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2. Principali fattori da considerare nella progettazione dei filtri in geotessile ___________________________________________________________________________
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2 PRINCIPALI FATTORI DA CONSIDERARE NELLA PROGETTAZIONE DEI
FILTRI IN GEOTESSILE
2.1 Interazione terreno-geotessile
L’interazione terreno di base – geotessile è un processo molto complesso in cui sono coinvolti
molti fattori correlati al terreno di base, al geotessile ed alle condizioni al contorno (tabella 2.1).
Terreno di base Filtro di geotessile Condizioni al contorno
Distribuzione della dimensione dei pori e
apertura caratteristica di filtrazione Tipo di flusso
Densità relativa
Permeabilità Direzione di flusso
Granulometria Spessore
Stabilità interna Compressibilità Gradiente idraulico
Permeabilità Resistenza a trazione e rigidezza Continuità del contatto
all’interfaccia
Resistenza al taglio e
deformabilità Durabilità
Tensione normale e
tangenziale
all’interfaccia
Tabella 2.1. Fattori principali che influenzano l’interazione tra terreno di base e filtro in geotessile.
I principali fattori correlati al terreno di base sono la densità relativa, la granulometria, la stabilità
interna, la permeabilità, la resistenza al taglio e la deformabilità.
I principali fattori correlati al geotessile sono la distribuzione dei pori e l’apertura caratteristica di
filtrazione, la permeabilità, lo spessore, la compressibilità, la resistenza a trazione, la rigidezza e la
durabilità.
I principali fattori correlati alle condizioni al contorno sono il tipo di flusso, la direzione di flusso, il
gradiente idraulico, la continuità del contatto dell’interfaccia terreno di base-filtro, la pressione
verticale efficace e la resistenza la taglio all’interfaccia terreno di base-filtro.
Tipiche applicazioni di condizioni di flusso stazionario unidirezionale sono: le dighe in terra, i muri di
contenimento, le discariche, le trincee drenanti, i dreni verticali ed orizzontali. La Tabella 2.2 mostra il
campo di variazione delle condizioni al contorno per queste applicazioni, in termini di pressione
verticale efficace e gradienti idraulici applicati.
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Applicazione
Tipici
gradienti
idraulici
Pressione
efficace
(kPa)
Trincee di drenaggio 1 50-80
Muri di sostegno 1.5 60-200
Dreni verticali 0-10 100-150
Dighe 2-15 100-1500
Dreni orizzontali 0.1-1.5 100-500
Sistemi di copertura
di discariche 1 60-100
Sistemi di raccolta del
percolato 1 200-400
Tabella 2.2. Tipico campo di variazione delle condizioni al contorno per filtri geotessili in flusso stazionario
monodirezionale
Tipiche applicazioni di condizioni di flusso non stazionario ciclico sono: gli argini, gli strati di
separazione e di rinforzo in fondazioni sommerse, protezioni offshore. La figura 2.1 mostra i campi di
variazione delle condizioni al contorno tipici di queste applicazioni , in termini di pressione verticale
efficace e gradienti idraulici applicati.
Figura 2.1. Tipici campi di variazione delle condizioni al contorno in condizioni di flusso ciclico non stazionario (Moraci, Tondello , 1996)
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2.2 Processo di filtrazione Tutti i terreni possiedono una struttura principale di particelle, uno scheletro continuo di particelle di
diverse dimensioni in contatto tra esse, che sopporta i carichi e trasferisce le tensioni, entro il quale
sono intrappolate particelle più piccole. Tale scheletro è una struttura tridimensionale difficile da
rappresentare graficamente. In figura 2.2 osserviamo un materiale particellare costituito da sfere
fotosensibili soggetto ad un carico esterno con le catene di forza ben visibili che si sviluppano solo
lungo particolari particelle più luminose mentre le altre particelle, più scure, non partecipano alla
trasmissione del carico.
