Nuoro è capoluogo di provin-

cia), e per situazione geografica (Orosei è sul mare, gli altrisono comuni di collina), queste cinque comunità lo sono an-che e soprattutto sotto il profilo economico e sociale. L’eco-nomia di Orosei è prevalentemente agricola, quella di Bitti èprevalentemente pastorale, quella di Oliena è mista agropa-storale. Mamoiada è, per tradizione almeno centenaria (co-me Orgosolo), una riserva di manovalanza edile disponibilealla emigrazione. Infine Nuoro, la «città», modesto centro ur-bano di circa 30.000 abitanti, contraddittorio complesso di

 vecchia economia agropastorale, su cui si è inserito ultima-mente un vistoso boom edilizio in parte connesso a un certosviluppo terziario.23

Situazioni varie, ma anche emblematiche: nel cuore dellaSardegna non esistono per ora altre alternative. Ogni comu-nità ha una sua storia, un suo stile e problemi a lei propri.Ma tutte sono anche unitariamente immesse entro una situa-zione tanto più generale, da essere dramma di tutti. Comunità

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23. Le poche notizie che siamo in grado di fornire in questo capitoloprovengono per lo più da interviste con sindacalisti, sindaci, coltivatori

diretti e pastori o altre poche persone considerate come esperte deiproblemi del paese. Per altro tipo di documentazione non si può dis-porre, in genere, che dei dati del censimento dell’ISTAT del 1961, dilettura notoriamente ambigua, e anche ormai superati da una situazio-ne che si è andata notevolmente trasformando in questi ultimissimi cin-que anni. Per l’economia di Nuoro, dati approssimativi sono stati fornitidalla Camera di Commercio locale.

in comune 60.000 capi ovini, grosso patrimonio, considere- volmente più alto rispetto alla produzione degli anni prece-denti che si aggirava attorno ai 40 000 Per dare un’idea del-

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per una conduzione autonoma. Può mettersi in proprio: maallora avrà da pagare il fitto del pascolo, e guai e rischi ri-prenderanno più seri di prima

 III. Cinque comunità

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denti, che si aggirava attorno ai 40.000. Per dare un idea del-la cosa, basti pensare che Mamoiada e Oliena ne censivanonegli stessi anni la metà circa (20.000), e Orosei solo 4000.

Ora, nel 1969, a Bitti i capi ovini sono esattamente di-mezzati: 33.000.

I pastori sono emigrati, greggi e tutto, nell’agro romano,dove trovano un pascolo analogo a quello dei loro territori,

e soprattutto migliori condizioni di affitto, dato che l’emigra-zione ha ormai sottovalutato queste zone. Le cose laggiù pa-re vadano un po’ meglio: ma il trapianto di un sistema diconduzione pastorale che non ha subìto sostanziali trasfor-mazioni nel tipo di proprietà e nei rapporti di lavoro, sem-bra che stia talvolta riproponendo alcuni dei vecchi temi disempre: abigeato, lotte tra pastori per contendersi i pascolimigliori, vendette e così via.

D’altronde, la ricchezza di Bitti consiste esclusivamentenella pastorizia. E se una parte delle sue fonti se ne elimina,un’altra è pronta a rinascere. Il fenomeno è connesso alla

persistenza di un vecchio tipo di rapporto di lavoro, che ca-ratterizzava l’economia isolana fino alla passata generazione:la sòccida. Su sozzu, il socio, era un socio minore, il qualeoffriva la sua forza-lavoro in cambio di una contropartita innatura, che poteva amministrare ed eventualmente accresce-re. Tale contropartita in natura consisteva non solo in pro-dotti (latte, grano, ecc.) ma anche e soprattutto in beni diproduzione: terra, animali. Questo tipo di contratto caratte-rizzava anche quel rapporto tra proprietario e servo-pastore,che ora in varie località della Sardegna tende a trasformarsiin vero e proprio contratto salariale.

 A Bitti invece il servo-pastore continua a preferire la vec-chia forma tradizionale di contratto di sòccida, che gli procura35 pecore al primo anno, pascolo «franco» al secondo, e poidi nuovo altre pecore e altro pascolo, finché, nel giro di cin-que-sei anni potrà diventare egli stesso proprietario di un pic-colo gregge di 100 pecore, il minimo che si ritiene sufficiente

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prenderanno più seri di prima.Parlare di sottoccupazione e disoccupazione riferendosi

solo alle statistiche del ’61 è certo limitare il discorso: comun-que, già i dati di allora davano la presenza di 9,4% di nonoccupati rispetto al totale della popolazione attiva (tab. 3).

La crisi coinvolge anche il piccolo proprietario terriero.C’è però a Bitti una certa tradizione di relativa solidità econo-

mica, causata essenzialmente dalla pastorizia, che in qualchemodo finisce per determinare indirettamente qualche mode-sto tentativo di ristrutturazione agraria. Il piccolo proprietarioche non affitti a pascolo il proprio terreno, può darsi da faretrasformandolo in piccolo vigneto di quattro-cinquecentoceppi. Tutti poi si sono conservati l’orto, a differenza dei pic-coli proprietari di Mamoiada e Oliena, che si sono stancati diquesto lavoro. Ma queste piccole trasformazioni si accompa-gnano a un accanito tradizionalismo sia in fatto di costumisia, soprattutto, di politica locale: non a caso il consiglio co-munale è retto da una alleanza di democristiani e di missini.

Ed è ancora in primo luogo l’antica economia pastorale,che un tempo favoriva fortemente i ricchi proprietari di terree di greggi, a determinare tutte le caratteristiche sociali eculturali di questa comunità, che continuano, in parte anco-ra, a perdurare.

La presenza di un ceto ricco (relativamente agli stan-dard) la si nota anche visivamente nelle strade del paese,che aspira a darsi uno stile «cittadino», con le sue solide eben costruite case di pietra. A Bitti, la società è ancora forte-mente stratificata, i  prinzipales godono ancora di molti pre-stigi, che sono economici e sociali assieme.

Questo si riflette non solo nell’urbanistica paesana, maanche in quella dell’Annunziata, con le sue casette «di pro-prietà», le migliori delle quali si fregiano di civettuoli ballatoiin ferro battuto e di iscrizioni col nome delle famiglie più in vista. Anche dietro le case si avverte la solida storia di anti-chi benesseri.

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L’imprenditorialità pastorale rende possibile il manteni-mento di una società stratificata, che si regge mediante lapromessa di un’ascesa sociale a titolo individuale come av-

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una percentuale relativamente maggiore di laureati o diplo-mati, un relativo maggior sviluppo di attività terziarie di variogenere (tab 5) un 7 5% circa di dirigenti e impiegati rispetto

 III. Cinque comunità

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promessa di un ascesa sociale a titolo individuale, come av viene per il servo-pastore. Di fatto, dal censimento del ’61 ri-sulta che Bitti presenta una percentuale di lavoratori in pro-prio (il 37%) sensibilmente maggiore di quella delle nostrealtre quattro comunità e, per converso, un numero minoredi lavoratori dipendenti (tab. 4).

La spinta imprenditoriale, che prima della crisi era stata

fortissima, tuttora continua in parte e finisce per smuovere, siapur parzialmente, anche il vecchio immobilismo contadino.Questa forte spinta imprenditoriale, connessa a un’ac-

centuata valorizzazione delle virtù individualistiche, ha tro- vato nel tempo le espressioni più varie.

Il vecchio abigeato bittese – cessato ormai da una quin-dicina d’anni in seguito a un solenne accordo giurato tra fa-miglie – pare fosse una attività condotta sempre in proprio,al fine di arricchire le greggi familiari, a differenza dell’abi-geato di altri paesi, come quello di Orgosolo o Mamoiada.In queste ultime zone, al contrario, è dalla grande disponibi-

lità di manodopera bracciantile disoccupata che i «mandatari»risiedenti in città (Nuoro) assoldavano e assoldano gli esecu-tori del furto di bestiame o del sequestro di persona.

È la stessa imprenditorialità, d’altra parte, che ha spinto ilbittese, nel passato, a trasferirsi nelle piane di Ozieri, Oschiri,Chilivani e Olbia e a trasformarsi da affittuario in proprietarioterriero o in commerciante lattiero-caseario.

 Anche l’accesso alle professioni può diventare mezzoper una ascesa sociale che tende a diversificare il paese, glo-rioso di una tradizione di «cultura». Questo non ha compor-tato però un miglioramento negli standard di tutta la comu-

nità, il cui livello di istruzione risulta – stando almeno alcensimento del ’61 – altrettanto basso quanto quello delle al-tre comunità del nostro studio (tab. 6).

Ha significato invece la produzione, ai vertici della scalagerarchica, di un piccolo ceto intellettuale. Dai dati dell’ISTATne risulta qualche piccola conferma: la presenza in paese di

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genere (tab. 5), un 7,5% circa di dirigenti e impiegati, rispettoal minimo del 2% rappresentato da Oliena (tab. 4).

Questo ceto si è formato, per lo più, partendo da studiseminariali, che furono matrici, da un lato, di tutta una ge-nealogia di sacerdoti e prelati, dall’altro dei futuri medici eavvocati che, a un certo punto, indirizzarono laicamente laloro carriera. Questi intellettuali sono per lo più emigrati, ma

il loro periodico contatto col paese e soprattutto l’esempio disuccesso che essi rappresentano hanno finito per caratteriz-zare fortemente le aspirazioni di tutta la comunità, che tendead assumere, mitizzandolo, un modello borghese, e ad affer-mare due valori fondamentali: la razionalità e la cattolicità.

Mamoiada (3233 ab.) A Mamoiada la crisi pesa più di quanto i suoi abitanti se

ne rendano conto, coinvolti come sono – a differenza dimolti paesi della zona – da un apparente benessere espressodalle rimesse degli emigrati.

La storia di questi anni è presto detta: è una storia di fa-me di terra.L’agro del paese è prevalentemente montuoso, con po-

che zone coltivabili. L’olivo non vi attecchisce. Si coltiva la vite nelle zone più vicine (c’è anche una cantina sociale),ma altro l’agricoltura non è in grado di produrre.

Ci sono dei noccioleti, da cui fino a pochi anni fa si trae- va qualche profitto: ora questa raccolta è stata abbandonata(tab. 7). Il territorio dovrebbe servire soprattutto a pascoli.

Ma, anche tenendo conto della sua destinazione tradi-zionale, il magro territorio del paese è anche piccolo, troppo

piccolo per la sua popolazione: la densità della popolazioneper ettaro è la più alta rispetto a quella delle nostre cinquecomunità (66 abitanti per ettaro, rispetto ai 27 di Bitti).

Ma l’antica fame di terra è anche il prodotto ben precisodi una situazione sociale: a Mamoiada il 40% dell’agro ap-partiene a due sole famiglie. Ci sono poi quattro o cinque

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medie proprietà di cento ettari ciascuna (a terreno, al solito,frazionato); il resto, quindi circa la metà del territorio, è sud-diviso nelle consuete microunità parcellari.

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

meno della metà del prodotto, che, a sua volta, veniva ulte-riormente ridotto dalla retribuzione che il compartecipante«maggiore» doveva dare al compartecipante «minore». Que-

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d v so e e co suete c ou tà pa ce a .Questa situazione ha comportato la necessità di abban-

donare la terra, molto prima che in altre località dell’interno.Si è venuta formando una larga disponibilità di manovalan-za, soprattutto edile, ora anche meccanica, da cui la città,per tradizione, ha sempre attinto.

Questo processo è andato ora rapidamente accelerando-

si, con la crisi della piccola proprietà.Mentre una quindicina di anni fa le famiglie di coltivatoridiretti, iscritte, erano 160, ora si sono ridotte a 15; la stessa pa-storizia – che occupa un centinaio di persone su un numerodi circa 16.000 capi ovini – è esercitata per lo più da uominial di sopra dei 50 anni. Pastori giovani ce n’è pochissimi: cin-que-sei al di sotto dei vent’anni, sette-otto tra i 20 e i 30.

Mamoiada ha, rispetto agli altri paesi, una minima per-centuale di disoccupati (tab. 3), perché edili e meccanici rie-scono in genere a trovare occupazione nell’attuale boomedilizio che sta investendo certe zone dell’isola. Si trasferi-

scono, a periodi, nei grandi cantieri di lavoro (la Costa Sme-ralda, Cagliari, ecc.), oppure viaggiano come pendolari aNuoro. Gli emigrati stabili sono ancora una esigua minoranza.Il censimento del 1961 dava un 32,5% di addetti alle costru-zioni (tab. 5), non certo in posizione imprenditoriale: rispettoa Bitti caratterizzata, come si è visto, da una considerevolepresenza di lavoratori in proprio, Mamoiada esprimeva un61% di popolazione attiva maschile in posizione dipendente(tab. 4).

Questo particolare profilo sociale ha configurato tuttauna storia di battaglie politiche, che troviamo peraltro assen-

te da tutto il resto del Nuorese.Si cominciò nell’immediato dopoguerra, con le lotte deicompartecipanti. I compartecipanti erano contadini senza ter-ra, che lavoravano la terra altrui secondo un sistema di tipomezzadrile, ma ancor più esoso: il compartecipante «maggio-re» possedeva un giogo di buoi, arava e seminava e percepiva

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agg o e doveva da e a co pa tec pa te o e . Quest’ultimo era una specie di bracciante, che lo aiutava occa-sionalmente nelle operazioni di sarchiatura, mietitura, ecc. eche, alla fine del lavoro, percepiva un quarto del prodottoricavato dal compartecipante maggiore.

Un sistema feudale di questo genere si reggeva anche inrapporto all’esistenza di una grande o media proprietà, il cui

reddito agricolo non era minacciato.Ora, anche i «grandi» proprietari cominciano ad avvertirei segni profondi di una crisi, che è giunta loro, più ed oltreche dalle lotte sindacali, dalla fine delle vecchie strutture diproduzione. Anche per essi l’agricoltura non è più redditizia,mentre continua a rendere considerevolmente il fitto dei pa-scoli. Ma l’alone di rispetto che li circondava comincia a tra-montare: ed era pur stato un «rispetto» che aveva condiziona-to non solo rapporti di sudditanza formale nei loro confronti – ci si doveva alzare in piedi, al passaggio di un «signore», etogliersi il cappello – ma anche precisi controlli politici: al-

l’epoca del fascismo, ad esempio, uno di questi notabili fusindaco a vita. Oggi, i figli di questi antichi notabili di «ri-spetto» hanno perduto di prestigio: ma, in compenso, hannotutti studiato, preso la laurea, e, attraverso la pratica dellaprofessione esercitata in paese, recuperano su un altro pianogli antichi privilegi.

Oliena (7000 ab.)Parlare di Oliena è anche, per chi penetri nella sua real-

tà dalla via dei novenari, parlare delle sue donne: questedonne straordinarie che ho incontrate, spesse volte, indaffa-

ratissime ed attive per uffici e negozi di Nuoro e tanto intra-prendenti da raggiungermi con telefonate a Cagliari, per lesolite «raccomandazioni».

Hanno fama di grandi festaiole, e non si perdono unanovena. Tranne le giovanissime, portano tutte il costume e vengono considerate con un certo disprezzo, come sciattone,

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dalla più parte dei paesi vicini, specie quelli ad economiapastorale.

Ma la loro fama è anche di una certa indipendenza: e di

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Ma quello che più mi impressiona è notare come le de-scrizioni che ora, in quest’anno, mi si fa del sistema familiareolienese siano esattamente eguali a quelle raccolte da altri

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pfatto sembra che il loro ruolo sociale si contraddistingua inmodo abbastanza netto da quello della donna degli altripaesi.

 Anche ad Oliena, una nuova famiglia che si formi preten-de di acquistarsi una certa autonomia rispetto a quella deigenitori, presso i quali tende ormai a non abitare più come

in passato: ma il ruolo della donna pare non sia cambiato.Essa ha ancora la facoltà di amministrare i beni del mari-to, fare contratti, comprare e vendere; eredita in parte egua-le ai fratelli maschi. Questo suo notevole grado di autono-mia sembra strettamente connesso a particolari strutture diproduzione, che andrebbero meglio chiarite. Ci sono, adesempio, paesi molto più spiccatamente pastorali (come Bittie Orgosolo) in cui i mariti restano assenti da casa per moltimesi l’anno, ma che non consentono alla donna facoltà de-cisionali così ampie. Però la donna olienese può darsi al pic-colo commercio dei prodotti della campagna, dell’orto o del

pollaio e portare a vendere le merci in città.Quanto comunque sembra emergere da questo rapidogiro di informazione è che il ruolo decisionale (qualora sidia) non è attribuito alla donna in quanto tale, ma solo alladonna sposata, cioè in quanto conservatrice del nucleo fami-liare. Di fatto, la autonomia è prerogativa della donna sposa-ta, ma non della nubile, la quale, pur ereditando in parteuguale (non si sa mai: potrebbe ancora sposarsi) non vienemai interpellata nelle contrattazioni o nelle decisioni di com-pravendita. Il suo è al massimo un ruolo di appoggio allasorella sposata, con cui tende a coabitare.

Ed è una famiglia che, pur riconoscendo un ampio am-bito di autonomia alla donna, è consapevole dell’importanzadi avere un maschio nel proprio nucleo: un enorme presti-gio è riservato, infatti, alla madre del figlio sposato e non, viceversa, alla madre della figlia sposata: cioè, in una fami-glia di giovani sposi, chi comanda è la madre di lui.

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g qprima di me, ormai una decina di anni orsono, ed anche pri-ma. Sembra che l’attuale tendenza a una certa disgregazionedell’istituto familiare non abbia affatto intaccato certe suestrutture fondamentali, anche soprattutto perché l’economiadel paese si fa sempre più ristagnante.

L’economia olienese è – o meglio, era fino alla crisi – 

mista: si contavano nel ’65 circa 20.000 capi ovini; si coltiva- va un po’ di grano e soprattutto vigna e olivo nei fertili fon-dovalli attorno al paese, e le pecore pascolavano anche sot-to gli alberi. L’olivo era un tempo la grande risorsa delpaese, il cui nome una facile etimologia associa alla parolaolía. Ma è anche una risorsa aleatoria, fortemente sottopostaai rischi stagionali dei geli precoci o dell’invasione della mo-sca: il flusso di produzione è tanto vario di anno in anno(tab. 7) e il costo della raccolta è ora tanto alto, da scorag-giare ogni trasformazione.

Fino a pochi anni fa, ed ora in misura minore data la cri-

si, la raccolta delle olive era affidata a un bracciantato quasiesclusivamente femminile: e ancora le statistiche del ’61 in-dicano la presenza a Oliena di una percentuale di «casalin-ghe» relativamente minore a quella degli altri paesi (tab. 3).Le statistiche ci indicano inoltre che, mentre negli altri paesigli addetti alla agricoltura sono quasi esclusivamente uomini,a Oliena si aggiungono anche circa 300 donne (tab. 5).

Ma dove confluissero maschi e femmine è almeno intui-bile: a Oliena nel ’61 la manovalanza edile era ridottissima(meno del 10%), mentre ben il 68% del totale della popola-zione attiva era costituita da addetti all’agricoltura (tab. 5).

Se poi se ne considera la posizione nel lavoro, si nota cheben il 62% dell’intera popolazione attiva era costituito da la- voratori dipendenti – uomini o donne (tab. 4).

Il senso dell’«autonomia» della donna olienese nell’ambi-to della famiglia viene così ad essere ben limitato dalla suaprecisa collocazione nell’ambito del sistema economico.

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D’altra parte, la struttura e le regole familiari non sem-brano essersi gran che trasformate in questi ultimi anni, pro-prio perché l’economia stessa del paese non ha avuto tra-

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giovani tendono ad occuparsi esclusivamente delle profes-sioni. Il fitto dei pascoli continua però ancora a renderemolto (4-5 kg di formaggio all’ara) e così il fenomeno della

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sformazioni.E questa impressione di enorme ristagno mi si fa ancor

più greve e drammatica quando, con gli amici olienesi, si viene a parlare della attuale congiuntura. È l’immagine di unpaese dilacerato tra un immobilismo strutturale di fondo euna corsa verso «cambiamenti» che appartengono esclusiva-

mente all’ordine della destrutturazione.La caratteristica socioeconomica di Oliena sembra esserela morsa entro la quale poche famiglie dominanti stringonouna popolazione costituita prevalentemente da bracciantinullatenenti o da piccoli proprietari in crisi.

I prinzipales sono cinque o sei grandi famiglie, che pos-siedono, nel complesso, un decimo circa delle terre del pae-se, e che da generazioni hanno espresso intellettuali (avvo-cati, medici, uomini politici) di alto livello, che hanno datola scalata alle cariche politiche appoggiandosi su grevi siste-mi clientelari. Familismo e clientelismo ancor oggi si condi-

zionano a vicenda: a Oliena, mi si dice, è la famiglia al com-pleto che decide a quale personaggio dare i propri voti,consegnandoglieli in blocco, tranne un paio che si tengonodi riserva, per distribuirli equamente tra gli altri partiti. Il vo-to è ancora un bene contrattuale, come all’epoca dell’inchie-sta di Luca Pinna.24

Un altro mezzo per assicurarsi una dipendenza clientela-re può essere quello della concessione di una piccola pen-sione: così mi si dice – e le statistiche informano che pro-prio Oliena ha il maggior numero di pensionati, il 12% dellaintera popolazione (tab. 3) rispetto al 4% del capoluogo.

C’è però qualche cambiamento. Anche i  prinzipales co-minciano a risentire della crisi. L’agricoltura non rende più, esolo gli anziani sono rimasti a dirigere l’azienda, mentre i

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24. L. Pinna,  La famiglia esclusiva. Parentela e clientelismo in Sarde- gna, Bari 1971, pp. 153 sgg. e in particolare p. 169.

proprietà assenteista non viene certamente liquidato, ma,semmai, accentuato.

Ma la crisi, qui come altrove, è pagata soprattutto dallapiccolissima e dalla piccola proprietà.

Il frazionamento del terreno in microunità parcellari hain Sardegna ragioni storiche ben precise, che risalgono alla

imposizione da parte del governo piemontese (editto delleChiudende, 1820) del modello della proprietà privata, primaperaltro quasi sconosciuta, o meglio, molto temperata da unsistema comunitario arcaico, che comportava anche la redi-stribuzione annuale delle terre divise secondo «fuochi», cioèsecondo famiglie. Familismo e proprietà fecero il resto: men-tre le famiglie dei  prinzipales tendevano a non far sposareche uno o due figli per mantenere intatto il patrimonio, ilcontrario avveniva per i piccoli proprietari, che, con feroceegualitarismo, si dividevano la terra tra di loro, in pezzettisempre più minuti, finché si divisero i filari di vite, o si arri-

 vò a lasciare la terra a uno e gli alberi a un altro, e così via.È questa una storia comune a tutta la Sardegna:25 a Olie-na, poi, in particolare, il frazionamento ha assunto aspettipeculiari. È successo che, nel passato, il medio proprietariodesse le proprie terre da lavorare secondo un sistema di in-centivi alla proprietà, analogo a quello della sòccida pastora-le. Dava cioè la terra al «mezzadro» o «socio» perché la lavo-rasse e ne facesse le necessarie migliorie: alla fine dei cinqueanni del contratto, il «mezzadro» sarebbe diventato proprieta-rio di metà del terreno affidatogli.

La parcellizzazione della terra ha portato, qui come al-

trove, all’abbandono delle campagne per altre attività. Siemigra però poco da Oliena, mentre sono relativamente nu-merosi i braccianti sottoccupati: almeno duecento.

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25. Anche per questo vedasi L. Pinna,  La famiglia esclusiva cit., passime in particolare l’“Introduzione”.

Chi è rimasto sulla terra, vivacchia. Riesce ancora a so-pravvivere a stento chi conserva uniti i due tipi di economia:quella agricola e quella pastorale. Tale è l’economia base di

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Orosei (4214 ab.)È quasi sul mare, e il suo territorio è diviso tra zone di

pianura a coltura prevalentemente orticola, zone di mezza

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Oliena, che rosica malamente su entrambe le attività condot-te su piccole dimensioni. Chi lavora la terra possiede, in ge-nere, anche un gregge: ma piccolo, di 80-100 pecore, percui, se lo vuol condurre, specie durante i periodi di trans-umanza che lo spingono verso il sud, deve cooperare conqualcuno che sia nelle sue stesse condizioni. Di solito, ci si

associa in due fratelli e, unite le greggi, si parte assieme.C’è infine qualche famiglia che vive solo sulla terra, sen-za la piccola pastorizia: campano nella più squallida miseriae, contemporaneamente, «tengono alla discendenza», comemi si dice. Famiglia e proprietà sono anche per essi – so-prattutto per essi – l’unica salvezza.

Su questo quadro di immobilismi e di sfaceli, come si in-seriscono le novità? Nei brevi anni di amministrazione sardi-sta – pausa all’interno di un feudo democristiano – si iniziòuna politica cooperativistica. Si costituì una Mutua di conta-dini e pastori, una Cooperativa di pastori per la raccolta e la

lavorazione del latte, una Cantina sociale, un vigneto speri-mentale che dà lavoro a 30 braccianti. Iniziative importanti,ma – come sempre – destinate a una vita precaria fintantoche rimarranno disancorate da un disegno politico generale.

Dell’antica ricchezza di Oliena – relativa, beninteso, aun certo sistema di produzione – ben poco è rimasto. E del-la vecchia struttura sociale è rimasto quel poco che è ancorautilizzabile per la conservazione di un preciso gioco di pri- vilegi. Le donne di Oliena non hanno ancora abbandonatoil costume e continuano, coi loro uomini, ad osservare ipercorsi antichi. A pochi chilometri dal paese, presso il Go-

logone (una delle fonti più belle di tutto il Nuorese) ognianno, a settembre, cinquanta famiglie scelte a sorte tra tuttequelle del paese passano la loro novena nei pressi della Ma-donna di Monserrato. E di olienesi, affamate di feste e dicarne, ne troveremo ancora molte, nei nostri passaggi ai piùdiversi novenari.

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collina a vigneti e zone di collina a pascoli. La pastorizia èperò minima (nel ’65 non si arrivava a 4000 capi ovini),mentre si tenta di vivere prevalentemente sui prodotti degliorti, su un po’ di grano, di vigna, di olive, mandorli e suqualche agrumeto (tab. 7). Il quadro è quello di una produ-zione esclusivamente agricola, abbastanza variata, ma dis-

persiva: soprattutto povera di risorse organizzative.In paese, le incursioni dei «saraceni» hanno lasciato solouna traccia nel ricordo e nelle vecchie canzoni; un’improntaben più massiccia è quella della Chiesa e di un certo numerodi famiglie nobili, che nel passato esercitarono il loro poteresul contadino povero. Grandi chiese barocche, palazzetti constemmi tengono come una mano forte tutto il paese, domi-nanti su un resto di catapecchie, di strade ridotte a rivoli ma-leodoranti. Ma anche chiese e palazzi si vanno logorando.

 A Orosei, anche i «proprietari» sono attualmente moltomodesti: una quindicina circa di famiglie, che traggono il

proprio reddito da magri fondi di venti, venticinque ettari.Modestissimi medi proprietari, vanno estinguendosi comecategoria: tendono, se ci riescono, a vendere; i loro figli ten-tano anch’essi la scalata ai settori terziari e giungono a undiploma o a una laurea, che hanno consentito il sorgere diun modestissimo ceto di dirigenti, impiegati o insegnanti che viene secondo dopo i famosi vertici bittesi (tab. 4).

 Anche a Orosei, il resto della popolazione lavora – o tentadi farlo – nell’ambito del settore primario: qui però, a differen-za di altri paesi e come un po’ in tutta la circostante pianuradella Baronia, i rapporti di lavoro continuano ad essere semi-

feudali, sfidando, oltre che la legge, anche quell’ottimistica ri-partizione tra «lavoratori in proprio» e «lavoratori dipendenti»che gli annuari dell’ISTAT continuano a proporre tra le tanteloro mascherature della nostra realtà sociale ed economica.

Senza tener conto delle nuove leggi sulla mezzadria, aOrosei il rapporto contrattuale continua infatti ad essere un

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accordo di tipo personale, fondato sulla reciproca «fiducia».I conti si tirano, più o meno forfettariamente, alla fine del-l’estate e al mezzadro va, grosso modo, il 50% del prodotto.M d di il iù d ll l l i li i

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In questa melma ristagnante, si comincia a intravederequalche segno di mobilità sociale. In agricoltura, cominciaad emergere qualche piccolo contadino attivo, che si dà daf di i di l i à i d l h

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Mezzadro diventa, il più delle volte, lo stesso piccolissimoproprietario di un paio di ettari di terreno, che si dà da fareper lavorare qualche altro paio di ettari in più, possibilmente vicino al proprio fondo.

Peraltro, è proprio l’economia agricola tradizionale amostrare minori possibilità di resistenza alla crisi. Da Oliena

emigrano in molti, anche se è difficile sapere in quanti. Stan-do alle cancellazioni dalle liste anagrafiche (e quindi noncontando tutti gli altri, compresi quelli che spariscono conun visto turistico) gli emigrati sarebbero circa 300, su un to-tale di una popolazione attiva di poco più di 1200 persone.

I disoccupati o sottoccupati pare siano circa 120: disoc-cupati ufficiali, cioè quei braccianti che arrivano a rimediarsile cento ore di lavoro necessarie per farsi iscrivere nella lista – cento ore che si possono anche arrotondare pregando (opagando) finti datori di lavoro, che attestino una presenzacontinuativa presso di loro. È questo, d’altra parte, un feno-

meno caratteristico di nove decimi dell’isola…Disoccupazione, sottoccupazione, miseria hanno qui iltragico risvolto di una grossa passività sociale e di una ten-denza al rifiuto del lavoro, in un’attesa abulica del piccolosussidio.

Fabbriche artigiane di un certo rilievo non ne esistono;c’è una cava di marmo, che occupa venticinque operai, e al-trettante persone occupa la pesca.

La pesca è esigua e precaria per la mancanza di un portoe di grosse imbarcazioni: le barche sono per lo più di sei-set-te metri, condotte da due soci, di cui uno possiede gli attrez-

zi, l’altro i legni. Non si arriva così a pescare in mare alto,dove invece prendono il meglio dei frutti una quindicina dimotopescherecci continentali, per lo più di ponzesi, bene at-trezzati e che col mare hanno una vecchia consuetudine.26

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26. Nel 1969 i pescatori si sono finalmente riuniti in cooperativa.

fare e cerca di ingrandire la proprietà, acquistando qualcheettaro di terreno vicino al proprio; si è tentata qualche nuovacoltivazione orticola, per convogliare i prodotti verso Nuoro.Negli anni passati, c’è stato il boom del pisello: nel ’61-62tutti piantavano piselli, poi si scoprì di essere in troppi e so-prattutto non coordinati né per lo smercio né per un even-

tuale inscatolamento del prodotto. Mancavano le premesseper un’industria conserviera. L’avventura del pisello si con-cluse due anni dopo (tab. 7).

Sorse contemporaneamente l’arraffa arraffa del nuovo«commercio»: tutti scoprirono che poteva essere redditizioacquistare dal contadino frutta e verdura per poi trasportarlea Nuoro. Ma pare la stiano scoprendo in troppi, questa galli-na dalle uova d’oro. Si dice che ormai i proprietari di ca-mioncini siano almeno un centinaio, e che le speranze di unfacile arricchimento siano ormai tramontate.

D’altra parte, si comincia anche ad avvertire tutto il peso

di una situazione che si va progressivamente deteriorando eche non può più essere affrontata a livello individuale. L’esta-te del ’68 ha visto scendere sulla strada tutta la Baronia, amanifestare la nuova protesta. Ma la comune piattaforma po-litica era ancora estremamente esile, e in sostanza mirava al-l’ottenimento di piccoli benefici peraltro valutati messianica-mente. Fu molto facile tamponare il dissenso. Per il momentoalmeno.

Nuoro (30.000 ab. circa)Storia e organizzazione sociale di Nuoro sono immediata-

mente decifrabili dall’aspetto del suo tessuto urbano, di pic-cola «città» preindustriale, enfatizzatasi ora in un unico setto-re: quello terziario. Di fatto, in origine anche il suo volto nonera diverso, se non per grandezza, da quello dei paesi dellazona. Ora, assai più dei paesi, si è andata ingrandendo se-condo i consueti canoni di un disordinato boom edilizio.

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Nuoro è sempre stata una città di modestissime dimen-sioni e di modestissime risorse.

Per quanto abbia raddoppiato la sua popolazione in que-t lti d t tt l t l i i

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in affitto parte delle loro terre. Non esistono aziende con be-stiame selezionato; si soffre per la mancanza di manodoperache viene considerata troppo cara; nei momenti di maggiorbi i ti i ll’ i t i l di ti

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sto ultimo dopoguerra, conta attualmente al massimo circa30.000 abitanti, come risulterà dal prossimo censimento.

Sotto il profilo della produzione, mancava in passato econtinua a mancare oggi il settore secondario. Esiste una so-la industria, che occupa una trentina circa di operai: ed ètutto qui. Nuoro è una società terziaria, che vive sui servizi,

e sempre più sui servizi: il censimento del 1961 dava un34,4% di addetti a questo settore (tab. 5), che possiamo sup-porre in incremento.

Ma, proprio nella misura in cui è prevalentemente cittàterziaria, può continuare a conservare nel proprio ambitouna rappresentanza di quel settore primario, che ha semprecostituito la grande matrice delle città preindustriali: nel 1961ancora l’11% della popolazione maschile era occupato nelleattività della pastorizia e dell’agricoltura (tab. 5). Attualmentesi censiscono ancora 26.000 capi ovini e circa 3000 capi vac-cini appartenenti a cittadini nuoresi.

La parte vecchia della città agropastorale è il rione diSantu Predu (S. Pietro), diverso da tanti paesi di nostra co-noscenza solo per il tono un po’ migliore di alcuni interni dicase. Vicoli stretti e obliqui, abitazioni modeste al massimodi due piani, non un palazzo padronale. Vi abitano fianco afianco le vecchie famiglie dell’aristocrazia terriera – i  prinzi- pales , una diecina in tutto, più o meno imparentate tra loro – e le famiglie di contadini e pastori meno abbienti o dei lo-ro figli, che hanno cambiato il mestiere.

I  prinzipales possiedono grandi pascoli di 400-500 ettarinel territorio di Nuoro e hanno aziende prevalentemente pa-

storali – circa 1000 capi ovini – che ora si tende a riconvertirein più produttive aziende di allevamento bovino – con 50-100 capi. Assieme hanno altro bestiame (suini in particolare)e oliveti, da cui un’azienda può ricavare 2000-3000 litri d’olio.Possono non avere terreno sufficiente per i loro pascoli, equindi prenderne in fittanza; più spesso però possono dare

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bisogno si continua a ricorrere all’aiuto occasionale di parentio compari, che cooperano secondo il sistema antico dell’of-ferta di una collaborazione gratuita ricompensata con carne e vino in abbondanza. Quel paio di aziende di cui sono stataospite mi son sembrate imprese traballanti entro le quali, or-mai con un certo disordine organizzativo, si cerca di soprav-

 vivere non attraverso la specializzazione delle colture o degliallevamenti, ma attraverso la distribuzione del rischio in tantipiccoli settori diversi.

 Agricoltura e pastorizia cominciano a non rendere più, an-che a questo livello di media azienda. Si comincia a vendere.

I prinzipales si salvano peraltro in virtù del potere politi-co, che detengono per tradizione, e in virtù di una forte co-esione gentilizia, per cui ai singoli membri del clan vengonoaffidati compiti diversi. Si tende a non disperdere abitazionie patrimonio: la cura dell’azienda viene lasciata a uno o duemembri del clan; gli altri hanno avuto aperto, ormai da ge-

nerazioni, l’accesso alle professioni tradizionali di medico,insegnante, avvocato. Quest’ultima professione è particolar-mente importante, in rapporto a quei problemi di difesa delbandito o dell’abigeatario, che consentono al patrono unagrande estensione dei suoi poteri clientelari anche al di fuoridell’ambito della sola città di Nuoro. Quello dell’avvocaturaè stato sinora uno dei canali più importanti per l’accesso allemaggiori cariche pubbliche a dimensione urbana, regionalee, al limite, nazionale.

È ancora dalle vecchie famiglie di  prinzipales  che èemersa buona parte dei nuovi ricchi: l’unico industriale, i

commercianti, soprattutto gli imprenditori edili, che mono-polizzano una grossa fetta del potere. È ancora un ceto mol-to forte, specie a livello politico-clientelare. Ma ce n’è unonuovo in ascesa. Parlare di ceto è però prematuro: parlere-mo piuttosto di ascesa di singoli individui, che ancora nonhanno trasformato la città in senso borghese-imprenditoriale.

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Il capitale locale è talmente insufficiente, che metà dellegrosse imprese edili – appalti per la costruzione di case o distrade – opera con capitale esterno, sia sardo (cagliaritano)che continentale

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servi-pastori). Anche questo è un ceto in forte crisi. Si puòtendere al trasferimento in continente, dopo aver magari riu-nito le greggi di due o tre fratelli. Si può vendere e tentarela riconversione

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che continentale.Qui, come spesso altrove nel meridione, la speculazione

edilizia è ancora il maggior fattore di arricchimento sullapelle dell’indigente.

L’inizio dell’incrinamento del nesso organico tra control-lo della terra e controllo politico, e il contemporaneo sorge-

re di nuove forze economiche antagoniste ad esso, hannoda poco cominciato a mettere in luce alcune contraddizioniall’interno della vecchia élite  di potere. Nuovi competitorisono entrati in gioco, entro una battaglia politica, le cui ca-ratteristiche sono inevitabilmente definite dalla particolarestruttura economico-sociale sia del vertice che della base.

Nuoro rappresenta bene la situazione della sua provin-cia, con tutti i suoi problemi, vecchi e nuovi.

 Accanto ai prinzipales , a Santu Predu continuano ad abi-tare i piccoli proprietari terrieri e i pastori. La proporzione sa-rà qui più ridotta che nei paesi, ma i problemi sono gli stessi.

I piccoli proprietari terrieri sono qui, più che altrove, in via di estinzione. Hanno cercato di sopravvivere concentran-do tutto lo sforzo economico nell’acquisto di due o tre vac-che da latte. La vacca mannalitta era un tempo l’animale ilcui latte veniva utilizzato per il sostentamento della famiglia:ora il suo prodotto viene venduto alle diverse latterie dellacittà, ed è con questo ricavo che tenta di mantenersi la fami-glia di un mannalittarius . Il proprietario porta le bestie ognigiorno a pascolare in periferia, le riporta poi con sé a casa,ogni sera. Nel rione di Santu Predu risiede ancora almenouna ventina di famiglie di questo genere. Ma mi si dice sia-

no tutte dell’altra generazione: i giovani vendono le vacchee cambiano mestiere.Ci sono poi i pastori: piccoli conduttori di greggi mode-

ste, dai 70 ai 100 capi. Talvolta sono proprietari di pascoli,più spesso li affittano o li utilizzano secondo complessi con-tratti di mezzadria. (A Nuoro, per tradizione, non ci sono

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la riconversione.Rispetto alle attività agropastorali, Nuoro è diventata, in

questi ultimi anni, centro di attrazione e di smistamento: masempre secondo modalità indotte mediante l’offerta di alter-native artificiali. Si è creata, di fatto, una catena secondo cuichi va via lascia il posto ad altri, che aspirano alla sua posi-

zione. I pastori dei paesi circonvicini cominciano ad acqui-stare i terreni dei nuoresi, ricchi o poveri, che vogliono libe-rarsene. È un fenomeno ancora iniziale, che non ha portatoancora al trasferimento in città dei nuovi proprietari, i qualipreferiscono mantenere la residenza in paese.

Chi stava in città, è spinto ad essere altro. Ma che cosa?Si spera ancora, nel complesso, di essere utilizzati a Nuoro,tanto che ci si sia nati, o che si immigri qui dai paesi vicini.In realtà, i settori di offerta sono estremamente esigui e si vi- ve al margine della sottoccupazione.

C’è l’unica fabbrica – ormai automatizzata – che occupa

una trentina di dipendenti; ci sono sei aziende per la produ-zione di piastrelle o manufatti in cemento, che occupano intutto una quarantina di dipendenti. Due caseifici occupanoaltrettanta manodopera; quattro frantoi lavorano solo stagio-nalmente da novembre a febbraio. I laboratori di falegname-ria – una ventina – non occupano più di uno o due dipen-denti ciascuno; infine due analoghi laboratori di vetraio: epoc’altro.

Il grosso della manodopera – 1350 lavoratori al censi-mento del 1961 (tab. 5) e probabilmente ancor più oggi – èassorbito dalle industrie edili, ma a livello di manovalanza

generica. Non esiste una tradizione di specializzazione inquesto settore, tanto che le grandi imprese esterne si trasfe-riscono a Nuoro portando con sé i loro operai, organizzati insquadre, che lavorano a cottimo.

Le officine meccaniche e le imprese di autotrasporti so-no tutte a livello artigianale e a conduzione familiare: ed è

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 verso quest’ambito di «modernizzazione» che tende a diriger-si chi vuol tentare l’avventura di mettersi in proprio, dopoaver venduto il bestiame.

Si vendono 70-80 pecore si acquista un motofurgonci-

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miglioramento del tenore di vita (anche se solo in città) el’insufficienza della produzione locale a far fronte all’aumen-to del consumo.

Il macellaio della vecchia generazione acquistava diretta-

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Si vendono 70-80 pecore, si acquista un motofurgonci-no; se ne vendono 500, si acquista una Citroën.

C’è una ventina di officine meccaniche, ciascuna con unmassimo di 4-5 dipendenti o apprendisti. Ci sono 70 aziendeper il trasporto merci (con mezzi che vanno dal furgoncinoai grandi autoarticolati) e una trentina di autonoleggi, in nu-

mero eccessivo rispetto al fabbisogno della città.La vecchia parcellizzazione dell’agricoltura e della pastori-zia si è trasformata in nuove forme di parcellizzazione: quelladelle aziende artigianali, di modestissime dimensioni – nonesistono conduttori d’azienda di autonoleggi o di trasportomerci che possiedano più di due mezzi – e sempre a condu-zione familiare.

 A questo punto, non ci stupiremo più di trovare rappre-sentati a S. Francesco pastori e autisti: è la stessa matrice so-ciale e culturale che li ha espressi.

 Altra analoga speranza, specie per chi venga dai paesi, è

il negozietto di alimentari: a Nuoro ce ne sono 160, anch’es-si parcellizzati e in numero eccessivo. La loro esistenza è ov- viamente precaria, passano di proprietario in proprietario, difallimento in fallimento.

C’è poi un certo commercio di manufatti (tessuti, abiti,mobili, stoviglie). Ma i commercianti che vengono conside-rati «ricchi» per tradizione sono i macellai. Ne dobbiamo par-lare, anche perché sono loro ad essere da sempre i principa-li organizzatori della festa di S. Francesco.

I macellai non sono stati espressi dalla aristocrazia ter-riera – strutturalmente refrattaria ad ogni attività di commer-

cio – ma hanno sempre costituito un ceto a parte, benestan-te, nel senso che era anch’esso in grado di fare accedere ipropri figli alle professioni. È una categoria che è andatasensibilmente avanzando in questi ultimi anni, e che ha an-che visto una trasformazione notevole delle proprie attività.Questo si è dato in connessione a due precisi motivi: il

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Il macellaio della vecchia generazione acquistava diretta-mente dal produttore: ora si è trasformato in commercianteche trasporta dal continente bestiame vivo o macellato. Gliimprenditori sono una trentina, con un giro d’affari di 50 mi-lioni circa ciascuno: hanno, come in passato e più che inpassato, la forza economica che li rende in grado di sostene-

re organizzativamente una festa, anzi di potenziarla, comesta avvenendo. Sono però attualmente premuti entro unanuova situazione competitiva. Di fatto, è sotto il loro con-trollo solo il 15% della carne importata: il restante 85% ècontrollato da un unico imprenditore, che detiene il mono-polio del commercio, e che negli anni passati è stato coin- volto in un clamoroso episodio di sequestro.

Il vecchio legame tra abigeatario e macellaio – che tro- vava la sua conferma nella figura di S. Francesco, patrono dientrambi – si è andato ormai trasformando in un complessoe ramificato sistema di rapporti tra banditismo, traffico di ar-

mi e valuta, appalti edilizi, avvocatura, commercio delle car-ni: rapporto che spesso si intuisce, di cui si parla a bassa vo-ce e per allusioni, ma raramente si può dimostrare.

In un quadro economico così precario – e mantenuto ta-le anche per volontà di pochi – l’unica forma di sicurezzanon può essere che quella rappresentata dal godimento diuno «stipendio», spesso ottenuto attraverso la via del cliente-lismo politico. Il settore terziario ha rappresentato sinora ilprincipale canale di controllo dell’elettorato.

Ora, a tutti i livelli, si è messa in moto la grande macchi-na delle aspettative connesse all’industrializzazione della zo-

na. Si progetta l’insediamento di un grande complesso petrol-chimico nella piana di Ottana, a una ventina di chilometri dalcapoluogo.

Le opposizioni si sono già pronunciate in merito alla «lo-gicità» di tale insediamento, che rappresenterebbe un ulterioremodo di penetrazione disorganica del monopolio (in questo

119

IV. LA POPOLAZIONE DEI NOVENARIcaso, del monopolio di Stato) entro aree «depresse». Ma si trat-ta di una minoranza dall’esiguo potere contrattuale. Per il re-sto, il grande Avvento è atteso a tutti i livelli: dal capo politi-co-clientelare al piccolo pastore che ha venduto le pecore

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Il censimento (1967)Chi va a novenare? In che rapporti si situano novena e

paese, a partire dal dato più elementare della consistenzanumerica e della caratteristica sociale dei novenanti?

Nella primavera-estate 1967 la popolazione stabile dei

nostri cinque novenari variava da un minimo di 145 persone(Annunziata di Bitti) a un massimo di 380 (Rimedio di Oro-sei) (tab. 8), più o meno comodamente alloggiate entro stan-zette spesso sovraccariche, che potevano ospitare uno o piùnuclei familiari (tab. 9).

 Abbiamo censito questa popolazione in rapporto allastruttura e alla densità di ciascun nucleo familiare; quindi,per ogni individuo al di sopra dei 18 anni, si sono rilevate le variabili: sesso, età, stato civile, livello di istruzione, occupa-zione, paese di nascita, paese di provenienza.

Dallo sfondo di questi dati elementari cominceremo a

 vedere emergere ed agire i nostri personaggi, nell’ambito deiruoli a ciascuno assegnati dal gruppo.

Le occupazioniEsiste, all’interno della comunità di novena, una notevo-

le omogeneità di ceto, che caratterizza in modo precisol’ambito sociale cui va riferito questo fenomeno culturale.

È un’omogeneità che si afferma anzitutto per via di ne-gazione nei confronti dei ceti più elevati, che sono in praticaesclusi.

Per ceti più elevati intendo, riferendomi ai paesi, quelle fa-

miglie di prinzipales , di cui già si è parlato in varie occasioni.Fino alla passata generazione, i  prinzipales non erano af-fatto esclusi dall’ambito della novena: potevano abitare caset-te di proprietà, alcune delle quali ancor oggi sono ben distin-guibili per un certo loro decoro. Soprattutto tendevano apatrocinare l’intero andamento della festa, tanto che un buon

121

co clientelare al piccolo pastore, che ha venduto le pecoreper acquistarsi un motofurgoncino in attesa di poter iniziareuna nuova attività. Ma il vero padrone della situazione non èné l’uno, né l’altro.

120

numero di priori era reclutato tra i più abbienti del paese,che avevano così modo di pagare uno scotto rituale per laloro posizione autoritaria, assunta e da assumere in paese.

Fino all’immediato dopoguerra, quindi, l’universo della

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innovarsi non venisse a ledere la conservazione di uno status quo tradizionale, con le relative assunzioni di prestigi e privi-legi sociali.

E questo ci porta a parlare dei reali frequentatori della

 IV. La popolazione dei novenari 

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Fino all immediato dopoguerra, quindi, l universo dellanovena era rappresentativo di un universo paesano, cheaveva dietro le spalle e che confermava: contadini e pastori,da un lato,  prinzipales dall’altro, ciascuno recitava la propriaparte all’interno di un gioco di gerarchie, da tutti ritenutequalcosa di stabilito da un divino potere.

Ora le carte si sono rimescolate: ma in modo ambiguo.Perché ambiguo è il rimescolamento di carte che è avvenutoentro la società intera.

I  prinzipales hanno perduto le loro «dignità» tradizionali,che ne facevano dei personaggi di rispetto; i loro figli, por-tando avanti in misura più considerevole una vecchia tradi-zione, tendono sempre più all’imborghesimento e al mono-polio delle professioni e del commercio. Per loro, non hapiù senso, non è «moderno», frequentare la novena. È anti-gienico, scomodo, e soprattutto pagano, se è vero che allanovena la gente va per «divertirsi». Di fatto, medico, avvoca-

to, imprenditore e grosso commerciante possono attingereda altre fonti i loro divertimenti e le loro relazioni sociali.Ciò non significa però una loro totale astensione dalla

novena. Si può notare un numero abbastanza alto di presen-ze borghesi alle funzioni religiose del pomeriggio (si va e viene in macchina, dal paese o da Nuoro): il che potrebbeanche significare un processo di interiorizzazione (borghese)della religiosità. Interiorizzazione borghese che si accompa-gna pur sempre a un sostegno della tradizione, nella misurain cui è raro che una persona abbiente o un professionistalesini la propria offerta per la festa. E nei novenari più pre-

stigiosi, come quello di S. Francesco, il sostegno della nuovaborghesia è ben più vistoso: non c’è autorità cittadina chenon avalli, almeno con la sua presenza al pranzo del priore,il riconoscimento sociale della festa.

In altre parole: l’aggiornamento della nuova borghesia siè dato solo a proprio vantaggio ed entro i limiti in cui questo

122

E questo ci porta a parlare dei reali frequentatori dellanovena. Chi sono? Sono, sociologicamente parlando, solodei «relitti», uomini-isola entro un’isola? No: sono i ceti subal-terni entro la realtà sociale di oggi.

Nella novena è rappresentato il mondo agropastorale dioggi, con le sue crisi, le grandi sottoccupazioni e il contrad-

dittorio emergere di alcune occupazioni nuove, tutte nonpertinenti – perché tale è la realtà dell’isola – all’ambito dellaproduzione.

La novena è un luogo prevalentemente di donne: e ve-dremo più avanti incidenza e significatività di questo fatto.Ma, se si considera dietro ogni donna il livello occupaziona-le del capofamiglia e se lo si confronta col livello occupazio-nale di quella minoranza di uomini che pure vengono a no- venare, ne emerge una notevole omogeneità di situazioni diceto. A novenare vanno famiglie di contadini e pastori: ma va anche chi compie mestieri ascrivibili all’ordine delle tec-

niche moderne (meccanici, elettricisti, autisti), peraltro inevi-tabilmente risucchiato entro un ambito di comportamenti ditipo tradizionale. L’assenza di una classe operaia non puòcomportare per il momento risposte di tipo diverso.

 Avviciniamoci a questi dati (tab. 14).27

Il dato sociale più imponente è la presenza di un’altissi-ma percentuale di famiglie di disoccupati o di sottoccupati.

123

27. I dati relativi alle occupazioni sono stati rilevati con criteri diversiper gli uomini e per le donne: per queste ultime, che hanno rarissima-mente un’occupazione propria – e in questo caso sono domestiche,

sarte o infermiere –, il riferimento è stato fatto all’occupazione del ca-pofamiglia, nel senso che era comunque interessante rilevare l’ambitosociale che avesse espresso la decisione della donna di recarsi alla no- vena. Di fatto, non sembrano darsi scarti significativi nel confronto trale professioni degli uomini presenti alla novena e quelle delle famigliedi appartenenza delle donne: il che conferma in una certa misura l’omo-geneità dell’ambito sociale da cui entrambi provengono.

È vero che ci sono tra loro molti anziani, e che la maggiorparte di essi gode (eufemisticamente) di una delle tante pen-sioncine di 12-15.000 lire. Ma non è vero l’inverso, e cioèche tutti i disoccupati sono degli anziani.

 IV. La popolazione dei novenari 

n  o  a  c  c  a  n  t  o  a   l

o   (  a   ) ,   l  a  s  u  a

b  i   l  e   ) .  L  e   l  i  n  e  e

p  e  r  s  o  n  e  p  r  e -

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t  a   l  e  r  e   l  a  z  i  o  n  e

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r  s  o  u  n  a  t  e  r  z  a

n  t  e  +   f  i  g   l  i  a  n  u -

.

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p gQuesto è tanto più vero, se alla fascia della disoccupa-

zione vera e propria si aggiunge quella della sottoccupazio-ne: braccianti agricoli, manovali, qualche pescatore (ma po-chi: 4 o 5, di Orosei), cui si affiancano alcune salariate fisse(domestiche) e un buon numero di operai generici. Questi

ultimi sono per lo più muratori, ancora ingaggiati con con-tratti di lavoro a tempo determinato.Braccianti agricoli, manovali, muratori (più o meno qua-

lificati) si estraggono per lo più da quel grande calderonedella microproprietà parcellare, che ha maggiormente risen-tito della crisi. Un confronto con i pochi e imprecisi dati re-lativi alle occupazioni nelle comunità di Bitti, Oliena, Ma-moiada e Orosei sembra indicare lì la presenza di un quadrosociale e occupazionale abbastanza simile (forse con l’ecce-zione di Bitti, un po’ più «ricca» di quanto non appaia tra inovenanti all’Annunziata).

C’è da aggiungere poi che contadini e pastori (oltre cheautisti: ne riparleremo) sono anche la parte più consistentedel gruppo di nuoresi che novenano a S. Francesco. Ormaiprossimi alla fine, è forse mediante la conservazione degliantichi comportamenti che essi tentano di recuperare la pro-pria identità entro un mondo che si va trasformando.

Quanto ai pastori in genere, bisognerà poi fare altre pre-cisazioni. Si tratta per lo più di pastori in proprio, che condu-cono greggi di cento, duecento, nei migliori dei casi (ma sonorari) trecento pecore, oppure di contadini-pastori, com’è il ca-so degli olienesi. Comunque, a novenare si reca prevalente-

mente il pastore proprietario, mentre sono rarissimi (ne abbia-mo contati solo 3 o 4) i casi in cui ci venga un servo-pastore.Di fatto, la possibilità di far festa, assentandosi dal lavo-

ro per un periodo tanto lungo, è molto limitata per chi siaoccupato in qualità di dipendente a contratto, mentre avvie-ne l’inverso per il lavoratore in proprio e, paradossalmente

125

        5        5

     5     2

       1       5

     4

    5

        3

        8

        5

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   1   1

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   T  A  V  O  L  A

  I  I -

   G  r  a   f   i  c

  o   d  e   l   l  e  r  e   l  a  z   i  o  n   i   p  a  r  e  n   t  a   l   i   p  r  e -

  s  e  n   t   i  n  e   i  c   i  n  q  u  e  n  o  v

  e  n  a  r   i

   L  e  g  e  n   d  a -  I   l  g  r  a   f  i  c  o   è  c  o  s  t  r  u  i  t  o  c  o  m  e  u  n  a   l   b  e  r  o  g  e  n  e

  a -

   l  o  g  i  c  o ,  c   h  e   d  i  a   l  a  s  o  m  m  a   d  i  t  u  t  t  e   l  e  r  e   l  a  z  i  o  n  i  p  a  r  e  n  t  a   l  i

  r  i  s  c  o  n  t  r  a  t  e  n  e  i  c  i  n  q  u  e  n  o  v  e  n  a  r  i  e  c  e  n  s  i  t  e  s  e  c  o  n   d  o  i  c

  r  i -

  t  e  r  i   d  e  s  c  r  i  t  t  i  i  n  “  A  p  p  e

  n   d  i  c  e  ” .  L  ’  u   l  t  i  m  a  g  e  n  e  r  a  z  i  o  n  e  c  o  m

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  p  r  e  n   d  e  i  g  i  o  v  a  n  i  a   l   d  i  s  o  t  t  o   d  e  i  1   8  a  n  n  i ,  s  e  n  z  a   d  i  s  t  i

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  z  i  o  n  e   d  i  s  e  s  s  o .  I  c  e  r  c   h  i  p  i  e  n  i  i  n   d  i  c  a  n  o   l  e  p  e  r  s  o  n  e

  p  r  e  s  e  n  t  i ,  q  u  e   l   l  i  v  u  o

  t  i   l  e  p  e  r  s  o  n  e  a  s  s  e  n  t  i ,  c  o  m  u  n  q  u  e

  i  n   d  i  s  p  e  n  s  a   b  i   l  i  p  e  r   l  ’  i  n   d  i  c  a  z  i  o  n  e   d  e   l   l  a  r  e   l  a  z  i  o  n  e  p  a  r  e

  n -

  t  a   l  e  t  r  a  i  p  r  e  s  e  n  t  i .  L  a

   f  r  e  c  c  i  a  a  c  c  a  n  t  o  a   l  c  e  r  c   h  i  o  i  n   d  i  c  a

  i   l  s  e  s  s  o  M ,

   l  a  c  r  o  c  e  i   l  s  e  s  s  o  F .  I   l  p  u  n  t  i  n

  c  e  r  c   h  i  o  i  n   d  i  c  a   l  o  s  t  a  t  o

  c  i  v  i   l  e   d  i  s  p  o  s  a  t  

  a  s  s  e  n  z  a   l  o  s  t  a  t  o  c  i  v  i   l  e   d

  i  c  e   l  i   b  e   (  o  n  u   b

  c  o  n  t  i  n  u  e  i  n   d  i  c  a  n  o   l  a  r  e   l  a  z  i  o  n  e  t  r  a   l  e  p

  s  e  n  t  i ,  r  i  s  p  e  t  t  o  a   l   l  a  g  e  r  a  r  c   h  i  a   f  a  m  i   l  i  a  r  e   (  e

  n  a  s  p  o  s  a  t  a ,  m  a   d  r  e  +   f  i  g   l  i  o  c  e   l  i   b  e   )  ;  i   l  n  u  m

  a   l   l  e   l  i  n  e  e  c  o  n  t  i  n  u  e  i  n   d  i  c

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  s  i   è  p  r  e  s  e  n  t  a  t  a  n  e  i  c  i  n  q  u  e  n  o  v  e  n  a  r  i .  L  e

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  s  e  n  t  i  a   l  n  o  v  e  n  a  r  i  o ,  m  a  c

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  a  s  s  e  n  t  e   (  e  s  e  m  p  i  o   d  o  n  n  a

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   d  i  s  o  r  e   l   l  a

  s  p  o  s  a  t  a  a  s  s  e  n  t  e   ) 

ma a maggior ragione, per il sottoccupato. È comunquequesta una considerazione generalizzabile: la festa tradizio-nale comporta l’esistenza di una società fondata su una certadisponibilità di tempo libero e non produttivo. E tale non è

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

fanno di loro una categoria particolarmente dipendente dallarichiesta di una protezione soprannaturale.

Infine – e anche questi sia dal capoluogo che dai paesi,comunque in percentuale minore rispetto a quella assoluta

 IV. La popolazione dei novenari 

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solo la società agropastorale tradizionale, ma anche il suoaspetto moderno, con tutte quelle amplissime frange di dis-occupazione e sottoccupazione, che rappresentano il punto-limite del vuoto lavorativo.

Può chiuder bottega anche chi ha un piccolo commercio.

Non farà meraviglia l’alto numero di famiglie di artigiani,bottegai e piccoli commercianti presenti alla novena: sono difatto tanti anche in paese. Per il vero, non sono più molti gliartigiani di tipo tradizionale (del ferro, del legno, ecc.), men-tre sono ancora attivi sarti, calzolai, fabbri e falegnami. Maavanza invece sempre più numerosa, precaria e piena di spe-ranze in una fortuna assicurata dal «commercio», una nuovacategoria: quella dei piccoli bottegai, dei rappresentanti epiazzisti. L’alta percentuale di costoro alla novena corrispon-de al moltiplicarsi – egualmente parcellare quanto un tempola piccola proprietà fondiaria – di negozietti che tengono di

tutto e vivono di nulla. Dieci-quindici anni fa il paese nonconosceva che il passaggio stagionale dell’ambulante che vendeva oggetti in legno o in rame, non certo generi alimen-tari, il cui fabbisogno era fornito dalla produzione familiare.Ora si contano ovunque a diecine i piccoli spacci a condu-zione familiare, venditori per acquirenti che non comprano aetto o a chili, ma a dieci, cinquanta lire («mi dia cinquanta li-re di pane, trenta di salsa») e che si fanno «segnare sul libret-to», perché pagheranno, se potranno, alla fine del mese.

Quali, gli altri mestieri nuovi? Mancano necessariamentegli operai. C’è semmai, tra i novenanti, qualche lavoratoredelle miniere (Orani, Lula): sono comunque molto pochi,anche nei rispettivi paesi. Ci sono invece, relativamente nu-merosi, meccanici ed elettricisti. E poi, la grande categoriadegli autisti – sia proprietari, che salariati. Gli autisti devotiai santi – siano essi di paese che nuoresi – sono molti, in as-soluto: forse i rischi professionali cui sono esposti ogni giorno

126

dei rispettivi paesi – gli sparuti rappresentanti della piccolaborghesia: un paio di maestrine, qualche impiegato, pochistudenti, un certo numero di militari e soprattutto di carabi-nieri. Una piccola borghesia terziaria, anch’essa tipicamenteda terzo mondo.

Maschi e femmine Alla novena, le donne sono in netta, schiacciante mag-

gioranza rispetto agli uomini. Nel totale dei cinque novenari,la popolazione al di sopra dei 18 anni constava di 506 fem-mine e 182 maschi (tab. 10).

Le proporzioni possono variare, dal caso-limite di Gona-re, composto quasi esclusivamente di donne, al Rimedio,che sembra caratterizzarsi come microcosmo rappresentativodell’intera comunità di paese: i due sessi e le tre classi d’età vi sono infatti rappresentati in misura quasi omogenea.

Non c’è dubbio comunque che la novena sia stata anchein passato prevalentemente un fatto di donne: il fenomeno èstato varie volte notato, verso la fine del secolo scorso, dal-l’Angius, e, nel secolo precedente, la letteratura sinodale fa-ceva riferimento a certi modi fanatici di sciogliere il voto daparte di «donnicciole», di cui si è già parlato.

La donna è la grande protagonista della novena: è in ge-nere lei ad assumere l’iniziativa, spesso trascinando con séun maschio riluttante o comunque passivo.

