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Fisica Sperimentale 2 Prof. Gabriele Spina 1 24 settembre 2010 1 Dip. Fisica Università di Firenze Via Sansone 1 50019 Sesto Fiorentino - Email: gabriele.spina@unifi.it

Fisica Sperimentale 2 - digilander.libero.it · Fisica Sperimentale 2 Prof. Gabriele Spina1 24 settembre 2010 1Dip.Fisica Università di Firenze Via Sansone 1 50019 Sesto Fiorentino

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Fisica Sperimentale 2

Prof. Gabriele Spina1

24 settembre 2010

1Dip. Fisica Università di Firenze Via Sansone 1 50019 Sesto Fiorentino - Email: [email protected]

1

Commento

La difficoltà del corso di Fisica I sta più nella novità del metodo che nella vastità dei contenuti. Esatta-

mente opposta è la situazione nel caso del secondo corso di Fisica.

È quindi necessario puntualizzare una "chiave di lettura" che aiuti nell’affronto dei singoli

argomenti e che ne permetta la concatenazione logica. In quanto segue farò riferimento ad alcuni

argomenti del corso, per cui questo commento, per essere utile, dovrà essere riletto di tanto in tanto.

Anche se vasto, anzi proprio per questo, il corso permette di cogliere tutta l’evoluzione del modo con

cui, in un arco di circa un secolo e mezzo, l’uomo ha guardato alla natura. Basti per questo considerare

l’evoluzione del concetto di “campo”, attorno al quale, a ben vedere, tutti gli argomenti presentati ruotano.

Non vorrei banalizzare troppo la cosa, ma ricordo come esso venne introdotto in Fisica allorchè ci

si accorse che certi fenomeni avrebbero potuto implicare l’esistenza nella natura di una qualche forma

di "intelligenza" e quindi l’impossibilità di una descrizione dei fenomeni naturali attraverso quel metodo

scientifico che si era venuto affermando. Tale concetto di Campo introdotto, e puntualizzo giustamente

introdotto, per motivi "esorcistici" si è evoluto in un modo a priori impensabile e che non può mancare

di stupire.

All’inizio esso è una mera "appendice" degli oggetti materiali ( legge di Coulomb, legge di Ampere )

ma, ad un certo punto, si mostra capace di una "vita propria" ( Equazioni di Maxwell ). Inoltre esso

viene via via assumendo le caratteristiche che prima si pensavano proprie delle sole particelle materiali :

la necessità di esprimere in forma locale le leggi di conservazione porta a tale conseguenza.

Come la storia andrà a finire è argomento di altri eventuali corsi, ma credo che la strada sia già ben

delineata.

Questa vicenda è materialmente costituita, come del resto anche tutta la nostra stessa vita, di tanti

fatti piccoli e grandi, belli e brutti che si concatenano tra loro e che sono l’uno premessa dell’altro. In

tutto questo traspare la tenacia, l’intelligenza, la passione e l’amore che l’uomo pone nello studio di ciò

che lo circonda. Cos’altro sta, ad esempio, dietro tutto il lavoro di Ampere?

È pure evidente che gli esiti di tale fatica sono ben più grandi dell’impegno profuso, per cui essi sono

da guardare con rispettosa meraviglia (vedi ad esempio tutto ciò che deriva dal semplice termine aggiunto

da Maxwell in una equazione).

Credo opportuno sottolineare tale ultimo concetto attraverso le parole pronunciate da Richard Feyn-

man, premio Nobel per la Fisica, come introduzione ad una sua lezione: "Questa è la terza di quattro

lezioni su di un argomento abbastanza difficile, la teoria dell’elettrodinamica quantistica. Essendo presen-

te più gente delle volte precedenti è chiaro che alcuni non hanno sentito le altre lezioni, per cui troveranno

questa quasi incomprensibile. Anche chi le ha sentite la troverà incomprensibile, ma sa già che la cosa è

perfettamente normale; come ho spiegato nella prima lezione il modo di cui disponiamo per descrivere la

natura ci risulta, in generale, incomprensibile".

2

Queste frasi sembrano quantomeno bizzarre: “incomprensibile” vuol ultimamente dire “non in mano

mia”. Esse colgono, a mio avviso, lo studio della natura come strumento di “rapporto” con "Qualche

Cosa” oltre me. È proprio questo che rende così affascinante lo studio della natura.

Le misure di Ampere sono poi un esempio della materialità di questo rapporto.

In primo luogo l’osservazione dei fenomeni. Una osservazione talmente curata in tutti i particolari, da

rendere evidente che l’osservare è ben più di un “banale” guardarsi attorno. Esso implica una posizione

“di domanda” dell’uomo di fronte alla realtà.

In secondo luogo, come diceva pure Galileo, non esiste esperienza a prescindere da un giudizio: senza

una capacità di valutazione non esiste esperienza. I dati osservati vanno valutati. Ciò viene fatto appli-

cando ad essi, come ipotesi positiva di interpretazione, quei criteri che in passato siano risultati adeguati.

Questo non significa che i criteri restino immutati, al contrario ne permette l’evoluzione senza perdere

quanto di adeguato vi fosse in essi.

Da questi passaggi ha origine la scoperta.

Quanto sopra è talmente vero che in passaggi fondamentali quali quelli relativi all’induzione elettro-

magnetica od al termine aggiuntivo di Maxwell la novità emerge quasi “in sordina” e lo studente non

attento può correre il rischio di non vederla.

Alcuni ulteriori esempi

• trovo una espressione per la densità di energia elettrostatica ove compare il potenziale elettrico. Per

quale motivo dico che non è adatta, e proseguo nei calcoli per ricercarne un’altra in cui compaia

solo il campo elettrico? Alla fine trovo una espressione del tipo cercato; per quale motivo la accetto

anche se sembra condurre a conseguenze “assurde”?

• l’esperienza mi dice solo la direzione della forza che agisce su di un tratto di filo percorso da

corrente elettrica. Per quale motivo affermo anche che essa è proporzionale al valore della corrente,

alla lunghezza del filo ed al valore del campo magnetico?

Per terminare una nota.

La fisica non è matematica, la sua logica interna non è quella di un teorema, ma è un tentativo di

descrizione organica di ciò che vediamo accadere. Al posto d’onore vi è, quindi, il dato sperimentale.

La matematica ovviamente serve, ma solo come strumento. Se una data matematica non si dimostrasse

adatta se ne cercherebbe subito un’altra. In passato questo è successo e probabilmente succederà ancora.

Il dato sperimentale, invece, non può mai essere accantonato.

Quindi, per essere pratici, suggerisco una scaletta per l’affronto dei vari argomenti.

Va, prima di tutto, capito quale è il dato sperimentale, cosa contiene di nuovo rispetto ai precedenti

ed in cosa è simile ad altri.

In secondo luogo deve essere chiara l’ipotesi interpretativa, che è in precedenza risultata adeguata,

all’interno della quale ci si muove nell’affronto del nuovo dato.

3

Nel caso di varie ipotesi interpretative, il criterio di scelta si basa solo sulle evidenze sperimen-

tali delle ipotesi in confronto e sulla possibilità di previsione di nuove situazioni da poter verificare

sperimentalmente.

Solo a questo punto, per ultimo, viene l’aspetto matematico.

Parte I

Introduzione

4

5

Come avete visto lo scorso anno l’equazione fondamentale della dinamica è F = ma = mdpdt . Tale

equazione descrive come una particella di massa “m” modifichi il suo moto sotto l’azione di una forza F .

Ma quali tipi di forze esistono in natura? Nel corso di Fisica 1 avete incontrato forze gravitaziona-

li, elastiche, di attrito, viscose. Quest’anno studieremo un’altro tipo di forze: quelle elettromagnetiche.

Con l’elettromagnetismo classico non si chiude la descrizione dei possibili meccanismi di interazione

nella materia ( basti pensare alle cosiddette forze nucleari debole e forte). Per andare oltre, occorre però

entrare in quella descrizione della natura fornitaci dalla meccanica quantistica.

L’esistenza delle interazioni elettriche e magnetiche era nota fino dalla antichità. Come sapete fin

dal liceo, già nel 600 a.C. era noto come pezzetti di paglia fossero attratti da ambra strofinata ( Talete

da Mileto). Era pure noto che un particolare minerale (magnetite) ha la proprietà di attrarre il ferro.

Certamente tutti sapete come, avvicinando un braccio al cinescopio del televisore, si veda e si senta la

peluria sollevarsi. Essa è infatti attratta dal televisore. Sapete pure dal liceo che bacchette strofinate e

sospese a fili mostrano l’esistenza di forze attrattive o repulsive a seconda dei materiali di cui sono fatte.

Capitolo 1

Elementi fisici di partenza

a b

Figura 1.1: Forze tra bacchette cariche: a) di segnoopposto si attraggono, b) dello stesso segno che sirespingono

I ricordati fenomeni, ed altri similari, conducono

alla introduzione in Fisica di una nuova grandez-

za: la Carica Elettrica. Per poter interpretare

in modo soddisfacente le forze sia attrattive che

repulsive si è condotti, come sapete, ad introdur-

re due tipi di carica elettrica chiamati convenzio-

nalmente carica elettrica positiva e carica elettrica

negativa (cariche dello stesso segno si respingono, cariche di segno opposto si attraggono). Per pura con-

venzione di dice positiva la carica accumulatasi nel vetro strofinato, negativa quella accumulatasi nella

gomma.Vedi figura 1.1.

+

+ +

-

Figura 1.2: Tramite un elettoscopio si può verificarese una bacchetta è carica

+

+ + -

++

+ -

-

-

Figura 1.3: Semplice esperienza che prova l’esistenzadi due tipi di “fluidi” elettrici

È facile "elettrizzare" (cioè depositare cariche

elettriche su) bacchette di vetro, di plastica, di

gomma ed altre ancora. Più difficile è "elettrizza-

re" bacchette metalliche. Per riuscirvi occorre ave-

re l’accortezza di non toccarle direttamente con le

mani e di non porle a contatto con altri oggetti me-

tallici ( ricorderete certamente le esperienze in cui

si elettrizzano delle bacchette metalliche provviste

di una impugnatura di vetro).

Cosa significa tutto ciò?

Significa che in alcuni materiali le cariche elet-

triche sono libere di muoversi mentre in altri non

lo sono.

Possiamo domandarci se quello dello strofinamento sia l’unico modo per accumulare una carica elet-

trica su di un corpo. Come sapete la risposta è negativa: ve ne è pure un altro, molto utile nel caso

6

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 7

Figura 1.4: Carica di una sfera per induzione: si collega, tramite un filo conduttore la sfera a terra; siavvicina la sbarretta elettrizzata; si taglia o si brucia il filo e si allontana infine la bacchetta. le caricherichiamate da terra restano così intrappolate nella sfera.