Figura 2.2. Catene di forza lungo lo scheletro solido in una miscela di sfere fotosensibili.
In figura 2.3 sono illustrati alcuni casi di agglomerati di particelle di terreno che possono presentarsi al
contatto con un filtro in geotessile . E’ importante notare che al contatto e vicino all’interfaccia tra
terreno e filtro ci sono molte particelle che non sono intrappolate all’interno dello scheletro solido
(figura 2.3.b) poiché lo scheletro è interrotto all’interfaccia ed è leggermente disorganizzato nelle sue
vicinanze.
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Sotto l’azione della forza di trascinamento esercitata dal flusso dell’acqua queste particelle si
sposteranno verso il filtro. Se le aperture del filtro sono troppo piccole, queste particelle si
accumuleranno sul filtro formando un agglomerato (“cake”) con permeabilità significativamente
inferiore alla permeabilità del sistema terreno/filtro. La rimozione delle particelle più piccole può
portare alla formazione, nel terreno di base, di una zona di filtrazione con permeabilità leggermente
più alta di quella del resto del terreno. Questa zona sarà prossima al filtro se non c’è il “cake” detto
sopra, altrimenti sarà prossima al “cake” formando la seguente successione di strati lungo la direzione
del flusso: terreno intatto (k=ks), zona di filtrazione (k > ks), agglomerato detto “cake” (k<<ks) e filtro
(k>>ks).
Da tali osservazioni è chiaro che le aperture del filtro devono essere sufficientemente grandi da
permettere il passaggio delle particelle piccole (Figura 2.3), non intrappolate dentro lo scheletro
solido, che tenderanno a muoversi. Dall’altra parte, le aperture del filtro devono essere abbastanza
piccole da ritenere le particelle dello scheletro solido, altrimenti avverrà l’erosione del terreno.
Figura 2.3. Possibili aperture del filtro in geotessile.
A questo punto si potrebbe essere tentati di dire che le aperture del filtro devono essere appena più
piccole delle particelle costituenti lo scheletro affinchè ne blocchino il movimento. Ma questo non è
completamente esatto in quanto grazie all’effetto arco (bridging), che si crea all’interfaccia del filtro,
le aperture del filtro possono essere un po’ più grandi delle dimensioni delle singole particelle dello
scheletro . Per esempio le particelle B in figura 2.4.c potrebbero passare attraverso il filtro ma non
riescono a farlo grazie all’effetto arco. E’ importante anche notare che la scelta delle aperture del filtro
non dovrebbe considerare la presenza di grosse particelle (come la particella C in figura 2.4.c).
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Figura 2.4. Funzione dello scheletro solido nella filtrazione: (a) Particelle intrappolate all’interno dello scheletro; (b)
disturbo dello scheletro in vicinanza dell’interfaccia filtro/tereno; (c) Filtro con apertura di filtrazione corretta.
2.3 Possibili Stati Limite
L’errata progettazione del filtro in geotessile può portare al raggiungimento di differenti stati limite
che comportano l’inefficienza del sistema drenante e/o la rottura della struttura .
In particolare, i possibili stati limite sono i seguenti: erosione del terreno di base, accecamento del
filtro all’interfaccia (blinding), intasamento interno (clogging) del filtro e sollevamento del filtro.
L’erosione del terreno di base avviene se le dimensioni dei pori del filtro in geotessile sono troppo
grandi e quindi non in grado di trattenere il movimento delle particelle dal terreno di base (figura 2.5).
Tale fenomeno produce significativi cambi di volume dentro il terreno di base (le deformazioni
conseguenti possono non essere compatibili con lo stato limite di esercizio della struttura) o la rottura
2. Principali fattori da considerare nella progettazione dei filtri in geotessile ___________________________________________________________________________
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della struttura. L’erosione del terreno di base avviene quando le particelle del terreno, che formano lo
scheletro solido, sono trascinate via dal flusso idraulico. Tale stato limite non si raggiunge se il flusso
idraulico trascina particelle fini che non appartengono allo scheletro solido del terreno di base (terreni
internamente instabili).
