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ESEGESI DELLE FONTI DEL DIRITTO ROMANO lunedì 26 settembre 2011 Pensiero della giurisprudenza Romana L’evoluzione 1° fase, più antica: viene fondata Roma (752 a.C. fino al 300 a.C.) Si crea anche la giurisprudenza, nascono i primi giuristi. Sono dei religiosi, chiamati pontefici. Nel collegio dei pontefici vi fanno parte solo i Patrizi. Eleggono tra tutti loro un pontefice che prenderà la carica di tenere rapporti con il pubblico, con i cittadini. Svolge un servizio pubblico di consultazione giuridica. Il cittadino per conoscere il diritto si reca al collegio. Il pontefice nel offrirgli una risposta ha due possibilità: - questione non controversa: risponde subito alla domanda del cittadino - questione controversa: non risponde subito ma convoca l’intero collegio e sottopone la questione anche agli altri. La risposta finale viene scelta tramite una votazione. Il diritto si caratterizza per essere controverso. Non tutti coincidono su tutto. In questa prima fase il cittadino non conosce le altre possibili risposte alla sua domanda tranne quella finale. Le risposte non scelte vengono scritte nei libri segreti. 2° fase, privatizzazione dei pontefici Inizia un fenomeno particolare. Alcuni (ex)pontefici iniziano a rispondere a privati cittadini, lavoro che prima veniva fatto soltanto dal pontefice prescelto. Nasce così la figura del giurista laico. Cicerone offre una definizione di ‘giurista’. Giurista è colui che è esperto di legge + introduce 3 verbi che definiscono la sua attività: RESPONDERE - CAVERE - AGERE Possiamo riassumere tutti e tre i verbi nell’unico verbo ‘respondere’. Il giurista risponde al quesito. Questa risposta si precisa nel ‘respondere’ in senso stretto (il giurista risponde da un fatto già accaduto; es.: anello di fidanzamento & divorzio.) Il secondo verbo ‘cavere’ denomina un atto che ancora deve essere compiuto (es.: diseredare il figlio per aver offeso il padre in pubblico.) Terzo verbo ‘agere’ è un parere circa il processo. (es.: schiavo ferito) La sentenza del giudice sceglie un parere tra quelli disponibili. Un parere diventa certo, gli altri vengono dimenticati. Grazie alle sentenze il diritto diventa sempre più certo e meno controverso. I giuristi non sono più religiosi. Studiano il diritto. Il grado delle controversie aumenta con l’aumentare dei giuristi. Meno giuristi significa meno controversie. Per questo motivo l’imperatore Augusto decide di diminuire la quantità delle persone che possono rilasciare diritto (Ius Publice Respondendi = diritto di rispondere con valore pubblico). Solo coloro che hanno questo diritto possono svolgere l’attività giuridica. 3° fase (290 d.C.) apprendiamo due notizie: - Non conosciamo più nessun nome di alcun giurista. Sembrano scomparsi. Vengono però pubblicati due codici privati: Codice Gregoriano & Codice Ermogeniano. Loro due sono giuristi che pubblicano i riassunti imperiali, copiano le leggi emanate dagli imperatori. Il giurista non è più colui che rilascia risposte ma diventa un soggetto che raccoglie le scritture imperiali. L’unica fonte del diritto è l’imperatore. I giuristi sono confluiti all’interno

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ESEGESI DELLE FONTI DEL DIRITTO ROMANO!!!!lunedì 26 settembre 2011! !Pensiero della giurisprudenza Romana!L’evoluzione!!1° fase, più antica: viene fondata Roma (752 a.C. fino al 300 a.C.)!Si crea anche la giurisprudenza, nascono i primi giuristi. Sono dei religiosi, chiamati pontefici. Nel collegio dei pontefici vi fanno parte solo i Patrizi. Eleggono tra tutti loro un pontefice che prenderà la carica di tenere rapporti con il pubblico, con i cittadini. Svolge un servizio pubblico di consultazione giuridica. Il cittadino per conoscere il diritto si reca al collegio. Il pontefice nel offrirgli una risposta ha due possibilità:!- questione non controversa: risponde subito alla domanda del cittadino!- questione controversa: non risponde subito ma convoca l’intero collegio e sottopone la

