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Organo Ufficiale dei Gruppi di Preghiera Anno 2012 - n. 3 ra mile idanza U F F Ecco come puoi aiutarci: Associazione Gruppi di Preghiera Fra Umile Fidanza c.c. postale n. 1006338337 c.c. bancario Deutsche Bank IBAN IT32Y0310439841000000821753 Cari AMICI sosteneteci con il vostro contributo, affinché possiamo rendere la nostra rivista sempre più bella e più ricca!

Fra Umile Fidanza anno 2012 n.3

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Page 1: Fra Umile Fidanza anno 2012   n.3

Organo Ufficiale dei Gruppi di Preghiera Anno 2012 - n. 3

ra mile idanzaU FF

Ecco come puoi aiutarci:Associazione Gruppi di Preghiera Fra Umile Fidanza

c.c. postale n. 1006338337c.c. bancario Deutsche Bank IBAN IT32Y0310439841000000821753

Cari AMICIsosteneteci con il vostro contributo,

affinché possiamo rendere la nostra rivistasempre più bella e più ricca!

Page 2: Fra Umile Fidanza anno 2012   n.3

Carissimi fedeli e devoti tutti,

il giorno 25 Novembre c.a., a distanza di un anno (14 novembre 2011) dall’approvazione dei nostri

gruppi di preghiera, ci siamo radunati attorno al nostro Pastore, Mons. Valentino di Cerbo, per

condividere insieme un momento di profonda aggregazione associativa, intenti a fare il «punto»

della situazione sull’intero operato dei nostri gruppi.

Intendo ringraziare, anche a nome del Vescovo, tutti coloro che durante questo primo anno di

cammino, si sono prodigati nelle varie realtà parrocchiali e comunitarie, per la diffusione della

figura e del carisma, del nostro amato Fra Umile, che ha messo sempre al primo posto l’Amore a

Gesù Eucaristia e alla Sua Santissima Madre Maria, con uno spirito e uno zelo incondizionato nella

piena fedeltà e ubbidienza, verso i Pastori della Chiesa. Ricorda il grande S. Ignazio d’Antiochia:

«State uniti al vescovo [...] Conviene procedere d'accordo con la mente del vescovo, come già fate

[...] E' necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio. [...]

Alcuni parlano sempre del vescovo ma poi agiscono senza di lui. Questi non sembrano essere onesti

perché si riuniscono non validamente. [...] Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù

Cristo al Padre. [...] Seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli [...] Nessuno senza il

vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa [...] Dove compare il vescovo, lì è presente la

Chiesa di Cristo. [...] State col vescovo perché anche Dio stia con voi!».

Questo è stato cari amici, l’unico spirito sul quale abbiamo incentrato tutto il nostro cammino

all’interno della Chiesa, per «godere dell’amicizia di Dio». Ma soprattutto per desiderare che il

nostro Fra Umile, quando il Signore stabilirà i tempi, possiamo vederlo annoverato nell’ «Albo dei

Santi», che avverrà soltanto incamminandoci con la Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa, cioè con il

Vescovo.

In questi giorni nelle nostre famiglie, seppur tra tante difficoltà, respiriamo un’aria diversa, piena di

pace e amore, perché attendiamo la Nascita di Colui, che per volontà del Padre, e per opera dello

Spirito Santo, si è incarnato nel seno verginale di Maria: «Per venire a vivere e a stare - come diceva

Fra Umile - in mezzo a noi!». Tra non molto vivremo il mistero del Natale del Signore: mistero della

Luce che brilla nelle tenebre, della Parola fatta carne, del Pane disceso dal cielo!

Questo numero della nostra rivista, intende proprio ricordare a tutti noi «Oggi è nato il Salvatore».

Nessun cuore, nessun’anima può rimanere insensibile davanti a questo grande mistero d’Amore, del

Dio fatto Uomo!

Casapesenna, 16 dicembre 2012.III Domenica di Avvento

Il Direttore Generale

Don Michele Barone

Som

mar

io

Anno 2012 - n. 3

Fra Umile FidanzaORGANO UFFICIALE

DEI GRUPPI DI PREGHIERA

RICONOSCIUTI IL 14 NOVEMBRE 2011DA S. E. MONS. VALENTINO DI CERBO

VESCOVO DI ALIFE-CAIAZZO

SEDE LEGALE, DIREZIONE,REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE

Corso Umberto I, 87081033 Casal di Principe (CE)

Tel. e fax 081.0600540Tel. 393.5733547

Email: [email protected]: [email protected]

Associazione dei Gruppidi preghiera Fra Umile Fidanza

La rivista intende far conoscereil Carisma e la Spiritualità

del Frate Minore OblatoFRA UMILE FIDANZA

(14 giugno 1910 - 3 marzo 1990).In piena fedeltà al Magistero del Papa,

della Chiesa e in comunionecon lo Spirito Francescano.

DIRETTORE GENERALEDon Michele Barone

SEGRETERIA REDAZIONEMarianna Martino

REDAZIONE Carmen Iovine, Cinzia Diana,

Emanuela Ianniello, Eva Fontana,Flavia Ianniello, Luigi Salviati,

Maria Flavia Lo Regio, Mariarosaria Ucciero, Pasquale Casoria.

HANNO COLLABORATO

Don Carlo Candido, Barbara Martino,P. Francesco Piccolo, Scotto Rosato Orsola

PROGETTO E REALIZZAZIONE GRAFICADon Michele Barone

STAMPAVECA Print - Casoria (NA)

REGISTRAZIONE PRESSO IL TRIBUNALE DI

S. MARIA C. V. N. 797 DEL 10/05/2012

La collaborazione avviene a titolo gratuito.La Redazione si riserva il diritto

di tagliare o modificare il materiale fornito.

Apertura

Primo piano

Secondo piano

3 Saluto del Direttore

4 Frammenti di Vita

8 Il Risveglio del Natale

10 La Spiritualità Francescana

12 Io sono l’Immacolata Concezione

14 Come i Magi incamminiamoci verso la Grotta

16 Ero nudo e mi avete vestito

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18 Cascate di Grazie

Saluto del Direttore

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Il 17 di ogni mese per Fra Umile e tutta la comunità di Portici era un giorno particolare. Tante persone, proveniente da tutti i centri della

regione si recavano da Lui e da S. Pasquale, per chiedere aiuto e soccorso per i loro cari. La folla come sempre lo assillava, per chiedere preghiere di intercessioni al Signore e ottenere favori celesti. Il mite servo di S. Pasquale, esente da qualsiasi emotività orgogliosa, semplice e misurato, accoglieva tutti, uno alla volta, per brevi indimenticabili istanti nella “Saletta delle Udienze”, mentre nel corridoio circolare del chioschetto, i tutori dell'ordine trattenevano la folla controllandone l'afflusso.

È doveroso menzionare il nome di alcuni volontari che erano cari al cuore di Fra Umile. Essi erano sempre presenti in tutte le circostanze particolari, specie la domenica. Era commovente vedere con quanto spirito

di servizio, di devozione e di abnegazione si mettevano a servizio del convento. Tralasciavano talvolta interessi, legami, impegni per essere al fianco di Fra Umile e aiutarlo durante i suoi incontri. Questa scelta avanzata di combattenti che il destino non ha risparmiato alla sventura, ha una storia tutta sua particolare, una via crucis da ricordare, un ringraziamento costante da rivolgere a San Pasquale che per mezzo del suo servo fedele, riaccendeva ogni giorno le spente faville delle speranze future.