Figura 2.5.Stato limite di erosione.
Lo stato limite di accecamento (blinding) avviene invece quando il flusso idraulico sposta particelle
del terreno di base con dimensione più grandi di quelle dei pori del geotessile e queste si accumulano
sull’interfaccia terreno di base-filtro. Si viene a creare così una zona a bassa permeabilità che consente
l’insorgere di elevate pressioni dell’acqua (stato limite) con i conseguenti effetti sulla stabilità della
struttura (figura 2.6).
Figura 2.6. Stato limite di blinding.
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Lo stato limite per clogging (figura 2.7) avviene quando il movimento delle particelle del terreno di
base porta all’intasamento dei pori del filtro ed alla diminuzione della permeabilità dello stesso. Il
fenomeno produce un decremento della capacità di drenaggio del sistema filtrante. Il conseguente
incremento di pressione dell’acqua può essere la causa di problemi di stabilità (per flusso orientato
verso l’alto).
Figura 2.7. Stato limite di clogging.
Lo stato limite per sollevamento del filtro (Mouw et al. 1986) avviene quando i carichi idraulici
producono il distacco ciclico dovuto alla discontinuità del contatto tra filtro in geotessile e strato di
protezione esterna (rip-rap). Quando non esiste nessun contatto tra il terreno di base ed il filtro in
geotessile, il terreno è soggetto localmente ad una pressione efficace uguale a zero. In questo caso
(contatto discontinuo) avviene il sollevamento e le particelle del terreno di base possono muoversi
liberamente (figura 2.8).
Figura 2.8. Stato limite di sollevamento.
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2.4 Stabilità interna dei terreni granulari
2.4.1 Terreni stabili
Definiamo un terreno internamente stabile se, attraversato da un flusso d’acqua, la sua struttura interna
non è suscettibile di variazioni apprezzabili .
Da quanto detto appare che nel caso di terreno internamente stabile il flusso dell’acqua attraverso un
filtro con appropriate aperture dovrebbe essere limpido, dopo un periodo iniziale durante il quale
conterrà particelle in sospensione. Ci si può aspettare che un tale filtro funzioni per sempre a meno che
avvenga un grande aumento di portata del flusso, o un disturbo strutturale del terreno dovuto per
esempio a terremoti o frane, o si sviluppi un forte intasamento (“clogging”) chimico/organico.
2.4.2 Terreno internamente instabile
In un terreno internamente instabile esiste una struttura, detta scheletro solido, costituita da particelle
in contatto tra loro che trasferiscono i carichi tensionali. Dentro i pori di tale struttura possono esistere
particelle che non hanno una posizione fissata, non trasferiscono tensioni, e possono spostarsi nei pori
confinanti se sufficientemente piccole (figura 2.9).
Figura 2.9. Scheletro solido che trasferisce le tensioni e particelle all’interno dei pori.
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In particolare se le costrizioni (le strette gole che congiungono due pori) nella rete dei pori dello
scheletro principale sono più grandi delle particelle sciolte quest’ultime possono essere trasportate.
Tali costrizioni sono variabili in dimensione ed in numero in funzione della distribuzione in numero
delle particelle. Se esiste una deficienza in numero di particelle in un certo intervallo dimensionale
allora esisterà una corrispondente deficienza in numero di costrizioni di dimensioni tali da non poter
bloccare, sotto l’azione di trascinamento del flusso d’acqua, le particelle più piccole alle quali sarà
permesso un continuo passaggio innescando un fenomeno di erosione che si sviluppa in diverse fasi.