+

- +++ +-

- -+

++

+

Figura 1.5: Semplice modo per caricare due sfere metalliche con cariche di segno opposto ma ugualemodulo: si connettono le sfere con un sottile filo metallico; si avvicina ad una delle due sfere la bacchettaelettrizzata; si brucia il filo e si allontana infine la bacchetta

si voglia depositare una carica elettrica su conduttori isolati, che si basa sul fenomeno della cosiddetta

induzione elettrostatica. A titolo di esempio, senza alcuna pretesa di completezza, si riporta, tramite le

figure 1.2, 1.3, 1.4 e 1.5 la descrizione di quattro semplici esperienze note già dagli studi precedenti.

Quanto detto fino ad ora ha solo un carattere qualitativo, per andare avanti occorre misurare

la forza che si instaura tra cariche elettriche, mettendo in relazione il valore numerico di detta

grandezza vettoriale con i parametri caratterizzanti il sistema: valore delle cariche e loro posizione relativa.

Sorge subito una difficoltà:

si può dire se due cariche sono o meno dello stesso segno, ma come fare per stabilire se due cariche

sono uguali o se una è, ad esempio, il doppio di un’altra?

La figura 1.5 mostra un modo per ottenere cariche uguali ma di segno opposto. Fatto questo, prendia-

mo una ulteriore sfera, scarica ma identica alle precedenti, e poniamola in contatto per un breve istante

+++

+ ++

++

++

+++

++

+

++++

++

+

+

+Q

+Q/2 +Q/2

+Q/2 +Q/4 +Q/4

Figura 1.6: Metodo per generare cariche in rapporto noto partendo da una carica “Q”. Si pone a contattodella sfera carica una seconda sfera identica ma scarica, ottenendo due sfere con carica “Q/2”. Si avvicinapoi ad una delle due una terza sfera scarica ottenendo le cariche “Q/2”, “Q/4” e “Q/4”. Il procedimentopuò proseguire a piacere.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 8

con una di queste, ad esempio con quella caricata positivamente. La carica Q si distribuirà sulle due

sfere. Per simmetria, esse dovranno contenere la stessa quantità di carica. Ponendo poi in contatto

una ulteriore sfera con una delle due del punto precedente, otterremo cariche che stanno nei rapporti 1,

0.5, 0.5 . Procedendo ancora otterremo cariche che stanno tra loro nei rapporti 1, 0.5, 0.25, 0.25 come

illustrato in figura 1.6. Lo stesso procedimento si ripete poi partendo dalla carica negativa.

Una volta che si siano depositate su sferette cariche elettriche i cui valori stiano tra loro in rapporti

noti, si possono misurare le forze che si instaurano tra detti oggetti per mezzo, ad esempio, di una bilancia

di torsione, come quella mostrata in figura 1.7 .

Si effettueranno misure variando cariche, diametri delle sfere e distanze tra i centri per vedere se i

valori sperimentali possano essere interpretati tramite un qualche tipo di legge.

Figura 1.7: Bilancia di Coulomb

Il risultato che si ottiene è che la forza tra due

sferette cariche è diretta come la congiungente i

centri delle stesse, è attrattiva se le cariche sono

di segno discorde, repulsiva nel caso opposto. Per

quanto riguarda il modulo, esso dipende dalla di-

stanza tra le sfere ed è proporzionale all’inverso

del quadrato della distanza tra i centri. Il modu-

lo dipende inoltre linearmente dal prodotto delle

cariche depositate sulle sferette ( q1 q2).

Questo risultato prende il nome di Legge di

Coulomb (1785) .

In formule si scrive: F ∝ q1q2r2 ove compare il

segno di proporzionalità ∝. Questo perché, quanto scritto, sarà vero a meno di una costante dipendente

dalle unità di misura adottate per la nuova grandezza carica elettrica.

L’unità di misura per la carica elettrica nel sistema internazionale prende il nome di Coulomb. Dal

punto di vista fisico, la carica elettrica è la grandezza fondamentale. Essa non è tuttavia adatta come

unità di misura fondamentale. È infatti difficile depositare su di un corpo in modo riproducibile una

determinata quantità di carica, utilizzabile per definire l’unità di misura della grandezza. È invece facile

ottenere un flusso di cariche elettriche ben definito, costante e riproducibile. Per questo il Cuolomb non è

stato posto tra le unità di misura fondamentali del sistema ma compare come unità derivata. L’unità di

misura fondamentale nel sistema internazionale è l’unità di corrente ( flusso di carica elettrica) definito

come vedremo nel seguito e che prende il nome di Amper. Un Coulomb risulta essere quindi dato dalla

carica che attraversa in un secondo una qualsiasi sezione di un filo percorso da una corrente stazionaria

di 1A. Dimensionalmente avremo[q] = [i] · [t].

In figura 1.8 riportiamo l’insieme delle unità di misura facenti parte del Sistema Internazionale. Sono

evidenziate le unità fondamentali e le unità derivate. Così definita l’unità di misura di carica elettrica, la

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 9

Figura 1.8: Mappa delle unità di misura nel Sistema Internazionale. Per le unità derivate è mostratala loro costruzione a partire dalle fondamentali: le linee continue e tratteggiate indicano rispettivamenteproporzionalità dirette ed inverse

costante di proporzionalità da introdurre nella legge di Coulomb prende un valore circa uguale a 9 · 109.

Potremmo indicare tale costante semplicemente introducendo una lettera (ad esempio K ) al secondo

membro della legge di Coulomb. In realtà si preferisce scrivere tale costante in modo più complicato

(questo per fare sì che altre formule, che di fatto si utilizzano più della legge di Coulomb, possano essere

scritte in forma più semplice).

Scriveremo quindi per la forza agente sulla carica q1 dovuta alla presenza della carica q2 posta a

distanza r2,1 = r:

F1 =1

4π0

q1q2r2

er (1.1)

dove 14π0

∼= 9 · 109Nm2/C2 od anche 0 ∼= 8.85415 · 10−12C2N−1m−2 ed er = e2,1 è il versore che punta

dalla carica 2 verso la carica 1.

Pure per questo tipo di forze vale il Principio di Sovrapposizione e di esso ne faremo nel seguito

largo uso ( la dipendenza lineare dalle cariche delle formule sopra scritte è, tra l’altro, una conseguenza

di esso).

Come sapete dal liceo, la carica elettrica è quantizzata. Una qualunque carica che possiamo trasmet-

tere ad un corpo sarà un multiplo intero della carica dell’elettrone ( o del protone). Il valore assoluto

delle cariche di dette particelle vale: e 1.60206 · 10-19C .

È immediato riconoscere che la legge di Coulomb ha la stessa struttura matematica della legge di

Gravitazione Universale, vedi corso di Fisica 11. Ora, la materia è ordinariamente costituita da elettroni,

protoni e neutroni e le prime due particelle, avendo sia massa che carica, interagiscono tra loro sia tramite

forze elettriche che gravitazionali.1 F g

1 = −Gm1m2

r2er ove il segno (−)indica che la forza gravitazionale è sempre attrattiva.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 10

Particella Simbolo Carica MassaProtone p +e 1.67252·10−27KgNeutrone n 0 1.67482·10−27KgElettrone e− -e 9.1091·10−31Kg

Tabella 1.1: Massa e carica delle particelle che ordinariamente costituiscono la materia

Protone e sua struttura interna

Storia dell’Universo

Figura 1.9: Il rapporto tra le intensità delle forze elettriche e quelle gravitazionali è circa uguale alrapporto esistente tra le dimensioni dell’universo e quelle di un protone o di un elettrone

È interessante confrontare l’intensità di dette interazioni paragonando l’attrazione gravitazionale tra

un protone ed un elettrone con l’ attrazione elettrica tra le stesse particelle ( il paragone è immediato in

quanto entrambe obbediscono alla stessa legge dell’inverso del quadrato della distanza). Otteniamo, indi-

pendentemente dalla interdistanza tra le particelle FeFg

= 1G·4πε0

q1q2m1m2

, ove G è la costante gravitazionale

che vale G (6.67428± 0.0007) · 10−11m3kg−1s−2 .

Dato che il valore di questo rapporto non dipende dalla interdistanza tra le particelle, che è l’unico

parametro che noi possiamo variare, esso è pertanto una caratteristica della natura. Introducendo i valori

delle varie costanti, si ricava che la forza elettrica è più intensa di quella gravitazionale per un fattore

∼ 1039 . In altri termini basterebbe che la carica degli elettroni variasse, per un qualche motivo, di una

parte su ∼ 10−39 per produrre forze dell’ordine di quelle gravitazionali.

Ma come possiamo raffigurarci cosa significhi un fattore di scala come quello trovato?

Come sapete le forze sono grandezze vettoriali, rappresentabili quindi graficamente tramite frecce.

Per farci una idea di cosa significhi il rapporto trovato consideriamo che, se scegliessimo di rappresentare

la forza con cui le due particelle interagiscono gravitazionalmente tramite una freccetta lunga quanto

il raggio di un elettrone ( 10−15m) , vedi pagina 121dovremmo rappresentare la corrispondente forza

elettrostatica tramite una freccia lunga 1024m, lunga cioè quanto il raggio dell’intero universo; vedi figura

1.9

Sul valore di questo rapporto si fonda inoltre la base sperimentale della legge di conservazione della

carica elettrica.

Ad esempio: cosa accadrebbe se, in seguito ad una reazione chimica, la carica degli elettroni di valenza

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 11

variasse anche solo di una parte su di un miliardo?

Cosa accadrebbe nel laboratorio?

Figura 1.10: L’immagine fornisce visivamente larisposta!

Provi lo studente a rispondere, domandandosi

poi se, per la sua esperienza, la risposta concordi

con ciò che in laboratorio realmente accade.

Da questo si traggano infine conclusioni a ri-

guardo della conservazione della carica elettrica a

seguito di reazioni chimiche.

Possono sorgere delle domande.

1) Con forze così grandi, i corpuscoli di un da-

to segno scaglierebbero lontano quelli carichi dello

stesso segno; la materia al contrario è stabile. Da dove deriva quindi la stabilità della materia?

Figura 1.11: Effetto delle forze elettriche su di unmiscuglio di particelle di opposto segno

Notiamo però come un miscuglio composto di

corpuscoli positivi e negativi in uguale quantità

si comporterebbe in modo totalmente diverso da

quanto detto. A causa delle forze repulsive tra

corpuscoli carichi dello stesso segno e di quelle at-

trattive tra corpuscoli carichi di segni opposti, do-

po un breve istante, ciascun corpuscolo di un segno

verrà ad avere, come primo vicino, un corpuscolo

di segno opposto, come mostrato nella parte supe-

riore della figura 1.11. I corpuscoli di segni opposti saranno costretti ad avvicinarsi quanto più possibile,

precipitando l’uno verso l’altro. Il risultato è che le enormi forze singolarmente esercitate dai due cor-

puscoli vicini su di un terzo, facente parte di una coppia diversa, si compenseranno quasi esattamente,

come mostrato nella parte inferiore della medesima figura. Per cui fra due frazione separate di un tale

miscuglio di cariche non vi saranno praticamente nè attrazioni nè repulsioni elettrostatiche. Sopravvive-

ranno solamente le interazioni gravitazionali in quanto, anche se piccole, esse sono solo attrattive per cui

si sommano costruttivamente tra loro.