Potremmo cominciare ad ipotizzare che l’alibi religiosoconsenta alla donna un certo compenso rispetto a un con-trollo sociale quotidiano che tende a non consentirle decisio-ni di tipo extradomestico. Questa ipotesi potrebbe essereconfermata dal fatto che perfino la libertà della novena haqualche aspetto di una libertà condizionata. La donna escedal paese, purché questo avvenga entro l’ambito tutelantedel proprio orizzonte familiare. Sono infatti relativamente rari

127

(comunque non impossibili: ne abbiamo contati 61 in tutto) icasi in cui una donna decida di partire sola, senza una partealmeno del proprio gruppo familiare: e anche in queste occa-sioni è in ogni modo sempre da presupporsi la presenza del

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

socializzazione, tendente a formare nuovi vincoli interfami-liari e interlocali, la cui realizzazione continuerebbe ad esse-re molto difficile, se si rimanesse entro il chiuso ambito dellacomunità di paese.

 IV. La popolazione dei novenari 

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gruppo vicinale o di paese, che tutela e controlla.Si tratta di una libertà condizionata, piccola rispetto ai

nostri standard (o ideali?), ma considerevole rispetto ad altristandard del mondo contadino: ad esempio, quelli dell’Italiameridionale.

Il novenario non è solo una forma di «evasione», ma il ri-conoscimento sociale di tutto un settore di autonomie fem-minili.

Queste autonomie si realizzavano – e solo in parte sirealizzano tuttora – entro due ambiti: quello delle attività do-mestiche e quello delle pratiche magico-religiose. Le donnedi Oliena, in questo, sono un caso-limite, ma rappresentati- vo di una tendenza generalmente diffusa.

Il ruolo principalmente produttivo assegnato all’uomo loindirizza verso più larghe disponibilità di assunzioni di com-piti organizzativi esterni.

 Alla diversità dei due ruoli maschile e femminile entro lacomunità di paese potremo cominciare col correlare la di- versità dei ruoli sostenuti dall’uomo e dalla donna nell’ambi-to della novena.

Una novena non è un fatto esclusivamente di donne: èuna società maschile, il Comitato, quella che si assume l’one-re fondamentale della sua lunga e complessa organizzazione.C’è poi da tener presente che all’uomo viene riconosciuta lapossibilità di muoversi molto più liberamente della donna, aldi fuori delle pareti domestiche. Anche per questo, la donnatenderà a ricostituire, alla novena, una vita domestica in mi-niatura: l’uomo potrà permettersi di non risiedervi e di spo-starsi saltuariamente; ha inoltre da fare i conti con preciseesigenze di lavoro che, in certi casi, sono più vincolanti chenon per le casalinghe.

Sta comunque di fatto che per entrambi, uomo e donna,la comunità di novena funziona come istituto tradizionale di

128

Le classi d’età Alla novena sono rappresentate tutte le classi d’età, sia

pure con proporzioni diverse tra loro. Anzitutto, i bambini la popolano in grande, esorbitante

misura, che dà anche visivamente il tono alla vita quotidianadella piccola comunità. Bambini e adolescenti al di sotto dei18 anni sono infatti almeno un terzo, se non addirittura lametà, dell’intera popolazione dei singoli novenari (tab. 8).

Non c’è quasi adulto che non venga a novenare senzaavere almeno un bambino con sé: genitori, nonni, zie, comarisi fanno sempre accompagnare da parenti e figliocci. E que-sto è da correlarsi, anzitutto, con la caratterizzazione preva-lentemente femminile della novena e col ruolo familiare-edu-cativo assegnato alla donna. Le motivazioni esplicite che disolito si portano per giustificare questo comportamento sono

 varie, sia d’ordine pratico (impossibilità di lasciare i bambinisoli a casa), sia di ordine igienico (utilità di un cambiamentodi clima). Valutata comunque nell’ambito della sua funzionesociale, l’usanza finisce per rappresentare uno dei tanti modiper condizionare l’apprendimento della tradizione.

 Vediamo ora gli adulti, dai 18 anni in su, che abbiamodiviso in tre classi d’età: 1a (18-30), 2a (31-50), 3a (51 e oltre).

Tutto il complesso della novena presenta, sia pure conun certo numero di variazioni, un andamento a piramide ro- vesciata, nel senso che i più giovani sono meno numerosi diquelli di mezza età, a loro volta meno numerosi dei più an-ziani (tab. 10).

Questa relativa anzianità della novena è in parte connes-sa a una certa tendenza a ritardare l’assolvimento del voto acausa di necessità familiari o di salute. Ora, approssimandosila vecchiaia, si teme di morire senza aver saldato i propridebiti, e ci si decide infine a sciogliere l’antica promessa.

129

Queste sembrano essere comunque motivazioni parziali,rispetto a un problema più generale, cui si possono dare so-lo risposte ipotetiche. Mancando di possibilità di confrontocol passato, non siamo in grado di giudicare in che misura ilf i iù di i i d

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

 vedono riunirsi davanti alla comune tavola dei genitori i figliche la vita ha sparso un po’ ovunque.

La cultura locale tende ancora a valorizzare l’istituto fa-miliare, per quanto ci si stia ormai avviando verso notevolif di bi ll i i i l f i li è i

 IV. La popolazione dei novenari 

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fenomeno sia più o meno consuetudinario o invece da cor-relarsi al lento decadimento delle novene, oggi preferite (peripotesi) solo dagli anziani.

Ma quest’ultima ipotesi può essere anche capovolta. Seassumiamo che la novena non è ancora tanto abnorme ri-

spetto al paese (e ne vedremo via via, nel corso dell’inchie-sta, maturare vari indici), ci sarà anche da fare i conti col fe-nomeno dell’emigrazione, che tende a lasciarsi dietro unacomunità paesana costituita prevalentemente da donne, daanziani e da un certo numero di adolescenti.

Un indice del successo, ancora attuale, della novena èrappresentato proprio da questi ultimi. Il ruolo dei giovani al-la festa (dal paese non sono ancora partiti tutti) è tutt’altroche trascurabile, anche se statisticamente non dimostrabile.Quasi tutti i ragazzi e le ragazze del paese più vicino, e varialtri da paesi più lontani partecipano alla novena, anche se

in modo non stanziale. Si trasferiscono quasi sempre in grup-po, a piedi, in motocicletta o in automobile, e si trattengonoper le funzioni religiose e i divertimenti pomeridiani e serali.

La nostra analisi ha dovuto limitarsi al gruppo dei nove-nanti stabili, anche per le difficoltà obiettive che avrebbecomportato un esame dei «pendolari della novena». Ma il pro-blema dei giovani resta, e non è così facilmente ignorabile.

I gruppi parentaliGiovani o vecchi che siano, è poco frequente che ci si

rechi a novenare da soli: di fatto, l ’importanza dell’istituto fa-miliare è ancora tale, che neppure l’eccezionale rottura festi- va degli schemi usuali di vita ne comporta una liquidazione.Sembra anzi che qui, nel fuori tutelato dal Santo, i legami fa-miliari ritrovino una conferma e una solennizzazione, ricosti-tuendosi certe unità peraltro disperse e frazionate durante ilresto dell’anno: un po’ come i nostri pranzi di Natale, che

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forme di cambiamento, nella misura in cui la famiglia è in via di liquidazione in quanto nucleo produttivo. Anche quiperaltro – come altrove e forse più che altrove, data la pre-senza di una storia molto recente – è nell’ambito della fami-glia che convergono due tendenze conflittuali: quella di un

lavoro salariato inevitabilmente singolarizzante e quella diun appello al consumo, che ancora in parte si rivolge al nu-cleo familiare come acquirente (casa, mobili, elettrodomesti-ci, ecc.). In questo senso, i vecchi valori familiari, messi incrisi per un verso, possono venir recuperati ed enfatizzatidall’attuale neofamilismo dei consumi.

 A un «recupero» di questo genere può, al limite, prestarsila stessa comunità di novena: è recentissima la tendenza allacostruzione di villette monofamiliari, di tipo moderno, chespuntano fuori, esterne ed autonome rispetto all’organicoperimetro della «corte».

Ma questi ultimi sono cambiamenti che ancora si avver-tono appena. Siamo per ora in bilico tra le due situazioni: lapassata e la futura. In ogni caso, il condizionamento familia-re risulta essere ancora un dato di notevole consistenza.

Per misurarne in qualche modo la portata, abbiamo co-minciato col considerare la struttura dei singoli nuclei paren-tali presenti alla novena, pur sapendo che questo ci avrebbefornito un’immagine parziale della questione, dal momentoche è raro che tutto un nucleo familiare sia in grado di trasfe-rirsi per l’intero periodo. Nonostante questa limitazione, nesono emersi alcuni indici che permettono di precisare certidiscorsi. È vero infatti che i gruppi parentali alla novena va-riano per numero (da una a dodici persone circa, bambinicompresi) e si presentano raggruppati secondo diversissimecostellazioni di relazioni. Ma un’ulteriore sintesi di questi datili riconduce, di fatto, a limitatissime stereotipie di comporta-mento. Le abbiamo riassunte in un grafico (tavola II).

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La prima evidenza è che i tipi di rapporti familiari real-mente presenti alla novena sono molto limitati in quanto anumero e, per di più, esclusivamente riferibili al ristretto am-bito di una famiglia nucleare, che tiene soprattutto contod ll l zi i t i i

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

nubile finisce molto spesso per essere presente nel ruolo dizia, sia che si accompagni alla sorella sposata con prole, siache venga da sola, portando con sé i figli di un fratello o diuna sorella. In ogni caso, comunque, possiamo supporreh l l ff b d di tifi zi i

 IV. La popolazione dei novenari 

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delle relazioni tra consanguinei.I rapporti di parentela non oltrepassano, se non in casi

rarissimi, il sesto grado; relazioni tra affini si danno per lopiù non come fenomeno primario, ma come conseguenzadel fatto che a novenare sia venuta la coppia marito-moglie,

portando ciascuno con sé un certo numero dei propri con-sanguinei. Sono del tutto eccezionali i casi di alleanza di duecognate o di suocera e nuora.

È questa una prima conferma, in sede quantitativa, diquanto era già stato notato da Pinna circa la struttura nuclea-re della famiglia sarda, con quelle conseguenti chiusure tranucleo e nucleo, cui la vita della novena tenta di proporreuna sia pur modesta conciliazione. E in questo senso anchel’attuale esplosione del neofamilismo consumistico sembraancora aver trovato un terreno adatto al proprio sviluppo.

Né d’altra parte sembrano ancora definitivamente intac-cate le caratteristiche strutturali della famiglia tradizionale.Quali sono? Possiamo anzitutto notarvi la presenza di unruolo autoritario esercitato dalle generazioni superiori suquelle inferiori, qualora non si siano staccate col matrimo-nio, facendo nucleo a sé stante. Alla novena, sono i genitori(o solo la madre) a portare con sé i figli adulti, sia maschiche femmine, se non sono ancora sposati. Nubile e celibe,per quanto adulti, continuano cioè ad essere consideratimembri della famiglia dei genitori. Il fatto è ovviamente con-nesso allo stato reale di dipendenza economica dei figli nel-la famiglia patriarcale, ma anche all’alto grado di sottoccupa-zione che in paese non consente ai giovani una autonomascelta produttiva. Anche in questo caso, dunque, non piùtanto una «persistenza» arcaica, quanto un adattamento a unamutata e pressante situazione sociale ed economica.

In questo tipo di famiglia autoritaria, il rango più bassosembra essere occupato dalla donna nubile: alla novena, la

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che la novena le offra un buon grado di gratificazioni – eanche di speranze di trovarsi un marito, e quindi un ruolosociale.

Ma la vera protagonista della novena è la donna sposata.In quest’ambito, la sua autonomia decisionale è notevole,

nella misura in cui è in grado di imporsi a marito, figli, so-relle, fratelli, nipoti e nipotini. Nel grafico generale, i raggi direlazioni che confluiscono verso di lei sono i più vari e nu-merosi, tanto più che ad essi andrebbero aggiunti anchequelli convergenti verso la coppia marito-moglie. È spesso lamoglie, e non il marito, a condurre con sé il coniuge, comerisulterà anche dall’analisi delle motivazioni.

È il riconoscimento di un’autorità eccezionale, per la cuicostituzione la donna sposata ha posto solide premesse en-tro l’ambito della vita quotidiana domestica.

Nella comunità di paese – a quanto mi si dice – il figliomaschio, una volta uscito col matrimonio dalla propria fami-glia d’origine, tende a conservare relativamente pochi rapporticon i genitori e i fratelli. La figlia sposata, invece, tende in ge-nere ad appoggiarsi affettivamente alla famiglia dei genitori,con cui non coabita, ma cui ricorre frequentemente per consi-gli o aiuti per l’allevamento della prole. Si dà quindi una certaalleanza tra figlia e madre, che in alcuni casi (vedi, per esem-pio, Oliena) può essere anche antagonista rispetto a una posi-zione autoritaria riconosciuta invece alla madre dello sposo.

Quanto avviene alla novena sembra confermare questarealtà: e gli indici ne sono vari. Nel rapporto nonna (o nonni)e nipoti, si tende a dare la preferenza ai figli della figlia, che vengono portati alla festa a differenza dei figlioli dei figli ma-schi che sembrerebbero meno favoriti. Ancor più significativisono quei casi in cui alla novena siano presenti marito, mo-glie e figlia sposata. Al limite, addirittura, la coppia dei genito-ri anziani, con il consenso della figlia sposata, può riuscire a

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convogliare con sé anche il genero: in questi casi ci troviamodi fronte a un’alleanza tra madre e figlia sposata, ciascuna del-le quali porta con sé il proprio coniuge. I casi invece di al-leanza tra suocera e nuora sono molto più rari, e addiritturamanca lo schema inverso della coppia cioè dei genitori an

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

I gruppi di paeseDi gruppo in gruppo, di mediazione in mediazione si ar-

riva alla formazione di gruppi più diversificati: gruppi di unsolo paese, gruppi di paesi diversi.

In questo senso la tipologia delle novene comporta

 IV. La popolazione dei novenari 

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manca lo schema inverso, della coppia cioè dei genitori an-ziani assieme al figlio con la propria moglie.

Sembra cioè, nel complesso, che la novena per le donneassolva anche il compito di ribadire certi legami affettivi ecerte alleanze, che la vita quotidiana, col vario frazionarsi

delle famiglie nucleari, rischiava di interrompere: in partico-lare il legame madre-figlia sposata, che hanno qui l’occasio-ne di tornare a vivere assieme.

 Amicizia e vicinatoLa logica dell’antico modo di vivere di gruppo condizio-

na comportamenti, che oltrepassano anche l’ambito stretta-mente familiare. L’andata alla novena è raramente un fattosingolo: spesso si decide assieme la partenza, e si parte ingruppo, noleggiando un unico mezzo di trasporto, almenoper le masserizie.

Nel caso che i gruppi provengano dallo stesso paese, c’èstato quasi sempre un reciproco accordo preventivo; nel ca-so che provengano da paesi diversi, le possibilità di accordodiminuiscono, ma non sempre in modo sensibile (tab. 12).

Come avviene già al livello dei legami familiari, la nove-na serve anzitutto da conferma e solennizzazione di una se-rie di legami sociali, già precedentemente stretti in paese ofuori paese. Inoltre, rispetto alla famiglia, non solo ci trovia-mo di fronte a un più vasto ambito di socialità, ma si fannoanche più varie e articolate le possibilità di aprirsi ad altrirapporti interpersonali, nella misura in cui ciascuna delle fa-miglie amiche diventa punto di relazione tra i propri parentied amici e i parenti e gli amici della famiglia con cui coabita.

La partenza in gruppo ci conferma, per via indiretta, chel’esistenza di feste e novenari è strettamente connessa all’esi-stenza della comunità di paese, come unità di coesioni e di vincoli sociali ineliminabili.

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In questo senso, la tipologia delle novene comporta – oltre che una serie complessa di possibilità intermedie – dueopposte situazioni-limite. Ci sono novenari frequentati pre- valentemente da gente di un solo paese, e la cui funzionesembra essere quella di ribadire solennemente un’unità etni-

ca. Altri invece richiamano entro la loro zona franca abitantidi paesi diversi, e quindi sembrano avere la funzione di me-diatori di più larghi incontri intertribali.

La maggior parte delle novene è attualmente ascrivibile alprimo tipo: si può trattare di chiese poco note, sia ora che inpassato, ma anche di santuari grandi e famosi, come S. Salva-tore di Cabras, frequentato quasi esclusivamente dai cabraren-si, S. Serafino di Ghilarza, l’Annunziata di Bitti e il Rimedio diOrosei. Questi ultimi tendono a presentarsi a composizioneetnica prevalentemente unitaria, con la presenza sporadica dipersone provenienti da paesi limitrofi e di qualche emigratoche fa ritorno per voto alla terra d’origine.

Questa tendenza alla specializzazione etnica è un fattoin parte recente, dato che, fino a circa prima della guerra lanovena doveva essere frequentata, per le chiese meno famo-se, anche dagli abitanti di uno o due altri paesi del circonda-rio, e per quelle più famose anche da gente proveniente dapiù lontano (tab. 1 a-b). Ad esempio, a novenare al Rimediodi Orosei fino a pochi anni fa arrivavano a gruppi i dorgale-si, che ora non si vedono che il giorno della festa. Sta di fat-to però che, anche in questi casi, lo spirito campanilisticoera ed è determinante: l’Annunziata, il Rimedio e così via vengono considerati prima di tutto come terra e festa dei bit-tesi, degli orosesi ecc., che ospitalmente accolgono gli altrientro il loro territorio.

 A S. Cosimo convergono molti mamoiadini, la festa è deimamoiadini: ma ancor oggi sono abbastanza numerosi i grup-pi di altri paesi; a S. Francesco di Lula il nucleo principale è

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 V. QUESTIONI ECONOMICHE E ORGANIZZATIVE

Economia e organizzazione della novena

costituito (per tradizione) da nuoresi e da olienesi – la festa,anzi, è la festa dei nuoresi: di fatto però abbiamo contatogruppi provenienti da altri 14 paesi.

Infine, il cosmopolitismo di Gonare (16 paesi rappresen-tati come S Francesco) con la presenza in esso di tanti pic-

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Economia e organizzazione della novenaEconomia e organizzazione della novena sono due aspet-

ti fondamentali per il funzionamento, la dinamica, di questoistituto.

La valutazione dell’incidenza dei costi della festa rispetto

al bilancio economico delle singole famiglie e delle singolecomunità comincerà a farci entrare in termini concreti nellatematica del gratuito e del consumo vistoso, che caratterizzaogni comportamento sul piano sociale del festivo.

 A loro volta, economia e organizzazione della festa sonostrettamente correlate, nella misura in cui il compito dell’or-ganizzazione è anche quello di reperire i fondi per crearetutte le strutture, temporanee o stabili, che consentiranno ilfunzionamento della novena e della festa.

Infine, il momento di libertà, la ricchezza di rapporti so-ciali che si dischiudono attorno al perimetro della «corte» èreso possibile dall’esistenza di un solido apparato organizza-tivo, che ha operato durante tutto l’anno in funzione di que-st’ultimo scopo, e che si caratterizza e si struttura proprio se-condo la logica dei sistemi di produzione e dell’ambientesociale e culturale da cui emergono sia festa che paese.

Beni in denaro,beni in natura,ore di lavoroNon è sempre facile rispondere alle domande: quanto

costa, per ogni singola famiglia, fare una novena? Quale giroeconomico ruota attorno a novena e festa?

Si tratta infatti di operare un processo di traduzione intermini monetari di quanto invece continua ad esprimersi an-che in termini non monetari. C’è da tener conto della presen-za di un condizionamento economico, che è ancora in partedi tipo feudale. La necessità di disporre di denaro e di entra-re nella rete di rapporti monetarizzati è presente come urgen-za che preme ogni giorno di più: ma il denaro che circola

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tati, come S. Francesco) con la presenza in esso di tanti pic-colissimi gruppi paesani, senza che nessuno prevalga in mi-sura eccessiva sugli altri, è forse l’esempio più interessantedi un santuario prevalentemente intertribale (tab. 12).

Gruppi parentali, gruppi vicinali, gruppi di paese carat-

terizzano i propri reciproci rapporti secondo modalità diffe-renziate, che fanno della novena un istituto dinamico.D’altra parte, questa pacifica coesistenza è resa possibile

da una serie di fattori preliminari: la comune appartenenza aun ambiente sociale e culturale sostanzialmente unitario; l’esi-stenza di un solido apparato organizzativo, che ha preparato lanovena e le permette di funzionare; l’istituto stesso della «cor-te» con tutto un preciso codice di comportamenti e di valori.

È quanto ci resta da conoscere.

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(escludendo le rimesse degli emigrati) è poco. Una parte (cheperaltro va restringendosi) dei beni di consumo è di originefamiliare; ci sono ancora molte aziende a conduzione dome-stica. Accanto a rapporti di salario (fisso, giornaliero) e di fit-tanza rimangono altre forme precapitalistiche come la sòcci-

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Non riesce a livello delle singole famiglie, strette tra lacrisi delle vecchie risorse agropastorali e l’impossibilità ditrovare in paese nuove fonti di denaro.

Il costo di una novena per famiglia

V. Questioni economiche e organizzative 

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tanza rimangono altre forme precapitalistiche, come la sòccida del bestiame o dei terreni.

Di qui, la tendenza ancora attuale a non considerare in ter-mini monetari, o, al limite, a non computare affatto, costi e va-lori delle materie prime di produzione e utilizzazione familiare(vino, olive, olio, farina, ecc.), costi e valori di prestazioni di la- voro, quando si diano entro l’ambito dell’azienda familiare o diquello dei rapporti fiduciari di mutualità tra amici o compari.

È un atteggiamento residuo, che ora si scontra con lanecessità di disporre di denaro per gli acquisti: necessità chesi è fatta via via tanto più pressante, da comportare la de-strutturazione del vecchio sistema, coi nuovi risvolti di «po- vertà», emigrazione, ecc.

L’economia della festa continua a correlarsi in misuraconsiderevole a strutture economiche di tipo precapitalistico.Se essa non viene valutata entro termini monetari, non è so-lo per quanto si è detto. Non è computabile così anche e so-prattutto perché tutti i rapporti sociali che ineriscono all’am-bito della festa si danno su un altro piano, che è economicosolo in via indiretta: quello del dono, dell’offerta, del gratui-to (economicamente gratuito, socialmente vincolante).

Ma assisteremo anche, proprio su questo piano, al pro-gressivo avanzamento di altri tipi di considerazione di ordi-ne economico, che tendono ora a far rientrare anche la festanell’ambito di una economia monetarizzata, la cui gestionesia nelle mani dei nuovi ceti abbienti, gli unici che dispon-gano di moneta.

In questo senso, comincia a proporsi un divario estrema-mente significativo. C’è, a tutti i livelli, l’urgenza di adeguarsirapidamente alla nuova economia. Ma c’è chi riesce e chino. L’operazione può riuscire al livello dei più alti (compara-tivamente) vertici organizzativi, come sta avvenendo per lesovvenzioni regionali a S. Francesco e all’Annunziata.

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Il di un n v n p r f migliDate queste premesse, consegue che, al limite, è più dif-

ficile capire quanto realmente costi una novena a una fami-glia che non un’intera festa agli organizzatori.

Per la famiglia, il lavoro non si computa e a loro volta leprovviste sembrano essere state risparmiate, e quindi essere

anch’esse gratuite, perché al momento del raccolto si sonomesse da parte per la festa.

Quanto costa in denari una novena?Ci sono novene più o meno care, più o meno confortevoli.La cumbessía si paga in denaro, ma facendo rientrare

questa contribuzione non entro il modello della fittanza, main quello dell’«offerta» – da farsi, a seconda dei casi, al parro-co o all’organizzatore della festa, il priore.

L’entità dell’offerta viene comunque stabilita di anno inanno a seconda di una convenzione, cui ciascuno si attiene. Varia, grosso modo, da un minimo di 200 lire per persona a

un massimo di 10.000 lire per stanza.28Una famiglia che si trasferisca ha da affrontare inoltre le

spese del trasporto delle persone, se si viene da lontano, ecomunque quello delle masserizie. Si fittano in comune autoo camioncini.

Ci sono poi altre voci del bilancio familiare, che pure variano e sono definibili con difficoltà, anche se incidono inmisura abbastanza rilevante.

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28. Nel ’66 e nel ’67, a Bitti bastava che ciascuno offrisse 200 lire perpersona (compresi i bambini); offerte libere al parroco (di circa 4000 li-re per stanza) si facevano al Rimedio di Orosei; a S. Francesco di Lula,le offerte variabili, vengono concordate col priore. Anche a S. Cosimol’affitto è a offerta, da farsi al priore alla fine della novena e stabilitonegli anni passati sulle 7-10.000 lire circa; a Gonare vige un duplice cri-terio: il parroco di Sarule chiede un’offerta ad libitum, quello di Oraniuna di 7000 lire, aumentabili se le famiglie si fermano più a lungo ofuori del periodo della novena.

 Anzitutto, le spese del vitto. Queste vengono circa a rad-doppiarsi, quando la famiglia si divide in due tronconi, unodei quali resta in paese.

In particolare poi, alla novena e alla festa il cibo ha daessere eccezionale e abbondante, sempre disponibile anche

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

che lavorino per un salario (braccianti, autisti, servi-pastori,ecc.).

Per tirare le somme, sembrerebbe che, grosso modo, lespese in denaro sostenute da una famiglia residente in unnovenario distante da casa e dispendioso per obblighi socia-

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esse e ecce o a e e abbo da te, se p e d spo b e a c eper eventuali ospiti. Mentre carne e dolci sono assenti dalpasto quotidiano, qui se ne può godere con abbondanza. Bi-scotti, caffè, vino, liquori sono stati portati in scorta sufficien-te per reggere ai continui obblighi dell’ospitalità. Non sonopoi trascurabili le spese dei consumi maschili alla bettola,che incidono forte, almeno per un migliaio di lire al giorno.

Ci sono poi le piccolissime offerte in denaro, che ognigiorno si disperdono per i mille incontrollabili rivoli dell’obo-lo in chiesa, o al mendicante o al questuante in giro per qual-che colletta. Anche questo tipo di offerte, come le precedenti,aumentano nei giorni della festa grande: ma non sembranocostituire una voce molto importante, se almeno si deve cre-dere alla voce «piatto delle offerte» dei  Libri dell’Amministra-zione , di cui diremo tra poco.

Si possono poi aggiungere altre spese «di rappresentan-za», come l’acquisto, presso le bancarelle, di doni modesti – corone, collane, cornicette in plastica, ritratti di papa Gio- vanni, giocattoli – da portare in paese a parenti od amici.

L’incidenza di questa voce può variare di molto a secon-da sia delle disponibilità economiche familiari, sia del gradodi obblighi sociali richiesti da ogni singolo novenario.29

Queste, le spese vive, al di fuori delle quali c’è anche daconsiderare – oltre che il lavoro preparatorio delle donne, dicui si è già detto – l’eventuale lucro cessante per gli uomini,

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29. Il più esigente – nell’ambito della zona da noi studiata – è indub-biamente S. Francesco di Lula. Ritrovo tra gli appunti presi alla Madon-na di Gonare questa osservazione: «C’è molta tranquillità e modestiache, come a Orosei e a differenza di Lula, si rivelano anche nella quan-tità e nella qualità degli ‘inviti’: manca lo sfarzo dell’offerta dei tre tipid’obbligo di biscotti, del vino e del caffè; minore è anche l’insistenzanell’offrire, tanto che mi è possibile rifiutare e evitare l’orticaria che miritrovavo ogni sera a S. Francesco».

ove a o d sta te da casa e d spe d oso pe obb g soc ali, si possano aggirare sulle trenta-quarantamila lire, esclusi vitto ed eventuale lucro cessante. La spesa può altrimenti di-minuire, e anche di molto.

Il che può rappresentare per noi un modestissimo bilan-cio, ma per i novenanti molto o poco, a seconda delle relati- ve condizioni. Può essere poco per i privilegiati che confron-tino le poche migliaia di lire spese qui con il costo correntedi una modestissima villeggiatura; molto, se si rapportano albilancio medio della famiglia di un contadino, di un pastoreo di un sottoccupato, che dispone di pochi liquidi.

Il grado di impegno economico varia soprattutto in rap-porto alla distanza dal proprio paese: può essere minore perchi abbia la casa a due passi, maggiore per chi venga da lon-tano. In questi ultimi casi si è dovuto aspettare, magari peranni, attraverso malattie e varie difficoltà di lavoro ed econo-miche, fintanto che un relativo ristabilirsi della situazione fa-miliare consentisse l’avventura della partenza di gruppo.

Il bilancio della novenaÈ quasi altrettanto difficile fare un bilancio dei costi del-

l’intero complesso della novena, e quindi misurarne lo sfor-zo economico costato al paese che la sostiene.

C’è anzitutto l’ambito delle prestazioni di manodoperagratuita: collaborazione per la costruzione di casette e stra-de, per la colletta in paese e fuori paese, per l’aiuto, durantela novena, alla casa del priore. Ad esempio, nel 1967 lostretto sentiero che per circa 6 chilometri collega Mamoiadaa S. Cosimo, è stato reso carreggiabile, e questo ha compor-tato la collaborazione di quasi tutto il paese, dato che, perquattro mesi, ogni domenica squadre di circa trenta operailavorarono gratis alla costruzione della strada: il costo po-trebbe essere facilmente misurato in ore-lavoro.

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È invece meno controllabile, a parte rari casi, l’ammon-tare delle offerte in denaro che si consegnano in chiesa nel-la cassetta: ma, a scanso di ogni mitizzazione di cifre favolo-se, diremo subito che, dove ci è stato possibile, come a Bitti,aver visione anche di questi conti, la cifra non ha superato

P ARTE PRIMA

. INOVENARI

,I PAESI

della proprietà in terreni o bestiame. I conti venivano pre-sentati, alla fine di ogni anno di gestione, al parroco delpaese, il quale a sua volta li sottoponeva a un visto del ve-scovo o comunque di persone della curia. Il sistema non èattualmente cambiato, se non nella misura in cui l’ammini-

V. Questioni economiche e organizzative 

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q , ple 50.000 lire.

Di fatto, una certa modestia sembra caratterizzare il bi-lancio dei novenari sardi, da cui è totalmente assente (perquanto io sappia) quella forma di sfruttamento vistoso delpellegrino, che in moltissimi santuari del continente si prati-ca sia all’esterno che all’interno della chiesa. Tranne rari casidi santuari famosi, la chiesa possiede oggi (a differenza delpassato) pochi beni in terreno, bestiame e oggetti in oro.Quasi tutto il ricavato annuale dalle offerte in denaro, cheraramente supera il milione, viene immediatamente spesoper la festa o per opere edilizie.

Ma sarà anche da tener presente, come fattore globale dinotevole incidenza economica, la grande moltiplicazione deinovenari nella nostra zona.

La modestia che caratterizza i novenari sardi è anche,per una certa misura (e solo per una certa misura) un fattorecente, da collegarsi all’inevitabile declino dell’istituto.

Siamo in grado di fare alcuni confronti tra presente epassato, dato che sono ancora accessibili alcuni vecchi libridi conti. Nella curia vescovile di Nuoro (e certamente anchein altre, da noi non consultate) e in alcune parrocchie (Bor-tigali, Ghilarza ad esempio) sono conservati alcuni Libri del-l’Amministrazione di un piccolo numero di chiese campestrio santuari: i più antichi sono dell’inizio del ’600 e i più re-centi dei primi decenni di questo secolo. Sfogliando le lorominuziosissime notazioni, ci si può rendere conto di tantecose, relative non solo all’economia delle chiese e delle rela-tive feste (entrate e uscite), ma anche delle provenienze edei modi di impiego del denaro.

Teneva i conti un amministratore laico, che poteva esse-re anche lo stesso priore della festa e che si occupava di tuttigli introiti della chiesa, provenienti dalle offerte o dai redditi

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,stratore (che è molto spesso il priore stesso) non ha da oc-cuparsi che della gestione dei fondi raccolti per la novena eper la festa: e questo corrisponde anche a una situazione difatto, dal momento che oggi le chiese campestri hanno or-mai ben poco di quelle proprietà, in terre e bestiame, di cuigodevano fino alla legge per l’abolizione dei beni ecclesia-stici, e dai cui prodotti in latte, formaggio e lana traevanoprofitti che potevano essere anche considerevoli.

 Anche sotto questo aspetto c’erano, nel passato, chiesepiù o meno ricche. Rispetto alle pingui mandrie del Nuore-se, il Rimedio di Orosei era povero come tutta la regione cir-costante, la Baronia dalla magra agricoltura. Possedeva po-chissimo terreno e coltivava, a orzo o a lino, perfino la zonadella «corte» antistante la chiesa. La povertà del santuario edi tutta la zona provata anche dalla proposta avanzata dalpriore del 1897-98 che, per trovare i fondi per rifare il tettodel santuario, suggerisce di «vendere tutti i voti di cera esi-stenti nella chiesa e l’oro», lasciando solo quello che orna laMadonna nel giorno della festa. E:

Inoltre afferma che, procedendo a tale vendita, si eviterebbequalche furto, che potrebbe avvenire, come in altri luoghi è avve-nuto, badando alle strettissime condizioni di finanza che versa nonsolo il paese, ma il circondario tutto.30

Nel Nuorese, se nel 1837 a S. Cosimo il numero delle pe-core «appartenenti all’Amministrazione sono di mandriedu31

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30.  Libro contabile della Madonna del Rimedio di Orosei, che principial’anno 1816 e che poi venne attivato dal R.do Rettore Giuseppe Pittalis (Arch. Vesc. Nuoro), agli anni 1897-98.31. Di mandriedu, cioè pregne.

numero sei, agnelli vivi otto, pecore deperite nel pascolo an-nuo, dieci»,32 nello stesso anno, l’Itria, ben pasciuta, contavaben 106 capi di bestiame, tra vacche e vitelli, enumerati daparroco e priore dopo una minuziosissima ispezione in cam-pagna col capo mandriano.33 Anche Gonare era ricchissima, in

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. INOVENARI

,I PAESI

 Libri dell’Amministrazione menzionano un pastore solo allaguida di un gregge certamente modesto.

È finita l’epoca in cui i pastori (o gli abigeatari, il che falo stesso) scioglievano il loro voto col sacrificio di un agnel-lo o di un bove, che andavano ad arricchire le mandrie del

V. Questioni economiche e organizzative 

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terreno e bestiame, che poi perse via via nel corso di tutto ilsecolo scorso: alla fine del ’700 aveva armenti sparsi nei diver-si pascoli dei paesi circostanti (Sarule, Ollolai, Orani, Ottana),per un totale di 438 capi,34 ma alla fine del secolo successivo i

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32.  Libro dell’Amministrazione della Chiesa de’ SS. Cosimo e Damiano MM., eretta nel Salto del Vill.o di Mamojada, qual libro comincia dal-l’Anno MDCCCXXVI - Essendo Rettore il D.re Emanuele Puxeddu e Am-ministratore il Nob. D.n Giovanni Tolu (Arch. Vesc. Nuoro), fol. 10.33. Cabreo Gn.le di tutte le cose che appartengono alla Madonna dell’Itria,ove vanno descritti tutti i suoi fitti, stabili, mobili e resoconti, ordinatodall’Ill.mo e Rev.mo Monsignore Arcivescovo d’Oristano Don Gio’ Maria Bua nella visita pastorale tenutasi sotto li 4 ottobre 1837 ut intus. - Co- simo Rettore  (Arch. Vesc. Nuoro); riportiamo parte del testo riferentesiall’amministrazione, come sempre precisissima, del bestiame:«Addì 9 Novembre 1835 - GavoiIn questo giorno si sono trasferiti alla Regione chiamata Sa Pedraria Pa-bendi e Salto de Istelachi di questo villaggio il Priore della Itria, MarcoMastio, il sottoscritto Parroco e Domenico Sedda ad oggetto di numera-re le vacche en il medesimo pastura appartenente a questa Chiesa; edanche per marcare li feti delle medesme; essendosi devenuto a tal’ope-razione, si sono trovate vacche di Mardiedu numero ottantotto, vitelli e vitelle ventinove, cioè femine diciasette e dodici maschi, dai quali van-no dedotti per la decima tre, e uno dei vitelli; e all’anno scorso uno eladus, che per ragione di costume paga solamente il pastore minore eperciò spetta alla Prebenda un gioghetto meno un piede, e così stessoalla Chiesa dell’Itria…Risulta dunque di Mardiedu numero ottantadei vitelli in liquido 26 e tre piedi

totale 106 3/4».

Seguono le firme, quindi altre questioni di compravendite e di decimeriscosse dal santuario.(Un ladus è la metà di un animale; un animale di mardiedu è un ani-male pregno).34. Cuentas que presenta el Noble Dn. Juan Sequi Nin en qualidad de  Administrador de los bienes de la Virg.n SS. de Gonary esp.tes a esta

santuario: al massimo, qualche chiesa (l’Annunziata di Bitti,il Carmelo di Orune) possiede ancora una dozzina di anima-li o un paio di alveari. Ma S. Francesco di Lula riesce ancoraa raccogliere ogni anno l’offerta di almeno 300 pecore, unaparte delle quali un tempo andava ad arricchire il «gregge diS. Francesco», ma che attualmente devono essere consumatetutte nei giorni della novena e della festa, senza che una neavanzi: indice del carattere di grossa kermesse che la festa vadi anno in anno sempre più assumendo.

Un’altra voce dei beni delle chiese campestri sono gli ex voto di valore, come gioielli in oro e in argento, fazzoletti oaltre tele ricamate. Ma pure questo è un patrimonio ora abba-stanza modesto, anche se più modesto che non in passato.35

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 V .a de Orany empensando del dia 16 Julio de año 1784 è son como si- guen (Arch. Vesc. Nuoro): all’anno 1799 presenta un elenco dei benidel santuario comprendente appezzamenti notevoli di terreno, un elen-co dei pastori dipendenti e il numero dei bovini a ciascuno affidati,con la specificazione delle località di pascolo.35. Diamo, come esempio, due elenchi di oggetti appartenenti alla Ma-donna del Rimedio di Orosei: il primo composto dopo il 1836 e aggior-nato al 1852; il secondo del 1927, aggiornato al 1931. Segue infine unelenco dei gioielli che attualmente possiede la Consolata di Orune.«Nota delli utensili, che furono trovati nella Cassa della Madonna Santis-sima del Rimedio del presente villaggio d’Orosei, mediante Inventariofirmato e coll’intervento del Molto Rev. Rettore, e dei rispettivi Procura-tori del pio legato, e Parrocchiani e dei Compatroni di detta Madonna, esi consegnano al priore d’ogni rispettivo anno la detta nota e tre chiavi,con dentro le sottonotate cose, contenerle chiavi degli altri Compatroni

Deputati» (Arch. Vesc. Nuoro):Primo: Numero due Calici, e due pattere: detti calici coi piedi d’ottonee colla copa d’argento: uno più usato dell’altro. Una coppa distrutta.più numero due albe usate di tela sarda, coi suoi singoli, ed ornatepiù numero tre pianette: una verde, e due bianche, coi suoi manipolipiù numero due tunichette, ovvero Dialmatiche

C’è poi il costo e il valore delle costruzioni sorte attornoalla chiesa. Per esse, il discorso è esattamente il contrario,

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

più numero uno messale pocco usatopiù numero sei tovaglie, di cui tre servibili, e le altre inservibili

dato che gli edifici in muratura tendono ad aumentare di an-no in anno.

V. Questioni economiche e organizzative 

** pietra nera simile all’ossidiana.*** sòriche muscu, gioiello formato con una conchiglia marina (murice ).

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p ù u e o se tovag e, d cu t e se v b , e e a t e se v bpiù numero due frontali, dei quali uno inservibile+ numero uno velo verde di setta verde+ numero una cortina di damasco di color violetta, disfatta.Numero uno velo verde per il faldisterio+ numero uno diadema di legno, guarnita, adop.

+ numero quattordici veli vecchi detti di Ergoli, inservibilinumero due veli d’armesino rosso ben usatinumero due veli: uno d’armesino verde, l’altro fiorato, benché vecchi contiassieme, con 21 Agnus Dei di diversa fatura, e grandezza.+ numero una pezza di Sampietrina fiorata, ben vecchia, distrutta.+ Numero otto Agnus Dei di diversa fatura, e grandezza.Numero uno Manto della Madonna, d’armerino cinerino, usato, condue rosai, due pendini, orecchini di composizione in pietre turchine.Numero uno faccioletto di gaspu* poco usato: altro facioletto ben vecchio,e fiorato all’estremità; ed altro di seta di campo rosso fiorito e nuovo.Numero uno velo di stoffa gialla per uso calice (copricalice)Numero una Corona di sabeccia** composto di sessantotto pezzi senzala croce con due medaglie d’ottone e nove nastri di seta color rosso econ uno zaffiro.Numero una collana di corallo a cinque fili e otto poste, con una gran-de branca di corallo montata in argento e due reliquieti, uno più gran-de dell’altro.Numero altra collana di corallo a tre fili con tre poste d’argento.Numero altra collana di perle ordinarie a color di miele di nove poste adue fili, mancante in due poste.Numero altra collana di corallo più grosso, a quattro fili.+ Numero altra collana composta di trentacinque pezzi, tre reliquiari,un zaffiro, due perle, pendini, cristalli tutti montati in argento eccettua-to un pendino montato in ottone ed uno che fa vista di maschera, madi composizione. Distrutto.+ Numero una cattena d’argento composta di quattro cristalli, tre dei qualicon tre sonajoli ciascuno, un sorcio muscuto*** con quattro sonajoli, un

reliquario grande di figura ovale, altro piccolo della stessa figura, due reli-quari rotondi piccoli, e due croci di diversa fattura, tutto in argento.N. due facioleti di capo, donati nel 1826 da Angelo Roma.N. altra collana di corallo ad un filo con cinque poste d’argento e fila-grana, ed una piojetta sopradorata guarnita di 5 pietre.* gaspu = stoffa leggera, mussola.

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, g o e o o ato co u a co c g a a a ( ).

N. 1 dozzina di posate, con cucchiai, forchette e coltelli.N. 1 gingillo d’argento portati in offerta da Teresa Monni.N. 1 collana di corallo con un corne di corallo portato da Angela Roma.N. 1 nusche portato da Rosalia Zora - Distrutto.N. 1 reliquario portato da Francesca Carreddu - Distrutto.

N. 1 faccia di corallo ornata in oro 1835.N. offerte portate nel 1841.N. 2 fazzoletti di setta.N. 2 fazzoletti bianchi.N. 6 candelieri.N. 6 fiori.N. 7 tovaglia per la tavola al pranzo con due trattabacchi.N. 1 coppia grande - Offerta di Sig.r Aparco - 1844.N. 1 cotta - 1844.N. 1 anello d’oro a coro, che oggi è il più grande - 1846.Manto blù, o ceruleo donato dal Raiz nel 1849.Regalo fatto da Petronilla Pau di Loculi nel 1851: un anello d’oro.Regalo fatto da una Lulesa nel 1852, cioè una cara di coralla montata in

oro ed unu giungliellu d’argento. Registro degli oggetti appartenenti alla Vergine SS. del Rimedio all’anno1927 (Arch. Vesc. Nuoro).

N. 1 Relichia.N. 213 anelli d’oro e metallo giallo.N. 24 stelle d’oro.N. 5 medaglioni.N. 5 paia bottoni d’oro.N. 1 paio bottoni d’argento.N. 11 faccie di corallo.N. 9 paia orecine d’oro.N. 6 paia orecine di corallo.

N. 1 paio pendoliches di corallo.N. 1 paio orecine e pendoliche in una scatola.N. 2 spille d’oro.N. 8 cuori d’oro.N. 1 cuore d’argento ricordo.N. 1 croce d’oro.

C’è qui da distinguere tra abitazioni proprie della chiesae abitazioni cosiddette «private»: le prime, vengono costruite

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

N. 1 croce di corallo.N. 4 collane di corallo.

col denaro della chiesa (proveniente dalle collette, dalle ren-dite, ecc.) e con manodopera almeno in parte gratuita; le se-conde col denaro di famiglie private.

V. Questioni economiche e organizzative 

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N. 7 collane di corallo attaccate con 39 globi di metallo.N. 1 paia di orecine di costume Napoletano.N. 1 gingillo d’oro con tre medagliette.N. 1 gingillo di vetro con 18 globoli di metallo.N. 10 corone di vetro di poco valore.

N. 1 campanello di metallo bianco.N. 3 gingilli di vetro con metallo bianco.N. 3 corone di madreperla con medaglie.N. 5 corone di madreperla senza medaglia.N. 4 corone di madreperla con medaglia d’argento.N. 1 corona con catena di metallo e grani di corallo, 6 globoli di metal-lo bianco con crocifisso, con medaglia e 2 gingilli.N. 1 corona con catena di metallo bianco e grani di corallo, con 10 glo-boli di metallo bianco, un crocifisso grande e 3 medaglioni.N. 1 corona con catene ed un medaglione.N. 2 stuzzicadenti con catena di metallo bianco.N. 5 medaglioni di metallo bianco.N. 6 cocos con metallo bianco.N. 1 cassetta di legno, entro la Statuetta della Madonna; composta con2 anelli, un cuore d’oro, una collana di coralli, un paio d’ochi, una ca-tena di metallo bianco, 2 collane di oro con gingilli, con dicitura al re-tro V.I.T.S.S. del Rimedio, che dovrà tener in consegna il Priore.

Offerti al 9/9/19294 anelli d’oro1 corona madreperla1 medaglietta d’oro2 orecchini d’oro

1/9/1929Ricordo d’argento n. 11 escon metallo bianco3 anelli d’oro metallo giallo

1 corona di corallo1 corona di madreperla

 Anno 1930Stelle di metallo giallo - due Anelli id. id. - quattroCroce id. id. - una

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Pendini di metallo e corallo un paio Anello di metallo giallo - dueCatenelle di metallo con medaglia - una

 Anno 1931Un fermaglio giallo a chiociola

Una colana a treccia di colore biancoUna stella d’oroUna faccia di coralloUna croce d’oro Anelli gialli - sette

 Beni del Santuario della Beata Vergine della Consolata di Orune al 1965 (Arch. Parrocch. Orune).

8 fedi d’oro con iniziali7 fedi d’oro a cerchietto8 anelli d’oro con corniola2 anelli d’oro con corallo5 anelli d’oro con pietre varie5 catenine d’oro con croce8 catenine d’oro con medaglie3 catenine d’oro incomplete6 catenine d’oro con medaglie colorate1 catenina d’oro con medaglia di corallo14 anelli d’oro con pietre varie1 cuoricino d’oro3 paia di bottoni d’oro8 paia di orecchini d’oro1 cornetto d’oro1 bracciale con medaglia3 rosari d’argento con croce d’oro2 rosari d’argento con croce d’argento

1 rosario di madreperla con croce d’oro1 fermaglio d’argento1 croce d’argento1 anello antico8 fermagli d’oro1 ciondolo d’oro.

Le «logge» e cumbessíe del primo tipo venivano – e ven-gono tuttora – affittate con le modalità di cui si è detto: inpassato, le logge erano prevalentemente affittate a mercanti,che vi esponevano le loro merci, e le cumbessíe ai vari no- venanti. Erano voci all’inizio modeste: Gonare nel 1771 non

i h i p i i è i fitti d ll ti d 36

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Era questa una soluzione riservata, nel passato, solo allefamiglie più abbienti, e che aveva per conseguenza la crea-zione di una sorta di aristocrazia interna.

Ora però, la costruzione di una casetta propria, moltomodesta e che non comporti la spesa d’acquisto del terreno,t di t d l zi ibil ( bit )

V. Questioni economiche e organizzative 

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ricavava che sei penciones , cioè sei fitti, dalle tiendas 36 e an-cora nel 1831 il Rimedio di Orosei non contava che «nr. 9 lo-gite e una combesia», ma la loro crescita è continua, finchénel 1867 le logge sono diventate 40, e anche il bilancio delsantuario comincia, da passivo, a farsi attivo.37 Oggi, scom-parsi quasi del tutto i mercanti, rimangono alla chiesa sologli introiti provenienti dalle cumbessíe , peraltro sufficienti alsuo mantenimento.

Sono in aumento anche le casette «private»: cioè costruitea spese di privati sul terreno della chiesa, che se ne conside-ra proprietaria, lasciandone, con un regolare contratto, l’usu-frutto alla famiglia dei costruttori.38

150

36.  Libro de la Administracion del Patrimonio de la Virgen SS.ma de Gonari, donde se argumenta cargo y descargo, par el Mag. Foraneo Juan Maria Carta Angioy , administrador de dicha Igl.a de Gonary (Arch. Vesc. Nuoro), all’anno 1771.37. Vedi il Libro contabile della Madonna del Rimedio di Orosei cit., aglianni relativi.38. Vedi, ad esempio, un contratto di costruzione di una casetta allaMadonna di Gonare, del 1927 (Arch. Parrocch. di Sarule). Vi si afferma che si può costruire «per sé, per i propri eredi o per estra-nei in vece loro», purché si riconosca che si tratta di «un diritto di usostabile, senza che possano avanzare pretese di proprietà». Chi costrui-sce inoltre deve impegnarsi alla manutenzione dell’edificio e deve met-tere a disposizione dei fedeli la casa durante il periodo della novena.Le forme di contratto possono variare, vedi ad esempio il facsimile diun contratto, in data 28/4/1953, per una costruzione all’Annunziata diBitti (Arch. Parrocch. di Bitti):

«Rev. Sig. Parroco. R. S. fu L. chiede a V.S. di poter costruire una casettanel terreno della B. V. dell’Annunziata per uso esclusivo di abitare du-rante la novena e feria che si suole celebrare. Dichiara di sottomettersi atutte le leggi della chiesa per riguardo alla proprietà di detta casa che senon sarà abitata da lui e dalla sua famiglia nel periodo suddetto la lasce-rà come nel corso dell’anno a disposizione dell’Amministrazione del

sta diventando una soluzione possibile (e ambita) per unmaggior numero di persone, specie per quelle che voglionofarsi una villeggiatura tradizionale all’ombra del santo. Que-sto motivo economico sta contribuendo in misura notevolealla trasformazione edilizia di molti novenari (esemplare, perquesto, S. Serafino di Ghilarza).

Una parte cospicua, infine, degli introiti della novena ècostituita dalle offerte: sia quelle in denaro raccolte nellacassetta della chiesa – che resta aperta solo nei giorni dellafesta o al massimo due volte l’anno –, sia quelle in denaro ein natura (poi per buona parte convertite in denaro), che co-mitato, priore e loro collaboratori hanno raccolto questuan-do in paese ed eventualmente anche nei paesi vicini. La ten-denza attuale è quella di far amministrare indipendentementei due tipi di reddito, uno dal parroco l’altro dal priore. Untempo invece l’amministrazione era unica: fatto questo che

si presta alle più diverse interpretazioni a seconda che lo siintenda come indice di maggiore o minore autonomia del-l’amministrazione laica.

Come si spende tutto questo denaro? È presto detto: sispende per il mantenimento del sistema così com’è. Si rac-coglie per la novena, si spende tutto per la novena.

Sfogliamo i vecchi  Libri dell’Amministrazione , esemplariper la cura precisa con cui è annotata ogni minima «entrata»e «uscita»: i soldi entrano con le elemosine, con la vendita

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Santuario». La concessione, da parte del parroco, viene data alle seguenticondizioni: «1) La proprietà è del Santuario. 2) Solo uso per l’E. per la fa-miglia esclusi collaterali e parenti durante la novena e esclusione nel casosi accompagni con quanto non sia di buona moralità. 3) Imposte e spesedi manutenzione ordinarie e straordinarie a carico dell’E. 4) A disposizio-ne dell’Amm.ne il nuovo locale qualora l’E. non vada alla novena».

dei prodotti dei greggi e degli armenti, con l’affitto delle log-ge e delle cumbessíe ; si spendono, pagando le prestazionicerimoniali dei sacerdoti, contribuendo al pranzo degli ospitiil giorno della festa, acquistando cera e vino, tanto vino (è laconsueta mercede di chi lavora gratis), e infine curando la-vori di miglioria per la chiesa e le abitazioni Si annotano

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

l’annata, regolava il rapporto tra introiti (ricavati in seguito ai vari raccolti dei prodotti) e spese.40

Questa minuzia di notazioni tenderà a ridursi nel corso

V. Questioni economiche e organizzative 

40 Un esempio per l’anno 1784 pessimo come si dice per l’agricoltura:

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 vori di miglioria per la chiesa e le abitazioni. Si annotanocon cura gli acquisti di tegole, travicelli, chiodi, cera, zuc-chero e caffè, i costi pagati per una giornata di manovalan-za, o di spaccapietre o di trasporto di acqua o calce median-te cavalli.39

I vecchi registri settecenteschi di Gonare sono, sottoquesto rispetto, esemplari, nella misura in cui annotano conestrema minuzia ogni tipo di entrata e di uscita e indicanoassieme quella ritmica scansione stagionale che, lungo tutta

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39. Il già cit.  Libro de la Administracion della chiesa campestre di S. Ma-ria de Saùcu di Bortigali (Arch. Parrocch. di Bortigali) risale al 1604. Allostesso secolo risalgono i vari Libri dell’Amministrazione di alcune chiesecampestri di Ghilarza, visti e descritti dal sac. M. Licheri, Ghilarza. Note di storia civile ed ecclesiastica, Sassari 1900: in particolare, la chiesa di S.Serafino avrebbe conti che risalgono ai primi anni del XVII secolo (ivi, p.365); S. Maria de Trempu al 1611 (ivi, pp. 382 sgg.), S. Michele almenodal 1686 (ivi, pp. 382 sgg.). Non ho consultato questo materiale, che misi dice ancora conservato presso l’Archivio Parrocchiale di Ghilarza.Il Libro de la Administracion di Gonare, cit., dà le amministrazioni dal1769 al 1777; il libro delle Cuentas cit., dello stesso santuario, dà l’am-ministrazione dal 1784 al 1813. Il  Libro contabile della Madonna del Ri-medio di Orosei cit., dà l’amministrazione dal 1816 al 1924-25; il  Librodell’Amministrazione di S. Cosimo, cit., la dà per gli anni 1826-67. IlCabreo Generale dell’Itria, è in due volumi, rispettivamente con le am-ministrazioni 1806-25, 1868-79 il primo e 1826-67 il secondo: si dannoqui i bilanci generali, senza specificazione delle singole voci. Nell’Arch.Parrocch. di Bitti sono inoltre conservati il  Libro Ragionale dell’Amm.ne della SS.ma Vergine Annunziata con l’amministrazione dal 1855 al

1912 (troppo disordinata per consentirne una lettura), altri libri di contidal 1925 al 1935 e, come si dirà, i quaderni dal 1963 al 1967.Il Libro dell’Amministrazione dell’Obreria di S. Lussorio M. dal 24 giugno1701, essendo Procuratore della Chiesa, Sindaco di Borore e Obriere di S. Lussorio Pietro Cappai Squintu, all’anno 1741 (Arch. Parr. di Borore) ini-zia appunto dal 1701, ma mi si dice esistano documenti più antichi.

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40. Un esempio per l anno 1784, pessimo – come si dice – per l agricoltura:Cuentas que presenta el Noble Don Juan Sequi Nin en qualidad de ad-ministrador de los bienes de la Virg. SS. de Gonary, esp. a esta Villa de Orany empensando del dia 16 Julio del’ano 1784 y son como siguen.