Inizialmente si ha una migrazione di poche particelle all’interno del terreno, la c.d. soffusione, con la
quale non si hanno variazioni di volume del terreno e tutto sommato lo scheletro solido continua ad
essere stabile. All’aumentare del gradiente idraulico e man mano che queste particelle migrano
aumentano le dimensioni dei canalicoli, all’interno dei quali le particelle si spostano, fin quando si
creano dei veri e propri canali in cui la permeabilità è molto elevata, rispetto al resto del terreno, ed in
cui l’acqua fluisce senza incontrare ostacoli portando a sensibili variazioni dello scheletro solido ed
una notevole erosione del terreno di base (piping).
In un sistema filtrante costituito da un terreno internamente instabile ed un geotessile con funzione di
filtro, una quantità significativa di particelle fini migrerà sotto l’azione della forza di trascinamento
esercitata dal flusso. Se le aperture del filtro sono tali che molte di queste particelle siano ritenute, esse
si accumuleranno al di sopra del filtro e come risultato, la permeabilità del sistema filtrante
terreno/filtro subirà una diminuzione significativa. Quindi le aperture del filtro dovrebbero essere tali
da minimizzare l’accumulo di queste particelle infatti se le aperture del filtro sono grandi abbastanza
da permettere il passaggio delle particelle in movimento attraverso esso, una quantità eccessiva di
particelle che si spostano causerà una eccessiva ridistribuzione granulometrica all’interno del terreno
di base con possibile formazione di cavità.
In questi casi o le aperture del filtro sono troppo piccole, causando intasamento all’interfaccia, oppure
se troppo grandi causeranno il depauperamento del terreno di base.
In altri casi di terreni internamente instabili potrebbe esistere un appropriato apertura del filtro. Ad
esempio quando il filtro ha aperture tali che le particelle accumulate all’interfaccia non sono troppo
piccole e formano uno strato di media permeabilità che non diminuisce in maniera inaccettabile la
permebilità del sistema filtrante oppure quando in presenza di un filtro spesso (ad esempio un
geotessile nontessuto agugliato) le aperture e la distribuzione spaziale dei pori sono tali che alcune
particelle rimangono intrappolate nel filtro portando progressivamente un equilibrio tra filtro e terreno
di base.
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2.5 Metodi teorici per la determinazione della stabilita’ interna
Nei terreni internamente instabili, definiti nel precedente paragrafo, l’insorgere della soffusione,
ovvero della migrazione delle particelle fini attraverso le costrizioni ed i pori dello scheletro solido, è
subordinato al verificarsi di due condizioni: una condizione geometrica ed una idraulica. Infatti
affinchè possa instaurarsi il movimento delle particelle fini è necessario che esistano delle costrizioni
di dimensioni maggiori delle particelle (condizione geometrica) e che la forza di trascinamento,
esercitata dal flusso, sia tale da vincere tutte le forze (spinta di galleggiamento, forza d’attrito tra grani,
forze di Van der Walls) che possano opporsi al moto (condizione idraulica).
Per la difficoltà di schematizzarne le diverse forze che entrano in gioco, per la verifica della stabilità
interna si trascura la condizione idraulica, e cautelativamente ci si riferisce alla sola condizione
geometrica.
I primi ricercatori che hanno studiato il movimento dei grani fini nei mezzi porosi, hanno verificato
che la soffusione non si verifica se la dimensione media dei pori dp è inferiore alla dimensione della
particella più piccola Dmin:
(1) minDdp <
Considerando le trattazioni sviluppate per un sistema di tubi capillari di diametro variabile e
sfruttandone le analogie con un sistema di pori il dp è espresso dalla seguente espressione:
(2) α
Dh
n
ndp ⋅
−⋅=1
4
Dove:
α = coefficiente di forma dei grani;
Dh = diametro efficace dei grani = DiSi;
Di = diametro medio delle particelle appartenenti all’intervallo i-esimo;
∆Si = percentuale in peso delle particelle appartenenti all’intervallo i-esimo.
2.5.1 Metodo di Kezdi (1969)
Kézdi nei suoi studi correlò il pericolo dell’erosione del materiale granulare al concetto di
autoprotezione, che viene definito in funzione della compatibilità granulometrica di una generica
frazione considerata idealmente come materiale di base, rispetto alla restante parte del terreno, che
costituisce il filtro.
