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- 1 © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+ sezione-3 Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri - 1 Gabriel-García-Márquez La-vita-e-le-opere Gabriel García Márquez nacque nel 1928 ad Arataca, in Colombia, primo di sedici figli. Com- piuti gli studi all’università di Bogotá, si dedicò al giornalismo, soggiornando anche in Messico, Francia e Spagna, e nel 1955 partecipò ai corsi del Centro sperimentale di cinematografia a Roma. Il suo esordio narrativo avvenne con il romanzo Foglie morte (1955), cui seguirono Nessuno scri- va al colonnello (1961) e i racconti dei Funerali della Mamà grande (1962). In queste prime prove García Márquez si mostra sensibile all’influenza della scrittura realista dei romanzi americani (so- prattutto di William Faulkner), ma gradualmente andò trovando una sua originale soluzione narra- tiva, che tiene conto dell’immaginario del mondo latinoamericano. In La mala ora (1962), storia spietata di lettere anonime che coinvolge un inte- ro paese, e nel suo capolavoro, Cent’anni di soli- tudine (1967), García Márquez abbandonò la so- luzione crudamente realista del suo esordio per approdare a una scrittura personale, felicemente inventiva e fantastica. Ormai celebre, si stabilì in Spagna, a Barcellona, rimanendovi fino al 1975. In seguito pubblicò altri romanzi, come L’autunno del patriarca (1975), una vicenda visionaria di un dittatore imprecisato, Cronaca di una morte an- nunciata (1981), L’amore ai tempi del colera (1985), Il generale nel suo labirinto (1989), ispirato alla vita e agli amori di Simón Bolívar, Dell’amore e di al- tri demoni (1994), a cui vanno aggiunti gli artico- li giornalistici Taccuino di cinque anni 1980-1984 (1991) e Notizia di un sequestro (1996). Nel 2001 uscì la prima parte della sua autobiografia (Vivere per raccontare) e nel 2004 il romanzo Memorie delle mie puttane tristi. Nel 1982 García Márquez otten- ne il premio Nobel per la letteratura. Cent’anni di solitudine (1967) La- trama-- Cent’anni di solitudine (Cien años de soledad) è la storia centenaria della famiglia Buendía e della città di Macondo (un luogo immaginario dell’America Latina). Il villaggio è stato fondato da José Arcadio Buendía e Ursula Iguarán, che si sposano nonostante il loro legame di sangue (sono cugini) non sia di buon auspicio: infatti, da un’analoga unione familiare era nato un bambino con la coda di maiale. Macondo è un villaggio immerso nella foresta tropicale ed è inizialmente costituito da venti case di argilla; ma dai due figli di José e Ursula (José Arcadio e Aureliano) discendono quattro generazioni, nel- le quali puntualmente i capostipiti maschi ripren- dono i due nomi degli avi e mostrano un alternarsi di uomini d’azione e di sognatori. Finché i contatti di Macondo con la civiltà sono limitati alle visi- te degli zingari (che introducono novità come il ghiaccio, la calamita, la lente d’ingrandimento), la vita del paese scorre tranquilla, in beata comu- nione con la natura; ma quando i nordamericani avviano una ricchissima piantagione di banane e portano la civiltà e il desiderio di ricchezza, per Macondo non c’è più pace. Oltre alle trentadue guerre promosse e tutte perdute dal colonnello Aureliano, padre di diciassette figli illegittimi, che ci descrivono le paradossali vicende di autodistru- zione della stirpe, si aggiungono le calamità na- turali, come il diluvio di quattro anni che assume dimensioni bibliche. Alla fine, l’ultimo nato dei Buendía, un bambino con la coda di maiale, frutto dell’incestuosa passione tra Aureliano Babilonia e sua zia, muore mangiato dalle formiche e con lui termina l’intera famiglia e la storia di Macondo. Il-genere-e-le-caratteristiche-- Cent’anni di solitudine è un felicissimo impasto di vari elementi narrativi: il favoloso e l’inverosimile, tipici della narrati- va fantastica che aveva dominato in Europa fino al Seicento; il paradossale, che rovescia il senso comune e il criterio di normalità; l’ALLEGORICO, che fornisce una chiave interpreta- tiva dell’intera vicenda. Il-“realismo-magico”-- L’opera di García Márquez presenta un mondo in cui i confini tra possibi- le e impossibile sono labili e incerti, un mondo sospeso tra realtà e magia, descritto come fosse vero, naturale e ovvio. In ciò consiste l’originalità di García Márquez e, in generale, della letteratu- ra latinoamericana. Il lettore si trova immerso in