Cargo

1) El pastor Quirigo Nieddu llevó il dia 20 de Julio el produc-to de queso y lana vendido a Francisco Semidey a razon dequatro escudos y dos reales el quintal: suman libras 021 00 00

item - En la limosna de queso y lana se cobró sessenta li-bras de queso que a razon de un sueldo segun costumbrede darse a los mesmos sobreros esse precio suma 003 00 00

item - De producto de lana en la misma limosna vendida arazon de dos sueldos la libra suma 002 02 00

item - En la fiesta de 7bre se recojó en el plato de limosnadies y siette libras y dies sueldos digo 017 10 00

item - De ocho tiendas grandes a razon de escudo la una 020 00 00item - Otras seys tiendas cichas a los  Bituleros  a razon de

quatro reales 006 00 00

item - El dia primo deciembre del ano 1784 al obejero Quiri-go Nieddu vendio los carneros a treynta y tres sueldos eluno y eran dies cuya mitad a favor de la Virgen: suma 008 05 00

item - El dia 10 Marzo si hiso la limosna solita por la Villa y se recojó tres escudos 007 10 00

item - Una carreta de trigo vendida al precio currente da 1 001 00 00item - Una carreta de sebada vendida a 14 sueldos hase 000 15 00item - Tres libras y media de Gannamo a tres sueldos la libra 000 10 06item - Augustu Marracu pastor de cochino me dió dos co-

chinos por porciones de la Vergen que tengo vendido aseis libras y media el uno 013 00 00

item - Por la fiesta de la Incarnassion se recojó de limosna

quinze sueldos 000 15 00item - El dia 11 de Julio del 1785 se hiso la solita limosnade queso blanco vendido a sueldo suma 003 05 00

item - De lana en dicha limosna nueve libras assibien a sueldo 000 09 00item - El pastor Quirigo Nieddu por tres quintales de queso vendido a dies libras en el ano 1785 medio escudo doze 030 00 00

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

item - Por la fiesta principal de 7bre del dicho ano 1795 setuvo de limosna de plato siete escudos y diesseis sueldos y medio se cobra libras 018 06 00

item - Por haver venido poco mercantes por ser l’anadapessima non se ha tenido de las tiendas mas que ochoescudos y un quartillo entre grandes y cichas, digo libras 020 12 00

Por la limosna de 10 de Marzo se gastò tres asumbres de vi-no por renfresco a los que assistieron a razon de seissueldos el asumbre 000 18 00

Por la fiesta de la incarnassion a los R.dos Curas el solitoduqueton y medio escudo por la missa 004 01 00

Por tres carretas de trigo echas en pan por las Cofrarias a

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item - Pedru Porcu questuario me dió sinco escudos y me-dio segun ajuste echo por el ano 1784 013 15 00

item - Dicho Porcu por el ano 1785 mendió otros cincoescudos y queda deviendo medio escudo, son 012 10 00

item - De la lana llevó Quirigo Nieddu tengo vendido unescudo y quartillo y queda lo remanente en mi poder porno tener esito 003 02 06

item - De los hijos de Salvador Cosseddu Crudu he ressibi-do sinco escudos a buena cuenta de los que deven porlos cochinos que desperdició proprios de la Virgen 012 10 00

item - Cobré las ocho libras que paga el Sig. Marques, digo 008 00 00_________

Totale del Cargo 224 07 07

 Descargo del Cargo precedente 1 por la fiesta de medio Agosto por missa y Visperas a los

Reverendos Curas un escudo y seis sueldos 002 16 00 A los mesmos medio escudo segun costumbre 001 05 00

Por acomodar las tiendas, combessias, e Iglesia he gastadolo siguente, por un peon de Sarule siette sueldos y medio y sinco sueldos por el cavallo 000 12 06

Quatorze reales por tejas a dicha Iglesia 003 10 00Tres reales por dos peones 000 13 00Otros siete sueldos y medio por otro peon 000 07 05Tres escudos por cera a la fiesta principal de 7bre 007 10 00Quatro libras y treis reales por aconche de las puertas 004 15 00Sinco sueldos a los Monaguellos 000 05 00Dos escudos por el premio de la corsa de los caballos 005 00 00Una libra a porcion del terzer premio a medias con el obrer

de Saruli 001 00 00

Un escudo y seis sueldos a los R.dos Curas con el solitomedio escudo de la Missa Cantada 004 01 00Un quartillo per el sustendo de los obreros que assistieron

los tres dias por la limosna del plato 000 12 06Dies y ocho sueldos al herrero Salvator Carbony por faena

de las puertas 000 18 00

g p prazon de ocho reales la carreta, suma 006 00 00

Ocho asumbres de vino dos por cada a la Cofraria a seissueldos la una 002 08 00

Otros dos asombres por los Curas a las Visperas y missadoze sueldos 000 12 00

 A los Monaguillos sinco sueldos 000 05 00Dos selemines de sebada por el cavallo que subió el pan y  vino a la Iglesia y mas utenilia 000 07 00

Medio real por paga de dicho cavallo 000 02 00He gastado onze sueldos a dos assumbres de vino que assi-

stieron a la limosna segun costumbre 000 11 00Tengo dado a buena cuenta de lo que trabajerá el carpen-

tero Maestre Angel Lay veynte y una libra de queso asueldo 001 01 00

Por la fiesta de medio Agosto a los R.dos Curas el solito du-queton y el medio escudo 004 01 00

Por aconche de las tiendas e Iglesia lo siguente: una carreta

de sebada por el cavallo que levó la cal y agua, sinco jor-nales de cavallo una libra y sinco 001 05 00Dos jornales a Salvador Dala a siette y medio 000 15 00Otros tres jornales al mesmo a dicho precio 001 02 00 Al Albanil Antonio Lay por sinco jornales a 15 sueldos 003 15 00En la fiesta principal tengo gastado la siguente. Dos escu-

dos y medio por el segundo premio de los cavallos y por-cion del tercero 006 05 00

Sinco sueldos por clavos al nuevo portal que jusqué com-beniente a fer con intervento del Obrero de Saruli 000 05 00

Ocho reales y medio por el hyerro necessario a dicho portalsegun quedemos entendido con dicho Obriero de Saruli 002 02 00

Doze sueldos por substento de los sobreros que llevaron elplato 000 12 00

Ocho sueldos de vino por las missas por tocar a Orany 000 08 00Medio escudo de clavos por dicho portal 001 05 00

_________

Discargo suma totale 074 09 06

del secolo successivo:41 e di questo tipo più breve sono anchegli altri conti dei novenari da noi esaminati. Ne riportiamo

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

41. Ecco come si presentano i conti di Gonare già nel 1797, ormai ste-reotipati nelle voci principali (dal cit. libro delle Cuentas ):

qualcuno in nota, scegliendo per tutti le medesime annate,nella speranza che qualche economista più esperto di noi

V. Questioni economiche e organizzative 

Monasillos cinco sueldos 00 05 00Vino por visperos y missa dos asumbres a dies sueldos 01 00 00

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156

p p p ( )

CargoEl dia de la encarnassion l imosna una libra y quinse 01 15 00En la llega por la villa en dinero cinco libras 05 00 00Trigo carretta y media dado a nuebe reales 03 07 06

Sebada una carreta dada a viente sueldos 01 00 00Canamo dos libras vendido a quattro sueldos 00 08 06Sera quatro libras y media por uso de la IglesiaEl pastor Quirigo Nieddu llevó ciento viente quattro libras

de queso vendido a dos sueldos, vale 12 08 00Mas queso de fresa quinze libras dado a sueldo 00 15 00Roqueson viente libras vendido a sueldo 01 00 00Lana de mardiedu 48 libras dada a dos sueldos 04 16 00Mas quinze libras a dies callareses y yna libra y una 01 05 00Lana de corbero dies libras vendida a nuebe callareses 00 15 00El questuario Pedro Porcu llevó cinco escudos 12 10 00En la llega del queso quarenta libras dado a sueldo 02 00 00

Lana cinco libras dada a sueldo 00 05 00En la limosna del grano trigo carreta y media 03 07 00Sebada una carreta dada a veinte 01 00 00En la fiesta de 7bre en la offerta onze escudos 27 10 00De las tiendas cinco escudos y medio 13 15 00 Anquiler de cajas un escudo 02 10 00

_________

95 07 00

 DescargoPor la encarnacio a los R.dos Curas peaja y missa 04 01 00Monasillos cinco sueldos 00 05 00Sustendo de los obreros quatro reales 01 00 00Trigo por el pan solito tres carretas a nuebe reales 06 15 00 Vino ocho asumbre comprado a ocho sueldos 03 04 00Refresco por la llega del queso viente sueldos 01 00 00Por la llega del grano medio escudo 01 05 00Por la assuntas R.dos Curas peaja y Missa 04 01 00

157

 Vino por visperos y missa dos asumbres a dies sueldos 01 00 00Sustento por los obreros tres reales 00 15 00Sal por el pastor una carreta a veinte 01 00 00Por la fiesta principal curas 04 01 00Monacillos cinco scudos 00 05 00

 Vino por las missas y cantores dos assumbres a 12 01 00 00Sustento por los obreros por los tres dias de la feria 01 10 00Por los premios dos escudos y medio 06 05 00Para redificar las tiendas se caieron cinco jornales de alba-

nil a tres reales el jornal 03 15 00Peones seis a dies sueldos el dia respetive 03 00 00Por quattrocientos tejos a siete reales el centenar 07 00 00Quattro currentes a dos reales el uno 00 20 00Escandola dos reales 00 10 00Dos dies un cavallo por llevar agua 00 15 00

_________

54 16 00

Diamo, per confronto, i conti del 1815:

CaricoSalvatore Pintore li 11 decembre 1814 mi consegnò L. 8 00 0Nella questua di Marzo per l’Annunziazione grano una carretta

imbuti quattro 5 5 0Orzo carretta una 1 10 0Danaro 2 9 2Canapo 1 00 0Offerta nella med.ma festa 3 10 0Questua del formaggio 2 10 0Formaggio delle pecore 11 00 0

Lana 4 10 0Offerta nella festa principale gli 8 7bre 35 11 0Botteghe 26 00 0Questua di grano e orzo 14 16 0

_________

Totale del carico del 1815 106 1 2

 Al curato ricevuta 4 07 6Per una serratura alla porta 1 17 0

V. Questioni economiche e organizzative 

possa trarne delle indicazioni più generali, relative all’inciden-za economica, nel passato, del bilancio di un novenario.42

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

 Discarico dell’addietro Carico del 1815 Nella questua di marzo 1 05 0M d ll’A i i 4 07 6

Quali i bilanci attuali? C’è da premettere che sono menofacilmente ricostruibili che non in passato, perché ora si tende

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Per Q.ti 28 (ap. 1 6) 2 02 0_________

19 09 6Consegnato al nuovo Depositario Martino Spano 14 19 0

_________

Totale scudi 34 08 6Più allo stesso consegnato per cera venduta 7 6

1867 - Carico Avuto dalle loggie n. 40 L. 80 00Loggie date ai Negozianti 4 20 00Cera data un anno pagato L. 21 12 43 00Offerte trovate nella cassa 115 00Ricevute dal precedente Depositario 123 33

_________

Totale L. 381 33

 Discarico

Pagate per tre Messe parate ed una cantata traClero e Sacristi L. 10 00Pagato per la novena oltre la questua 10 00Pagato al muratore Giuseppe Pinna 65 00Speso per due travi al tetto 10 00Speso per travicelli 12 15 00Speso per le porte al falegname 6 00Speso per travicelli delle porte 9 00Speso per ferrame 5 00Speso per legnami ad architravi 2 00Speso in calce 13 75Speso in tegoli n. 700 24 00

Speso per un leggìo 3 50Speso per canne 1 75Speso per i chiodi a poner giunco 1 50Speso per stagnare le posate ed ampollina 2 00

_________

Totale L. 178 50

159158

Messa dell’Annunciazione 4 07 6Grano per il pane 14 00 0 Vino per i Confratelli, Sacerdoti e cantori 5 00 0Per gli assistenti cena e pranzo 2 00 0Per la questa del formaggio 1 10 0Sale per salare il formaggio 1 07 6Festa della Assunta 4 07 6Rinfresco 1 10 0Per gli assistenti 2 10 0Messa per la Natività 4 07 6 Vino per i sacerdoti, cantori messe nel novenario 1 15 0Per gli assistenti nel giorno della festa 8 10 0Cambio di cera 3 00 0Manutenzione 23 00 0Per la questa di grano ed orzo 1 12 6 Affitto delle tanche per le pecore 4 07 6

_________

Discarico totale del 1815 L. 84 10 0Resta in favore del sem.o L. 21 11 2

42. Dal Libro contabile della Madonna del Rimedio di Orosei cit., abbia-mo scelto come esempio le annate 1845, 1867 e 1911:

1845 - CaricoGiovanni Antonio Fenu scudi 11 18 6Ricevuto da varie offerte 05 10 0Per 17 Logge afitto 17 00 0

_________

Totale scudi 34 08 6

 DiscaricoSpese per 5 tavole scudi 3 02 6 Al mastro Seb. Casteddu 3 07 0Incensi chiodi e tavette 0 13 6Per fattura di cera 4 00 0

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

illeggibili. In qualche caso ci è stato possibile però ricostruirei conti con una certa approssimazione. Come considerazione

Sulisi Domenico giornate 15 da muratore 37 50Pira Giorgio giornate 2 per tallare pietra 3 00Burrai Francesco giornate 3 trasportando pietra 8 50

spesso a trascurare le varie formalità amministrative: il priore,o chi per esso, tiene al massimo dei quadernetti, molto spesso

1911 - AttivoRicevuto nel Libretto Postale L. 705 00Nella Cera ricevuto 182 25

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160 161

Burrai Francesco giornate 3 trasportando pietra 8 50Piredda Francesco giornate 7 manopera 6 30Sulisi Domenico giornate 7 muratore 17 50Pira Giorgio giornate 8 da muratore 16 00Ortu Bertino giornate 12 manopera 15 00

Piredda Francesco giornate 11 manopera 9 90Da Soro Giovanni Maria 40 quintali di calcina 64 00Ladu Salvatore giornate 5 manopera 4 50Sulisi Domenico 20 giornate meza muratore 51 25

_________

Totale L. 439 41

Ed ecco i conti delle annate 1843 e 1866 di S. Cosimo, dal  Libro del-l’Amministrazione cit.:

1843 - CaricoDanaro esistente in cassa lire sarde antiche 168 12 3Fitto delle botteghe ed offerte 128 00 0

 Versate dal questuante 10 00 0Frutto di n. 60 pecore e dieci sacaj 40 00 0Da n. 8 agnelli venduti a lire una ciascuno 8 00 0Debito del Priore nell’anno precedente 11 07 0

_________

Totale del carico 365 19 3

 DiscaricoEstratto dalla Cassa per la fabbrica di Loreto 124 19 3Spese fisse per la festa e novenario 25 00 0 Al Curato e Sacristi per la medesima 8 00 0 Al muratore Ignazio Crisponi per n. 12 giornate 12 00 0 Al muratore Giò Sengitta id. id. 12 00 0 A Pietro Soro per n. 7 giornate 7 00 0Per n. 30 giornate ai manovali 18 00 0Per n. 2/m di tegole a Lire 1 12 6 il cento 32 10 0Per calce 5 00 0 Affitti di pascolo per le pecore 10 00 0

Nella Cera ricevuto 182 25Dalle loggie ricevuto 138 00Da un’altra loggia 2 50Ricevuto da Cucca Francesco Ignazio la metà di uno montoni 8 50Offerta da Frorisi Grazia di Orosei 1 00

Offerta da Busu Giovanni di Orosei 2 00Offerta da unu Durgalesu 50Offerta da Sulis Domenico muratore 2 50Offerta da Savva Sulla Francesco di Orosei 5 00Offerta da Gusai Antonio di Orosei 5 00Offerta da Falque Marianzela di Orosei 1 50Offerta da Muscatu Caterina di Orgosolo 2 20Offerta da Pirasa Francesco di Posada 1 00Offerta da Roma Pietro di Orosei 1 00Offerta da Roiche Effisio di Orosei 1 75Ricevuto per una loggie mercantile da Piomei 15 00Un altro loggie mercantile da Meloni Umberto 10 00

 Venduti da Piluzzi Giovanni 10 travicelli di rimanenza 7 00Offerta Pilatus Carmere 5 00Da Bangoni Giovanni per il cortile 20 00Trovato nella cassetta l’11 ottobre ’911 51 00

_________

Totale L. 1167 70

 PassivoImposta di fabbricati nel 1910 e 1911 rate 5° 6° 1910, 1° 2°

3° 4° 1911 L. 24 56Imposta del terreno intestato Burrai Salvatore 5 00 Al Parroco Piras per 6 candelieri e gingello alla Chiesa 100 00 A Parris Michele per la pietra della sua proprietà 8 00Piredda Francesco giornate 5 per mesa amanopera 5 00Ortu Bertino giornate 12 amanopera 15 00Pira Giorgio giornate da muratore 9 men una quarta 17 50Piredda Francesco giornate 6 manopera 5 40Pira Giorgio giornate 5 e meza per tallare pietra 8 25

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

sono, nel complesso, di poco superiori a quanto normalmen-te viene raccolto in un qualsiasi paese sardo per la propria fe-sta patronale o rurale, per la quale si va in genere da un mini-mo di 300.000 lire a un massimo di un milione. È questo peròun computo relativo, al quale vanno aggiunte non solo le im-portanti prestazioni di lavoro gratuite, ma anche le spese che

di ordine generale, si può premettere che oggi gli introiti diuna novena non superano che in casi eccezionali il milione e

Contribuzione Tridentina 12 0Contadoria Generale 1 10 0Per Rescritto Pontificio per l’esposizione del Santissimo nel

Novenario 9 10 0

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162 163

ogni famiglia di novenante deve sostenere oltre all’affitto dellapropria cumbessía.

Nel 1966 Gonare, S. Cosimo, Orosei avrebbero racimola-to più o meno un milione, parte in denaro parte in natura;43

la Annunziata di Bitti circa un milione e mezzo (per questadisponiamo di conti precisi dal 1963 al 1967).44

43. Per Gonare e il Rimedio stiamo a informazioni orali; per S. Cosimoalle indicazioni del priore. Per questo novenario, sarebbe stata raccolta:da Mamoiada una somma imprecisata (sulle 300.000 lire), da Oliena35.000 lire e 100 litri d’olio, da Orune 40.000 lire, da Olzai 71.000 lire,da Lodine 25.000 lire e da Fonni 50.000 lire.

44. Ecco i rendiconti per gli anni 1963-67 dell’Annunziata di Bitti (Arch.Parrocch. di Bitti).

1962-63 - AttivoOfferta nella festa del 25 marzo L. 20 000Dal cassetto della festa di maggio 144 000Offerte novenanti e pellegrini 110 000Lotteria 21 000 Vendita cartoline e gozos  27 000Offerte varie 1 500Offerta del Pievano 10 000

_________

Totale L. 333 500

 PassivoSpese per la festa di marzo 8 000Restauro dei tetti della Chiesa ecc. 150 000

Costruzione nuove casette 495 000Tasse 4 000Offerte al Clero 60 000

_________

Totale L. 717 000Differenza passiva L. 383 500

Novenario 9 10 0Diritto di passaggio per le pecore 3 10 0 A Francesco Crisponi per giornate 10 10 00 0 Al muratore Mugitti per altre giornate sedici 16 00 0Danaro esistente in cassa 42 15 0Capisaldi 9 06 0_________

Totale scudi 363 12 3

1866 - CaricoDalle botteghe e offerte Lire Nuove 311 00Dai libretti venduti 6 00Dal questuante limosina 63 00

_________

Totale carico L. N. 380 00

 Discarico A Giovanni Odda e figli per rifare il muro della tanca L. N. 112 00

Tegola per la Chiesa n. 300 a scudo per 100 150 00 A Mastro Frate giornate dodici 36 00Manovale con giogo e carro 6 00Manovali dieci 10 00Prediale 1866 51 33Ricchezza mobile 1866 3 61Cera per uso della Chiesa 9 00Olio d’olivo 9 00Spazze 1 00 Al curato per la festa 19 00 Ai sacristi 1 25 Assegno all’amministratore 50 00

Dritto di Contadoria 2 88Credito come dal conto precedente 150 94Capi solidi sull’esatto 19 00

_________

Totale discarico 1866 L. N. 632 01 Avere dell’Amministratore al 1866 L. N. 252 01

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

il contributo che si ricava nei giorni della festa grande, quan-do tornano anche gli emigrati.

 Altro fatto nuovo: si sono aggiunte offerte (circa mezzomilione, un terzo delle intere entrate) provenienti da enti

Offerte nella festa di Maggio 290 000

Qui, la novena si è rilanciata con spese di costruzione,che all’inizio l’hanno lasciata in passivo ma che poi le hannoconsentito di raddoppiare le proprie entrate. Però non è tan-to la questua in paese la fonte principale di reddito, quanto

N B Il Clero ha rinunziato al suo onorario e con esso ha comprato

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164 165

Offerte nella festa di Maggio 290 000 Vendita cartoline e gosos 74 100Offerta del Pievano e del Clero 15 000

_________

Totale L. 850 370

 PassivoRimanenza passiva precedente 460 335Festa della Pietà 5 250Riparazione nella Pietà 10 100Cera 5 000Festa 25 Marzo 4 000Riparazioni al Santuario 79 570Imbiancatura Chiesa e locali 30 000Tassa terreni 4 000Spese varie 36 500Energia elettrica e materiale 28 610

_________

Totale L. 663 325Residuo attivo L. 197 055

1966-67 - AttivoResiduo attivo precedente 197 055Offerta Maria Bandinu di Lula 4 000Fitto pascolo 1966 96 000Questua nel paese 1966 235 000Offerte varie 1966 15 000Dalla cassetta 18 050Fitto pascolo 1967 63 000Fitto casette 17 000

Offerte varie e questua 1967 212 000Dall’Assessorato 1966 499 000Dall’ESIT 112 945Offerta Sanna Marcello di Lodè 150 000

_________

Totale 1 619 050

N.B. - Il Clero ha rinunziato al suo onorario e con esso ha compratooggetti di prima necessità per la novena, ecc. (nel testo).

1963-64 - AttivoQuestua in paese 229 325

Offerte a Pasquetta 30 230Offerta di Vargiu Antonio 4 000Questua nel Santuario 110 000Dal cassetto 125 000Da una lotteria 41 800Offerte varie 35 400Dalla vendita di cartoline e gosos  26 000Dalla vendita di cera 18 000Offerta a mezzo del Pievano 6 150

_________

Totale attivo L. 625 705

 Passivo

Festa della B.V. della Pietà 5 250Riparazione Chiesa della Pietà 6 700Riparazione sul Santuario e Spese 518 790Nuove Cumbessias 12 800Materiale elettrico 5 800Trasporti 14 800Energia elettrica 4 000Tasse terreni _________

Totale L. 702 540Differenza passiva L. 460 335

1964-65 - AttivoQuestua in paese 247 000Offerta B.V. della Pietà 1 060Offerte varie 94 360Da Goddi Bachisio per vacche 92 000Offerte nella festa di Marzo 36 850

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

durante l’annata e raccolte la vigilia della festa – il che fa unaltro milione circa.

Entrare nei misteriosi meandri del bilancio dei priori diS. Francesco è cosa che farebbe impazzire anche il piùesperto contabile: diamo in nota, per sua disperazione,quella specie di consuntivo che il priore fa a fine d’anno, e

i di i di l i di i i i li i ’65

pubblici (Regione, Ente Turismo). È questa una tendenza adappoggiarsi a organismi regionali che certamente si incre-menterà negli anni futuri.

 Anche S. Francesco di Lula riceve sovvenzioni da entipubblici: prefetto e Regione hanno sborsato in tutto, alme-no nel ’65-66, un milione. Il bilancio di questa festa è sen-’ l il iù id l di l l d ll

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166 167

per cui disponiamo di alcune indicazioni circa gli anni ’65-66 e ’66-67. Sono, nel complesso, bilanci parziali, che tra-scurano di menzionare certe entrate, e che non tengonoconto del guadagno del priore, che si dice possa essere

considerevole. Ma soprattutto si vedrà come questi conti vengano tenuti con estrema approssimazione, computandoparte in denaro, parte secondo offerte o acquisti in natura,parte globalmente secondo lavori fatti o da fare. Insomma:anche il più abile commerciante di città non si trova in gra-do di utilizzare la moneta come indice unitario di valore,quando debba riferire la sua contabilità a un oggetto tantoinestricabilmente connesso a un tipo di economia precapi-talistica.46

46. S. Francesco di Lula (1965-66): Entrate dichiarate da Dorgali L. 115 000da Oniferi 20 000da Oliena 53 000da Loculi 12 000da Irgoli 22 000da Onifai 10 000da Galtellì 24 000da Orotelli 45 000da Orosei 50 000da Orune 97 000da Orgosolo 111 000da Mamoiada 70 000da Gavoi 73 000da Ollolai 32 000

_________

Totale 734 000

z’altro il più considerevole di tutte le novene, almeno dellazona, e notevole il tentativo di «aggiornamento». Ormai, le of-ferte sono di due tipi, moderno e tradizionale, e le primetendono a liquidare le seconde. L’alone della fama di S. Fran-

cesco è molto vasto, sicuramente più vasto di quello di altrefeste: nel ’65-66 si questuò in quattordici paesi e in tredicinell’anno seguente,45 ma il ricavato totale di tanti giorni difatica e di spese superò ogni volta di poco le 700.000 lire.Molto più considerevoli, invece, le altre offerte di privati edi enti pubblici. Il bilancio del ’65-66 computerebbe, nelcomplesso, entrate che superano i quattro milioni e mezzo:ma sicuramente non vi furono considerate tutte le voci, adesempio quelle 300 pecore promesse dai diversi allevatori

 PassivoCostruzione di tre «Cumbessias» 800 000Rifacimento di tre tetti 200 000Rifacimento di uno stanzino 50 000Riparazione di tetti e gabinetto 73 000Trasporto materiali 56 000Festa della Pietà (’66 e ’67) 10 500Energia elettrica 14 000Nuovo portone a tre aperture della sagrestia 142 000

_________

Totale L. 1 345 500Residuo att ivo L. 273 550

(La chiesetta della Pietà dove si celebra una festa annuale è nei pressidel santuario; il «fitto pascolo» si riferisce ad alcuni terreni di proprietàdella chiesa).45. Dorgali, Oniferi, Oliena, Loculi, Irgoli, Onifai, Galtellì, Orosei, Or-gosolo, Gavoi in entrambi gli anni, inoltre rispettivamente Mamoiada,Orotelli e Ollolai; Bitti e Lollove.

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pubblici. Il grande spreco della festa non è più dato in funzio-ne di una reintegrazione entro una società agropastorale, madiventa segno preciso della volontà, da parte dei contribuentiborghesi, di manifestare il raggiungimento di saldi privilegi diceto e la loro relativa conservazione. Sono i nuovi  prinzipales quelli che offrono la carne gratis ai contadini e ai pastori.

Queste contraddittorietà del grosso bilancio di S. Francescodi Lula sono interessanti anche nella misura in cui ci consento-no di vedere un entroterra – il vecchio entroterra agropastorale – concorrere ormai in modo non più determinante rispetto allacittà. E, entro la città stessa, al di sopra del contributo del pri- vato, emerge ormai dominante lo stesso anonimato degli enti

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168 169

Galtellì Grano: 1 sacco spese L. 6 000Soldi: L. 24 000

 Irgoli - Loculi - Onifai Grano: 13 quarti spese L. 10 000Formaggio: 1 formaSoldi: L. 42 000

Orosei Soldi: L. 65 000 spese L. 15 000Grano: 12 quarti

 Dorgali Soldi: L. 97 000 spese L. 15 000Grano: 10 quartiFormaggio: 1 forma

Oliena

Soldi: L. 50 000 spese L. 15 000Olio: 26 litriMandorle: 5 sacchi Vino: 400 litri

OrgosoloSoldi: L. 105 000 spese L. 10 000Grano: 2 quartiFormaggio: 10 formeMandorle: 2 quarti Vino: 600 litriPatate: 3 sacchi

Orune Soldi: L. 100 000 spese L. 15 000Grano: 2 quartiFormaggio: 7 forme

 Bitti Soldi: L. 100 000Formaggio: 6 forme

Offerte al Priorato durante la novena 1 500 000Offerte alla festa dell’Albero 105 000Offerte alla festa di Ottobre 400 000

Ricavo di una lotteria fatta a Nuoro 400 000Dall’Ospedale di Nuoro 500 000Dalla Prefettura di Nuoro 500 000Dalla Regione 500 000

_________

Totale 4 639 000

(Il conto, approssimativo, non tien conto delle offerte in natura – adesempio gli agnelli: circa 300 – e di altre offerte in denaro dalla città diNuoro, di cui avevo avuto notizia orale).

S. Francesco di Lula (1965-66)Spese dichiarate Cibi e bevande per la festa dell’Albero 814 500

Spese varie e di trasporto per la festa dell’Albero 48 500Spese per il pranzo il giorno delle Consegne [metà: l’altra

metà è a carico del priore precedente] 55 220Spese per le questue 173 800Pane e sigarette per coloro che hanno raccolto il bestiame 120 000Cibi e bevande e spese varie per la festa di ottobre 468 000Cibi e bevande acquistati in anticipo per la novena 736 500Benzina per viaggi fatti per chiedere il bestiame, per i tra-

sporti e i viaggi nel periodo della festa e in quello dellecostruzioni delle casette a S. Francesco 1 016 000

Per il vino 250 000Per le costruzioni: blocchetti di cemento 75 000; pane e

formaggio per gli operai 40 000; cavo luce e spese varie63 000; un viaggio 15 000; totale 193 000

 Anno 1967 - Priore: signor Marongiu (macellaio)Spese dell’entrata al Priorato L. 700 000Incassati a «S’Arbore» 104 000

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI V. Questioni economiche e organizzative 

Il sistema della questua stendeva su tutta l’isola – o sualmeno buona parte di essa – una fitta rete di relazioni inter-locali: quello stesso tipo di relazioni, il cui solenne ricono-scimento si sarebbe poi realizzato nella festa.

Il compito di elemosinare spettava un tempo all’eremita-no, o questuante , che assolveva anche alle mansioni di custo-de della chiesa quando non fosse in giro per la questua Dai

La questuaEsamineremo ora più dappresso il sistema della questua,

interessante nella misura in cui rivela notevoli implicazionidi carattere sociologico.

Oniferi S ldi L 14 000

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de della chiesa, quando non fosse in giro per la questua. Daifrutti di quest’ultima ricavava anche il suo stipendio. Le noti-zie più antiche che abbiamo risalgono al 1770 per Gonare.47

Lo stesso priore poteva occuparsi della questua in mancanza

dell’eremitano: e anche oggi che questa figura è scomparsa,sono il priore o membri del comitato o incaricati particolariche si occupano della raccolta delle offerte. In questi casi, leloro prestazioni, ritenute gratuite, sono di fatto compensatedalla offerta di vino o di un pranzo particolarmente abbon-dante, ad ogni loro ritorno: ancora così succede, per esem-pio, per S. Francesco, dove è il priore che si occupa di ospi-tare a casa propria i questuanti.

La colletta si esercita, dalla fine dell’800 in qua, con unparticolare permesso della questura.48

Si svolgeva così: veniva (e tuttora, per alcune chiese, viene:

ad esempio S. Francesco e S. Cosimo) portata come insegnauna cassetta, apribile, contenente una piccola statua del Santo,che veniva esibita; ci si recava, bussando di porta in porta, nonsolo per tutto il paese, ma anche in un certo numero di paesi viciniori, da cui si raccoglievano offerte in natura o in denaro.

47. Nel Libro de la Administracion di Gonare, cit., l’amministratore notaall’anno 1770:  No me cargo de la limosna de campana por no haber hermitano; ma un questuario ci sarà almeno a partire dal 1784.Da un contratto – senza data, ma di poco anteriore al 1914 – stipulatodal santuario di Gonare (Arch. Parrocch. di Sarule) ricaviamo che l’ere-

mitano ha l’obbligo di residenza presso il santuario e di curarne la ma-nutenzione. Ha inoltre il compito di esercitare la questua – ma non du-rante la novena – e come compenso riceverà metà del suo ricavato,mentre l’altra metà va alla chiesa.48. A questa legge fa riferimento la p. 33 del  Libro Ragionale dell’An-nunziata di Bitti, cit., in data 4 giugno 1890.

Soldi: L. 14 000 Lollove 

Soldi: L. 14 000Olio: 10 litri

Gavoi Soldi: L. 1000Spese del Priore 

2 stanze - 1 muro in cemento L. 3 000 000

MaggioSpese Entrate  Biscotti: 80 kg Date: pecore: 97 Amaretti: 140 kg Date: carne: 50 kgCaffè: 40 kgZucchero: 50 kg Regalata dal Padre del Priore:Carne: offerta 1 vitella (valore L. 140 000)Liquori: 30 bottiglie

 Vino: 1500 litriFormaggio: 115 kgPane carasau: 5 quintaliSalame: 23 kgFllindeu: 2 quintali

La spesa di ottobre è incompleta. Per 2 giorni: Amaretti: 14 kgBiscotti: 10 kgCaffè: 5 kgPane: 2 quintaliSalame: 5 kg Vino: 70 litri

Filindeu per il mese di ottobre: 1 quintale Date in ottobre: 30 capre

1 vacca

Offerte al Priore (in ottobre): L. 525 000Offerte al Priore durante la Novena: L. 1 500 000

 Anche questa «uscita» (così viene denominata) seguivaun ben preciso ritmo stagionale: si usciva al tempo della rac-colta delle olive, a quello del grano e infine a quello dellalana e del formaggio: i vecchi  Libri dell’Amministrazione diGonare esemplificano con grande precisione i vari tipi diquestua e la relativa scansione durante l’anno. È questa unacalendarizzazione dettata in via immediata dall’ovvia ragio-

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Il percorso tradizionale dei questuanti costituiva – e conti-nua in parte a costituire – una rete di traffici e solidarietà moltofitta e complessa. Infatti quasi ogni paese fa la stessa cosa, al-meno per una delle proprie feste. Così può capitare che in unsolo paese transitino, in un anno, almeno sei o sette questue.

Ogni festa – e quindi ogni rispettiva comunità – ha unapropria area di questua fissata dalla tradizione e modificabile

V. Questioni economiche e organizzative 

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calendarizzazione dettata, in via immediata, dall ovvia ragio-ne economica per cui, in un regime di sussistenza, non si hadisponibilità a dare se non nei momenti grassi del raccolto.L’arco dell’annata viene così ritmato da vari momenti: quelli

dei raccolti, in cui si offre una parte del ricavato come rin-graziamento al santo e come preparazione alla festa, e quel-lo della festa, in cui, sospesi i lavori della agricoltura o dellapastorizia, si spende (sempre in onore del santo) quanto erastato raccolto a rate durante l’anno.

Oggi l’aspetto stagionale della questua è quasi totalmen-te scomparso: questue del vecchio tipo se ne fanno ancoraper S. Francesco di Lula, ma non vengono considerate piùredditizie. Ed è anche questo un segno della crisi profondache ha coinvolto tutta l’economia agricolo-pastorale isolana.Non è scomparsa però totalmente la pratica di questuare.

Il numero di località coperte dalla questua è in strettacorrelazione all’importanza delle singole feste e corrisponde,più o meno, all’ambito di confluenza dei pellegrini.

Non è possibile però una ricostruzione diacronica diquesto importante aspetto, dal momento che i vecchi  Libri dell’Amministrazione non indicano in genere la provenienzalocale delle offerte.49

172

49. Uniche eccezioni i  Libri dell’Amministrazione di S. Cosimo, chemenzionano ogni anno la questua consuetudinaria del vicino paese diOllolai e il  Libro contabile della Madonna del Rimedio di Orosei  cit.,che all’anno 1891 così specifica il proprio Introito:Fondo Cassa al 27 Settembre 1891 445 10Offerta in contanti o cereali del villaggio di Bitti 89 30Offerta in contanti Orosei 40 90Offerta in contanti e cereali dei villaggi Onifai, Ergoli e Loculi 123 90

propria area di questua, fissata dalla tradizione e modificabilesolo entro limiti ristretti. La sua estensione varia in rapporto algrado di notorietà, e quindi di rilevanza intertribale, della festa.

Ciascuna area di questua deve però essere, a sua volta,

considerata parte di una più complessa macchina sociale, incontinuo movimento. Anzitutto, non è rispettata una rigidareciprocità, nel senso che un paese può «uscire» in un altro,ma questo secondo può non rispondere con un’uscita sim-metrica. Inoltre, per quanto le aree di questua di due paesidiversi possano combaciare, non combaceranno mai per in-tero. Le diverse maglie della rete vengono così non solo a in-tersecarsi, ma anche a rinviare di continuo dall’una all’altra.50

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Offerta in contanti e cereali Orosei 81 15Offerta in contanti e cereali Dorgali 82 30Offerta in contanti da divoti diversi 6 50Offerta in contanti e cereali Siniscola 32 95Offerta in contanti trovata nella cassetta della Chiesa 1a No- vena 255 00

Offerta in contanti nella cassetta 2a Novena 17 50Offerta in contanti per il pranzo come costume 160 00Pagamento dai coniugi Zori per la cartella 232 50Cera venduta 334 25Fitto logge ai devoti 130 00Dalla Cassa Risparmio Postale per fondi depositati sulla Li-

bretta de Murtas, spesi in calce e manovalia 100 00Questua fatta in Orgosolo ed Oliana 48 80

_________2 480 25

50. Alcuni esempi. Tra l’estate del ’65 e quella del ’66 Mamoiada ha of-ferto almeno a nove questue: una da Orune (per la Madonna del Car-melo), due da Oliena (rispettivamente per la Madonna di Monserrato e

Oggi, tra i vari indici della perdita, nel tempo, della fun-zione di legame interlocale assolta dai novenari, è anche daannoverare la crisi delle questue, che ha comportato, comeprima conseguenza, una notevole riduzione dell’area di que-stua (tab. 1 a-b).51

Le ragioni che se ne portano sono di natura prevalente-mente economica

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

 – la necessità di istituzionalizzare degli strumenti di correla-zione interlocale, ora che altri nuovi e di vario genere ne so-no stati introdotti.

È in crisi anche il connesso valore dell’«umiliazione», cheequiparava in via simbolica il questuante al mendicante e af-fermava solennemente la necessità di una dipendenza daglialtri a tutti i livelli della scala sociale

V. Questioni economiche e organizzative 

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mente economica. Anzitutto, la questua non è più redditizia, rispetto al nu-

mero di giornate lavorative impiegate per la raccolta di fon-di: ha cominciato infatti a farsi strada anche il concetto della

necessità della retribuzione in denaro del lavoro dei que-stuanti. E il denaro raccolto in un paese non è mai molto – una cinquantina di migliaia di lire in media –: tanto più che,al limite, si può sperare di ottenere di più con una telefonataa un commerciante grossista o al compare in qualche enteregionale che non con varie domeniche di faticose richiestea singoli dalla limitatissima disponibilità finanziaria.

Ma soprattutto, più che faticoso e antieconomico, si av- verte come umiliante il fatto di dover chiedere soldi per lapropria festa a gente di altri paesi: ora si vuole che ciascunpaese si sovvenzioni la propria festa, autonomamente. An-

che questo è, a sua volta, da correlarsi con la tendenza allaspecializzazione locale delle singole novene. È di fatto statamessa in crisi – anche al livello dell’organizzazione economica

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per Santu Lussurgiu), una da Orgosolo (per la Madonna d’Agosto), unada Fonni (per S. Antonio), due da Nuoro (entrambe per S. Francesco:la prima per il grano, la seconda per le olive), una da Sarule (per laMadonna di Gonare) e una infine da Lodè. E se teniamo presente cheMamoiada era «uscita» a questuare per il suo S. Cosimo, a Oliena, Oru-ne, Orgosolo, Olzai, Lodine e Fonni, vediamo che le due aree di que-stua di due paesi anche vicini non si coprono interamente: ad esempioSarule è «uscita» a Mamoiada, ma non Mamoiada a Sarule; Mamoiada è

«uscita» a Olzai e Lodine, ma non viceversa.51. Per la maggior parte dei casi di cui alla tab. 1, la questua è esercita-ta ormai solo nell’ambito del paese di appartenenza del novenario (ab-biamo indicato come «questua» anche quei rari casi in cui il contributosi dia sotto forma di dono, portato il giorno della festa al priore da par-te dei singoli privati).

altri, a tutti i livelli della scala sociale.Oggi la questua «umilia» solo, e non riscatta a un più vasto

universo di solidarietà. La si rifiuta con un gesto di autoaffer-mazione, che peraltro non sa ancora definirsi chiaramente,

nella misura in cui continua a esprimersi entro termini cam-panilistici: al nostro paese sappiamo far da soli.

L’autonomia organizzativaLa lunga, laboriosa e costosa preparazione della festa

presuppone l’esistenza di un apparato organizzativo chesappia funzionare: e anche questo è un fatto di una certaimportanza. Il compito di preparare la festa e di seguirla nelsuo svolgimento è affidato a un gruppo di volontari laici, ilComitato (o gli obrieri),52 retto da un capo, il priore (oobriere): è questa una struttura molto usuale, che troviamo

alla base non solo dei novenari, ma anche di quasi tutte lealtre feste più brevi (patronali, rurali, ecc.) di buona partedei paesi isolani, e che a sua volta si diversifica di poco dal-le analoghe strutture delle feste del continente.53

Rispetto all’organizzazione di una festa di uno o tre giorni,il compito che comitato e priore si assumono per un novenario

175

52. Dal libro delle Cuentas  di Gonare, cit., ricaviamo che gli obrieri(obreros ,  sobreros , dovevano anticamente avere anche funzioni cerimo-niali, e dedicarsi non solo alla festa principale di settembre, ma anche al-l’altra festa, quella dell’Incarnazione: vedi ad esempio i conti del 1788, in

cui si parla di Substento de los obreros en los tres dias de la Fiesta (ed è lafesta «principale» di settembre) e degli obrieri che, per la festa dell’Incar-nazione, subien los ornamentos (forse il baldacchino della processione).53. Si veda, per questo, la ricca documentazione in G. Ces. Pola Fallet-to di Villafalletto, Associazioni giovanili e feste antiche. Loro origini , To-rino 1939.

è più complesso e a più lungo termine. Di solito, comitato epriore scadono l’ultimo giorno della festa, quando si designa-no, al loro posto, i nuovi che dovranno darsi da fare per tuttol’anno. I doveri sono molti: c’è, durante l’anno, da seguire, dipersona o indirettamente, le varie raccolte di fondi e di offer-te; c’è da curare la sistemazione edilizia della chiesa, delle suestanze e delle strade di accesso, lavoro che comporta il coor-

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

In ogni caso, la struttura di tutte queste organizzazioni èchiaramente autoritaria, nella misura in cui si pongono a ca-po un presidente (obriere, priore, soprastante), che detienein pratica tutti i poteri decisionali, lasciando al comitato soloquelli esecutivi. La struttura autoritaria del gruppo può esseresottolineata ulteriormente dal sistema di nomina del prioreche, quando non venga eletto dal comitato (o preso a turno

V. Questioni economiche e organizzative 

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sta e e de e st ade d accesso, avo o c e co po ta coodinamento di un certo numero di persone. C’è poi tutta l’or-ganizzazione della novena: la sistemazione dei novenanti nel-le singole stanze, l’ospitalità ai pellegrini occasionali in un

locale apposito (il priorato). Quest’ultimo lavoro comporta, inalcuni casi, il coordinamento di un numeroso personale di cu-cina e di servizio, reclutato per lo più tra parenti ed amici delpriore. Nei casi di novenari più poveri, questo aspetto è ov- viamente meno enfatizzato, anche se non manca mai unastanza per il ricevimento degli ospiti. C’è infine l’organizzazio-ne della festa vera e propria, che può comportare la riscossio-ne degli affitti delle bancarelle, l’ingaggio di poeti dialettaliper la gara poetica, o, più modernamente, di un complessinobeat , l’eventuale organizzazione di una corsa di cavalli, ecc.

 Abbiamo parlato di comitato e di priore, con una certa

rapida semplificazione: la realtà (per lo meno quella attuale)è però più sfumata. Anzitutto, il comitato può variare per grandezza, nel sen-

so che i suoi membri, a seconda delle località, possono an-dare da un minimo di quattro-cinque persone a un massimodi una ottantina e oltre. Ci sono dei casi poi, in cui la struttu-ra è tanto rigidamente élitaria da essere monopolizzata da unpiccolo numero di famiglie, che si sono assicurati il «privile-gio» legandolo a una tradizione ereditaria: è questo il sistemadella tríppida, che troviamo in alcune località dell’interno.54

176

54. Faceva parte della tríppida un ristretto numero (in origine, tre) di fa-miglie o «stirpi» (cinque a Orune per la Vergine della Consolata, quattroa Orosei per la Madonna del Rimedio, quattordici a Bitti per l’Annunzia-ta) che si vantavano di essere discendenti della Madonna (Orune) o deifondatori del santuario (Bitti, Orosei): uso l’imperfetto perché, a mia

c e, qua do o ve ga e etto da co tato (o p eso a tu oda una «stirpe»), viene designato dal priore precedente, chelo sceglie tra i possibili candidati. In alcuni casi, può addirit-tura non esistere – o esistere in misura fittizia – il comitato,

concentrandosi così tutte le funzioni organizzative, e i relatividiritti e doveri, nelle mani del priore.È questo un ruolo importante e di grande prestigio, che

solo pochi sono in grado di tenere: esige capacità organizza-tive, una certa disponibilità finanziaria e soprattutto la possi-bilità di controllare una vasta rete di rapporti parentali, ami-cali e clientelari, da cui ricevere collaborazione e supporto.Le responsabilità del priore non concernono solo l’organizza-zione formale della novena e della festa, ma anche tutta l’am-ministrazione dei fondi (entrate e uscite) di cui dovrà presen-tare il bilancio al parroco, alla fine del suo anno di gestione.

Le cose stanno, per lo meno attualmente, così, mentreper il passato, quando le chiese erano comparativamente piùricche, organizzazione della festa e amministrazione dei fondipotevano anche essere affidate a persone diverse. Le soluzio-ni proposte erano comunque varie: si poteva avere una sepa-razione di funzioni tra quella del priore (di prestigio e re-sponsabilità organizzativa) e quella di un amministratore (o

177

conoscenza, la tríppida è ancora funzionante solo a Orune, anche se aBitti attualmente si vorrebbe ricostituirla. In quanto sistema di privilegi,ha subìto a suo tempo certi tentativi di democratizzazione: a Bitti, per

esempio, potendosi l’appartenenza alla tríppida ricevere per eredità maanche per ingresso in una famiglia già privilegiata, di fatto ciascuno fini-sce per appartenere ad una (o più) tríppide.Nei rimanenti casi in cui alla tab. 1 si sia segnalato un Comitato a struttu-ra familiare, le cinque o più famiglie abbienti che lo compongono si suc-cedono a turno negli oneri e negli onori dell’organizzazione delle feste.

depositario o procuratore), che aveva il compito di tenere lacassa e di presentare i conti: al Rimedio di Orosei e all’An-nunziata di Bitti le cose andavano così.55 Ma, in altri casi,procuratore e priore potevano essere la stessa persona:56 inteoria come oggi, ma con la grande differenza che allora lacarica era pressoché a vita (ad esempio a Gonare e a S. Cosi-mo). Questo si giustifica probabilmente col fatto che l’ammi-

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Per ovviare a questi strapoteri, il comitato poteva anchetentare di darsi una struttura più articolata, che comportasseanche organismi di controllo delle spese del priore: così al-meno risulta da un interessante regolamento che poco piùdi un secolo fa (1863) si diedero i compatroni (cioè i «coere-di» della tríppida) del Rimedio di Orosei, di cui riportiamo innota il testo.58

V. Questioni economiche e organizzative 

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Q g pnistrazione dei beni, relativamente complessa, non poteva es-sere tenuta che da uno dei pochi letterati di paese, notaio oaltro, il quale per giunta finiva inevitabilmente per essere re-

clutato tra le poche famiglie nobili. Diciamo meglio: dal mo-mento che  status e cultura erano privilegi inscindibili e allaportata di pochi, questi pochi venivano ad assumere, per viadiretta, ogni compito legato all’estrinsecazione di prestigi e dicultura. Questo poteva, al limite, portare a una situazione dit-tatoriale e di conflitto tra autorità laica e autorità ecclesiastica,come nel caso di quel  Don Giovanni Tolu, amministratore diS. Cosimo, ogni anno ammonito dal vescovo perché frenassele sue spese vistose e presentasse dei rendiconti regolari: iltenace priore continuò tranquillamente nella carica per venti-tré anni (dal 1826 al 1849), sfidando le reiterate accuse di

amministrazione fraudolenta.57

178

55. Si vedano, ad esempio, le titolature dei vari  Libri dell’Amministra-zione , citati.56. Nei Libri dell’Amministrazione di Gonare è sempre usato il terminedi  Administrador e mai quello di priore; in quelli di S. Cosimo, purepresentati da un amministratore , risulta ad un certo punto (anno 1832,fol. 6 bis) l’impiego indifferente dei due termini di amministratore  e priore ; analogamente, nei libri di conti della Madonna d’Itria si impie-gano indifferentemente i termini di  procuratore e priore .57. Si può dire che ogni anno il  Libro dell’Amministrazione di S. Cosi-mo, cit., contenga reprimende del genere. Ne diamo alcuni esempi:

Nel 1831 don Giov. Maria Bua, vescovo di S. Giusta, fa una visita pasto-rale e si accorge dell’amministrazione fraudolenta del santuario. Prescriveche si denunci il numero delle pecore «che siamo certi di essere rilevan-te», che l’amministratore non prenda decisioni senza il consenso del par-roco, che il parroco pubblichi le decisioni prese (fol. 7). Varie reprimen-de seguono negli anni: esempio quella del 1844 (fol. 16) in cui dalla

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Contadoria Generale di Nuoro si osserva: «Dalle spese vistose fatte in ri-parazione senza le solennità prescritte dal 2° dei decreti di visita di

Mons. Arcivescovo Bua di felice memoria e contro il disposto dell’EdittoOrganico di quest’Ufficio di Contadoria del 2 dicembre 1807, il sottoscrit-to si è convinto che l’Amm.re dei SS. Cosimo e Damiano in Mamoiadanon rispetta la legge che deve formare la sua guida nell’amm.ne e nongià l’abitudine proscritta di assorbire i redditi della pia azienda da conti-nue riparazioni»: in questa data e anche nel 1849 (fol. 18) si ingiunge an-che al Tolu di consegnare le somme rimaste a credito del santuario.

58. Libro contabile della Madonna del Rimedio di Orosei cit., all’anno 1873:«Addì primo Gennaio dell’anno Mille Ottocento settanta tre in Orosei. Con-gregatisi i Compatroni della Chiesa titolata alla Madonna del Rimedio, sot-to la presidenza del Sig.r Parroco Sacerdote Giuseppe, unanimementehanno stabilito per regolamento della Amministrazione quanto segue:

1° Articolo. Il priore sarà votato, o stabilito, secondo il solito da tutti iCompatroni, il più tardi nel giorno quindici dopo la festa della dettaMadonna del Rimedio.Similmente dagli Stessi Compatroni sarà in detto giorno votato il Depo-sitario. Tanto vale a dire il priore da una delle stirpi, ed il Depositarioda un’altra stirpe. E se gli eredi, o Compatroni, non combinassero, sifarà per votazione, e sarà priore e Depositario quello individuo, cheavrà maggiori voti.

2° Rimane stabilito, secondo uso antico, che il Priore e Depositario do- vranno render conti dell’Amministrazione nel giorno medesimo in cuisi è stabilito come nel precedente, di far la nomina del nuovo Priore, eDepositario.

3° Si stabilisce per sempre che sarà nominato dal presente anno un

Consiglio di cinque membri compreso il priore, ai quali spetterà curaretutti gli affari della Amministrazione, e senza il voto dei quali non potràil Priore fare alcune spese massime straordinarie e fuori uso.

4° La nomina dei quattro membri dei Consiglieri sarà fatta dai Compa-troni solamente presenti nel giorno della nomina del Priore. E quando

Ma, nei casi in cui il ruolo di priore sia rimasto tuttora, lecose non sono molto cambiate: essere priore di una festa si-gnifica ancora solennizzare in modo grandioso il proprio pre-stigio sociale e assieme pagare quello scotto, che si ha da pa-gare per la conservazione della propria autorità. Sulle spalle

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

del priore e della sua famiglia – perché, non va dimenticato,anche qui è il familismo ad imperare e a imporre modelli dicomportamento – grava almeno l’onere dell’organizzazionedella festa, se non addirittura la maggior parte delle spese,almeno quelle del banchetto da offrirsi a compaesani e stra-nieri il giorno della festa. Il priore ancor oggi è scelto, perquesto, per lo più secondo criteri di censo, tra i pastori o i

V. Questioni economiche e organizzative 

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non combinassero nella libera nomina, si farà per votazione segreta, equelli che riporteranno maggior numero di voti saranno dichiarati Con-siglieri pel venturo anno.

5° Viene oggi riconosciuto che le stirpi, o volgarmente dette tripides sono quattro, cioè dei Demuru, dei Serra, dei Masala e dei Flores, dallequali farassi la nomina del priore e Depositario come si è detto.

6° Tanto hanno stabilito tutti i presenti che vogliono abbia vigore perl’avvenire, salvo il diritto dei Compatroni di aggiungere qualunque arti-colo di Regolamento, che credessero opportuno.Presenti alla già detta Costituzione, Ant. Loddo, che firma, Giovanni Pi-redda, Silvestro Fenu, Proto Soro, Giaco Anto. Rosu, e croce segnanoCosimo Demuru +, Battista Burrai +, Teodoro Dessena +, Pietro Fenu+, Ant. Caseddu +, Ant. Mula Vardiu +, Pietro Loriga +, Giacinto Fenu+, Flore Tomaso +, Ant. Cuca +, Ant. Decampus +, Antonio Loddo, Pi-redda Giovanni, Silvestro Fenu, Proto Soro, Giacomo Antonio Rosu, Pi-redda Giovanni, Rettore Giuseppe Pittalis».

Un controllo del priore si propose anche, con un nuovo regolamento,a Bitti nel 1890.Dal Libro Ragionale dell’Annunziata di Bitti, cit., p. 33, in data 4 giugno1890:«Nell’adunanza che si fece oggi dei Capi Priori della Vergine Annunziatain seguito alla legge che proibisce le pubbliche questue si è stabilito 1)che i Capi Priori degli anni antecedenti che non hanno dato i conti sianoobbligati a dare i conti nel giorno otto del corrente giugno 1890 sotto pe-na di non essere più nominati Capi Priori ove vi resistano a rendere i loroconti; la stessa regola vale per il Procuratore 2) si è stabilito che riforman-do il presente regolamento sui Capi Priori si debba formare a maggioran-za di voti una Commissione di quattro membri con a capo sempre il Pie- vano della Parrocchia, membro nato, o d’altro Sacerdote, che ne faccia le

 veci in sua assenza e questa Commissione o Deputazione sorveglierà edisporrà quanto possa occorrere per il buon andamento dell’Amministra-zione della Chiesa e di quanto possa occorrere 3) nello stesso giorno chesi voterà per i 4 membri della predetta Commissione, si voterà pure ilProcuratore, e tanto la Commissione che il Procuratore rimarranno in cari-ca per tre anni, ove non vengano confermati per altro triennio».

proprietari più abbienti, cioè tra quei  prinzipales che sianoancora in grado di credere che il sostenere una festa costitui-sca motivo di grande prestigio. A questo livello, mi si dice,

dare una festa viene a costare quasi più che sposare una fi-glia: si parla (ma forse esagerando) di un milione circa tiratofuori, più o meno con sforzo, da un gruppo familiare. Nel ca-so poi di un bilancio così cospicuo come quello di S. France-sco di Lula, nonostante il rilievo degli introiti, si può dare uncerto rischio finanziario, perché è il priore a dover anticiparedi proprio quanto poi recupererà durante l’anno. La sua per-sona dovrà quindi necessariamente venir cercata tra chi dis-ponga di sufficiente denaro liquido: per questo, il priore di S.Francesco viene scelto di preferenza tra i rappresentanti del-l’unico commercio che correli la produzione tradizionale (pa-

storizia) all’ambito della economia di moneta: i macellai diNuoro, dalla non sempre limpida ricchezza. Chi è priore per-de in proprio o rischia in proprio – ma il rischio può anchetrasformarsi in attivo, se si è abbastanza abile.

Ma nel complesso, almeno oggi, fare il priore è più unonere che un guadagno. Ci guadagna, a quanto pare, ormaisolo quello di S. Francesco, che da bravo commerciante ur-bano afferma di non fare niente per niente. Segno, anchequesto, di tutta quella tendenza a una folklorizzazione dellafesta, che abbiamo varie volte notata.

Ma in altri casi le cose possono andare diversamente, e

l’istituto del priorato può entrare in crisi. Prendiamo il caso diBortigali, paesino pastorale nei pressi di Nuoro. La sua festaprincipale, quella di S. Maria de su Saùcu (del sambuco) costi-tuisce ancora un grosso fatto unitario, in quanto festa tribaledei bortigalesi che ne escludono tutti gli altri, magari anche a

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schioppettate – si spara molto «in onore della Madonna», mi sidice che l’anno scorso si siano spese quasi 300.000 lire in car-tucce. Le spese della festa – pranzo, cartucce, ecc.: attualmen-te un milione circa – sono tutte a carico del priore. Che siste-ma si è escogitato per lasciare tutti i poteri decisionali nellemani del priore in carica e mettere, nello stesso tempo, quellodesignato nell’impossibilità di tirarsi indietro? Si fa così: il vec-h d d d d l h

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di S. Cosimo di Mamoiada e della Madonna di Gonare. Qui,il comitato è stato allargato a 150 persone, che si quotanoper un minimo di 2000 lire a testa: vengono votati, poi, uncomitato direttivo, formato di 15 persone, e l’obriere. Questastruttura ha raggiunto indubbiamente, rispetto al passato, ungrado maggiore di democraticità, ma ancora con notevoli li-miti: di fatto, i membri del comitato direttivo sono reclutati

l b

V. Questioni economiche e organizzative 

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chio priore decide in segreto, dopo diplomatiche e misterioseconsultazioni, la figura del successore, e la comunica poi alparroco, sempre in segreto. Il giorno della festa, il parroco,

dal pulpito, leggerà il nome fatidico di qualcuno che, nel mi-gliore dei casi, sarà già stato informato per vie sotterranee, mache nel peggiore dei casi si troverà appioppata la carica tracapo e collo, nell’assoluta impossibilità di rifiutarla per nonperdere la faccia. A Bortigali, la nomina segreta del priore haportato, anche in tempi recenti, alla rovina di qualche fami-glia. Bastava poco per questo: bastava nominare priore qual-cuno in difficoltà finanziarie. E il gioco era fatto.

Oggi, la carica di priore può pesare: l’istituto può entrarein crisi assieme alle vecchie famiglie dei  prinzipales . Nellastessa Bortigali si cominciano ad avvertire i segni di qualche

rifiuto: lo scorso anno furono molto difficoltosi i vari son-daggi sotterranei per l’individuazione della persona dispostaad assumere la carica.

Per tutti questi motivi si è anche giunti, in alcuni paesi, asoluzioni più democratiche, o comunque rispondenti a queiprincipi di livellamento sociale cui si conforma, come vedre-mo, la comunità di paese.

 Ad esempio in un paese dell’Ogliastra il parroco ha la li-sta di tutte le famiglie, e da esse, a turno, senza distinzioni,ne sceglie una che dovrà accollarsi l’onere del priorato dellafesta locale.

Ci sono però casi più avanzati, in cui priore e comitatodi vecchio tipo sono stati messi in discussione per il loro au-toritarismo convogliante entro un numero ristretto di perso-ne tutti i poteri decisionali, e si è tentato di contrapporre adessi un comitato ristrutturato su basi più larghe. Sono i casi

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per la maggior parte, tranne rarissime eccezioni, tra i bene-stanti e gli «intellettuali» del paese: nel ’67 l’obriere era il sin-daco. Questa innovazione è comunque interessante, perché

è stata ottenuta dopo una lunga battaglia delle nuove gene-razioni contro gli anziani.

Struttura dell’organizzazioneChe cosa ci dice una struttura organizzativa come questa

che abbiamo descritto? Si caratterizza per tre aspetti: è auto-noma, è gerarchico-autoritaria, è temporanea.

L’aspetto più appariscente è senza dubbio il primo: lagrande tendenza autonomista del comitato rispetto ai più altilivelli dell’organizzazione ecclesiastica.

Il parroco del paese è sempre stato, in ultima istanza, il

direttore responsabile davanti ai suoi superiori dell’ammini-strazione della chiesa campestre o del santuario. Ma il suonon è che un avallo, formale e a posteriori, di iniziative pre-se e di spese fatte da altri in via del tutto autonoma. Il lungoe sicuro dispotismo di  Don Giovanni Tolu è l’esempio diuna situazione ancora attuale per quanto concerne i rapportitra organizzazione della festa e chiesa cattolica.

Possono non mancare casi di interferenze e controlli di-retti da parte della chiesa.59 Ma si tende, nel complesso, a di-stinguere nettamente tra compito e compito: chiesa e sacerdo-ti devono occuparsi esclusivamente delle pratiche rituali,

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59. Ad esempio, può essere il parroco a nominare comitato e (o) prio-re, o ad approvarne la nomina, o a presiedere addirittura il comitato(tab. 1): ma rappresentano casi singoli di vittoria di una chiesa, che èriuscita a controllare un ambito potenzialmente autonomo.

 VI. LE MOTIVAZIONI

L’inchiesta mediante questionario (1967)Scoprire le motivazioni vere e profonde che si sottendo-

no al comportamento di un gruppo umano che escogiti l’isti-i l d ll f d ll è i diffi il

mentre tutto il resto – cioè l’ambito dell’organizzazione, della vita sociale e delle feste del novenario – è di competenza del-la comunità e dei suoi rappresentanti. All’interno della novenasi stabilisce addirittura una giurisdizione autonoma, che defe-risce a comitato e priore anche il diritto di dirimere le variequestioni che possono insorgere: controversie, litigi, risse. Laquestione va molto più in là dello stretto rapporto tra comita-

i à l i i i l d il bl iù

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tuto sociale della festa e della novena è un compito difficilee forse anche presuntuoso. Molte sono le domande che ci sipuò porre, e non sempre le più pertinenti.

Sta di fatto che – nonostante la varietà del quadro uma-no e delle soluzioni organizzative che esso ci offre – il com-plesso di un novenario costituisce anche e soprattutto ununiverso che si riconosce come omogeneo: tutti si sono mos-si secondo un percorso tradizionale, obbedendo a un’ideo-logia e a un ruolo sociale che rispondono alle aspettativedel gruppo. Questo significa realizzare un particolarissimoterreno di incontro, entro il quale ciascuno abbia la possibi-lità di verificare la presenza, nell’altro, di un destino comu-ne, di cui tutti si è compartecipi entro le precise forme a cia-scuno assegnate.

Si va alla novena secondo motivazioni esplicite ben preci-se (voto, devozione, più raramente villeggiatura): ma c’è poitutto il resto. Al limite, la novena esiste perché esiste, comesua motivazione profonda, il paese, con tutto il suo complessodi condizionamenti economici, sociali, culturali, e tutte quellesue limitazioni che l’istituto della festa tende a far superare.

Da questa realtà sembrano però emergere alcune moti- vazioni più qualificanti, o comunque direttamente correlabiliall’istituto sociale della novena, la quale si sviluppa da unhumus di profonde coerenze.

 Andare alla novena può significare essere compartecipi

di una medesima ideologia della vita e della morte, condivi-dere un medesimo orizzonte di rapporti comunitari entroruoli ben determinati, disporre di un certo tipo di informa-zione in cui «tradizione» e «modernità» oggi si confrontino manon si risolvano.

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to e autorità ecclesiastica, coinvolgendo tutto il problema piùgenerale e complesso del cattolicesimo contadino.

Del secondo aspetto strutturale, è presto detto: il comita-

to è un’organizzazione gerarchico-autoritaria, perché ha mol-to sovente un capo dotato di tutti i poteri decisionali.È infine un’organizzazione temporanea, nella misura in

cui il gruppo ogni anno si scioglie e ogni anno si ricompo-ne. Riesce ad assicurarsi la sopravvivenza iterando l’utilizza-zione di un medesimo modello, che si fa e si disfa secondoun ritmo stagionale.

L’organizzazione del comitato non fa insomma che ri-proporre strutturalmente gli schemi di una società agropa-storale, orientata gerarchicamente sia – nell’ambito della fa-miglia patriarcale sia in quello della comunità, che si articola

su due livelli ( prinzipales e tutti gli altri).La stessa informalità del gruppo fa riferimento a ambiti diproduzione, in cui non si diano modelli collaborativi all’infuo-ri di quello familiare, che è però insufficiente, quando ci si voglia dare una dimensione comunitaria. Così, ci si riunisce inmodo informale, come, al momento del bisogno (vendemmia,mietitura, ecc.) ci si poteva dare una mano l’un l’altro.

La temporaneità infine rispetta anch’essa i ritmi di un mo-dello di produzione, che ha da prepararsi e da rispondere dianno in anno in funzione delle stesse scadenze stagionali. Lafinalizzazione dello sforzo comune è indirizzata verso un unico

obiettivo: la festa, che di anno in anno ciclicamente proporrà ilproprio ritorno e la propria fine. Questo comporta i due fattoriconnessi di una utilizzazione di un medesimo schema operati- vo e organizzativo, e di un suo continuo disfarsi e rifarsi stagio-nale, secondo uno schema seriale potenzialmente infinito.

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 Al limite, andare alla novena può significare «rappresen-tare» il paese intero: non nel senso strettamente quantitativodi una rappresentatività statistica, ma in quello morale diuna rappresentatività emblematica di quei ruoli e di quelleaspettative, di quei valori e di quelle informazioni che la co-munità di paese esprime o assume come propri.

Per verificare queste ipotesi, abbiamo condotto un’in-hi t di t ti i i t ti

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Le voci di fuoriIl primo problema che a noi, spettatori estranei, si pre-

sentava, era più o meno questo: come si potesse giustificarela esistenza di questo rilevante istituto di origine precapitali-stica, nonostante che, bene o male, anche in Sardegna stia-no avanzando altri modelli culturali, portati dai nuovi mezzidi informazione.

VI. Le motivazioni 

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chiesta mediante questionario su un campione rappresentati- vo di tutto il complesso dei novenanti a partire dai 18 anni,e su un gruppo di confronto nelle cinque comunità di Nuo-

ro, Oliena, Bitti, Mamoiada, Orosei, che fosse abbastanza si-mile per composizione sociale o occupazionale al gruppo dinovena (tabb. 13-14).

Rinviamo in Appendice , assieme alle tabelle ricavate dal-la elaborazione dei dati, anche tutte le premesse di ordinemetodologico circa le modalità e i limiti di questa parte del-l’inchiesta.

Basti osservare che il particolare criterio della campiona-tura dei gruppi di paese non può autorizzare a considerarlistatisticamente rappresentativi dell’intera comunità. Quindi,al limite, può restare aperta la domanda se recarsi alla nove-

na costituisca un comportamento «normale» o «anormale» ri-spetto alla tendenza media paesana.Siamo solo in grado di fare dei confronti interni a due

gruppi relativamente omogenei: ma anche da quest’ambitopiù ristretto emerge una serie di indici di probabilità, che in-ducono a riflettere su questioni di ordine più generale.

Sta di fatto, che la realtà sociale e culturale davanti allaquale ci siamo trovati alla fine dell’inchiesta ci si è rivelatasostanzialmente unitaria:60 chi va alla novena può ancora di-re di «rappresentare» simbolicamente il proprio paese.

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60. Nei confronti tra gruppo di novena e gruppo di paese sono emersisolo scarti significativi rispetto a singole classi d’età: soprattutto M3 e F2. Alla novena, questi anziani sembrano orientati in modo più tradizionalee rappresentano forse i gruppi-leader. In particolare, M3 osserva conmaggior frequenza il precetto della messa; M3 e F2 si comunicano con

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maggior frequenza; F2 tende ad affermare che il lamento funebre si fasempre; M3 e F2 lo valutano positivamente e inoltre credono di più alla

 verità del malocchio; M2 e F2 hanno visto meno film e ascoltato menola radio; F2 vede meno la televisione. Gli altri scarti significativi emersi – sempre nei confronti tra eguali classi d’età e di sesso tra novena e paese – sono del tutto sporadici e irrilevanti.Quanto al problema della rappresentatività (anche in senso statistico),ci siamo posti la domanda se i novenanti non costituissero una speciedi gruppo di habitués , come ci era stato suggerito al Rimedio di Oro-sei. Questo avrebbe diminuito, in una certa misura, la loro significativi-tà statistica, anche se non avrebbe tolto nulla ad altri tipi di significati- vità, e cioè a quell’emblema di tutto il paese, che chi va alla novena sadi rappresentare.Questa tendenza c’è davvero.Donne e uomini senza distinzione di sesso e con lievi distinzioni d’età

hanno in gran maggioranza fatto almeno un’altra novena nello stessoluogo (tab. 56).Le donne inoltre – specie le più anziane – hanno avuto la possibilità diconoscere almeno un altro novenario, diverso da quello del loro sog-giorno attuale (tab. 57). (I dati non sono sommabili. Le domande infattierano: «Ha fatto qualche altro novenario qui?»; «Ha fatto altro novenarioaltrove?»).Ci sono anche novenari più frequentati da habitués che non altri: l’An-nunziata di Bitti e il Rimedio di Orosei – forse per la loro caratterizzazio-ne prevalentemente monotribale – si distinguono per la presenza di unbuon 80% di persone ritornate lì almeno per la seconda volta (tab. 58).D’altra parte, può essere vero anche il contrario, e cioè che chi resta inpaese ha una buona probabilità di aver fatto almeno una novena: natu-ralmente saranno le donne ad accentuare in modo molto significativoquesta tendenza, confermando ancora una volta che questo è uno deiloro grandi ambiti di iniziativa. Per gli uomini questa probabilità crescesignificativamente con l’età da un 2,5 a un 47,5%: il che è già non po-co. Quanto alle donne, più della metà di esse, senza sensibili variazioniin rapporto all’età, ha ormai avuto un’esperienza di novena (tab. 59).