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Egli divise la curva granulometrica del materiale in due parti in corrispondenza di un diametro
arbitrario Dn ottenendo due nuovi terreni, uno costituito dalle particelle con diametro Dc maggiore di
Dn (costituente il nuovo filtro) ed uno formato dai granuli di dimensioni Df minore di Dn (costituente
il nuovo terreno da proteggere). L’autore propone allora di verificare la capacità di ritenzione e di
permeabilità applicando il classico criterio di Terzaghi:
(3) fcf DDD 151585 44 >>
dove:
D85f e D15
f= diametri corrispondenti rispettivamente all’ 85% ed al 15% del passante in peso della
frazione di terreno avente diametri delle particelle minori di Dn;
D15c= diametro corrispondente al 15% del passante in peso della frazione di terreno avente diametri
delle particelle maggiore di Dn;
Se come evidenziato dal grafico di figura 2.10 la relazione sopra è soddisfatta per ogni Dn del
materiale di partenza il terreno può considerarsi internamente stabile.
Se le disuguaglianze non sono verificate e due tra le curve 4D85f(Dn), D15
c(Dn) e 4D15f (Dn)
ammettono intersezione si otterrà un diametro critico Dc e le particelle che avranno dimensioni minori
o uguali potranno migrare all’interno della rete di pori del terreno.
Figura 2.10. Rappresentazione grafica del metodo di Kezdi (1969).
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Figura 2.11. Rappresentazione grafica del metodo di Kezdi (1969).
2.5.2 Metodo di De Mello (1975)
Nel 1975 De Mello propose un test che, come quello di Kèzdi, si basa sulla divisione della curva
granulomerica in due parti per tutti i diametri ed utilizzò la condizione convenzionale dell’U.S.C.E
(United States Corps of Engineers).:
(4) 585
15<
F
C
D
D
Dove con il pedice C si indica la parte più grossolana del terreno e con F la parte più fine. De Mello
considerava il suo metodo applicabile solo ai terreni aventi una curva granulometrica irregolare.
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2.5.3 Metodo di Sherard (1979)
Sherard sviluppò il metodo di analisi con ulteriori interpretazioni, definendo l’indice di instabilità
interna
(5) 585
15<=
F
C
D
DIr
Dove:
D15C = diametro corrispondente al 15% del passante in peso della curva granulometrica ottenuta dalla
frazione di terreno avente diametri delle particelle maggiori di Dx;
D85F = diametro corrispondente all’ 85% del passante in peso della curva granulometrica ottenuta dalla
frazione di terreno avente diametri delle particelle minori di Dx;
Dx = diametro di divisione della curva granulometrica iniziale.
Figura 2.12. Rappresentazione grafica del metodo di Sherard (1981).
Sherard presentò un metodo computazionale per calcolare Ir a partire dall’intera curva granulometrrica
del terreno di base.
In tabella 2.3 e nella figura 2.12 è indicato un tipico esempio di applicazione del metodo suddetto.
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Tabella 2.3 . Rappresentazione numerica del metodo computazionale di Sherard (1979).
Figura 2.13. Metodo computazionale di Sherard (1979).
Nell’esempio illustrato in Tabella 2.3 il terreno è valutato come internamente instabile perché Ir è più
grande di 5 per diametri minori di 0.063 mm corrispondente al 23.42 % della misura del passante in
peso. Costruendo un grafico (Figura 2.14) in cui si esprime il rapporto Ir in funzione della % di
passante della curva granulometrica si può immediatamente stimare se il terreno è instabile oppure
stabile e stimare il diametro critico al di sotto del quale le particelle sono libere di muoversi.
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Figura 2.14. Rapporto della stabilità interna in funzione del passante % relativo al Dx.