Racconteremo più innanzi gli episodi che portarono Fra Umile alla conoscenza di Gennaro Di Domenico, di Angelo De Martino, di Gennaro Burgo, di Carlo Borrelli, di Raffaele Aquilar, e di una folla di fedelissimi organizzatori, tra i quali primeggiano per continuità e animosità, Giovannina Coppola da Monte di Procida, Agostino Lauro da Ischia e Schettino

Vincenzo da Castellammare di Stabia. Essi erano sempre li al Granatello, pronti ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, ma anche preparando con spirito di preghiera coloro che di lì a poco avrebbero incontrato il frate. La vita di Frate Umile cosi com'era, si potrebbe in tutto paragonare a quella di S. Pasquale. Anche il Santo pascolava il gregge, anche l'Apostolo stentava a ritrovarsi nel primo giaciglio soffice e caldo... E cosi, indirettamente Fra Umile passava attraverso la stessa sfera storica del pastorello di Baylon: assisteva con diligenza il sacerdote all'altare, sorvegliava la porta del convento e aiutava in cucina, con la strategia del trasformista, superando attraverso queste occupazioni le frivolezze, i divertimenti e quant'altro poteva invece essere motivo di distrazione per la sua anima La sua attività non conosceva soste: alle occupazioni di ordine comune, alla debilitante diuturna missione di ascoltare centinaia di storie tutte grame e dolorose, ogni pomeriggio si recava fuori per la questua attraverso le impervie strade vesuviane. La sua raccolta era sempre doviziosa poiché tutti gareggiavano nell'offrire al gradito visitatore tangibili segni di devozione sotto forma di mille omaggi alimentari. Al suo rientro in convento portava con se, un piccolo patrimonio: pasta, dolciumi, farina, vino, legumi, denaro e monili. Depositava tutto nella “Saletta delle Udienze”, che egli confidenzialmente chiamava anche

“Salotto”. Di tutto questo ne traeva grande vantaggio, non solo tutta la comunità, ma anche i numerosi pellegrini che quotidianamente bussavano alla sua porta: ammalati, donne e bambini, vecchietti in difficoltà; la generosità del frate era per tutti. Era una continua girandola di bontà; raccoglieva questuando in onore di San Pasquale. Spesso trovava nell'ora della refezione, una fila di mamme con bambini, che attendevano lungo il corridoio. Egli li guardava con occhio amorevole ed offriva a tutti un piatto caldo nel nome di S. Pasquale. Anche molti mendicanti si alternavano fuori la Sacrestia e per ciascuno di loro vi era sempre un pezzo di pane offerto con amore. C'era sempre un canestro pieno di pane, dove la gente poteva prendere un pezzo per se. Si calcolavano almeno sedici quintali di pane che venivano distribuiti gratuitamente nel corso d'ogni mese. Questo suo non risparmiarsi per gli altri, talvolta gli portava anche qualche problema di salute. Spesso era soggetto, a causa di mal di testa forti, a fuoriuscite improvvise di sangue dal naso. La sua

pressione sensibilmente alta lo portava a capogiri improvvisi. Tutte le esortazioni che gli venivano fatte affinché si curasse, non servivano a nulla, poiché veniva risucchiato dalle miriadi di impegni pastorali. Egli affermava di non avere tempo per pensare a se stesso, doveva pensare agli altri. Era dedito a molti lavori, e poi c'era quel telefono, che squillava ogni cinque minuti: egli doveva rispondere, per far sentire la sua voce ristoratrice agli ammalati, che gli chiedevano aiuti e preghiere. Non trovava mai il tempo per analizzare alla luce della logica i proprio mali. Sapeva bene che di terreno aveva solo il corpo, che prontamente era destinatario di molte rinunzie e sofferenze. Questa è il solo interesse di chi gravita nell'orbita della fede più alta e sublime. Fra Umile alla parete della sua cella, sulla destra del lettino, custodiva un quadretto assolutamente singolare: un pastello che riproduceva una catacomba con nicchie nelle quali s'intravedevono degli scheletri umani. Quel quadro

stava li certamente a significare che questa breve vita, non era che un sogno di una notte travagliata, e che era meglio passarla in ragionevole occupazione, con la consolazione di operare veramente da cristiano, anziché abbandonarsi alla follia delle passioni, che potevano diventare la rovina eterna dell'anima.

Fra Umile viveva il vero paradiso nel candore della sua celletta, che si trovava al primo piano del caseggiato. Lì era il suo pezzo di terra: cinque metri quadrati per quattro; due crocifissi, un effige della Madonna di Monte calvario illuminata da una fiammella elettrica, un canterano ottocentesco carico di cianfrusaglie, un lavabo dozzinale e un tavolo quadrato al centro, che affacciava sul chioschetto sottostante. In questo regno egli sviluppava il gran mistero del suo stato, e l'arte di imparare agli altri come si può essere saggi, buoni, illuminati e degni del vero paradiso naturale dei cieli. Molto doveva il convento a lui , che fu restaurato con la creazione di un refettorio molto accogliente al pianterreno, e a un campanile che svetta

gioioso nel cielo del golfo partenopeo, carico del peso di quattro nuove campane bronzee fuse dall'industriale Monteleone a prezzo delle mirabili raccolte del frate. Ma non si ferma qua la prosperosa evoluzione dell'edificio, poiché grazie a lui e alle sue questee si devono ulteriori restauri. Fra Umile era per i suoi confratelli, un vero pozzo della provvidenza. Grazie al suo ministero, il convento era sempre fiorente, e non temeva mai di rimanere senza il pane quotidiano. Fra Umile raccoglieva le offerte in una cameretta, dove vi era scritto sopra la porta: “Sala degli oggetti di devozione della Chiesa di San Pasquale. Addetto alla sala Fra Umile. La sala è aperta dalle ore 8 alle 12”. L'interno presentava molto interesse per la varietà degli oggetti sacri che vi si trovavano come: crocefissi, quadretti, candele e immagini; sulla destra molto in vista si notava un reliquario d'insolito valore artistico e storico, dove vi erano delle reliquie. Un bel quadretto riproducente Pio XII, e sulla sinistra un quadro in olio

Frammenti di Vita

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raffigurante proprio Fra Umile, che aveva dipinto un fedele come omaggio, e sotto vi era uno scaffale che reggeva 1'apparecchio telefonico portante il numero 55912. Nell'angolo destro, troneggiava in uno splendore di luci, la preziosa statua dell'Apostolo del Sacramento, opera pregevole degli artigiani della popolare strada di San Gregorio Armeno, raffigurante proprio San Pasquale.

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Il Santo dai tratti somatici perfetti, aveva tra le mani una lunga corona di madreperla color avorio: un angioletto sostenuto da una nuvola

azzurri, intento quasi a custodire il tesoro di quegli occhi glauchi e profondi che il Santo rivolgeva al cielo mirando l'Eucarestia.

Nel 1947, Fra Umile venne colto da morbo feroce, per cui i medici che vennero a visitarlo, diagnosticarono la morte inevitabile a breve scadenza. Furono fatti i preparativi per l'immatura perdita. Il Convento anticipava il lutto. Sul volto e nei cuori dei confratelli, vi era grande sgomento. Fra Umile quasi in coma, era steso sul suo giaciglio nella celletta n. 24. Una folla enorme sostava nella piazza sottostante in attesa di notizie, rassegnata alla perdita insostituibile del servo di San Pasquale. Anche la chiesa era gremita di fedeli. Giungevano continuamente telegrammi e lettere da varie parti. Ma accadde che Fra Umile fece un sogno, vide San Pasquale in una nuvola luminosa, il quale gli indicava una serie di casse da morto messe in fila e gli diceva: “Vedi tutte queste bare? Ebbene, la tua non c'è! Guarirai! Ma è mia precisa volontà che tu mi faccia costruire una Statua presso la quale i fedeli ogni 17 del mese, po t ranno recars i per rivolgersi a me, ed io ti prometto che tutto quello che mi cercherai, te lo darò”. Da quel momento Fra Umile s i r iprese subito, lasciando perplessi medici e fedeli, e il suo primo pensiero fu quello di andare in quella fucina a r t i s t i c a d i v i a S a n Gregorio Armeno, ad ordinare una pregevole statua di San Pasquale.

Al centro della sala che abbiamo descritto, vi era un grande tavolo, dove Fra

Umile aveva tante cose sacre, tra cui un grande crocifisso, sotto il quale vi era una piccola urna sacra, dove erano custodite le reliquie di San Pasquale, che i fedeli veneravano.

Fra Umile pur avendo un orario sulla porta, non lo osservava mai, anzi appena poteva subito si adoperava per ascoltare le richieste dei devoti di San Pasquale. Era solito dire ai suoi fedeli: “S. Pasquale, vede e conosce tutte le vostre ansie e le necessità particolari delle vostre famiglie. Egli vuole la perseveranza e la purità di pensiero; solo a tale patto egli vi assiste e vi premia. Non sono io che vi produco il bene, esso scende su voi, se ve ne renderete meritevoli e sarete decisi a farvi purificare dal fuoco della penitenza”. Egli era solito rimproverare coloro che si recavano da lui per ringraziarlo per la grazia ricevuta, diceva: “Io non faccio i miracoli, io prego San Pasquale, è lui che li fa”. E invitava tutti, in special modo, alla confessione e alla comunione sacramentale. Raccomandava anche di non mancare il 17 di ogni mese, ben sapendo quanto cara era quella data al suo Santo Protettore, il cui nome cade appunto il 17 maggio.