Sembrerebbe che si stia creando una situazione nuova: si vanno diffondendo i mass media, che usano o sembranousare o dovrebbero usare un linguaggio molto diverso daquello della tradizione; l’analfabetismo si va riducendo, e siassiste anzi all’ingresso in massa delle nuove generazioni nel-la scuola dell’obbligo. Anche la novena sembra inserita entroquesti aspetti di modernità più vistosa: ascoltiamo le voci diMina e di Celentano si sente parlare di film vediamo perso

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

ha da sempre permesso la circolazione di nozioni e valori. Lanovena assolve istituzionalmente anche questo compito, nellamisura in cui, rompendo gli isolamenti interfamiliari o interlo-cali, vuol essere un luogo di incontri e di scambi di relazioni.

Entro un’area analfabeta, si diceva: assumendo questocome dato inevitabile. Di fatto, l’area analfabeta era ed è taleanche per un preciso gioco di poteri, che ha centralizzato (ecentralizza tuttora) in altre mani il controllo di tipi privilegia

VI. Le motivazioni 

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Mina e di Celentano, si sente parlare di film, vediamo perso-ne che leggono, il giorno della festa arriva l’orchestrina, ecc.

È una realtà in movimento. È però un movimento che non

sembra intaccare – almeno per ora – la struttura sostanzialedell’istituto: ognuno continua a muoversi secondo i percorsi disempre, obbedendo alla antica ideologia che fa della novenaun luogo di «promessa» al santo. E come retroterra della stessa«promessa» noi intuiamo l’esistenza di tutta una serie di orien-tamenti culturali, la cui origine risale molto addietro.

Ci troviamo di fronte a una realtà assai ambigua.C’è, da una parte, la crisi in cui stanno ormai entrando,

secondo una parabola irreversibile, i vecchi istituti sociali(magici, religiosi) del passato. Essa è correlabile a due preci-si ordini di motivazioni: la crisi dell’economia agropastorale

e l’imposizione di nuovi modelli culturali, veicolo di propa-ganda proprio di quell’economia che ha condotto alla attua-le destrutturazione delle campagne.

E c’è, dall’altra parte, una non-crisi di certi istituti, comela festa e la novena. Non solo: c’è anche – e ne vedremo lamisura – una certa inerte persistenza di antichi orientamenti.

Il primo filtro che abbiamo utilizzato ci ha immediata-mente fatto entrare, dopo la prima impressione di dinami-smo, entro una realtà di fondo più vischiosa, che – per certiaspetti almeno – sembrava non contraddetta, ma anzi con-fermata proprio da quei più appariscenti fenomeni di novità.

Incontrarsi al novenario significa scambiarsi relazioni so-ciali e, ancor prima, scambiarsi informazioni: non solo notizie,ma modelli di comportamento, valori e così via. Entro un’areaanalfabeta, l’unico mezzo di informazione è rappresentato difatto dall’incontro tra persona e persona: è questo il canale che

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centralizza tuttora) in altre mani il controllo di tipi privilegia-ti di informazione. Fino all’immediato dopoguerra, prinzipa-les e sacerdoti erano gli unici detentori di quel sapere scritto,

che era in grado di mettere in relazione coi più vasti oriz-zonti del mondo esterno. In entrambi i casi, il monopoliodella cultura ebbe come esito la conservazione: vedremo piùavanti ad esempio come la Chiesa abbia contribuito al mante-nimento, se non addirittura al rafforzamento, di determinateideologie magiche. A sua volta, il controllo dell’informazioneesercitato dai  prinzipales , gli unici in grado di esprimere unceto di intellettuali, ebbe come esito il formarsi e il consoli-darsi di tutta una prassi politica clientelare, che inevitabil-mente confermava il subalterno entro il suo rango: e cosìavviene oggi più di ieri.61 Ora, però, grado e qualità dell’in-

formazione dovrebbero essere mutati, in seguito all’introdu-zione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Accantoperò ad ipotesi trionfalistiche (da «cambiamento culturale»),altre se ne possono avanzare, nella misura in cui potere econtrollo dell’informazione sembrano sì avere iniziato a fug-gire dalle mani di sacerdoti e  prinzipales , ma sembrano an-cor più solidamente detenuti da altri organismi di controllo,centralizzati a livello nazionale, i quali a loro volta finisconoper confermare i gradi intermedi nel loro potere.

Mobilità

In quanto microcosmo di informazione, la novena ha daessere commisurata anzitutto rispetto alla mobilità della po-polazione.

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61. L. Pinna, La famiglia esclusiva cit., pp. 135 sgg.

L’istituto appare di fatto strettamente connesso al grandetema dell’isolamento geografico e alla volontà culturale disuperarlo, anche se la tradizione non ha potuto escogitareche correttivi al sistema.

Di fatto, qui nell’interno, si nasce e si muore nello stessopaese,62 a meno che non si operi la rottura definitiva dellaemigrazione.

Q ali contatti si possono a ere col mondo esterno?

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Mass media e trasformazioni Alla novena si sente la voce di qualche mangiadischi o di

qualche transistor, che trasmette canzoni; si può vedere qual-che gruppetto di persone radunate attorno a un amico o pa-rente che legge e commenta uno dei giornali locali –  L’Unio-ne Sarda (di Cagliari) e  La Nuova Sardegna (di Sassari;Nuoro non ha giornale). Non ho mai visto circolare fumetti.Le televisioni non sono ancora state portate ma conosco ca-

VI. Le motivazioni 

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Quali contatti si possono avere col mondo esterno?È in aumento una certa mobilità spicciola, oggi molto

più facile, per cui si può andare abbastanza di frequente in

città per acquisti, uffici, visite all’ospedale. Si torna però inpoche ore.

Ma più della metà dei nostri intervistati (il 58,5%) non hamai vissuto fuori del proprio paese per un periodo che su-perasse i tre mesi (tab. 15). È una possibilità che hanno qua-si esclusivamente gli uomini e si connette a tutte quelle ne-cessità che li mettono in contatto con le forze esterne deldatore di lavoro o dello Stato (servizio militare) (tab. 17).

La donna è esclusa quasi completamente da tutto ciò,con i risvolti positivi e negativi che comporta. Non ha checontinuare a indirizzarsi verso i pellegrinaggi tradizionali.

La tendenza generale all’immobilismo è confermata dalfatto che la mobilità risulta essere una variabile dipendenterispetto all’età: sono proprio i più giovani ad avere avutominori contatti col mondo esterno (tab. 15).

Questo è il quadro relativo al gruppo di chi è restato:ma sappiamo che con l’emigrazione, da un decennio a que-sta parte, sta succedendo esattamente il contrario: sono ipiù giovani a partire. Il che pone, inevitabilmente e percontrasto, il problema di chi resta. Anche per la mobilità,l’alternativa sembra essere tra un andarsene definitivo e unrestare, assoggettati alle necessità di sempre, alle chiusuredi sempre.

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62. Solo il 13,2% dell’intero gruppo è costituito da individui nati in unaltro paese.

Le televisioni non sono ancora state portate, ma conosco ca-si di qualche altro novenario in cui è arrivata anche la TV abatterie.

In via più modesta e limitata vi si riflette la stessa situa-zione del paese: al tempo dell’inchiesta, il 13,4% del totaledegli intervistati non possedeva la radio e il 54,2% non pos-sedeva il televisore (tab. 18).

Il sondaggio che abbiamo voluto compiere sull’argomen-to dei mass media è molto circoscritto, anche perché non vo-levamo addentrarci nella complessa questione della loro inci-denza come agenti di cambiamento: non sarebbe bastataun’inchiesta. Questo tipo di ricerca, tra l’altro, avrebbe dovu-to impostarsi in modo diverso. Si sarebbero dovuti analizzaretemi e contenuti dei diversi messaggi proposti e recepiti, en-

trando a toccare questioni di consumi, costumi e mode. Si sa-rebbe dovuto tener conto non soltanto dell’utilizzazione di-retta dei media ma anche delle varie mediazioni dei leaders d’opinione – il compaesano che alla novena legge il giornaleal gruppo, la ragazza che descrive all’amica l’abito di Mina vi-sto a Carosello, ecc. – che sono stati individuati come impor-tantissimo canale di trasmissione di informazioni e di modellitra chi possiede il mezzo e chi non lo possiede.

 Abbiamo solo fatto pochi e parziali sondaggi entro unatematica enorme.

Il balloDel complesso problema dell’incidenza dei mass mediacome agenti di trasformazione, abbiamo scelto, per la verifi-ca, un singolo tema che interessasse più direttamente la so-cialità del novenario.

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È noto che oggi alla canzone è affidato in misura consi-derevole il compito di veicolare l’appello a un ingressotrionfalistico nel mondo «moderno» dei consumi. Il suo suc-cesso, specie tra i più giovani, non fa che confermare quan-to già si poteva supporre in partenza.

Nell’ambito di questa questione più generale va ascrittoil problema particolare dello scontro, fatto di sostanziali in-compatibilità tra musica e ballo tradizionale e musica e bal-

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

esecuzione: può essere difficile, specie per chi non è giova-nissimo, imparare i nuovi balli e assoggettarsi a tutte le rego-le di comportamento che sono loro proprie. Anche questoscarto si evidenzia soprattutto per le donne.63

 Veniamo al ballo tradizionale (tab. 19).La situazione del ballo tradizionale è quella di una crisi

latente. Pochissimi, uomini o donne, giovani o anziani, sisentono in grado di affermare che non piace più: se ne riba-

VI. Le motivazioni 

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compatibilità, tra musica e ballo tradizionale e musica e ballo moderno.

Nella comunità tradizionale, il ballo costituiva un impor-

tante modo di espressione comunitaria. In tutte le occasionifestive – la domenica, il carnevale, le varie feste dei santi, imatrimoni – si compartecipava, tutti, dei medesimi ritmi edei medesimi gesti. In quanto solenne e gioiosa affermazio-ne di gruppo, era un fatto tendenzialmente pubblico, sia cheavesse per teatro la «piazza di chiesa» oppure il cortile fami-liare, accessibile a chiunque.

La sua attuale crisi va parallela alla crisi della comunità e alsuo sfaldarsi come coeso orizzonte di comportamenti comuni. Al ballo tradizionale si riservano solo le grandi occasioni (ma-trimoni, carnevale, novene): e anche qui con contaminazioni

 variabili da luogo a luogo. A sua volta, allo sfaldamento del le-game comunitario ha contribuito l’imposizione del modellodel neofamilismo borghese: la domenica o nelle feste i giovanipossono ballare «alla moderna», ma non più in pubblico: siballa nelle singole famiglie, e questa volta a porte chiuse.

Ma anche questa assunzione di modelli borghesi si vasvolgendo tra le più imprevedibili perplessità, come risultadal confronto tra le risposte alle nostre domande relative algrado di capacità o di gradimento dei due diversi tipi di bal-lo: quello tradizionale e quello moderno.

Il ballo moderno sta entrando con successo travolgente,

specie tra le generazioni più giovani, che ormai tendono agradirlo, con una maggioranza schiacciante rispetto alle piùanziane, che tendono al suo rifiuto quasi totale (tab. 16).

Questo altissimo gradimento non sempre però corrispon-de ancora alla assunzione, sul piano pratico, della capacità di

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sentono in grado di affermare che non piace più: se ne ribadisce anzi la bellezza. Non vogliamo entrare in merito aquestioni estetiche, anche perché si sa che i canoni variano

da cultura a cultura, specie per manifestazioni che, come ilballo, comportano un altissimo grado di socializzazione.Quasi tutti gradiscono il ballo tradizionale, quasi tutti lo

sanno eseguire. Anche qui, come per il ballo moderno, c’èun certo scarto tra capacità e gradimento; anche qui le don-ne si sanno esibire meno degli uomini. Ma lo scarto, chenon è significativo, resta più o meno immutato nonostante ilpassare delle generazioni.

Insomma: sia sul piano pratico che su quello della valu-tazione, le risposte nei confronti del ballo tradizionale nonsembrano cambiate di molto. A conclusioni analoghe si arri-

 va anche confrontando tra di loro i livelli di gradimento e dicapacità relativi ai due diversi generi di ballo: mentre le ge-nerazioni più anziane sono più orientate verso il ballo tradi-zionale, la prima classe d’età – maschi e femmine senza ec-cezione – tende a dividere equamente i propri orientamentitra ballo tradizionale e ballo moderno.

Come ormai in vari altri ambiti di nostra conoscenza, an-che in quest’ultimo accettazioni e rifiuti, continuità e discon-tinuità rimangono come segno di una situazione di cui nonsi possiede il controllo.

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63. Dal confronto tra gruppo di novena e gruppo di paese, sembrereb-be emergere una certa tendenza (specie tra maschi e femmine dellaprima classe d’età: ma vedi anche M2 e F3) alla presenza nel gruppofestivo di persone più disponibili al nuovo tipo di ballo: ma questopuò essere anche conseguenza della situazione di particolare disponi-bilità in cui ci si trova.

Sondaggi sull’informazione A parte l’esempio specifico del ballo, che comporta una

risposta attiva ai nuovi messaggi della canzone, abbiamo po-sto alcune domande d’informazione, molto generiche mache peraltro ci hanno stimolato a riflettere sui rapporti tracosiddetta «disinformazione» del ricevente che sta alla base econtrollo dell’informazione da parte di chi sta al vertice.

Qualche punto emerso dal nostro sondaggio.

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Radio e televisione riescono invece a far giungere il loromessaggio senza sconvolgere l’orizzonte dei rapporti socialitradizionali, in quanto strumenti che possono confermare il fa-milismo (o il neofamilismo). Abbiamo detto che il 54,2% degliintervistati non possiede la televisione; ma a sua volta il 43,1 diquesto gruppo la vede con una certa frequenza in casa altrui.In questo caso, anche per le donne non entrano remore socia-li, perché la scelta dell’ospitante avviene soprattutto tra parenti

VI. Le motivazioni 

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Q p ggSono ormai rarissimi i casi di persone che non abbiano

mai ascoltato la radio o visto un film o la TV: e certamentepiù rari di chi non sa leggere né scrivere.

Ma, rispetto a domande più precise, riferentisi all’utilizza-zione di giornali, radio o TV nell’arco della settimana prece-dente il momento dell’intervista o del film nell’arco di tre me-si, le risposte negative tendono ad essere molto alte: e si trattaper certo di atteggiamenti non indotti, dal momento che puògiustamente dar fastidio confessare la propria «ignoranza».

Il gruppo di paese risulta, nel complesso, un po’ menodisinformato di quello di novena: e questo può attribuirsi aun’eventuale tendenza della novena ad assorbire gli elemen-ti più tradizionalisti o, più probabilmente e semplicemente,al fatto che un certo numero di novenanti poteva aver la-

sciato il paese da oltre una settimana, o comunque esserestato troppo occupato nei preparativi della partenza per ave-re il tempo di guardare la televisione o leggere il giornale.64

Nel complesso l’uomo si trova sempre avvantaggiato ri-spetto alla donna: ma in misura diversa. Il vantaggio maggiorel’ha nel campo dei film. Andare a un cinematografo è ancoraun fatto per buona parte maschile, perché comporta uscire inun luogo pubblico. L’ambiente di una sala cinematografica dipaese o di Nuoro stessa offre un quadro che è esattamentel’inverso di quello di un novenario: il cinematografo tende an-cora ad essere un luogo per soli uomini (tab. 20).

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64. Statisticamente, però, l’unico scarto significativo tra gruppo di paesee gruppo di novena è presente, per tutti e tre gli audiovisivi (radio, te-levisione, film), solo tra le F2; tra gli M2 per l’informazione radiofonicae cinematografica.

, p p p u ped amici (non esiste o quasi il fenomeno del bar o della sezio-ne di partito utilizzati come sala da spettacolo televisivo, come

avveniva in mezz’Italia una diecina di anni or sono) (tab. 21).Quanto alle classi d’età, c’è da notare comunque, cometendenza comune, un progresso generazionale nella quantitàdell’informazione, sia per i maschi che per le femmine. Anzi,sono forse le donne giovani ad aver cambiato in modo ancorpiù vistoso rispetto alle loro madri e alle loro nonne che nongli uomini rispetto ai loro ascendenti (si veda, ad esempio,alla tab. 23 l’atteggiamento nei confronti della televisione).

Rimane però aperto il problema di fondo: quello dellaqualità delle informazioni proposte e recepite.

L’informazione radiofonica (tab. 22) appare, ad esempio,

direzionata entro due binari ben precisi: la canzone, che haun altissimo gradimento tra le generazioni più giovani65 e ilbollettino locale o nazionale di informazioni, che trova uncerto – ma minore – gradimento tra le persone più anziane.

L’informazione televisiva (tab. 23) (relativamente minorerispetto a quella radiofonica) tende ad essere un po’ più arti-colata, nel senso che ai musicals (l’equivalente della canzo-ne) tendono ad associarsi film, teleromanzi e commedie: ul-teriore presumibile canale di imposizione di nuovi modelliculturali. Un po’ di sport o di telegiornale per gli uomini,pochissime rubriche – le più qualificate – per una élite dei

più giovani: e questo è tutto.

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65. Fatta la debita eccezione della mezz’età, che nel gruppo di paeseappare maggiormente disponibile a questo messaggio rispetto alle piùaustere novenanti.

L’informazione mediante i giornali (tab. 24) è «difficile» eper questo ancor meno diffusa: alle percentuali delle rispo-ste «non so», «non ricordo» va anche aggiunta forse quella dichi rispondeva genericamente di aver letto il quotidiano loca-le o un rotocalco, dandone solo il titolo, mentre la domandaprecisa concerneva la menzione di episodi che avessero par-ticolarmente interessato. Tra i rotocalchi (inutile dire)  Fami- glia Cristiana e Oggi sono tra i più ricordati.66

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

sono suddivisi le rispettive aree di influenza anche in questosettore. Loro tono, un  Resto del Carlino di provincia, che ela-bori, in chiave, le veline ministeriali. Il resto, è cronaca.

Pur con tutte le loro connotazioni campanilistiche, le ri-sposte «banditismo» indicano bene come si sia in grado direcepire un messaggio, quando presenti contenuti compren-sibili e interessanti.

VI. Le motivazioni 

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g gg pTra gli interessi nettamente primari spicca il banditismo,

cui va aggiunta (per le donne più giovani) una piccola quanti-

tà di cronaca, nera o rosa. Un po’ di pagina sportiva per gliuomini; qualche problema di categoria (pensioni, mutui regio-nali, problemi della Coltivatori Diretti) specie per i più anziani.

Infine, un po’ di politica e di attualità, che può interessarei maschi e anche quelle donne più giovani che stanno com-piendo uno sforzo di aggiornamento. Abbiamo riunito sotto la voce «politica e attualità» le risposte più varie, che vanno dal-l’individuazione di precisi problemi politici come la guerra nel Vietnam ad altri forse più equivoci come il ricordo dell’uccisio-ne di Kennedy o di Luther King (le interviste nei paesi venne-ro condotte più o meno a quell’epoca) vissuti forse più come

storia dei grandi che non come concreto problema politico.È chiaro che tutto questo ci rinvia al problema di fondo,che non è certo quello di una mancata recezione del mes-saggio, imputabile a una assenza di disponibilità da partedel ricevente. È il problema del controllo dell’informazione equindi del suo linguaggio: il messaggio viene recepito neitempi, nei modi e nelle misure in cui lo si vuol far recepire.

Rimanendo nell’ambito isolano, l’esempio della stampa èabbastanza eloquente. I due giornali locali sono rispettivamen-te di proprietà dei due grossi industriali Monti e Rovelli, che si

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66. Non abbiamo voluto considerare i fumetti, e forse abbiamo sbaglia-to. Della stampa, considerata appunto più «difficile» o élitaria, ci interes-sava però di più conoscere il grado di incidenza specie nei problemipolitici, partendo dall’ipotesi che proprio le persone più politicizzateleggessero il giornale.

L’istruzioneSe quanto all’informazione mediante mass media il grup-

po dei novenanti risulta di poco meno informato rispetto algruppo di confronto, le cose vanno molto diversamente perquel che riguarda i livelli di scolarità. Questo dato è statocensito per tutti gli adulti presenti alla novena oltre che, co-me sempre, per il gruppo di confronto nei cinque paesi(tab. 25).

Si tratta sempre di un discorso relativo, nel senso che siaalla novena sia in paese la soglia dell’istruzione non varca, senon per una percentuale minima, la quinta elementare. È unasituazione verificabile in via più generale sui dati dell’ISTAT(tab. 6): tranne che per Nuoro, che ha percentuali sensibil-

mente più alte di diplomati e di licenziati dalle medie (rispetti- vamente il 10,5 e l’11%), gli altri paesi presentano un 1,3-2,9%di laureati o diplomati e un 2-2,7% di licenziati dalle medie.

Se confrontato con le percentuali medie dei licenziatielementari nel ’61 nelle nostre cinque comunità, il gruppo dipaese presenta livelli più bassi: un 47,9% rispetto a un57,5%. La differenza si fa però molto più sensibile, se si con-sidera il 34,8% del gruppo di novena.

Nel primo caso, può essere determinante l’età, nel sensoche il nostro censimento concerne solo adulti al di sopra dei18 anni.

Di fatto, l’ottemperanza all’obbligo scolastico aumentaprogressivamente con l’età (sia per i maschi che per le fem-mine, per il gruppo di novena e per il gruppo di paese), nelsenso di un aumento dei livelli di scolarità tra le generazionipiù giovani.

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Fermo restando lo spartiacque principale della quintaelementare, tra i più giovani si tende ormai a liquidare l’anal-fabetismo o quelle forme di bassa scolarizzazione che posso-no condurre all’analfabetismo di ritorno. Questo processosembra particolarmente sensibile tra i maschi.

Mentre tra le generazioni più anziane non c’è sostanzialedifferenza tra scolarità dei maschi e delle femmine, sono in- vece i maschi della prima classe d’età a presentare un livello

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

tradizionali, che vedremo tra poco. Da tutti questi confronti – a parte casi singoli concernenti precise classi d’età68 – è emer-so globalmente solo un grossissimo scarto significativo: quellorelativo ai livelli di istruzione. Come si è detto, il grado di sco-larità dei novenanti è sensibilmente inferiore a quello (peral-tro basso) dei rispettivi compaesani. Il gruppo di confrontoera stato peraltro scelto entro ambiti occupazionali analoghi aquelli del gruppo di novena. La forte differenza nel livello di

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di scolarità post-elementare alquanto superiore rispetto aquello delle femmine coetanee. Motivi di lavoro possono es-

sere stati determinanti di questa scelta.L’aumento del livello di scolarità sembrerebbe suggerireipotesi trionfalistiche, soprattutto nella misura in cui si puòlegittimamente supporre che le nuovissime generazioni ot-temperino ormai in larga parte all’obbligo scolastico, ora ele- vato fino alla terza media.

Diamo per scontata l’ovvia osservazione della margina-lizzazione sociale operata dalla selezione scolastica: siamo aquesto livello per la quasi totalità delle situazioni che abbia-mo di fronte. E possiamo anche dare per scontato quantosta risultando da nostri sondaggi più recenti: e cioè che l’ele-

 vazione del livello di scolarità alla terza media e, al limite,anche oltre, continua ad accompagnarsi ad analoghe formedi marginalizzazione, peraltro con un costo sociale sensibil-mente superiore.67

 A questo punto si apre il problema più interessante. Abbiamo regolarmente confrontato con calcoli statistici le

modalità dei gruppi di novena e quelle dei gruppi di paese,sia per tutti i temi concernenti l’informazione (mobilità, mass media, istruzione), sia per tutti gli altri relativi ad orientamenti

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67. Pare che in questo senso cominci a profilarsi, soprattutto nelle zoneinterne a differenza di quelle poche ad alta industrializzazione, la ten-denza verso una scuola che promuove entro e oltre l’età dell’obbligo,per rinviare a un poi, comunque presente, i problemi di un’immissionenon qualificata nel mondo del lavoro. Il discorso meriterebbe ben altrospazio – ed è quanto stiamo esaminando in collaborazione con alcunigruppi di studio.

scolarizzazione dei due gruppi sembra costituire l’indice piùprobabile del fatto che alla novena si vada anche secondo

una certa selezione di censo. Alla lunga festa vanno forse i più poveri, relativamenteallo standard paesano: ma quale orientamento culturale por-tano con sé? In che misura differisce da quello del gruppodei compaesani?

Su questo punto i vari confronti tra novena e paese non cihanno dato, nel complesso, che analogie. Ma allora: in che mi-sura attualmente la scuola incide come elemento di trasforma-zione? Nel confronto interno ai nostri due gruppi risulta un’uni-ca evidenza: incide come importante covariante rispetto alladeterminazione di frequentare una novena. Non incide in nes-

sun modo rispetto all’utilizzazione o meno dei mass media,non incide rispetto alla conservazione o al rifiuto di tutte quel-le ideologie e istituti tradizionali, che ci restano da esaminare.

Da questo punto in poi, ci siamo resi conto che l’opera-zione da fare era di penetrare analiticamente entro tutti gliaspetti «tradizionali» (istituti, ideologie), che i nuovi tipi di in-formazione finora hanno intaccato in maniera ambigua econtraddittoria: anzi, alla resa dei conti, hanno confermatoin funzione chiaramente conservatrice. Tra essi, anzitutto, lanovena e le sue motivazioni.

La promessaIl motivo che spinge ancora le persone a frequentare un

novenario è soprattutto di ordine religioso.

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68. Si veda quanto detto alla nota 60.

Ci sono anzitutto coloro che hanno fatto una «promessa».Sono il nucleo più importante, sia per numero che per pre-stigio: al vertice di una scala di devozionalità, conferisconoalla novena la pienezza dei suoi significati (tab. 26).

Che cosa ha chiesto o ha da chiedere al Santo? La richie-sta è essenzialmente una: la salute, per sé o per i familiari(tab. 29).

Possono essere incidenti scampati, guarigioni ottenute o

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solennizzasse con una novena il nuovo nucleo familiare: ora – a parte poche eccezioni – ci si limita per lo più a un pelle-grinaggio di un giorno. Anche in questo settore, è specializ-zato S. Francesco di Lula, il santo cojuadori (pronubo) cuiancora adesso le ragazze vanno a rivolgere una segreta esperanzosa preghiera.

L’importanza del vincolo familiare è sottolineata ancheda altre motivazioni: i casi non sono moltissimi, comunque

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ancora da ottenere, buona salute da conservare: tutta unacasistica individuale, che peraltro si organizza attorno a un

unico tema. Tutte le ansie si indirizzano verso il dato biolo-gico primario: la salute, oggetto di una lotta concorrenzialetra i due diversi poteri istituzionali della Chiesa e della medi-cina. La taumaturgia dei santi – in Sardegna come altrove – sarebbe oggi indecifrabile se non la si misurasse anche inrapporto alle deficienze delle istituzioni sanitarie e alla pri- vatizzazione dell’industria dell’ammalato.

Lavoro, benessere economico,  status sociale sono impli-citi corollari del fatto primario di star bene fisicamente. Perquesto, tra le motivazioni della novena compaiono piuttostodi rado il ringraziamento per un lavoro ottenuto, per del de-

naro guadagnato con maggiore o minore fortuna.Comunque, anche per questi casi, l’ansia si indirizza inegual misura verso la propria persona o verso la situazionedi membri della famiglia. Per questi ultimi, i momenti criticipossono essere vari: disoccupazione, assenze penose e im-produttive, come la prigione o il servizio militare, giusta-mente equiparati.

L’aiuto dei santi – e in particolare prevedibilmente di S.Francesco – può anche far recuperare un giogo di buoi ru-bati, aiutare a vincere una causa facendo magari attribuireun’eredità contesa, può far piegare la fortuna facendo final-mente arrivare una sospirata pensione. Sono tutti eventi de-terminanti per il bilancio di una famiglia.

Qualche volta si fa una promessa per avere dei figli oper realizzare un matrimonio. Fino a pochi anni orsono eraabbastanza frequente l’uso che una giovane coppia di sposi

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interessanti. Anzitutto, posso fare una novena perché in un momento

di mio bisogno, un parente ha fatto la promessa per me; agrazia ottenuta mi sento vincolato a seguire questa sua deci-sione. Può essere uno dei sistemi utilizzati dalle donne perfar valere la propria autorità su figli o mariti.

Un altro tipo di promessa è significativo del persisteredel vincolo familiare anche nel corso delle generazioni.Quando una persona muore prima di avere avuto la possibi-lità di assolvere il proprio voto, la sua anima può tornare insogno a un parente o a qualche persona del vicinato, per ri-cordare il dovere inadempiuto. I parenti si trovano nell’obbli-go morale di fare la novena per lui: pena, in caso contrario,

il suo ritorno dal purgatorio sotto forma di sogno ossessivo.È questa anche l’unica occasione in cui chi sia in lutto ha ilconsenso sociale di uscire di casa e partecipare a una festa.

Le motivazioni di una novena Al gruppo-leader di chi ha fatto una promessa segue, per

numero e per significatività, chi va alla novena per genericiintenti devozionali; c’è poi una fascia, più ristretta, di chi vie-ne per accompagnare qualche familiare e infine, al limiteestremo di una scala di devozionalità, chi viene dichiarata-mente mosso da un intento laico di villeggiatura (tab. 26).

Quest’ultimo è un fenomeno ancora tendenziale, e per ilmomento caratterizza solo alcuni novenari e non altri: peresempio, a S. Cosimo il 48% degli intervistati va per villeg-giare, mentre, all’opposto, a S. Francesco l’81% si reca anco-ra per promessa. Tra questi due estremi, gli altri novenari si

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situano con gradazioni diverse di devozionalità, ma con unacaratterizzazione laica del tutto irrilevante (tab. 27).

Motivazioni della novena e relative capacità di iniziativa – è chiaro che chi va per accompagnare ne ha di meno – siarticolano secondo variazioni significative rispetto al sesso ealle classi d’età (tab. 28).

 A fare una promessa sono più le donne degli uomini, epiù le anziane che non le giovani, secondo una scala di pro-

i i i ifi i Al i i iù i i h

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Questo diversificarsi delle motivazioni appare indubbia-mente connesso a ben precisi orientamenti che la societàtradizionale assegna ai ruoli dell’uomo e della donna.

Ma c’è anche dell’altro, che intuiamo presente dietroquesta catena di pretesti, di rinvii di responsabilità: è unaspecie di grande voglia di godere, che è lì, impellente e pal-pabile – soddisfatta e ritualizzata perfino – ma che in qual-che modo sente il bisogno di mascherarsi.

P i i i ll i i di d

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gressioni significative. Al contrario, ci sono più uomini che vengono per villeggiare; e anche tra questi, sono più nume-

rosi i giovani dei vecchi.In questi casi, è difficile stabilire quanto si debba a unatendenza alla laicizzazione dei novenari o a differenze gene-razionali rispetto alla pratica religiosa in genere. C’è ancheperò da fare i conti col notevole grado di autorità che ladonna anziana e sposata esercita sugli altri membri della fa-miglia, per convogliarli alla novena: figlie, sorelle minori, ni-poti e soprattutto i maschi di casa.

Chi va per accompagnare sono infatti soprattutto le don-ne della prima classe d’età e gli uomini in genere; c’è ancheuna certa tendenza maschile, più che femminile, a venire a

novenare perché oggetto di promessa.Di fatto, la posizione del maschio alla novena è piena dicontraddizioni. C’è una minoranza attiva di giovani che tendead affermare la laicità del proprio atteggiamento. Per il resto,69

l’uomo tende a enfatizzare in misura assai minore l’autonomiadella propria decisione, sia avanzando motivi genericamentedevozionali sia, al limite, dichiarando di non venire per vo-lontà propria, ma perché così hanno deciso le donne di casa – salvo poi divertirsi e ubriacarsi con notevole piacere. Insom-ma: per andare a godersi la novena si è creata una catena diquesto genere: la donna va perché così vuole il santo, l’uomo va perché così vuole la donna. D’altra parte l’uomo si è riser- vato tutta quella serie di compiti organizzativi, che fanno dilui il principale supporto della novena.

202

69. Si notino gli scarti significativi tra M3 e F3.

Per avvicinarci alle ragioni segrete di questo godere ma-scherato, abbiamo cominciato a impostare qualche doman-

da, a proporci alcuni confronti.Godimento e sacrificio

 Agli occhi dello spettatore estraneo, ogni pellegrinaggio,ogni festa in onore di un santo, ogni novenario è un mo-mento di contraddizione, e non solo per la coerenza entrocui convivono magia e religione, «profano» e «sacro».

C’è in particolare un punto qualificante, che contraddi-stingue una festa, diciamo così, moderna, da una arcaica: èla sua motivazione. Una serie di alibi religiosi ricopre comeun bozzolo l’impossibilità strutturale di riconoscere che, as-

sieme agli altri, si sta godendo. L’uomo si copre dietro lespalle della donna; tutti dietro quelle del santo, che si ha daringraziare per un pericolo scampato o da scampare. Tutti inmille gesti quotidiani mostrano di godere di questa eccezio-nalità corale: ma, una volta interrogati con una domandaprecisa, una metà circa riconosce di «divertirsi», l’altra metàdi «starci per sacrificio, per devozione» (tab. 30), affermando,al posto del godimento, il valore della rinuncia.

Da che humus culturale si attinge questo atteggiamento?Prima di affrontare discorsi generali, abbiamo provato a

fare qualche confronto. Abbiamo scelto, per questo, dueesempi di socialità comunitaria di tipo tradizionale che aves-sero motivazioni molto distanti tra loro, rispetto almeno allatematica del godere: matrimoni e funerali. Matrimoni e fune-rali sono anche le uniche occasioni che il gruppo abbia di ri-costituirsi, in modo intero o parziale, al di fuori delle grandi

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solennità calendariali, di cui la festa campestre è ora l’ultimoesempio significativo. Dei due, è l’evento luttuoso ad essereprivilegiato come momento in cui tutta la comunità deve fa-re appello alle proprie forze, riconoscendo la morte e affer-mandosi contro di essa e dispiegando, come nella festa, l’in-tera sua presenza.

Il matrimonioCome tutti sanno un matrimonio di paese è una cosa

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Questa limitazione non è solo riducibile a una questionedi costi. Alla festa nuziale si va selezionati secondo sesso,età e rapporti di parentela o amicizia (tabb. 31-32).

Il matrimonio è un evento comunitario, ma la festa è pre- valentemente un fatto domestico. Nei paesi, vi partecipano so-prattutto i parenti, e in misura minore gli amici; la situazione sipuò capovolgere in città, a Nuoro, dove possiamo notare uncerto allentarsi dei legami parentali a vantaggio di quelli ami-cali (tab 32)

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Come tutti sanno, un matrimonio di paese è una cosamolto importante, dato che significa riconoscimento, da partedel gruppo, della legittimità di un nuovo nucleo familiare. Lecose non sono poi tanto diverse anche a livello urbano: almassimo ne varieranno gli stili. Nei paesi sardi, specie quellidell’interno, una festa nuziale comporta lo scambio di doni(che attualmente avviene secondo modelli neoborghesi e nonpiù secondo le forme protocollari della vecchia tradizione) eun grande banchetto, in cui si invitano parenti, compari eamici, i quali possono continuare a far festa per alcuni giorni,anche dopo che gli sposi se ne sono andati. Al costo della co-struzione della casa, che ogni nuova coppia tende ad avere diproprietà, viene così ad aggiungersi il costo notevolissimodella festa nuziale: sono questi i due principali elementi di or-

dine economico che determinano in Sardegna una media cosìalta di matrimoni tra coppie non più giovanissime.70

Un matrimonio in paese è un evento. Tutti ne sono inqualche misura partecipi: tutti ne sono informati, chiunquepuò occhieggiare in chiesa, assistere al viavai degli invitati.Non tutti però possono partecipare alla festa domestica, cioè algrande banchetto. Abbiamo chiesto al gruppo di novena e aquello di paese se negli ultimi tre mesi fossero stati a una festanuziale: la percentuale di chi non c’era stato è alquanto alta.

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70. Sull’età media degli sposi sardi, molto elevata rispetto sia alla medianazionale che alle medie regionali, cfr. A. Golini,  Aspetti demografici 

della Sardegna, Milano 1953, pp. 57, 65, 75. L’A. attribuisce questo feno-meno non tanto a ragioni economiche (nella Sicilia, egualmente povera,ci si sposa in età molto più giovane) ma a fattori culturali, peraltro nonchiariti. Di fatto, il matrimonio in Sardegna è un evento economico-so-ciale da pianificarsi nell’ambito dell’intero bilancio familiare.

cali (tab. 32).La selezione secondo età avviene nel senso che alla fe-

sta nuziale sono presenti più i giovani degli anziani: sono icoetanei degli sposi o, in genere, quella gioventù che dà «al-legria» e «speranza» al futuro della coppia.

La selezione secondo sesso avviene nel senso di unacerta esclusione delle donne: gli uomini hanno molte piùpossibilità di essere invitati (tab. 31).

Nel rivedere i dati di questo sondaggio mi venivano allamemoria varie immagini di banchetti nuziali paesani, granditavolate in cui prevale l’elemento maschile, mentre le donne – amiche o parenti della sposa, non invitate alla festa, ma te-nute a collaborare, e che almeno da una settimana hannosgobbato come negre – si danno da fare per servire in tavo-

la e fare la loro «bella figura».La festa nuziale ci offre, capovolta, la situazione della no- vena: le organizzatrici ne sono le donne, gli utenti gli uomini.

Perché questa distribuzione delle parti? Anzitutto, ladonna trova il modo di affermare il suo ruolo di grande or-ganizzatrice domestica proprio nell’occasione in cui si solen-nizza l’istituto familiare. Ma il matrimonio è anche una festache non può avere alcun alibi devozionale: non c’è nessun«sacrificio» da fare. E questo per le donne è inammissibile.

Il funerale

Che succede invece a un funerale? Abbiamo riproposto domande analoghe a quelle sullefeste nuziali, e ne è emerso un quadro ben diverso.

 Ad almeno un funerale hanno partecipato di recentequasi tutti: maschi e femmine, giovani e anziani – con una

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certa tendenza alla quasi totalità di questi ultimi, i più vicinialla morte (tab. 33).

 Alla donna, poi, in particolare, sarà lecito «godersi» un fu-nerale, dal momento che nessun biasimo sociale viene a co-prire, in un’occasione tanto seria, la sua uscita in pubblico.Messe, funerali e novene – cioè momenti di pietà, sacrificio erinuncia – sono le grandi occasioni per l’esprimersi di questoassociazionismo femminile di emergenza.

La questione è comunque più generale: un funerale coin

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perfettamente superfluo tornare sull’argomento, se non fos-se per chiedersi in che misura questo istituto sia ancora at-tuale entro la nostra zona d’inchiesta e in che misura l’ideo-logia e la drammatizzazione della morte che esso comportapossano inerire al medesimo orizzonte culturale da cui emer-gono socialità e «godimento» della novena.

Il lamento funebre è ancora un istituto molto importantenelle tre comunità di Orosei, Mamoiada e Oliena: soprattuttoin quest’ultima Bitti è in situazione intermedia mentre Nuo

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La questione è comunque più generale: un funerale coin- volge tutti, per esso non ci sono selezioni. Tutta la comunità

ne è implicata molto al di là dei legami di parentela, di ami-cizia o di vicinato. Al limite, più della metà del gruppo degliolienesi potrà dire di essere stata, ultimamente, al funerale diun «compaesano qualsiasi» (tab. 34).

L’evento luttuoso è forse l’unica occasione, al di fuori del-le solennità festive calendariali, che comporti la ristrutturazio-ne dell’intera comunità di paese (Mamoiada, Orosei, Oliena).

In città invece (Nuoro) può emergere una notevole ten-denza riduttiva, nel senso che un funerale interessa la solacerchia familiare e amicale: la dispersione urbana ha contri-buito in notevole misura all’assunzione di nuovi modelli dicomportamento di fronte alla morte. E anche la cattolica Bit-ti ha accettato con coerenza queste «innovazioni», allinean-dosi agli standard della città. Il suo alto grado di osservanzadella pratica religiosa cattolica (che analizzeremo più avanti)riflette molto probabilmente una volontà di imitazione dimodelli borghesi, a loro volta veicolati da quella prestigiosaélite di intellettuali che, pur vivendo in città, conservavano econservano tuttora vivissimi rapporti col paese d’origine.

Persistenza o fine dell’istituto del lamento funebre ri-sponderanno, a loro volta, a questo tipo di logica.

Il lamento funebre

Sul lamento funebre nelle comunità del meridione deMartino ha detto cose tanto fondamentali,71 che sarebbe

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71. E. de Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958.

in quest ultima. Bitti è in situazione intermedia, mentre Nuo-ro tende a rifiutarlo, anche se certe frange ne possono conti-

nuare [l’uso] a livello dei quartieri più poveri.Ma è anche un istituto in crisi: l’andamento generaziona-le ci dice che i più giovani tendono molto meno degli anzia-ni a indicare che al loro paese «si fa sempre» (tab. 35).72

I più giovani sono anche più polemici, nella misura incui tendono a dar valutazioni più negative; si può anche ag-giungere che c’è stato un più rapido e progressivo processodi cambiamento fra le donne che, partite da iniziali posizionidi disparità rispetto ai maschi, tendono ora ad allinearsi sulleloro posizioni (tab. 36).73

Ma la stessa polemica è imbrigliata, parziale: si può an-che arrivare, tra i più giovani, a un 40-50% di devalutazionedell’istituto («è male»), ma c’è anche una grande fascia di chinon sa personalmente prendere posizione, non approva nédisapprova e lascia che gli altri si regolino come meglio cre-dono. L’accettazione del «si fa così» costituisce, di fatto, il piùforte collante della tradizione.

La coscienza della crisi emerge semmai da un altro ordi-ne di osservazioni: quelle relative alla attuale incapacità deigiovani a eseguire il lamento funebre (tab. 37). Gli anzianipossono illudersi dicendo che è sempre stato così, dato che

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72. Gli M1 del gruppo di novena tendono ad affermare come le F2 che

il lamento funebre «si fa sempre». Ma, la loro risposta, rispetto a quellasicuramente più tradizionalista delle donne, è di polemica. Gli M2 delgruppo di novena tendono infatti a valutare negativamente l’istituto.73. Il cambiamento generazionale tra gli M non dà quasi scarti signifi-cativi, a differenza di quanto avviene tra le F.

quella della lamentazione rituale è un’arte che si acquista so-lo con lunghe esperienze; chi è più consapevole sa che igiovani oggi non impareranno più i canti del passato.

Tradizionalismo e relativa crisi non sono però solo riduci-bili a un fatto di generazioni. Anzitutto gli orientamenti dellediverse comunità si dispongono secondo una piramide benprecisa. Oliena è al vertice: qui quasi tutti (83%) riconosconoche il lamento funebre «si fa sempre». Seguono Orosei e Ma-moiada; il gruppo dei nuoresi è prevedibilmente al gradino

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sua ideologia. Come quella nei confronti della magia, la pole-mica nei confronti del lamento funebre si è venuta svolgendoall’interno di un medesimo ambito di condizionamenti sociali,per cui l’incompatibilità della visione «pagana» e di quella «cri-stiana» della morte finiva per trovare un punto di incontro nel-la comune volontà di riconoscimento di una morte che l’uo-mo dalla nascita porterebbe entro le sue carni.

Un esempio sardo, tra i molti possibili. A Orgosolo sicanta un gozos molto bello: il gozos de sa morte in cui si af-

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moiada; il gruppo dei nuoresi è prevedibilmente al gradinopiù basso della scala (46%); Bitti è in situazione intermedia e

risponde, più o meno in misure eguali, che il lamento fune-bre si fa sempre, o non si fa, o è fatto solo in occasioni ecce-zionali come morti premature o violente (tab. 38).

Quest’ultima indicazione, segno di un primo incrinarsidell’istituto, emerge anche tra i gruppi più tradizionalisti diOrosei e Mamoiada: non ancora ad Oliena.

In analoga scala di tradizionalismo queste località si dis-pongono anche rispetto alla presenza, o assenza, nelle fami-glie degli intervistati, di persone che sappiano fare il lamen-to funebre (tab. 39). Lo stesso anche per la valutazionedell’istituto: Bitti e Nuoro si distinguono perché lo negativiz-zano molto di più (tab. 40).

Da questo sondaggio, sembrerebbe che il rifiuto cattoli-co del lamento funebre abbia avuto successo solo entro unnucleo urbano e in quella particolarissima comunità di pae-se, che aspira agli standard del primo.

Dirompente in questo senso – oltre al generale sfaldarsidei legami comunitari tradizionali – sembra essere l’imposi-zione di altri modelli di comportamento rispetto alla morte.

La polemica cattolica nei confronti del lamento funebreha, di fatto, avuto successo solo entro ambiti urbani e inquelli rurali meno marginalizzati rispetto ad essi. E bisogne-rebbe chiedersi in che misura questo non sia un fatto sovra-strutturale rispetto alle varie emergenze, nella storia, di de-terminati ceti sociali.

Sta di fatto che proprio entro il mondo rurale il cattolicesi-mo palesa con tutta evidenza la matrice precapitalistica della

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canta un gozos molto bello: il  gozos de sa morte , in cui si af-ferma e ribadisce con varie immagini di precarietà attinte

dall’esperienza del contadino (vento e tempeste, fiori, ombree nuvole, vecchiaia, ecc.), un unico principio:

Ogni die nos morimus e a sa morte non pensamus.

Così nel ritornello. Ora, questo  gozos , pur essendo for-malmente modellato su quelli di origine e destinazione ec-clesiastica, ha un’origine e destinazione laica: non contieneriferimenti né a Dio né ai santi, è cantato nelle bettole cometema conviviale in cui il gruppo riconosce e ricorda la mortecome inerente ad ogni momento di vita e di gioia. Cattolice-simo e base contadina sembrano, insomma, condividere unaconcezione della morte sostanzialmente unitaria.

Per tornare al lamento funebre, se l’istituto entra solooggi in crisi nelle campagne del meridione e delle isole, nonlo si può attribuire né a fatti sovrastrutturali, come la predi-cazione del cattolicesimo, né a generiche motivazioni eco-nomiche, come una ipotetica fine della «miseria» del Sud (deMartino).

Lamento funebre, magia, novene, ecc., con tutte le loropiù o meno graduali compromissioni con l’ideologia cattoli-ca, entrano in crisi in rapporto alla fine di un’età feudale chein Sardegna sta languendo da circa solo un secolo.

In particolare, poi, il modello di quella «felicità» neobor-ghese che rifiuta di riconoscere il volto della morte (penso,al limite, ai cadaveri imbellettati statunitensi) sta riuscendo a

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far breccia in quelle comunità che sinora hanno solennizzatola morte con il lamento funebre e la partecipazione comuni-taria ai funerali.

 A Oliena, Orosei, Mamoiada e in parte a Bitti, questi attisociali non significano solo modi di controllare la crisi delcordoglio. Significano anche una volontà culturale di ricono-scimento della morte come segreta vibrazione che accompa-gna ogni forma di vita. La morte viene riconosciuta, non ma-scherata Ha un significato

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

esattamente come la morte, sono il grande tema unitario diuna serie di istituti in apparenza così eterogenei come un fu-nerale o una festa campestre. Si tratterà, a suo tempo, dichiedersi perché questo nucleo ideologico debba servire damotivazione (o da copertura ideologica) di un momento dicoesione sociale in cui, accanto al «mi sacrifico» sia presente,in eguale misura, il «mi diverto».

Limitiamoci dunque, per il momento, a prendere attodella cosa e vediamone semmai gli aspetti differenzianti

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scherata. Ha un significato.Nelle comunità rurali, la morte è molto più di casa. Si

impara a conoscerla da bambini, quando si va a «vedere ilmorto», senza riceverne quei traumi che vogliamo evitare ainostri figli. Per quanto una morte comporti il rischio della fi-ne di un nucleo familiare e di tutta quanta la struttura comu-nitaria – e forse soprattutto per questo –, non si rispondecon una fuga.

Il tema della morte riesce a far convogliare attorno a sétutti gli interessi del gruppo: esattamente come, per il nove-nario, ci si riconosce tutti attorno al tema della malattia.Questa correlazione è dimostrabile (almeno in via tenden-ziale) anche sul piano statistico. C’è una tendenza a valutarepositivamente il lamento funebre e ad ammettere di aver fa-miliari che lo sanno eseguire, se si va alla novena per «pro-messa». Le posizioni si invertono invece per chi va per «ac-compagnare» o per «villeggiare» (tabb. 41-42).74

Una certa – e ancora iniziale – liquidazione dell’ideologiadella morte sembra accompagnarsi, insomma, a una tenden-za a non più mascherare la propria festa dietro il pretesto de- vozionale della «promessa». «Malattia», «sacrificio», «rinuncia»,

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74. Abbiamo provato un ulteriore confronto tra gruppo di novena egruppo di paese. Quest’ultimo si suddivide in due sottogruppi: chi hafatto una novena e chi non l’ha fatta. Questi due sottogruppi non si dif-

ferenziano in modo significativo né riguardo alle rispettive valutazionidel lamento funebre né riguardo alla presenza, nelle famiglie degli in-tervistati, di persone che sappiano eseguire la lamentazione. Questaanalogia di orientamenti viene ad aggiungersi agli indici di probabilitàche gruppo di novena e gruppo di paese siano analoghi.

della cosa, e vediamone semmai gli aspetti differenzianti.Questi parrebbero essere, nel complesso, più di caratterequantitativo che qualitativo. Una novena, una festa, sembra-no la paradossale unione di un rito funebre e di un rito nu-ziale – tenendo presente che anche a un rito nuziale si puòpiangere e a uno funebre si può ridere. Lo stesso lamentofunebre si può interrompere con pause di distensione, in cuii parenti non solo conversano pacatamente, ma possono ri-dere e scherzare rievocando in chiave grottesca particolarianeddoti della vita del morto.

Festa e novena sembrano porsi al vertice di una scala didisponibilità, di apertura sociale, riuscendo a convogliareentro un unico consenso i comuni temi della gioia e del do-lore, della vita e della morte.

Nell’ambito di una siffatta concezione della storia e deidestini dell’uomo, ci sembra si sia venuto a costituire nei se-coli un tale processo di circolazione orizzontale e verticale,per cui appare ormai indistinguibile quanto potrebbe esserederivato dalla predicazione cattolica da quanto potrebbe es-sersi originato da altri livelli della società, cioè dalla basedelle masse contadine.

Le contraddizioni nell’ambito del cattolicesimo A questo punto, è il momento di esplicitare un argomento

che, a ben guardare, ha costituito il sottofondo implicito diquanto è stato detto sinora: il problema dei rapporti tra i di- versi istituti tradizionali – di cui la novena non è che unesempio – e l’organizzazione cattolica: è evidente che la chie-sa col santo è il punto di riferimento ideale di tutto il vivere

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comunitario che si intreccia entro il luogo della novena.Cumbessíe senza chiesa sarebbero impensabili.

In linea generale, va premesso che la struttura cattolicaimpregna fortemente, a tutti i livelli del vivere comunitario, i vari comportamenti sociali nei momenti emergenti della na-scita, del matrimonio, della morte: tutti si battezzano, si spo-sano, hanno un funerale religioso (tranne la brevissima e ga-ribaldina parentesi dell’anticlericalismo olienese), anche se alatere possono continuare, in misura più o meno larga, prati-

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mutualità di «protezione» e «devozione» – che fornisce al subal-terno una sicurezza esistenziale e sancisce, valorizzandola, lapresenza di un mondo strutturato secondo gerarchie – è unalegge che inerisce a tutto il tessuto connettivo delle nostre co-munità. Su di essa il cattolicesimo si inserisce utilizzando, infondo, un linguaggio che è a sua volta tradizionale: nello stes-so tempo, indirizzerà questo linguaggio in senso tradizionale econservativo, per assicurarsi così una continuità di privilegi.

Ed è a proposito di questo preciso punto che emerge-

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latere possono continuare, in misura più o meno larga, pratiche tradizionali, che la Chiesa sembra rifiutare, almeno in via teorica. Ed è nell’ambito, ineliminabile e fondamentale,di questa struttura che è inserito anche il novenario, con lasua chiesa e il suo santo.

La persona del santo, la sua chiesa, sembrano costituireil centro di valorizzazione di un vivere comunitario e festivo,in cui ciascuno si riconosce nell’altro in quanto «riscattato»dal gruppo rispetto al santo. Quest’ultimo viene ad essereindicato implicitamente come origine ed esplicitamente co-me soluzione di ogni possibile male.

Questo secondo aspetto viene enfatizzato in misura no-tevole dalla chiesa, all’ombra delle cui sacrestie sono staticonfezionati i vari gozos in onore dei santi o della Madonna.La loro tematica generale ne celebra la vita-modello e so-prattutto la taumaturgia, cioè l’intervento salvifico o la prote-zione accordata in momenti esistenziali particolarmente criti-ci, come la malattia, il furto di bestiame, ecc.

È chiaro che entro tale contesto si dichiara in modo evi-dente la volontà della Chiesa di proclamarsi struttura egemo-ne. E non fu senza successo.

Questo peraltro era realizzabile solo nella misura in cuiil linguaggio cattolico si creasse un ambito di circolazione a vari livelli del consenso, cioè nella misura in cui esso stessosi facesse portavoce di orientamenti generalmente condivisi.

Come nei casi dei  gozos de sa morte , è entro il linguaggiocattolico che viene a trovare il proprio calco espressivo unorientamento culturale il quale è a sua volta il risultato di unhumus  economico e sociale ben preciso. In particolare, la

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Ed è a proposito di questo preciso punto che emergeranno le tensioni: tensioni, anch’esse, di necessità insorgentiall’interno di un unitario sistema di riferimenti.

Il cattolicesimo non è riuscito a far adeguare alla proprianorma tutti i livelli del vivere sociale. Ne è conseguito quel«contraddittorio» non allineamento delle masse rurali, già no-tato da de Martino e da Gramsci prima di noi.75

 Anche il novenario non appare interamente assorbitonell’area del cattolicesimo: e non solo per quei suoi aspettidi una socialità extra-ecclesiastica, che potrebbero sembrare«laici» e «pagani», e che tutto il paese invece giustamenteconsidera come parte necessaria allo svolgimento di qualsia-si festa. Possono scoppiare profondi conflitti di competenzetra autorità ecclesiastica e comitato organizzatore, che tendead affermare la propria autonomia giurisdizionale. Al nove-nario, al limite, è presente anche un buon numero di perso-ne che rifiutano la pratica religiosa cattolica.

Queste tensioni rinviano a un problema di fondo, che è ilcomplesso rapporto tra il livello dell’organizzazione egemonecattolica da un lato – strutturata secondo uno stabile sistemadi gerarchie di potere – e, dall’altro lato, il livello delle masserurali subalterne, organizzate secondo moduli profondamentedifferenti: la famiglia, il comitato, i vari sistemi di mutualità.

D’altra parte, queste diverse realtà si articolano entrambesu premesse ideologiche potenzialmente comuni, nella misu-ra in cui si fondano o tendono a fondarsi entrambe su basi di

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75. Cfr., in particolare, A. Gramsci,  La questione meridionale , Roma19703, e E. de Martino, Sud e Magia, Milano 1959.

ordine metastorico. Entro quest’ambito unitario è però, comesi è detto, il cattolicesimo a costituirsi a struttura ideologico-normativa e organizzativa dominante, in grado di fornire unlinguaggio ad ogni esperienza possibile.

Ne è conseguito che tensioni, antagonismi, patteggia-menti, si sono dati sinora entro un orizzonte culturale unita-rio, il quale ne costituisce lo sfondo comune.

La pratica religiosa alla novena

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Il comitato si occupa dell’organizzazione della festa inonore di un santo o che comunque si svolgerà attorno a unasua chiesa: ma vuole essere autonomo nell’amministrazionedei fondi, nella scelta dei divertimenti, nella sorveglianzadell’ordine interno al novenario, ecc. Al sacerdote spettanomansioni tecniche ben precise, che non devono interferire.

È il paradosso per cui vengono a novenare uomini cheda anni in paese non fanno la comunione e non vanno amessa, e che l’occasione straordinaria recupera solo in parte

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p g Alla novena, dicevamo, può partecipare anche chi rifiuti

di osservare la pratica religiosa. Anche qui, discriminanti sono età e soprattutto sesso.La lunga festa è per le donne anche occasione di pre-

ghiera: per gli uomini molto meno, per i giovani pochissi-mo. Le funzioni religiose del mattino o del pomeriggio sonofrequentate quasi esclusivamente da donne o da uomini an-ziani: basta entrare in chiesa per accorgersene.

Quanto alla comunione, tende ad essere un fatto relati- vamente eccezionale, nel senso che solo la metà circa deinovenanti si comunica ogni giorno, mentre il resto accede alsacramento una, al massimo due volte, o al limite non vi ac-cede affatto (tab. 44).

 Anche qui, i comportamenti si diversificano in misuraprofonda secondo sesso e classi d’età (tab. 43): mentre laquasi totalità delle donne si comunica, i maschi tendono afarlo sempre di meno: il 59% dei giovani della prima classed’età emerge per la sua astensione. Sono, in genere, gli stes-si che tendono ad accentuare le motivazioni laiche della loro«villeggiatura» o a deresponsabilizzarsi della presenza al no- venario, coprendosi dietro la decisione delle donne di casa.

Rapporto paradossale e non risolto, quello tra gli uominie la Chiesa.

 Al riconoscimento della sua autorità, implicito nel radu-narsi attorno ai suoi edifici e al culto dei suoi santi, si ac-compagna la tendenza a riconoscere alla Chiesa giurisdizio-ne sul solo ambito rituale, e possibilmente a limitarlo a unservizio di cui le principali utenti siano le donne.

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, p palla pratica religiosa.

È il paradosso del marito che afferma di venire perchécosì hanno voluto le donne di casa.

È il paradosso dell’anticlericalismo di buona parte dellapopolazione maschile di paese, che diserta la chiesa, tuonacontro i preti, e poi si raduna attorno a un santo per fareuna novena.

Caso limite, quello dell’amico operaio comunista di Nuo-ro, incontrato a S. Francesco. Ha offerto sette o otto giornatelavorative per la costruzione di una cumbessía, e continua afrequentare il novenario, pur affermando di non credere neisanti e di non riconoscere l’autorità della Chiesa. «Ma allora,perché l’hai fatto?». «Eh, perché S. Francesco è bello».

La pratica religiosa in paeseL’atteggiamento di maschi e femmine, giovani e anziani

alla novena ribadisce, evidenziandole, tendenze già ben pre-cisate nell’ambito della vita di paese.

Se non si tien conto della presenza della Chiesa in ognimomento emergente della vita individuale, e si ritiene deter-minante per una continuità di rapporto l’osservazione deiprecetti della messa e della comunione, ne risultano atteg-giamenti molto differenziati non tanto per classi d’età, quan-to per sesso. Non ci sono particolari scarti significativi tragiovani e anziani, tra gruppo di paese e gruppo di novena.Sono tutti altamente significativi tra maschio e femmina.

Il ruolo sociale ne determina i rispettivi comportamenti:la donna frequenta la chiesa, l’uomo no (tabb. 45-46).

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La donna non è eccessivamente beghina, è raro che sicomunichi ogni giorno, e può anche tralasciare senza troppiscrupoli il precetto domenicale, quando impegni di famigliae di lavoro la trattengono a casa. Però, nell’insieme, il suocontatto con la chiesa è assiduo. Disponendo, rispetto al-l’uomo, di una maggior quantità di tempo libero, ha scoper-to nella chiesa una zona consentita e l’ha utilizzata nei limitidel possibile, in quello spazio di libertà «vigilata» che è, didomenica, una chiesa popolata quasi solo da donne, con gli

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Quest’ultima critica è comunque particolarmente impor-tante, proprio nella misura in cui tocca uno dei gangli delpotere e del controllo esercitati dall’organizzazione ecclesia-stica nell’ambito della vita di paese. A sua volta, si accompa-gna spesso ad altre accuse sociali: parassitismo, volontà dipotere, sfruttamento economico del più povero.

È una polemica che non è peraltro in grado di far com-piere al personalismo della satira paesana quel salto qualitati- vo che la trasformi in analisi di classe e quindi in lotta di

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uomini che le aspettano al varco sul sagrato.Il maschio tende invece a rifiutare la pratica religiosa: la

rifiuta sul piano del comportamento, evitando di andare amessa e di comunicarsi, la rifiuta sul piano ideologico, deva-lorizzandola come comportamento «non da uomini, ma dadonne».

I motivi sono molti, e andrebbero esaminati con spregiu-dicatezza. Possiamo accennarne alcuni. Anzitutto, precisi mo-tivi di ordine economico, nel senso che i lavori dell’agricoltu-ra e della pastorizia scandiscono i loro ritmi diversamente daquelli settimanali della liturgia cattolica. L’uomo poi ha altrepossibilità di incontri: il luogo di lavoro, la piazza, la bettola.Queste a loro volta gli consentono l’assunzione di un gradomaggiore di atteggiamenti critici nei confronti dei «poteri» del-la Chiesa, che viene chiaramente individuata come antagoni-sta e organo di sfruttamento. C’è, ad esempio, tutta una ric-chissima tradizione di canti satirici, modellatisi per lo più sui gozos devozionali, che utilizza il linguaggio dell’osceno perdemolire la figura del prete.

Lo si accusa di non avere un ruolo sessuale definito – non è un vero «maschio» – e, proprio sfruttando questa inde-terminatezza, di sedurre e plagiare le donne. Una eccessivafrequenza alla chiesa viene considerata disdicevole, perchédistrarrebbe le donne dai doveri della casa, imposti dal loro

ruolo. Qui si mescolano tradizionalismo e critica consapevo-le: si vorrebbe subordinare la donna, che tende a fuggire dal-le pareti domestiche; si è gelosi del confessionale, in quantocentro non controllabile di scambio di informazioni.

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classe76 – sarebbe comunque antistorico aspettarsi il contrario – e che, se oggi comincia a mitigarsi, lo è in virtù di un più vasto ambito di trasformazioni. Il ruolo del parroco di paesecomincia ad essere messo in crisi, nella misura in cui anchein paese si sono formati altri centri di informazione e di col-legamento esterno: ad esempio, la scuola.77 Ma abbiamo vi-sto anche i limiti di democraticità propri a questi ultimi.

Cose da donneCi sono «cose da donne» e «cose da uomini», nell’ambito

ben preciso dei ruoli assegnati a entrambi i sessi.In quanto capacità di confronto derivante dai maggiori

contatti con l’esterno, la critica è riservata agli uomini. Reli-gione e magia sono invece «cose da donne».

In questo senso, si può dire che il cattolicesimo si sia in-serito entro una realtà culturale che l’ha recepito nella misu-ra in cui esistevano settori della società predisposti al suoaccoglimento: le donne.

Quello della magia era – ed è in parte tuttora – uno deigrandi ambiti in cui la donna affermava se stessa, tentandouna proiezione al di fuori della famiglia, che ne confermasseperaltro il ruolo materno.