2.5.4 Metodo di Kenney e Lau (1985)
Kenney e Lau hanno eseguito prove di filtrazione in materiali granulari con flusso verso il basso con
l’aggiunta di leggere vibrazioni per creare delle condizioni più gravose e, a regime, sono stati separati i
vari strati del campione e per ogni strato è stata fatta la granulometria. Nel campione si sono formate
tre zone con differenti caratteristiche:
1) una zona superiore a granulometria maggiore di quella di partenza che testimonia l'esistenza di
particelle sciolte che si possono muovere attraverso il campione e migrare negli strati inferiori dello
stesso;
2) una zona omogenea centrale che ha la stessa granulometria del materiale iniziale, o in qualche caso
il materiale ha una curva granulometrica “maggiore”, con evidente perdita di particelle al suo interno;
3) una zona di fondo di transizione.
Se la zona di fondo di transizione è piccola e la zona adiacente centrale conserva la composizione
granulometrica del materiale iniziale allora il terreno può essere considerato stabile altrimenti se la
zona centrale presenta una granulometria con percentuali di fine minori del terreno iniziale il terreno
può essere considerato instabile.
Dall'analisi dei risultati ottenuti Kenney e Lau hanno proposto un metodo grafico per la valutazione
della evolvente instabilità potenziale del terreno. Essi hanno costruito la cosiddetta ''shape curve''
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illustrate in Figura 2.15.
Figura 2.15. Metodo della “shape curve” di Kenney and Lau (1985).
Nella parte a sinistra del diagramma per ogni punto della curva granulometrica con percentuale di
passante F e diametro D, si calcola il valore di H che rappresenta la percentuale di particelle in grado
di ritenere quelle di diametro generico D.
H è dato dalla differenza fra la percentuale in peso passante in corrispondenza al diametro 4D e quella
in corrispondenza a D. E' così possibile diagrammare il valore di H in funzione di F ripetendo la
procedura per molti punti della curva granulometrica. La ragione per cui è stato scelto l’intervallo dei
diametri fra D e 4D deriva dall’evidenza statistica che i pori che si formano in un sistema particellare
hanno dimensioni approssimativamente uguali ad un quarto della misura delle particelle del terreno.
Questo significa che le particelle di diametro D possono passare attraverso pori formati da grani di
diametro 4D e più grandi. Per prevenire questo trasporto, dovrà essere presente una quantità adeguata
di pori formati da particelle di diametro compreso fra D e 4D definita dal valore di H. Se H è grande
quindi le particelle di diametro D non possono essere rimosse.
La linea di confine che nella “shape curve” divide i terreni stabili da quelli instabili è stata definita da
Loebotsjkov (1969) ed è data dall’espressione H=1.3 F, che è stata modificaa nel 1986
nell’espressione H=1.0 F.
Gli autori hanno notato che i terreni instabili difettavano di alcuni diametri particolari con un valore di
H più piccolo di quello dato dallo streep limite e quindi con la loro shape curve ricadente al di sotto
della retta limite di Loebotsjkov; al contrario accade per i materiali stabili con la corrispondent shape
curve sempre al di sopra della linea di confine.
Secondo gli autori le particelle sciolte libere di migrare all’interno dei pori del manufatto primario
sono al massimo il 20% in peso per i terreni a granulometria estesa ed il 30% per i terreni uniformi, e
quindi la validità della linea limite si avrà fino alle percentuali in peso indicate nei due casi.
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2.5.5 Metodo di Chapuis (1992)
Il metodo trasforma i criteri di Kezdi (1969), Sherard (1979) e Kenney e Lau (1985) in forma grafica
individuando valori limite superiori delle pendenze secanti alla curva granulometrica del terreno in
esame.
Criterio equivalente di Sherard (1979)
Il metodo di Sherard (1979) è illustrato in Figura. Dopo aver diviso la curva ganulometrica in due parti
è definito un grado di instabilità Ir definito come il rapporto D15coarse/D85fine. Secondo Sherard (1979)
questo rapporto deve essere inferiore a 5 per evitare l’instabilità interna delle particelle fini negli spazi
vuoti delle particelle grosse.