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La­narrativa­stranieradel secondo Novecento

© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

sezione­3 Dagli anni Cinquantaai giorni nostri

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Gabriel­García­Márquez

La­vita­e­le­opere

Gabriel García Márquez nacque nel 1928 ad Arataca, in Colombia, primo di sedici figli. Com-piuti gli studi all’università di Bogotá, si dedicò al giornalismo, soggiornando anche in Messico, Francia e Spagna, e nel 1955 partecipò ai corsi del Centro sperimentale di cinematografia a Roma. Il suo esordio narrativo avvenne con il romanzo Foglie morte (1955), cui seguirono Nessuno scri-va al colonnello (1961) e i racconti dei Funerali della Mamà grande (1962). In queste prime prove García Márquez si mostra sensibile all’influenza della scrittura realista dei romanzi americani (so-prattutto di William Faulkner), ma gradualmente andò trovando una sua originale soluzione narra-tiva, che tiene conto dell’immaginario del mondo latinoamericano. In La mala ora (1962), storia spietata di lettere anonime che coinvolge un inte-ro paese, e nel suo capolavoro, Cent’anni di soli-

tudine (1967), García Márquez abbandonò la so-luzione crudamente realista del suo esordio per approdare a una scrittura personale, felicemente inventiva e fantastica. Ormai celebre, si stabilì in Spagna, a Barcellona, rimanendovi fino al 1975. In seguito pubblicò altri romanzi, come L’autunno del patriarca (1975), una vicenda visionaria di un dittatore imprecisato, Cronaca di una morte an-nunciata (1981), L’amore ai tempi del colera (1985), Il generale nel suo labirinto (1989), ispirato alla vita e agli amori di Simón Bolívar, Dell’amore e di al-tri demoni (1994), a cui vanno aggiunti gli artico-li giornalistici Taccuino di cinque anni 1980-1984 (1991) e Notizia di un sequestro (1996). Nel 2001 uscì la prima parte della sua autobiografia (Vivere per raccontare) e nel 2004 il romanzo Memorie delle mie puttane tristi. Nel 1982 García Márquez otten-ne il premio Nobel per la letteratura.

Cent’anni di solitudine (1967)

La­ trama­ ­ Cent’anni di solitudine (Cien años de soledad) è la storia centenaria della famiglia Buendía e della città di Macondo (un luogo immaginario dell’America Latina). Il villaggio è stato fondato da José Arcadio Buendía e Ursula Iguarán, che si sposano nonostante il loro legame di sangue (sono cugini) non sia di buon auspicio: infatti, da un’analoga unione familiare era nato un bambino con la coda di maiale. Macondo è un villaggio immerso nella foresta tropicale ed è inizialmente costituito da venti case di argilla; ma dai due figli di José e Ursula (José Arcadio e Aureliano) discendono quattro generazioni, nel-le quali puntualmente i capostipiti maschi ripren-dono i due nomi degli avi e mostrano un alternarsi di uomini d’azione e di sognatori. Finché i contatti di Macondo con la civiltà sono limitati alle visi-te degli zingari (che introducono novità come il ghiaccio, la calamita, la lente d’ingrandimento), la vita del paese scorre tranquilla, in beata comu-nione con la natura; ma quando i nordamericani avviano una ricchissima piantagione di banane e portano la civiltà e il desiderio di ricchezza, per Macondo non c’è più pace. Oltre alle trentadue guerre promosse e tutte perdute dal colonnello Aureliano, padre di diciassette figli illegittimi, che

ci descrivono le paradossali vicende di autodistru-zione della stirpe, si aggiungono le calamità na-turali, come il diluvio di quattro anni che assume dimensioni bibliche. Alla fine, l’ultimo nato dei Buendía, un bambino con la coda di maiale, frutto dell’incestuosa passione tra Aureliano Babilonia e sua zia, muore mangiato dalle formiche e con lui termina l’intera famiglia e la storia di Macondo.