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76. Per un’analisi analoga di proverbi e testi di letteratura cosiddetta po-

polare cfr. L. M. Lombardi Satriani, Contenuti ambivalenti del folklore ca-labrese: ribellione e accettazione nella realtà subalterna, Messina 1968.77. Sul ruolo tradizionale del parroco in Sardegna e l’inizio della sua at-tuale crisi cfr. A. Anfossi, Socialità e organizzazione in Sardegna; Stu-dio sulla zona di Oristano, Bosa e Macomer , Milano 1968, pp. 90 sgg.

Sceglieremo due esempi particolarmente significativi: ilcomplesso del malocchio e il ballo dell’Argia.

Il malocchioDall’inchiesta sul malocchio è risultato che, nell’insieme,

uomini e donne, giovani e anziani sono ancora coinvolti inmisura abbastanza rilevante in quest’ideologia, secondo cuiogni particolare stato di benessere è precario perché può venire colpito dallo sguardo «invidioso» dell’altro.

Il 37 5% degli intervistati afferma di essere al corrente di

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Di fatto, una verifica degli atteggiamenti nei confrontidella terapia magica del malocchio indica la presenza diorientamenti ancor più tradizionali: solo un 20% degli intervi-stati sostiene la totale inutilità della medicina del malocchio.Il resto delle risposte si dispone secondo una gradualità di variazioni nell’ambito di una sostanziale accettazione del da-to di fatto. Ci si rifugia soprattutto dietro risposte di compro-messo come «la medicina serve a chi crede». Il che significa varie cose: per gli orientati in senso più tradizionalistico indi-ca che la medicina serve solo se la persona che la riceve ha

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Il 37,5% degli intervistati afferma di essere al corrente dicasi in cui si è veramente verificato il malocchio; solo il 20%

dichiara che le medicine tradizionali sono assolutamente inu-tili. È questa la parte meno dubbia delle nostre informazioni,che induce a riflettere sull’ambito di diffusione della credenza.

La prima domanda, che coinvolgeva in via diretta era:«Conosce persone che dicono di essere state prese dal ma-locchio? Se ne conosce, in questi casi il malocchio si è vera-mente verificato?». A questa domanda le risposte tendono asuddividersi in due gruppi quasi paritetici di affermazioni edi negazioni, con in mezzo la fascia minoritaria e più flut-tuante dei «ci credo e non ci credo» (tab. 47).

Un po’ più bassa (circa il 25%), comunque sufficiente-

mente significativa perché tocca ancor più da vicino le vi-cende personali, è la percentuale di chi riconosce di esserestato vittima di episodi di malocchio (tab. 48).

Un dato che comunque emerge con una certa evidenza èche, nel complesso, la credenza nel malocchio presenta una li-mitata dinamica tra generazioni e anche una non grande diffe-renziazione tra l’atteggiamento degli uomini e quello delledonne. C’è stato un certo cambiamento tra le giovani, che oratendono a credere meno, rispetto al passato: ma il cambia-mento non è tanto profondo, da incidere in modo significativosulla globalità degli atteggiamenti. Anche gli scarti tra gruppodi novena e gruppo di paese sono del tutto circoscritti.78

218

78. La tab. 47 non presenta scarti significativi; mentre M3 e F2 di nove-na tendono di più ad ammettere di aver avuto casi personali di maloc-chio (tab. 48).

ca che la «medicina» serve solo se la persona che la riceve «hala fede», cioè fede in Dio, fede nell’efficacia della medicina,

fiducia in chi l’impartisce. C’è, d’altra parte, tutta la frangia dichi può affermare di non credere, per principio, all’utilità diuna medicina che peraltro, in fondo, può funzionare se chi lariceve ci crede (tab. 49).

 Anche su questo argomento, qualche cambiamento c’èstato. Le donne tendono ora a credere sensibilmente menoche in passato nell’efficacia delle terapie tradizionali: ma si-tuare tra le diversità di generazioni e di sesso la grande flui-dità di tutti i giudizi intermedi non è facile. E anche in que-sto caso, gli scarti tra gruppo di novena e gruppo di paesesono limitatissimi.79

Insomma: nei confronti del malocchio, sul piano pratico,si continua ad essere molto più disponibili che su quelloteorico. Un atteggiamento così tollerante è indice di un’ac-cettazione del dato di fatto tradizionale, non solo da partedella donna, ma anche da parte dell’uomo.

Per quest’ultimo, riconoscere che le medicine del maloc-chio «servono a chi crede» significa spesso: io non ci voglioentrare, questi interventi son cose di donne e, se per loro van bene, van bene anche per me. In altre parole, significail riconoscimento, da parte dell’uomo, del ruolo tradizionaledella donna in tutto il settore della magia.

Di fatto, tutta l’iniziativa può essere nelle mani delledonne solo in virtù di un implicito riconoscimento maschile.

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79. Unico scarto significativo tra gruppo di novena e gruppo di paese:le F1 sensibilmente più tradizionaliste nel gruppo di novena.

I ruoli sono esattamente ripartiti come nei novenari: l’inizia-tiva è della donna, l’uomo lascia fare, ma convalida. Il ma-schio, in altre parole, riconosce l’esistenza di una scala gerar-chica, che vede lui al vertice, ma assegna alla donna compitiben precisi.

La donna ha da mediare – sul piano magico-religioso – certi difficili rapporti. La sua posizione di subalterna (ricono-sciuta e non contestata) le consente di riscattare il proprioruolo trasformandolo in quello di mediatrice con il mondod ll di f i

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Il ballo dell’ArgiaIl tarantismo pugliese descritto da de Martino è una festa

prevalentemente di donne, le quali una volta l’anno, in oc-casione del giorno di S. Paolo, compiono danze rituali, chein passato potevano anche assumere connotazioni di unanotevolissima libertà. La danza viene considerata come unesorcismo per la liberazione dalla tarantola, che periodica-mente «possiede» e fa soffrire, se non viene eseguito il ritua-le prescritto.80

I S d ’ l di l fi hi i f

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delle «potenze di fuori».È più probabile che sia una donna, e non un uomo, a

«mettere l’occhio»; sono le donne in genere a fare la primadiagnosi; sono esse che decidono di recarsi dalla «donnaadatta» che faccia la «medicina».

Le guaritrici possono essere molte o poche, a secondadella tradizione locale. A Mamoiada, per esempio, vige unasorta di polisciamanesimo diffuso, nel senso che molte ma-dri di famiglia conoscono la «medicina dell’occhio»; a Oro-sei, tra le varie, ce n’è una sola rinomatissima, che abitanella «corte di S. Antonio» (vecchie cumbessíe adibite ora alricovero delle famiglie più indigenti) e che afferma di esse-re in grado di riconoscere la localizzazione dei vari mali,perché avverte la sofferenza dell’altro nelle parti corrispon-denti del proprio corpo. Negli altri paesi, la situazione è in-termedia.

In ogni caso, il protettivo e rassicurante ruolo di esorci-sta assegnato alla donna viene a ribadirne, in via indiretta,quello principale di autorità «materna» nell’ambito della fa-miglia.

Lo stesso è per il novenario, la cui funzione non è ridu-cibile a quella di un eventuale «compenso» a una pur esi-stente marginalizzazione sociale. Abbiamo visto che, propriomediante un’apparente evasione dalla famiglia, la donna fi-

nisce col confermarne solennemente l’istituto.Si è parlato anche di un certo relativo maggior grado di

autonomia della donna sarda rispetto a quella del meridione.Possiamo fare un confronto molto indicativo.

220

In Sardegna c’era qualcosa di analogo fino a pochi anni fa(ora comunque in via di quasi completa estinzione): era il ballodell’Argia, anch’esso esorcismo coreutico-musicale per l’allonta-namento di un nume-ragno, l’ Argia, che ha colpito una perso-na, quasi sempre un uomo. L’esorcismo non ha calendarizza-zione annuale, ma più o meno ogni estate capitavano casi diuomini sofferenti, perché effettivamente punti dal velenoso la-trodectus tredecim-guttatus  – a differenza dalle tarantate puglie-si, che peraltro mimano uno stato di avvelenamento simbolico.

In Sardegna il rito assume varie forme: comunque, pro-prio nelle zone centrali dell’isola, il corpo esorcistico è for-mato quasi esclusivamente da donne (tranne un suonatore)che impersonano nella danza il nume velenoso e si danno acomportamenti liberissimi, di un grado notevole di oscenitàmimica e verbale.

Formalmente, i due rituali hanno una serie di somiglian-ze che sono state a suo tempo rilevate e descritte.81

Qui ci importa notare una differenza essenziale nel ruo-lo assunto dalle donne nel tarantismo pugliese e nel ballodell’Argia sardo: nel primo caso, le donne sono  pazienti daesorcizzare, nel secondo, sono esorciste che eseguono il rito,spesso imponendolo con la forza del numero, sopra un uo-mo sofferente ed inerte.

In entrambi i casi, il «pretesto» magico-religioso copre la ne-

cessità sociale di una disinibizione che si canalizza e delimita

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80. E. de Martino, La terra del rimorso, Milano 1961.81. C. Gallini, I rituali dell’Argia, Padova 1967.

nell’ambito di ben precise iterazioni stagionali. In entrambi i ca-si, non viene socialmente riconosciuta la possibilità di un gode-re quotidiano che sia libero da qualsiasi remora. Se si pensa ainovenari, il clima che ne risulta è analogo.

Ma, rispetto al ruolo di paziente assegnatole nel taranti-smo pugliese, il ruolo di esorcista conferito alla donna nelrituale catartico dell’ Argia rinvia a un ordine di maggiori li-bertà e responsabilità, forse possibili in misura maggiore inSardegna che non entro quell’area culturale meridionale,

d ll t i i d i i d ll’i fl z i l i

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Le terapie «magiche» possono essere diverse. Non le stia-mo a descrivere: ci interessa solo notare che chi le ammini-stra sono le solite «donne adatte».82

La terapia «religiosa» comporta invece l’intervento del sa-cerdote che, più o meno consapevole del fine per cui staoperando, impartisce una benedizione o legge i Vangeli difronte all’esorcizzando.

 Abbiamo rivolto alcune domande relative alla presenza,in paese, delle diverse forme di terapia dello Spavento e alla

l t zi d ll’ tilità d ll’ d ll’ lt

VI. Le motivazioni 

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modellata ormai in modo massiccio dall’influenza islamica.Questo notevole ruolo magico-religioso della donna le

conferisce dei prestigi, che non sarebbero inerenti a una si-tuazione totalmente subalterna.

Di qui, l’atteggiamento ambiguo nei suoi confronti del-l’uomo, che, pur svalutandone le iniziative magico-religiose,finisce per muoversi al loro traino.

Di qui anche il prezzo che oggi si trovano a dover pagarele nuove generazioni di donne, che debbono far certe rinuncenel momento di ricerca di una maggiore autonomia del lorosesso rispetto ai condizionamenti familiari tradizionali.

Il canale delle donne

Proprio nella misura in cui anche la pratica magica fa ri-ferimento a un ordine metastorico, il suo canale è in grado diessere utilizzato per convogliarvi altri messaggi analoghi, maa loro volta provenienti dalle strutture egemoni della Chiesa.

Possiamo analizzare da vicino, con un esempio partico-larmente significativo, le modalità di questo percorso.

Tra le varie malattie di ordine magico, c’è anche quelladello Spavento ( Assustu): uno Spavento mitizzato e personi-ficato, che si ritiene in qualche modo connesso alla terra e al-le anime dei morti. È il riconoscimento che paure, angosce,tensioni costituiscono parte del vissuto comunitario, contro il

quale ci si ha da difendere tutti assieme.L’ideologia è alquanto diffusa, ma variano invece gli

orientamenti in rapporto alle pretese connotazioni «magiche»o «religiose» delle sue diverse forme di terapia.

222

 valutazione dell’utilità dell’una o dell’altra.La terapia magica era, in genere, più utilizzata in passato,

nel senso che, almeno tra le donne di paese, le giovani ten-dono a conoscerla meno delle anziane; tra gli anziani, comesempre, le donne sono notevolmente più informate degli uo-mini. C’è stato cioè, un relativo processo di aggiornamento incampo femminile, come per altri comportamenti già visti. Vacomunque tenuto presente che il rifiuto non è totale, nelsenso che il livello più basso delle adesioni è rappresentatodai maschi, di cui una percentuale di rado inferiore al 25-30%crede ancora nell’efficacia della terapia magica (tab. 50).

E c’è anche da tener presente la larga fascia di quell’at-teggiamento prudenziale e conformistico, per cui ci si trince-

ra dietro l’affermazione che anche questo tipo di intervento«non fa male».

Ma si è venuta creando ormai una situazione concorren-ziale. Mentre in passato, almeno per le donne, entrambi i ti-pi di terapia erano ritenuti egualmente efficaci, ora si diffidadella «magia» e si continua ad ammettere l’efficacia della te-rapia «religiosa» (tab. 50: vedi confronto fra terapia magica eterapia religiosa).

Ed è proprio entro quest’ambito che si manifesta tuttoun articolarsi di orientamenti diversi.

223

82. Sull’ideologia magica dello spavento e le relative terapie tradizionalicfr. C. Gallini, “Un rito terapeutico sardo: s’imbrusciadura”, in  Atti del Convegno di studi religiosi sardi  (Cagliari 24-26 maggio 1962), Padova1963, pp. 249 sgg.

Può esserci anche qui la tendenza dei giovani a crederemeno degli anziani: ma ancora il 60% delle donne della pri-ma classe d’età presenta un giudizio positivo della praticadella «Lettura» o della «Benedizione». Ma la differenza più si-gnificativa è tra maschi e femmine. I maschi credono in mi-sura notevolmente minore delle femmine e, per giunta, piùo meno nella stessa misura in cui credono o non credonoalla terapia magica.

Conclusione implicita non può essere che la seguente:proprio nella misura in cui è strettamente vincolata all’ambi

P ARTE PRIMA. I NOVENARI, I PAESI

Rivediamo in questa prospettiva gli esempi del maloc-chio e dello Spavento.

Esiste una tendenza ancora maggioritaria a considerarele pratiche terapeutiche del malocchio come non contrariené alla religione né (e in misura ancora più grande) alla leg-ge (tab. 52). Nell’ambito di questo orientamento, Bitti e Oro-sei sono le due località che presentano il maggior numero digiudizi negativi.

Ma a Orosei forse il timore è maggiore, forse si tace: co-me a Oliena e a Mamoiada si è in pochi a riconoscere che il

VI. Le motivazioni 

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proprio nella misura in cui è strettamente vincolata all ambi-to dell’ideologia e della pratica magica, la donna viene a co-stituire il grosso canale di interpenetrazione e di scambio trail livello egemone dell’organizzazione ecclesiastica e quellosubalterno del paese.

Conflitti di competenzeNel conflitto di competenze tra magia e cattolicesimo è

esistito un braccio di ferro secolare, che solo in questi ultimianni si è allentato, nella misura in cui non lo sorregge più la vecchia struttura sociale ed economica, che rendeva possibi-li tanto la magia quanto un certo tipo di cattolicesimo.

Ma per secoli è stato un duello con alterne vittorie. I vari

sincretismi pagano-cristiani ne sono una testimonianza tantonota, che preferiamo darli per risaputi.

 Vale la pena però di sottolineare che la vittoria del catto-licesimo ha comportato esiti complessi sul piano culturale.

 Anzitutto, sembra che un certo suo avanzamento sia daconnettersi all’accettazione di modelli borghesi di comporta-mento.

È particolarmente significativo per questo l’esempio diBitti, che ha un altissimo grado di messalizzazione ed è ten-denzialmente più vicina in questo al comportamento delgruppo dei nuoresi che non a quello degli altri paesani.

Che cos’è avvenuto, in questo caso, rispetto ai conflittidi competenze? Bitti e Nuoro sono riusciti a liquidare la vec-chia usanza del lamento funebre. Ma altri comportamentimagici tradizionali ne sono usciti confermati.

224

me a Oliena e a Mamoiada, si è in pochi a riconoscere che ilmalocchio esiste davvero. A Bitti e a Nuoro invece la per-centuale di chi si sente in grado di fare ammissioni del ge-nere sale di molto: rispettivamente del 46 e del 52% (tab.53). Per il resto – cioè il riconoscimento di casi personali(tab. 53) e le valutazioni circa l’efficacia della medicina (tab.54) – Nuoro e Bitti sono su posizioni equidistanti rispettoagli orientamenti delle altre località.

Insomma, le alternative sono due. O a Bitti e a Nuoro siha più coraggio di parlare, nonostante i divieti della Chiesa:e allora ne emerge che in zone cattoliche la magia è comun-que viva e vitale. O a Bitti e a Nuoro si crede più che a Oro-sei al malocchio. E in questo caso, il cattolicesimo è servito

da canale di rafforzamento.Le variabili magia e religione non sono indipendenti.Di fatto, interrogati sull’efficacia della terapia «religiosa»

dello spavento, sono proprio i bittesi a dare risposte positive(il 70%) molto superiori a quelle degli altri gruppi, che, al li-mite, possono anche credere meno nell’efficacia delle stesseterapie «magiche» (tab. 51). Eppure, Bitti è il paese in cui lapratica religiosa presenta il più alto grado di frequenza: il60,4% (rispetto al vertice opposto del 20% di Oliena) può af-fermare di andare «sempre» a messa; analogamente vanno lecose circa la frequenza alla comunione (tab. 55).

Da quest’ultimo esempio almeno, la totale compromis-sione di cattolicesimo e magia, che trovano reciproco sup-porto e reciproca conferma, ci sembra emergere con daticertamente non sufficienti, ma almeno indicativi.

225

Laddove invece non si sia giunti a un grado di integra-zione così alto – ed è ancora la maggioranza dei casi – tutti iconflitti sono possibili: appunto perché si sta combattendosu un terreno comune.

Questo vale per la donna, e vale soprattutto per l’uomo,nella misura in cui una parte del suo orientamento è di ordi-ne magico-religioso e un’altra più spiccatamente di ordinelaico. Sono due facce di una medesima medaglia, i cui ri-svolti sono egualmente veri. Non si è sufficientemente «ma-gici» per essere sufficientemente «cattolici» né si è sufficien-

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PARTE SECONDA

LA FESTA

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gici» per essere sufficientemente «cattolici», né si è sufficien-temente «cattolici» per essere sufficientemente «magici». Si ènell’ambito di una struttura sociale e ideologica che il cattoli-cesimo è riuscito a definire solo a certi livelli; si vuol far fe-sta, ma non si può costituzionalmente rinunciare a pretestimetastorici, cioè ai santi; si avanzano affermazioni autono-mistiche rispetto a magia e religione, ma le si utilizzano perquel tanto che torna comodo. Magia e religione sono ten-denzialmente rifiutate perché pertinenti al ruolo dell’altrosesso. Ma il rifiuto comporta anche talvolta precise accuse ri- volte ai «poteri» della Chiesa.

E potremmo così concludere (anche se il discorso non va di moda) notando che la volontà politica di assolutizza-

zione di una sola delle due facce della medaglia ha contri-buito a suo tempo a determinare certe posizioni nei con-fronti dell’art. 7, le cui conseguenze vanno alquanto oltrequel rafforzamento della magia che a Bitti è venuto come ri-svolto della vittoria della Chiesa.

226

I. LA TREGUA DELL’INVIDIA

L’istituto della festaFino a questo punto, la popolazione del novenario, i

suoi comportamenti, le aspettative inerenti al ruolo di cia-scuno ci si sono rivelati come parte organica di un universo:il paese, con tutti i suoi condizionamenti economico-sociali,coi suoi drammatici rapporti coi livelli egemoni del potere

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coi suoi drammatici rapporti coi livelli egemoni del potereeconomico, ecclesiastico e dell’informazione.

In questo senso, la novena prosegue il paese, lo confer-ma su un piano di implicito assenso.

Se peraltro ci si limitasse a queste conclusioni, finirem-mo coll’operare un processo riduttivo, liquidatorio propriodell’elemento qualificante da cui siamo partiti: la novena, lafesta come complesso unitario che ha un suo codice, altret-tanto unitario e coerente. Che cosa afferma? Quali finalità siprefigge? Quali dinamismi mette in moto? Entriamo nellastruttura di questo codice, che è fatto di regole e di valori.

Potremo così iniziare a intravvedere anche su quali puntiqualificanti della sua struttura abbiano iniziato a far breccia

le stesse «voci di fuori», secondo la meccanica e i modelli lo-ro propri, comunque ossequienti ai dettami di una leggeeconomica ben precisa.

La sospensione della normaNovena e festa sono un vertice: e soprattutto un mo-

mento dinamico. In questo preciso luogo vengono a conver-gere tutte le relazioni sociali che hanno intessuto l’ambitodel quotidiano, e si pongono le basi per l’instaurarsi di ulte-riori rapporti, che hanno da snodarsi nei mesi a venire.

È un momento di apertura. Verso questa finalizzazione si

indirizza l’istituto della festa in quanto tale, e in particolare tut-to quel complesso di norme e di valori che la caratterizzano.

Nel tempo e nello spazio eccezionale del santo si sospendeil controllo sociale, almeno in quelle sue forme più vincolanti e

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repressive che portano il nome di «critica» e di «invidia». Si è tut-ti «eguali», tutti «fratelli», tutti «alla pari», in quanto non esiste bar-riera tra poveri e ricchi, tra maschio e femmina, tra libero ebandito, tra amico e nemico, famiglia e famiglia, paese e pae-se. Si è tutti nella condizione di ospite. Questa è l’ideologiadella festa, di cui ciascun novenante ha chiara consapevolezza.

Sappiamo che, di fatto, le cose non possono essere così,e non solo perché ciascuno porta dietro di sé, anche alla no- vena, la sua storia, la sua classe, la sua cultura. Il «mondo al-la rovescia» della festa conferma il paese proprio nella misu-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

un istituto in cui si pongono le premesse di tutta una serie diulteriori rapporti sociali, la cui realizzazione sarebbe difficile e,al limite, impossibile al di fuori di questa soluzione cerimoniale.

La festa ha un suo codice, che va esaminato come uncomplesso unitario, con tutti i limiti che una previa situazioneeconomico-sociale comporta, ma anche con tutto il suo sensodi volontà di apertura a forme di una più larga socializzazio-ne. A loro volta, limiti e senso di essa non ineriscono solo aun momento «anacronistico» rispetto a un ipotetico oggi, ma auna attualità, che può anche intervenire dando nuove forme

 I. La tregua dell’invidia

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a ovesc a de a esta co e a paese p op o e a sura in cui nega ritualmente quanto in modo implicito afferma

con eguale solennità. Finita la festa, ci si ritrova al punto diprima, ciascuno con le parti a ciascuno assegnate.

Possiamo ricondurre questa ideologia della sospensionedella regola a un mondo culturale da cui è assente qualsiasistrumento che metta in grado di compiere un’analisi di clas-se e quindi una «rivoluzione» dell’intero sistema.

Ma così saremmo anche costretti a fermarci a questaconstatazione, per quanto corretta essa sia e per quanto va-da sempre tenuta presente a scanso di un rischio di mitizza-zioni del passato.

C’è però anche da chiedersi se la festa – come le forme

peculiari del suo apparato organizzativo – non rappresentiperaltro il massimo degli sforzi culturali che un certo am-biente può aver compiuto.

Lo stesso schema del «capovolgimento» è già insufficien-te a spiegarci tutti i perché delle norme della festa. Nella vitaquotidiana è «bene» che maschio e femmina non si incontri-no, è «bene» che ricchi e poveri stiano ciascuno al proprioposto, mentre alla festa è «bene» che avvenga il contrario.Ma una regola come quella dell’ospitalità è «bene» sempre eovunque, come norma di vita sia quotidiana che festiva.

Cominciamo a prendere atto di questo fatto, che a suo

tempo vedremo comportare una serie di complesse implica-zioni strutturali.

Osserviamo per il momento che, sia quando «sospende» siaquando ribadisce, l’eccezionalità festiva vuole essere anzitutto

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u a attua tà, c e può a c e te ve e da do uove o ealla festa, ai suoi limiti e al suo senso.

Ospitalità e donoLa regola fondamentale attraverso la quale la novena e

la festa riescono a mediare i rapporti sociali è l’ospitalità.La regola si esprime così: siamo tutti ospiti del santo,

dobbiamo esercitare l’ospitalità nel modo più grandioso pos-sibile, la nostra casa deve essere aperta a tutti e anzi ci deveessere un luogo non più privato, ma pubblico, in cui possa venire ospitato chiunque venga da fuori.

Ospitalità, dono e contraccambio appartengono al me-desimo ordine di coerenze.

L’ospite primo è il santo. Il santo fa le «grazie», cui sicontraccambia con un «voto», l’offerta cioè di un oggetto (ex voto) o della propria presenza nella sua casa. Attraverso unoscambio formale, si solennizza un rapporto di protezione-di-pendenza, come avverrebbe tra padrino e figlioccio.

Non è solo la chiesa, ma tutto il perimetro della «corte»ad essere valorizzato come «la casa del santo», che vi esercitale proprie funzioni ospitali attraverso la persona dei suoirappresentanti: il priore o ogni singola famiglia.

Esercitare l’ospitalità è «onorare il santo», rifiutarla è «of-fenderlo».

Ospitalità e dono possono essere formalizzati rigidamen-te attraverso l’offerta di cibi speciali, come la minestra ( su fi-lindeu) di S. Francesco. Fino alla scorsa generazione, chitornava in paese da certe feste doveva portare a parenti e

231

amici un pane speciale ( su corriolu), segno di una continui-tà di rapporto tra chi era partito e chi era restato.

Il rito viene così descritto dall’Angius:

Questa è una delle feste che diconsi di corriolu (da corrja, bra-no, fetta), perché gli ospiti oltre il grazioso trattamento, che trova-no in casa da’ loro amici, sono nella partenza regalati d’una fetta(corriolu) di carne, o d’uno o due pani fini, secondo la condizione.Se questi ospiti (uomini sieno o donne) fanno delle visite ad altrepersone anche non conosciute prima, come accade quando si va incompagnia di altri ricevono anche da q este il corriolu 83

P ARTE SECONDA. L A FESTA

facilità di costruzione, il loro numero tende a moltiplicarsidurante gli ultimi giorni della festa. Sono sempre comunque,numerose, e soltanto i novenari più minuscoli e tranquilli ar-rivano ad averne un paio. All’Annunziata di Bitti, abbastanzamodesta quanto a dimensioni e quindi dal carattere ancoranotevolmente devozionale, abbiamo contato ben nove betto-le, che erano già costruite i primi giorni della novena.

Come in paese l’osteria costituisce ancora l’unico luogodi socialità maschile extrafamiliare – socialità costantementeminata dal rischio dell’ubriachezza – anche le bettole della

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compagnia di altri, ricevono anche da queste il corriolu.83

Ora l’uso è scomparso, e gli si è sostituito quello del donodi oggetti di fabbricazione non più artigianale, ma industriale.

In ogni caso, si ribadisce e enfatizza la regola dell’ospi-talità. In questo sforzo, ogni famiglia deve superare se stes-sa. Si devono offrire cibi considerati voluttuari: biscotti (in varietà e forme standardizzate per ciascun paese), caffè, vi-no, liquori. Chi arrivi dal paese non deve mancare di sotto-porsi a tutte le regole della «visita» al priorato, ai parenti, agliamici e, se si viene da lontano, ai compaesani, i quali a loro volta dovranno rispondere secondo la regola dell’« invito»

(cumbídu).L’ospitalità ha il fine di trasformare in un membro dellafamiglia l’altro, avvertito come estraneo: istranzu significaappunto ospite.

L’ospitalità è un rito, nella misura in cui viene regolatasecondo un ben preciso codice di comportamenti, per cuil’ospite, come prima cosa, vien fatto partecipare a una men-sa comune. A sua volta, egli non potrà sottrarsi all’invito, pe-na l’«offesa» dell’altro e soprattutto il suo stesso porsi fuoridel gioco delle regole sociali del gruppo.

Fuori di casa, o di cumbessía, centri di ospitalità maschile

sono le bettole. Le bettole sono delle costruzioni temporanee,in legno o in legno e frasche, e, data anche la loro relativa

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83. V. Angius, in G. Casalis, Dizionario cit., XX (1850), p. 305.

festa intendono riproporre questo tipo di comportamento.

C’è semmai presente in esse un ambito più articolato digruppi umani, dato che nella «corte» la bettola diventa il pun-to di riferimento di tutti gli uomini dei paesi vicini, che arri- vano numerosi verso sera e rimangono a bere fino a notte.Che le cose andassero così anche un tempo, lo dimostrano i vecchi libri di conti della Madonna di Gonare, che tra gli in-troiti del santuario annoverano anche gli affitti dei Bituleros .

Il consumo vistoso della festa appare indirizzato infattiin notevole misura verso finalità ospitali.

Nelle cumbessíe , la tavola è potenzialmente aperta a tutti;gli «inviti» si susseguono a «inviti»; alla bettola si va per offrire

agli amici, con una gara nel rilancio dell’offerta, che portainevitabilmente all’ubriachezza. Si può perfino gestire unabettola per soli scopi ospitali: mentre infatti un certo numerodi esse è costruito a fini di lucro (e pare con introiti notevo-li), non sono neppure rari i casi in cui il gestore spende tuttoil suo guadagno in offerte di vino ad amici, compari e com-paesani. La bettola è stata messa su per questo scopo da chi vuol fare il grande, ed è significativo di un intento non-eco-nomico il fatto che, alla fine della festa, ci si reputi soddisfattidi esserne usciti senza averci troppo rimesso di tasca propria.

 Anche quando si arrivi a pagarla con l’ubriachezza, l’ospi-

talità è una norma fortemente vincolante, alla quale uomini edonne si devono assoggettare in egual misura.

L’ospitalità è un rapporto sociale ritualizzato, nel cui ambi-to non è lasciato gran spazio alle libertà e alle improvvisazioni

233

individuali. È un luogo comune da mito del buon selvaggioanche quello della «naturalezza», «facilità», «semplicità», ecc. deirapporti sociali del nostro mondo contadino. Naturalezza, sem-plicità, facilità, esistono, ma si ottengono solo all’interno del ri-spetto di norme ben precise, che ritualizzino ogni forma dirapporto. Anche la stessa maggior libertà di scelta di relazioniche il novenario favorisce si è potuta dare solo in virtù diun’occasione rituale precostituita.

Una volta adempiuti i preliminari del rito, si può entrarenel vivo delle relazioni sociali: conversazione, contrattazio-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

peraltro di controllare. Consente così che si metta in motoanche una macchina comunitaria, grazie appunto alla seria-lizzazione dei rapporti di mutualità. È questo il massimo deirisultati cui si può giungere, se si parte da certe premesse.Di qui, anche quel caratteristico oscillare tra tendenze pos-sessive (di chiusura) e volontà di apertura al rapporto, cosìcaratteristiche di istituti come quello dell’ospitalità, del dono,del comparatico. Di qui anche le caratteristiche di questaapertura, che non possono essere che moltiplicative: si man-tiene il rapporto con l’altro mediante la serializzazione dei

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ne, ecc.

Ma in tutto il rapporto si ha da rispettare una regola benprecisa: quella della mutualità, per cui a offerta segue rispo-sta, in una catena di serializzazioni potenzialmente infinita.Ne consegue quella particolare caratteristica del rapportoospitale – analoga a quella del dono – per cui la catena de-gli obblighi si configura come un rapporto potenzialmenteegemonico e possessivo tra ospitante e ospitato, e il presti-gio sociale inerisce al numero e al rango delle persone conle quali si è in relazione.

(Il duello tra zia Tatana e la prioressa per avermi ospiteè uno dei tanti possibili esempi).

Come regola sociale, l’ospitalità fa riferimento a un siste-ma economico e produttivo, in cui sia di primaria importanzail ricorso alla mutua assistenza nei momenti del bisogno. Edè concepibile solo facendo riferimento a strutture produttivedi tipo familiare. Oggi, potremmo però anche correlare que-sta «persistenza» con tutta una serie di carenze di ordine so-ciale ed economico di tipo nuovo, e che contengono famigliae gruppo entro l’autarchia dell’arrangiarsi come possono.

Come regola sociale, l’ospitalità conferma la famiglia,con tutte le sue potenziali cariche antagonistiche,84 che cerca

234

84. Sulla struttura della famiglia sarda, in quanto nucleo di coesioni in-terne e di antagonismi all’esterno si veda la tesi centrale di Pinna,  La famiglia esclusiva cit., che peraltro non considera la dimensione meta-familiare di molti istituti tradizionali, come l’ospitalità o la festa.

reciproci obblighi, si ottiene il maggior numero di relazioni

sociali attraverso la ripetizione, il maggior numero di voltepossibile, dello stesso tipo di rapporto. In questo senso, po-tremmo anche trovare affinità strutturali tra istituti molto di-stanti come l’ospitalità (e il dono, il comparatico) e i vari co-mitati organizzatori delle feste.

Che cosa rappresenta il novenario rispetto all’importanteistituto dell’ospitalità?

Ha una funzione ben definita, in quanto momento-verti-ce, in cui ciascuno ha di fronte a sé, come una grande offer-ta sociale, la disponibilità di tutto il paese ad entrare in rela-zione con lui. Questa disponibilità è anzi potenzialmente

estesa fino alle comunità più distanti.È soprattutto il momento in cui l’intero gruppo sociale

riconosce che l’istituto dell’ospitalità non ha come fine im-mediato solo la regolamentazione dei rapporti tra famiglia efamiglia, ma ha come fine ultimo il raggiungimento di un’in-tegrazione comunitaria.

Lotta e patteggiamento Alla novena, l’istituto dell’ospitalità funziona anche da

canale di regolamentazione di ogni possibile rapporto socia-le tra gruppo territoriale e gruppo territoriale, altrimenti ca-

ratterizzato da reciproche chiusure antagonistiche.La limitatissima mobilità – di cui abbiamo potuto anchemisurare il grado – ha avuto per corrispettivo sociale e cultu-rale una antica tradizione di campanilismi molto accentuati.

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«Quelli dell’altro paese» vengono intesi come etnìa completa-mente diversa e per costumi e per dialetto: è un etnocentri-smo a scala molto ridotta.

L’inizio (sia pur modesto) del boom della motorizzazione(Oliena, al tempo della nostra inchiesta, contava già 700 au-tomobili) sta apportando fratture dirompenti: ma ancora ri-fiuto, diffidenza, antagonismo, caratterizzano, nel comples-so, l’atteggiamento nei confronti di «quelli dell’altro paese». Ilgrado di antagonismo può variare, e tende ad essere massi-mo proprio rispetto a quelli del paese più vicino che, entro

P ARTE SECONDA. L A FESTA

Qualora ci si voglia invece affermare come etnìa, e quindicome gruppo, rispetto all’altra etnìa, il rapporto avviene attra- verso l’antagonismo. Sfida, aggressione e lotta sono l’unicomezzo per contraddistinguersi nei confronti dell’altro.

In gruppo di maschi, nei giorni di festa si «va a ragazze»nell’altro paese. Lo si fa per vari motivi: per l’interesse che su-scita il «diverso» (e quindi per la necessità sociale di intrattene-re relazioni anche col modo esterno), per il piacere di andarea cacciare in terreno altrui. Anche questa è peraltro una con- venzione, nella misura in cui tutti fanno le stesse cose.

 I. La tregua dell’invidia

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uno spazio angusto di relazioni sociali, costituiscono le figu-

re di avversario più note e strutturate; al contrario, può inve-ce tendere ad essere minimo rispetto a chi, provenendo dapaesi più distanti e meno noti, e soprattutto presentandosicome individuo singolo e non rappresentativo di un gruppo(peraltro ignoto), può, al limite, venir anche investitito ditratti mitici ed esotici, o rappresentare (specie per le donne)l’evasione e l’ascesa sociale.

Queste sono osservazioni molto generiche, che andrebbe-ro ulteriormente approfondite, tenendo conto di una serie dialtri fattori. C’è soprattutto da chiedersi in che misura l’enfasicampanilistica – che, al limite, si può trovare presente come

dimensione presso vari altri livelli sociali della Sardegna – el’alto potenziale di aggressività ad essa inerente non siano ri-conducibili a motivazioni di ordine più generale: e cioè allalunga e sofferta storia di frustrazioni e di dipendenze da pote-ri più grandi e distanti, che hanno favorito l’isolamento, esa-sperandolo e contenendone i conflitti nel proprio interno.

 Vediamo ora la risposta culturale a queste premesse.I canali di rapporto tra gruppo e gruppo sono ricondu-

cibili a due tipi di scambio: quello ospitale e quello antago-nistico.

Ci può essere l’ospitalità, che peraltro funziona spesso

come canale di rapporto personale (interfamiliare): chi entrinell’altro paese può avanzare sicuro, nella misura in cui lafamiglia ospite lo tutela e si fa garante per lui di fronte algruppo.

236

 Andare a ragazze è una sfida, che ha precise ragioni di

conquista.Ma ci può essere anche la sfida gratuita. Si passeggia per

strada, si entra nel bar, e si inizia il gioco delle provocazioni,spesso abbastanza ben controllato sul piano di una recitazio-ne dalle regole tacitamente rispettate, ma anche spesso conun crescendo che può prendere la mano e finire in rissa.

Le stesse cose si fanno nei giorni della festa grande, allafine della novena.

Si va in gruppo a ragazze: ma qui non si è in terreno dicaccia altrui. L’approccio è consentito perché si è nell’extra-territorialità.

Ma si va anche in gruppo per la rissa: episodi di questogenere si verificano puntualmente ogni anno, e ci può an-che scappare il morto. Fa parte della norma, come pure ènormale prepararsi alla rissa, nel senso che si può andare al-la festa con l’intento deliberato di farla a pugni o a coltelli.In quest’ultimo caso, la spedizione avviene in gruppo, ed hacome obiettivo immediato la provocazione e la punizione di«quelli dell’altro paese». La rissa non è comunque mai que-stione da regolarsi tra poche persone, perché è un contagioche dilaga, con rapidità fulminea, tra la folla.

La dinamica della violenza ha un andamento molto com-

plesso, che andrebbe analizzato in tutte le sue motivazioni.Sembra, di fatto, far riferimento a un ordine ben preciso dicarenze, di ordine sessuale (mancanza di donne disponibilial di fuori dell’istituto matrimoniale) e soprattutto di ordine

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economico (mancanza di lavoro, di denaro, di sicurezze peril futuro).85

In questo senso, la rissa rituale potrebbe anche esistere, e venir mantenuta in vita, come ben precisa valvola di scarico ditutte le eventuali tensioni accumulatesi durante l’anno, specieper il maschio, il cui ruolo sociale proiettato all’esterno portaad esporsi a una gamma maggiore di possibilità conflittuali.

Ma questa volontà di proiezione all’esterno è anche lamolla in grado di far recuperare al maschio la propria identi-tà, nella misura in cui è attraverso la lotta che egli afferma lapropria etnìa Al limite anche qui si impongono considera

P ARTE SECONDA. L A FESTA

Lula, ma dipendente dalla parrocchia di Nuoro e frequentatosoprattutto dai nuoresi, che lo considerano proprietà loro.Un altro esempio interessante è quello del santuario di Go-nare, la cui organizzazione rispetta chiaramente la funzionedi scambio da esso assolta: il confine tra i due comuni di Sa-rule e Orani passa sulla cima della collina e all’interno dellachiesa stessa (abbiamo già visto altri esempi di chiese pro-prio su confini). Una parte delle mura del santuario appar-tiene alla parrocchia di Sarule e un’altra a quella di Orani, elo stesso avviene per la proprietà delle casette circostanti.Un’analoga convenzione risalente almeno alla metà del

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propria etnìa. Al limite, anche qui si impongono considera-

zioni analoghe a tante precedenti: date certe premesse, l’an-tagonismo è il massimo di risposta sociale che questo tipo dicultura abbia potuto elaborare.

In quanto istituti sociali, scambio ospitale e rissa emergo-no insomma come risposta a un medesimo humus . Potenzialichiusure, tensioni e antagonismi trovano la loro regolamenta-zione nel patteggiamento dell’ospitalità o nella ritualizzazionedella lotta.

Il patteggiamento può avvenire anche ad altri livelli, chenon siano quelli, potenzialmente solo intrafamiliari, del rap-porto ospitale. L’eccezionalità spazio-temporale del novena-rio, in quanto zona franca, può infatti prestarsi anche a for-me di patteggiamento tra comunità diverse.

Si è già parlato, a suo tempo, di questa eccezionalitàgeografica di uno spazio sacro, che spesso si situa in zoneeccentriche rispetto al paese, ma centrali rispetto a una zo-na, di cui diventa il punto di confluenza. Ma ci sono anchedegli accorgimenti di tipo amministrativo, che ratificano l’uti-lizzazione dell’istituto come strumento di scambio almenotra due comunità diverse. Ci possono essere chiese campe-stri situate entro il territorio di un determinato paese, ma chedi fatto dipendono dalla parrocchia di un paese diverso, che vi manda i propri novenanti e i propri sacerdoti: l’esempio

più noto è quello di S. Francesco, situato entro il comune di

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85. Sulla violenza in Sardegna vedi, da ultimo, F. Ferracuti, R. Lazzari,M. E. Wolfang, La violenza in Sardegna, Milano 1970.

Un analoga convenzione, risalente almeno alla metà del

 XVIII secolo, vuole che le funzioni della novena siano offi-ciate ad anni alterni dai parroci dei rispettivi paesi.86

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86.  Ragioni e diritti che l’Amministrazione di Sarule ha contro la Am-ministrazione di Orani circa il Santuario della B.V. di Gonari , 7 mag-gio 1926 (Arch. Parrocch. Sarule). Vi si legge tra l’altro che l’ammini-strazione di Gonare è stata sempre «tenuta dai Parroci, o per sé o peraltri, di Sarule e di Orani, dividendo fra loro a metà le offerte che si in-cassassero in chiesa durante la festa, restando l’obbligo dell’ufficiaturada disimpegnarsi dai medesimi alternativamente»; «l’obbligo dei restauridella Chiesa è comune … mentre le riparazioni delle casupole, avendociascuna amministrazione le sue proprie, distinte e separate dai limitigiurisdizionali dei territori limitrofi di Sarule e di Orani furono e sono

sempre a carico dei rispettivi Parroci, i quali, quando vi è bisogno,chiamano il concorso dei fedeli dei rispettivi paesi»; «L’Amministrazionedi Sarule possiede un tratto di montagna, dalla parte di Sarule e le ca-supole di Sarule e quasi tutto il Sacro edificio della Chiesa».Sempre nell’Arch. Parrocch. di Sarule esiste inoltre la documentazionedi una lunga controversia, già vecchia nel 1925, e durata almeno fino al1937, circa il possesso di alcune cumbessíe e del relativo terreno.Strutture – e quindi funzioni analoghe – sembra abbiano altre chiesecampestri: S. Maria de Saùcu, chiesa dei bortigalesi, ma posta di fattoin agro del paese limitrofo di Bolotana; S. Cristina, dipendente dal prio-rato di Bonacardo ma situata in agro di Paulilatino: per quest’ultima cfr.Sac. M. Licheri, Ghilarza, Note di storia civile ed ecclesiastica, Sassari1900, p. 371. Lo stesso Licheri (Ghilarza cit., pp. 364 sgg.), raccoglie la

tradizione che la zona ove poi sarebbe sorta la chiesa di S. Raffaele oS. Serafino sarebbe stata guadagnata dalla popolazione di Ghilarza inseguito a una lotta armata contro il vicino paese di Ula Tirso. Sul terri-torio conquistato sarebbe sorta la chiesa come garanzia del trattato dipace infine stipulato tra i due paesi rivali.

Questa minuziosa suddivisione ha tutto l’aspetto di un ac-cordo stipulato, a suo tempo, tra due paesi che dovevano vantare entrambi eguali diritti sul santuario, e riesce ancor og-gi, con la sua giustizia distributiva, a mediare i rapporti, tradi-zionalmente difficili, tra le due comunità di Sarule e di Orani,anche se il dover fare a metà del santuario può a sua volta es-sere origine di altre tensioni: ad esempio, controversie circa ilpossesso di questa o quella casetta, la definizione precisa deitracciati comunali che nessun catasto sa chiarire, ecc.87

Ma lasciamo da parte, per il momento, il problema dellet i i i t ll it d ll ti i ll’

P ARTE SECONDA. L A FESTA

nell’istituto della vendetta la sua controparte punitiva. Ci si vendica infatti di chi, a suo tempo, non sia stato alla regoladel gioco, abbia infranto il rapporto, ledendo l’«onore» del-l’altro. Per l’intima struttura dell’istituto, l’azione di vendettaè destinata a continuare all’infinito e quindi, al limite, com-porta il rischio di smentire la finalità per cui era sorta: quelladi ribadire la necessità di un rapporto di reciproco ed egua-litario scambio. Per non arrivare al dissanguamento della co-munità, si dovevano escogitare correttivi: e la tregua dellediscordie al novenario ne è uno degli esempi.

O l t bi d i t i

 I. La tregua dell’invidia

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tensioni interne alla vita della novena e continuiamo nell’esa-

me delle sue regole.

La tregua delle discordieMentre la lotta non viene riconosciuta come valore (an-

che se viene accettata come norma), strettamente correlatoagli istituti della ospitalità e del patteggiamento è quello del-la tregua delle discordie.

L’istituto della tregua ribadisce il tema della fratellanza,dell’eguaglianza: quando si giunge ai piedi del santo, non valgono discriminazioni e antagonismi.

La tregua esiste tuttora, anche se in misura meno solen-

ne che in passato.Sono finiti – tranne rare eccezioni – i tempi delle grandidisamistades , che per generazioni opponevano clan familia-re a clan familiare in una catena di «vendette» destinate anon finire, nella misura in cui fa parte della logica della ven-detta il continuo rilancio. Quella serializzazione dei rapportisociali, che abbiamo individuato come caratteristica struttu-rale nell’ambito degli istituti dell’ospitalità e del dono, trova

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87. Questo dato si ricava implicitamente dal  Libro de la Administración,che fa riferimento al modo di finanziamento dei premi della corsa di ca-

 valli, che si teneva l’ultimo giorno della festa. Il primo premio, consi-stente in un bue, era a carico dei cittadini di Sarule; il terzo, in denaro,era offerto con contributi provenienti metà da Sarule, metà da Orani (ilsecondo, non specificato dall’amministratore, che è un sarulese, dovevacon buona probabilità essere a carico di quelli dell’altro paese).

Ora le cose stanno cambiando, non in rapporto a un ipo-

tetico mitigarsi dei costumi, ma in rapporto allo sgretolarsidella coesione comunitaria e alla connessa crisi dell’istitutofamiliare.

Lo stesso Mesina, a quanto si dice, avrebbe a suo temporifiutato di stare al gioco del rilancio degli ammazzamenti deimembri della famiglia antagonista, quella dei Muscau. È unfatto nuovo, che non manca di incontrare una certa disappro- vazione in una parte dell’opinione pubblica di Orgosolo: co-munque nuovo, perché coerente col resto della carriera «mo-derna» del bandito.

È da una generazione circa che alla novena non si assi-

sterebbe più allo spettacolo di pubbliche e clamorose conci-liazioni di famiglie avversarie.Resta comunque fondamentale il fatto che l’istituto della

tregua delle discordie continua tuttora a funzionare comeimportante momento di coesione comunitaria, indirizzato,nei limiti del possibile, a mediare appunto quei rapporti trafamiglia e famiglia, tra gruppo e gruppo, di cui abbiamo vi-sto la potenziale carica antagonistica.

In questo senso, possiamo anche considerare l’istitutodella tregua come regola di convivenza, che serve a far fun-zionare col minor numero possibile di attriti la vita di una

comunità effimera e eterogenea. Questa regola si motiva eti-camente, valorizzandosi mediante il riferimento a una «vo-lontà» del santo, a che entro la sua dimora non sorgano dis-pute e contese di alcun genere.

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Questo strumento non serve certo ad eliminare al centoper cento tutte le tensioni, che possono sorgere e di fattosorgono all’interno della comunità di novena. Le ragioniprincipali di antagonismo sono in genere riferibili alla quali-tà dell’alloggio, a questioni di precedenza alla fontana pub-blica, alla tendenza a riprodursi di quelle tipiche forme dicontrollo sociale, consistenti nell’occuparsi con curiosità deifatti del vicino, per poi sottoporli a «critica». Frustrazioni an-cestrali si devono celare dietro i litigi, al solito clamorosi,con una buona dose di esibizione di fronte a un pubblicointeressatissimo: un litigio non è mai un fatto privato perché

P ARTE SECONDA. L A FESTA

avversato dalle autorità civili, ha comunque continuato a lun-go ad esistere e costituì addirittura fino a pochissimi anni or-sono sacrosanto privilegio dell’Annunziata di Bitti.

E di questo diritto godettero, a suo tempo, ampiamenteanche le novene. L’utilità dell’istituto sarà, in questo caso al-meno, da connettersi proprio alla funzione stessa della nove-na, che, nella misura in cui vuol essere un momento di inte-grazione comunitaria, tende a convogliare al proprio centrosia i gruppi sociali integrati (gruppi di famiglia, di paese) siai singoli individui totalmente marginalizzati: e cioè, appunto,i banditi

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interessatissimo: un litigio non è mai un fatto privato, perché

concerne la pretesa che almeno uno dei due contendentiabbia infranto una di quelle norme sociali, alle quali tutto ilgruppo è interessato.

Nel complesso, non potremo però dire che la vita dellanovena sia punteggiata da moltissime crisi: scorre piuttostosopra una serie di tensioni, che per lo più riesce egregiamen-te a controllare. I litigi cui si può assistere non sono numero-sissimi, e si riesce perfino, nel migliore dei casi, a controllaregli antagonismi con una esibizione – sempre in onore delsanto – di una squisita gelida cortesia formale, che non saràpiù tale, una volta tornati in paese, dove, per lo meno, non

ci si saluterà più. Torno a ricordare l’episodio di zia Tatana edella prioressa, conclusosi proprio così. Anche per quanto concerne il problema della regola-

mentazione delle tensioni potremmo insomma continuare aconsiderare l’istituto della novena non come un fenomeno asé stante e neppure come un correttivo di altro, ma piuttostoconsiderare novena e paese come due vasi comunicanti, percui le tensioni accumulate nell’uno possono venir scaricateentro l’altro e viceversa.

Il diritto d’asilo

 Affine all’istituto della tregua è quello del diritto d’asilo.In passato, quasi tutte le chiese campestri godevano di que-sto diritto: il che significa soprattutto piena e sicura libertàd’accesso per il bandito. Questo istituto, già nei secoli passati

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i banditi.

Partiremo dalla premessa, già largamente dimostrata daaltri prima di noi, che il fenomeno del banditismo sardo va visto in stretta connessione con tutta una storia di isolamentisociali, di pressioni economiche e di repressioni poliziescheche hanno sempre caratterizzato l’ineguale rapporto di di-pendenza tra la Sardegna e i suoi dominatori.88

Faremo solo alcune osservazioni dall’interno, perché sichiarisca meglio la funzione reintegratrice operata dal nove-nario anche nei confronti degli individui maggiormente mar-ginalizzati rispetto al gruppo.

È da tener presente – e questo vale per il passato come

per oggi – che il bandito, per quanto sia marginalizzato ri-spetto al proprio paese, non è mai un individuo totalmenteescluso dalla comunità, nei confronti della quale si situa soloin misura relativa come antagonista. La comunità accetta(giustifica) il bandito, nella misura in cui la sua è una formadi protesta rivolta contro una legge estranea, e quindi nellamisura in cui egli è rappresentativo, uno per tutti, di questaprotesta. Ma il bandito è anche un marginalizzato rispetto al-la propria comunità, nella misura in cui si è andato a caccia-re in una serie di guai iniziati, a suo tempo, con un atto lesi- vo nei confronti di determinate famiglie avversarie. In questi

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88. Sul banditismo in Sardegna cfr. A. Pigliaru, Il codice barbaricino co-me ordinamento giuridico, Milano 1959; A. Pigliaru,  Il banditismo inSardegna. La vendetta barbaricina, Milano 1970.

casi, avrà dalla sua solo una parte del paese. Con questaparte intratterrà comunque strettissime relazioni, conservan-do rapporti personali con familiari ed amici, e tornando inpaese clandestinamente. Le sfumature da situazione a situa-zione sono assai varie: ma importante è notare che la comu-nità definisce e riconosce formalmente il ruolo del bandito. Anche nel peggiore dei casi di faide familiari (ora fattesi piùrare), il bandito non è mai un escluso in assoluto, ma un in-dividuo vivente al margine di una società, che si estende po-tenzialmente fino a lui.

L’istituto del diritto d’asilo solennizza il riconoscimento

P ARTE SECONDA. L A FESTA

La fratellanza e le discriminazioniLa novena non rifiuta nessuno, integra tutti – rispetto a

sé e rispetto alla società che l’ha espressa.In questo senso va intesa la regola secondo cui, entro il

perimetro della corte, non varrebbe alcuna preclusione di tiposociale. Nella casa del santo si è tutti «fratelli»: maschi e fem-mine, liberi e banditi, poveri e ricchi hanno tutti egual dirittodi cittadinanza, in quanto cade ogni discriminazione sociale.

 Vale, anche per questo aspetto, il discorso generale fattoa suo tempo: la regola della parità è una dimensione mitica,che entra in campo come motore di relazioni sociali nell’am-

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L istituto del diritto d asilo solennizza il riconoscimento

del suo ruolo.Oggi, si è detto, il diritto d’asilo non esiste più, e così

pure sono stati abbandonati quegli aspetti più vistosi dellatregua delle armi, per cui, fino a pochi anni orsono, i banditipotevano andare a depositare sull’altare della Madonna (An-nunziata di Bitti) i loro fucili, per vivere con i compaesanidurante tutto il periodo della festa: pronti a riprendersi, na-turalmente, le armi subito dopo.

La «giustizia» in questo caso è riuscita ad eliminare: checosa? Un istituto arcaico «scandaloso», ma non certo il bandi-tismo, in quanto grosso fenomeno sociale connesso a tutta

la problematica isolana e particolarmente vivo e operanteproprio entro quelle zone in cui, assieme ai banditi, fiorisco-no anche i novenari.

Ma, anche nel settore di questa modesta eliminazione, la vittoria non è stata totale. Ancora attualmente i latitanti si fannoun dovere d’onore nel comparire in pubblico nei giorni dellafesta: mi riferisco a quanto mi si dice circa santuari sufficiente-mente importanti, affollati e in zone «calde», come S. Francescodi Lula e S. Costantino di Sedilo. La voce che circolava tra inovenanti al tempo del nostro soggiorno a S. Cosimo era cheMesina giorni prima avesse fatto una rapida comparsa, e che

ancora si aggirasse nella zona. In queste occasioni, sembrache si instauri un certo fair play , nel senso che il latitante tro- va la propria gratificazione esibendosi davanti a un pubblico,che finge di non riconoscerlo.

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che entra in campo come motore di relazioni sociali nell am-

bito di un sistema in cui peraltro a ciascuno compete il suoruolo, a ogni livello sociale la sua collocazione ben precisa eimmutabile.

In questo senso, l’ideale di parità non  pareggia (nel sen-so attuale che diamo al termine) ma mette in relazione chisarebbe separato: maschio con femmina, famiglia con fami-glia, ceto sociale con ceto sociale.

 Anche e soprattutto per questo aspetto, è evidente il ri-ferimento a un universo di origine precapitalistica, che nonè ancora sostanzialmente messo in crisi, nella misura in cuisi continuano certi rapporti sociali e di produzione.

Presupponendo l’esistenza di discriminazioni da ascriversiall’ordine della natura – «ricchi si nasce»89 –, l’unica soluzioneescogitabile ai fini di dischiudere un minimo di vita di relazio-ne è quella di una «parità» da ottenersi su un piano rituale.

Da queste premesse, risulterà evidente anche l’ambito dicontinue compromissioni, con cui il mito della parità si trovaa dover fare i conti.

Le donne si sono conquistate una certa libertà, ma «vigi-lata»; la relazione con «quelli dell’altro paese» è mediata dal-l’antagonismo; gli stessi rapporti tra i giovani avvengono dagruppo a gruppo. Si è tutti fratelli, ma il rischio della discri-

minazione non può essere di fatto eliminato, nella misura in

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89. Sulla ricchezza intesa come stato ascritto cfr. ancora L. Pinna, La fa-miglia esclusiva cit., pp. 86 sgg.

cui inerisce a un reale modo di essere di tutta la struttura so-ciale del paese, che accetta le gerarchie e le valorizza.

Di fatto, nel novenario, all’apparente uniformità socialedel suo mondo si sottendono stratificazioni sociali e scale diprestigi.

Esistono anzitutto i «ricchi»: cioè chi è considerato tale. Abbiamo visto che dalla vita quotidiana della novena sonooggi di fatto assenti gli antichi  prinzipales e i loro figli pro-fessionisti. Ma «ricco» o «benestante», in un universo di pove-ri, è anche chi ha una posizione stabile di lavoro o gode diuna pensione da trentamila lire al mese Il concetto è relati-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

rispetto è da connettersi alla loro integra osservanza – senzadeviazioni – delle norme antiche di vita: austerità di costumisessuali, autoritarismo nella educazione dei figli, assenza difrode nei rapporti col prossimo – dell’assenza di frode faparte anche il rifiuto di ogni attività di tipo commerciale. Fa-miglie del genere si autogratificano con un orgoglio smisura-to, che spesso finisce per portarle fino all’orlo dell’estinzione,dato che sono nell’impossibilità di trovare in paese mariti omogli «degni» dei loro rampolli.

Quanto al comportamento dell’aristocrazia di novena, essotende nel complesso a ripetere i moduli di quello delle élites

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una pensione da trentamila lire al mese. Il concetto è relati

 vo, nel senso che è fatto proprio dal gruppo nei confronti diun individuo o di una famiglia, che hanno tutte le buone ra-gioni per non sentirsi né ricchi né benestanti: anche qui, latendenza, voluta e coltivata dall’esterno, è a un contenimen-to delle tensioni sociali nel loro interno.

Entro il perimetro della «corte» esiste poi una certa aristo-crazia di tradizione: e questa è costituita da chi abbia unrapporto continuativo e di lunga data con quel novenario.Possono far parte di questa aristocrazia coloro che vengonoconsiderati «ricchi» secondo il cliché  antico, e cioè quelle fa-miglie che sono state in grado di costruirsi un’abitazione

propria. Questo tipo di discriminazione sociale è ancora par-ticolarmente vivo a Bitti, tanto da determinare la struttura ar-chitettonica delle diverse cumbessíe ; in altre zone, «ricchi» al-l’antica di questo genere possono essere meno numerosi omancare affatto. Esclusivamente di prestigio è invece l’aristo-crazia di quelle persone che, per aver fatto una novena a vi-ta, vantano un’autorità personale nei confronti dei nuovi ve-nuti: il fatto che zia Tatana fosse relativamente benestantepassava nettamente in secondo ordine rispetto ai suoi presti-gi di novena. Anche quest’ultimo fatto corrisponde, entrouna certa misura, all’esistenza nel paese di altre forme di

prestigio sociale non derivanti dalla ricchezza. Godono an-cora di un certo «nome» – che solo ora comincia a esser dipeso per i più giovani – determinate famiglie, che da gene-razioni vengono considerate «di rispetto». L’origine di questo

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tende nel complesso a ripetere i moduli di quello delle élites 

paesane. I «ricchi» o i «prestigiosi» possono tendere a tenere ledistanze e a non mescolarsi ad altri, oppure possono anche, alcontrario, tentare il rapporto, che si realizza entro forme e at-teggiamenti paternalistici: prestano oggetti, impartiscono consi-gli, si occupano di chi sta male, fanno visite. La «parità» del no- venario consente così una solenne affermazione del loro ruoloe del connesso tipo di rapporto sociale patrono-cliente.

Da quanto mi è stato dato di capire, sono questi gli indi- vidui che ricevono dalla novena il massimo di quelle gratifi-cazioni cui aspirano già nella vita quotidiana. Sempre percontinuare con l’esempio della nostra grande zia Tatana, essa

 vantava a Nuoro non ricordo bene se duecento o duecento-cinquanta figliocci di battesimo, non diversamente da quantofanno vari consiglieri regionali, che utilizzano questo stru-mento per ovvi fini elettorali.

C’è infine il polo opposto della gerarchia sociale: sono iparia, con cui non si entrerebbe forse mai in relazione, eche nella «corte» si accettano, a patto che stiano al posto cheloro compete.

Come la rissa, anche la discriminazione è di solito un fe-nomeno di gruppo, connesso agli antagonismi campanilisti-ci: è forse il massimo di integrazione sociale che, date le

premesse, si possa in pratica raggiungere.Si discrimina in genere nei confronti di determinate co-munità paesane, che godono della fama di essere a un livel-lo inferiore di «civiltà». In particolare, le donne di Oliena e di

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Ollolai vengono considerate sudice e disordinate; a S. Fran-cesco poi si accusavano le prime – con una accusa ormaistereotipa – di venire alla novena esclusivamente al fine dimangiare carne gratis.

Queste valutazioni rinviano a veri e propri stereotipi dipaese. Qualche ragione ci può anche essere: l’accusa di roz-zezza e di primitività che spesso torna nei confronti di tutti icostumi di Ollolai è forse realmente da connettersi allo statodi sottosviluppo economico, che ne fa uno dei paesi pasto-rali più depressi della zona, e quindi potenzialmente più dis-ponibile al furto, all’abigeato, all’omicidio. Quanto ad Olie-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

paese, e solo in esso. Ora però Ollolai, come si dice, «ha rot-to con S. Cosimo». L’ostilità è dichiarata e il novenario nonriesce più a integrare, né contro né attraverso la discrimina-zione.

Se si accetta, come ipotesi storica, l’esistenza di una so-cietà integrata secondo schemi feudali, possono trovare laloro collocazione precisa anche l’ideale di parità e l’implicitoriconoscimento della dimensione eterna di ogni genere didiscriminazione.

Se da un atteggiamento di comprensione storica si passaa altri ordini di considerazioni politiche attuali , ogni valuta-

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ponibile al furto, all abigeato, all omicidio. Quanto ad Olie

na, giocano forse invece motivi di ordine culturale, riferibilial fatto che Oliena è l’unico dei paesi nelle immediate vici-nanze di Nuoro che abbia una economia non esclusivamen-te pastorale e una società che consente i frequenti sposta-menti delle sue donne trafficanti e festaiole.