Chiamato A il punto in corrispondenza del quale la curva granulometrica è divisa, la percentuale di
particelle più piccole della dimensione DA è chiamata YA. Nella parte di terreno fine il punto B
corrisponde ad XB = log D85(fine) ed alla percentuale YB = 0.85 YA. Nella parte di terreno grossa il
punto C corrisponde a XC = log D15(coarse) ed alla percentuale:
(6) YC = YA + 0.15 (100-YA) = 0.85 YA +0.15 .
Conseguentemente la differenza tra YC e YB è:
(7) YC – YB = 0.15 = 15% di percentuale totale.
La pendenza della curva granulometrica nelle vicinanze del punto A può essere approssimata dalla
pendenza della linea secante BC che vale:
(8) BC
BC
XX
YYP
−
−=
Dove XB = log D85(fine) e XC = log D15(coarse) . Dalla XC – XB = log D15(coarse)-logD85(fine) =
log Ir sostituendo alla 8)
(9) Ir
Plog
15.0=
Quindi il metodo di Sherard (1979) espresso dalla Ir < 5 è equivalente al seguente:
se un terreno ha nella sua curva granulometrica una pendenza minore del 21.5% esso sarà incapace di
stabilizzare le particelle più fini della dimensione dei grani in corrispondenza di tale pendenza.
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Criterio equivalente di Kezdi (1969)
Nel metodo di Kezdi (1969) dopo aver diviso la curva granulometrica in due occorre che la parte
comprendente particelle piu grosse deve soddisfare il criterio di Terzaghi (1943) affinchè sia un buon
filtro per la parte di particelle più fini.
I terreni granulari di solito verificano la seconda diseguaglianza (D15coarse > 4· D15 fine) eccetto i
terreni uniformi che però non sviluppano problemi di instabilità interna.
La prima diseguaglianza può essere riscritta come Ir < 4. Di conseguenza il criterio di Kezdi (1969) è
equivalente al seguente:
se un terreno ha nella sua curva granulometrica una pendenza inferiore al 24.9 % esso sarà incapace di
stabilizzare le particelle più fini della dimensione dei grani in corrispondenza di tale pendenza.
Criterio equivalente di Kenney e Lau (1985)
Infine nel metodo di Kenney e Lau (1985,1986) la percentuale di particelle aventi un diamero
compreso tra d e 4d deve essere almeno uguale alla percentuale di particelle più piccole di d (valido
nel campo d < D20 per terreni a granulometria estesa):
(10) P(d÷4d) > P(<d)
Nella figura se A è il punto corrispondente alla dimensione d, la percentuale di particelle più piccole di
d = DA = XA è chiamata YA. Se E è il punto corrispondente alla dimensione 4d, la percentuale di
particelle più piccole di 4d = DE = XE è chiamata YE. La pendenza della curva granulometrica
nell’intorno del punto A può essere approssimata alla pendenza della linea secante AE che vale:
(11) aE
AE
XX
YYP
−
−=
E la condizione 10) diventa
(12) dd
YP A
log4log −>
Cioè
(13) P>1.66 YA
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Per l’intervallo d ≤ D20 questa disequazione ha i seguenti valori: per d=D5 P > 0.083, per d=D10 P >
0.166; per d=D15 P > 0.249 e per d=D20 P > 0.332.
Quindi il metodo di Kenney e Lau (1985) è equivalente al seguente: in corrispondenza di un diametro
Dy ( con Y ≤ 20) la pendenza della curva granulometrica deve essere più alta di 1.66Y per avere
stabilità interna.
Figura 2.16. Metodo di Chapuis (1992).
2. Principali fattori da considerare nella progettazione dei filtri in geotessile ___________________________________________________________________________
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Figura 2.17. Pendenze secanti limite di Chapuis (1992).