Quanti avvenimenti si sono succeduti in questi anni nel periodo di permanenza di Fra Umile a Portici. Essi non possono essere tutti enumerati. Tra le pie e cospicue azioni svolte da lui in terra porticese, non vanno dimenticate le predizioni nell'infausto periodo della recente conflagrazione dei popoli, nel corso della quale Fra Umile si creò senza volerlo la fama di profeta,

evitando con la sua accorta immaginaz ione t an te tragedie innocenti. Quanti crolli, quante devastazioni sono state da lui predette, permettendo al popolo di porsi in salvo. E' questa una grande pagina di carità che ingemma ancor di più le prodi virtù del fraticello, il quale con altrettanto i n d o m i t o c o r a g g i o , affrontò la lotta per il trionfo dei diritti cristiani nell'anno 1948, allorché l'Italia stentava a ritrovare un s i s t ema l ega le d i G o v e r n o . A n c h e g l i scettici, i tiepidi, coloro che in qualche modo vivevano lontani dalla fede, dovettero riconoscere nell'abito del francescano po te r i a s so lu tamen te austeri . Fra Umile fu conosciuto notoriamente come un uomo pacifico, pieno di mansuetudine, dai

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tratti dolci: ma guai per coloro che si ponevano contro la Chiesa e la morale cattolica. I politicanti del tempo che combattevano la C h i e s a n e s a p e v a n o qualcosa. Infatti citeremo alcuni avvenimenti senza commentarli.

N e l p e r i o d o p i ù i n f u o c a t o d e l l e l o t t e ora tor ie per le l ibere elezioni in Italia, Fra Umile f u p r e s o d i m i r a d a i propagandisti avversari. Tollerò fin quando poté. gli affronti di tutti coloro che si professavano anticristiani. Un giorno mentre rientrava in convento, un tale gli si avvicinò e spingendolo disse che: “Quanto prima tutti i religiosi sarebbero stati appesi come salami agli alberi”. Al che rispose: “Bada a te, figliuolo a non irritare il Signore con le tue parole”. Sta di fatto che la sera seguente, trovandosi con alcuni amici in una osteria, si ubriacò a tal punto che quando uscì, si accasciò a terra, dando l'impressione di volersi addormentare, ma invece non fu così, venne colpito da morte improvvisa.

Un altro caso simile, capitò a un politico che da un palco eretto al centro di un villaggio vesuviano, durante una campagna elettorale, lanciava anatemi affannosi contro Cristo e i suoi servi. Fra Umile lo osservò con attenzione e disse a colui che l'accompagnava: “Vedi quell'uomo come parla male di Cristo e della sua Chiesa? Mi dispiace per lui, ma non riuscirà neanche a vedere l'esito elettorale”. Così accadde. Trenta giorni dopo, a causa di un'infezione polmonare, la sua vita terrena cessò.

Un giorno eravamo da Fra Umile e venne una signora (è il redattore del libro che parla), che si apprestò a chiedere merce per il consorte che era paralitico da sette anni . Egli dopo averla congedata, ci riferì che la salute di quella donna era cagionevole, e avrebbe fatto bene di più a pensare alla sua. Al che a motivo di curiosità chiedemmo alla donna se soffrisse di qualche malattia, ma ella con un sorriso ci rispose di no. Pertanto dicemmo a Fra Umile che forse si sbagliava, ma invece non era così, tanto che ci indicò persino una data, che realmente si tramutò nel giorno della morte di quella signora.

Un altro episodio che riportiamo è quello di un abitante di S. Giovanni a Teduccio, F. A., che aveva due

figli, uno dei quali in procinto di andare alle armi. Fra Umile sapendo che uno dei due, aveva intenzioni di intraprendere il corso degli allievi Ufficiali, fu lesto a persuaderlo per non farlo partire, avvertendo che da ufficiale egli sarebbe morto, mentre se si fosse arruolato come semplice soldato di truppa, sarebbe rimasto in vita. Il padre pur ascoltando attentamente le sue parole, non se la senti di seguirne i consigli, perché per il figlio aspirava a un avvenire d e g n o d e g l i s t u d i consegui t i , f ru t to de i sacrifici di tutta la famiglia. Non ascoltando le parole di Fra Umile, fece vestire con gli abiti di ufficiale, il figlio che fu assegnato alle truppe coloniali in Somalia ai primordi dell'ultima guerra. Durante una perlustrazione, venne colpito dai nemici a l l e s p a l l e , e s p i r ò

prematuramente sulla sabbia arsa di quello che fu effimero impero delle nostre ambizioni.

Un altro figliuolo del sig. F. A., contava allora quattordici anni, ed era stato tenuto a cresima dallo stesso Fra Umile. Una mattina il ragazzo si recò al convento, come era solito fare, e poiché giungeva sempre con la sua bicicletta, il suo ”compare” gli disse: “Non venire più con la tua bicicletta, lasciala stare, perché altrimenti ti porterà disgrazia”. A queste parole, il fanciullo sorrise tanto, e per prendere in giro il suo compare che lo guardava dalla finestra, iniziò a fare tanti caroselli davanti alla piazzetta del Granatello. In un istante si consumò la disgrazia. Scendendo di corsa lungo la strada che si affaccia nella piazza della ferrovia, scivolando andò a finire sotto le ruote di un grande carro, trainato da due cavalli, che con tanta forza stavano cercando di salire la salita.

Tutti questi avvenimenti, intendono affermare una cosa sola: la vita di Fra Umile era realmente illuminata da una luce particolare del Signore, che gli faceva vedere e sentire le cose prima che accadessero. Egli vivendo nella contemplazione di Dio, era stato arricchito di innumerevoli doni, che con gioia metteva a disposizione di tutti.

Fra Umile Fiamma d�Amoreintercedi per noi

le Grazie dal Signore!

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“Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti, e Cristo ti illuminerà” (Ef. 5,14).

Carissimi amici, questo invito di San Paolo risuona in tutto il tempo dell'Avvento, tempo di preparazione al Natale, ma anche tempo di riflessione profonda sul senso della nostra vita che, in attesa dell'ultima venuta di Cristo alla fine dei tempi, è chiamata ad assumere alcuni atteggiamenti fondamentali in attesa del proprio Salvatore. Tra questi atteggiamenti la vigilanza del cuore assume una particolare importanza. Non si tratta

di stare attenti soltanto a quanto accade attorno a noi, nel mondo, nella nostra famiglia, durante le nostre giornate, ma piuttosto di una attenzione del cuore, una vigilanza su quei movimenti della nostra interiorità dove si gioca l'autenticità del nostro rapporto con Dio.

Svegliati o tu che dormi! Tale invito è rivolto a tutti coloro che dormono nel sonno del proprio egoismo, dell'indifferenza, a chi pensa di poter fare a meno di Dio, a chi nutre sentimenti di potenza e di onnipotenza. È un invito rivolto a tutti gli uomini che non si assumono le proprie responsabilità nei vari ambiti della società, in famiglia, nell'ambito lavorativo, scolastico, nell'impegno politico… Ma è soprattutto un invito rivolto ai “farisei” di tutti i tempi, a coloro che pensano di salvarsi solo perché ogni tanto o permanentemente, si ritrovano all'interno delle mura della Chiesa o perché appartenenti a un gruppo o a una confraternita.

Svegliati o tu che dormi! È l'invito rivolto a me, a te, ad ogni uomo chiamato a risorgere dall'appiattimento

della propria quotidianità, spesso segnata dalla sofferenza, dallo scoraggiamento, dal buio del non senso dovuto alla perdita dei valori e dalla mancanza di punti di riferimento.

La crisi di cui oggi si parla tanto, non è solo quella economica, ma soprattutto di valori; crisi di amore, di pace, di solidarietà, di giustizia, di fede. Le luci colorate e gu izzant i de l per iodo na ta l iz io rendono apparentemente tutto più bello, ti fanno sognare, illuminando per un momento il buio dello smarrimento

e poi… Solo il Signore, con la luce del suo amore, può rischiarare il buio della nostra vita, rimetterci

in cammino e svegliarci dal torpore spirituale che distrugge la gioia e la speranza... e

Cristo ti illuminerà.Q u e s t o è i l v e r o N a t a l e ,

l'accoglienza di una persona: Gesù Cristo, una presenza importante e significativa per ognuno di noi. Un Bambino che nasce a Betlemme,

avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Un bambino indifeso dove si nasconde l'onnipotenza di Dio che ancora una volta visita il suo popolo nella sua grande bontà e

misericordia. Andiamogli incontro, non perdiamo questa occasione, accogliamolo nel nostro cuore per

risvegliarci a vita nuova. Quest'anno per tanti sarà un Natale di

crisi economica, di povertà. Ciò dispiace e stimola la nostra carità, ma può anche

farci sentire più in sintonia col Natale di Dio, il Natale vero. “Egli da ricco che era, si è fatto povero” (2 Cor 8,9) per nostro amore. È così povero e umile che nessuno potrà mai esserlo più di Lui.