Le forze elettriche appariranno solo alla scala delle interdistanze tra le particelle di segno opposto.

Detta scala è quella atomica: sono le piccole cariche non compensate o la diversa distribuzione delle

stesse che danno luogo a quelle forze che sono alla base dei legami chimici.

2) Come è possibile allora che esistano gli atomi?

Come mai l’elettrone di un atomo di idrogeno non precipita sul protone ma resta localizzato ad una

certa distanza da esso?

Cerchiamo di capire cosa accade. L’elettrone sarà attratto dal protone e così facendo vi cadrà descri-

vendo un’orbita a spirale. Come mai ad un certo punto questo collasso delle cariche di un segno su quelle

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 12

dell’altro si arresta?

Ciò è dovuto all’intervento di una legge fisica nuova.

Tale legge prende il nome di Principio di Indeterminazione ed è introdotto nella descrizione Quanti-

stica della natura.

Nel caso che si applichi tale principio alle grandezze impulso e posizione di una particella si scrive:

∆x · ∆p dove ∆p e ∆x sono le indeterminazioni nell’impulso e nella posizione della particella

mentre 1.054 10−34J · s è una costante universale. Per un elettrone che percorra un’orbita attorno

al nucleo avremo una indeterminazione nella sua coordinata “x” data da x = 2r, ove “r” è il raggio

dell’orbita. Ora se l’elettrone si avvicina molto al nucleo, x sarà piccolo ed avremo quindi grandi valori

per p = (mv) ∼= mv . In questa situazione può allora accadere che l’elettrone acquisti una velocità

talmente grande da farlo sfuggire all’attrazione del nucleo. È per questo che ∆x non può essere inferiore

ad un dato valore e quindi l’elettrone dovrà necessariamente restare ad una certa distanza dal nucleo.

Vediamo di calcolarci l’ordine di grandezza di questa distanza.

Dette Et l’energia totale ed Ep ed Ec quelle potenziale e cinetica avremo che Et = Ep + Ec =

− 14π0

e2

r + p2

2m = −rmv2

r + p2

2m = − p2

2m

Ad un ∆p corrisponderà pure un Et e, se Et ≈ Et , l’orbita non sarà più definita. Dato che

Et =2p·p2m , la condizione sopra detta significa che 2p·p

2m ≈ p2

2m e quindi p·2r ≈ p2

2 da cui si ricava che

p ≈ r .

Per valutare il raggio dell’atomo dobbiamo quindi vedere per quale valore di “r” la relazione sopra

scritta sia soddisfatta. Sostituendo in 14π0

e2

r2 = m v2

r = p2

mr , si ricava facilmente che r ≈ 4π02

me2

5 · 10−10metri.

Come riconoscete, il valore trovato è circa uguale ad a0 .

Il principio di indeterminazione impedisce quindi che il collasso prosegua oltre un certo limite ed è

per questo che si possano formare oggetti di dimensioni finite quali gli atomi.

3) Sorge la domanda:

Come fanno i nuclei a restare uniti, essendo costituiti da un complesso di particelle positivamente

cariche?

Il motivo è che i nucleoni ( protoni e neutroni) interagiscono tra loro pure tramite altre forze. In

particolare essi interagiscono tramite la forza nucleare forte che varia con la distanza più rapidamente

di r−2. Tale forza è attrattiva e molto più intensa di quella elettrica per distanze dell’ordine dei 10−15

metri. A causa di ciò, in un nucleo, ciascun nucleone interagisce con i soli nucleoni a lui vicini tramite

le forze nucleari attrattive, mentre interagisce con tutti attraverso le forze elettromagnetiche che sono

repulsive. Ne deriva che i nuclei piccoli tenderanno ad essere stabili. In un nucleo grosso, al contrario,

le repulsioni elettrostatiche tendono a prevalere, rendendolo instabile. Per questo motivo non esistono in

natura nuclei con numero di massa “A” superiore a circa 240, vedi figura 1.12.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 13

Figura 1.12: Diagramma N-Z. Affinchè il nucleo sia stabile, in esso devono esssere presenti anche neutroniil cui effetto è di distanziare tra loro i protoni, diminuendo quindi l’effetto delle forze repulsive elettriche.Per nuclei leggeri è sufficiente un numero di neutroni pari a quello dei protoni mentre, all’aumentaredi Z, occorre un numero di neutroni via via maggiore. Oltre Z=82 le repulsioni elettriche prevalgonoindipendentemente dalla presenza dei neutroni e non possono quindi esistere nuclei stabili.

Inoltre un nucleo pesante, per il quale l’effetto della forza forte prevalga solo lievemente rispetto a

quello dell’interazione elettrica, può facilmente decadere ( es. Uranio Z=92). Può bastare la piccola

deformazione causata da un urto con un neutrone lento, perché nel nucleo, prevalgano le repulsioni

elettriche. Esso allora si spezza ed i frammenti carichi vengano scagliati lontano l’uno dall’altro dalle

forze elettriche. L’energia che si libera, che è di natura elettrica e non nucleare, può essere usata in vario

modo; dall’utilizzo in centrali nucleari per la produzione di corrente elettrica fino a quella devastante

della bomba atomica.

Concetto di campo

Tornando alla legge di Coulomb, equazione 1.1, essendo la forza F agente su di una carica q pro-

porzionale ad essa, si potrà scrivere:−→F = q · −→E ove

−→E prende il nome di Campo Elettrico. Il concetto

di campo elettrico non differisce nella sostanza da quanto avete già visto in meccanica a proposito del

campo gravitazionale; in particolare la sua introduzione è motivata dalle stesse argomentazioni che avete

visto nel corso precedente. Esso descrive una modificazione delle proprietà fisiche dello spazio con cui la

carica q interagisce localmente.

Nel caso in cui la forza agente sia dovuta alla presenza della sola carica “Q”, considerata come

puntiforme, l’espressione di E, nel punto ove sia presente la carica q è semplicemente data dalla:

−→E =

1

4πε0

Q

r2−→er (1.2)

ove r è la distanza da Q ed −→er il versore che da Q punta verso q.

Riprendo qui brevemente solo un aspetto.

Dato che ogni grandezza fisica deve essere misurabile si pone la domanda: Come si può dunque misu-

rare l’intensità e la direzione di un campo elettrico in un determinato punto dello spazio? Evidentemente

misurando le forze che agiscono su cariche di prova.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 14

Carica Diametro in cm10−8 110−8 510−10 110−12 510−15 110−20 5

Tabella 1.2: Tabella valori di carica

Quali criteri dovremo seguire per scegliere il valore di dette cariche e le caratteristiche fisiche (forma,

dimensioni, materiale) del supporto su cui depositarle?

Supponiamo ad esempio che a generare il campo sia una carica Q pari a 10−8 Coulomb depositata su

di una sferetta metallica di 10 cm di diametro. Supponiamo inoltre che abbia a disposizione, per misurare

tale campo, le cariche depositate su sferette come indicato in tabella 1.2

Quale carica o cariche sarà opportuno adoperare? Tra i dati forniti vi è qualche cosa di strano?

Come ricorderete il campo ( elettrico) si definisce operativamente come E = limq→0Fq . Che significato

si dà a questa espressione?

Diretta conseguenza della additività delle forze è l’additività dei campi. Il campo generato da più

cariche elettriche è uguale alla somma vettoriale dei campi dovuti alle singole cariche. A dire il vero

questa proprietà non è valida in generale, ma di questo possiamo non preoccuparcene in quanto solo per

campi estremamente elevati si possono osservare deviazioni.

Come mai ci aspettiamo che per campi elevati il principio di sovrapposizione cada in difetto?

Come può essere visualizzato il campo Elettrico?

Sono classiche le esperienze con semi di forma allungata che galleggiano su liquidi isolanti.

Come potranno essere rappresentati i campi, ed in particolare il Campo Elettrico?

Figura 1.13: Mappa Isobarica dell’Europa

Le modificazioni delle proprietà fisiche dello

spazio vengono descritte associando a ciascun pun-

to dello spazio il valore di una opportuna grandezza

matematica. Si vengono così a definire i campi.

Il tipo di grandezza matematica varia ovvia-

mente da caso a caso. La situazione più semplice

si ha quando si può associare a ciascun punto del-

lo spazio una grandezza scalare. Si parla in questi

casi di campi scalari (es. campo di temperatura).

In casi più complessi occorre associare a ciascun

punto dello spazio una grandezza di tipo vettoriale e si parla in questo caso di campi vettoriali ( es.:

campo gravitazionale, campo elettrico ... ).

Dei campi, sia scalari che vettoriali, se ne possono dare delle rappresentazioni grafiche.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 15

Nel caso dei campi scalari si possono tracciare superfici o linee ove giacciono i punti in cui il campo

assume identico valore (es.: superfici isoterme nel caso di un campo di temperature; curve di livello nel

caso di una carta geografica, mappe isobariche ) come in Figura 1.13.

Più complesso è il caso di campi vettoriali. Dovremo infatti dare una rappresentazione grafica che

indichi sia modulo che direzione e verso del campo. Si potrebbe ad esempio scegliere un certo numero di

punti e disegnare per ciascuno di essi il vettore rappresentativo. Oppure potremmo tracciare delle linee

che siano, punto per punto, tangenti alla direzione del campo.

Figura 1.14: Rappresentazione di un campo vetto-riale di modulo costante ma avente direzione dipen-dente dal particolare punto dello spazio. Notare co-me occorra, per rappresentare anche la costanza delmodulo, disegnare linee discontinue.

Una freccetta sulla linea servirà poi ad indicare

il verso. Se inoltre si stabilisce (regola di Gauss)

che il numero di linee attraversanti una superficie

unitaria ed avente normale parallela alla direzio-

ne del campo sia proporzionale all’intensità dello

stesso, si ottiene una rappresentazione grafica suf-

ficientemente adeguata in quanto fornisce pure in-

formazioni riguardanti il modulo del campo. In

generale, per mantenere la proporzionalità tra nu-

mero di linee e modulo del campo, dette linee non

sono continue.

Ad esempio, la figura 1.14 rappresenta un

campo avente modulo costante ma direzione che cambia da punto a punto.

La rappresentazione grafica dei campi non è tuttavia in grado di tradurre il fatto che essi sono additivi.

Cosa significa infatti “sommare due disegni”? Per questo, e per altri motivi su cui torneremo in seguito,

i campi si possono rappresentare in modo adeguato solo attaverso funzioni matematiche. La matematica

ci insegna infatti a calcolare la somma di due funzioni.

Differenze tra le leggi di Coulomb e della Gravitazione Universale

Chiusa questa parentesi a carattere generale, torniamo alle interazioni elettriche.