Nel novenario, la discriminazione avviene fin dall’inizio,pianificata dalle stesse autorità del comitato. Ed è anzituttouna discriminazione logistica. Le stanzette peggiori, più umidee sgangherate, finiscono inevitabilmente per essere appioppa-te alle donne di Oliena o di Ollolai. Qualche volta – ad esem-pio a S. Francesco – anche le baroniesi fanno la stessa fine: e

la ragione economico-sociale, prossima e remota, è evidente.Si può arrivare addirittura a una bipartizione, secondoprestigi, delle zone della comunità di novena: a S. Cosimo,tutto il lato sinistro viene considerato il più «tradizionale», esi indirizzano verso di esso le persone appartenenti ad am-biente più conservatore o economicamente meno abbienti.La parte destra, dove sono anche le vecchie case «di proprie-tà», è la zona più moderna e prestigiosa. Chi abita a sinistraballa il ballo sardo, chi abita a destra lo rifiuta, perché loconsidera pratica riservata ai ceti socialmente inferiori. Laparte sinistra era anche la zona di insediamento delle donne

di Ollolai, che un tempo dovevano costituire il più grossonucleo di afferenti «estranei» rispetto a Mamoiada, come ri-sulta anche dai vecchi  Libri dell’Amministrazione , che regi-strano la questua consuetudinaria fatta ogni anno in questo

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a altri ordini di considera ioni politiche attuali, ogni valuta

zione positiva di questo tipo di integrazione viene al contra-rio a svuotarsi di contenuti.90

 A quest’ordine di considerazioni si è peraltro condotti,specie nella misura in cui la Sardegna appare ormai definiti- vamente immessa entro un circuito sociale ed economicoche non è più quello feudale.

Ed è anche entro la prospettiva dei nuovi e diversi cui  prodest economici che dovremo valutare passato e presentedella novena, persistenze e trasformazioni.

Le libertà dei giovani

Lo stesso problema della presenza dei giovani alla nove-na può essere visto entro questa prospettiva.Tra le varie libertà che per tradizione la festa consente

c’è anche quella del corteggiamento.Questo spazio degli amori è una vecchissima istituzione,

che da sempre ha caratterizzato tutte le feste rurali: non c’èdecreto sinodale, a partire dalla metà del ’500, che non tuoni

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90. Particolare folklorico proveniente non da un’impervia zona agropa-storale, ma dalla spiaggia più rinomata della metropoli isolana, fre-quentata dalla élite borghese o aspirante tale. Lo stabilimento balnearedi Cagliari, un tempo l’unico, ora il più grande, è diviso per inveteratatradizione, in parte «bene», la sinistra, che ospita la borghesia più solidae accreditata, e in parte «non bene», la destra, dove sono confinati ireietti. Neppure la recente ricostruzione dello stabilimento ha messo incrisi questa bipartizione.

contro le «immoralità» e le «lascivie» regolarmente compiutenei giorni della festa, magari entro la stessa chiesa.

Non si vuole certamente criticare la devozione degli algheresi,ma sarebbe desiderabile che ciò non fosse causa d’immoralità,mentre non di rado accade che questo pellegrinaggio serva di con- vegno agli amanti per trovarsi in libertà con le loro innamorate tra iboschi e i seminati.91

È questa la severa reprimenda che, poco più di un secolofa, lo scandalizzato Angius rivolgeva ai bravi algheresi, che

P ARTE SECONDA. L A FESTA

all’altro, ed emerge vistoso, anche al più superficiale livellodi immagine.

Che senso ha andare a una festa per loro, che, nella mi-sura del possibile, rifiutano il passato proprio in quegliaspetti più ovvi della tradizione, come l’abito e il gesto?

Eppure ci vanno, «per divertirsi», e con notevole gusto.Possono non pernottare, ma l’intero tardo pomeriggio e

l’inizio della serata è il momento dei giovani, che vengono ingruppo dai paesi e che con la loro presenza danno una fisio-nomia tutta nuova alla vita della «corte». Ragazzi e ragazze siincontrano, intrecciando tra loro rapporti che non possono

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costumavano recarsi in allegre brigate giovanili al santuariodella Madonna di Valverde; e può anche darsi che, in effetti,la licenza un tempo fosse molto maggiore di quanto oggi nonsi veda alla novena, almeno alla luce del sole – alla luce delsole, perché poi quel che succeda esattamente la notte nellestanzette sovraffollate lo sa solo il confessore, che vi alluderàcon estrema discrezione. Dell’argomento si parla raramente inquesti termini – vige sempre la censura –: comunque, se di«peccato» si parla, mai lo sfiora l’ombra del sacrilegio.

Oltre alla segreta vita sessuale del novenario – che nelcomplesso non ha poi l’aria di essere tanto «peccaminosa»anche data l’età vecchierella di buona parte delle devote – c’è però l’ambito dei rapporti sociali più manifesti tra ma-schio e femmina, che festa e novena hanno il compito di fa-cilitare. Si tratta soprattutto di una maggior libertà di incontritra i giovani, e quindi di corteggiamenti.

È particolarmente interessante osservare il comporta-mento dei giovani alla novena, o a qualsiasi festa di paese:l’immagine che ne esce può dare una misura del loro essercicome problema. La tensione che inizia a porli come antago-nisti alle tradizionali autorità familiari, l’aspirazione a nuoveforme di rapporti tra i sessi e di associazionismo, i richiamial consumo, la mancata qualificazione professionale, le di-pendenze anche economiche dall’ambiente: l’un tema rinvia

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91. V. Angius, in G. Casalis, Dizionario cit., XXIII (1853), p. 723.

, pp p

essere camerateschi, dato che queste possibilità di scambiorappresentano ancora un fatto eccezionale: di qui, la accen-tuazione di quelle schermaglie sessuali, che sono ancora l’uni-co modo per comunicare tra maschio e femmina.

Si tratta di libertà sottoposte comunque a una serie dicontrolli.

 Anzitutto, la libertà viene (o veniva) concepita dalla co-munità prevalentemente come uno strumento per facilitareincontri da indirizzarsi in senso matrimoniale. Fino alla scor-sa generazione, era abbastanza frequente che le nozze coro-nassero un  flirt intrecciato alla novena (ricordiamo l’epiteto

di cojuadori , «pronubo», di S. Francesco di Lula), e ancor og-gi non è infrequente che una giovane coppia di sposi ringra-zi il santo con una visita.

La speranza di un incontro matrimoniale deve aver spin-to da sempre, alla novena o alla festa, un buon numero diragazze da marito: in che misura le cose siano oggi cambia-te, non saprei dire, dato che certi temi si possono toccarenel colloquio solo con estrema circospezione e con il so-spetto, il più delle volte giustificato, di ricevere risposte ipo-crite. La mia impressione è che, se cambiamento c’è stato,non abbia sinora inciso che il livello superficiale: il matrimo-

nio rimane ancora nel complesso l’aspirazione fondamentaledella giovane donna.Per i maschi, l’incentivo era ed è diverso, indirizzandosi

 – come esige il ruolo di maschio in questo tipo di società – 

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prevalentemente verso la «conquista» e il «divertimento», a luileciti anche senza dichiarate finalità matrimoniali.È comunque per tutti – maschi e femmine – ancora un

grosso «divertimento» andare avanti e indietro ogni giornoper la novena, e, ancor più, godersi il culmine della festa.

Quali ne fossero nel passato le ragioni sociali è facilmen-te intuibile. La «critica» teneva d’occhio con severità la moralesessuale, tendendo a incanalarla esclusivamente verso finalitàfamiliari e procreative (i matrimoni erano combinati, ecc.).E, qualora a costo della rottura di innumerevoli tabù – sia perla femmina, che per il maschio, altrettanto inibito – si realiz-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

che tutto il gruppo avesse la possibilità di intervenire col pro-prio biasimo, se la libertà avesse ecceduto in forme non ac-cettabili.

È questa, più o meno, anche la situazione delle feste at-tuali, pur nella frana di buona parte del sistema, anche perquanto concerne i rapporti tra maschio e femmina.

Un inizio di cambiamento si cominciò a notare nell’im-mediato dopoguerra, quando nei paesi si introdusse l’uso – di imprestito dal continente – del «passeggio» domenicale. Li-bertà ritualizzata anche questa: il passeggio si fa di solito ladomenica, per due o tre ore del pomeriggio, anch’esse stabi-

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zassero privatissime libertà sessuali, il biasimo sociale colpivainesorabile. Leggo nel diario manoscritto di un sacerdote, ilquale resse la parrocchia di un paese dell’Ogliastra dall’iniziodel secolo fino a buona parte degli anni ’30, che più o menouna volta all’anno vi si verificava l’evento «scandaloso» di unparto illegittimo di una nubile o di una vedova: in questi ca-si, l’intera comunità indignata e deridente interveniva, a colpidi fucile e di petardi sparati nel silenzio della notte, ad espri-mere tutto il suo rifiuto. In un grosso paese della Barbagia,meta estiva di turisti, si usa ancora, per carnevale, cantare lemalefatte dei compaesani, utilizzandole come capro espiato-

rio: è solo di due anni fa la «cantata» per un amore incestuo-so tra fratello e sorella, che costrinse l’uomo (l’uomo: non ladonna) a far le valigie e ad emigrare in continente.

Sono casi eccezionali, quelli della madre nubile che rie-sce a farsi accettare dignitosamente dai compaesani.

Circa fino all’epoca della guerra, gli incontri tra i sessipotevano avvenire solo entro occasioni cerimoniali (tutte lefeste religiose, i matrimoni) o in particolari momenti di coro-namento delle attività lavorative (tosatura delle pecore, span-nocchiatura, vendemmia), che finivano anch’essi per costitui-re momenti festivi, anche se non sempre erano oggetto di

particolari ritualizzazioni. In tutti questi casi, la libertà si pote- va esprimere in corteggiamenti, lanci di battute salaci, cantilicenziosi: non si trattava mai comunque di incontri singolitra maschio e femmina, ma di incontri di gruppo, in modo

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lite, perché tutto cessi col calare del sole; si svolge nellastrada principale fino a un punto ben preciso, spesso il cimi-tero, che rappresenta i limiti dell’abitato. L’incontro tra i sessideve cioè essere visibile e direttamente controllabile da tuttala comunità. E non può essere mai un incontro a due: anchenei paesi più «evoluti» del Campidano, il passeggio domeni-cale si fa per gruppi di coetanei dello stesso sesso, e gli in-contri e i relativi scambi di conversazioni o corteggiamentiavvengono tra gruppo e gruppo. Solo chi sia fidanzato uffi-cialmente si acquista il diritto della passeggiata a coppie,sottobraccio, con una meta che può oltrepassare il cimitero:

ed è anche questo un défilé che ha il suo significato pubbli-co di presentazione al gruppo della nuova coppia legittima.L’incontro alla novena e alla festa avviene ancora, per

buona parte, esattamente entro le stesse forme del passeggiodomenicale, cioè con approcci da gruppo a gruppo. Si è in-trodotto un ambito maggiore di libertà, nel senso che è con-sentito ai giovani dei due sessi di fare la scampagnata senzala presenza di adulti. Ma il controllo avverrà da parte delgruppo stesso e, una volta arrivati alla «corte», da parte ditutta la comunità di novena, che ha sempre gli occhi apertiper questo genere di cose.

Questa struttura di gruppo, e fortemente ritualizzata, de-gli incontri giovanili al passeggio domenicale o alla festa delsanto non è entrata in crisi neppure in quei paesi (e sonoormai la maggioranza) in cui i giovanissimi imitano, nella

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misura delle loro disponibilità economiche, l’abbigliamentobeat , mini o maxigonne comprese.L’appello al consumo di massa ha ormai inciso in modo

determinante nell’indirizzare verso l’acquisto dei generi d’abbi-gliamento e dei prodotti dell’industria della musica. Quanto airapporti sociali, le pressioni della «critica» continuano a farsisentire. In questo senso, la festa di paese «serve» entro due di-rezioni ben precise: alla liberalizzazione (con relativo controllo)dei rapporti tra i giovani e insieme alla possibilità di trattenerele nuove generazioni entro percorsi tradizionali, pur incanalan-dole verso le nuove forme di consumo e di «divertimento» che

P ARTE SECONDA. L A FESTA

 Alternative alla festa? Se ne stanno tentando molte.Falliti i «circoli culturali» nella misura in cui proponevanodall’alto contenuti borghesi, c’è stata, negli anni passati, l’enor-me fortuna dei clubs  (peraltro difficilmente penetrati nei paesidell’interno) dove si fa musica e possono accedere sia maschiche femmine. Sull’ondata della contestazione sono poi sortinuovi «circoli culturali» a contenuto prevalentemente politico: equest’urgenza è emersa anche nei paesi dell’interno. Conduce- vano una lotta solitaria, che li teneva sull’orlo dell’utopia: maerano anche un grosso fatto nuovo. In questi ultimi due anni,il giro di vite nei loro confronti – dall’intervento poliziesco, al-

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la festa propone: balli alla moderna, orchestrine beat , ecc.Non ci stupiremo quindi più, a questo punto, di imbatter-ci in iniziative giovanili indirizzate anche verso il recupero diun passato che si crede di rinverdire per sole finalità ludiche,ma che di fatto rivelano quali difficoltà l’ambiente incontri,quando cerchi di esprimere, come alternativa, altre forme disocialità e di organizzazione. L’anno passato, in un paese vi-cino alla nostra zona di inchiesta, un gruppo di studenti ten-tò (non so se l’operazione sia andata in porto) di ripristinarel’antica novena che un tempo si teneva presso una chiesa,poi abbandonata, tanto che le mura dell’edificio erano in ro-

 vina. Si trattava solo di un «recupero folklorico» di tipo bor-ghese? O altre motivazioni più profonde vi giocavano, magaria livello inconscio? È questo almeno il caso di un altro tenta-tivo del genere. In un paese dell’Ogliastra, che da anni an-ch’esso aveva lasciato cadere tanto le mura della sua chiesacampestre quanto la tradizione della festa, si formò due annifa un comitato giovanile per il ripristino di entrambe. Giròper il paese per la questua, e chi (più urbanizzato) ebbe achiedere che bisogno ci fosse di spendere tanti soldi per laricostruzione di una chiesa, dato che lo scopo era quello difare una festa e di godersela, si sentì rispondere, con tutta

coerenza: «Ma non si può fare una festa senza il santo!».In questi casi, la festa tradizionale continua a costituirel’unico orizzonte entro cui riversare vecchie e nuove aspira-zioni al godimento, vecchie e nuove aspirazioni alla socialità.

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l’ostruzionismo, al rifiuto di fondi o di appoggio politico, datutte le parti – è stato pesante, totale, e decisivo.Ci vorrà molto, prima di riprendere le fila spezzate.Per il momento, la festa continua – e si vuole che conti-

nui – anche per tutti questi motivi. Potremmo anzi dire che,al limite, la tendenza attuale a una trasformazione in senso«moderno» di alcune delle sue forme riesce ad assicurare allafesta tradizionale un grande successo presso le generazionipiù giovani, proprio per la mancanza di alternative.

La linea tendenziale è questa: scadimento di una certa si-gnificatività sociale della festa e, correlatamente, enfasi sui

suoi aspetti ludici, di godimento, che consentono la consegnadel vecchio istituto alle nuove direttive dell’attuale economia.

La festa nell’economia dei consumiNell’insieme, quanto novena e festa sono andate perden-

do in queste ultime generazioni è strettamente connesso al-l’incrinarsi di tutto un sistema economico e sociale. Cessatol’uso del dono del pane ( su corriolu), simbolo di unità fami-liare e veicolo di scambi metafamiliari, messo in crisi l’istitu-to simmetrico della vendetta e il correttivo del suo proscio-glimento, finito il diritto d’asilo: è un certo tipo di solidarietà

comunitaria che va cadendo in pezzi.Ma si continua a portare dei doni, che hanno un’altra ori-gine; non si va alla festa in carro a buoi ma con ogni genere dimezzo motorizzato; i giovani rifiutano il costume tradizionale e

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si allineano secondo i dettami della moda; la vecchia questuanon è più redditizia e si tenta la strada dei sovvenzionamentida parte degli enti pubblici.

Si è ormai entrati nel preciso ambito della nuova econo-mia: e anche la novena, con le sue liquidazioni di un certopassato e le sue assunzioni di modelli nuovi, risponde ade-guandosi a una ben precisa logica di mercato.

L’ambito delle «trasformazioni» concerne soprattutto i tregiorni della festa: sono appunto quelli in cui si è disponibiliall’acquisto. Le considerazioni che faremo non riguardanosolo i novenari, ma sono nel complesso generalizzabili a tut-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

presente che, fino all’ultima guerra, un paese aveva al massi-mo una o due botteghe di generi misti, quando non ne avevaaffatto. Era fiorente la produzione artigianale domestica; esi-stevano inoltre alcune attività artigianali legate a determinaticentri: la produzione di torrone a Tonara, di cestini a S. VeroMilis, di rame e di utensili in legno (cucchiai, taglieri) a De-sulo. Erano gli stessi artigiani a trasformarsi in venditori am-bulanti, spostandosi per tutta l’isola, dalla primavera all’au-tunno, seguendo i calendari delle feste.

Dal dopoguerra, questa economia artigianale è stata tra- volta da una crisi rapida e completa, condizionata dal nuovo

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te le feste di paese – della Sardegna almeno.Molti novenari possono essere ormai scaduti da anni, al-tri vivere una vita languente: non è così per le feste, campe-stri e di paese. La tendenza è a liquidare tutte quelle solen-nità che si snodavano lungo il ritmo dell’annata contadina ea conservarne una sola: ma potenziata e in via di notevolerecupero. La maggior disponibilità di mezzi di comunicazio-ne rende accessibili anche le chiese campestri creando l’esi-genza di asfaltarne le strade d’accesso, elemento che a sua volta contribuisce al richiamo di ulteriori persone. I giovanicorrono in massa.

La festa si è andata facilmente incanalando entro l’eco-

nomia dei consumi.Sono sovvertite, si può dire in linea generale, due sue

importanti funzioni tradizionali: quella mercantile e quellaludica, connessa per lo più a imprese di agonismo, come lacorsa di muli o di cavalli.

Un tempo, ogni novena, ogni festa erano anche mercatodi merci e di bestiame.92 L’istituto era necessario, se si tien

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92. Gli affitti ai mercanti dovevano costituire, per le chiese, l’introitomaggiore che provenisse dalla voce «fitti». Se ne parla ovunque nei  Li-bri dell’Amministrazione : vedi ad esempio le tiendas di Gonare (1787);le «Logge date ai Negozianti» o le «Loggie mercantili» di Orosei (1867;1911); il «Fitto per le botteghe» di S. Cosimo (ogni annata citata c.s.). LaChiesa tollerò sempre il commercio fieristico: l’unico divieto di venderenell’atrio delle chiese proviene dal Sinodo di Cagliari del 1882, pp. 34sgg., ma il divieto non dovette essere stato mai rispettato.

ingresso di beni di consumo prodotti altrove. Il moltiplicarsidelle piccolissime aziende commerciali di paese – sollecitate,come si è visto, anche dal mito del facile guadagno – ha fi-nito per liquidare del tutto il mercato tradizionale della festa,che in pratica non esiste più da dieci-quindici anni. Solo aSantu Lussurgiu si è conservata un’importante fiera-mercatodi cavalli; quanto agli artigiani ambulanti, sono rimasti solo itorronai, rarissimi venditori di campanacci e qualche cesti-naio, che da un paio d’anni in qua va riacquistando clientisull’ondata crescente della moda del neo-rustico, che rimbal-za dalla borghesia ai ceti meno abbienti.

Peraltro le feste ospitano solo alcune bancarelle di gio-cattoli a poco prezzo e di quei soliti economici «articoli perregalo» – anelli, collanine e rosari, cornici in plastica dorata,fiori in plastica, ritratti di papa Giovanni – inaccettabili perun gusto cittadino e prodotti dalle industrie del Nord a soladestinazione delle aree culturalmente periferiche (paesi, pe-riferie di città).

Sono anche scomparse alcune forme di divertimento fie-ristico, come i baracconi (di tiro a segno o altro): ma è pro-babile che, in questi casi, la loro assenza sia da attribuirsi aun intervento delle autorità ecclesiastiche.

Soprattutto, è stato definitivamente liquidato l’antico aspet-to agonistico-spettacolare della festa tradizionale. La corsa sucavalli e asini non sellati, lanciati a rapidissimo galoppo lungole pendici del colle, era uno sport praticato in occasione di

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quasi ogni festa, sia di paese che di campagna: basta sfogliarequalche pagina dell’Angius per rendersene conto.Ora, non c’è quasi più festa che abbia conservato la corsa.

Dei novenari da noi esaminati più da vicino – e tutti i  Libri dell’Amministrazione prima o poi ne parlavano – solo S. Cosi-mo ha conservato una corsa peraltro non grandiosa.

Di fatto, il cavallo sta diventando un animale quasi intro- vabile o, comunque, molto meno utilizzato anche nei centripiù conservatori: definitivamente abbandonato nell’agricoltu-ra, tende ad essere sostituito anche nella pastorizia, datoche, da qualche anno a questa parte, il pastore, quando e

P ARTE SECONDA. L A FESTA

 Anche a S. Francesco, la cavalcata che accompagna l’ar-rivo del priore nuovo, non ha altro significato che quello diun richiamo nostalgico.

La crisi di un’economia, e dei relativi valori, ha minatoanche la festa: ma non in modo così definitivo da liquidarla.Importante era conservarla, nella misura in cui fosse in gra-do di entrare nel giro della nuova economia che si andavaimponendo.

Ed ecco le nuove «modernizzazioni» della festa. Abban-donate del tutto le corse di cavalli, messi in crisi (sia pureparzialmente) i balli tradizionali, i giovani si divertono por-

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dove può, per recarsi all’ovile preferisce impiegare un mez-zo motorizzato.La balentía equestre – connessa ad immagini di virilità e

di disprezzo del pericolo – è oggi un modello considerevol-mente scaduto, il cui culto può al massimo rimaner confida-to ad alcuni ambienti conservatori. Ci sono ancora giovani prinzipales , o aspiranti tali, o decaduti tali, che allevano illoro cavallo per farne uno strumento non di lavoro, ma diprestigio sociale. L’unica esibizione di balentía equestre chesi sia conservata oggi è quella della festa di S. Costantino, aSedilo, che di fatto è l’unico paese della zona in cui, per

motivi sia geografici che economico-culturali, si continui adimpiegare il cavallo come mezzo di locomozione. L’ Àrdia ècorsa, con settanta-ottanta cavalli, da cavalieri che battonola bandiera di Sedilo: i pochi «forestieri» – in passato moltopiù numerosi – hanno il diritto di correre, ma solo in qualitàdi ospiti senza bandiera. Nonostante questa monopolizza-zione e la fortuna, di anno in anno crescente, della festa, icavalli di Sedilo non bastano più: e si deve andare a chie-derli in prestito dai vari amici sparsi nei più diversi paesidella Barbagia. Il tardo incrinarsi di un’antica connessionetra dato economico e dato sociale ha finito poi, a sua volta,

per essere alla radice del sorgere di un altro fenomeno«nuovo»: la turisticizzazione crescente cui, in questi ultimianni, anche l’ Àrdia di Sedilo sta andando incontro e cui, so-prattutto, aspira.

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tandosi radioline e mangiadischi e ballando «alla moderna»,dove sia consentito.La «modernizzazione» può, in alcuni casi, spingersi fino

all’ingaggio (per il pomeriggio e la sera della vigilia e poiancora per il pomeriggio della festa) di un complessinobeat , composto di solito da quei giovani del paese, o di pae-si vicini, che abbiano raggiunto un grado di notorietà tale dafare inorgoglire i compaesani. Il prezzo di ingaggio non èmolto alto (100-200 mila lire): ma questa cifra rappresentaperò già una buona percentuale degli introiti della questuapaesana: indice abbastanza significativo del fatto che attual-

mente il complessino sta diventando una delle attrazioniprincipali delle feste.Di fatto, in ogni festa di paese, il complessino beat , che

suona su un palco nella piazza principale, fa parte ormai del-le prestazioni che ogni comitato deve offrire, ed è in nettaconcorrenza con le gare poetiche dialettali che, dove nonsiano abbandonate, sono seguite solo dagli anziani. Sta oraguadagnandosi anche le novene più importanti, dove o è giàarrivato (esempio Madonna di Gonare) o si polemizza con leautorità ecclesiastiche, perché sia ammesso. In ogni caso, sitende, in genere, a riconoscergli in pubblico la sola funzione

spettacolare e non quella di accompagnamento del ballo: si va per lo più ad ascoltare il complessino, portandosi con sé,dalla propria abitazione fino alla piazza del paese o alla «cor-te» della chiesa, ciascuno la sua sedia. Lo si accetta, così, con

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la stessa forma di recezione passiva (ma di gruppo) che ca-ratterizzava un tempo la recezione della gara poetica.Tranne i giovanissimi, non tutti sono in grado, come ab-

biamo visto, di eseguire le danze alla moderna: per il mo-mento, il complessino è stato apparentemente risucchiatoentro le forme tradizionali di comportamento. Ma possonobastare pochissimi anni, perché le cose cambino: la disponi-bilità dei giovani in questo senso è senza riserve.

 A suo tempo, abbiamo accennato al diverso impiego so-ciale del ballo tradizionale, comunitario e visibile, e di quel-lo moderno, familiare e segreto. Se dovessimo ora proporre

P ARTE SECONDA. L A FESTA

In altri termini: le modificazioni, i (cosiddetti) «cambia-menti culturali» che sono stati introdotti si sono dati proprionella misura in cui al nuovo sistema economico poteva essereutile eliminare un «passato» non acquirente e proporre prodot-ti che in via diretta (oggetti in plastica, dischi, ecc.) o indiretta(il «complessino») fossero pertinenti alla nuova economia.

La festa tradizionale – anche se singolarmente il suopubblico dispone di poco denaro liquido: e anzi, proprioper questo – è un ottimo potenziale acquirente, perché nellafesta si ha da godere e da essere grandi. E il passaggio «dal-l’altra parte» è avvenuto scivolandoci dentro con estrema na-

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differenze a livello di produzione, potremmo dire che tracanto popolare e canzonetta esiste quello stesso tipo di rap-porto che si può notare tra prodotto artigianale e prodottoindustrializzato, indirizzato verso un particolare pubblico difruitori appartenenti ad aree economicamente da sfruttare – come si sa, anche il prodotto canzonetta viene confezionatoin funzione non di un pubblico generico, ma di ceti sociali edi classi d’età ben definiti.

L’avanzata trionfalistica della canzone – che ha trovatoconferma anche nei dati dell’inchiesta mediante questionario – è il successo di un certo tipo di economia e dei suoi mezzi

di propaganda.Quali, le prime indicazioni che possiamo trarre?La fine della fiera-mercato, il disinteresse per la corsa dei

cavalli, la crisi (se pur parziale) della musica e del ballo tra-dizionale sono uno dei sintomi della fine di un certo mododi produzione.

D’altra parte, le stesse «innovazioni» che si sono introdot-te nell’ambito della festa sono, a loro volta, il sintomo di unaltro cambiamento: l’immissione nell’economia di consumo.

Questo è stato possibile proprio nella misura in cui, assie-me alla vecchia economia, sono stati messi in crisi i vecchi

rapporti sociali. Quanto interessava, era poter disporre di unpotenziale acquirente: e la festa, con la sua disponibilità alconsumo vistoso, è un punto esatto in cui la nuova economiapuò intervenire presentando le sue nuove proposte d’acquisto.

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turalezza, senza che lo si possa imputare alla precisa volontàdi più o meno oculati operatori economici.

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In questo senso, festivo e quotidiano rappresenterebbe-ro una coppia di opposizioni complementari, tanto recipro-camente simmetriche che l’uno confermerebbe l’altro. Comeun gioco infinito di specchi, il paese si rifletterebbe nella fe-sta e la festa nel paese.

Questo è innegabile. Ma se peraltro ci si àncora in misu-ra definitiva a questo schema, si corre il rischio di precluder-si la comprensione degli aspetti dinamici  della festa, chefanno di essa un istituto definibile non soltanto in via di ne-gazione (festivo = opposto di quotidiano).

L’ideale della parità ha una funzione sociale ben precisa:

II. TUTTI PARI

Il modello della paritàLa festa è un istituto organico. E come tale va esaminato,

se se ne vogliono intendere sia le finalità tradizionali, che leattuali trasformazioni.

Entriamo nella sua logica: è quella della parità. Alla festa si è tutti «alla pari», tutti «fratelli», cessano le «in-

 vidie». È questa la prima affermazione di ordine strutturale,

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costituisce la piattaforma entro la quale si rende realizzabilelo scambio di relazioni sociali.Mettersi «alla pari» significa affermare la volontà di un

discorso.La società del quotidiano conosce chiusure, dislivelli, an-

tagonismi. In quanto nucleo unitario di produzione e di soli-darietà affettive, la famiglia è potenzialmente chiusa e anta-gonista, tendente al rifiuto di ogni altro nucleo, avvertitocome possibile concorrente. In quanto nucleo unitario di so-lidarietà fondate anzitutto su un principio di territorialità, ilpaese è potenzialmente impermeabile, se non ostile, rispetto

agli altri gruppi umani, separati da lunghi tratti di terra de-serta. In quanto norma sociale riconosciuta come insindaca-bile dato di natura, la struttura gerarchico-piramidale ponetra ricchi e poveri una barriera invalicabile. Ricchi o poverisi nasce e si resta.

Il controllo sociale vigila costantemente perché, a livellosubalterno (che è quello dei più), si realizzi una paritetica dis-tribuzione dei beni, da cui non è possibile deflettere, sia in viapositiva che in via negativa. Ad esempio: quando un pastoreperde, per furto o altro accidente, le proprie greggi, è tutto ilgruppo che interviene, ciascuno con l’offerta di uno o più ca-

pi, fino alla ricostituzione del suo patrimonio. Al contrario,quando una famiglia inizi ad emergere sulla via di un’ipoteticaascesa sociale, si pone al di fuori del gruppo e corre il rischiodi venir punita: sgarrettamenti di bestiame, incendi, tagli di

che si può ascoltare da qualsiasi novenante.Il grande mito della parità è il motore ideologico, sulquale si impernia tutta l’esistenza della novena e della festa.Essere «alla pari» significa realizzare per un momento l’etàdell’oro.

La dimensione di questo ideale è chiaramente mitica,nella misura in cui non comporta – né è in grado di com-portare – analisi di classe e relativa volontà di liquidazionedi certe «disparità» sociali. Per questo può trovare le sue piùsolenni smentite nella realtà stessa della vita della festa.

È una dimensione mitica anche e soprattutto nella misu-

ra in cui si offre come modello astorico, realizzabile una vol-ta l’anno, entro l’eccezionalità festiva.È opinione corrente di storici delle religioni e antropologi

che il momento della festa costituisca un «mondo alla rove-scia», di sospensione rituale dei rapporti sociali che si dannonell’ambito del quotidiano, secondo un modello di inversio-ne che vedrebbe il ricco recitare la parte del povero e il po- vero quella del ricco. Questa tecnica consentirebbe al primodi farsi perdonare la propria situazione egemone, al secondodi gratificarsi rispetto a tutto quanto non ha avuto né potràavere mai.93

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93. Cfr., tra i molti, M. Eliade, Traité d’histoire des religions , Paris 1953(trad. it. Trattato di storia delle religioni , Torino 1954); V. Lanternari, La grande festa, Milano 1959.

ceppi di vite o malanni attribuiti magicamente a «malocchio» vengono ricondotti alla causa prima di una «invidia», che non èaltro se non l’intervento punitivo del gruppo al fine di restau-rare una situazione di parità iniziale.

Date queste premesse, qual è il comune sforzo culturalecui ci si impegna nel momento della festa? Non è certo quel-lo di entrare in merito a disparità, chiusure, antagonismi: sa-rebbe astorico aspettarsi come risposta una tematica rivolu-zionaria. Si afferma un ideale mitico di «parità», vivendolo inun tempo e in uno spazio di eccezione, fuori del tempo edello spazio quotidiano. Nella vita di ogni giorno reciproche

P ARTE SECONDA. L A FESTA

Parità e scambioL’ideale della parità è il motore di ogni rapporto di scam-bio: e non solo di quello che si realizza e dispiega al massimonel momento della festa. In questo senso, la festa non è cheun particolarissimo momento emergente, di somma e di so-lennizzazione di tutte quelle minute regole sociali che hannotenuto assieme, come una rete, nel corso dell’annata, la com-pagine sociale.

Sono regole anch’esse dettate dalla necessità di formaliz-zare, rendendole rigidamente vincolanti come imperioso ob-bligo sociale, relazioni e prestazioni interindividuali, la cui as-senza porterebbe al crollo della comunità. Non conoscendo,

 II. Tutti pari 

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chiusure, dislivelli sociali, «invidia» come intervento punitivo,sono necessità ineliminabili. Il momento festivo «rappresen-ta» una scena paradigmatica: si rappresenta un principio so-ciale. Si afferma, in sostanza, una regola, suggerendo impli-citamente che, se tutti la rispettassero, si realizzerebbe sullaterra l’Età dell’Oro. Quel principio dell’essere «alla pari», chericonosce nell’«invidia» la sua dimensione punitiva, qui si af-ferma come fatto di libertà e di godimento, se correttamenteseguito.

Il nesso organico tra livellamento sociale (a livello sub-alterno) e ideale di un’unione da raggiungersi attraverso di

esso trova anche espressioni linguistiche particolarmentepregnanti. In alcuni dialetti sardi, il termine di livellu, colpreciso riferimento alla livella del muratore, indica «parità,accordo, intesa». In tutti i dialetti, poi, la locuzione in pari significa «assieme»: ad esempio, in una riunione di amicinon è infrequente sentire esclamare con soddisfazione: « Ah, seu tottus in pari! » («Ah, siamo tutti assieme, ci siamo tutti!».« Forza Paris! », che potremmo tradurre come «L’unione fa laforza!» fu il motto della Brigata Sassari e quindi del PartitoSardo d’Azione.

L’ideale mitico della «parità» è il piano del cerimoniale,

del festivo, entro il quale si rende possibile lo scambio di re-lazioni poste come altrimenti irrisolvibili: il rapporto tra ma-schio e femmina, tra famiglia e famiglia, tra paese e paese,tra banditi e liberi, tra ricchi e poveri.

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pcome si è visto, modelli collaborativi al di fuori di quello fa-miliare o di una libera associazione a livello personale, l’unicapossibilità di correlare comunitariamente individuo a indivi-duo (meglio: gruppo familiare a gruppo familiare) è la leggedel do ut des . Questa norma di mutualità può sembrare «uni- versale», proprio nella misura in cui costituisce l’unica possi-bilità formale di reciproco vincolo che possa essere espressada società ad economia precapitalistica.

In Sardegna, vigeva in modo estremamente vincolante fi-no a una diecina d’anni fa: la sua crisi appare ora inevitabile.

La legge era ferrea: a ogni dono doveva corrispondere

un controdono, ad ogni prestazione una controprestazione.«Invidia» e «vendetta» intervenivano per imporre punitiva-mente, mediante la legge del taglione, ogni eventuale reci-procità infranta, costringendo in modo eguale e simmetrico(occhio per occhio) a piegarsi sotto una comune legge.

In quanto norma sociale, l’obbligo della mutualità aveva – e continua in parte ad avere – la funzione di tenere costante-mente vive e vigili le relazioni, non solo nell’ambito di ununico livello sociale, ma anche tra livello egemone e livellosubalterno. Di fatto, l’assenza di rapporti di tipo salariale o difittanza, comunque monetarizzati, implicava forme di rappor-

to fiduciario, in cui il  prinzipale , pur assicurandosi il massimodei profitti, offriva (a parole o a fatti) «protezione» ottenendoin cambio «rispetto». Uso l’imperfetto, ma una certa parte diquesta realtà continua ad esistere.

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Tutta questa questione è stata esaminata altrove – da noie da altri – nei particolari.94 Ma va sottolineata l’essenza del-la cosa: la legge della mutualità non smentisce i dislivelli so-ciali, nella misura in cui ciascuno risponde all’altro con pre-stazioni inerenti al proprio ruolo. Se ho bisogno di mettertegole alla casa o di avere un collaboratore per la mietitura,mi rivolgerò al compare di pari grado, perché mi dia unamano, sapendo che potrò e dovrò fare le stesse cose per luiquando gli si presenterà un’occasione analoga. Se porto ilcapretto all’avvocato, ed egli lo accetta rispondendomi conun controdono simbolico, mi aspetto da lui una raccoman-

P ARTE SECONDA. L A FESTA

Ci si è preparati alla festa mediante un atto solidale di«contribuzione» (la questua, le offerte), che indica in modoesplicito quanto l’istituto del dono fa intendere solo in modoimplicito, nella misura in cui sembra mettere in relazione lesingole famiglie, senza dichiarare la propria destinazione co-munitaria.

Ma anche nella festa ospitalità e dono indicano la stessacosa: un gesto di circolazione comunitaria totale . Cessanole «invidie», si è formalmente in pari  (alla pari = assieme),perché tutti si «compartecipa» delle medesime azioni, deimedesimi beni. Si abita insieme, si balla insieme, si mangia-

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dazione alla Regione o altri interventi di tipo patronale.Ma, in ogni caso, anche la legge del do ut des  ha comemotore primo, che la tiene in continuo movimento, un idealemitico di parità. Io mi aspetto dall’altro una risposta reciproca,che sia l’esatto corrispondente della mia offerta. È un ideale diparità che concerne le prestazioni ma non i ruoli, e che ribadi-sce quindi una struttura sociale data: ma anche che la tiene vi- va, in un continuo dinamismo entro le forme a lei consentite.

Se leggiamo in questa chiave anche il codice della festa,la sua struttura si farà trasparente: la festa conferma la mu-tualità, si struttura sulla mutualità.

Il do ut des del voto sanziona le origini metastoriche diquesto patto sociale, che consente al singolo salvezza e tute-la («protezione»), nella misura in cui, offrendo «rispetto», «de- vozione», ciascuno compie lo stesso gesto di mutualità chetutti stanno compiendo. Lo scambio con il santo, che sembraavvenire a titolo individuale, viene così a costituire particola-re solennizzazione di una legge di gruppo.

266

94. Sui sistemi di reciprocità cfr. in particolare M. Mauss, “Essai sur ledon”, in Année Sociologique , 1923 (trad. it. “Saggio sul dono”, in Teoria generale della magia e altri saggi , Torino 1965); Br. Malinowski, Argo-nauts of the Western Pacific, London 1922; Cl. Lévi-Strauss, Les structu-

res élémentaires de la parenté , Paris 1948 (trad. it. Le strutture elemen-tari della parentela, Torino 1969) e, di chi scrive, l’analisi particolaredel nesso tra momento produttivo e istituto sociale del dono in un sag-gio sul malocchio, per il momento inedito.

no insieme le stesse cose, si è tutti ospitanti e ospitati, dona-tori e donati, ci si scontra e confronta in un agonismo più omeno aggressivo. Ci si prolunga oltre la festa attraverso gliistituti del dono, dell’ospitalità, del comparatico.

Insomma: l’atto compartecipativo della festa mette in re-lazione con un insieme, le cui parti vengono fatte circolareattraverso i singoli istituti del dono, dell’ospitalità, del com-paratico. Questo insieme è l’appartenenza al gruppo socialee territoriale.

La parità simbolica, che si realizza nel momento della fe-sta, consente felicità e godimento, proprio nella misura in

cui si afferma come vantaggiosa una regola sociale. Al con-trario, potremmo dire: ogni godimento a titolo privato è col-pa, e come tale va solennemente punito, proprio perchénon rispetta la legge dell’essere in pari  – ed è la punizionedell’«invidia». Il godimento è invece consentito nella misurain cui significa compartecipazione comunitaria a una mede-sima legge sociale.

Si sa che questa legge è un principio che va incontro,nella vita quotidiana, a una serie continua di infrazioni. Si vuole nella festa ricordare come sarebbe bello se le cose an-dassero sempre così: si «rappresenta» un paradigma.

Sarebbe l’età dell’oro una società in cui tutti osservasserofino in fondo il principio della mutualità: ci sarebbero ban-chetti e festini a non finire, e le merci trotterebbero di manoin mano. Ci si immergerebbe confidenti in una natura non

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più ostile all’uomo, ma a lui familiare e prodiga. Così diceRabelais che aveva capito quasi tutto del suo mondo, e ave- va capito in particolare che momento rituale della parità elegge della mutualità si equivalgono esattamente.

Il piano del festivoDetto questo, abbiamo messo a punto una questione,

che ci sembra fondamentale per capire l’ambito sociale, eco-nomico e culturale entro cui l’istituto della festa pone le pro-prie radici. Riusciamo così anche a intuire entro quali moda-lità proceda l’attuale meccanismo economico che comporta

P ARTE SECONDA. L A FESTA

lo snodarsi dei giorni, ponendo l’accento su due princìpi benprecisi: quello della socialità (essere insieme) e quello delgodimento (piacere derivante dall’essere insieme), a loro vol-ta realizzabili non attraverso la produzione, ma attraverso ilconsumo comunitario dei beni.

Il piano non economico del cerimoniale implicitamenteafferma una serie di antitesi: antitesi tra momento produttivoe momento socializzante, antitesi tra produzione e consumo,asocialità potenziale della famiglia e socialità del gruppo.

 Anche in questo senso, la festa non costituisce che il ver-tice di una serie di premesse poste durante l’anno e il cui

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la contemporanea destrutturazione di istituti come il dono ela festa, ormai sulla via di trasformarsi da istituti sociali fon-damentali di una civiltà antica a secondari veicoli di penetra-zione di una nuova economia.

C’è però una dimensione della festa, che ci sfuggirebbe,se non operassimo una distinzione entro l’ambito della leggedella mutualità. È quella dimensione che fa di questo mo-mento una «festa» in cui si mangia e si beve, si guarda e siascolta, si gode, ma non si fa una cosa: non si produconobeni materiali. Si fa tutto tranne che questo, anche se si pro-duce qualche altra cosa, e cioè beni sociali. (È, tra l’altro,

proprio questa sua dimensione a fare della festa oggi quel-l’ottimo potenziale acquirente, di cui si è detto). Anche questa dimensione non è tipica ed esclusiva della

festa: inerisce, in misura variabile ma comunque sostanziale, atutti gli istituti che regolamentano quei rapporti interpersonali,la cui finalità non sia di ordine immediatamente produttivo.

In altri termini: la legge della mutualità si articola edesprime su due piani distinti, ma reciprocamente connessi.C’è il piano economico (che non è peraltro mai esclusiva-mente tale), entro il quale si scambia reciprocamente forza-lavoro nelle varie forme di aiuto e di collaborazione al mo-

mento del bisogno. C’è il piano cerimoniale, entro cui siscambiano beni sociali, simbolici: cibi, doni, offerte ospitali,gesti o parole di reciprocità, ecc. È una rete di solidarietà vin-colante, che tiene coesa la compagine comunitaria attraverso

268

principio viene ribadito in modo totale e paradigmatico entroil preciso momento che segna la fine delle attività produttive.

La vistosità Al piano del cerimoniale appartiene, come importante

dimensione, la vistosità. Vistosità degli addobbi cerimoniali,dei costumi carichi di ori e di nastri, dei cibi e delle bevandeche si esibiscono di fronte a tutti. Ciascuno gareggia con l’al-tro nel dimostrare di possedere bellezza, benessere,  status .

Il momento produttivo, al contrario, tende ad essere ma-scherato con precise azioni di copertura: se si confezionava

pane, dolci, formaggio, lo si faceva di nascosto (ora moltomeno, perché si fa anche molto meno il pane in casa), per ti-more che l’«invidia» o il «malocchio» altrui danneggiassero ilbuon esito di queste operazioni. Lo stesso possesso dei beni veniva mascherato: si nascondeva il poco denaro che si pos-sedeva, si ostentava un abbigliamento al limite più «modesto»di quanto le risorse economiche non consentissero. Biasimosociale, «critica», intervenivano per controllare ogni ostenta-zione, intesa come disobbedienza al codice della parità.

Nella festa avviene proprio il contrario: non solo è lecitoesibire, ma anzi si deve esibire. Lo si deve fare per ricordare

appunto che è il momento dell’età dell’oro, in cui si affermala bontà di una regola sociale di eguaglianza.La vistosità diventa fatto sociale di apertura, di disponi-

bilità all’altro: segna ogni momento di scambio di relazioni.

269

Un dono non viene mai nascosto: ha da essere esibito.Fino a pochi anni fa, era tutto un corteo di giovani donneche portava in giro per il paese, entro ceste scoperte, i donidella sposa. Ora ci si limita ad esporre i doni in casa. Ma an-cora l’oggetto, proprio perché segno di rapporto sociale, hada essere visto da tutti.

Nel rito ospitale, sarà il gesto del «mettersi in ordine» al-l’arrivo dell’estraneo, dell’esibirgli gli oggetti migliori dellacasa, dell’accoglierlo, se la si abbia, nella stanza migliore.

Si «onora» l’altro mediante l’atto dell’esibirgli ricchezza ebeni.

P ARTE SECONDA. L A FESTA

e del bere. Chi abbia tutto e più di tutto, consumerà inveceoggetti inutili, e lo potrà fare ogni giorno.Ma il senso sociale del consumo resta ancora cifrato.Di fatto, quella del consumo è un’importantissima di-

mensione che sostiene, in pratica, tutti gli istituti di mutualitàcerimoniale. Il dono è il passaggio di un oggetto-simbolo,importante non per il suo valore economico, ma per i signi-ficati di continuità familiare e di scambio sociale che si attri-buiscono all’oggetto. Lo scambio improduttivo (almeno in via immediata) di doni è un obbligo sociale cui si deve ot-temperare in numerosissime occasioni festive: la novena non

h d ll

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Il consumo Vistosità e consumo, come fatto sociale, sono fenomeni

tanto strettamente correlati da fare di ogni atto cerimonialeun atto di «consumo vistoso».

La festa è il momento-vertice degli atti cerimoniali delconsumo.

Durante la novena si mangia molto meglio che in tuttol’anno: si mangia carne, fatto abbastanza eccezionale per fa-miglie di necessità frugali. Nei giorni della festa grande, sigode della gioia del banchetto e di tutti i suoi preparativi:

fuori all’aperto, si allineano filari di spiedi con capretti oporchetti che si rosolano lentamente, mandando odori ecci-tanti, e, nelle zone non troppo distanti dal mare, enormi gra-ticole di muggini. Si gode del mangiare e del bere, e di farloassieme.

Per gli uomini, ci sono le ospitalissime bettole, col loroconsumo vistoso del vino.

Se continuassimo a considerare la festa come elemento asé stante, in quanto momento opposto alla norma quotidia-na, potremmo individuare in questo genere di comporta-menti (di istituzioni) la risposta a tutta un’annata di astinen-ze, condizionata dalla scarsità del cibo e di denaro.

 Valutazione di ordine psicologico, che ha una sua partedi verità, specie nella misura in cui il consumo appare quasiesclusivamente connesso alle necessità primarie del mangiare

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è che una delle tante.Lo stesso rito dell’ospitalità si veicola attraverso il consu-mo vistoso di cibi e bevande «di lusso»: è il gesto che fa diogni momento ospitale una piccola domenica.

 Anche per questo aspetto, dunque, la festa grande ri-sponde alle medesime premesse formali di altri istituti ceri-moniali. Il suo valore emblematico di estesa significativitàsociale consegue, infatti, all’enfatizzazione di un momento diconsumo, che è stato lungamente preparato: a livello comu-nitario, dalle successive questue dei diversi prodotti stagio-nali, a livello familiare, dalla confezione di scorte «di lusso»

come biscotti, liquori, ecc.Il consumo cerimoniale concerne, nel complesso, sia laquantità che la qualità degli oggetti. La sua «non economici-tà» a sua volta sembra essere l’esatta antitesi dell’«economici-tà» del fatto produttivo.

I lunghi tempi delle cerimonie – tempi sottratti alla pro-duzione –, i costi del dono, dell’ospitalità, delle feste affer-mano un principio a tal punto immediatamente non produt-tivo, da potersi manifestare nello spreco e, al limite, nelladistruzione.

La festa valorizza il gratuito, l’effimero: ma in funzionedi un obbligo sociale ben preciso, che costituisce il fine ver-so il quale convergono sforzi e intenzioni di tutti.

La distanza che separa la modestia del consumo quotidia-no dallo sfarzo del consumo festivo scandalizzò nel passato le

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autorità politiche ancor più di quelle religiose (che avevanosempre qualcosa da guadagnare dalle feste).Nel 1833, una petizione di cittadini «illuminati» si rivolgeva

al viceré facendogli notare come il numero eccessivo di festecontribuisse all’impoverimento della popolazione, per varimotivi. Si perdevano molte ore di lavoro, dato che un certonumero di queste solennità non cadeva di domenica. I poveriinoltre erano costretti dall’obbligo sociale a dilapidare tutti iloro magri proventi. Il viceré mandò una circolare a prefetti e vescovi, che risposero con dettagliate relazioni, di cui si con-serva copia, e da cui emerge una diversità di atteggiamenti tra

i à li i iù ll h hé di i

P ARTE SECONDA. L A FESTA

un’organizzazione inerente a modi di produzione che chia-meremo genericamente precapitalistici.Per quanto la sua funzione produttiva proiettasse l’uomo

all’esterno in misura molto più considerevole rispetto alladonna, non si può affermare che i lavori tradizionali costi-tuissero esperienza socializzante in misura estensiva quantoun’esperienza di fabbrica.

Il pastore lavora solo – al massimo con due, tre collabora-tori – in campagna; l’inverno transuma e l’estate, pur spostan-dosi in zone relativamente vicine al paese, è in grado di torna-re a casa solo molto saltuariamente, una volta circa ogni due

i S l d hi i l i d i li

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autorità religiosa, più tollerante anche perché direttamente coin- volta nei profitti, e autorità politica, molto spesso intollerante.Cominciava a farsi strada il criterio capitalistico del «rendimen-to» e del «profitto» – criteri sacrosanti, se non sapessimo benea profitto di chi sarebbe andato il rendimento.95

Gli attuali antropologi si dimostrano molto più benpen-santi rispetto agli illuminati interventisti di un secolo e mez-zo fa. Hanno giustamente fatto osservare come finalità pro-duttive e categorie economicistiche importino molto di piùalle società occidentali – direi: alla cultura conseguente allarivoluzione industriale – che non a società precapitalisti-

che.96

E questo è vero in generale, ma è anche un puntoche richiede un’analisi più precisa, soprattutto ai fini di noncadere nel solito mito dei buon selvaggio, che, in questo ca-so, sarebbe più «sociale» di noi, gretti produttori.

Per fare quest’analisi non potremo esimerci dall’impiegodi categorie recenti, come quelle di «economia» e «società».

Per comprendere il piano del cerimoniale, dobbiamo co-munque partire dall’esame dell’ambito di una socialità e

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95. Arch. di Stato, Cagliari - Segr. di Stato II, vol. 502.96. Si veda, da ultimo, J. Poirier, “Problèmes d’ethnologie économi-que”, in Ethnologie générale , sous la direction de J. Poirier, Paris 1968,

pp. 1545 sgg., utilizzabile anche per alcuni suggerimenti circa la temati-ca dell’espiazione dei beni soggiacente a istituti sociali comportantispreco di merci (tematica peraltro dall’A. esaminata in chiave esclusiva-mente, ed eccessivamente, psicanalitica).

settimane. Solo da pochi anni e solo in zone dai pascoli acces-sibili si è potuta aprire la possibilità di più facili spostamenticon un motorino. Ma il bestiame, la notte, in queste zone del-l’interno, ha da essere continuamente sorvegliato, e quindi an-che gli eventuali spostamenti sono limitati e sottoposti a turni.

Il contadino è quel piccolo coltivatore diretto, semprepiù in crisi, di cui si è visto il modo di conduzione prevalen-temente familiare dell’azienda. Grandi aziende che impieghi-no una larga manodopera salariata non esistono.

 Anche la bottega – artigiana, di tipo sia tradizionale chemoderno, o di puro smercio – è quasi esclusivamente a con-

duzione familiare, con l’aggiunta al massimo di un paio di di-pendenti nei casi più complessi di un laboratorio meccanico.C’è poi la grande fascia dei braccianti, dei muratori, dei

disoccupati, disponibili come manodopera subalterna, connessuna garanzia organizzativa, se il loro impiego è saltuario.

Dal punto di vista organizzativo non esiste quindi per laproduzione che il modello familiare, il quale comporta po-tenziali chiusure, antagonismi.

Dall’altra parte c’è il gruppo territoriale, organismo an-che produttivo, nella misura in cui, in passato, esistevanoterreni comunali adibiti a pascolo o a coltivo e utilizzabili daun certo numero di famiglie: sono i famosi ademprivi .97

273

97. Sull’istituto degli ademprivi in Sardegna cfr. L. Pinna,  La famigliaesclusiva cit. (“Introduzione”).

Ma la comunità è soprattutto un organismo normativo: èil luogo in cui valori e istituzioni trovano la loro origine e illoro riconoscimento e la cui esistenza consente che si corre-lino tra loro i singoli nuclei produttivi.98 È, al limite, impen-sabile la sopravvivenza di un nucleo familiare isolato, chenon presupponga l’esistenza di una comunità.

Il momento cerimoniale dello scambio mette in relazio-ne famiglia e famiglia nell’ambito dell’insieme comunitario.

In esso, si vuol configurare uno stato di totale disponibili-tà sociale, che neghi quanto di implicitamente asociale com-porta il fatto produttivo. Si afferma un principio comunitarioproprio attraverso la affermazione di quanto appare più di-t t d ll d i il Q t i ifi

P ARTE SECONDA. L A FESTA

Il godere consentitoEsiste «alienazione» nel lavoro, nella misura in cui il pa-store è gravato dal fitto dei pascoli, il contadino dalla fame diterra, il bracciante dall’inadeguatezza e aleatorietà del propriosalario.

Può essere che presso altre società «primitive» questo ele-mento entri come variabile indipendente rispetto alla struttu-ra di istituti come la festa o il dono: ma nessuno si è preoc-cupato mai di farne una verifica sufficiente.

Nella società che stiamo esaminando – la Sardegna «anti-ca» – la connessione sembra essere esplicita.

La produzione è limitata dalla limitatezza degli strumentidi d i (t i li tt i) d ll t tt

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stante dalla produzione: il consumo. Questo non significa pe-raltro un totale rigetto del fatto produttivo: siamo ben lontanida qualsiasi intenzione luddista. Il gesto cerimoniale noncomporta la distruzione degli strumenti di produzione, se nonnella misura in cui si può mangiare della carne degli animalidi un gregge. Sono i prodotti ad essere consumati: e questoanzitutto perché si avverte come asociale un godimento priva-tistico dei beni. Tale principio ha da essere sempre ribadito, etanto ribadito da rendere «necessario» ciò che, secondo criteriesclusivamente economicistici, dovrebbe essere consideratocome «consumo accessorio», «superfluo», «gratuito», «di lusso».

D’altra parte – ed è su questo preciso punto che vienemesso in causa il mito del buon selvaggio – proprio la distan-za fra la limitatezza di una produzione tendenzialmente priva-tistica e la larghezza di un consumo tendenzialmente socializ-zante ci può indicare il grande costo dell’una e dell’altra.

Da questo orizzonte precapitalistico (ma solo da que-sto?) sembra bandita la possibilità che si possa dare produ-zione senza asocialità e con godimento, e che si possanodare socialità e godimento senza distruzione.

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98. L’antitesi, entro società precapitalistiche, tra famiglia come nucleo

produttivo e comunità come nucleo normativo è già chiaramente pro-posta in Marx. Si veda in particolare K. Marx, “Lettera a Vera Zasulic”,in Marx-Engels-Lenin, Sulle società precapitalistiche , a cura di M. Gode-lier, Milano 1970, pp. 255 sgg.

di produzione (terra, animali, attrezzi), dalle strutture orga-nizzative familiari, dalla distribuzione ineguale dei beni.

Col lavoro non si ottiene la ricchezza: è questa la moraleche – fino all’inizio del grande fatto migratorio – reggeval’atteggiamento dell’uomo nei confronti delle proprie attività.Ed oggi, la frustrazione delle nuove speranze rende più veraquesta antica constatazione.

Fino alla scorsa generazione, questo orientamento eraformalizzato anche entro una serie di miti, che attribuivano aun evento eccezionale – il ritrovamento di un tesoro – il sor-gere di un nuovo stato di benessere. Ma questi miti spesso

aggiungevano: anche questa fortuna è tanto eccezionale, chela maggior parte degli aspiranti al tesoro, per qualche fallocerimoniale, se lo son visto diventar carbone di tra le mani.

Ora ai tesori non si crede più: ma rimane lo stesso pessi-mismo operativo di fondo.

 Abbiamo anche visto come questo si connetta a preciseregole sociali, tendenti al contenimento, entro uno stesso li- vello, delle singole famiglie che appartengono al grado piùbasso della gerarchia sociale. Questa regola comporta l’ideo-logia che qualsiasi stato di benessere – salute, lavoro,  status sociale: situazioni reciprocamente connesse in modo indis-

solubile – è raggiungibile solo defraudando gli altri di unaparte del loro eguale diritto. Il gruppo allora – attraverso lapunizione sociale dell’«invidia» – interverrà amputando la si-tuazione di eccessiva ascesa.

275

In quanto situazione individuale, il benessere è precarie-tà: è colpa segreta da mascherarsi. Di qui, l’importanza so-ciale della legge che vuole si celi il proprio benessere.

Il momento dello scambio consente una affermazione dibenessere: il consumo è anche questo. Ed è soprattutto nellafesta che si dispiega questo principio: il benessere è consen-tito in quanto negazione del particolarismo e in quanto vo-lontà esprimentesi in un atto sociale.

La tematica del godimento festivo è tanto complessa estratificata che val la pena di penetrarla per gradi, via viasfogliandola dalla superficie al suo nucleo essenziale.

Abbiamo visto che non si può dare festa senza il santoi è z il i i t i li it h l tti t

P ARTE SECONDA. L A FESTA

partecipa anche a un rituale che comporta notevoli forme didivertimento, che è anzi fatto tutto di divertimento. La soffe-renza di uno dei membri diventa anche pretesto sociale, perconcedersi determinate licenze, che non ci si potrebbe conce-dere senza appunto un pretesto di ordine serioso. Inoltre, co-me si sa guardare in faccia alla morte, si sa ridere anche dellamalattia. Questo vale per tutti, e in particolare per le donne, esoprattutto le vedove, che fanno parte d’obbligo del corpoesorcistico e che, come le pie novenanti, sono in continua ri-cerca di pretesti giustificativi della partecipazione a un gode-re, da cui si sentono socialmente escluse.

È superfluo dire che termini quali alibi o pretesto venif iti ll’i di id zi di i t

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 Abbiamo visto che non si può dare festa senza il santo:e cioè senza il riconoscimento implicito che malattia e mortecostituiscono dimensioni ineliminabili del vivere sociale.

È vero che attualmente nelle chiese sarde l’esibizionedelle proprie sofferenze – perché il gruppo le accetti e nonle emargini – è molto più controllata di quanto non sia an-cora in molti santuari del meridione e di quanto non fossenel passato per le stesse feste della Sardegna. È raro lo spet-tacolo dello storpio, dell’ossesso, del malato, che declaminodavanti a tutti la loro sofferenza. Ma ci son sempre grazie ri-chieste o ricevute; «sacrificio» e «devozione» si intrecciano se-condo modalità ineliminabili.

«Che nessuno sciolga il suo voto cantando, bevendo, pran-zando» ammonisce la Chiesa (Sinodo di Torres , 1695): ma nonpuò essere diversamente, a meno che non si passi a una moti- vazione laica.

In una spiaggia di Rimini, dove non si ricorra ai santi, siafferma il godimento senza pretesto rituale. Alla novena sidice: godo perché devo ringraziare per un male scampato.

In altri casi il pretesto rituale può essere apparentementediverso: nel ballo dell’Argia può essere, per esempio, la tera-pia di un malato. La danza esorcistica spesso presentava visto-sissime connotazioni carnevalesche: canti licenziosi, gestiscurrili, esibizioni di seni e genitali. Nel ballo dell’Argia, la ri-strutturazione comunitaria avviene mediante la negazione del-l’evento critico, che viene ridicolizzato: ma in questo modo si

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È superfluo dire che termini quali «alibi» o «pretesto» ven-gono riferiti all’individuazione di un meccanismo appartenen-te non all’ordine di deliberate volontà singole, ma a quellodelle non conscie soggiacenti motivazioni d’ordine sociale.

Potremmo anche aggiungere che l’alibi luttuoso del go-dimento si presenta come motivazione di buona parte dellefeste di tipo tradizionale. Si pensi, ad esempio, al frammi-schiarsi di pianti per l’anno che muore ed assieme di com-portamenti licenziosi, che troviamo per il carnevale o i ritua-li della mietitura.

Riassumendo: sembra che la tematica del godere si arti-coli attorno ai temi fondamentali di una malattia o di unamorte da «espiare» mediante un’azione comunitaria.

 Al tempo dell’inchiesta sulle motivazioni, quando corre-lavo socialità dei novenari e socialità dei funerali, pensavoche questa correlazione facesse esclusivo riferimento a unordine di precarietà economico-sociali, rispetto alle quali lafesta si situasse come momento di reintegrazione di gruppo,mediante appunto il riconoscimento esplicito dell’esistenzadi quest’ordine (ero più direttamente influenzata dalla meto-dologia demartiniana).

Pensavo più o meno così: la carenza di beni e l’ambitoproduttivo familiare comportano un’economia di provvista eun’etica di risparmio, che non consente né lussi né sperperi.Entro questo orizzonte, il godimento può essere riferito, al li-mite, al mantenimento, fino in fondo, delle leggi del risparmio.

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L’ideologia dell’invidia e del malocchio afferma che ma-lattia, rovina sociale di una famiglia ecc. conseguono a uneccesso di «colpa» sociale nei confronti degli altri.

Da questa «colpa» di un godere asociale riscatta la festa, esu vari piani che trapassano impercettibilmente l’uno nell’altro.

In via generale – anche se la trama motivazionale può ri-manere oscura ai protagonisti – il meccanismo della «promes-sa» risponde proprio a questa logica, nella misura in cui io «misacrifico» di fronte al santo, assoggettandomi con lui a quellaregola del do ut des , che mi riscatta dal mio male-colpa.

Chi stia bene – il benestante proprietario terriero, il ma-

cellaio di città paga in questo momento lo scotto ritualedel proprio benessere sacrificando spesso in misura cospi

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In molti dei nostri dialetti, il verbo «godere» viene ancoraimpiegato per significare «usare», «consumare fino all’esauri-mento» qualcosa di utilizzato, ma non fino in fondo (si «go-de» un abito vecchio, si «godono» gli avanzi del pranzo delgiorno prima). Chi «non gode», «consuma», cioè «fa andare amale». Il verbo «consumare» non si è ancora connotato posi-tivamente, come ora, in rapporto ai recenti indirizzi dell’eco-nomia appunto «dei consumi».