Ascoltiamo le parole di due convertiti: Curzio Malaparte. e un monaco di Monteveglio morto di Aids. Curzio Malaparte, letterato tenacemente ateo si convertì un mese prima di morire. Così urlò graffiando, una notte di Natale: “Vorrei che in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse gridando: via da quella culla, ipocriti, bugiardi, andate a casa vostra e piangete sulle culle dei vostri figli. Se il mondo soffre è anche per colpa vostra che non osate difendere la giustizia e la bontà, e avete paura di essere cristiani fino in fondo. Via da questa culla, ipocriti. Questo Bambino che è nato per salvare il mondo ha orrore di voi».

Nel 1992 i giornali, non senza malizia, uscirono col titolo: “Un monaco è morto di Aids”. Si trattava di un

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di Don Carlo Candidogiovane di Modena che a vent'anni aveva lasciato la famiglia per sprofondare nel mondo del vizio e della droga. Conobbe ripetutamente il carcere e poi la sentenza tremenda: “Sei sieropositivo”. Si rivolse disperato ad un monaco di Monteveglio dicendo: “Nessuno mi vuole e sono alla fame”. Il monaco gli disse: “Se vuoi, vieni con noi, siamo poveri, ma c'è spazio per un altro povero”. Quel giovane disse: “Vengo”. Tutti lo accolsero come un fratello, senza chiedergli: “Da dove vieni, cos'hai fatto, perché sei malato?” Fu conquistato dalla fede e dalla carità dei monaci. Si convertì dicendo: “Ho capito che Gesù è Dio, perché soltanto se Gesù è Dio si spiega la vostra vita: siete umili, poveri… e tremendamente felici. Siete ricchi del più grande amore col quale mi avete accolto”. Desiderò farsi monaco e vi si preparò con cura. Fece la sua professione pochi minuti prima di morire confidando: “Anche nella Chiesa c'è il peccato, per questo mi faceva schifo, però nella Chiesa c'è Dio, la Chiesa è la culla di Dio e io voglio stare in questa Chiesa”.

Nella fede non presunta, ma umilmente alimentata e testimoniata, nell 'amore attinto da Cristo e concretamente vissuto, facciamo in modo che specialmente nel Natale anche la nostra Comunità parrocchiale diventi “Culla di Dio”, perché attraverso di noi tante persone abbiano gioia, vita e speranza.

Che bisogno abbiamo, oggi nel 2012, della discesa di Dio in mezzo a noi? In che senso questo bambino è capace di darci un segno di speranza per guardare avanti? Dalla nascita di Gesù nasce un messaggio di Speranza. Si proprio di speranza che Papa Benedetto ha definito “affidabile”. L'annuncio del Santo Natale quest'anno ci trova accorati e sgomenti di fronte ai malesseri del “corpo sociale” di cui facciamo parte. Durante la loro dolorosa ed estrema protesta alcuni operai hanno detto: “Per noi il Natale non esiste più se non esiste un futuro lavoro”. Perdonabile e in un certo senso capibile. Questo dubbio è angoscioso, è una preghiera det tata dal la disperazione … ma paradossalmente proprio qui si incarna il nostro Natale cristiano. Dio non ha avuto alcuna esitazione nell'“impastarsi” con le contraddizioni della condizione umana, diventando più intimo con l'uomo, e nello stesso tempo più efficace nel sostenere la nostra fede. La modalità con cui il Figlio di Dio viene a salvarci, non è un rito magico o una favola per bambini; ma è un interrogativo fondante della nostra fede, della nostra libertà e responsabilità di Cristiani. Perciò, tanto più in un momento di grave difficoltà (non solo economica e politica) come quello che stiamo attraversando, il S. Natale ci invita ad un risveglio e ad un soprassalto di dignità e di coerenza che consistono nel “vivere relazioni buone con se stessi e con gli altri”.

Ma da dove cominciare? Innanzi tutto da n o i stessi; se non cogliamo la novità di questo Dio che si fa uno di noi in noi, non si cambierà nulla. D a l l e nostre famiglie: i papà e le mamme offrano ai loro figli un senso chiaro della vita, una giusta direzione di cammino, dove il primato dell'uomo aperto a

Dio sia visibile nella quotidiana vita di relazioni personali. Dalle nostre comunità, ai governanti e amministratori, dove la ricerca del bene comune diventa una forma di carità. Paolo VI così si esprimeva, “La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri […] la politica è la più alta forma di carità”. Gesù scende dal cielo e viene sulla terra e ci mostra il tipo di uomo da Lui proposto; un uomo capace di gratuità, un uomo che ama per primo, e che si lascia coinvolgere dai problemi del fratello in difficoltà. Dal Santo Natale in questi momenti ci arriva questa provocazione: “verificare la nostra statura di uomini che vivono con Dio”.

Come ha detto Papa Benedetto: “In Lui si profila l'uomo nuovo che guarda con fiducia al futuro e si affida totalmente alla misericordia di Colui che […] apre le porte alla nostra salvezza eterna”. La speranza nasce proprio dal mistero di Cristo. Grazie a Dio le notizie negative non sono le uniche che ci vengono date, e parafrasando il pensiero di San Paolo ci viene da dire: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”.

“Natale quando arriva, arriva” recitava uno spot pubblicitario di qualche anno fa. Del resto la pubblicità arriva e incide molto prima dei segni liturgici. E infatti il Natale arriva, puntuale, potremmo dire quasi inesorabile. Arriva, nonostante le tribolazioni o le sofferenze, arriva nonostante le nuove manovre economiche e il dissesto finanziario. Natale arriva, ma rischia anche di passare, se non sappiamo fermarci a contemplare il mistero di salvezza che esso porta in sé. “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv. 8,12). Celebrare il Natale significa accogliere questa luce, e lasciarci illuminare dalla Parola di Gesù.

Per fare questo, sarà necessario superare le tante parole commerciali e mediatiche, per lasciare sussurrare ai nostri cuori le parole cariche di amore che ci vengono da Dio. Allora sarà un vero Natale se, come i pastori e i Magi, anche con fatica, cercheremo Gesù, e Lui non aspetta altro che lasciarsi trovare per illuminare e parlare alla nostra vita e dirci: “Io sono qui per te”. Buon Natale a tutti, specialmente ai piccoli e agli ammalati.

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Il Risveglio del Natale

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Francesco.l) La Santa Madre Chiesa, sacramento del Signore.Le componenti della spiritualità francescanaPovertà, obbedienza e castità sono gli aspetti

fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli.Dopo un primo periodo passato in solitudine,

Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme a dei compagni che volevano imitare il suo esempio. L'umiltà e l'ascetismo al quale si accompagnò l'opera del santo gli valse il nome di Imitatore di Cristo: da qui inizia l'esperienza della fraternità, nella quale ciascun membro è dunque un Imitatore di Cristo, sull'esempio di Francesco.

Secondo la Regola dettata da Francesco (nel 1223), la vita comunitaria deve cercare di conformarsi ai principi della fraternità, dell'umiltà e della povertà. Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo spirito missionario, in conformità ai precetti evangelici, assumendo una condotta completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora. È chiaro come a San Francesco interessassero soprattutto i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel prossimo spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l'ultimo.

Francesco vuole essere il «minore tra i minori» (umile tra gli umili). Egli applicò ai compagni l'appellativo minore, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di uomo del popolo. Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l'attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. In questo modo, lo spirito di condivisione è esempio concreto della comunione dell'anima con Dio, Gesù il Cristo, testimonianza di fede e di amore cristiano.

A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l'aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova: applicando questa regola alla prima persona Francesco visse e scontò un incessante vagare, portandosi fino ai confini dell'Europa, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e dove questo non fosse possibile, attraverso l'elemosina.

Dall'esperienza spirituale di Francesco e dei suoi compagni possiamo ricavare le caratteristiche della spiritualità della Famiglia francescana dagli inizi (1209) sino ad oggi, che certamente non è stata una pura e semplice ripetizione del vissuto cristiano del santo di Assisi.