A dispetto dell’analogia formale tra legge di Coulomb e legge della Gravitazione Universale, i due tipi di

interazione vengono trattati in modo profondamente diverso. È opportuno chiarire subito la motivazione

di ciò.

La legge di Coulomb descrive la forza tra due cariche elettriche soltanto nel caso in cui entrambe

siano ferme. In generale le forze elettriche dipendono dal moto delle cariche e ne dipendono per giunta

in modo complesso. In generale, come vedremo in seguito, dato un sistema di cariche, la forza agente su

una di esse è esprimibile come−→F = q( E + v × B). Dove v è la velocità della carica q, ed E e B sono

due campi vettoriali eventualmente dipendenti dal tempo. Il vettore E è il Campo Elettrico, mentre B

prende il nome di Campo Magnetico.

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 16

La forza continua ad essere proporzionale alla carica e per entrambi i campi continua a valere il

principio di sovrapposizione. Volendo, si possono scrivere le espressioni per E e B dovute ad una carica

singola in moto generico in termini della sua posizione e velocità ed, usando il principio di sovrapposizione,

si possono ottenere le espressioni per i campi elettrico e magnetico relativi ad un arbitrario sistema di

cariche. Una volta noti i campi, è nota pure la forza ed è quindi possibile studiare il moto della particella

carica risolvendo l’equazione differenziale F = q( E + v × B) = dpdt = m0

ddt (

v1− v2

c2

).

Siamo quindi teoricamente in grado di risolvere qualsiasi problema usando procedimenti simili a quelli

visti in meccanica.

La difficoltà deriva dal fatto che i campi E e B sono dovuti non alle posizioni ed alle velocità attuali

delle cariche ma a quelle relative a determinati istanti nel passato. Per questo, ad esempio, vanno incluse

nel calcolo non solo le cariche attualmente presenti ma anche quelle eventualmente esistenti nel passato

e non più sussistenti.

Consequentemente le espressioni dei campi Elettrico e Magnetico dovuti ad una particella in moto sono

complicate. Per rendersene conto basta esplicitarle per un generico punto dello spazio. Tali espressioni

sono solo anticipate e verranno ricavate a tempo debito; vedi equazione (7.28). Dato che la carica è in

moto e che le informazioni non possono viaggiare con velocità maggiore di quella della luce, la posizione

in cui la vediamo ( detta posizione “apparente”) non è quella in cui la carica effettivamente si trova e

potrebbe anche darsi che nel frattempo la carica sia andata distrutta. Non essendo accessibile la posizione

attuale della carica, i campi dovranno essere espressi in termini della posizione apparente. Si trova:

E(t) =q

4πε0[e

r2+ (

r

c)d

dt(e

r2) +

1

c2d2

dt2e] B (t) =

e × E

c(1.3)

dove e è il versore che individua la direzione ed il verso del punto in cui andiamo a considerare il campo

rispetto alla posizione della carica, mentre r è la distanza. L’apice stà ad indicare che si tratta di posizioni

apparenti.

Il primo dei tre termini nell’espressione di E non rappresenta altro che il campo dovuto alla legge di

Coulomb, in cui la posizione reale è sostituita da quella apparente.

Il secondo termine è dato dal prodotto della derivata temporale del primo per il rapporto ( r

c ) . Dato

che ( r

c ) non è altro che il tempo che impiega la luce per percorrere il tratto r, questo termine sembra

stia ad indicare che la natura cerca di indovinare dove si trovi attualmente la carica che genera il campo.

Esso è pertanto strutturalmente simile al primo.

Il terzo termine è invece diverso dai due precedenti ed predomina sugli altri a grandi distanze. Differisce

dai precedenti sia in quanto è diretto perpendicolarmente alla linea di vista sia per la diversa dipendenza

con la distanza; il suo modulo dipende infatti da r−1 invece che andare come r−2.

Vediamo di capire il motivi di dette caratteristiche andando per esercizio ad esplicitare questo ultimo

termine.

Analizziamo cosa accade in un intorno dell’istante t = t0. In un tempuscolo τ la carica che genera il

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 17

!y(t0,")

!x(t0,")

!r(t0,")

e(t0+")

e(t0) p

q

r

Figura 1.15: Variazione del versore indicante la posizione apparente di una carica in termini dellospostamento della stessa

campo si sposta di r = r (t0, τ).

Riferendosi alla figura 1.15, rappresentiamo lo spostamento r nella somma di una componente

parallela alla linea di vista e di una componente ad essa normale: r = xi+yj. Si vede subito che

e varierà nel tempo solo in virtù della componente di r ad esso perpendicolare, rappresentato nella

figura da y. Se la sorgente è molto lontana si avrà poi, a meno di termini di ordine superiore e facendo

riferimento sempre a figura 1.15, che: e (t0 + τ) e (t0)−jy(t0,τ)r(t0)

Dato che t = t0 + τ si avrà quindi

d2

dt2e

t=t0=

d2

dτ2e (t0 + τ)

τ=0 −j y(t0)

r(t0). Il terzo termine

nell’espressione di E diviene pertanto j q4πε0c2

ay(t− rc )

r , ove si è riscritto t0 semplicemente come t.

Quindi il campo elettrico a grandi distanze varia come 1r , è normale alla congiungente la posizione

apparente della carica con il punto in cui si considera il campo e dipende infine dalla componente della

accelerazione normale alla linea di vista.

Esprimere i campi in un punto direttamente in termini delle cariche che li generano e delle loro posizioni

è possibile ma, come vedete, si ottengono espressioni complicate composte da termini strutturalmente

differenti.

Si trova invece che esistono delle semplici relazioni che legano tra loro i valori dei campi in punti tra

loro molto vicini.

Per descrivere i fenomeni elettromagnetici si preferisce quindi scrivere tali relazioni, calcolando tramite

esse i valori dei campi.

L’altra faccia della medaglia è che occorrerà fare uso di una “matematica” più elaborata di quella

necessaria per la trattazione degli argomenti del primo corso di Fisica.

Riepilogo dei punti principali della sezione

Scoperta di un tipo nuovo di forze ( forze elettriche) ed identificazione del corrispondente soggetto

agente ( carica elettrica).

La legge di forza è “simile” alla gravitazionale ma con tre differenze:

• la forza elettrica può essere sia attrattiva che repulsiva,

• è enormemente più grande dell’analoga gravitazionale

CAPITOLO 1. ELEMENTI FISICI DI PARTENZA 18

• la somiglianza vale solo per i casi statici.

Dall’enorme valore del rapporto tra forze elettriche e gravitazionali deriva l’evidenza sperimentale della

conservazione della carica elettrica.

Le forze elettriche sono additive.

Introduzione del concetto di Campo Elettrico,

Se le forze sono additive pure i campi lo sono.

Rappresentazioni grafiche dei campi, pregi e difetti. La rappresentazione adeguata si ottiene solo

tramite espressioni matematiche.

Necessità di una matematica più eleborata di quella necessaria per una semplice descrizione dei

fenomeni meccanici.

Capitolo 2

Un pò di matematica

Per poter affrontare lo studio dell’elettromagnetismo sono necessarie alcune nozioni matematiche.

Nulla di particolare: tuttavia, dato che alcuni studenti manifestano difficoltà cercherò di introdurre

alcuni concetti. Farò questo senza alcuna pretesa di “rigore matematico” per cui il mio caldo consiglio è

di non usare quanto sotto per la preparazione di alcun esame di analisi matematica.

Una premessa di metodo

Colgo l’occasione per ricordare che la matematica è presente in fisica solo come strumento. Sebbene

essa non sia semplicemente un linguaggio, è vista in fisica come tale. Dal punto di vista fisico quindi,

la matematica, come tutti i linguaggi, è utile nella misura in cui riesce ad esprimere i contenuti in

modo efficace. Questo significa che non dovete preoccuparvi in primo luogo dell’aspetto matematico degli

argomenti.

Per rimarcare la cosa sottolineo come, sebbene le leggi fisiche vengano scritte sotto forma di relazioni

matematiche, il significato della loro scrittura differisca da quello di normali equazioni matematiche.

Per esempio F = ma non è una relazione matematica del tipo (a+ b)2 = a2 + b2 + 2ab .

Il secondo membro di questa ultima relazione deriva dal primo in seguito alla applicazione di regole.

Il segno “=” significa: “applica delle regole algebriche, a priori stabilite, a ciò che precede e troverai

necessariamente ciò che segue”.

In fisica, invece, il segno “=” connette grandezze che non avrebbero “a priori” alcun motivo per essere

tra loro connesse: la forza è una grandezza “fisicamente” diversa da una massa o da una accelerazione. Il

segno di uguaglianza significa che il risultato di una misura di forza coincide, entro gli errori sperimentali,

con il prodotto del risultato di una misura di massa con quello di una misura di accelerazione. Notiamo

pure come gli strumenti necessari per le tre misure siano profondamente diversi tra loro.

Il segno “=” in fisica attesta in definitiva un risultato sperimentale imprevedibile a priori, che solo

delle misure attestano essere vero ( è simile alla “→” presente nella scrittura delle reazioni chimiche).

Tuttavia, proprio in quanto le leggi fisiche connettono i risultati di misure, che sono numeri, la

matematica “serve” e quindi va saputa usare. Dovrebbe essere però chiaro che dovete preoccuparvi di

19

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 20

cogliere in primo luogo l’aspetto “fisico” degli argomenti e, solo dopo, andare a vedere come i dati “fisici”

vengano scritti ed analizzati utilizzando la matematica. A mio avviso, non porsi in questa posizione di

fronte allo studio della fisica, rende solo più difficile la comprensione degli argomenti.

Chiarito ciò, veniamo quindi alla introduzione di alcune necessarie nozioni matematiche.

Radianti e steradianti

Un angolo piano è definito come quella regione di piano delimitata da due semirette aventi un estremo

a comune. Nella figura 2.1 le semirette sono indicate con “a” e “b” e l’estremo comune con “O”.

Gli angoli piani si misurano in radianti; l’unità di misura è definita come segue.

Prendiamo una circonferenza di raggio arbitrario che abbia il centro nel vertice dell’angolo. Le due

semirette intersecheranno detta circonferenza in “A” e “B”. Il valore in radianti dell’angolo è dato dal

rapporto tra la lunghezza del tratto di circonferenza intercettata ed il raggio della stessa: Ω = A−Br .

Detto rapporto non dipende dal raggio della circonferenza scelta e caratterizza quindi l’angolo. Un angolo

giro vale 2π radianti.

a

b

r A

BO

S

r

Figura 2.1: Definizioni di: angolo piano e sua misurain radianti ( parte superiore) ; angolo solido e suamisura in steradianti ( parte inferiore)

La definizione di angolo solido è analoga dal

punto di vista logico. Si definisce angolo solido

quella regione di spazio delimitata da un fascio di

semirette aventi in comune un estremo ( un cono

in altri termini ). Gli angoli solidi si misurano in

steradianti, e la loro definizione segue la falsariga

della definizione di radiante.