Date queste premesse, il punto massimo di godimentoraggiungibile è quello festivo, che si estrinsechi nell’etica del«mal comune, mezzo gaudio», che significherebbe: si gode

perché si riconosce negli altri la presenza necessaria e ineliminabile di uno stato di malessere Non si ha più ragione di

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cellaio di città – paga in questo momento lo scotto ritualedel proprio benessere, sacrificando, spesso in misura cospi-cua, parte dei suoi averi.

Ma anche tutto il gruppo riscatta se stesso dal rischiodella singolarizzazione del benessere.

Questo atteggiamento acquista particolarissimo rilievo intutte le feste estive connesse immediatamente al momentodel raccolto dei vari prodotti: tosatura delle pecore (maggio-giugno), mietitura, vendemmia, spannocchiatura. Se consi-derassimo questi momenti secondo una visuale puramenteeconomicistica, potremmo anche dire che sono le unicheoccasioni in cui si ha la possibilità di spendere (in natura, indenaro). Questo è vero, ma non sufficiente: perderemmo ladimensione sociale di un comportamento, che esige che ilgodimento non sia un fatto privato, ma pubblico, in cui cia-scun nucleo familiare paghi lo scotto del proprio (relativo)benessere attraverso un gesto di consumo comunitario.

Insomma: il godere è consentito solo nella misura in cui siaffermi in gruppo che esiste un «bene» comune, da mettere incomune e da utilizzare compartecipandone in misura paritetica.

Ma alle strette connessioni tra «espiazione» e «consumo»,entrambi atto sociale da compiersi al termine del momentoproduttivo, si sottendono forse altre ragioni più profonde edantiche.

La grande festa rappresenta l’età dell’oro, anche nellamisura in cui tra uomo e natura si ristabilisce un rapporto di

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perché si riconosce, negli altri, la presenza necessaria e ineli-minabile di uno stato di malessere. Non si ha più ragione di«invidiare» il prossimo, dato che le eventuali differenze di ce-to sono annullate davanti all’eguaglianza di un destino di ma-lattie, morte e povertà economiche (etica conservatrice delleeventuali differenze sociali). Si gode accontentandosi del poco – «chi si contenta, gode» –, perché tutti hanno poco, perché c’èsempre qualcuno che sta peggio di noi, perché si deve e sipuò godere solo entro ben precise limitazioni. Il godimento hada essere limitato, altrimenti diventerebbe peccato, e ha daessere effimero, perché miseria e morte fanno parte dell’ordi-ne naturale: «Passata la festa, gabbato è lo santo», cioè «gab-bato» è ogni comune mortale.

Continuo a pensare queste cose, e in particolare conti-nuo a credere che la tematica del «godere» in quanto «espia-re» non possa che emergere dall’ambito di un’economia incui si disponga di pochi beni economici, o in cui questi benisiano distribuiti in misura dispari.

Ma non sono altrettanto sicura che termini come «preca-rietà», «miseria», ecc. siano altrettanto chiariti e costituiscanosufficienti chiavi di interpretazione.

Di fatto, si è venuta individuando anche una precisa leg-ge sociale, che vieta il godimento individuale, che regola epunisce gli eccessi, e che, come codice positivo, afferma: sigode solo quando assieme si facciano «trottare le merci», cioèsi rispetti la legge della mutualità.

278

In merito a questa grande tematica dell’espiazione festi- va, l’ideologia cattolica è entrata solo in misura relativa co-me elemento di trasformazione.

L’affermazione dell’illiceità del godimento privato pote- va anche trovarsi d’accordo con l’etica cristiana del «sacrifi-cio», della «rinuncia»: ed è appunto questo il linguaggio at-traverso il quale viene filtrata oggi l’esperienza festiva delnovenario. Ma il cristianesimo estende ad ogni momento del vivere sociale l’illiceità di un godimento, che viene rinviatoalla grande festa del paradiso. Di qui i continui scontri con icontenuti «pagani» delle feste dei suoi santi, peraltro troppoconnesse a tutto un contesto economico-sociale per essereeliminate

 II. Tutti pari 

confidenza: il paesaggio entro cui la chiesa campestre si im-merge, o che domina dall’alto, l’albero, la fonte, i fiori, l’ariastessa sono apprezzati ed amati. Non è più la natura antago-nista, contro cui il contadino deve lottare con zappa e badi-le, o da cui il pastore deve guardarsi con estrema attenzione,tanti sono i rischi che cela. È la terra che ha dato il grano,l’ulivo, il vello della pecora, dopo una lotta, di cui l’uomo èstato solo parzialmente il vincitore.

Più o meno in tutte le economie precapitalistiche è pre-sente – secondo modi e misure variabili, che comunque an-drebbero verificati – l’avvertimento che con la natura non si hada scherzare, e che l’uomo ha da stabilire limiti ben precisi allapropria intrusione cioè ai propri interventi di produzione o di

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eliminate.Chi invece è ora in grado di intervenire con notevoli ca-

pacità disgregatrici è, anche in questo campo, l’attuale ap-pello al consumo. La sacrosanta affermazione della giusta di-mensione umana del godere è stata colta, isolata e laicizzata:attraverso peraltro la surrettizia promessa di fare accedere algodimento mediante l’atto asociale non di una produzionecollettiva ma di un consumo individuale e mediante la vio-lenta rottura dell’antico patto tra uomo e natura cui ora si èsostituita la nuova legge del profitto.

L’effimeroSi diceva che la festa rappresenta il vertice di tutta una

serie di mutualità cerimoniali e produttive: per questo appa-re più intensa, esplicita, comunitaria.

Di fatto, mentre le mutualità produttive entrano in cam-po quotidianamente nell’ambito della regolamentazione deirapporti sociali, le mutualità cerimoniali tendono a concen-trarsi in quei momenti di disponibilità di gruppo, che sonoappunto le pause segnate dalla stasi della produzione.

La maggior parte delle vecchie feste calendariali scadevain rapporto alla fine delle diverse operazioni dell’annata agri-cola e pastorale: aratura e semina (ciclo delle feste invernali)ritorno alla transumanza (feste di maggio) raccolto, vendem-mia (ciclo delle feste estivo-autunnali).

281

propria intrusione, cioè ai propri interventi di produzione o disemplice raccolta. Penso ad esempio ai popoli cacciatori, cheeseguono la lamentazione rituale sul corpo dell’animale uccisoe che credono nell’esistenza di un Signore degli animali, ilquale ne concede secondo la «giusta» misura e punisce con lapenuria o il maltempo il cacciatore eccessivamente avido.

La festa è anche questo: una grande espressione comuni-taria, in cui, proprio al momento-vertice in cui si è ricevuto ilmassimo dalla natura, si vuol far la pace con lei, restituendo-le in via simbolica, mediante un atto corale di consumo,quanto indebitamente, ma per necessità, le si era tolto.

L’atto del consumo festivo presuppone quindi l’esistenzanon di un rapporto di opposizione tra natura e scultura [ sic]secondo il mito borghese del «progresso» e della «lotta» con-tro gli elementi, ma l’esistenza di un rapporto culturale, direlazione, in cui entrambi i termini (natura e cultura) venga-no considerati come correlati da una legge fondamentale:quella dello scambio.

E nel grande atto di restituzione della festa – momentodi scambio tra uomo e uomo, tra uomo e natura – si realizzacosì, per qualche giorno, quell’immagine antica, paradisiaca,di una età dell’oro in cui l’uomo non lavora, perché è la ter-ra stessa a donare i propri frutti, generosamente e senza ri-chiedere contropartita. La terra fa scorrere latte e miele, gliuomini fanno trottare tra loro le merci.

280

La festa valorizza l’effimero, l’eccezionale, il fuori deltempo. Lo stesso ordine di idee inerisce alla confezione dibuona parte degli addobbi cerimoniali, sia delle chiese chedelle strade di paese, nelle varie solennità festive: addobbi difronde sui muri, di fiori o di erbe sul selciato, ecc. Simbolopregnante, il grande falò che in molte feste di paese si accen-deva – e talora si accende – col contributo della legna porta-ta da tutti i gruppi di vicinato. Il falò ha da essere grande, de- ve possibilmente scoppiettare e fare scintille. Se si dispone dipiù denaro, sarà il fuoco d’artificio, che gratuitamente consu-ma se stesso in vivide e rapidissime immagini di fuoco.

L’effimero festivo si contrappone a un perenne quotidia-

no avvertito come tempo senza tempo come monotona ite-

 II. Tutti pari 

Questo ritmo tende a contenere la festa entro ben precisispazi temporali (se si consumasse tutto l’anno sarebbe la fi-ne…), che costituiscono l’elemento caratterizzante della festa ri-spetto a tutti gli altri gesti di mutualità, singolarmente concepiti.

La temporaneità della festa le dà quella connotazione ef-fimera, che ne fa un’esperienza struggente, dolce e amara.

Carresecare maccu, de peccadus unu saccu, de allegria fattu e margura!  (Carnevale matto, di peccati un sacco, diallegria fatto ed amarezza!).

La festa è un vertice che si prolungherà nelle relazionisociali a venire: ma non deve lasciare formalmente strasci-chi. Deve liquidarsi in se stessa. Il comitato si scioglie alla

sua fine; tutto quanto è stato raccolto si deve spendere e

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no, avvertito come tempo senza tempo, come monotona iterazione di gesti e di situazioni.

L’effimero è l’unica dimensione di un riconoscersi socia-le: configura il momento eccezionale entro il quale – e sol-tanto entro il quale – alla comunità sia consentito di riunirsie guardarsi.

È il tempo mitico della parità rituale.Con la rottura del ciclo produttivo agrario, è tutto questo

sistema di tempi e di forme ad essere messo in crisi.L’appello al consumo fa leva sulla tematica della vistosi-

tà, del godimento, dell’effimero secondo modi che sono le-

gati, com’è ben noto, a precise finalità produttive. La suapromessa di fare di ogni giorno, di ogni minuto una dome-nica fa debordare l’effimero dalla sua severa delimitazionetemporale e tende soprattutto a svuotarlo di ogni dimensio-ne comunitaria, nella misura in cui lo canalizza entro formestrettamente privatistiche.

Chi va alla novena sa ancora ben poco di fiori di carta odi macchine inutili. È lontano come la luna da quelle ambi-gue ideologie del ludico e del gratuito che, indotte dal verti-ce della «civiltà del benessere», le si stanno volgendo controin chiave di contestazione.

È al gradino opposto di questo sistema: ma è anche or-mai immesso entro un meccanismo di promesse e di fru-strazioni della cui sostanza contraddittoria comincia a pren-dere atto.

283

sua fine; tutto quanto è stato raccolto si deve spendere econsumare nel suo ambito: non devono restare «avanzi dagodere».

La festa deve consumarsi in se stessa, assieme al suo ap-parato.

 Appartengono quasi tutte al genere dell’effimero anchele cose che sono fabbricate esclusivamente in sua funzione:pani, dolci, bevande, carni. La stessa microurbanistica delnovenario fino a pochi decenni fa doveva accentuare i carat-teri di provvisorietà della festa, con tutte quelle baracche etende, il cui numero di certo era superiore a quello degli

edifici in muratura.Nell’economia tradizionale, i beni d’uso e consumo fa-miliare erano destinati a durare il più a lungo possibile: ilpane, che veniva (e viene tuttora) cotto in modo particolareperché il pastore possa conservarlo almeno per un mese; leolive e gli altri prodotti confezionati e conservati con fatturedomestiche; gli abiti e le suppellettili della casa (coperte,pentole, ceste), i pochi mobili (in particolare la cassa), gli at-trezzi di lavoro. I loro significati temporali rinviano ad ope-razioni da sempre compiute allo stesso modo, a forme dasempre impiegate per uno scopo sempre eguale, a gesti e aluoghi fissati dalla tradizione: rinviano a una immobilità pe-renne, a un eterno, da concepirsi come snodantesi entro lastabilità delle pareti domestiche e dell’ordinamento familiare.Si valorizza l’oggetto, caricandolo di tutti questi significati.

282

 APPENDICE I

METODOLOGIA DELLA RICERCA

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inoltre sesso e stato civile. Si è indicato, ad esempio: madre +figlio celibe + figlia sposata; marito + moglie + sorella nubiledella moglie.

Per semplicità, non si è considerato il numero reale dellepersone presenti in ciascun nucleo, ma solo il numero di re-lazioni-tipo in esso presenti: ad esempio un nucleo madre +figlia nubile + figlia nubile è stato indicato come: madre + fi-glia nubile.

Ciascun nucleo di relazioni è stato infine reso grafica-mente secondo uno schema di tipo genealogico, indicantetutte le persone (secondo sesso e stato civile) e le relazionirealmente presenti.

b) Si sono suddivisi i singoli individui considerati secondodi f di i i i i di i i ( l

 A) Diffusione geografica dei novenari in atto e scaduti (tabb.1-2 e tavola I)

Le informazioni che ci hanno consentito l’elaborazionedella tab. 1 e della cartina sono state raccolte grazie a una se-rie di collaborazioni capillari. Si è iniziato con un questionarioinviato a tutti i parroci della Sardegna, che risposero per circaun quarto. Le zone rimaste prive di informazione, ma che cisembrarono più interessanti ai fini di una probabile definizio-

ne dell’area dei novenari, vennero sondate da me o da studen-i i i Si è i i l l d l C id

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) gtre grandi fasce di generazioni: «anziani», «medi» e «minori» (aldi sotto dei 18 anni), tenendo conto di una combinazione del-le variabili età e posizione nella scala delle generazioni delnucleo parentale presente.

c) Si è notato che tornavano con notevole frequenza glistessi schemi di relazione parentale: ad esempio marito +moglie + figli minori. Per ogni stereotipia si sono elaboratigrafici riassuntivi, sempre analoghi allo schema genealogicodi cui al punto b), che indicassero il numero delle volte incui questa relazione si era presentata.

d ) Si è notato infine che gli stessi schemi di relazioneparentale si presentavano secondo un numero di combina-zioni relativamente ristretto: ad esempio ci potevano esseretot schemi marito + moglie + figli minori; tot schemi marito+ moglie + madre della moglie. Si è potuto così elaborareun grafico generale, in cui fosse riassunta la somma di tutti itipi di relazioni effettivamente presentatesi alla novena.

C) Inchiesta mediante questionario (tab. 13 sgg.)Questa parte della ricerca è stata resa possibile da una

sovvenzione del CNR.Le interviste sono state compiute da un gruppo di stu-

denti-ricercatori, preparati e coordinati da me.L’inchiesta mediante questionario non è stata intesa come

modo per esaurire la conoscenza del fenomeno delle novene,

286

,ti-ricercatori. Si è trascurato in particolare la zona del Campida-no di Cagliari, che peraltro si sapeva meno «conservatrice».

Il criterio di definizione dell’oggetto è stato il seguente:individuazione di chiese campestri la cui festa durasse (o fos-se durata, a memoria d’uomo) nove giorni, e che avesseronel loro perimetro costruzioni per ospitare i novenanti. Nonsi sono considerate: a) chiese campestri con feste più brevi,anche se dotate di logge o cumbessíe ; b) chiese campestri incui attualmente si pratichi la novena a piedi, cioè recandosiquotidianamente a piedi dal paese (questo, nei casi in cui ta-

le prassi non fosse residuale di novenari stanziali); c) chiesecampestri che, secondo la letteratura a disposizione (in parti-colare Angius) avessero avuto in passato feste della durata dipiù di nove giorni.

La elaborazione dei dati geografici di cui alle tab. 2 a eb è dovuta alla generosa collaborazione della prof. AngelaTerrosu Asole.

B) Censimento delle famiglie ai novenari e tavola IILa raccolta e l’elaborazione dei dati è avvenuta nel mo-

do seguente:a) Considerando come punto di riferimento la donna spo-

sata, o in sua assenza dal novenario, la donna nubile, si sonoanzitutto registrate le strutture dei singoli nuclei parentali pre-senti in una stanza. Per ogni individuo si sono considerati

287

ma come strumento aggiuntivo per ottenere una verificaquantitativa di certe ipotesi di lavoro. Si voleva in particolare:

a) individuare, almeno in via indicativa, il grado di rap-presentatività dell’istituto della novena rispetto al comporta-mento medio paesano;

b) definire forma e grado di attualità di una serie di altriistituti tradizionali, che si ipotizzava potessero essere correla-bili in via diretta o indiretta all’istituto della novena;

c) confrontare l’istituto della novena con altre forme diorganizzazione: la chiesa, la scuola, i mezzi di comunicazio-ne di massa.

Il metodo della campionatura è stato il seguente:

Per ogni gruppo di novena, si è formato un campionerappresentati o oscillante a seconda dei casi tra il 25 e il

 APPENDICE I

della diversa situazione in cui le domande erano poste.Per misurare la significatività statistica delle singole classi

di risposte abbiamo utilizzato la tecnica del c2. Per ogni ta-bella distinta secondo sesso e classi d’età (gruppo di novena;gruppo di paese) si sono confrontati: M1-M2; M1-M3; M2-M3;F1-F2; F1-F3; F2-F3; M1-F1; M2-F2; M3-F3. Quando era possi-bile un confronto tra gruppo di novena e gruppo di paese, siè calcolato il c2 tra M1 (gruppo di novena) e M1 (gruppo dipaese); M2 (gruppo di novena) e M2 (gruppo di paese); M3(gruppo di novena) e M3 (gruppo di paese); F1 (gruppo dinovena) e F1 (gruppo di paese); F2 (gruppo di novena) e F2(gruppo di paese); F3 (gruppo di novena) e F3 (gruppo di

paese). Nei confronti tra i singoli novenari si è pure applicatoil c2 in t tte le combinazioni possibili S Francesco Ann nziata

 Metodologia della ricerca

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g g pp , prappresentativo oscillante, a seconda dei casi, tra il 25 e il30% della popolazione adulta (al di sopra dei 18 anni). Lacampionatura è stata fatta tenendo conto di tre fattori deter-minanti: sesso, età e paese di provenienza.

Si è anzitutto divisa la popolazione secondo sesso e i tregrandi gruppi d’età: M1 (18-30), M2 (31-50), M3 (50 e oltre),F1, F2, F3 (c.s.).

Poi, in quei novenari dove fosse particolarmente rilevantela presenza di un gruppo etnico determinante (ad esempionuoresi e olienesi a S. Francesco), si sono costituite delle pic-

cole cellule in cui, nei limiti del possibile, fossero rappresentatiin egual misura i due sessi e le tre classi d’età. La differenza trail totale numerico delle singole cellule e il 25 o 30% dell’interocampione è stata colmata con una campionatura casuale. Si èconsiderato così un totale di 208 individui (vedi tab. 13).

Si sono poi costituiti (nell’autunno-inverno 1967-68) deipiccoli gruppi di confronto nelle cinque comunità di Nuoro,Oliena, Bitti, Mamoiada, Orosei: quarantotto persone perciascuno (quindi 240 in tutto), suddivise in misura eguale se-condo sesso e classi d’età. Si è cercato di rendere queste cel-lule di paese relativamente omogenee rispetto alle cellule dinovena anche rispetto alle occupazioni (vedi tab. 14).

 Al gruppo-campione di novena e alle cellule di con-fronto in paese è stato applicato uno stesso questionario,differente solo in alcuni particolari, che dovevano tener conto

288

p g p ppil c2 in tutte le combinazioni possibili: S. Francesco-Annunziata;S. Francesco-Rimedio; S. Francesco-Gonare; S. Francesco-S. Co-simo; Annunziata-Rimedio; Annunziata-Gonare; Annunziata-S.Cosimo; Gonare-S. Cosimo. Analogamente si è proceduto peril confronto tra stereotipi di paesi.

Le tabelle che seguiranno indicheranno solo i c2  signifi-cativi o poco al di sotto della significatività: questi ultimi in-dicati col segno (-).

D) Critiche di metodo

 Al termine di questa fase della ricerca può essere oppor-tuno tirare un primo bilancio sui limiti di fondo inerenti almetodo: ne abbiamo, di fatto, via via preso coscienza nelcorso dell’inchiesta.

Dopo la maturazione di quella serie di temi che sono espo-sti nella seconda parte del libro, penso di non aver semprescelto i punti più qualificanti per un confronto: l’istituto dellanovena sembra essere correlabile molto direttamente a istitutidi mutualità come dono, ospitalità, comparatico, che il questio-nario non ha invece preso in esame. Le informazioni raccoltenon sono comunque risultate inutili: o almeno, così spero.

Ma le riserve concernono questioni più sostanziali. Alla fine dell’inchiesta, siamo stati in grado di mettere in

discussione sia un’indagine mediante questionario d’opinio-ne applicato a gruppi ritenuti significativi anche rispetto a

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campionature più rigorose della nostra, sia la struttura orga-nizzativa, che questo tipo di indagine comporta. Si tratta, inogni caso, dell’utilizzazione, più o meno consapevole, dimodelli individualistici e gerarchici, che denunciano unaben precisa origine e destinazione di classe.

Il discorso non è nuovo: qui ci interessa vederne in parti-colare come si sia configurato entro la precisa realtà della no-stra ricerca, che pur partiva dalla consapevolezza di utilizzareuno strumento di applicabilità molto limitata. Di fatto, un me-desimo «vizio di forma» si sottendeva al complesso di questostrumento d’indagine: cioè ai criteri secondo cui si conforma- vano l’équipe di ricerca, la campionatura e il questionario.

a) L’équipe di ricerca – C’è anzitutto la subordinazione ge-rarchica dell’intervistatore ridotto a ruolo di esecutore di ordi

 APPENDICE I

relativamente vero a livello urbano, diventa molto più opina-bile a livello rurale, dove l’unità primaria non è l’individuo,ma il nucleo familiare. Inoltre e soprattutto, non è affatto det-to che la somma di tante situazioni singole possa e debbadarci una totalità, che è invece costituita da un insieme di rap-porti sintattici e non paratattici. Infine, con questo mezzo si viene di necessità a trascurare l’individuazione proprio di queifenomeni minoritari, che possono costituire l’elemento social-mente più dinamico e quindi più interessante. Anche perquesta via si conferma dunque l’autocritica che ho fatto nellaparte finale della “Introduzione”.

c) Il questionario nel rapporto intervistatore-intervistato – 

C’è anzitutto il problema meramente tecnico della applicabi-lità di un questionario a domande fisse da rivolgersi a un in

 Metodologia della ricerca

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q p grarchica dell intervistatore, ridotto a ruolo di esecutore di ordi-ni e di esattore di risposte. È l’inconveniente meno grave, chesi può correggere democratizzando il gruppo. Si è cercato dicoinvolgere gli studenti alla stesura e alla successiva taraturadel questionario e, durante la fase dell’inchiesta, alla discus-sione circa i metodi, i primi risultati, la problematica che neinsorgeva. L’esperienza è stata valida, proprio nella misura incui siamo giunti assieme a contestare le premesse da cui si èpartiti e a orientarci in vista di un futuro lavoro, che compor-tasse una équipe paritetica, fin dal momento iniziale della ri-

cerca, cioè dal momento di una prima definizione dell’oggettodi studio – questo, peraltro, senza la pretesa demagogica diuna rinuncia a quella parte di sapere tecnico, di cui ciascunodispone in misura diversa. Il piano comune di incontro appa-re semmai la disponibilità politica e culturale di ciascuno.

È stata peraltro questa stessa esigenza di politicizzazionea mettere in causa i limiti della «democraticità» di un’équipedi ricerca, che non si concepisca democraticamente anchenel rapporto con gli altri, cioè con i presunti «oggetti» dellaricerca.

b) La campionatura – Un’indagine su un campione stati-sticamente rappresentativo pretende di fornirci l’immagine diuna totalità, che peraltro è il risultato della somma numericadi tanti individui diversi, isolati appunto come individui e noncome facenti parte di un gruppo. Questo può anche essere

290

p pplità di un questionario a domande fisse da rivolgersi a un in-tervistato appartenente a una cultura «diversa» da quella bor-ghese o operaia. Il problema è strettamente affine a quellodell’impiego di tests  di intelligenza rispetto a gruppi etnicidiversi o a ceti sociali subalterni.

Qualsiasi manuale di tecnica della ricerca ribadisce la ne-cessità di eliminare al massimo le interferenze personali del-l’intervistatore, al fine di ridurre al minimo i rischi di un con-dizionamento, da parte sua, delle risposte. Questo è forsepossibile in ambiente urbano, dove sono largamente ammessi

rapporti di tipo impersonale (uffici, negozi, ecc.). È inconcepi-bile nell’ambito di una comunità rurale, dove tutti i rapporti«veri» sono solo di ordine personale, e dove gli unici tentatividi instaurare rapporti diversi – e con esito fallimentare – pro- vengono dall’incomprensibile mondo dei rappresentanti delpotere anonimo dello Stato e dei suoi rappresentanti. Ai finidell’inchiesta, era necessario quindi abbandonare la pretesa diun incontro «asettico»: si ricorse al colloquio libero, le cui in-formazioni per noi interessanti venissero formalizzate solosuccessivamente entro i quadri del questionario. Il questiona-rio cioè veniva ad acquistare in completezza e veridicità nellamisura in cui contraddiceva le premesse manualistiche.

La stessa logica interna del questionario – nonostantel’attenzione alla sua taratura – si è rivelata come un’imposi-zione artificiale di uno schema attinto da una logica diversa

291

da quella che stavamo esaminando: questo almeno, per lequestioni concernenti l’ideologia magica.

 Anzitutto, il coinvolgimento in valutazioni personali veni- va eluso dall’intervistato nella misura in cui ogni valutazione veniva riferita all’intero gruppo: si tendeva cioè non a rispon-dere «è bene», «è male», ma «dicono che è bene (o male)» ecc. A sua volta, l’implicita presenza del gruppo come organismodi controllo era avvertibile nelle reticenze che iniziavanoesattamente nel punto in cui le domande venivano a riferirsia reali rapporti tra persone. Non abbiamo trovato resistenzea domande relative alla frequenza ai sacramenti, all’informa-zione mediante mass media, ecc.: iniziavano, e comprensi-

bilmente, quando si cominciava a parlare di malocchio, dipersone colpite o no ecc

 APPENDICE I

è di tipo globale, da esprimersi nella sua totalità e come talecomunicabile ad altri. Sequenze puntuali e analitiche di no-zioni astratte non fanno parte della logica del malocchio e, allimite, della logica di qualsiasi vissuto, ma di altri ordini di lo-gica, che sarebbe stato assurdo imporre.

 Anche in questo caso, il questionario tornò ad essere va-lido solo come strumento di formalizzazione, a posteriori, diinformazioni ottenute lasciando inizialmente libera la perso-na di fare il proprio racconto e intervenendo in seguito conalcune richieste di precisazione.

Riassumendo: il metodo d’indagine ha subito un notevo-le processo di liberalizzazione, che toccava in eguale misura

le persone degli intervistatori e quelle degli intervistati. Pen-so possa essere il massimo dei risultati ottenibili restando al-

 Metodologia della ricerca

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persone colpite o no, ecc.Dove però i due sistemi logici si scontravano incompati-

bilmente era sull’argomento malocchio. Una parte del que-stionario – che in questa sede non esaminiamo nei particola-ri – tendeva ad analizzare minutamente tutto l’orizzonte deipossibili rapporti sociali, che un tale episodio disturba o sol-lecita: per ottenere questa conoscenza, si poneva una se-quenza di domande precise. La realtà era esattamente il con-trario. Il racconto di una esperienza di malocchio ha una suacoerenza, che tende a polarizzare la narrazione prevalente-

mente su due punti: la descrizione drammatica dell’incidentee (spesso su un piano minore di interesse) la terapia impie-gata per risolverlo. Si tende invece a mettere tra parentesi ilrilievo personale dell’individuo che avrebbe causato il ma-locchio, i rapporti (di parentela o di vicinato o di estraneità)eventualmente esistenti, la loro qualità (amicizia, ostilità). Ilmascheramento della responsabilità altrui si giustifica peral-tro con l’implicita intenzione di salvare comunque i rapportisociali, che correrebbero il rischio di venir compromessi.

L’incompatibilità si realizzava su due punti. Primo: noi si voleva sapere cose che a loro non interessavano. Secondo:noi si pretendeva che l’intervistato si piegasse docilmente altipo di successione di domande proposte, anzi imposte, dalquestionario. Di fatto, la logica del malocchio (e di molte altreesperienze non solo «magiche», comunque reali e dinamiche)

292

so possa essere il massimo dei risultati ottenibili restando al-l’interno dello strumento-questionario.

Si aprono peraltro a questo punto i reali discorsi di fon-do: il nesso organico esistente tra oggetto, metodo e destina-zione di una ricerca. Il questionario puntava sull’evidenzia-zione di situazioni tradizionali; parallelamente, il rapporto di«cordialità» che legava intervistatore e intervistato finiva ine- vitabilmente per inserirsi entro uno di tipo clientelare, checonfermasse ciascuno nel proprio ruolo gerarchico.

Se la scelta culturale – cioè politica – vuole essere diversa,

si dovranno sperimentare altre strade, in cui ciascuno possa es-sere interrogante e interrogato nell’ambito di un reciproco con-fronto dialettico su una tematica accomunante. Il che comportaescogitare nuove modalità di organizzazione di base, la ridi-scussione dei rapporti tra ricerca e lavoro comune, delle finaliz-zazioni della cultura, ecc. ecc. Per questi nuovi esperimentipuò essere propizio proprio il momento attuale, nella misura incui, conchiusasi ormai la fase della contestazione globale, si av- verte come primario il bisogno di ripensamenti e di verifiche.

293

 APPENDICE II

TABELLE

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TAB. 1A - NOVENARI IN ATTO - DATI SOMMARI

NR .CARTO-GRAFICO

COMUNE CHIESA

D ATA DELLA FESTA

   N   R .   F   A   M   I   G

   L   I   E

NOVENANTI (1967)QUESTUA OR  GA NIZ ZA TO RI ANGIUS

PROVENIENZA

M A. GIU. LU. AG. SETT. OTT.   S   T   E   S   S   O 

   P   A   E   S   E

P AESI CONFINANTI ALTRI PAESI

   S   T   E   S   S   O 

   P   A   E   S   E ALTRI PAESI

   C   O    M

   I   T   A   T   O

   P   R   I   O    R

   E

   P   A   R   R   O    C

   O

R EF.   C   H   I   E   S   A

   F   E   S   T   A

   N   O    V

   E   N   A

ORA    U   N

   T   E   M   P   O

ORA    U   N

   T   E   M   P   O

ORA    U   N

   T   E   M   P   O

54 Abbasanta S. Agostino 28 20 ° ° ° ° °48 Aidomaggiore S. Barbara UD 10 ° I, 75 ° °49 Aidomaggiore S. Maria 8 20 ° ° ° ° ° I, 7570 Ardauli S. Quirico 24 10 ° ° ° I, 356 °58 Bidonì S. Maria de Ossolo 8 20 ° °38 Birori S. Stefano 1°L 10 ° ° ° ° ° II, 332 ° °12 Bitti B.V. Annunziata 3aD 70 ° ° ° ° ° ° ° ° ° II, 354-361 ° ° °13 Bitti N.S. del Miracolo 30 15 ° ° ° ° ° ° ° ° ° °60 Bonarcado S. Maria de Bonacattu 18 8 ° ° ° ° ° °66 Boroneddu S. Salvatore 15 30 ° ° ° ° ° ° II, 510 °

43 Borore S. Lussorio 1aD 20 ° ° ° II, 512 ° °36 Bortigali S. Maria de Saùcu 17 30 ° ° ° ° II, 405 ° ° °

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 150/178

g ,73 Busachi S. Susanna 11 40 ° ° ° ° ° II, 738 ° °77 Cabras S. Salvatore 1 100 ° ° ° ° ° ° ° XIII, 309 ° ° °59 Fonni S. Maria dei Martiri 1aD 5 ° ° ° ° ° ° ° VI, 719-724 ° °75 Fordongianus S. Lussorio 21 10 ° ° ° ° VI, 745 °53 Gavoi N.S. d’Itria UD 60 ° VII, 291 ° ° °61 Ghilarza S. Giovanni Battista 24 20 ° ° ° ° ° VIII, 57 °62 Ghilarza S. Michele 8 65 ° ° ° ° VIII, 57 ° ° °63 Ghilarza S. Serafino (o S. Raffaele) 24 100 ° ° ° ° ° VIII, 57-58 ° ° °26 Illorai Mad. della Neve (o de Luke) PD 15 ° ° ° ° F ° °23 Irgoli S. Michele M M 10 ° ° VIII, 57-58 ° ° °15 Lula S. Francesco 4 107 ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° IX, 923 ° °44 Mamoiada SS. Cosimo e Damiano 27 48 ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° X, 112 ° ° °

47 Norbello S. Ignazio da Laconi UD 20 ° ° ° °67 Nughedu S.V. S. Basilio Magno 1 25 ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° XII, 532 ° ° °37 Oliena B.V. di Monserrato 8 50 ° ° ° ° XIII, 5839 Orani e Sarule N.S. di Gonare 1 8 45 ° ° ° ° ° ° ° ° ° °78 Oristano N.S. del Rimedio 8 8 10 ° ° ° ° XIII, 309-310 ° ° °25 Orosei N.S. del Rimedio 8 94 ° ° ° ° ° ° ° ° XIII, 538-539 ° °22 Orune B.V. della Consolata 1°L 7 ° ° ° ° ° F ° XIII, 588 ° °68 Paulilatino S. Cristina 1aD 30 ° ° ° ° ° ° ° II, 411 ° ° °52 Santulussurgiu S. Leonardo 4 20 ° ° ° ° ° °50 Sedilo S. Costantino Imperatore 7 20 ° ° ° ° ° XIX, 76 ° ° °3 Sedini S. Pancrazio 12 10 ° ° F XI, 774 °33 Silanus S. Bartolomeo 2aD 10 ° ° ° XX, 138 °34 Silanus S. Sabina 3aD 10 ° ° XX, 13855 Sorradile S. Maria 8 15 ° ° XX, 304 °

56 Sorradile S. Nicolò 18 10 ° ° ° XX, 304 ° °74 Villanova Truschedu S. Gemiliano 16 6 ° ° °

 Abbreviazioni : Data della festa: D = domenica; L = lunedì; M = mobile; PD; PM = domenica, martedìdopo Pentecoste; PA = domenica dopo Pasqua.Organizzatori : F = determinate famiglie.

 Angius : V. Angius, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino 1833 sgg. Ref. = volume, pagina.

 Nr. cartografico fa riferimento alla numerazione sulla carta di distribuzione dei novenari,di cui alla tavola I.

TAB. 1B - NOVENARI SCADUTI - DATI SOMMARI

NR .CAR  TO GRA-FI CO

COMUNE CHIESA

D ATA DELLA FESTANOVENANTI 

P AESI

 DI

 PROVENIENZA

QUESTUA P AESI ORGANIZZATORI  ANGIUS

 APR . M A. GIU. LU. AG. SETT. OTT. STES SO CON FI-NAN TI

 ALTRI STES SO ALTRI

CO MI TA-TO

PRIO RE P AR  RO CO R EF.   C   H   I   E   S   A

   F   E   S   T   A

   N   O   V   E   N   A

ORAUN 

TEMPO

17 Anela N.S. delle Rose(o Mesumundu) 8 ° ° ° ° I, 184 ° °

27 Bolotana S. Bachisio 8 ° ° ° ° II, 40419 Bono S. Raimondo 31 ° ° ° ° ° II, 427 °20 Bono S. Restituta 17 ° ° F II, 428 ° °18 Bonorva S. Lucia 1 ° ° ° II, 435 °11 Bultei Mad. del Monte UD ° ° ° ° ° II, 427 °40 Dualchi S. Pietro Apostolo 29 ° ° ° ° VI, 314 ° °24 Esporlatu S. Barbara (2aD) ° ° ° ° VI, 402 °14 Giave SS. Cosma e Damiano 26 ° ° ° ° VIII, 45 ° °

64 Ghilarza S. Maria Ausiliatrice(«Trempu») in via di ricostruzione, comprese le case

65 Ghilarza (fraz. Soddì) S. Maria Maddalena 22 ° ° ° ° °29 Lei S. Marco IX, 532 ° ° °30 Lei S Michele 1aD ° ° ° ° IX 532 ° ° °

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 151/178

30 Lei S. Michele 1 D IX, 5322 Luogosanto N.S. di Luogosanto 8 ° ° ° ° °

35 Macomer (fraz. Mulargia) S. Elena (18) ° ° n.m. n.m. n.m. n.m. n.m. XI, 577 °16 Mara B.V. Addolorata 3aD ° ° ° ° ° X, 132 ° ° °71 Neoneli S. Angelo 1aL ° ° ° XI, 641 ° ° °5 Nulvi S. Tecla 1aD ° ° ° ° °

31 Nuoro N.S. di Valverde 1 ° ° ° XII, 701 ° °80 Nureci N.S. d’Itria PM ° ° ° °51 Ollolai S. Basilio 1 ° ° ° ° ° XIII, 90 °46 Olzai L’Angelo 3aD ° ° ° ° °9 Onanì (fraz. Mamone) S. Bachisio 29 ° ° ° ° ° ° ° ° XIII, 112 °

45 Orgosolo B.V. Assunta 15 ° ° XIII, 239 °32 Orotelli B.V. di Sinia (8) ° n.m. n.m. n.m. n.m. n.m. XIII, 547 °41 Ottana B.V. Assunta 15 ° ° ° ° ° ° ° XIII, 669 ° °8 Pattada B.V. del Carmelo (16) ° ° XIV, 271 ° °4 Perfugas S. Giorgio (29) ° ° ° ° ° °

79 Ruinas S. Teodoro 23 ° ° ° ° ° XVI, 648 ° ° °81 Sadali S. Elena (3) (18) (14) ° ° XVII, 10 ° °42 Scano Montif. S. Antioco UL ° ° ° °21 Semestene S. Nicolò di Trullas 16 ° ° ° ° ° XIX, 832-833 ° °76 Siamaggiore S. Ciriaco 8 ° ° ° ° ° ° XX, 110 °6 Siligo S. Elia di Montesanto PA ° ° ° ° ° XX, 143 °7 Siligo S. Vincenzo Ferreri 2aD ° ° ° ° °

28 Sindia S. Demetrio 17 ° ° ° ° ° ° ° ° XX, 180 °1 S. Teresa di Gallura B.V. del Buoncammino PD ° ° ° ° ° II, 427 °

57 Tadasuni S. Michele 29 ° ° ° °69 Teti S. Sebastiano 3aD ° ° ° ° XX, 870-871 ° ° °10 Thiesi N.S. di Seunis 8 ° ° ° ° °72 Ula Tirso S. Maria Maddalena 22 ° ° °

83 Ulassai S. Barbara (3D) (10) ° ° XXIII, 597 ° ° °82 Ussassai Il Salvatore 12 ° ° ° °

 Legenda: Per «novenari scaduti» si intendono quelle chiese presso le quali non si celebripiù la novena residenziale. Le notizie sono ricostruibili a memoria d’uomo, tranne pochialtri casi indicati dall’Angius, di cui si è perduta la memoria.n.m. = nessuna memoria.

La data della festa, le notizie relative alla questua e al comitato si riferiscono all’attualecelebrazione di una festa della durata di uno-tre giorni. In caso di festa non più celebrata,la data è indicata tra parentesi.

TAB. 2A - NOVENARI IN ATTO - SITUAZIONE GEOGRAFICA

NR .CARTO-GRAFICO

COMUNE CHIESA

QUOTA POSIZIONE GEOGRAFICA ACQUE E  VEGETAZIONEDISTANZA DAL PAESE

(KM IN LINEA D’ ARIA)

POSIZIONE 

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PRESSO CONFINE

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   C   H   I   E   S   A

   P   I   A   N   U   R   A

   V   A   L   L   E

   B   O   R   D   O 

   T   E   R   R   A   Z   Z   O

   P   E   N   D   I   O

   A   L   T   O   P   I   A -

   N   O

   V   E   T   T   A

   F   O   N   T   I

   T   O   R   R   E   N   T   E

   M   A   C   C   H   I   A

   B   O   S   C   O

   C   O   L   T   I   V   O

   I   N   P   A   E   S   E

   0 ,   5   1 ,   5   1 ,   6   3   3

 ,   1   5   5 ,   1   1   2

   I   N   T   E   R   N   A

   D   E   C   E   N -

   T   R   A   T   A

   S   U   L   C   O   N -

   F   I   N   E

   0 ,   2

   1 ,   5   K   M

   2

   3   O    P

   I   Ù

54 Abbasanta S. Agostino 315 364 ° ° ° ° ° ° °48 Aidomaggiore S. Barbara 250 148 ° ° ° ° ° ° °49 Aidomaggiore S. Maria 250 290 ° ° ° ° ° °70 Ardauli S. Quirico 420 206 ° ° ° ° ° ° ° °58 Bidonì S. Maria de Ossolo 250 182 ° ° ° °38 Birori S. Stefano 450 413 ° ° ° ° ° ° °12 Bitti B.V. Annunziata 549 242 ° ° ° ° ° ° °13 Bitti N.S. del Miracolo 549 552 ° ° ° ° °60 Bonarcado S. Maria de Bonacattu 282 282 °66 Boroneddu S. Salvatore 216 206 ° ° ° ° ° ° °

43 Borore S. Lussorio 349 420 ° ° ° ° °36 Bortigali S. Maria de Saùcu 510 845 ° ° ° ° ° °

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 152/178

73 Busachi S. Susanna 370 275 ° ° ° ° °77 Cabras S. Salvatore 9 6 ° ° ° °59 Fonni S. Maria dei Martiri 1000 1000 °75 Fordongianus S. Lussorio 35 71 ° ° ° ° ° ° °53 Gavoi N.S. d’Itria 777 861 ° ° ° ° ° ° ° °61 Ghilarza S. Giovanni Battista 290 273 ° ° ° ° ° °62 Ghilarza S. Michele 290 262 ° ° ° ° ° ° ° °63 Ghilarza S. Serafino (o S. Raffaele) 290 153 ° ° ° ° ° °26 Illorai Mad. della Neve (o de Luke) 503 195 ° ° ° ° °23 Irgoli S. Michele 26 127 ° ° ° ° ° ° °15 Lula S. Francesco 521 464 ° ° ° ° ° °44 Mamoiada SS. Cosimo e Damiano 644 882 ° ° ° ° ° ° °

47 Norbello S. Ignazio da Laconi 315 378 ° ° ° ° ° ° °67 Nughedu S.V. S. Basilio Magno 902 366 ° ° ° ° ° ° °37 Oliena B.V. di Monserrato 388 187 ° ° ° ° ° °

39 Orani e Sarule N.S. di Gonare 521626 1083 ° ° ° ° °

78 Oristano N.S. del Rimedio 9 9 ° ° ° ° °25 Orosei N.S. del Rimedio 19 31 ° ° ° ° ° °22 Orune B.V. della Consolata 745 850 ° ° ° ° °68 Paulilatino S. Cristina 206 280 ° ° ° ° ° °52 Santulussurgiu S. Leonardo 503 684 ° ° ° ° °

50 Sedilo S. CostantinoImperatore 288 236 ° ° ° °

3 Sedini S. Pancrazio 300 366 ° ° °33 Silanus S. Bartolomeo 432 352 ° ° ° °34 Silanus S. Sabina 432 382 ° ° ° °55 Sorradile S. Maria 356 432 ° ° ° ° ° °56 Sorradile S. Nicolò 356 337 ° ° ° ° ° ° °74 Villanova Truschedu S. Gemiliano 60 56 ° ° ° °

Totale  2 3 11 9 9 3 23 16 14 11 9 4 10 11 7 7 16 21 8 12 12 7

FONTE: Carta topografica d’Italia, edita dall’Istituto geografico militare, Firenze; tavolette alla scala 1:25.000.

TAB. 2B - NOVENARI SCADUTI - SITUAZIONE GEOGRAFICA

   N   R .   C   A   R   T   O   G   R   A -

   F   I   C   O

COMUNE CHIESA

QUOTA POSIZIONE GEOGRAFICA ACQUE E  VEGETAZIONEDISTANZA DAL PAESE

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POSIZIONE NELL

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   M   A   C   C   H   I   A

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   C   O   L   T   I   V   O

   I   N   P   A   E   S   E

   0 ,   5 -   1 ,   5

   1 ,   6 -   3

   3 ,   1 -   5

   5 ,   1 -   1   2

   I   N   T   E   R   N   A

   D   E   C   E   N -

   T   R   A   T   A

   S   U   L

   C   O   N   F   I   N   E

   0 ,   2 -   1 ,   5

   K   M    2

   3   O    P

   I   Ù

17 Anela N.S. delle Rose (o Mesumundu) 446 475 ° ° ° ° ° °27 Bolotana S. Bachisio 472 503 ° ° ° ° °19 Bono S. Raimondo 536 549 ° ° ° °20 Bono S. Restituta 536 536 ° ° ° ° ° ° ° °18 Bonorva S. Lucia 508 354 ° ° ° ° ° °11 Bultei Mad. del Monte 509 1031 ° ° ° °40 Dualchi S. Pietro Apostolo 321 314 ° ° ° ° °24 Esporlatu S. Barbara 326 474 ° ° ° ° ° °14 Giave SS. Cosma e Damiano 595 620 ° ° ° °64 Ghilarza S. Maria Ausiliatrice («Trempu») 290 248 ° ° ° ° °

65 Ghilarza (fraz. Soddì) S. Maria Maddalena 250 235 ° ° ° °29 Lei S. Marco 458 429 ° ° ° ° ° ° °30 Lei S Michele 458 458 °

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 153/178

30 Lei S. Michele 458 458 2 Luogosanto N.S. di Luogosanto 321 321

35 Macomer (fraz. Mulargia) S. Elena 700 705 °16 Mara B.V. Addolorata 261 343 ° ° ° ° ° ° °71 Neoneli S. Angelo 554 598 ° ° ° ° ° °5 Nulvi S. Tecla 478 478 °

31 Nuoro N.S. di Valverde 532 515 ° ° ° ° ° °80 Nureci N.S. d’Itria 335 280 ° ° ° ° ° ° ° °51 Ollolai S. Basilio 960 1001 ° ° ° ° ° °46 Olzai L’Angelo 474 305 ° ° ° ° °9 Onanì (fraz. Mamone) S. Bachisio 482 304 ° ° ° ° ° ° ° °

45 Orgosolo B.V. Assunta 620 620 °32 Orotelli B.V. di Sinia 406 313 ° ° ° ° °41 Ottana B.V. Assunta 185 185 °8 Pattada B.V. del Carmelo 755 715 ° ° ° ° °4 Perfugas S. Giorgio 91 125 ° ° ° ° ° ° ° °

79 Ruinas S. Teodoro 386 381 ° ° ° ° °81 Sadali S. Elena 704 715 ° ° ° °42 Scano Montif. S. Antioco 380 450 ° ° ° ° ° °21 Semestene S. Nicolò di Trullas 384 350 ° ° ° ° °76 Siamaggiore S. Ciriaco 7 8 ° ° ° ° °6 Siligo S. Elia di Montesanto 409 734 ° ° ° °7 Siligo S. Vincenzo Ferreri 409 290 ° ° ° ° °

28 Sindia S. Demetrio 509 496 ° ° ° ° °1 S. Teresa di Gallura B .V. del Buoncammino 44 54 ° ° ° ° °

57 Tadasuni S. Michele 185 235 ° ° ° ° ° ° °69 Teti S. Sebastiano 714 631 ° ° ° ° ° ° °

10 Thiesi N.S. di Seunis 461 477 ° ° ° ° ° °72 Ula Tirso S. Maria Maddalena 384 384 °83 Ulassai S. Barbara 775 580 ° ° ° ° °82 Ussassai Il Salvatore 670 n.s.

Totale  2 1 12 13 6 1 21 19 9 12 11 9 10 14 4 4 22 12 2 9 7 4

 Abbreviazioni : n.s. = non segnato sulle carte al 25.000.

TAB. 3 - POPOLAZIONE ATTIVA E NON ATTIVA

COMPOSIZIONE PER CONDIZIONE NON PROFESSIONALE (ISTAT 1961)

COMUNITOTALE POPOLAZIONE  ATTIVA SCOLARI STUDENTI C ASALINGHE PENSIONATI ALTRI

TOTALE POPOLAZIONE NON  ATTIVA

TOTALE GENERALE

MF M MF M F MF M MF M MF M MF M

Bitti 1810 38,4 1635 70,3 516 10,9 269 11,5 1821 38,7 285 6,1 204 8,8 280 5,9 219 9,4 2902 61,6 692 29,7 4712 100 2327 100Mamoiada 1040 4 0,1 942 7 1,3 315 1 2,1 182 1 3,8 931 35,9 266 1 0,3 180 1 3,6 40 1,6 18 1,4 1552 5 9,9 380 2 8,7 2592 100 1322 100Nuoro 7943 44,6 6177 70,9 3293 18,5 1735 19,9 5420 30,4 700 3,9 513 5,9 460 2,6 292 3,3 9873 55,4 2540 29,1 17816 100 8717 100Oliena 2370 4 2,7 1917 7 0,1 580 1 0,5 317 1 1,6 1710 30,8 674 1 2,1 407 1 4,9 219 3,9 94 3,4 3183 5 7,3 818 2 9,9 5553 100 2735 100Orosei 1246 3 9,1 1167 7 2,6 353 1 1,1 216 1 3,4 1231 38,7 257 8,1 171 1 0,7 97 3,0 53 3,3 1938 6 0,9 440 2 7,4 3184 100 1607 100

TAB. 4 - POPOLAZIONE ATTIVA PER POSIZIONE NELLA PROFESSIONE(ISTAT 1961)

COMUNIIMPRENDITORI ECC. DIRIGENTI E IMPIEGATI L AVORATORI IN PROPRIO L AVORATORI DIPENDENTI COADIUVANTI TOTALE

MF M MF M MF M MF M MF M MF M

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 154/178

Bitti 13 0,7 11 0,7 129 7,2 78 4,8 643 35,9 597 36,9 754 42,1 688 42,5 252 14,1 245 15,1 1791 100 1619 100Mamoiada 11 1,1 10 1,1 40 4,0 19 2,1 279 28,1 238 26,5 586 59,0 555 61,7 78 7,8 77 8,6 994 100 899 100Nuoro 131 1,7 131 2,2 2132 27,6 1377 22,9 1057 13,7 882 14,7 4105 53,2 3404 56,7 286 3,7 213 3,5 7719 100 6007 100Oliena 10 0,4 10 0,5 63 2,7 36 1,9 598 25,6 531 28,1 1486 63,7 1167 61,9 177 7,6 143 7,6 2334 100 1887 100Orosei 7 0,6 7 0,6 68 5,5 43 3,7 322 26,1 312 27,1 691 56,1 651 56,4 144 11,7 141 12,2 1232 100 1154 100

TAB. 5 - POPOLAZIONE ATTIVA PER SETTORI DI ATTIVITÀ (ISTAT 1961)

COMUNIAGRICOLTURA, PASTORIZIA

INDUSTRIE ESTRATTIVE E MANIFATTURIERE

COSTRUZIONI TRASPORTI COMMERCIO ALTRE  ATTIVITÀ TERZIARIETOTALE (ESCLUSI IN CERCA DI 

1 A OCCUPAZIONE)MF M MF M MF M MF M MF M MF M MF M

Bitti 880 49,1 878 54,2 213 11,9 156 9,6 320 17,9 319 19,7 42 2,3 37 2,3 130 7,3 93 5,8 206 11,5 136 8,4 1791 100 1619 100Mamoiada 423 42,5 423 47,0 99 10,0 91 10,1 293 29,5 292 32,5 24 2,4 23 2,6 53 5,3 17 1,9 102 10,3 53 5,9 994 100 899 100Nuoro 684 8,9 666 11,1 971 12,6 878 14,6 1350 17,5 1342 22,4 473 6,1 428 7,1 941 12,2 620 10,3 3 300 42,7 2073 34,5 7 719 100 6007 100Oliena 1593 68,2 1293 68,5 216 9,3 184 9,7 217 9,3 217 11,5 59 2,5 56 3,0 94 4,0 35 1,9 156 6,7 102 5,4 2334 100 1887 100Orosei 735 59,7 730 63,3 120 9,7 118 10,2 164 13,3 163 14,1 26 2,1 23 2,0 55 4,5 46 4,0 132 10,7 74 6,4 1232 100 1154 100

TAB. 6 - LIVELLI DI ISTRUZIONE - POPOLAZIONE AL DI SOPRA DEI 6 ANNI(ISTAT 1961)

COMUNIL AUREA E DIPLOMA LICENZA MEDIA LICENZA ELEMENTARE

ALFABETI PRIVI DI TITOLI DI STUDIO

ANALFABETI TOTALE

MF M MF M MF M MF M MF M MF M

Bitti 149 2,9 94 3,7 141 2,7 70 2,7 3145 61,0 1550 6,04 1118 21,7 605 23,6 603 11,7 246 9,6 5156 100 2565 100Mamoiada 49 1,7 25 1,7 72 2,5 52 3,6 1823 63,9 920 6,32 612 21,5 331 22,8 298 21,4 127 8,7 2854 100 1455 100Nuoro 2064 10,5 1137 1 1,8 2181 11,0 1173 1 2,2 10578 53,7 5197 5 ,41 3622 18,4 1622 16,9 1266 6,4 479 5,0 19711 100 9608 100Oliena 77 1,3 43 1,4 124 2,0 73 2,4 3469 56,4 1728 5,70 1580 25,7 794 26,2 897 14,6 396 13,0 6147 100 3034 100Orosei 67 1,9 41 2,2 90 2,5 55 3,0 1930 53,7 1051 5,75 1004 27,9 521 28,5 505 14,0 161 8,8 3596 100 1829 100

TAB. 7 - AGRICOLTURA: SUPERFICIE, QUALITÀ, PRODUZIONE DAL 1961 AL 1965(FONTE: REG. AUTON. SARD.)

COMUNE GRANO ORZO A VENA LEGUMI-NACEE

P ATATE GRAN-TURCO

C ARCIOFO POPONI ALTRIORTAGGI

V ITE OLIVO M ANDORLO AGRUMI FICO NOCCIOLO  ALTRI  ALBERI FRUTTIFERI

TOTALE SUPERFICIE

SUPERFICIE E PRODUZIONE   ANNI

Bitti

5402700

1501200

60600

10104

202040

10871

1564286

2591503 65 105

1145

1216 haq.li 1961

4804080

1401680

35455

9108

313100

9677

1604650

259767 56 150

879

1031 haq.li 1962

3603202

851190

35490

876

383800

9916

1604238

2592199 70 160

8147

962 haq.li 1963

2001000

80800

48480

545

121680

7820

1601550

261403 50 150

8128

781 haq.li 1964

2602340

801040

30360

5,544,5

172296

4320

1625440

2611856 40 180

8121

827,5 haq.li 1965

Mamoiada

2871578

1281024

11132

14250

242448

1,619,2

7,5750

34210624

17

389 86

4114

271030

887 haq.li 1961

2502000 1101210 10140 18258 303060 1,524 9610 3428300 11 355 81 4116 9,5893 825 haq.li 19622106

646

104

17 4244

24

11,565

34254

15

3 124

6,55

721 hali 1963

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 155/178

Mamoiada 1680 896 140 221 4410 40 1165 10754 15 80 71 4 215 q.li 1963

1201080

58696

880

13132

5560

242

10902

3488160

11,6

378 62

88

6,5210

582,5 haq.li 1964

1101100

60840

10140

13143

3420

242

121289

35613600

14

373 70

88

6,5298

584,5 haq.li 1965

Nuoro

8505610

4134543

1381656

53,5783

525616

6,590

192

8711995

45212400

189015990

38613222

16,5808

8300

53

1046693

4462,5 haq.li 1961

7606920

3904680

891246

44517

606600

684

2,5210

86,59232

45511760

18856265

3888228

4,538

8460

52

1047110

4286,5 haq.li 1962

6205431

2102940

891246

38422

758250

7140

1180

7911423

45513440

189523500

3163566

6146

8356

1048298

3903 haq.li 1963

3552165

2002400

861032

39394

101300

5100

1130

75,55610

46116347

19035870

3162349

4,5136

7341

876022

3370 haq.li 1964

3062552

1802520

801120

33347

5472

590

195

535912

46617148

191718010

3161630

4,5139

7385

846239

3457,5 haq.li 1965

Oliena

8996293

4303870

925

53726

241752

2105

26,52925

83021280

310526600

82250

540

163,54636

5555 haq.li 1961

9109080

4303870

938

55752

251750

296

374067

84015000

310512223

42210

545

163,54273

5585,5 haq.li 1962

6707400

3203840

1238

59468

302550

236

1,585

354025

92827159

311039623

132205

5195

163,55526

5340 haq.li 1963

3702165

2903480

1235

44423

6,5685

232

1,598

333893

91731695

310510259

3,51205

5220

150,56545

4939,5 haq.li 1964

4504050

2703780

1440

38254

8865

228

1,589

20,52256

93932740

312027965

92205

5260

150,56111

5027,5 haq.li 1965

Orosei

3801813

105525

735

73119800

6540

342

1435

282380

183396

3049128

8944489

49249

35,51690

25230

81886

2680,5 haq.li 1961

3954042

1061378

10110

85225476

1,575

452

1342

282430

244488

3108880

8941194

49217

29,51600

25150

80884

2741 haq.li 1962

4004887

1001200

10110

84110078

2100

570

1449

302750

224053

31710709

89412521

49309

29,51685 130

801386

2793,5 haq.li 1963

3401800

85935

10110

153,51048

9705

690

1549

383420

35,56485

31610674

8984258

49379

311777 105

801218

2066 haq.li 1964

5253300

66792

10130

5422493

11908

7105

1549

383420

32,56026

31310420

89811398

26328

321883 80

80,51174

2596 haq.li 1965

TAB. 8 - NOVENARI - POPOLAZIONE SECONDO INDIVIDUI E FAMIGLIE

POPOLAZIONE ANNUNZIATA S. COSIMO S. FRANCESCO GONARE R IMEDIO

adulti 108 98 194 87 201

minori 18 a. 37 80 106 67 179

Totale  145 178 300 154 380

famiglie 71 48 107 45 71

(Per «famiglie» si intendono nuclei familiari autonomi, quindi, al limite, anchesingoli individui venuti a novenare da soli).

TAB. 9 - NOVENARI - INDICE DI AFFOLLAMENTO DELLE STANZE

 ANNUNZIATA S. COSIMO S. FRANCESCO GONARE R IMEDIO

nr stanze 39 40 51 30 85

TAB. 10C - S. COSIMO - POPOLAZIONE ADULTA

(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 6 10 9 25

F 20 24 29 73

Totale  26 34 38 98

TAB. 10D - S. FRANCESCO - POPOLAZIONE ADULTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 12 14 22 48

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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nr. stanze 39 40 51 30 85

% personeper stanza

2,7(da 1 a 7)

4,4(da 2 a 11)

5,8(da 2 a 16)

5,1(da 1 a 11)

4,4(da 2 a 15)

nr. famiglieper stanza

1 fam.: 292 fam.: 93 fam.: 1

1 fam.: 332 fam.: 63 fam.: 1

1 fam.: 102 fam.: 243 fam.: 154 fam.: 2

1 fam.: 182 fam.: 103 fam.: 14 fam.: 1

1 fam.: 762 fam.: 83 fam.: 1

TAB. 10A - NOVENARI - POPOLAZIONE ADULTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 46 69 67 182

F 143 156 207 506

Totale  189 225 274 688

TAB. 10B - ANNUNZIATA - POPOLAZIONE ADULTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 7 12 10 29

F 23 24 32 79

Totale  30 36 42 108

M 12 14 22 48

F 31 39 66 136

Totale  43 53 88 184

TAB. 10E - GONARE - POPOLAZIONE ADULTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 0 12 3 15

F 21 22 29 72

Totale  21 34 32 87

TAB. 10F - RIMEDIO - POPOLAZIONE ADULTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 21 20 20 61

F 49 45 46 140

Totale  70 65 66 201

TAB. 11 - NOVENARI - FAMIGLIE COABITANTI - SECONDO PAESE DI PRO-

 VENIENZA E ACCORDO

P AESE

 ANNUN-ZIATA

S. COSIMOS. FRANCE-

SCOGONARE R IMEDIO

CON  SENZA  ACCORDO

CON  SENZA  ACCORDO 

CON  SENZA  ACCORDO

CON  SENZA  ACCORDO

CON  SENZA  ACCORDO

stesso 6 0 6 1 27 5 9 1 6 0

diverso 4 0 0 0 5 4 1 2 4 0

(Abbiamo posto la domanda: «Avete deciso assieme la partenza?» ai singoligruppi familiari residenti in stanze in cui abitassero più famiglie. Non ab-biamo quindi interrogato sull’argomento tutti i novenanti, ma il campioneconsiderato appare già sufficientemente rappresentativo).

TAB. 14A - NOVENARI - POPOLAZIONE ADULTA - OCCUPAZIONI

OCCUPAZIONI

 ANNUN-ZIATA

S. COSIMOS. FRANCE-

SCOGONARE R IMEDIO TOT.

M F M F M F M F M F M Fdisoccupato,pensionato

4 20 7 19 10 52 1 13 10 24 32 128

bracciante,muratore, pescato-re, domestica

5 12 5 15 6 17 4 13 17 33 37 90

artigiano,bottegaio, piccolocommerciante

8 15 2 4 8 18 1 10 10 20 29 67

contadino (in pro-

prio, mezzadro)6 12 3 9 6 14 1 6 10 28 26 69

pastore(in proprio, servo)

2 10 3 8 7 13 3 9 3 8 18 48

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TAB. 12 - NOVENARI - POPOLAZIONE ADULTA - PROVENIENZA

 ANNUNZIATA: Alà dei Sardi 1, Bitti 91, Gorizia 1, Lodè 9, Nuoro 1, Oliena 1,Osini 1, Perdasdefogu 2.

S. COSIMO: Fonni 16, Gavoi 3, Mamoiada 6, Nuoro 9, Oliena 11, Olzai 2,Orgosolo 17, Sassari 2, Villanova Strisaili 1.

S. FRANCESCO: Bitti 8, Borore 1, Bottida 1, Civitavecchia 1, Dorgali 10, Galtellì3, Gavoi 4, Irgoli 2, Mamoiada 3, Nuoro 76, Oliena 49, Orgo-solo 11, Orosei 6, Orune 15, Sassari 1, Tonara 3.

GONARE: Bitti 2, Bolotana 2, Cagliari 5, Fonni 7, Gavoi 8, Latina 1, Lodi-ne 3, Mamoiada 5, Nuoro 1, Oliena 3, Ollolai 6, Olzai 4, Orani10, Orgosolo 9, Ploaghe 3, Sarule 18.

R IMEDIO: Bitti 3, Galtellì 3, Irgoli 7, Nuoro 6, Olbia 1, Onifai 10, Orosei147, Roma 2, Sassari 1, Savona 1.