La spiritualità nel tempoNel corso di otto secoli la spiritualità si è confermata

cristocentrica, specialmente nell'insegnamento di sant'Antonio di Padova, di santa Chiara, di san Bonaventura, del beato Giovanni Duns Scoto e della sua scuola, della beata Angela da Foligno, di san Bernardino da Siena.

Ha visto nascere o rilanciare pratiche devozionali particolari quali il culto alla Trinità e la devozione al Santissimo Nome di Gesù (con san Bonaventura prima, e san Bernardino da Siena poi), la devozione al Sacro Cuore di Gesù, la profonda devozione verso Maria, specialmente

per l'Immacolata Concezione (con Duns Scoto) e la devozione a san Giuseppe.

La Famiglia francescana, al seguito del suo Fondatore, ha rivissuto anche un continuo rigenerarsi intorno al modo di vivere la vita di virtù che caratterizzò la sua esperienza cristiana: in particolare la povertà, per essere fedele alla quale andò incontro anche a scissioni e incorse nel pericolo di uscire dall'ortodossia; la carità e la letizia; una forma di presenza nella Chiesa e nella società improntata alla contemplazione e all'azione apostolica, animata da pietà non aliena dalla scienza, con la carità quale sua anima più profonda.

Dal 1517, con la separazione ufficiale dell'Ordine in due famiglie autonome (Frati Minori e Frati Minori Conventuali) e con la successiva nascita dei Frati Minori Cappuccini e di altre famiglie francescane, la variegata Famiglia minoritica ha concretizzato esperienza spirituali diverse, pur se tutte fiorite sull'unico tronco della comune radice.

Una ricchezza continuaPer farci un'idea di quanto gli autori francescani

considerano elementi caratteristici della spiritualità francescana attuale, citiamo:

* Martino Conti, che indica quale elemento primo della spiritualità francescana la “vocazione apostolica”, attraverso la quale “la fraternità francescana si qualifica come un insieme di fratelli adulti consacrati al servizio di Dio e al servizio dell'uomo nella Chiesa e per la Chiesa”; la “componente contemplativa”; la fraternità universale, la povertà e l'umiltà, che si manifestano nella minorità e nel servizio; la semplicità e la letizia.

* Feliciano Olgiati, il quale presenta la spiritualità francescana come “vita evangelica per l'evangelizzazione nel segno della minorità, della fraternità e dell'annuncio”; “vita del Vangelo” nel segno della povertà e umiltà di Cristo; “vocazione alla fraternità evangelica” fondata nella carità, permeata dalla misericordia, retta sull'obbedienza per una convivenza di comunione e vocazione all'annuncio del Vangelo, in particolare del v o l t o d i Dio come Padre, con la parola e con la vita, a tutte le creature.

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La vita del cristiano è ricca di realizzazioni e di manifestazioni. Lo Spirito Santo, con la ricchezza dei suoi doni, suscita l'assimilazione vitale dei

contenuti della fede in una moltitudine di credenti. Il vissuto cristiano perciò è tanto vario, quanto vari sono i doni e i carismi dello Spirito Santo.

H.U. von Balthasar affermava: “Le varie spiritualità cristiane non sono altro che applicazioni particolari della spiritualità del Vangelo”. I Vangeli, come gli scritti paolini e le altre fonti del Nuovo Testamento, contengono l'annuncio del medesimo Gesù il Cristo, che con il suo Spirito propizia un'esperienza di vita fondamentalmente unica, ma solo diversa nelle p r o s p e t t i v e e n e l l e a c c e n t u a z i o n i . O g n i soggetto può essere ispirato da un aspetto particolare della vita divina e umana di G e s ù C r i s t o . O g n i spiritualità cristiana ha una propria specificità, che la distingue da un'altra, sia a livello individuale che comunitario.

L a s p i r i t u a l i t à francescana

Giovanni Iammarone afferma che “la spiritualità francescana è l'esperienza c r i s t i a n a v i s s u t a e testimoniata dai francescani nel loro relativo contesto storico, culturale, ecclesiale ispirata all'esperienza cristiana, evangelica di san Francesco di Assisi (1182-1226) e illuminata dai valori vissuti ed elaborati intellettualmente dalla grande tradizione storica e spirituale dell'Ordine francescano”. Dunque la spiritualità francescana è strutturata attraverso:

▫ il vissuto cristiano, evangelico (la “forma di vita”) del Fondatore della Famiglia francescana, San Francesco d'Assisi: esso è il momento fondante e il riferimento della vita dei francescani di ieri e di oggi;

▫ l'Ordine dei Frati Minori (con tutte le riforme) e tutta la sua tradizione di vita e di pensiero: in esso il vissuto cristiano di Francesco è stato conservato e attualizzato, in dialogo con i vari contesti ecclesiali, culturali e sociali;

▫ tutta la Famiglia francescana (religiosa e laica) che vive e testimonia nel presente storico e culturale l'ispirazione di vita francescana.

La spiritualità francescana perciò, ha per oggetto un vissuto spirituale che affonda le sue radici nell'esperienza cristiana di Francesco, si arricchisce del flusso spirituale

di otto secoli di vita della Famiglia francescana e riassimila creativamente l'esperienza spirituale del santo di Assisi e della Famiglia minoritica all'interno del proprio contesto ecclesiale, sociale e storico, che la sollecita con le proprie istanze spirituali e culturali. La spiritualità francescana è e deve essere una realtà radicata in una storia mai conclusa, aperta al presente e al futuro. Per individuare gli elementi fondamentali della spiritualità francescana bisogna guardare all'esperienza di Francesco d'Assisi ed individuarne il nucleo che la caratterizza.

L'esperienza del Santo di Assisi:

a ) L ' e v a n g e l i c i t à . Francesco visse il Vangelo, e visse del Vangelo. In esso conobbe Dio nella sua esclusiva trascendenza e bontà , incontrò Cr is to povero e crocifisso, la p o v e r t à , l ' u m i l t à , l a semplicità. Egli non fu altro che l'uomo del Vangelo, d e l l a r i c e r c a d i e s s o , dell'operazione di esso.

b) L'esperienza di Dio, altissimo e sommo bene; di Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, Dio Trinità.

c ) L ' e spe r i enza de l Cristo, Figlio amato dal Padre, che è via la per l'uomo

in tutti i misteri della sua vita, dalla culla alla croce, alla risurrezione e alla venuta nella gloria come giudice: tappe diverse della sua consacrazione totale al Padre e agli uomini. Tale esperienza viene fatta anche nei Sacramenti, nella Parola e nell'Eucaristia.

d) L'esperienza di Cristo, “sufficienza” del Santo e quindi la vita di Francesco come vita di sequela.

e) La povertà nella sequela di Cristo modello e maestro, il “ricco” che si è fatto povero: e Francesco fu il Poverello seguace del Signore che dette tutto se stesso al Padre per la salvezza dell'uomo.

f) L'umiltà, sorella della povertà, entrambe radici della minorità. E, l'obbedienza: per Cristo essere Figlio significa essere obbediente e per questo povero e umile, e viceversa.

g) La pazienza, la pura e santa semplicità.h) La fede, speranza e carità, quali orientamenti della

sua intensa vita in Dio, la cui sostanza è l'orazione: Francesco, “uomo fatto preghiera”.

i) Maria: ha un posto privilegiato nella devozione di

di Padre Francesco Piccolo La Spiritualità

Francescana

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“Per tre volte le chiesi come si chiamasse. Ella sorrideva sempre ma non mi rispondeva. Alla

quarta domanda, congiunse le mani alzandole fino all'altezza del petto. Rivolse gli occhi al cielo, poi separando lentamente le mani e inchinandosi verso di me, disse che era l'Immacolata Concezione. Queste furono le ultime parole che mi disse. Allora io tornai per la terza volta dal signor parroco a raccontargli che la Signora era l'Immacolata Concezione” (Appar iz ione del 25 marzo 1858 a Bernadette).

Per molti secoli, i Padri della Chiesa avevano discusso sull'argomento se la Madre di Gesù fosse stata concepita senza la macchia del peccato o r i g i n a l e . L a d i f f i c o l t à a d ammettere un simile privilegio, consisteva nel fatto che soltanto la grazia di Cristo poteva cancellare le tracce del peccato originale. La ques t ione su l l a v i a de l lo scioglimento, era stata avviata nel IV sec. d.C. dal Beato Giovanni Duns Scoto chiamato il “Dottore sottile”, e proseguita poi nell'VIII secolo da uno dei più ferventi “immacolatisti”, il grande predicatore francescano S a n L e o n a r d o D a P o r t o Maurizio. Ma soltanto l ' 8 dicembre 1854, nella Basilica di San Pietro, con la sua autorità petrina, il Papa Pio IX, proclamò s o l e n n e m e n t e i l d o g m a dell'Immacolata Concezione.