Dato che siamo nello spazio, invece che nel pia-

no, prenderemo una superficie sferica centrata sul

vertice dell’angolo come mostrato in figura 2.1. Il

valore dell’angolo solido in steradianti sarà dato

dal rapporto tra la porzione di superficie sferica

intercettata ed il quadrato del raggio della sfera.

Avendo diviso per il quadrato del raggio, detto rapporto sarà indipendente dal raggio della sfera e sarà

quindi una caratteristica dell’angolo. Al massimo, un angolo solido potrà valere 4π steradianti.

Elemento infinitesimo di volume in coordinate sferiche

In coordinate cartesiane, un elemento infinitesimo di volume sarà scritto come dV = dx dy dz .

Come potremo scrivere una analoga quantità in coordinate sferiche?

Riferendosi alla figura 2.2 in cui è mostrato il punto generico di coordinate (r, θ,ϕ) , domandiamoci

come potremmo costruire un volumetto infinitesimo avente un vertice in detto punto.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 21

Figura 2.2: Coordinate Polari

Prendiamo per questo tre direzioni ortogona-

li tra loro: la prima radiale ed uscente, la secon-

da e la terza tangenti rispettivamente al meridia-

no ed al parallelo passanti per il punto. Piccoli

spostamenti lungo le tre direzioni saranno espres-

si rispettivamente dalle componenti del vettore

(dr, r dθ, r sin (θ) dϕ) ove gli angoli sono espressi

in radianti. L’espressione per il volumetto infinite-

simo avente vertice in (r, θ,ϕ) sarà quindi data da

dV = dr · r dθ · r sin (θ) dϕ che riscriviamo come:

dV = r2sin (θ) dr dθ dϕ (2.1)

Detto volumetto ha spessore “dr”, per cui occupa una porzione di superficie della sfera pari a:

dS = r2sin (θ) dθ dϕ (2.2)

Per quanto detto poi a proposito di angolo solido, avendo dS = r2dω , otterremo pure l’espressione per

l’angolo solido infinitesimo:

dω = sin (θ) dθ dϕ (2.3)

Integrale

Il concetto di integrale è simile a quello di sommatoria. La differenza principale consiste nel fatto

che, mentre nella sommatoria si sommano un numero discreto di elementi finiti, l’integrale corrisponde

alla somma di un numero infinito di termini tutti infinitamente piccoli. Per passare dalla sommatoria

all’integrale occorre fare un limite:

i=1,N

fi −→fi→0,N→∞

ˆ

V

df . Nell’integrale scritto, ciò che si somma

sono le quantità infinitesime df formalmente poi espresse come prodotto di una grandezza finita per una

infinitesima: df = df (r) = ρ (r) dv. Si scrive quindi:´V df =

´V ρ (r) dv.

Per fissare le idee, la massa di un corpo, ad esempio una sveglia, la possiamo ottenere come somma

delle masse di tutte le parti che la compongono: ingranaggi, vitoline e quanto altro. Scriveremo quindi la

massa della sveglia come una sommatoria di un numero finito di termini ciascuno dei quali avente valore

finito. Nulla ci vieta, a priori, di rompere anche ogni ingranaggio, lancetta e vitolina in modo da avere un

numero grandissimo di pezzi ciascuno dei quali avente massa infinitesima. La somma di tutte le masse

degli infiniti pezzi in cui ho oramai polverizzato l’oggetto dovrà dare la massa totale della mia ex-sveglia.

Come potrò scrivere il singolo addendo della mia somma infinita?

Essendo una massa infinitesima, si indica usualmente premettendo una “d”. Nel nostro caso quindi:

dm.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 22

Per quale motivo la massa del singolo addendo è infinitesima?

Essa è piccola soltanto in quanto occupa un volume piccolo: tanto più piccolo è il volume del granellino,

tanto più piccola è la massa associata. Per esprimere detta origine del valore infinitesimo scriveremo quindi

dm = ρ (r) dv

ove dv è il volume occupato e ρ (r) il valore finito della densità del materiale. Dato che la sveglia sarà

fatta da vari tipi di materiale (metalli, plastiche, vetro . . . ), la densità dipenderà da punto a punto.

Per questo motivo abbiamo scritto ρ (r), ove il vettore di posizione indica il punto della sveglia da cui

proviene il singolo granellino di materiale. Si scriverà in definitiva

MSveglia =

ˆ

V

ρ (r) dv

ove “V” è il volume occupato dalla sveglia.

Come è chiaro dall’esempio appena fatto, la funzione integranda ha le dimensioni di una densità.

Densità di che cosa?

Ciò chiaramente dipenderà dal significato fisico dell’integrale. Potremo quindi avere densità di massa,

di carica, di energia ed altro ancora.

A seconda del dominio di integrazione, potremo inoltre avere densità lineari, superficiali o di volume.

Infatti, oltre ad integrali di volume come quello dell’esempio, troveremo integrali detti “integrali di linea”

ed “integrali di superficie”.

In detti integrali il dominio di integrazione non è un volume, ma è costituito rispettivamente da

linee “Γ” o da superfici “S” qualunque, definite in uno spazio vettoriale. Le quantità infinitesime che

andremo a sommare saranno quindi espresse rispettivamente da dg (x) = λ (x) dx e da dg (r) = σ (r) ds.

Nella prima, dx indica la lunghezza di un tratto infinitesimo di linea posto ad “x” metri dal suo inizio.

Nella seconda, ds indica la porzione infinitesima di superficie la cui posizione è definita dal vettore r.

Scriveremo quindi per detti integrali espressioni qualiˆ

Γ

λ (x) dx o´S σ (r) ds . Notiamo pure come la

classica espressione´ ba f (x) dx può essere vista come un particolare “integrale di linea” il cui dominio di

integrazione è costituito da un segmento dell’asse delle “x”.

In particolare, come vedremo, avremo spesso a che fare con due forme integrali che prendono rispet-

tivamente i nomi di flusso e circolazione. Il primo è un integrale di superficie mentre il secondo è un

integrale di linea.

Flusso

Si definisce flusso di un campo vettoriale ( ad esempio del campo elettrico E ) attraverso una superficie

infinitesima ds la seguente grandezza scalare infinitesima dΦE

ds= E · nds dove n è la normale alla

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 23

superficie ds. Nel caso di superfici finite si scriverà ovviamente:

ΦS

E=

ˆ

S

E · nds

Più esplicitamente:

1. dividiamo la superficie “S” in un numero infinitamente grande di superfici infinitesime ds

2. associamo a ciascuna di esse la grandezza scalare infinitesima E · nds definita, punto-punto tramite

il valore localmente assunto dal campo elettrico e dal vettore normale alla superficie

3. sommiamo le infinite grandezze infinitesime di cui al punto precedente.

Se la superficie è aperta si hanno due possibilità di scelta equivalenti per la direzione della normale n .

Figura 2.3: Flusso attraverso una superficie aperta

Riferendosi alla figura 2.3, la normale può es-

sere diretta verso l’alto o verso il basso; le due

scelte sono equivalenti, non essendovi a priori mo-

tivo alcuno per privilegiare una delle due. Nel caso

invece di superfici chiuse, le due direzioni non sono

più equivalenti. Una normale punta infatti verso

l’interno mentre l’altra punta verso l’esterno della superficie. In questo caso si sceglie in genere la norma-

le esterna, cosicchè un valore positivo per l’integrale indica un flusso uscente mentre un valore negativo

indica un flusso entrante.

Perché a questo integrale di da il nome di Flusso?

n

V!n

VdS1

dS2

v metri

Figura 2.4: Flusso del vettore velocità di un fluido

Se il campo che si considera è il campo v di ve-

locità che descrive il moto di un fluido, la quantità

sopra detta esprime il volume di liquido che attra-

versa la superficie S nell’ unità di tempo. Conside-

riamo infatti la figura 2.4 . Il volume di liquido che

attraversa in un secondo la superficie infinitesima

ds1 , con normale parallela al vettore velocità, è uguale a quello contenuto nel volume evidenziato in colore

avente per base il ds1 stesso ed altezza pari al modulo del vettore velocità. In formule dV (ds1) =| v | ds1

. Il volume che attraversa la superficie ds2 , sempre nell’unità di tempo, sarà evidentemente ugua-

le al precedente. Dato che ds2 =ds1

cos (θ)si ha dV (ds2) = dV (ds1) =| v | ds1 =| v | ds2 cos (θ) e quindi

dV (ds2) = v · nds2 ove si riconosce l’espressione del flusso infinitesimo del vettore v.

Circolazione

Proviamo a porci la seguente domanda: Prendiamo un fluido che si muova e consideriamo il connesso

campo di velocità v come l’esempio mostrato in figura 2.5.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 24

Figura 2.5: Uragano Linda

Consideriamo una linea chiusa Γ come quella

mostrata in figura 2.5. Domandiamoci se vi è un

movimento rotazionale netto lungo essa. In altre

parole supponiamo di poter bloccare istantanea-

mente il fluido in tutti i punti eccetto che in un

sottile tubo a sezione costante s che si chiuda su

se stesso lungo detta linea.

La parte di fluido contenuta nel tubo

continuerà a muoversi o meno?

Chiaramente il liquido continuerà a muoversi

se c’è più impulso diretto in un senso che nel senso

opposto.

Prendiamo un elemento generico del tubo di lunghezza dl. L’impulso posseduto dal fluido contenuto

nel volumetto sarà dato da: dp = v dm = v ρ s dl. Le pareti del tubo, generate dal fluido solidificato,

potranno esercitare solo forze normali al dl per cui solo la componente di dp parallela alla tangente alla

linea Γ sopravvivrà e sarà responsabile della eventuale circolazione del liquido. Indicando con dp = ρ sv ·dl tale componente, il liquido resterà fermo o circolerà a seconda che

¸Γ dp sia nulla o meno. Supponendo

costanti sia la sezione “s” che la densità del fluido, il tutto si ridurrà al calcolo di˛Γv · dl lungo la

linea chiusa Γ. Questo integrale prende il nome di circolazione ed è sovente indicato con il simbolo¸Γ.

Chiaramente il campo di velocità v è sostituito nell’elettromagnetismo dai campi E e B.

Questi integrali sono importanti in quanto le equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo, che

prendono il nome di Equazioni di Maxwell, si possono scrivere, come cederemo, per mezzo di flussi e

circolazioni.

ΦS

E= Q

ε0ΦS

B= 0

¸ΓE · dl = − d

dtΦS

B

c2¸ΓB · dl = ΦS( J)

ε0+ d

dtΦS

E

Due note di analisi matematica:

1. Se conosciamo il valore della grandezza f (x, y, z) nel punto di coordinate r0 = (x0, y0, z0) quale

stima possiamo dare del valore della stessa nel punto (x0 + dx, y0 + dy, z0 + dz) molto vicino al

precedente? Sappiamo che: f(x0 + dx, y0 + dy, z0 + dz) = f (x0, y0, z0) + df con

df df

dx

r0

dx+

df

dy

r0

dy +

df

dz

r0

dz (2.4)

ove ciascuna derivata è valutata nel punto di coordinate r0 .