Il­genere­e­le­caratteristiche­­Cent’anni di solitudi ne è un felicissimo impasto di vari elementi narrativi:• il favoloso e l’inverosimile, tipici della narrati-

va fantastica che aveva dominato in Europa fino al Seicento;

• il paradossale, che rovescia il senso comune e il criterio di normalità;

• l’allegorico, che fornisce una chiave interpreta-tiva dell’intera vicenda.

Il­“realismo­magico”­­L’opera di García Márquez presenta un mondo in cui i confini tra possibi-le e impossibile sono labili e incerti, un mondo sospeso tra realtà e magia, descritto come fosse vero, naturale e ovvio. In ciò consiste l’originalità di García Márquez e, in generale, della letteratu-ra latinoamericana. Il lettore si trova immerso in

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un mondo favoloso in cui vivono antiche tra-dizioni e credenze, abitato da gruppi indigeni e invaso dai coloni spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi, un mondo fantastico e, allo stesso tem-po, collocato in un periodo storico individuabile. Questo tipo di narrativa evoca atmosfere lontane soprattutto per il lettore europeo, che ha perso il fascino del fantastico, abituato piuttosto a partire dal Settecento, al racconto di tipo realistico.Macondo è una realtà estremamente composi-ta e multiculturale: i due antenati, Ursula e José Arcadio, sono il risultato dell’incrocio tra la popo-lazione spagnola e quella indigena; tanto pratica, attiva e laboriosa la prima, quanto creativa, fanta-siosa e diffidente l’altra. Macondo, paese isolato, senza contatti con altri mondi, a parte le periodi-che visite di indios e di zingari che vi diffondono le loro scoperte e invenzioni, rappresenta allego-ricamente la stessa America Meridionale prima degli interventi statunitensi, una civiltà arcaica, incontaminata dall’odio, strano crogiolo di cul-ture diverse che vivono le loro bizzarrie in to-tale armonia.Quando il progresso, la razionalità, la scienza conquisteranno Macondo, moriranno la sua pace, la sua magica atmosfera, la sua secolare cultura che non aveva mai arrecato danni a nessuno. È

evidente l’analogia con la situazione degli stati su-damericani, distrutti sul piano economico, civile e politico dall’ingerenza straniera.

Le­strategie­narrative­­Quella di García Márquez è una narrativa in cui viene fatto libero uso delle categorie di spazio e di tempo: Macondo non ha una collocazione geografica precisa, perché non deve essere pensato come luogo reale ma come luogo possibile (tanti villaggi sperduti nel con-tinente sudamericano possono essere Macondo). Non si sa dove sia Macondo perché esso rappre-senta una regione della coscienza libera dalle nor-me della logica e della morale.Il tempo non ha la scansione lineare tipica della società moderna, ma segue piuttosto l’andamento ciclico delle civiltà arcaiche e primitive. L’autore sembra proseguire nel racconto delle vicende mentre improvvisamente riporta il lettore indie-tro, facendogli incontrare fatti e personaggi quasi identici a quelli già conosciuti. È una storia cir-colare e ripetitiva, tanto che alla fine del roman-zo uno dei personaggi, Aureliano Babilonia, trova delle antiche pergamene nelle quali è già scritta la storia di Macondo e della famiglia Buendía, con cent’anni di anticipo; egli legge la propria fine nel preciso momento in cui la sta vivendo.