La formula recitava così: “La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un privilegio singolare di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale”. Questo dogma afferma che a differenza di tutti gli uomini, Maria è stata concepita senza peccato originale, e ha conservato la purezza della sua anima lungo il corso di tutta la sua vita. Quattro anni più tardi, la Signora della Grotta a Lourdes, ha confermato quel Dogma dicendo: “Io sono l'Immacolata Concezione”.

La storia di Lourdes inizia l'11 febbraio del 1858 con la prima apparizione della Vergine Maria a Bernadette Soubirous, una povera ragazza semianalfabeta di soli quattordici anni, la prima di quattro figli di una famiglia molto povera. Quel giorno poiché in casa non c'era più la legna, Bernadette, con sua sorella Antonietta e un'amica, decisero di andare a raccoglierla lungo il fiume Gave, vicino alla grotta di

Massabielle. Giunte in prossimità del luogo, si trovarono di fronte ad un canale che

bisognava a t t raversare per poter raggiungere la grotta, dove la corrente

aveva depositato la legna. Mentre la sorella e l'amica entrarono subito nell'acqua gelida, Bernadette, sofferente d'asma, esitò. Le due fanciulle si allontanarono, e pertanto r imase sola: “Era m e z z o g i o r n o - r a c c o n t a Bernadette – mi trovavo davanti alla grotta, e improvvisamente sentii un soffio di vento forte. Voltai il capo verso la prateria, ma vidi le piante con i rami immobili. Guardai verso la grotta, in una luce sempre più chiara scorsi una Giovinetta vestita di bianco. Mi spaventai e credendo di sognare mi toccai gli occhi. La Giovane era sempre là. Tirai fuori di tasca il Rosario, ma non riuscivo a fare il segno di

Croce. Imitai il suo gesto e questa volta ci riuscii. La grande paura che

mi av ev a co l t a i n p r i n c ip io scomparve, mi buttai in ginocchio e

recitai il Rosario, terminato la visione scomparve”.Il 14 febbraio, Bernadette ebbe la

seconda apparizione, e sentì una forza interiore che la spingeva a tornare alla Grotta, nonostante il

divieto dei genitori. Alla sua insistenza, la mamma glielo permise, così dopo la prima decina del Rosario, riapparve la stessa Signora, e le gettò dell'acqua benedetta. La Signora sorrise e inchinò la testa. Il 18 febbraio, ci fu la terza apparizione. Per la prima volta la Signora parlò. Bernadette le presentò una penna ed un foglio, e le chiese di scrivere il suo nome. Lei rispose: “Non è necessario. - e aggiunse - Volete avere

di Eva Fontana

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la gentilezza di venire per quindici giorni?” Bernadette rispose di si. La Signora le disse: “Non Ti prometto di essere felice in questo mondo, ma nell'altro”. Il 19, 20, 21 e 23 febbraio, ci furono altre apparizioni. Il 24 febbraio, l'ottava apparizione. La Signora lasciò un chiaro messaggio: “Penitenza! Penitenza! Penitenza! Pregate Dio per i peccatori! Bacerete la terra in espiazione per i peccatori!”.

Il 25 febbraio, la nona apparizione. A questa apparizione, erano presenti 300 persone. Bernadette affermò: “La Signora mi disse di andare a bere alla fonte, ma trovai solo acqua fangosa. Alla quarta volta potei bere, e mi chiese anche di mangiare l'erba che si trovava vicino alla fontana. Quindi la visione scomparve ed io me ne andai”. Nel vedere questo la folla iniziò a dire che era pazza, ed ella rispose: “E' per i peccatori”.

Il 27 e 28 febbraio, la decima e undicesima apparizione. Il 1 marzo la dodicesima apparizione. Erano presenti più di 1500 persone, e per la prima volta vi era un sacerdote. Durante la notte una signora di nome Caterina Latapia, si recò alla Grotta, e immerse il suo braccio slogato nell'acqua della fonte. Improvvisamente il suo braccio e la sua mano ritrovarono la loro mobilità.

Il 2 marzo, la tredicesima apparizione. Vi era una folla immensa non quantificabile. La Signora disse a Bernadette: “Devi dire ai sacerdoti che vengano qui in processione, e costruiscano una cappella”. Bernadette ne parlò al sacerdote Peyramale, parroco di Lourdes, il quale disse di chiedere alla Signora come si chiamasse, e di far fiorire il roseto della Grotta in pieno inverno.

Il 3 e 4 marzo, altre apparizioni. Il 25 marzo la s e d i c e s i m a a p p a r i z i o n e . E r a l a F e s t a dell'Annunciazione. La Signora rivelò il suo nome a Bernadette dicendo: “Io sono l 'Immacolata Concezione”. Il 7 aprile, la diciassettesima apparizione. Il 16 luglio, la diciottesima ed ultima apparizione. Era la Festa di Nostra Signora del Carmelo. Bernadette sentì chiamarsi dalla Grotta, ma essa era stata chiusa da un inferriata, pertanto si recò dall'altro lato del Gave: “Mi sembrava di essere dinanzi alla Grotta, - racconta Bernadette - alla stessa distanza delle altre volte, io vedevo soltanto la Vergine. Non l'ho mai vista così bella!”.

Quando le apparizioni cessarono, Bernadette pensò di consacrare totalmente la sua vita al Signore, pertanto nel 1863, chiese di essere accolta presso le suore di Nevers, dove vi entrò nel febbraio 1865. Il 29 luglio dopo 3 settimane dal suo arrivo, vestì l'abito delle consacrate con il nome di suor Maria Bernarda. Nel settembre 1866, a causa di un'asma che l'affliggeva già da tanti anni, il suo stato di salute si aggravò, ma non fu mortale. Dal 1875 al 1878 la malattia andò progredendo sempre di più, per questo motivo pronunciò i voti perpetui. L'11 dicembre 1878 si mise definitivamente a letto, e il 16 aprile 1879 volò al Cielo. Dal 1926 il corpo di Bernadette riposa intatto

in un urna presso le suore di Nevers. Nel 1933 a Roma, Papa Pio XI la proclama Santa. Nel 1983 Giovanni Paolo II è il primo Papa che visita questo luogo. Vi si recherà anche nel 2004, per festeggiare il 150° anniversario della proclamazione del dogma. Nel 2008 per i 150 anni dalle apparizioni, Papa Benedetto XIV si è recato in pellegrinaggio a Lourdes.

La Grotta è diventata in questi anni un luogo in cui Dio ci dà un segno per svelarci il suo cuore. È un posto dove Dio ci dona lo stesso messaggio del Vangelo. Dio viene a dirci che ci ama così come siamo, con tutti i nostri successi, ma anche con tutte le nostre ferite, le nostre fragilità i nostri limiti. Dalla mia esperienza posso dirvi: almeno una volta nella vita andate in pellegrinaggio a Lourdes, farete l'esperienza della Chiesa, di un popolo in cammino verso Dio, attraverso le varie celebrazioni. Vi ritroverete con tanti fratelli e sorelle, provenienti da varie parti del mondo, ma uniti da un unica voce, quella di Maria che li chiama. A L o u r d e s f a r e t e e s p e r i e n z a d e l l a c a r i t à , dell'accoglienza incondizionata di un Dio che, donandoci la sua vita, ci apre ad una via di conversione, di rinnovamento e di perdono.

La Via Crucis, il Sacramento della Riconciliazione, la stessa Eucaristia, celebrata e adorata, ma anche la testimonianza di tanti volontari che mettono a disposizione il proprio tempo a favore di fratelli diversamente abili, vi parlerà dell'Amore. Lourdes vi condurrà a fare l'esperienza della preghiera, del dialogo personale con il Signore, nei momenti di silenzio alla Grotta, in un “a tu per tu” con Maria, la Madre, che ancora una volta ci dice: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv. 2,5).

La Grotta diventerà veramente la vostra casa. L o u r d e s v i f a r à ripercorrere l'esperienza di Bernadette, “una di noi” chiamata a d iventare strumento nelle mani di Dio. Questa esperienza vi farà tornare a casa pieni di serenità e di pace.

Ogni giorno quella Grotta dalla quale sgorga l’amore di M a r i a d i v e n t a : p e r i l cristiano esperienza di fede, e per il malato speranza di guarigione.