TAB. 13A - NOVENARI - CAMPIONE(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 22 23 30 75

F 40 43 50 133

Totale  62 66 80 208

TAB. 13B - PAESI - GRUPPO DI CONFRON-TO (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

1 A 2 A 3 A TOT.M 40 40 40 120

F 40 40 40 120

Totale  80 80 80 240

(in proprio, servo)autista (in proprio,salariato)

0 3 0 1 6 7 0 0 7 6 13 17

artigianomeccanico

0 1 4 3 6 9 2 6 4 8 16 27

impiegato, inse-gnante, militare

4 3 2 0 2 4 3 7 0 5 11 19

n. r. 0 3 0 13 0 9 0 8 0 8 0 41

Totale  29 79 26 72 51 143 15 72 61 140 182 506

(Per le donne che non abbiano occupazione propria – sono la quasi totalità

 – si fa riferimento all’occupazione del capofamiglia).

TAB. 14B - NOVENARI (CAMPIONE) E PAESI (GRUPPO DI CONFRONTO)OCCUPAZIONI

NOVENARI (CAMPIONE) P AESI (GRUPPO DI CONFRONTO)disoccupato, pensionato, studente 48 46bracciante, muratore 44 46artigiano, bottegaio 33 27contadino 20 33pastore 19 34autista 10 14artigiano meccanico 14 20

impiegato, insegnante 11 18n. r. 9 2Totale  208 240

TAB. 15 - MOBILITÀ - VISSUTI FUORI DEL PAESE PER ALMENO 3 MESI

CONSECUTIVI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

no 10 4 5,5 6 2 6,1 6 20,0 30 75,0 34 79,1 33 66,0 119 57,2

sì 12 54,5 1 7 73,9 2 4 80,0 1 0 25,0 9 13,9 1 7 34,0 89 42,8

Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

no 15 3 7,5 18 4 5,0 10 25,0 30 75,0 32 80,0 36 90,0 141 58,7

sì 25 62,5 2 2 55,0 3 0 75,0 1 0 25,0 8 20,0 4 10,0 99 41,3

Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100 Novenari - M1/F1 χ2 = 5,41; M2/F2 χ2 = 17,62; M3/F3 χ2 = 15,88; M1/M2 χ2 =

TAB. 17 - MOTIVAZIONI DELLA RESIDENZA FUORI PAESE

(NOVENARI E PAESI)

NR .  ASS. %servizio militare 70 37,2lavoro 68 36,2lavoro + servizio militare 12 6,4famiglia 24 12,8studio 14 7,4Totale  188 100

(Sul totale del gruppo di novenario e di paese, il 58,5% degli interessati nonha risieduto fuori del paese per più di 3 mesi).

TAB. 18 - POSSESSO E UTILIZZAZIONE AUDIOVISIVI

MAI  ASCOLTATA NON POSSEDUTA

NON POSSEDUTA MA 

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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3,66; M1/M3 χ2 = 3,86.

 Paesi - M1/F1 χ2 = 11,43; M2/F2 χ2 = 10,45; M3/F3 χ2 = 34,58; M2/M3 χ2 =3,52; F1/F3 χ2 = 3,12¯.

 Novenari/paesi - F3 χ2 = 7,16.

O  VISTANON POSSEDUTA

UTILIZZATA PRESSO TERZI

Radio 3,5 % 13,4% 0,0%TV 6,0 % 54,2 % 43,1%

(I % sono computati sul totale degli intervistati).

TAB. 16 - BALLO MODERNO - GRADIMENTO E CAPACITÀ(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALI

GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ

NOVENARI

n. r. 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2,5 1 2,5 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0,5 1 0,5no 1 4,5 2 9,0 4 17,4 13 56,5 17 56,7 26 86,7 6 15,0 11 27,5 21 48,8 33 76,7 35 70,0 47 94,0 84 40,4 132 63,5sì 21 95,5 20 91,0 19 82,6 10 43,5 13 43,3 4 13,3 33 82,5 28 70,0 22 51,2 10 23,3 15 30,0 3 6,0 123 59,1 75 36,0Totale  22 100 22 100 23 100 23 100 30 100 30 100 40 100 40 100 43 100 43 100 50 100 50 100 208 100 208 100

P AESI

n. r. 1 2,5 2 5,0 1 2,5 1 2,5 1 2,5 2 5,0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2,5 0 0 4 1,7 5 2,1no 4 10,0 10 25,0 10 25,0 15 37,5 17 42,5 31 77,5 2 5,0 11 27,5 12 30,0 24 60,0 30 75,0 36 90,0 75 31,2 127 52,9sì 35 87,5 28 70,0 29 72,5 24 60,0 22 55,0 7 17,5 38 95,0 29 72,5 28 70,0 16 40,0 9 22,5 4 10,0 161 67,1 108 45,0Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100 240 100

Gradimento - Novenari: M2/F2 χ2 = 6,29; M2/M3 χ2 = 8,39; M1/M3 χ2 = 15,23;

F1/F2 χ2 = 9,10; F2/F3 χ2 = 4,32; F1/F3 χ2 = 26,30. Paesi: M3/F3 χ2 = 8,90;M1/M3 χ2 = 11,02; F1/F2 χ2 = 8,66; F2/F3 χ2 = 18,15; F1/F3 χ2 = 42,39.

Capacità - Novenari: M1/M2 χ2 = 11,38; M2/M3 χ2 = 6,09; M1/M3 χ2 = 30,73;

F1/F2 χ2 = 19,38; F2/F3 χ2 = 5,72; F1/F3 χ2 = 41,78. Paesi: M2/M3 χ2 = 15,22;

M1/M3 χ2 = 23,36; F1/F2 χ2 = 8,58; F1/F3 χ2 = 32,24.Gradimento/capacità - Novenari: M2 χ2 = 7,56; M3 χ2 = 6,65; F2 χ2 = 7,17; F3χ2 = 9,76. Paesi: M1 χ2 = 3,66¯; M3 χ2 = 12,17; F1 χ2 = 7,44; F2 χ2 = 7,27.

TAB. 19 - BALLO SARDO - GRADIMENTO E CAPACITÀ

(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALI

GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ GRADIM. CAPACITÀ

NOVENARI

n. r. 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3,3 0 0 1 2,5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1,0 0 0no 3 13,6 6 27,3 3 13,0 4 17,4 4 13,3 11 36,7 8 20,0 16 40,0 4 9,3 16 37,2 10 20,0 21 42,0 32 15,4 74 35,6sì 19 86,4 16 72,7 20 87,0 19 82,6 25 83,4 19 63,3 31 77 24 60,0 39 90,7 27 62,8 40 80,0 29 58,0 174 83,6 134 64,4Totale  22 100 22 100 23 100 23 100 30 100 30 100 40 100 40 100 43 100 43 100 50 100 50 100 208 100 208 100

P AESI

n. r. 0 0 1 2,5 0 0 0 0 0 0 1 2,5 0 0 1 2,5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 3 1,2no 3 7,5 9 22,5 4 10,0 7 17,5 2 5,0 9 22,5 5 12,5 14 35,0 1 2,5 11 27,5 5 12,5 12 30,0 20 8,3 62 25,8

sì 37 92,5 30 75,0 36 90,0 33 82,5 38 95,0 30 75,0 35 87,5 25 62,5 39 97,5 29 72,5 35 87,5 28 70,0 220 91,7 175 73,0Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100 240 100

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 159/178

Gradimento/capacità - Novenari: M1 χ2 = 4,50; M3 χ2 = 6,27; F1 χ2 = 6,67; F2χ2 = 9,80; F3 χ2 = 3,67.

 Ballo sardo/ballo moderno - Gradimento - Novenari: M3 χ2 = 11,82; F2 χ2 =16,30; F3 χ2 = 25,25; Paesi: M2 χ2 = 4,02; M3 χ2 = 17,07; F2 χ2 = 11,11; F3 χ2 =34,14. Capacità - Novenari: M2 χ2 = 7,56; M3 χ2 = 15,86; F2 χ2 = 13,71; F3 χ2 =31,07. Paesi: M2 χ2 = 4,94; M3 χ2 = 26,60; F2 χ2 = 8,58; F3 χ2 = 30,00.

TAB. 21 - SCELTA DELL’OSPITANTE CON TELEVISORE

NR .  ASS. %parenti 84 43,8

 vicini 55 28,6

amici 30 15,6

bar, sezione partito 23 12,0

Totale  192 100

(I 192 individui intervistati sono il 43,1% dell’intero gruppo, di cui alla tab. 17).

TAB. 20 - INFORMAZIONE FILM NEI TRE MESI PRECEDENTI L’INTERVISTA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 0 0 2 8,7 7 23,3 5 12,5 15 34,9 24 48,0 53 25,5

non visto 3 13,7 14 60,9 18 60,0 20 50,0 25 58,1 20 40,0 100 48,1 visto 19 86,3 7 30,4 5 16,7 15 37,5 3 7,0 6 12,0 55 26,4Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 4 10,0 6 15,0 9 22,5 3 7,5 6 15,0 12 30,0 40 16,7non visto 6 15,0 14 35,0 27 67,5 20 50,0 24 60,0 26 65,0 117 48,7 visto 30 75,0 20 50,0 4 10,0 17 42,5 10 25,0 2 5,0 83 34,6Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità eliminata: 1a).

 Novenari : M1/F1 χ2 = 10,62; M2/F2 χ2 = 3,78¯; M1/M2 χ2 = 12,64; M1/M3 χ2 = 25,25; F1/F2 χ2 = 7,87; F1/F3 χ2 = 15,38.

 Paesi : M1/F1 χ2 = 11,12; M2/F2 χ2 = 5,96; M1/M2 χ2 = 5,14; M2/M3 χ2 = 14,68;M1/M3 χ2 = 35,17; F2/F3 χ2 = 4,88; F1/F3 χ2 = 18,02.

 Novenari/paesi : M2 χ2 = 3,37¯; F2 χ2 = 3,24¯.

TAB. 22 - INFORMAZIONE RADIOFONICA NELLA SETTIMANA PRECEDENTE L’INTERVI-STA (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

nessuna 5 22,7 9 39,1 15 50,1 17 42,5 27 62,8 31 62,0 104 50,0canzoni 11 50,0 1 4,3 1 3,3 15 37,5 6 13,9 3 6,0 37 17,8gazzettino sardo 2 9,1 7 30,4 7 23,3 2 5,0 5 11,6 7 14,0 30 14,4giornale radio 2 9,1 2 8,7 6 20,0 5 12,5 3 7,1 6 12,0 24 11,5sport 2 9,1 2 8,7 1 3,3 1 2,5 0 0 0 0 6 2,9messa 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2,3 3 6 4 1,9 varie 0 0 2 8,7 0 0 0 0 1 2,3 0 0 3 1,5Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

nessuna 13 32,5 17 42,5 16 40,0 18 45,0 16 40,0 18 45,0 98 40,8canzoni 16 40,0 12 30,0 4 10,0 18 45,0 15 37,5 5 12,5 70 29,2gazzettino sardo 2 5,0 3 7,5 5 12,5 2 5,0 6 15,0 10 25,0 28 11,7giornale radio 4 10,0 5 12,5 11 27,5 1 2,5 3 7,5 2 5,0 26 10,8

sport 5 12,5 2 5,0 1 2,5 0 0 0 0 0 0 8 3,3messa 0 0 1 2,5 3 7,5 0 0 0 0 4 10,0 8 3,3 varie 0 0 0 0 0 0 1 2,5 0 0 1 2,5 2 0,9

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 160/178

, , ,9Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità aggregate: 3a+4a; 5a+6a+7a). Novenari : M2/F2 χ2 = 7,60; M1/M2 χ2 = 12,05; M1/M3 χ2 = 15,67; F1/F3 χ2 = 13,81.

 Paesi : M1/M3 χ2 = 9,50; F2/F3 χ2 = 11,46; F1/F3 χ2 = 12,57. Novenari/paesi : M2 χ2 = 7,96; F2 χ2 = 9,94.

TAB. 23 - INFORMAZIONE TELEVISIVA NELLA SETTIMANA PRECEDENTE L’INTERVI-STA (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

nessuna 8 36,3 9 39,1 20 66,7 21 52,5 28 65,1 39 78,0 125 60,1musical 6 27,2 2 8,7 3 10,0 10 25,0 2 4,7 2 4,0 25 12,0film, teleromanzi, commedie 2 9,1 4 17,4 3 10,0 4 10,0 5 11,6 2 4,0 20 9,6telegiornale 0 0 1 4,4 1 3,3 2 5,0 4 9,3 2 4,0 10 4,8sport 4 18,1 5 21,7 1 3,3 0 0 0 0 0 0 10 4,8rubriche 2 9,1 2 8,7 0 0 3 7,5 1 2,3 0 0 8 3,9messa 0 0 0 0 1 3,3 0 0 0 0 3 6,0 4 1,9 varie 0 0 0 0 1 3,3 0 0 3 6,9 2 4,0 6 2,9Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

nessuna 10 25,0 15 37,5 17 42,5 13 32,5 16 40,0 23 57,5 94 39,2musical 5 12,5 7 17,5 4 10,0 7 17,5 10 25,0 2 5,0 35 14,6film, teleromanzi, commedie 11 27,5 6 15,0 6 15,0 11 27,5 11 27,5 4 10,0 49 20,4telegiornale 3 7,5 3 7,5 5 12,5 3 7,5 0 0 4 10,0 18 7,5sport 8 20,0 3 7,5 5 12,5 1 2,5 0 0 0 0 17 7,1

rubriche 3 7,5 4 10,0 1 2,5 4 10,0 2 5,0 1 2,5 15 6,2messa 0 0 1 2,5 0 0 0 0 1 2,5 4 10,0 6 2,5 varie 0 0 1 2,5 2 5,0 1 2,5 0 0 2 5,0 6 2,5Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità aggregate: 3a+4a; 5a+6a+7a+8a) Novenari : F1/F3 χ2 = 10,65.

 Paesi : F2/F3 χ2 = 8,05; F1/F3 χ2 = 7,19¯. Novenari/paesi : F2 χ2 = 8,85.

TAB. 24 - INFORMAZIONE QUOTIDIANI NELLA SETTIMANA PRECEDENTE L’INTERVI-STA (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARInessuna 7 31,8 10 43,5 19 63,4 29 72,5 32 74,4 41 82,0 138 66,4banditismo 6 27,3 3 13,0 5 16,7 2 5,0 3 7,0 3 6,0 22 10,6cronaca 3 13,7 2 8,7 1 3,3 4 10,0 4 9,4 0 0 14 6,7politica e attualità 1 4,5 5 21,7 0 0 2 5,0 2 4,6 0 0 10 4,8settimanali 2 9,1 0 0 0 0 1 2,5 2 4,6 5 10,0 10 4,8quotidiani 2 9,1 0 0 3 10,0 2 5,0 0 0 1 2,0 8 3,9sport 1 4,5 1 4,4 1 3,3 0 0 0 0 0 0 3 1,4problemi di categoria 0 0 2 8,7 1 3,3 0 0 0 0 0 0 3 1,4Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

nessuna 13 32,5 18 45,0 16 40,0 19 47,5 21 52,5 27 67,5 114 47,5banditismo 10 25,0 13 32,5 13 32,5 5 12,5 7 17,5 5 12,5 53 22,1cronaca 2 5,0 2 5,0 0 0 5 12,5 6 15,0 3 7,5 18 7,5politica o attualità 8 20,0 4 10,0 6 15,0 8 20,0 2 5,0 0 0 28 11,7

settimanali 1 2,5 0 0 1 2,5 1 2,5 4 10,0 1 2,5 8 3,3quotidiani 3 7,5 2 5,0 1 2,5 2 5,0 0 0 2 5,0 10 4,1sport 3 7,5 1 2,5 0 0 0 0 0 0 0 0 4 1,7problemi di categoria 0 0 0 0 3 7 5 0 0 0 0 2 2 0 5 2 1

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 161/178

problemi di categoria 0 0 0 0 3 7,5 0 0 0 0 2 2,0 5 2,1Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità aggregate: 3a+4a; 5a+6a+7a+8a) Novenari : M1/F1 χ2 = 12,14; M2/M3 χ2 = 7,50; F2/F3 χ2 = 8,63; F1/F3 χ2 = 8,25.

TAB. 25 - LIVELLI DI ISTRUZIONE (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

0, 1, 2 elem. 4 8,7 15 21,8 35 52,3 10 6,9 50 32,1 117 56,5 231 33,63, 4 elem. 5 10,9 13 18,8 15 22,3 28 19,6 49 31,4 60 28,9 170 24,85, 6 elem. 27 58,7 32 46,4 16 23,9 87 60,8 52 33,3 25 12,1 239 34,81, 2 med. 4 8,7 2 2,9 1 1,5 10 6,9 3 1,9 0 0 20 2,93 med. 0 0 2 2,9 0 0 5 3,5 2 1,3 0 0 9 1,31, 2 liceo o magistrali 1 2,2 0 0 0 0 2 1,4 0 0 1 0,5 4 0,6maturità, diploma 1 2,2 2 2,9 0 0 1 0,9 0 0 2 1,0 6 0,9università 2 4,3 1 1,4 0 0 0 0 0 0 0 0 3 0,4n. r. 2 4,3 2 2,9 0 0 0 0 0 0 2 1,0 5 0,7Totale  46 100 69 100 67 100 143 100 156 100 207 100 687 100

P AESI

0, 1, 2 elem. 1 2,5 6 15,0 12 30,0 4 10,0 5 12,5 15 37,5 43 17,93, 4 elem. 3 7,5 8 20,0 11 27,5 4 10,0 10 25,0 13 32,5 49 20,45, 6 elem. 21 52,5 23 57,5 15 37,5 23 57,5 22 55,0 11 27,5 115 47,91, 2 med. 3 7,5 2 5,0 0 0 2 5,0 0 0 0 0 7 2,93 med. 7 17,5 0 0 1 2,5 3 7,5 2 5,0 0 0 13 5,41, 2 liceo o magistrali 2 5,0 1 2,5 0 0 3 7,5 0 0 0 0 6 2,5

maturità, diploma 1 2,5 0 0 1 2,5 1 2,5 1 2,5 0 0 4 1,7università 2 5,0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2,5 3 1,3Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

 Paesi : M3/F3 χ2 = 7,37¯; F1/F3 χ2 = 7,59¯.

(g. l. = 3 - Modalità aggregate: 2a+3a; 3a+4a; 5a+6a+7a)

 Novenari : M1/M2 χ2 = 4,90; M1/M3 χ2 = 29,58; M2/M3 χ2 = 16,37; F1/F2 χ2 = 35,07; F1/F3 χ2= 10,85; F2/F3 χ2 = 31,71; M1/F1 χ2 = 9,53; M2/F2 χ2 = 11,66;M3/F3 χ2 = 5,20.

 Paesi : M1/M2 χ2 = 12,46; M1/M3 χ2 = 19,42; M2/M3 χ2 = 2,78; F1/F3 χ2 = 12,77; F2/F3 χ2 = 8,01; M1/F1 χ2 = 3,75.

 Novenari-paesi : M1 χ2 = 5,21; M3 χ2 = 5,22; F1 χ2 = 6,26; F2 χ2 = 9,26; F3 χ2 = 6,25.

TAB. 26 - NOVENA - MOTIVAZIONI

N. ASSOLUTO %

propria

promessa { oggetto di promessa

di defunto

133 40,9

21 6,5

12 3,7

devozione 60 18,5

attività tradizionali 5 1,5

accompagnamento 57 17,5

 villeggiatura 37 11,4

Totale  325 100

TAB. 27 - NOVENA - MOTIVAZIONI (SECONDO NOVENARI)S. FRANCESCO ANNUNZIATA R IMEDIO GONARE S. COSIMO TOTALE

promessa 48 81 3 16 39 0 27 47 5 12 46 2 9 36 112 53 8

TAB. 29 - PROMESSA - MOTIVAZIONI (141 CASI - NOVENARI E PAESI)

N. ASSOLUTO %salute propria 59 41,8salute di parenti 59 41,8lavoro proprio 6 4,3lavoro, assenze di parenti 6 4,3furto, eredità, pensione 4 2,8nozze, figli 5 3,6sogno 2 1,4

Totale  141 100

(La tab. 26 dà le motivazioni della novena, comprensive del gruppo di nove-na e di quella parte del gruppo di paese che avesse fatto in passato almenouna novena. La tab. 27 dà le motivazioni della promessa di chi, appartenenteal gruppo di novena e di paese, abbia fatto una novena per promessa).

TAB. 30 - NOVENA - GRADIMENTO

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 162/178

promessa 48 81,3 16 39,0 27 47,5 12 46,2 9 36 112 53,8

devozione 5 8,5 13 31,7 7 12,5 7 26,9 1 4 33 15,9

accompagnare 5 8,5 5 12,3 19 33,9 5 19,2 3 12 37 17,8

 villeggiatura 1 1,7 7 17,0 4 7,1 2 7,7 12 48 26 12,5

Totale  59 100 41 100 5 7 100 26 100 25 100 208 100

TAB. 28 - NOVENA - MOTIVAZIONI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI villeggiatura 8 36,4 2 8,7 2 6,7 6 15,4 5 11,4 2 4 25 12,0accompagnare 5 22,7 4 17,4 10 33,4 10 25,7 3 6,8 5 10 37 17,8devozione 2 9,1 4 17,4 6 20,0 7 17,9 9 20,5 4 8 32 15,4oggetto di promessa 3 13,6 1 4,3 2 6,7 0 0 1 2,3 3 6 10 4,8promessa 4 18,2 12 52,2 10 33,4 16 41,0 26 59,0 36 72 104 50,0Totale  22 100 23 100 30 100 39 100 44 100 50 100 208 100

P AESI

 villeggiatura 3 7,5 0 0 4 10,0 2 5,0 3 7,5 1 2,5 13 5,4accompagnare 3 7,5 4 10 2 5,0 6 15,0 4 10,0 1 2,5 20 8,3devozione 1 2,5 6 15 3 7,5 7 17,5 6 15,0 5 12,5 28 11,7oggetto di promessa 2 5,0 3 7,5 3 7,5 0 0 2 5,0 1 2,5 11 4,6promessa 2 5,0 2 5,0 7 17,5 6 15,0 9 22,5 19 47,5 45 18,7nessuna novena 29 72,5 25 62,5 21 52,5 19 47,5 16 40,0 13 32,5 123 51,3Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

 Novenari : g. l. = 3 - Modalità aggregate: 3a+4a. Paesi : g. l. = 2 - Modalità aggregate: 1a+2a; 3a+4a+5a.Confronto novenari-paesi : g. l. = 1 - Modalità aggregate: 1a+2a; 3a+4a+5a; non

3

NR .  ASS. %è divertimento 92 44,2è sacrificio 78 37,5è divertimento e sacrificio 28 13,4ci si annoia 10 4,9Totale  208 100

considerata: 6a. Novenari : M3/F3 χ2 = 12,19; M1/M2 χ2 = 7,69¯; M1/M3 χ2 = 7,48; F1/F3 χ2 = 10,15. Paesi : M3/F3 χ2 = 7,67¯; F1/F3 χ2 = 7,98.

TAB. 31 - FREQUENZA AI MATRIMONI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 1 4,5 1 4,3 0 0 1 2,5 1 2,3 1 2,0 5 2,4

no 5 22,7 9 39,1 13 43,3 22 55,0 27 62,8 35 70,0 111 53,4

sì 16 72,8 13 56,6 17 56,7 17 42,5 15 34,9 14 28,0 92 44,2

Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 1 2,5 1 2,5 1 2,5 0 0 1 2,5 1 2,5 5 2,1

no 9 22,5 14 35,0 20 50,0 17 42,5 19 47,5 24 60,0 103 42,9

sì 30 75,0 25 62,5 19 47,5 23 57,5 20 50,0 15 37,5 132 55,0

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità eliminata: 1a).

 Novenari : M1/F1 χ2 = 5,86; M2/F2 χ2 = 3,20¯.

 Paesi : M1/F1 χ2 = 3,37¯.

TAB. 32 - MATRIMONI - AMBITO DI RELAZIONI (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

nessun matrimonio 18 37,5 20 41,7 30 62,5 22 45,8 19 39,6 109 45,4

di parente 9 18,7 15 31,2 10 20,8 20 41,1 18 37,5 72 30,0

di amico 20 41,7 9 18,7 7 14,6 4 8,3 9 18,7 49 20,4

di vicino 0 0 3 6,3 1 2,1 1 2,1 1 2,1 6 2,5

di compaesano 1 2,1 1 2,1 0 0 1 2,1 1 2,1 4 1,7

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

(g. l. = 2 - Modalità aggregate: 3a+4a+5a).Nuoro/Bitti χ2 = 8,88; Nuoro/Orosei χ2 = 12,9; Nuoro/Mamoiada χ2 = 6,15;Bitti/Mamoiada χ2 = 6,93.

(Le domande erano: «In questi ultimi tre mesi c’è stato qualche matrimonio inpaese?». «Se sì, è stato a qualche festa di nozze?». Le risposte «no» della tabellacomprendono entrambe le possibilità di negazione).

TAB. 33 - FREQUENZA AI FUNERALI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 1 4,5 0 0 0 0 1 2,5 1 2,3 1 2,0 4 1,9

no 6 27,3 5 21,7 2 6,7 9 22,5 5 11,7 4 8,0 31 14,9

sì 15 68,2 18 78,3 28 93,3 30 75,0 37 86,0 45 90,0 173 83,2

Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 1 2,5 1 2,5 0 0 1 2,5 0 0 0 0 3 1,2

no 5 12,5 5 12,5 3 7,5 9 22,5 3 7,5 4 8,0 29 12,1

sì 34 85,0 34 85,0 37 92,5 30 75,0 37 92,5 36 90,0 208 86,7

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità eliminata: 1a).

 Novenari : M1/M3 χ2 = 4,48; F1/F3 χ2 = 3,83.

TAB. 34 - FUNERALI - AMBITO DI RELAZIONI (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

nessun funerale 3 6,25 6 12,5 11 22,9 4 8,4 4 8,4 28 11,7

di parente 15 31,25 6 12,5 10 28,9 7 14,6 6 12,5 44 18,3

di amico 21 43,75 7 14,6 9 18,8 15 31,2 13 27,1 65 27,1

di vicino 5 10,40 4 8,4 13 27,1 10 28,8 7 14,6 39 16,2

di compaesano 4 8,30 25 52,1 5 10,3 12 25,0 18 37,5 64 26,7

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

Nuoro/Olienaχ2

= 27,17; Nuoro/Oroseiχ2

= 9,72; Nuoro/Bittiχ2

= 14,04;Nuoro/Mamoiada χ2 = 15,12; Oliena/Orosei χ2 = 10,52; Oliena/Bitti χ2 = 20,82;

Oliena/Mamoiadaχ2 = 4,16; Orosei/Bitti χ2 = 8,57; Bitti/Mamoiada χ2 = 14,14.

(Le domande erano: «In questi ultimi tre mesi c’è stato qualche funerale?».«Se sì, ha partecipato al funerale o alla visita di lutto?». Le risposte «no» dellatabella comprendono entrambe le possibilità di negazione).

TAB. 35 - LAMENTO FUNEBRE - ESISTENZA (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 0 0 0 0 1 3,3 0 0 0 0 0 0 1 0,5non si fa 6 27,3 7 30,5 7 23,3 6 15,0 9 21,0 10 20,0 45 21,6si fa in certi casi o famiglie 0 0 5 21,7 5 16,7 11 27,5 3 7,0 9 18,0 33 15,9si fa sempre 16 72,7 11 47,8 17 56,7 23 57,5 31 72,0 31 62,0 129 62,0Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 2 5,0 0 0 1 2,5 1 2,5 0 0 0 0 4 1,7non si fa 8 20,0 10 25,0 10 25,0 6 15,0 10 25,0 10 25,0 54 22,5si fa in certi casi o famiglie 9 22,5 8 20,0 10 25,0 14 35,0 12 30,0 8 20,0 61 25,4si fa sempre 21 52,5 22 55,0 19 47,5 19 47,5 18 45,0 22 55,0 121 50,4Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

 

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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(g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a) Novenari : M1/F1 χ2 = 7,68; M1/M2 χ2 = 5,98; F1/F2 χ2 = 6,26.

TAB. 36 - LAMENTO FUNEBRE - VALUTAZIONE(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 2 9,1 0 0 0 0 0 0 2 4,7 5 10,0 9 4,3male 11 50,0 9 39,1 4 13,3 15 37,5 9 20,9 5 10,0 53 25,5indifferente 3 13,6 5 21,8 6 20,0 6 15,0 7 16,3 7 14,0 34 16,3bene 6 27,3 9 39,1 20 66,7 19 47,5 25 58,1 33 66,0 112 53,9Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 1 2,5 1 2,5 1 2,5 0 0 2 5,0 1 2,5 6 2,5male 20 50,0 16 40,0 13 32,5 16 40,0 14 35,0 8 20,0 87 36,2indifferente 9 22,5 15 31,2 12 25,0 12 30,0 12 30,0 4 10,0 64 26,7bene 10 25,0 8 16,7 14 35,0 12 30,0 12 30,0 27 67,5 83 34,6Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a). Novenari : M1/M3 χ2 = 10,21; F1/F3 χ2 = 8,58.

 Novenari/paesi : M1 χ2 = 5,62¯; F2 χ2 = 8,80.

 Paesi : M3/F3 χ2 = 6,71; F1/F3 χ2 = 9,40. Novenari/paesi : M3 χ2 = 6,67; F2 χ2 = 6,87.

TAB. 37 - LAMENTO FUNEBRE E GIOVANI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 2 9,1 0 0 2 6,7 1 2,5 3 7,0 5 10,0 13 6,3

i giovaninon lo sanno fare

14 63,7 17 73,9 19 63,3 29 72,5 16 37,2 20 40,0 115 55,3

pochi giovanilo sanno fare

5 22,7 5 21,7 7 23,3 8 20,0 18 41,9 17 34,0 60 28,8

molti giovanilo sanno fare

1 4,5 1 4,4 2 6,7 2 5,0 6 13,9 8 16,0 20 9,6

Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESIn. r. 1 2,5 2 5,0 0 0 2 5,0 0 0 2 5,0 7 2,9

i giovanil f

34 85 0 32 80 0 30 75 0 30 75 0 29 72 5 25 62 5 180 75 0

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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non lo sanno fare34 85,0 32 80,0 30 75,0 30 75,0 29 72,5 25 62,5 180 75,0

pochi giovanilo sanno fare

4 10,0 6 15,0 9 22,5 5 12,5 9 22,5 8 20,0 41 17,1

molti giovanilo sanno fare

1 2,5 0 0 1 2,5 3 7,5 2 5,0 5 12,5 12 5,0

Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a). Novenari : M2/F2 χ2 = 6,86; M3/F3 χ2 = 7,39; F1/F2 χ2 = 9,59; F1/F3 χ2 = 13,23.

TAB. 38 - LAMENTO FUNEBRE - ESISTENZA (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

n. r. 1 2,1 1 2,1 0 0 1 2,1 0 0 3 1,2

non si fa 22 45,8 0 0 18 37,6 3 6,2 4 8,3 47 19,6

si fa in certe famiglie o in certi casi 19 39,6 7 14,6 15 31,2 12 25,0 12 25,0 65 27,1

si fa sempre 6 12,5 40 83,3 15 31,2 32 66,7 32 66,7 125 52,1

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

(g. l. = 2 - Modalità aggregate = 1a+2a).Nuoro/Oliena χ2 = 52,67; Nuoro/Bitti χ2 = 4,72; Nuoro/Orosei χ2 = 33,81;Nuoro/Mamoiada χ2 = 31,82; Oliena/Bitti χ2 = 32,47;

 Novenari/paesi : F2 χ2 = 8,75; F3 χ2 = 8,75.

Oliena/Orosei χ2 = 5,20; Oliena/Mamoiada χ2 = 6,20;Bitti/Mamoiada χ2 = 13,39.

TAB. 39 - LAMENTO FUNEBRE IN FAMIGLIA (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

n. r. 0 0 0 0 0 0 4 8,3 1 2,1 5 2,1

nessuno lo sa fare 45 93,7 19 39,6 39 81,2 27 56,3 35 72,9 165 68,7

qualcuno lo sa fare 3 6,3 29 60,4 9 18,8 17 35,4 12 25,0 70 29,2

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità eliminata: 1a).Nuoro/Oliena χ2 = 31,69; Nuoro/Bitti χ2 = 3,43¯; Nuoro/Orosei χ2 = 14,15;

TAB. 40 - LAMENTO FUNEBRE - VALUTAZIONE (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALEn. r. 2 4,2 0 0 0 0 4 8,4 0 0 6 2,5

male 31 64,6 6 12,5 33 68,7 11 22,9 6 12,5 87 36,2

i diff t 11 22 9 20 41 7 8 16 7 10 20 8 15 31 2 64 26 7

Nuoro/Mamoiada χ2 = 6,64; Oliena/Bitti χ2 = 17,42; Oliena/Orosei χ2 = 4,36;Oliena/Mamoiada χ2 = 11,78; Bitti/Orosei χ2 = 4,48.

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

http://slidepdf.com/reader/full/gallini-feste-lunghe-in-sardegna 167/178

indifferente 11 22,9 20 41,7 8 16,7 10 20,8 15 31,2 64 26,7

bene 4 8,3 22 45,8 7 14,6 23 47,9 27 56,3 83 34,6

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100 (g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a).Nuoro/Oliena χ2 = 31,94; Nuoro/Orosei χ2 = 22,91;

TAB. 41 - LAMENTO FUNEBRE IN FAMIGLIA (SECONDO NOVENA ESUE MOTIVAZIONI)

PROMESSA VILLEGGIATURA ACCOMPAGNARE DEVOZIONE NESSUNA NOVENA FATTA TOTALE

NOVENARI

n. r. 5 4,5 4 15,4 1 2,7 0 0 - 10 4,8

nessuno lo sa fare 76 67,8 15 57,7 15 40,6 18 54,6 - 124 59,6

qualcuno lo sa fare 31 27,7 7 26,9 21 56,7 15 45,5 - 74 35,6

Totale  112 100 26 100 37 100 33 100 - 208 100

P AESI

n. r. 1 1,8 0 0 1 5,0 0 0 1 0,8 3 1,2

nessuno lo sa fare 36 66,7 9 69,2 11 55,0 22 73,3 89 72,4 167 69,6

qualcuno lo sa fare 17 31,5 4 30,3 8 40,0 8 26,7 33 26,8 70 29,2

Totale  54 100 13 100 20 100 30 100 123 100 240 100 (g. l. = 1 - Modalità eliminata: 1a).

Nuoro/Mamoiada χ2 = 34,54; Oliena/Bitti χ2 = 31,59;Bitti/Orosei χ2 = 19,62; Bitti/Mamoiada χ2 = 32,59.

 Novenari : «promessa» / «accompagnare» χ2 = 10,03.

TAB. 42 - LAMENTO FUNEBRE - VALUTAZIONE

(SECONDO NOVENA E SUE MOTIVAZIONI)

PROMESSA VILLEGGIATURA ACCOMPAGNARE DEVOZIONE NESSUNA NOVENA FATTA TOTALE

NOVENARI

n. r. 7 6,2 1 3,8 1 2,7 0 0 - 9 4,3

male 21 18,8 10 38,5 14 37,8 8 27,3 - 53 25,5

indifferente 18 16,1 5 19,2 4 10,8 7 21,2 - 34 16,3

bene 66 58,9 10 38,5 18 48,7 18 54,5 - 112 53,9

Totale  112 100 26 100 37 100 33 100 - 208 100

P AESI

n. r. 2 3,7 0 0 0 0 0 0 4 3,2 6 2,5

male 14 25,9 5 38,5 5 20,0 13 43,3 50 40,7 87 36,2indifferente 14 25,9 2 15,4 6 30,0 8 26,7 34 27,6 64 26,7

bene 24 44,5 6 46,1 9 45,0 9 30,0 35 28,5 83 34,6

7/30/2019 Gallini - Feste Lunghe in Sardegna

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,5 , 9 5, 9 3 , 35 ,5 3 3 ,

Totale  54 100 13 100 20 100 30 100 123 100 240 100 (g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a).

 Novenari : «promessa» / «villeggiatura» χ2 = 5,49; «promessa» / «accompagnare»χ2 = 5,17.

TAB. 43 - COMUNIONE ALLA NOVENA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

no 13 59,1 9 39,1 8 26,7 4 10,3 2 4,5 1 2,0 37 17,8

sì 9 40,9 14 60,9 22 73,3 35 89,7 42 95,5 49 98,0 171 82,2

Totale  22 100 23 100 30 100 39 100 44 100 50 100 208 100

M1/M3 χ2 = 5,54; M1/F1 χ2 = 21,82; M2/F2 χ2 = 10,73; M3/F3 χ2 = 11,43.

TAB. 44 - COMUNIONE ALLA NOVENA

NR .  ASS. %nessuna 37 17,8

una, due in tutto 61 29,3quotidiana 110 52,9

Totale  208 100

(La domanda era: «Qui alla novena fa la comunione?»).

TAB. 45 - MESSA DOMENICALE IN PAESE (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

no 8 36,4 7 30,4 2 6,6 3 7,6 2 4,5 1 2,0 23 11,1raramente 9 40,9 8 34,8 11 36,7 4 10,3 5 11,4 5 10,0 42 20,2spesso 5 22,7 5 21,7 11 36,7 10 25,7 10 22,7 9 18,0 50 24,0sempre 0 0 3 13,1 6 20,0 22 56,4 27 61,4 35 70,0 93 44,7Totale  22 100 23 100 30 100 39 100 44 100 50 100 208 100

P AESI

no 18 45,0 13 32,5 9 22,5 3 7,5 3 7,5 4 10,0 50 20,8raramente 12 30,0 15 37,5 18 45,0 7 17,5 9 22,5 3 7,5 64 26,7spesso 6 15,0 6 15,0 7 17,5 12 30,0 10 25,0 13 32,5 54 22,5sempre 4 10,0 6 15,0 6 15,0 18 45,0 18 45,0 20 50,0 72 30,0Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità aggregate: 1a+2a; 3a+4a).Novenari: M1/F1 χ2 = 20 74; M2/F2 χ2 = 16 65; M3/F3 χ2 = 10 16; M1/M3 χ2 = 5 98

 Novenari/paesi : M3 χ2 = 4,08.(La domanda era: «In paese assiste alla messa domenicale?»)

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 Novenari : M1/F1 χ 20,74; M2/F2 χ 16,65; M3/F3 χ 10,16; M1/M3 χ 5,98. Paesi : M1/F1 χ2 = 20; M2/F2 χ2 = 12,80; M3/F3 χ2 = 20,46.

TAB. 46 - COMUNIONE (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 1 4,6 2 8,7 0 0 0 0 0 0 1 2 4 1,9non più 7 31,8 8 34,8 8 26,7 0 0 2 4,7 0 0 25 12,0

1 volta l’anno 7 31,8 7 30,4 8 26,7 11 27,5 4 9,3 8 16 45 21,6spesso l’anno, 1 volta al mese 6 27,3 6 26,1 14 46,6 21 52,5 25 58,1 18 36 90 43,3settimanale o quotidiana 1 4,6 0 0 0 0 8 20,0 12 27,9 23 46 44 21,2Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 2 5,0 2 5,0 2 5,0 0 0 0 0 1 0 7 2,9non più 16 40,0 16 40,0 19 47,5 2 5,0 1 2,5 3 7,5 57 23,71 volta l’anno 14 35,0 13 32,5 12 30,0 8 20,0 14 35,0 7 17,5 68 28,3spesso l’anno, 1 volta al mese 8 20,0 8 20,0 5 12,5 26 65,0 22 55,0 24 60,0 93 38,8settimanale o quotidiana 0 0 1 2,5 2 5,0 4 10,0 3 7,5 5 12,5 15 6,3Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

 

(g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1

a

; aggregate: 4

a

+5

a

). Novenari : M1/F1 χ2 = 18,68; M2/F2 χ2 = 24,71; M3/F3 χ2 = 17,70; F1/F2 χ2 = 6,14. Paesi : M1/F1 χ2 = 27,17; M2/F2 χ2 = 22,78; M3/F3 χ2 = 26,32.

(La domanda era: «In paese, assiste alla messa domenicale?»).

 Novenari/paesi : M3χ2

= 7,69; F2χ2

= 8,11.(La domanda era: «In paese, fa la comunione?»).

TAB. 47 - MALOCCHIO - VERITÀ DEI CASI ALTRUI (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 14 63,3 7 30,4 12 40,0 18 45,0 15 34,9 13 26,0 79 38,0non verificato 2 9,1 4 17,4 4 13,3 8 20,0 8 18,6 5 10,0 31 14,9superstizione, ma accaduto 0 0 5 21,8 1 3,3 3 7,5 4 9,3 4 8,0 17 8,2 verificato 6 27,3 7 30,4 13 14,4 11 27,5 16 37,2 28 56,0 81 38,9Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 19 47,5 14 35,0 15 37,5 13 32,5 17 42,5 10 25,0 88 36,7non verificato 8 20,0 11 27,5 10 25,0 7 17,5 6 15,0 3 7,5 45 18,7superstizione, ma accaduto 5 12,5 3 7,5 2 5,0 4 10,0 6 15,0 2 5,0 22 9,2 verificato 8 20,0 12 30,0 13 32,5 16 40,0 11 27,5 25 62,5 85 35,4Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 2 - Modalità aggregate: 3a+4a). Novenari : F1/F3 χ2 = 7,40. Paesi : M3/F3 χ2 = 8,20.

(Le domande erano: «Conosce persone che si dice siano state prese da maloc-chio?». «Se sì, secondo lei, in questi casi il malocchio si è davvero verificato?».La non risposta significa: «Non conosco casi» o «Conosco casi, ma non so

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3 3 ,

TAB. 48 - MALOCCHIO - VERITÀ DEI CASI PROPRI(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 2 9,1 3 13,1 3 10,0 1 2,5 1 2,3 1 10,0 11 5,3

non ho avuto casi 14 63,3 11 47,8 11 36,7 29 72,5 20 46,5 26 52,0 111 53,4lo hanno dettoma non ho creduto

0 0 5 21,7 5 16,7 1 2,5 3 7,0 3 6,0 17 8,2

mi è capitato 6 27,6 4 17,4 11 37,6 9 22,5 19 44,2 20 40,0 69 33,1Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 4 10,2 0 0 2 5,0 3 7,5 0 0 2 5 11 4,6non ho avuto casi 31 77,5 32 80,0 28 70,0 28 70,0 31 77,5 20 62,5 170 70,8lo hanno dettoma non ho creduto

1 2,5 3 7,5 3 7,5 2 5,0 2 5,0 3 7,5 14 5,8

mi è capitato 4 10,0 5 12,5 7 17,5 7 17,5 7 17,5 15 37,5 45 18,8Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g. l. = 1 - Modalità aggregate: 1a+2a; 3a+4a). Novenari : M1/M2 χ2 = 3,53; F1/F2 χ2 = 5,99; F1/F3 χ2 = 4,22. Novenari/paesi : M3 χ2 = 5,89; F2 χ2 = 7,28.

darne giudizio»).

TAB. 49 - MALOCCHIO - MEDICINE - UTILITÀ (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

NOVENARI

n. r. 3 13,6 3 13,0 2 6,7 2 5,0 3 7,0 1 2,0 14 6,7non servono 3 13,6 2 8,6 2 6,7 6 15,0 8 18,6 4 8,0 25 12,0non servono (con riserva) 4 18,2 1 4,4 1 3,3 5 12,5 6 14,0 2 4,0 19 9,1servono (con riserva) 1 4,6 1 4,4 3 10,0 3 7,5 0 0 2 4,0 10 4,8servono a chi crede 5 22,7 8 34,8 13 43,3 7 17,5 12 27,9 14 28,0 59 28,4servono sempre 6 27,3 8 34,8 9 30,0 17 42,5 14 32,5 27 54,0 81 39,0Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

P AESI

n. r. 4 10,0 0 0 1 2,5 2 5,0 2 5,0 1 2,5 10 4,2non servono 16 40,0 17 42,5 13 32,5 8 20,0 10 25,0 1 2,5 65 27,1non servono (con riserva) 6 15,0 3 7,5 4 10,0 5 12,5 5 12,5 3 7,5 26 10,8servono (con riserva) 1 2,5 1 2,5 1 2,5 2 5,0 2 5,0 2 5,0 9 3,7

servono a chi crede 8 20,0 13 32,5 15 12,5 16 40,0 14 35,0 18 45,0 84 35,0servono sempre 5 12,5 6 15,0 6 15,0 7 17,5 7 17,5 15 37,5 46 19,2Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

(g l = 3 Modalità eliminata: 1a; aggregate: 2a+3a; 4a+5a) Novenari/paesi: F1 χ2 = 7 98

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(g. l. = 3 - Modalità eliminata: 1 ; aggregate: 2 +3 ; 4 +5 ). Paesi : M3/F3 χ2 = 19,17; F2/F3 χ2 = 10,88; F1/F3 χ2 = 8,79.

TAB. 50 - SPAVENTO - TERAPIA MAGICA E RELIGIOSA (SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA

NOVENARIn. r. 4 18,2 3 13,6 2 8,7 4 17,4 3 10,0 2 6,7 2 5,0 2 5,0 3 7,0 3 7,0 2 4,0 1 2,0 16 7,7 15 7,2non si fa 10 45,5 4 18,2 9 39,1 4 17,4 7 23,3 4 13,3 18 45,0 4 10,0 12 27,9 0 0 19 38,0 5 10,0 75 36,1 21 10,1non serve 2 9,1 4 18,2 0 0 3 13,1 2 6,7 1 3,3 2 5,0 2 5,0 2 4,6 1 2,3 2 4,0 0 0 10 4,8 11 5,3non fa male 3 13,6 2 9,1 5 21,7 5 21,7 6 20,0 3 10,0 3 7,5 2 5,0 5 11,6 3 7,0 1 2,0 1 2,0 23 11,0 16 7,7fa bene 3 13,6 9 40,9 7 30,5 7 30,4 12 40,0 20 66,7 15 37,5 30 75,0 21 48,9 36 83,7 26 52,0 43 86,0 84 40,4 145 69,7Totale  22 100 22 100 23 100 23 100 30 100 30 100 40 100 40 100 43 100 43 100 50 100 50 100 208 100 208 100

P AESI

n. r. 13 32,5 9 22,5 5 12,5 4 10,0 1 2,5 1 2,5 4 10,0 5 12,5 4 10,0 1 2 ,5 0 0 0 0 27 11,2 20 1,4non si fa 7 17,5 10 35,0 14 35,0 11 27,5 10 25,0 6 15,0 15 37,5 2 5,0 15 37,5 0 0 9 22,5 3 7,5 70 29,2 32 13,3non serve 6 15,0 4 10,0 5 12,5 4 10,0 10 25,0 6 15,0 3 7,5 3 7,5 4 10,0 0 0 0 0 1 2,5 28 11,7 18 7,5non fa male 4 10,0 7 17,5 5 12,5 6 15,0 6 15,0 8 20,0 6 15,0 6 15,0 3 7,5 4 10,0 3 7,5 1 2,5 27 11,2 32 13,3fa bene 10 25,0 10 25,0 11 27,6 15 37,5 13 32,5 19 47,5 12 30,0 24 60,0 14 35,0 35 87,5 28 70,0 35 87,5 88 36,7 138 57,5Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità aggregante: 1a+2a).TERAPIA MAGICA - Novenari : M3/F3 χ2 = 8,14.

 Paesi : M3/F3 χ2 = 16,69; F2/F3 χ2 = 12,24; F1/F3 χ2 = 13.TERAPIA RELIGIOSA - Novenari : M1/F1 χ2 = 7,45; M2/F2 χ2 = 19,57; M2/M3 χ2 = 7,25.

 Novenari/paesi : F1 χ 7,98.

 Paesi : M1/F1 χ2 = 11,52; M2/F2 χ2 = 24,65; M3/F3 χ2 = 15,36; M1/M3 χ2 = 8,80; F1/F2 χ2 = 9,95; F1/F3 χ2 = 8,22.TERAPIA MAGICA/TERAPIA RELIGIOSA - Novenari : F1 χ2 = 11,16; F2 χ2 = 13,24; F3 χ2 = 14,52.

 Paesi : F1 χ2 = 9,54; F2 χ2 = 29,34.

TAB. 51 - SPAVENTO - TERAPIA MAGICA E RELIGIOSA (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA MAGICA RELIGIOSA

n. r. 4 8,3 3 6,3 7 14,6 3 6,3 3 6,3 4 8,4 9 18,7 5 10,4 4 8,4 5 10,4 27 11,2 20 8,4

non si fa 19 39,6 2 4,2 14 29,2 12 25,0 20 41,7 3 6,3 16 33,4 12 25,0 1 2,1 3 6,3 70 29,2 32 13,3

non serve 6 12,5 5 10,4 3 6,2 0 0 3 6,3 2 4,2 4 8,4 4 8,4 12 25,0 7 14,6 28 11,7 18 7,5

non fa male 8 16,7 15 31,2 5 10,4 3 6,3 4 8,4 5 10,4 5 10,4 2 4,2 5 10,4 7 14,6 27 11,2 32 13,3

fa bene 11 22,9 23 47,9 19 39,6 30 62,5 18 37,5 34 70,8 14 29,1 25 52,0 26 52,1 26 54,1 88 36,7 138 57,5

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità aggregate: 1a

+2a

).Terapia magica: Nuoro/Mamoiada χ2 = 20,34; Oliena/Mamoiada χ2 = 16,33;Bitti/Mamoiada χ2 = 18,54; Orosei/Mamoiada χ2 = 20,93.

Terapia religiosa: Nuoro/Oliena χ2

= 18,92; Nuoro/Bitti χ2

= 8,74; Nuoro/Orosei χ2 = 16,68; Oliena/Bitti χ2 = 7,62; Oliena/Mamoiada χ2 = 11,02; Bitti/Orosei χ2 = 7,49.Terapia magica/terapia religiosa: Bitti χ2 = 13,77; Nuoro χ2 = 18,03.

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TAB. 52 - MALOCCHIO - MEDICINA - RELIGIONE, LEGGE (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

E RELIGIONE

n. r. 8 16,7 3 6,3 5 10,4 4 8,3 2 4,2 22 9,2

non contraria 28 58,3 30 62,5 24 50,0 27 56,3 38 79,2 147 61,2contraria 12 25,0 15 31,2 19 39,6 17 35,4 8 16,6 71 29,6

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

E LEGGE

n. r. 10 20,8 8 16,7 6 12,5 8 16,6 0 0 32 13,3

non contraria 33 68,8 38 79,2 36 75,0 31 64,6 43 89,6 181 75,4

contraria 5 10,4 2 4,1 6 12,5 9 18,8 5 10,4 27 11,3

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

 E religione:

Nuoro/Oliena χ2

= 2,67; Nuoro/Bitti χ2

= 2,58; Nuoro/Orosei χ2

= 2,21;Nuoro/Mamoiada χ2 = 5,91; Oliena/ Bitti χ2 = 1,63¯; Oliena/Mamoiada χ2 = 3,27;Bitti/Mamoiada χ2 = 8,93; Orosei/Mamoiada χ2 = 5,77.

 E legge :

Nuoro/Oliena χ2

= 1,86; Nuoro/Mamoiada χ2

= 11,31; Oliena/Bitti χ2

= 2,34;Oliena/Orosei χ2 = 5,16; Oliena/Mamoiada χ2 = 9,59; Bitti/Mamoiada χ2 = 6,71;Orosei/Mamoiada χ2 = 11,09.

TAB. 53 - MALOCCHIO - VERITÀ (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

C ASI  ALTRUI

non conosco casi 3 6,3 23 47,9 13 27,1 16 33,4 17 35,4 72 30,0

non so valutarli 2 4,2 5 10,4 5 10,4 2 4,2 2 4,2 16 6,7

il m. è falso 11 22,9 7 14,6 4 8,3 11 22,9 12 25,0 45 18,7

superstizione creduta 7 14,6 4 8,3 4 8,3 4 8,3 3 6,3 22 9,2

 verificato 25 52,0 9 18,8 22 45,9 15 31,2 14 29,1 85 35,4

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

C ASI PROPRI

n. r. 1 2,1 2 4,2 2 4,2 5 10,4 1 2,1 11 4,6

nessun caso 32 66,7 33 68,7 35 72,9 34 70,8 36 75,0 170 70,8

d tt d t 5 10 4 2 4 2 4 8 3 1 2 1 2 4 2 14 5 8

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detto, non creduto 5 10,4 2 4,2 4 8,3 1 2,1 2 4,2 14 5,8

 verificato 10 20,8 11 22,9 7 14,6 8 16,7 9 18,7 45 18,8

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100 (Casi altrui : g. l. = 3 - Modalità aggregate: 1a+2a; Casi propri : g. l. = - Modalitàeliminata: 1a; aggregate 3a+4a).

TAB. 54 - MALOCCHIO - MEDICINA - UTILITÀ (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

n. r. 1 2,1 1 2,1 3 6,2 5 10,5 0 0 11 4,6

non serve 15 31,2 8 16,7 11 22,9 10 20,9 21 43,7 65 27,1

non serve (con riserva) 7 14,6 8 16,7 3 6,3 6 12,5 2 4,2 26 10,8

serve (con riserva) 4 8,3 1 2,1 2 4,2 1 2,1 1 2,1 9 3,7

serve a chi crede 13 27,1 22 45,7 16 33,1 22 45,7 11 22,9 84 35,0

serve sempre 8 16,7 8 16,7 13 27,1 4 8,3 13 27,1 45 18,8

Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

(g. l. = 3 - Modalità eliminata: 1a; aggregate: 2a+3a).

Casi altrui : Nuoro/Oliena χ2 = 25,27; Nuoro/Bitti χ2 = 10,71; Nuoro/Orosei χ2 = 10,67; Nuoro/Mamoiada χ2 = 12,91; Oliena/Bitti χ2 = 9,63.

Oliena/Mamoiada χ2 = 13,67; Orosei/Mamoiada χ2 = 13,70.

TAB. 55 - MESSA E COMUNIONE (SECONDO PAESI)

NUORO OLIENA BITTI OROSEI M AMOIADA TOTALE

MESSA

no 14 29,2 15 31,3 1 2,1 8 16,7 12 25,0 50 20,8raramente 9 18,8 17 35,4 8 16,7 16 33,4 14 29,2 64 26,7spesso 11 22,9 10 20,8 10 20,8 11 22,9 12 25,0 54 22,5sempre 14 29,1 6 12,5 29 60,4 13 27,0 10 20,8 72 30,0Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

COMUNIONE

n. r. 0 0 4 8,3 0 0 0 0 3 6,2 8 3,3non più 19 39,6 11 22,9 3 6,2 8 16,6 16 33,4 56 23,31 volta l’anno 14 29,2 12 25,0 6 12,5 19 39,6 17 35,4 68 28,3spesso l’anno, 1 volta al mese 13 27,0 17 35,4 32 66,7 19 39,6 12 25,0 93 38,8settimanale, quotidiana 2 4,2 4 8,3 7 14,6 2 4,2 0 0 15 6,3Totale  48 100 48 100 48 100 48 100 48 100 240 100

( Messa: g. l. = 1 - Modalità aggregate: 1a+2a; 3a+4a. Comunione : Nuoro/Bitti χ2 = 25,50; Nuoro/Orosei χ2 = 6,24; Oliena/Bitti χ2 =

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g gg gComunione : g. l. = 2 - Modalità eliminata: 1a; aggregate 4a+5a).

 Messa: Nuoro/Bitti χ2 = 9,19; Oliena/Bitti χ2 = 22,52; Bitti/Orosei χ2 = 10,39;Bitti/Mamoiada χ2 = 12,99.

TAB. 56 - FREQUENZA ALLA STESSA NOVENA - GRUPPO DI NOVENA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

MOTIVAZIONI M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

 venuti almeno 1 altra volta 13 59,0 14 69,9 25 83,3 29 72,5 30 69,8 35 70,0 146 70,2mai venuti 9 41,0 9 39,1 5 16,7 11 27,5 13 30,2 15 30,0 62 29,8Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

 M2/M3 χ2 = 3,38¯; M1/M3 χ2 = 3,79¯.

TAB. 57 - FREQUENZA AD ALTRE NOVENE - GRUPPO DI NOVENA(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

MOTIVAZIONI M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

andati almeno 1 volta 2 9,0 3 13,0 9 30,0 11 27,5 21 48,8 23 46,0 69 33,2mai andati 20 91,0 20 87,0 21 70,0 29 72,5 22 52,2 27 54,0 139 66,8

Totale  22 100 23 100 30 100 40 100 43 100 50 100 208 100

M2/F2 χ2 = 8,30; M1/M3 χ2 = 3,33¯; F1/F2 χ2 = 3,98.

11,82; Bitti/Orosei χ2 = 14,43; Bitti/Mamoiada χ2 = 27,43.

TAB. 58 - FREQUENZA ALLA STESSA NOVENA (SECONDO NOVENARI)

MOTIVAZIONI S. FRANCESCO  ANNUNZIATA R IMEDIO GONARE S. COSIMO TOTALE

 venuti per la prima volta 22 37,3 7 17,0 11 19,3 13 50,0 9 36,0 62 29,8

 venuti altre volte 37 62,7 34 83,0 46 80,7 13 50,0 16 64,0 146 70,2

Totale  59 100 41 100 57 100 26 100 25 100 208 100

S. Francesco/Annunziata χ2 = 4,80; S. Francesco/Rimedio χ2 = 4,61; Gonare/ Annunziata χ2 = 8,24.

TAB. 59 - ESPERIENZA DI NOVENA - GRUPPO DI PAESE(SECONDO SESSO E CLASSI D’ETÀ)

M1 M2 M3 F1 F2 F3 TOTALE

fatta almeno 1 volta 11 27,5 15 37,5 19 47,5 21 52,5 24 60,0 27 67,5 117 48,7

non fatta 29 72,5 25 62,5 21 52,5 19 47,5 16 40,0 13 32,5 123 51,3

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Totale  40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 40 100 240 100

M1/M3 χ2 = 3,41; M2/M3 χ2 = 0,81; F1/F2 χ2 = 0,46; F1/F3 χ2 = 0,94; F2/F3 χ2 = 0,71; M1/F1 χ2 = 5,21; M2/F2 χ2 = 4,5; M3/F3 χ2 = 3,27.

 

BIBLIOTHECA SARDA

 Volumi pubblicati

 Aleo J., Storia cronologica del regno di Sardegna dal 1637 al 1672 (35) Atzeni S., Passavamo sulla terra leggeri (51) Atzeni S., Il quinto passo è l’addio (70)Ballero A., Don Zua (20)Bechi G., Caccia grossa (22)Bottiglioni G., Leggende e tradizioni di Sardegna (86)Bresciani A., Dei costumi dell’isola di Sardegna (71)Cagnetta F., Banditi a Orgosolo (84)

Calvia P., Quiteria (66)Cambosu S., L’anno del campo selvatico – Il quaderno di Don Demetrio

Gunales (41)Casu P., Notte sarda (90)

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Casu P., Notte sarda (90)Cetti F., Storia naturale di Sardegna (52)Cossu G., Descrizione geografica della Sardegna (57)Costa E., Giovanni Tolu (21)Costa E., Il muto di Gallura (34)Costa E., La Bella di Cabras (61)Deledda G., Novelle , vol. I (7)Deledda G., Novelle , vol. II (8)

Deledda G., Novelle , vol. III (9)Deledda G., Novelle , vol. IV (10)Deledda G., Novelle , vol. V (11)Deledda G., Novelle , vol. VI (12)Della Marmora A., Itinerario dell’isola di Sardegna, vol. I (14)Della Marmora A., Itinerario dell’isola di Sardegna, vol. II (15)Della Marmora A., Itinerario dell’isola di Sardegna, vol. III (16)De Rosa F., Tradizioni popolari di Gallura (89)Dessì G., Il disertore (19)Dessì G., Paese d’ombre (28)Dessì G., Michele Boschino (78)

Dessì G., San Silvano (87)Edwardes C., La Sardegna e i sardi (49)

Satta S., De profundis (92)Satta S., Il giorno del giudizio (37)Satta S., La veranda (73)Satta S., Canti (1)Sella Q., Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna (40)Smyth W. H., Relazione sull’isola di Sardegna (33)Solinas F., Squarciò (63)Solmi A., Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo (64)Spano G., Proverbi sardi (18)Spano G., Vocabolariu sardu-italianu A-E (29)Spano G., Vocabolariu sardu-italianu F-Z (30)Spano G., Vocabolario italiano-sardo A-H (31)

Spano G., Vocabolario italiano-sardo I-Z (32)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. I (44)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. II (45)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. III (46)

l d d 4

Fara G., Sulla musica popolare in Sardegna (17)Fuos J., Notizie dalla Sardegna (54)Gallini C., Il consumo del sacro (91)Goddard King G., Pittura sarda del Quattro-Cinquecento (50) Il Condaghe di San Nicola di Trullas (62) Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado (88)Lawrence D. H., Mare e Sardegna (60)Lei-Spano G. M., La questione sarda (55)Levi C., Tutto il miele è finito (85)Lilliu G., La costante resistenziale sarda (79)Lussu E., Un anno sull’altipiano (39)Madau M., Le armonie de’ sardi (23)

Manca Dell’Arca A., Agricoltura di Sardegna (59)Manno G., Storia di Sardegna, vol. I (4)Manno G., Storia di Sardegna, vol. II (5)Manno G., Storia di Sardegna, vol. III (6)

d d ll d d ll l

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Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. IV (47)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna A-C (67)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna D-M (68)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna N-Z (69)Tyndale J. W., L’isola di Sardegna, vol. I (82)Tyndale J. W., L’isola di Sardegna, vol. II (83) Valery, Viaggio in Sardegna (3)

 Vuillier G., Le isole dimenticate. La Sardegna, impressioni di viaggio (77) Wagner M. L., La vita rustica (2) Wagner M. L., La lingua sarda (13) Wagner M. L., Immagini di viaggio dalla Sardegna (65)

Manno G., Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799 (27)Manno G., De’ vizi de’ letterati (81)Mannuzzu S., Un Dodge a fari spenti (80)Martini P., Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816 (48)Montanaru, Boghes de Barbagia – Cantigos d’Ennargentu (24)Montanaru, Sos cantos de sa solitudine – Sa lantia (25)Montanaru, Sas ultimas canzones – Cantigos de amargura (26)

Muntaner R., Pietro IV d’Aragona, La conquista della Sardegnanelle cronache catalane (38)Mura A., Su birde. Sas erbas, Poesie bilingui (36)Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano,

 vol. I (42)Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano,

 vol. II (43)Pallottino M., La Sardegna nuragica (53)Pesce G., Sardegna punica (56)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu A-C (74)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu D-O (75)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu P-Z (76)

Rombi P., Perdu (58)Ruju S., Sassari véccia e nóba (72)

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Finito di stampare nel mese di novembre 2003presso lo stabilimento dellaFotolito Longo, Bolzano