Il brano proposto è incentrato sulle figure dei due capostipiti della famiglia Buendía, José Arcadio e Ursula. Vissuti insieme fin da piccoli, decidono di sposarsi nonostante siano cugini condannati a pro-creare figli, secondo la credenza popolare, con la coda di maiale. Terrorizzata dall’eventualità, la donna si

lascia convincere dalla madre a non consumare il matrimonio e il marito è costretto ad accettare le sue condizioni. Ma questa decisione è all’origine di un fatto di sangue, che porterà i Buendía a lasciare il vil-laggio e a cercare una nuova terra, dove fonderanno la città di Macondo.

La leggendaria fondazione di Macondo(cent’anni di solitudine)

CONTENUTI

1.­ Quando­ il­ pirata...­ secolo: l’inizio della storia è collocato in una dimensione mitica e fa-

volosa (l’immaginario bombar-damento della città di Rioha-cha, nel XVI secolo), a cui, pe-

rò, la citazione di un personag-gio storico (Francis Drake fu uno dei più famosi corsari

dell’età elisabettiana) conferi-sce una patina di veridicità.

Quando il pirata Francis Drake prese d’assalto Riohacha, nel sedicesimo secolo1, la bisnonna di Ursula Iguarán si spaventò tanto per il suono della campana a martello e per il rimbombo dei cannoni, che perse il controllo dei nervi e si sedette su un focolare acceso. Le bruciature la lasciarono

Il matrimonio non consumato tra cugini Un omicidio La fondazione di Macondo

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ridotta a una sposa inutile per tutta la vita. Non poteva sedersi se non di costa, sistemata su un mucchio di cuscini, e doveva esserle rimasto qual-cosa di strano nel modo di muoversi, perché non si fece mai più vedere a camminare in pubblico. Rinunciò a ogni sorta di impegni sociali ossessio-nata dall’idea che il suo corpo emanasse un odore di bruciaticcio. L’alba la sorprendeva nel patio2; non osava dormire perché sognava che gli inglesi coi loro feroci cani d’assalto entravano dalla finestra della stanza da letto e la sottoponevano a ingiuriose torture con ferri incandescenti. Suo marito, un commerciante aragonese3 dal quale aveva avuto due figli, spese mezzo negozio in medicine e divertimenti cercando il modo di alleviare i suoi ter-rori. Alla fine liquidò gli affari e portò la famiglia a vivere lontano dal mare, in un villaggio di indios pacifici situato sui contrafforti della sierra4, dove fece costruire a sua moglie una stanza da letto senza finestre in modo che i pirati dei suoi incubi non avessero da dove entrare.

Nel villaggio sperduto viveva da molto tempo prima un creolo5 coltiva-tore di tabacco, don José Arcadio Buendía, col quale il bisnonno di Ursula stabilì una società così proficua6 che in pochi anni fecero una fortuna. Diversi secoli più tardi, il bisnipote del creolo si sposò con la bisnipote dell’aragonese7. Per questo, ogni volta che Ursula perdeva le staffe8 per qualche pazzia di suo marito, sorvolando trecento anni di accidenti, male-diceva l’ora in cui Francis Drake aveva preso d’assalto Riohacha. Era un semplice sfogo, perché in realtà erano legati fino alla morte da un vincolo più solido dell’amore: un comune rimorso di coscienza. Erano cugini tra loro. Avevano trascorso l’infanzia insieme nell’antico villaggio che i loro reciproci antenati avevano trasformato col loro lavoro e le loro buone abi-tudini in uno dei migliori borghi9 della provincia. Anche se quel matrimonio era prevedibile fin dal giorno della loro nascita, quando essi espressero la loro volontà di sposarsi, i parenti cercarono di impedirlo. Avevano paura che quei sani boccioli di due razze secolarmente incrociate patissero l’onta di concepire delle iguane10. Esisteva già un precedente11 terribile. Una zia di Ursula, che si era sposata con uno zio di José Arcadio Buendía, aveva dato alla luce un figlio che aveva passato tutta la vita con dei pantaloni gonfi e flosci12, e che era morto dissanguato dopo essere vissuto per quarantadue anni nel più puro stato di verginità, perché era nato e cresciuto con una coda cartilaginosa a forma di cavaturacciolo e con un pennello di setole sulla punta13. Una coda di maiale che non fece mai vedere a nessuna donna, e che gli costò la vita quando un macellaio amico suo gli fece il favore di mozzarla con un marrancio14. José Arcadio Buendía, con la leggerezza pro-pria dei suoi diciannove anni, risolse il problema con una sola frase: «Non mi importa di mettere al mondo dei porcelli, purché possano parlare». E così si sposarono con una festa di banda e petardi che durò tre giorni. Sarebbero stati felici subito se la madre di Ursula non l’avesse terrorizzata