2. Se si deve derivare una funzione rispetto a più variabili, si possono eseguire le derivazioni in

qualunque ordine, per cui ad esempio: d2f(x,t)dxdt = d2f(x,t)

dtdx

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 25

x

y

z

!n

x

y

z

n

z’ "

x

y

z

n

z’

#

x’

Figura 2.6: Rotazioni di Eulero per passare da un vecchio an un nuovo sistema di coordinate.

Alcune definizioni e relazioni di algebra vettoriale che trovano applicazione.

Prima di tutto cosa è un vettore.

Il vettore per antonomasia è quella grandezza che, nello spazio, definisce la posizione di un picco-

lo oggetto rispetto ad un altro. Per questo motivo esso non dipende dal sistema di coordinate, ma è

univocamente definito una volta che siano dati i due oggetti.

Come noterete, ho usato il termine “piccoli oggetti” e non “punti”. Ciò non è casuale ma ha una

motivazione: un “punto” è fisicamente interessante solo in quanto vi è un oggetto o vi accade qualche

cosa che può essere rivelato in quanto vi è un oggetto. La Fisica è un tentativo umano di descrizione di

ciò che realmente esiste e quindi la distanza è sempre tra oggetti.

Chiaramente, quando poi vada ad esplicitare matematicamente il mio vettore ho bisogno di un sistema

di coordinate. In detto sistema esso sarà espresso da una terna di numeri; ad esempio, scegliendo un

sistema di coordinate cartesiane ortogonali, le tre componenti lungo x, y e z.

Cambiando sistema di coordinate, il mio vettore sarà espresso da una diversa terna di numeri che dovrà

essere tuttavia deducibile dalla precedente nota l’orientazione del nuovo sistema rispetto al vecchio.

È quindi ovvio che, in generale, una terna di numeri non rappresenta automaticamente un vettore;

per essere un vettore occorre che, a seguito di una generica rotazione del sistema di coordinate, le tre

componenti si trasformino tra loro nello stesso identico modo in cui si trasforma la terna di numeri che

descrive la posizione relativa di due oggetti. Solo in questo caso, cambiando sistema di coordinate, la

grandezza rimane “solidale” con il complesso di oggetti che costituisce il sistema fisico.

Dette Vi e V i , con i ∈ 1, 2, 3, le componenti del vettore V nei due sitemi, le nuove componenti

si possono ottenere tramite opportune combinazioni lineari delle vecchie. Usualmente i coefficienti si

esprimono tramite la terna di angoli di Eulero ψ, θ, ϕ esprimenti i valori di tre successive rotazioni,

come mostrato da figura , utilizzabili per passare dalla vecchia alla nuova situazione.

Indicando con Ri (θ) una generica rotazione di un angolo θ attorno all’asse i si ha: R (ψ, θ, ϕ) =

Rz (ϕ)Rn (θ)Rz (ψ) e V i = RijVj dove la matrice di rotazione è data da:

Ri,j =

cos (ϕ) cos (ψ)− cos (θ) sin (ϕ) sin (ψ) cos (ϕ) sin (ψ) + cos (θ) sin (ϕ) cos (ψ) sin (θ) sin (ϕ)

− sin (ϕ) cos (ψ)− cos (θ) cos (ϕ) sin (ψ) − sin (ϕ) sin (ψ) + cos (θ) cos (ϕ) cos (ψ) sin (θ) cos (ϕ)

sin (θ) sin (ψ) − sin (θ) cos (ψ) cos (θ)

ove n indica la linea dei nodi.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 26

Perché si abbia una grandezza vettoriale occorre che le sue tre componenti, nel passare da un sistema

di coordinate ad un altro, si trasformino secondo la regola sopra data.

Operazioni tra vettori

Due vettori si possono sommare. Il vettore risultante ha per componenti la somma delle componenti

omologhe dei vettori dati. In formule, le componenti del vettore C = A+ B sono date da Ci = Ai+Bi i ∈

x, y, z . Questa regola è conosciuta anche sotto il nome di regola del parallelogramma.

I vettori A, B si possono pure moltiplicare tra loro e sono definiti due tipi di moltiplicazioni. Si

introducono infatti i prodotti scalare e vettoriale. Essi sono definiti come segue:

1. Prodotto scalare, il cui risultato è una grandezza scalare : A · B = AxBx +AyBy +AzBz = s

2. Prodotto vettoriale, definito come C = A × B è una grandezza vettoriale le cui componenti sono:A× B

x= AyBz +AzBy ,

A× B

y= AzBx +AxBz ed infine

A× B

z= AxBy +AyBx

Detti prodotti godono delle seguenti proprietà

1. A× A = 0

2. A ·A× B

= 0

3. A ·B × C

= C ·

A× B

4. A×B × C

= B

A · C

− C

A · B

Operatori Gradiente, Divergenza e Rotore

Prima di tutto: cosa intendiamo per operatore?

Un operatore O è l’indicazione di una procedura che permette di associare ad una funzione generica

ψ una seconda funzione ϕ. In formule: ϕ = Oψ.

Esempi di operatore possono essere la moltiplicazione di una funzione per un numero assegnato oppure

il farne la derivata rispetto ad una delle sue variabili; un altro esempio consiste nell’eseguirne l’integrale.

La semplice definizione dell’operatore dice solamente cosa dobbiamo fare ma non ci dice su che cosa

dobbiamo operare: la funzione che dobbiamo derivare o di cui dobbiamo fare l’integrale. Veniamo adesso

agli operatori che ci interessano in questo momento.

Le equazioni dell’elettromagnetismo possono essere scritte, oltre che in termini di flussi e circolazioni,

anche in forma contenente operatori differenziali. Occorre quindi introdurre detti operatori.

Prendiamo per questo un campo scalare ( ad esempio il solito campo di temperatura) e supponiamo

di essere interessati a descrivere come la temperatura vari da punto a punto. Supponiamo in altre parole

di essere interessati allo studio delle derivate della temperatura rispetto alla posizione.

Domandiamoci sotto quale forma potrà comparire, in una legge fisica, la derivata della temperatura

rispetto alla posizione.

Potrà una Legge Fisica, ad esempio, dipendere da dTdx : la derivata della temperatura rispetto alla

coordinata x?

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 27

Per rispondere a questa domanda si deve notare, ricordando anche quanto detto a proposito delle

grandezze vettoriali, come le leggi fisiche leghino tra loro grandezze aventi una loro individualità e che

pertanto sono indipendenti dal particolare sistema di coordinate utilizzato.

Si pensi ad esempio ad F = ma ; questa è una relazione tra grandezze vettoriali che sono caratteristiche

del sistema fisico in esame. La forza che agisce sulla Terra ha un significato fisico in quanto è diretta

verso il Sole e ciò non dipende dal particolare sistema di coordinate che possiamo scegliere. Identica

indipendenza vale inoltre per la sua massa e per la sua accelerazione, per cui anche queste hanno significato

fisico.

Ora evidentemente dTdx dipende dal sistema di coordinate. Cambiando sistema, cambia la direzione

lungo cui valutare la derivata. Analoga constatazione vale per le altre due possibili derivate: dTdy e dT

dz .

È quindi chiaro che dTdx non potrà comparire ( da sola) in alcuna legge fisica.

Ma potrebbe dTdx essere la "componente x" di una grandezza vettoriale? Potrebbe cioè

dTdx ,

dTdy ,

dTdz

essere una grandezza vettoriale?

Bisogna vedere come si trasforma la terna di numeri

dTdx ,

dTdy ,

dTdz

passando da un sistema di

coordinate ad un altro.

Come si può quindi rispondere rapidamente alla domanda ?

Un modo è il seguente:

Se prendo due vettori e li moltiplico scalarmente tra loro ottengo uno scalare che, come tale, non varia

cambiando sistema di coordinate; ad esempio A · B = s che è una quantità scalare.

Di quanto detto vale anche l’inverso. Se si osserva che la somma dei prodotti delle tre componenti

di un vettore per altrettante espressioni, di cui non siano note le proprietà di trasformazione, forma uno

scalare, allora le tre espressioni sono le tre componenti di una grandezza a carattere vettoriale.

In formule: data una grandezza vettoriale (Ax, Ay, Az), se Axa1 +Aya2 +Aza3 = s quantità scalare,

allora (a1, a2, a3) è una grandezza vettoriale.

Premesso questo si può ragionare come segue. Noi sappiamo che la differenza di temperatura tra

due punti vicini dello spazio è, ovviamente, una quantità scalare. Tale differenza si può scrivere come:

T ∼= dTdx ·x+ dT

dy ·y + dTdz ·z dove x , y e z sono le tre componenti del vettore di posizione

r del secondo punto rispetto al primo.

Da questo segue che

dTdx ,

dTdy ,

dTdz

è una grandezza vettoriale.

Questa grandezza è indicata con il simbolo ∇T ( Gradiente di T ). Si definisce quindi

∇T =

dT

dx,dT

dy,dT

dz

e la differenza di temperatura tra due punti vicini si può scrivere come : T ∼= ∇T · ∇r. In parole:

la differenza di temperatura tra due punti molto vicini è data, in prima approssimazione, dal prodotto

scalare tra il gradiente della temperatura ed il vettore che porta dal primo al secondo punto dello spazio.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 28

Si noti come nella precedente relazione è indicato come vettore non tutto il ∇T ma solo il simbolo

"∇" che prende il nome di nabla. Questo avviene in quanto la temperatura T potrebbe essere sostituita

da qualsiasi altro campo scalare, senza che con questo il ragionamento fatto cessi di essere valido. Ciò

significa la proprietà vettoriale è caratteristica dell’operatore di derivazione e non della funzione su cui

esso opera.

Si definisce quindi l’operatore vettoriale:

∇ =

d

dx,d

dy,d

dz

. Va tuttavia notato come ∇ da solo non significhi nulla; esso deve essere infatti sempre seguito da qualche

cosa: la funzione da derivare.

Due questioni che lasciamo allo studente:

• Un vettore può essere moltiplicato per uno scalare e vale ovviamente che A · s = s · A. La stessa

cosa non vale nel caso di ∇ . Si ha infatti che ∇ · s = s · ∇. Quale è il motivo?

• Si era visto che la dTdx , da sola, non può comparire in una legge fisica. Lo stesso ragionamento fatto

varrà pure per la derivata dTdt della temperatura rispetto al tempo?

Definito l’operatore differenziale nabla possiamo chiederci cosa si ottenga facendo i prodotti scalare e

vettoriale tra detto operatore ed una comune grandezza vettoriale. In entrambi i casi l’operatore può

trovarsi sia a destra che a sinistra della grandezza vettoriale. Si ottengono quindi le quattro sottoindicate

situazioni.