questione anche agli altri. La risposta finale viene scelta tramite una votazione.!!Il diritto si caratterizza per essere controverso. Non tutti coincidono su tutto.!In questa prima fase il cittadino non conosce le altre possibili risposte alla sua domanda tranne quella finale. Le risposte non scelte vengono scritte nei libri segreti.!!2° fase, privatizzazione dei pontefici!Inizia un fenomeno particolare. Alcuni (ex)pontefici iniziano a rispondere a privati cittadini, lavoro che prima veniva fatto soltanto dal pontefice prescelto. Nasce così la figura del giurista laico.!Cicerone offre una definizione di ‘giurista’. Giurista è colui che è esperto di legge + introduce 3 verbi che definiscono la sua attività: RESPONDERE - CAVERE - AGERE!Possiamo riassumere tutti e tre i verbi nell’unico verbo ‘respondere’. Il giurista risponde al quesito. Questa risposta si precisa nel ‘respondere’ in senso stretto (il giurista risponde da un fatto già accaduto; es.: anello di fidanzamento & divorzio.)!Il secondo verbo ‘cavere’ denomina un atto che ancora deve essere compiuto (es.: diseredare il figlio per aver offeso il padre in pubblico.)!Terzo verbo ‘agere’ è un parere circa il processo. (es.: schiavo ferito)!!La sentenza del giudice sceglie un parere tra quelli disponibili. Un parere diventa certo, gli altri vengono dimenticati. Grazie alle sentenze il diritto diventa sempre più certo e meno controverso.!!I giuristi non sono più religiosi. Studiano il diritto. Il grado delle controversie aumenta con l’aumentare dei giuristi. Meno giuristi significa meno controversie. Per questo motivo l’imperatore Augusto decide di diminuire la quantità delle persone che possono rilasciare diritto (Ius Publice Respondendi = diritto di rispondere con valore pubblico). Solo coloro che hanno questo diritto possono svolgere l’attività giuridica. !!3° fase (290 d.C.) apprendiamo due notizie:!- Non conosciamo più nessun nome di alcun giurista. Sembrano scomparsi. Vengono però

pubblicati due codici privati: Codice Gregoriano & Codice Ermogeniano. Loro due sono giuristi che pubblicano i riassunti imperiali, copiano le leggi emanate dagli imperatori. Il giurista non è più colui che rilascia risposte ma diventa un soggetto che raccoglie le scritture imperiali. L’unica fonte del diritto è l’imperatore. I giuristi sono confluiti all’interno

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dell’apparato imperiale. Sono giuristi anonimi.Le controversie non sorgono più però rimangono quelle vecchie, scritte nei libri che girano. Gli imperatori hanno idee diverse (Costantinopili vs. Ravenna).Valentiniano III. emana la “legge delle citazioni” detta anche “tribunale dei morti”. Con essa vengono cancellati tutti i giuristi precedenti.“Sono fonte di diritto soltanto gli scritti, i pareri e le oppinioni dei CINQUE GIURISTI:Paolo, Ulpiano, Modestino, Papiniano, Gaio !

- Teodosio II.: lui ha un’idea diversa. Vuole fare un codice dai due esistenti e destinarlo agli studiosi di diritto. Contiene soltanto costituzioni imperiali a partire da Costantino. C’è però l’idea di fare anche un secondo codice destinato alla pratica. Conteneva solo costituzioni imperiali a partire da Costantino però solo quelle in vigore. Vengono inseriti anche i testi della giurisprudenza classica.Questo progetto fallisce. Viene pubblicato solo un codice che conteneva semplicemente costituzioni imperiali.!!