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2.­ patio: cortile, al centro del quale si trova di solito un poz-zo o una fontana.3.­aragonese: il bisnonno di Ur-sula era originario di una regio-ne della Spagna.4.­ contrafforti­ della­ sierra: la sierra è un altopiano montuo-so, tipico della Spagna e del Sudamerica; i contrafforti sono le parti in cui la sierra comincia

a declinare verso la pianura.5.­creolo: meticcio.6.­proficua: redditizia.7.­il­bisnipote...­dell’aragonese: si tratta di José Arcadio Buen-día e di Ursula. Emerge qui il tema della ciclicità, caratteristi-co di tutto il romanzo.8.­perdeva­le­staffe: perdeva il controllo, si arrabbiava.9.­borghi: centri di media gran-

dezza.10.­Avevano­paura...­ iguane: i parenti temevano che dal l’unio-ne di quei giovani, che discen-devano («boccioli») da due stirpi imparentate da secoli, po-tessero nascere delle creature mostruose («iguane»).11.­precedente: caso simile av-venuto nel passato.12.­flosci: privi di consistenza.

13.­coda...­punta: coda costitui-ta di cartilagine, a forma di ca-vatappi («cavaturacciolo») e con sulla punta un ciuffo di pe-li duri («pennello di setole») come quelli dei maiali.14.­ mozzarla­ con­ un­ marran-cio: tagliarla con un grosso col-tello («marrancio»).

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con ogni sorta di sinistri pronostici15 sulla sua discendenza, fino al punto di convincerla a non consumare il matrimonio16. Temendo che il corpulento e voglioso marito la violasse17 nel sonno, Ursula si infilava prima di coricarsi un paio di calzoni rudimentali18 che sua madre le aveva fabbricato con tele per vele e rinforzato con un sistema di cinghie incrociate, che si chiudeva sul davanti con una grossa fibbia di ferro. Così rimasero per parecchi mesi. Di giorno, lui allevava i suoi galli da combattimento e lei ricamava a telaio con sua madre. Durante la notte, si dibattevano per diverse ore con una ansiosa violenza che sembrava già un surrogato19 dell’atto d’amore, finché l’intuizione popolare subodorò20 che stava succedendo qualcosa di irregola-re, e fece correre la chiacchiera che Ursula fosse ancora vergine a un anno dalle nozze, perché suo marito era impotente: José Arcadio Buendía fu l’ultimo ad essere informato dell’insinuazione.

«Vedi, Ursula, cosa va dicendo la gente» disse a sua moglie con molta calma.

«Lascia che parlino» disse lei. «Noi sappiamo che non è vero».Di modo che la situazione continuò senza cambiare per altri sei mesi,

fino alla tragica domenica in cui José Arcadio Buendía vinse un combat-timento di galli contro Prudencio Aguilar. Furioso, eccitato dal sangue del suo animale, il perdente si scostò da José Arcadio Buendía in modo che tutta l’arena21 potesse sentire quello che gli stava per dire.

«Complimenti» gridò. «Vediamo un po’ se quel gallo glielo farà final-mente il favore a tua moglie22».