• Prodotto scalare tra ∇ ed una generica grandezza vettoriale A

1. A · ∇ = Axddx + . . . resta un operatore

2. ∇ · A = dAxdx + . . . è uno scalare. Prende il nome di divergenza di A

• Prodotto vettoriale tra ∇ ed una generica grandezza vettoriale A

1. A× ∇ resta un operatore

2. ∇× A è un vettore, che prende il nome di rotore di A, le cui componenti sono:∇× A

z=

dAy

dx − dAxdy ed analoghe

Riassumendo, è importante ricordare che l’operatore differenziale ∇ può essere applicato o ad uno sca-

lare ottenendo con ciò una grandezza vettoriale (Gradiente), oppure può essere applicato ad un vettore

attraverso le due operazioni di prodotto scalare (Divergenza) o prodotto vettoriale (Rotore), dando luogo

rispettivamente ad uno scalare o ad una nuova grandezza vettoriale.

Questi operatori sono importanti in quanto le equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo (Equazioni

di Maxwell) possono essere espresse pure tramite relazioni per i Rotori e le Divergenze dei campi E ed

B.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 29

∇ · B = ρε0

∇ · B = 0

∇× E = −d Bdt

c2∇× B =Jε0

+ dEdt

Dopo aver parlato delle derivate prime dei campi, consideriamone adesso le derivate seconde.

Come possiamo combinare gli operatori di derivazione?

Elenchiamo qui sotto le varie possibilità.

• Partendo da uno scalare, la prima derivata sarà necessariamente un gradiente, per cui avremo solo

due possibilità:

1. ∇ ·∇T

prodotto scalare [Divergenza di un Gradiente ]

2. ∇×∇T

prodotto vettoriale [ Rotore di un Gradiente]

• Se invece si parte da un campo vettoriale avremo:

1. ∇∇ · A

gradiente [Gradiente di una Divergenza]

2. ∇ ·∇× A

prodotto scalare [Divergenza di un Rotore]

3. ∇×∇× A

prodotto vettoriale [Rotore di un Rotore]

Alcune proprietà delle derivate seconde

Le espressioni per il Rotore di un Gradiente e per la Divergenza di un Rotore forniscono sempre

risultato nullo; indipendentemente dalla grandezza su cui operano.

Se ∇ fosse un comune vettore, quanto detto sarebbe cosa evidente, ma, poiché è un operatore

l’affermazione va perlomeno verificata in quanto potrebbero esservi sorprese.

Ad esempio nel caso del Rotore di un Gradiente potremmo verificare se ∇ ×∇T

= 0 per una

generica funzione scalare T = T (x, y, z).

Considerando, ad esempio, la componente z si scrive∇×

∇T

z= d

dx

∇T

y− d

dy

∇T

x=

ddx

dTdy − d

dydTdx . Si vede subito che, per quanto detto sulla invertibilità nell’ordine in cui si possono

effettuare le derivazioni, il valore dell’espressione sarà sempre nullo. Identici risultati si ottiengono per le

altre due componenti, per cui è in generale vero che ∇×∇T

= 0 .

Nota: Si deve tuttavia osservare ad esempio che∇ϕ

×∇ψ

= 0. Perché questo?

Ha lo studente una qualche idea in merito?

Come vedete, il considerare ∇ come un vettore può a volte condurre a risultati erronei.

In modo analogo si può verificare che anche la Divergenza di un Rotore è sempre nulla.

Si è quindi trovato che:

1. Il rotore di un gradiente è nullo :

∇×∇T

= 0 (2.5)

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 30

2. La divergenza di un rotore è nulla :

∇ ·∇× A

= 0 (2.6)

Ci si può domandare se valgano pure le proprietà inverse.

Se ad esempio un campo vettoriale A è tale che ∇× A = 0, potremmo chiederci se A sia il gradiente

di un qualche campo scalare.

In effetti esiste un teorema che afferma proprio questo.

Se ∇× A = 0 , allora esiste un campo scalare ϕ tale che A = ∇ϕ .

Analogamente se ∇ · A = 0 allora esiste un campo vettoriale C tale che A = ∇× C.

Chiaramente le soluzioni per ϕ e C non sono univoche. Basti pensare che, avendo a che fare con

operatori differenziali, una qualunque costante additiva non lascia traccia di se. Vi è di più: se D è un

campo irrotazionale (∇× D = 0 ) allora i campi C e C + D danno luogo allo stesso campo vettoriale A .

In formule: A = ∇× C = ∇×C + D

.

Questo campo D come possiamo ottenerlo?

È molto semplice: basta prendere il gradiente di una qualunque funzione scalare. Si capisce quindi

come le possibilità di scelta siano veramente numerose!

Veniamo adesso alle altre derivate seconde, iniziando dalla divergenza di un gradiente : ∇ ·∇T

Esplicitando il gradiente, si trova facilmente che il risultato è una quantità scalare: ∇ ·∇T

=

d2

dx2T + d2

dy2T + d2

dz2T

Questo permette di introdurre l’operatore scalare “nabla quadro” ∇2 che associa ad una funzione

scalare la somma delle sue tre derivate deconde rispetto alle coordinate.

Sinteticamente:

∇2 =

d2

dx2+

d2

dy2+

d2

dz2

Esso prende anche il nome di Laplaciano.

Essendo ∇2 un operatore scalare, le funzioni a cui può essere applicato possono essere pure le tre

componenti di un qualunque campo vettoriale A. Pertanto possiamo applicare ∇2 anche a campi vettoriali

secondo la regola: ∇2 A =∇2Ax, ∇2Ay, ∇2Az

Veniamo poi al rotore di un rotore: ∇×∇× A

Eseguendo le indicate operazioni otterremo un campo vettoriale.

Si ricava facilmente con alcuni calcoli che

∇×∇× A

= ∇ ·

∇ · A

−∇2 A (2.7)

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 31

Ci si può facilmente ricordare tale espressione utilizzando come pro-memoria la scomposizione del

doppio prodotto vettoriale tra vettori ed osservando che A∇ · ∇

non ha senso e che quindi va scritta

come∇ · ∇

A = ∇2 A

Resta infine il gradiente di una divergenza: ∇∇ · A

.

Su di esso non vi è nulla di particolare da dire.

Gradiente di un vettore

L’operatore gradiente può essere applicato pure ad una grandezza vettoriale.

Scriviamo per questo la differenza tra i valori assunti da una grandezza vettoriale A = (Ax, Ay, Az)

in due punti tra loro prossimi.

Avremo

∆A = (∆Ax, ∆Ay, ∆Az) =δ · ∇Ax, δ · ∇Ay, δ · ∇Az

con δ vettore che porta dal primo al secondo punto.

Si ha quindi che la grandezza cercata è esprimibile tramite in prodotto righe per colonne:

∆A = (δx, δy, δz) ·

ddxAx

ddxAy

ddxAz

ddyAx

ddyAy

ddyAz

ddzAx

ddzAy

ddzAz

(2.8)

In termini compatti si scrive ∆A = δ ·∇ A

ove

∇ A =

ddxAx

ddxAy

ddxAz

ddyAx

ddyAy

ddyAz

ddzAx

ddzAy

ddzAz

(2.9)

prende il nome di Gradiente del Campo Vettoriale A.

Un caso molto importante riguarda il Gradiente di Campo Elettrico ( E.F.G.) attraverso il quale, ad

esempio, i nuclei atomici risentono degli stati atomici e della struttura dei legami chimici. Per questo

riveste importanza la valutazione sperimentale dell’EFG visto dai nuclei.

Parliamo adesso di tre teoremi che saranno molto utili nello studio dell’elettromagneti-

smo.

1) Se abbiamo un campo scalare ψ, la differenza tra i valori di ψ relativi a due punti qualunque β ed

α dello spazio è data da:

ψ (β)− ψ (α) =

ˆΓ

∇ψ

· dl (2.10)

dove Γ è una qualunque linea che unisca α con β. La quantità´Γf · dl prende il nome di integrale di linea

di f lungo Γ.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 32

Figura 2.7: Mappa dei sentieri di Montese. Dal si-to web della Comunità montana Appennino ModenaEst : http://www.turismo.montana-est.mo.it/

Nell’esempio di figura 2.7, tratto dal sito del-

la Comunità montana Appennino Modena Est

http://www.turismo.montana-est.mo.it/ , la fun-

zione ψ è la quota di ciascun punto della mappa

e la linea Γ corrisponde al tracciato di un dato

sentiero.

2) Teorema di Gauss

Sia S una qualunque superficie chiusa e V il

volume interno ad essa. Detta n la normale esterna

a detta superficie, vale:

ˆS

A · nds =

ˆV

∇ · A

dv (2.11)

dove A è un qualunque campo vettoriale.

In parole si afferma che il flusso uscente di A

attraverso la superficie chiusa S è uguale all’inte-

grale della divergenza di A sul volume interno ad

S. L’egualianza vale se, come di convenzione, la normale n è la normale esterna.

3) Teorema di Stokes

Data una qualunque linea chiusa Γ ed una qualunque superficie S avente tale linea per contorno vale,

per un qualunque campo vettoriale A:

˛Γ

A · dl =ˆS

∇× A

· nds (2.12)

n

!

Figura 2.8: Regola della mano destra

Perché valga la relazione sopra scritta occorre chia-

ramente che la scelta del senso di percorrenza su

Γ sia correlata con la direzione della normale n ad

S come indicato dalla figura 2.8. Tale correlazio-

ne prende in genere il nome di regola della mano

destra in quanto, chiudendo la mano a pugno ed al-

zando il pollice, la direzione di quest’ultimo indica

il senso della normale, mentre le altre quattro dita indicano il senso di percorrenza sulla linea Γ.

Iniziamo le dimostrazioni partendo dal primo teorema e ricordando quanto detto a riguardo degli

integrali di linea.

Facendo riferimento alla figura 2.7, consideriamo ad esempio uno qualsiasi dei sentieri che connettono

il paese alla sommità del monte. Esso definirà la linea Γ che dovrà essere percorsa, passo dopo passo.

Indichiamo con ψ (β) − ψ (α) il dislivello esistente tra la cima del monte ed il paese. Esso sarà dato

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 33

dalla somma di tutti i dislivelli ψi, a volte positivi ed a volte negativi, corrispondenti ai vari passi che

dovremo fare durante il tragitto. Avremo ψ (β) − ψ (α) =

i ψi ed è evidente che il risultato della

somma non potrà dipendere dal sentiero scelto; in termini matematici dalla linea Γ.

Come potremo esprimere il contributo ψi connesso al singolo passo?

Tenendo conto della equazione 2.4 avremo ψi dψ

dx

ri

dx+

dx

ri

dy+

dz

ri

dz =

∇ψ

i· i

ove i rappresenta il generico passo. Si ha quindi che ψ (β)− ψ (α) =

i

ψi∼=

i

∇ψ

i· i e,

passando al limite, ψ (β)− ψ (α) =

ˆΓ

∇ψ · dl indipendentemente dalla particolare linea Γ connettente i

due punti α e β.