Io sono l�Immacolata Concezione

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“Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all'epoca del re Erode. Dei magi d'Oriente arrivarono a

Gerusalemme, dicendo: «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo». […] la stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov'era il bambino, vi si fermò sopra. Quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra” (Mt 2,1-11). Con queste parole l'evangelista Matteo descrive l'avvenimento della venuta dei Magi, cioè l'Epifania del Signore.

Il termine “epifania” deriva dal greco “mi rendo manifesto”. Ogni anno il 6 gennaio, milioni di persone nel mondo celebrano la prima manifestazione di Gesù Bambino all'umanità. Da secoli il Natale, viene simboleggiato nelle famiglie, attraverso l'allestimento del presepe, ed è bello vedere come i più piccoli si divertono a inserire i vari personaggi, per poi

introdurre Gesù Bambino alla mezzanotte del 25 Dicembre.Il presepe secondo la tradizione, ha origine dal desiderio di San Francesco di far rivivere l'atmosfera della nascita di Gesù. Nel 1223 nel paese di Greccio, con l'aiuto di un signore locale, San Francesco realizzò il primo presepe vivente della storia. Tale avvenimento, è riprodotto anche nell'affresco eseguito da Giotto, alla fine del XIII secolo, nella Basilica superiore di Assisi. Nell'affresco si può vedere proprio il Santo, che si accinge ad adagiare il bambino in una culla.

Ancora oggi, l'avvenimento del Natale ruota intorno al tema centrale della Sacra Famiglia. Il piccolo bambino Gesù nacque nella capanna, Maria sua Madre, “lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia” (Lc 2,7), e il suo papà Giuseppe lo ammirava con stupore, mente tanti umili personaggi come i pastori, furono avvisati da un angelo del Signore: “ecco vi annunzio una grande gioia, […] oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11).

Tra i vari personaggi protagonisti della storia evangelica ci sono anche tre figure che, inizialmente, sono posizionati lontani

dalla capanna e, man mano che i giorni trascorrono, si avvicinano a piccoli passi, presso il luogo dove è nato il Salvatore: questi sono i Magi. Ma chi sono i Magi? I loro nomi sono: Melchiorrre, il cui nome deriva da Melech, che significa re. Baldassarre, il cui nome deriva da Balthazar, mitico re babilonese, quasi a suggerire la sua regione di provenienza. Gasparre, il cui nome deriva da Galgalath, significa signore di Saba. Essi sono dei sacerdoti, dei saggi, degli studiosi, dei re; la definizione è dubbia, ma sicuramente, come dice Matteo, giunsero dall'Oriente. A riguardo dei Magi il santo Padre Benedetto XVI afferma: “Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell'uomo.

In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell'amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l'esperienza stessa dei Magi” (Omelia, 6 gennaio 2010).

Sono sicuramente i primi pellegrini della storia, coloro che fanno un lungo viaggio seguendo la luce della stella, “la luce esteriore che si spostava nel firmamento. Ma ancora di più li conduceva la fede, luce interiore” (Beato Papa Giovanni Paolo II, Omelia 6 gennaio 1979). Secondo la tradizione cristiana, i magi sono ritenuti la primitia gentium, poiché sono i primi pagani che riconoscono nel corpicino piccolo di quel bambino, il Dio fatto uomo. La tradizione indica che essi sono tre, come tre sono i doni che portano. Numericamente per la prima volta, vengono menzionati dall'apologista Origene, e poi anche da Papa Leone Magno in una sua omelia: “Tutti i popoli, rappresentati dai tre Magi, adorino il Creatore dell'Universo, e Dio sia conosciuto in tutta la Terra”. Marco Polo nel Milione, al capitolo XXII, descrive il viaggio dei Magi: “In Persia è la città che è chiamata Sabba, dalla quale si partirono i tre che andarono ad adorare Cristo, quando nacque”.

Nella storia dell'arte, l'iconografia dei tre magi con i doni che si prostrano davanti al Salvatore è chiamata “Adorazione dei Magi”. Essi sono spesso accompagnati da cammelli o cavalli, con vesti e copricapi orientali, come ad esempio nel sarcofago di Adelfia a Siracusa della metà del IV secolo, dove i tre personaggi procedendo da destra, portano in mano i loro doni: il primo una corona, gli altri due portano entrambi una pisside (oggetto che contiene le ostie consacrate) ma che invece contengono l'incenso e la mirra. Sono abbigliati con il berretto frigio, tunica e clamide; mentre sulla destra del sarcofago, siede in trono la Vergine Maria che regge Gesù, che tende le braccia per ricevere i doni.

A riguardo dei doni portati dai magi, nella stessa omelia sopramenzionata di Papa Benedetto XVI, egli afferma: “I hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall'incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo:

sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità”.

Anche S. Pietro Crisologo, vescovo e dottore della Chiesa, nel V secolo precisa il valore simbolico dei tre doni: “I Magi con l'incenso riconoscono Dio, con l'oro lo accettano quale re, con la mirra esprimono la fede in colui che sarebbe dovuto morire”. Quindi, poiché l'oro è il dono riservato ai Re, Gesù è riconosciuto come il Re dei Re, il cui regno non avrà

mai f ine; l ' incenso offerto alle divinità è testimonianza di adorazione alla sua divinità, perché Gesù è Dio; la mirra utilizzata nel culto dei morti, per ricordare la doppia natura di Gesù, che è uomo e come uomo, mortale.

A riguardo il Beato Giovanni Paolo II afferma nella sopra menzionata omelia: “Per questo pellegrinaggio a Betlemme, i Re Magi dall'Oriente sono diventati l'inizio e il simbolo di tutti coloro che mediante la fede raggiungono Gesù. […] Proprio questi uomini, i Re Magi, tre, come vuole la tradizione, dall'Oriente sono divenuti l'inizio e la prefigurazione di quanti, da oltre le frontiere del Popolo eletto della vecchia alleanza, hanno raggiunto e sempre raggiungono il Cristo mediante la fede”.

Pertanto come i magi, anche noi abbiamo bisogno di una stella che illumini il nostro cammino, essa è rappresentata dalla fede, cioè la luce di Dio che è presente nel nostro cammino. Sta a noi vederla e capire che è luce di amore che ci porterà da “Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo” (Papa Benedetto XVI).

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di Maria Flavia Lo Regio

Come i Magiincamminiamoci verso la Grotta

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“Ero nudo e mi avete vestito, […] ogni volta che avete fatto questo a uno di questi miei

fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25, 35-36).

“Vestire gli ignudi” è la terza opera di misericordia corporale raccomandataci da Gesù. Di persone prive della possibilità di vestirsi, ne è pieno il mondo e per questo motivo, quando la nudità si accompagna al freddo, la situazione diventa ancor più difficoltosa. Compito del buon cristiano è sicuramente quello di garantire un adeguato vestiario a chi ne risulta sprovvisto. Ogni fratello merita di poter disporre almeno l'indispensabile per affrontare la vita quotidiana. L'uomo nudo è l'immagine del più povero tra i poveri, è un uomo che soffre, è un grido

di dolore che si leva nei confronti di chi dalla vita ha avuto tutto. Non possiamo restare insensibili di fronte all'estrema necessità dei nostri fratelli, a nulla serve leggere il Vangelo se poi non si mette in pratica la Parola di Dio. Spesso rimaniamo chiusi in noi stessi, nel nostro egoismo, omettendo di offrire un sostegno efficace a chi ne ha più bisogno.

In ognuno di questi uomini sofferenti, si incontra Cristo, ognuno di essi è presenza privilegiata di Lui, e chiunque si inchina con amorevole solidarietà al dolore del fratello in difficoltà, si mette al Suo servizio attuando i Suoi insegnamenti. Egli è il

bisognoso che incontriamo lungo la nostra strada, e attende il nostro soccorso.