José Arcadio Buendía, sereno, prese il suo gallo. «Torno subito» disse a tutti. E poi, a Prudencio Aguilar:

«E tu, va’ a casa tua e armati, perché sto per ammazzarti».Dieci minuti dopo tornò con la lancia di suo nonno già esperta di

sangue23. Sulla soglia dell’arena, dove si era concentrato mezzo villaggio, Prudencio Aguilar lo aspettava. Non ebbe tempo di difendersi. La lancia di José Arcadio Buendía, scagliata con la forza di un toro e con la stessa mira sicura con la quale il primo Aureliano Buendía aveva sterminato le tigri della regione, gli trapassò la gola. Quella notte, mentre si vegliava il cadavere nell’arena dei galli, José Arcadio Buendía entrò nella stanza da letto mentre sua moglie si stava infilando i calzoni di castità24. Brandendo25 la lancia davanti a lei, le ordinò: «Togliti quella roba». Ursula non mise in dubbio la fermezza di suo marito. «Sarai il responsabile di quello che suc-cederà» mormorò. José Arcadio Buendía piantò la lancia nel pavimento di terra battuta.

«Se dovrai mettere al mondo delle iguane, alleveremo delle iguane» disse. «Ma in questo paese non ci saranno più morti per colpa tua».

Era una bella notte di giugno, fresca e con la luna, e rimasero svegli a sollazzarsi26 nel letto fino all’alba, indifferenti al vento che soffiava nella stanza, gonfio del pianto dei parenti di Prudencio Aguilar.

La faccenda fu considerata come un duello d’onore, ma ad ambedue rimase un turbamento nella coscienza. Una notte in cui non poteva dormire, Ursula uscì a bere acqua nel patio e vide Prudencio Aguilar vicino all’orcio27.

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15.­ sinistri­ pronostici: profezie funeste, di cattivo augurio.16.­ consumare­ il­ matrimonio: avere rapporti col marito.17.­violasse: violentasse.18.­rudimentali: fatti artigianal-

mente e non rifiniti.19.­surrogato: atto sostitutivo.20.­subodorò: si accorse, capì.21.­arena: il pubblico radunato sul campo di gara («arena»).22.­Vediamo...­moglie: allusione

al rapporto sessuale che José dovrebbe avere (ma non ha) con la moglie.23.­già­ esperta­di­ sangue: che aveva già ucciso.24.­i­calzoni­di­castità: i pantalo-

ni che le impedivano di avere rapporti col marito.25.­Brandendo: impugnando.26.­sollazzarsi: divertirsi.27.­orcio: vaso di terracotta.

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Era livido, con una espressione assai triste, e cercava di chiudere con un tampone di sparto28 il buco nella gola. Non le fece paura, ma compassione. Tornò nella stanza a raccontare a suo marito quello che aveva visto, ma lui non le fece caso. «I morti non tornano» disse. «Il fatto è che non soppor-tiamo il peso della coscienza29». Due notti dopo, Ursula rivide Prudencio Aguilar nel bagno, intento a lavarsi col tampone di sparto il sangue cristal-lizzato del collo. Un’altra notte lo vide passeggiare sotto la pioggia. José Arcadio Buendía, molestato dalle allucinazioni di sua moglie, uscì nel patio stringendo la lancia. Lì c’era il morto con la sua espressione triste.

«Vattene via» gli gridò José Arcadio Buendía. «Tante volte ritorni, tante ti riammazzo!»

Prudencio Aguilar non se ne andò, e José Arcadio Buendía non osò scagliare la lancia. Da quel momento non riuscì a dormire bene. Lo tor-mentava l’immensa desolazione con la quale il morto lo aveva guardato dalla pioggia, la profonda nostalgia che provava per i vivi, l’ansietà con la quale rovistava la casa cercando l’acqua dove inzuppare il suo tampone di sparto. «Deve star soffrendo molto» diceva a Ursula. «Si vede che è molto solo». La donna era così impietosita che la prossima volta che sorprese il morto intento a scoperchiare le pentole del focolare capì che cosa cercava, e da allora gli mise delle scodelle d’acqua per tutta la casa. La notte in cui lo trovò a lavarsi le ferite nella sua stessa stanza, José Arcadio Buendía non poté più resistere.

«Va bene, Prudencio» gli disse. «Ce ne andremo da questo paese, il più lontano che potremo, e non torneremo mai più. Ora vattene in pace».