S

!1

!2 sS

Si

Figura 2.9: Superficie chiusa S intersecata da duesuperfici piane

Veniamo adesso al secondo teorema.

Consideriamo il flusso di un campo vetto-

riale attraverso una superficie chiusa generica:

ΦS

A=

ˆS

A · nds.

Nel caso che A descriva il fluire nello spazio di

una qualche grandezza fisica ( particelle, calore,

energia od altro ancora) è chiaro che il valore del-

l’integrale di superficie debba essere numericamen-

te uguale al valore dell’ integrale di una opportuna

funzione scalare effettuato sul volume interno ad S.

Ad esempio nel caso che A descriva il fluire di particelle, ΦS

A

dovrà eguagliare la diminuzione

del numero delle stesse per unità di tempo all’interno del volume definito da S per cui dovrà valere :

ΦS

A= −

ˆV

dtdv ove ρ è la densità spaziale di particelle.

Una “matematica” che non contenesse al suo interno il teorema di Gauss non sarebbe utile nella

descrizione di ciò che vediamo accadere nella realtà, come, ad esempio, quando a tavola ci riempiamo il

bicchiere dal contenuto di una bottiglia.

Procediamo adesso alla dimostrazione.

Se dividiamo il volume contenuto all’interno di S in due parti attraverso, ad esempio, la superficie

π1 di figura 2.9 si vengono ad ottenere tre superfici chiuse: S , Si ed Ss . Potremmo domandarci se

esista una relazione che leghi i flussi uscenti dalle suddette superfici. Tale relazione esiste ed è la seguente

ΦS

A= ΦSi

A+ ΦSs

A

Lasciamo allo studente il compito di capire come mai debba valere la relazione appena scritta.

Procedendo ancora nel suddividere, in modo analogo, il volume con altre superfici, come la π2, si

arriva a scrivere, con ovvio significato dei simboli: ΦS

A=

i

ΦSi

A.

Supponiamo di suddividere la superficie “S” tramite famiglie di piani tra loro ortogonali equidistanti

come mostrato in figura 2.10. In questo caso la singola superficie infinitesima dsi avrà la forma di un

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 34

!

x

y

z

A(r)

A(r+!)

Figura 2.10: Famiglia di piani equidistanti, mutuamente ortogonali, definenti un insieme di superficicubiche. Sono mostrate, in verde, le normali a superfici opposte di un dato cuvetto ed in rosso il camposu di esse.

piccolo cubo. Detto δ il suo lato, si può pervenire alla espressione per il flusso uscente dal cubetto

dΦdsi

A. Il flusso uscente sarà infatti dato dalla somma dei flussi attraverso le sei facce.

Consideriamo il contributo di due facce opposte, ad esempio quelle con normale parallela all’asse delle

“x”. Se A assumesse su entrambe identico valore, è chiaro che il contributo della coppia sarebbe nullo a

causa delle opposte direzioni delle normali alle facce. Se A dipende dalla posizione, detto contributo sarà

dato da Axδ2 =dAxdx · δ

δ2 =

dAxdx

δ3. Ripetendo il ragionamento per le altre due coppie di facce

e sommando i contributi si trova quindi: dΦdsi

A=

∇ · A

δ3 ove la divergenza di A è calcolata al

centro del cubetto. Sostituendo questa espressione nella sommatoria e passando al limite il teorema resta

dimostrato.

In modo analogo si dimostra il teorema di Stokes

Basta per questo fare riferimento alla figura 2.11.

a

b!

a

b!

Figura 2.11: Famiglia di linee connettenti punti dilinea chiusa definenti le maglie di una rete aventeper contorno la linea chiusa

Se prendiamo due punti “a” e “b” di una linea

chiusa Γ e li connettiamo tra loro con una linea,

otteniamo altri due circuiti chiusi e possiamo de-

finire due circolazioni la cui somma è uguale alla

circolazione sul circuito originario. Ripetendo an-

cora infinite volte il procedimento otteniamo una

rete a maglie molto piccole che ha come contorno la

linea chiusa originaria. Un ragionamento simile a

quello utilizzato per la dimostrazione del preceden-

te teorema ci porta immediatamente al risultato:¸ΓA · dl =

´S

∇× A

· nds.

Una considerazione:

Supponiamo che ∇ × A sia ovunque nullo; allora¸

A · dl = 0 qualunque sia la linea chiusa Γ su cui

è valutato l’integrale. Da ciò si deduce che´ βα

A · dl è indipendente dal cammino ma dipende solo dai

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 35

punti di partenza e di arrivo α e β. Questo permette di introdurre un campo scalare che prende il nome

di potenziale e che spesso troveremo indicato nel seguito con la lettera ϕ.

!

"

#

$!#

$!"

$"#

Figura 2.12: Tre line formanti un percorso chiuso

Facendo riferimento alla figura 2.12 e ponen-

do´ βα

A · dl = ϕ (α,β) si ha:¸

A · dl =

ϕ (α,β) + ϕ (β, γ) + ϕ (γ,α) = 0 od anche

ϕ (α,β)− ϕ (γ,β) + ϕ (γ,α) = 0.

Per cuiˆ β

α

A · dl = ϕ (α,β) = ϕ (γ,β)− ϕ (γ,α).

Varrà inoltre, per il primo dei tre teoremi

mostrati ( equazione 2.10), che

A = ∇ϕ

.

Uso della simmetria in Fisica

Come vedremo, faremo uso in vari punti del corso di considerazioni riguardanti le proprietà di sim-

metria del particolare sistema fisico in esame. È quindi necessario descrivere brevemente la logica fisica

che è alla base di tali considerazioni.

Per quale motivo ci interessano le proprietà di simmetria?

La risposta stà in cosa ci dice l’esperienza.

Infatti: cosa ci dice questa di fronte ad un dado che, lanciato sul tavolo, si fermi sempre sulla medesima

faccia?

Dall’esterno potrà pure apparire perfetto ma certamente nasconde qualche cosa al suo interno. È un

dado truccato ed, aprendolo, troveremo qualche cosa di strano.1

Per questo, dal punto di vista fisico, assumiamo che tutte le proprietà, sia dei corpi che dello spazio

che li circonda, riflettano le proprietà di simmetria del complesso di oggetti materiali che forma il sistema.

Definiamo adesso con “operazione di simmetria” una qualunque azione, eseguita sulla componente

materiale di un sistema fisico nella sua interezza, che lo porti in una configurazione finale indistinguibile1Alcuni metodi per truccare dadi si basano sul fatto che, appesantendo una faccia, l’oggetto, rotolando, andrà a posarsi

più facilmente su di essa.Ad esempio, avendo un dado di legno, si può, con un trapano da modellismo, praticare buchi sulla superficie che si voglia

appesantire. I buchi non devono essere più profondi di un terzo la lunghezza del dado e vanno riempiti con piombo fusoottenuto tramite un saldatore. Con una lima si tolgono quindi le imperfezioni e si rivernicia il tutto.

Una buona idea può essere quella di non riempire totalmente il buco con il piombo, ma di colmarlo con una resina o collaspeciale. In questo modo la susseguente verniciatura risulta più omogenea, nascondendo meglio il trucco.

Purtroppo un dado così modificato ha il "difetto" di dare quasi sempre lo stesso valore, e questo può indurre sospetti.Occorre quindi che gli effetti del trucco siano facilmente modificabili dall’esterno al momento dell’uso.

Un simpatico trucco consiste nel creare, con il solito trapano, delle colonnine cave, che vadano da una faccia a quellaopposta; ad esempio dalla 1 alla 6. In tali colonnine si introdurrà, per circa un terzo della loro altezza, del mercurio inveceche del piombo. Quindi si tapperà e si vernicerà.

Funzionamento del dado truccato: battendo col dito sulla faccia 6 il mercurio scorrerà nelle cavità del dado e si poseràsulla faccia opposta, andandola ad appesantire. Il risultato del lancio sarà quindi con alta probabilità un 6. Battendo coldito sulla faccia numero 1 si appesantirà la faccia opposta ed i lanci daranno probabilmente un 1.

Tale trucco è quasi impossibile da scoprire perché, anche scuotendo il dado, il mercurio non farà alcun rumore sospetto.Attenzione quindi a chi batte sulle facce dei dadi per “propiziarsi” la fortuna!

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 36

da quella iniziale. In altri termini, se uno non stesse assistendo all’azione, non avrebbe alcun motivo per

supporre che detta azione sia stata eseguita.

Figura 2.13: Deduzioni connesse alle proprietà disimmetria di un cubo

Nel caso di un cubo, ad esempio, una possibile

operazione di simmetria consiste nella rotazione

dell’oggetto di 90 gradi attorno ad un asse passante

per i centri di due facce opposte.

Quali sono le conseguenze fisiche di tale

operazione di simmetria?

Una conseguenza è che, per un cubo metallico

perfetto, carico, la densità di carica al centro del-

le sei facce deve necessariamente essere la stessa.

Per cui, riferendosi alla figura 2.13 σ (A) = σ (B).

Analogamente il campo elettrico in “p’ ” dovrà es-

sere ottenibile da quello in “p” a seguito della applicazione dell’operazione di simmetria definita dalla

rotazione di π2 attorno all’asse indicato in figura con “c”.

Se così non fosse, potremmo sperimentalmente accorgerci di eventuali rotazioni del cubo avvenute in

nostra assenza e dovremmo concludere di essere in una situazione simile a quella del dado truccato.

Ulteriori esempi di operazioni di simmetria sono la rotazione di un angolo θ generico di una sbarretta

cilindrica attorno all’asse definito dalla generatrice del cilindro come in figura 2.14.

Figura 2.14: Sbarretta cilindrica

Se la sbarretta fosse invece a sezione quadra-

ta solo rotazioni di multipli di π4 costituirebbero

operazioni di simmetria.

Operazioni di simmetria non vanno cercate so-

lamente tra le rotazioni. Pure traslazioni, rifles-

sioni rispetto a piani, inversioni rispetto a pun-

ti ed altro ancora possono portare il sistema in

configurazioni indistinguibili dall’iniziale.

Una coerente strutturazione matematica del-

le considerazioni esposte la troverete studiando i

gruppi di simmetria puntuali e verrà utilizzata, come vedrete, nello studio dei legami molecolari.

Riepilogo dei punti principali della sezione

La matematica è uno strumento, non la sostanza fisica.

Definizione di Radiante e Steradiante.

Elementi di volume e di superficie in coordinate sferiche.

Particolari integrali di campi vettoriali che prendono il nome di Flusso e Circolazione.

Relazioni di agebra vettoriale.

CAPITOLO 2. UN PÒ DI MATEMATICA 37

Concetto di operatore, ed, in particolare, gli operatori differenziali Gradiente, Divergenza, Rotore e

Laplaciano.

Teorema di Gauus, Stokes ed espressione tramite integrale di linea della differenza tra i valori che un

campo scalare assume in due punti.

Uso delle considerazioni di simmetria all’interno di un problema fisico.