Diversi uomini diventati poi Santi, quali San Francesco D'Assisi e San Martino hanno dato piena attuazione a quest'opera di misericordia, non esitando a spogliarsi delle proprie vesti per vestire il fratello. La storia di San Martino infatti narra che: “...Un giorno, era autunno inoltrato, Martino cavalcava pensando a quanto tempo era passato da quando aveva lasciato il suo regno. Era novembre. Le giornate si facevano sempre più fredde, e una fitta nebbia avvolgeva tutte le cose. Si strinse nel suo mantello rosso. L'umidità dell'aria si sentiva fin nelle ossa. Ad un certo punto il cavallo si fermò, come se avesse sentito qualcosa. Allora Martino scese dalla

sella e vide seduto sul ciglio d e l l a s t r a d a , u n p o v e r o mendicante. Il freddo era insopportabile. Martino guardò se aveva qualcosa da dargli, ma non trovò nulla. Allora, senza nemmeno pensarci un attimo, si tolse il mantello, e impugnata la sua spada lo divise in due parti. U n a m e t à l a d i e d e a l mendicante, e l'altra la tenne per lui. Quindi, rimontò in sella e si allontanò nella nebbia, sotto lo s g u a r d o r i c o n o s c e n t e d e l l ' u o m o . S u b i t o d o p o avvenne una cosa davvero incredibile: la nebbia sparì di colpo per lasciar filtrare i raggi del sole, ed erano raggi caldi come in estate, capaci di

scaldare tutto il paese”.Una testimonianza più recente in merito alla

“carità” e alle “opere di misericordia” è quella di Papa Giovanni Paolo II, il quale in più occasioni si è espresso a riguardo. Nel messaggio rivolto ai giovani il 26 Novembre 1995 in occasione della XI Giornata Mondiale della Gioventù affermava: “Ricordandoci l'ammonimento del Maestro: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e

siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36), dobbiamo mettere in pratica il «comandamento nuovo» (Gv 13, 34).Ci opporremo così a quella che sembra oggi la «disfatta della civiltà», per riaffermare con vigore la «civiltà dell' amore» che - unica - può spalancare agli uomini del nostro tempo orizzonti di autentica pace e di duratura giustizia nella legalità e nella solidarietà. La carità è la strada maestra che ci deve guidare anche al traguardo del Grande Giubileo. Per giungere a quell'appuntamento, bisogna sapersi mettere in discussione, affrontando un rigoroso esame di coscienza, premessa indispensabile di una conversione radicale, in grado di trasformare la vita e di darle un senso autentico, che renda i credenti capaci di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e il prossimo come se stessi”. (cfr Lc 10, 27).

Nell'Enciclica “Dives in Misericordia” del 30 Novembre 1980, il Santo Padre individua i d e s t i n a t a r i d e l l ' A m o r e misericordioso di Dio: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore»

(Lc 4, 18 s.). Queste frasi, secondo Luca, sono la sua prima dichiarazione messianica. […] Mediante quei fatti e quelle parole Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. È quanto mai significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri, privi dei mezzi di sussistenza, coloro che sono privi della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza del creato, coloro che vivono nell'afflizione del cuore, oppure soffrono a causa dell'ingiustizia sociale, ed infine i peccatori. Soprattutto nei riguardi di questi ultimi il Messia diviene un segno particolarmente leggibile di Dio che è amore, […] Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità”.

Anche Fra Umile da sempre si è prodigato al fine di garantire a chiunque ne facesse richiesta il massimo sostegno materiale e spirituale. Tutti coloro che quotidianamente bussavano alla porta del suo convento per chiedere un abito, un pasto caldo o anche una parola di conforto, venivano da lui accolti ed aiutati. Il suo esempio

di carità ed amore deve essere per noi di esempio. Bisogna essere compassionevoli e solidali con l'uomo spogliato e povero, che incontriamo sulle strade di questo mondo, a prescindere dal colore della pelle e dalla fede religiosa. Nudo infatti non è solo colui che è privo di un vestito ma anche e soprattutto chi viene ingiustamente privato di tutti i suoi beni e della sua dignità.

È necessario in questo momento di particolare crisi economica e sociale, che anche le persone che occupano posti di potere e di responsabilità guardino a quelli che si trovano in estrema necessità, per migliorare le loro condizioni di vita.

1716

di Pasquale Casoria

Ero nudo e mi avete vestito

Page 10: Fra Umile Fidanza anno 2012   n.3

Villa Literno (CE) Tel. 081.8928048

Nel 1990, mio padre si ammalò di tifo, e proprio in questo periodo, conobbe Fra Umile. Un giorno recandosi da lui, appena lo vide gli disse:

“La grazia che hai chiesta alla Madonna di Pompei, l'hai ricevuta, ma è più di un anno e mezzo che non ti confessi cosa stai aspettando?” Mio padre rispose: “Tra non molto ci andrò”, ma Fra Umile rispose: “E se fosse successo? Non dovevi aspettare”.

Quando iniziai a frequentare Fra Umile, mi diceva cha davanti ad ogni difficoltà, bisognava sempre a fare la volontà di Dio, ma solo che non riuscivo a capire, in quanto io mi rivolgevo a lui, affinchè risolvessi i miei problemi. Col passare del tempo, compresi che bisognava anche soffrire, per meritarsi le grazie. Quando gli chiedevamo qualcosa lui rispondeva: “Io non sono nessuno, è Dio che opera, io prego”. A volte, capitava che quando ci recavamo da lui, non passavamo prima per la Chiesa, al che ci rimproverava e diceva: “Andatevi a confessare, fate la Comunione e non dimenticate di fare le opere buone, di pregare e di vivere in pace con tutti” Dopo la sua morte, ogni tre del mese ci siamo sempre recati sulla sua tomba e abbiamo partecipato sempre alla Messa, portando tanti pellegrini, molti di loro prima di allora, non credevano, mentre poi si sono convertiti.

Durante il mese di maggio del 1993, pensai di radunare le famiglie del mio vicinato per recitare il rosario alla Madonna, questa preghiera si prolungò anche dopo questo mese. Nel mese di settembre, un ragazzo di nome Gennaro, figlio di una nostra amica che pregava con noi, Rita, si ammalò di tumore. Per questo iniziammo ad intensificare la preghiera e a chiedere la grazia a Fra Umile, che non tardò ad arrivare. Questa guarigione rafforzò tutti noi nella preghiera.

Da allora abbiamo iniziato a pregare nella nostra parrocchia, la Madonna del Buon Consiglio di Bacoli, e abbiamo chiesto al nostro parroco Padre Antonio, di poter recitare il Rosario come gruppo alla presenza di Gesù Sacramentato. La preghiera si è sempre di più intensificata, anche fattivamente attraverso le visite agli ammalati e alle famiglie.

Scotto Rosato Orsola

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Il 29 Giugno del 2012, mi trovavo a casa di alcuni amici in compagnia della mia bambina di appena due anni, di nome Raffaela. Mentre scambiavo due chiacchiere con le mie amiche, la mia piccolina giocava con le sue amichette, ma un certo punto udimmo delle forti grida, proveniente dal giardino, e subito ci

precipitammo f u o r i , e m i accorsi che la mia bambina, teneva il ditino della sua mano, c h i u s o all'interno della sedia sdraio, distinto aprii la sedia, e vidi il ditino diviso in due parti. Non m i p e r s i d i c o r a g g i o , e a l ler tando le a m i c h e , a r r o t o l a i i l d i t i n o i n u n asciugamano, e t e n e n d o l o stretto per paura d i p e r d e r l o , corremmo in ospedale.

G i u n t i p r e s s o l'ospedale più v i c i n o , u n a dottoressa visitandola, si accorse subito della gravità della situazione, e ci disse di trasferire d'urgenza la bambina presso l'ospedale Pellegrini di Napoli, in quanto vi erano dei colleghi, esperti di chirurgia per la mano, ma dandoci pochi spiragli sulla non perdita dell'arto. A queste parole, caddi in un grande sconforto, e durante il tragitto, contattai mia mamma e mia sorella avvertendole di quanto era accaduto. Così loro da una parte, e io dall'altra mentre ci recavamo in ospedale, iniziammo a recitare il rosario e a chiedere aiuto a Fra Umile, affinchè la piccola non avesse perso il dito. Giunti in ospedale, il chirurgo dopo averla visitata, e aver valutato la gravità dell'accaduto, ci rassicurò dicendoci che la bambina era stata miracolata, perché per poco gli avrebbero dovuto amputare il ditino.

Oggi ringrazio Fra Umile, perché sono sicura che è stato lui a proteggere la mia piccolina, la quale non solo si è completamente ristabilita, ma anche l'unghia del dito gli è cresciuta, anche se in un primo momento il medico aveva detto che non si sarebbe più formata, invece così non è stato.

Barbara Martino

Casal di Principe - Vlla di Briano - S. Cipriano D�Aversa

Ristorante e Sale per RicevimentiSan Marcellino (CE)

Si ringraziano gli amici

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Casal di Principe (CE) Tel. 081.8164494

Chioccarelli BusCaivano (NA) Tel. 081.19971883

Abbigliamento & accessoriUomo e DonnaVilla di Briano (CE) Tel. 081 504 2236