Fu così che intrapresero la traversata della sierra. Diversi amici di José Arcadio Buendía, giovani come lui, eccitati dall’avventura, smantellarono le loro case, presero su mogli e figli e andarono verso la terra che nessuno gli aveva promesso. Prima di partire José Arcadio Buendía sotterrò la lancia nel patio e sgozzò l’uno dopo l’altro i suoi magnifici galli da combattimen-to, sperando che in quel modo avrebbe dato un po’ di pace a Prudencio Aguilar30. Le uniche cose che Ursula portò con sé furono un baule col suo corredo nuziale, qualche utensile domestico e il cofanetto con le monete d’oro che aveva ereditato da suo padre. Non si fissarono un itinerario defi-nito. Cercavano soltanto di procedere in direzione contraria a quella per Riohacha per non lasciare alcuna traccia né incontrare gente conosciuta. Fu un viaggio assurdo. Dopo quattordici mesi, con lo stomaco guasto dalla carne di micco e dal brodo di bisce31, Ursula mise al mondo un figlio con tutte le sue parti umane. Aveva fatto la metà del viaggio in un’amaca appesa a un palo che due uomini reggevano a spalla, perché il gonfiore le aveva deformato le gambe, e le varici32 le scoppiavano come bolle d’aria. Anche se faceva pena vederli con la pancia vuota e gli occhi languidi, i bambini sopportarono il viaggio meglio dei loro genitori, e si divertirono per la maggior parte del tempo. Una mattina, dopo quasi due anni di viaggio, furono i primi mortali a vedere il versante occidentale della sierra. Dalla cima annuvolata contemplarono l’immensa pianura acquatica della palude grande estesa fino all’altro lato del mondo. Ma non incontrarono mai il

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morte di Prudencio era stata indirettamente causata dalla decisione di Ursula di non con-sumare il matrimonio.30.­sotterrò­la­lancia... Pruden-

cio­ Aguilar: l’autore descrive qui una pratica a metà tra ma-gia e religione, che dovrebbe servire a dare la pace all’anima del morto.

31.­carne­di­micco...­bisce: car-ne di cane («micco») e brodo di serpenti.32.­varici: dilatazioni delle vene.

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mare. Una notte, dopo parecchi mesi di vagabondaggio tra i pantani, ormai lontani dagli ultimi indigeni in cui s’erano imbattuti cammin facendo, si accamparono sulla riva di un fiume sassoso le cui acque sembravano un torrente di vetro gelato. Parecchi anni dopo, durante la seconda guerra civi-le, il colonnello Aureliano Buendía cercò di ripercorrere quella stessa strada per prendere Riohacha di sorpresa, e dopo sei giorni di viaggio capì che era una pazzia33. Ciò nonostante, la notte in cui si accamparono vicino al fiume, le osti34 di suo padre avevano un aspetto di naufraghi senza scampo, ma il loro numero era aumentato durante la traversata e tutti erano disposti (e ci riuscirono) a morire di vecchiaia. Quella notte José Arcadio Buendía sognò che in quel luogo sorgeva una città rumorosa piena di case con pareti di specchio. Chiese che città fosse quella, e gli risposero con un nome che non aveva mai sentito, che non aveva alcun significato, ma che nel sonno aveva avuto un’eco soprannaturale: Macondo. Il giorno dopo convinse i suoi uomini che non avrebbero mai trovato il mare. Ordinò di abbattere gli alberi per fare una radura vicino al fiume, nel luogo più fresco della sponda, e lì fondarono il villaggio.

da Cent’anni di solitudine, trad. E. Cicogna, Milano, Feltrinelli, 1973

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33.­Parecchi­anni­dopo...­paz-zia: il narratore compie un’im-provvisa digressione, chiaman-

do in causa uno dei personag-gi principali del romanzo, di-scendente di José Arcadio e

Ursula.34.­ osti: truppe (in senso iro-nico).

  Nel brano assistiamo agli eventi che precedono la fondazione della città di Macondo e ruotano intorno alla superstizione e alle paure legate ad antiche creden-ze: i parenti sono preoccupati che gli sposi, in quanto cugini, possano generare creature mostruose, tanto più che loro consanguinei avevano avuto un figlio con la «coda di maiale». La nascita di Macondo è strettamen-te legata alle conseguenze grottesche di questo timore: infatti la città viene fondata da Ursula e José Arcadio Buendía che hanno lasciato il loro paese, perseguitati dallo spirito di un uomo che Josè Arcadio aveva ucciso, perché lo aveva deriso per la mancata consumazione del matrimonio.

  La narrazione è intricata e procede in una dimen-sione che oscilla fra l’onirico e il reale, dando luogo a un avvincente “realismo­ magico” che filtra gli eventi attraverso la dimensione fantastica. L’invenzione divie-ne parte integrante della realtà e si fonde con essa, così che tutto appare come vero e naturale. Si pensi al motivo della superstizione popolare, secondo la quale sposi consanguinei procreano figli con la coda

di maiale, oppure alla presenza ossessiva dello spirito di Prudencio Aguilar.

  Lo spazio, sia quello del villaggio sperduto dove il marito della bisnonna di Ursula aveva portato la donna, sia quello attraverso il quale José intraprende il viaggio con la moglie, è avvolto in una dimensione fantastica e leggendaria: «Una mattina, dopo quasi due anni di viaggio, furono i primi mortali a vedere il versante occidentale della sierra […] contemplarono l’immensa pianura acquatica della palude grande este-sa fino all’altro lato del mondo» (rr. 135-138). Anche il tempo del racconto ha un andamento mitico e favoloso, non solo all’inizio della storia, collocato du-rante un immaginario bombardamento, ma anche du-rante tutto il suo svolgersi, che appare privo di linearità, continuamente alterato da improvvisi passaggi al pas-sato, al presente, al futuro, nei quali eventi e personag-gi sembrano essere sempre uguali, nei nomi che si ri-portano, nelle maledizioni che si perpetuano,­ in­una­circolarità­senza­fine.

­PER­LAVORARE­SUL­TESTO

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COMPRENSIONE

Il­riassunto­

1.  ��Riassumi il brano in un massimo di 8 righe.

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La­bisnonna­

2.  ��Che cosa era accaduto alla bisnonna di Ursula? Quale decisione aveva preso di conseguenza suo marito?

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Il­matrimonio­tra­consanguinei

3.  ��Quali timori suscita nei parenti il matrimonio di Ursula con José Arcadio?

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L’omicidio­e­la­partenza

4.  ��Perché José Arcadio uccide Prudencio?

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5.  ��Perché Ursula e José Arcadio decidono di partire?

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­VERSO­L’ESAME­­ 1a­prova,­tip.­A Analisi�di�un�testo�in�prosa

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Guida­allo­studio­e­alla­scritturaANALISI

Analizzare­il­linguaggio

6.  ��Analizza il registro linguistico e il lessico del brano tenendo presente:• l’estrazione sociale dei protagonisti;• l’ambientazione della vicenda;• il genere dell’opera.

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Il­tempo

7.  ��Individua le dimensioni temporali presenti nel brano: le analessi e le prolessi.

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Lo­spazio

8.  ��Sottolinea tutti i passi che fanno riferimento ai luoghi e agli spazi. Si tratta di luoghi e spazi reali? Motiva la tua risposta con precisi riferimenti al testo.

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Guida­allo­studio­e­alla­scrittura

Il­commento

9.  ��Scrivi un commento al brano focalizzando l’attenzione sui personaggi e sulla loro visione della realtà. Procedi aiu-tandoti con le seguenti domande.• L’autore descrive l’aspetto fisico dei personaggi? Se sì, quali elementi mette in evidenza? • Quale importanza ha la superstizione nell’arcaico mondo familiare dei Buendía? A quali conseguenze porta?• Che cosa indica la ripetizione degli stessi nomi all’interno del nucleo familiare?

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APPROFONDIMENTO

La­poetica

10.  ��Individua nel brano gli elementi che appartengono al mondo mitico e fantastico, come le superstizioni o la presenza degli spiriti, poi mostra come lo stile letterario di García Márquez possa essere ricondotto al cosiddetto “realismo magico”.

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