4° fase (530 & 533). L’imperatore è Giustiniano. Decide di fare una raccolta inserendo solo testi della giurisprudenza classica. Viene pubblicato il Digesto con testi di giuristi classici. Questi testi appartengono a circa 40 giuristi classici.!!D. 1,5,26 libro, titolo, passo!!Giustiniano fa la raccolta e da l’ordine di non aver timore a modificare i testi controversi.!!!!martedì 27 settembre 2011!!Il testo è sul concepito, nascituro. Nelle fonti Romane i termini usati sono diversi. Loro sono molto attenti alla realtà delle cose. Il termine di maggior uso è ‘qui in utero est’ - colui o coloro quali sono nell’utero. Questo è il termine tecnico per definire il concepito. Si trova anche partus (significa concepito oppure neonato). Anche nell’antichità si discuteva circa la natura del concepito. Si oscillava su due sostanziali posizioni. La natura del concepito era controversa per la medicina. I medici antichi non erano d’accordo circa il fatto, considerazione del nascituro. Ipocrate prometteva nel giuramento di non dare nessun farmaco agli uomini che causasse la morte e allo stesso tempo prometteva di non dare alla donna nessun farmaco che le causasse l’aborto. Ipocrate individuava 4 fasi dello sviluppo nella vita intrauterina del concepito. Certamente c’erano medici che non consideravano il concepito come un individuo esistente ma come una mera parte della madre. Qualcosa che si confondeva con la madre e non aveva diritto di considerarsi come parte autonoma. Icesio dice che il concepito non è animal, non è essere vivente ma è una parte della madre. Non ha la dignità di una propria esistenza. Lo stesso si può dire a proposito di filosofi e scrittori cristiani. Le posizioni sono 3. Si dividono. Da una parte la filosofia storica, gli storici che influenzano la giurisprudenza Romana. Questi filosofi per individuare il momento in cui il concepito si definisce esistente fanno riferimento all’anima. Nel momento in cui il concepito acquista un’anima si considera come un essere vivente. Gli storici considerano il concepito come il frutto di una pianta. Come il frutto diventa autonomo nel momento in cui si stacca dalla pianta allo stesso modo il concepito diviene essere vivente soltanto nel momento in cui nasce. Dicono che l’anima viene infusa nel bambino soltanto nel momento della nascita, con il primo respiro entra nel corpo del bambino.!

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I pensatori cristiani si dividono. Alcuni all’opposto agli storici sostengono che l’anima venga infusa da dio nel momento stesso del concepimento. Fin dal momento del concepimento il nascituro dovrebbe essere considerato come un individuo esistente, dotato della propria anima. Essere vivente al pari della madre. Accanto a questi ci sono anche altri pensatori cristiani che introducono una distinzione. Vale a dire che Dio infonderebbe l’anima non dal momento del concepimento ma in un momento successivo. Questi scrittori distinguono fra creature non formate e creature già formate. Non hanno l’anima e non si considerano come esseri viventi. Al contrario sono da considerarsi esistenti le creature già formate. Adesso arriviamo nel campo giuridico. Ci sono alcuni passi nei quali a proposito del concepito si usano delle espressioni che sembrano che il concepito fosse considerato una parte della madre. Una di queste espressioni è Spes Animantis. Il concepito è una mera speranza di un essere vivente. Non è un individuo esistente ma è una speranza che potrà diventare un essere vivente. Un’altra espressione nelle fonti è ‘quod utero est’. Quod è di genere neutro e indica il fatto che il concepito fosse solo una parte della madre. Altra espressione è ‘portio materis del viscerum’. Altra espressione ancora ‘in rerum natura’ oppure ‘in rebus humanis’. In questi due casi il nascituro viene considerato come essere vivente. Uno studioso di diritto Romano che si chiama Anrò ha pensato che se fossero affermati due diversi indirizzi giurisprudenziali - un gruppo sosteneva che il concepito fosse parte della parte; e un gruppo che pensava il concepito come individuo già esistente. La gran parte degli studiosi non considera questo come nessuna controversia giurisprudenziale. Quindi cercano di spiegare questa apparente contraddizione. I giuristi Romani hanno considerato il concepito come una mera parte della madre. Tuttavia in determinati casi i giuristi Romani lo avrebbero finto o parificato al nato perché quel concepito porta in se la speranza di diventare un uomo, la ‘spes homini’. Un altro indirizzo, fondato dallo studioso chiamato Albertario, distingue due gruppi di testi. Dice, in alcuni casi i giuristi descrivono la situazione fisiologica del concepito. Da questo punto di vista il concepito non esiste. Poi dice anche che in altri casi viene indicata la posizione giuridica del concepito. Dal punto di vista giuridico viene fino al nato. Sostiene che il diritto va oltre alla natura. Il concepito non esiste nella natura ma è il diritto quello che lo fa esistere. Un altro studioso spiega che non c’è nessuna contraddizione. Laddove si dice che il concepito è mera parte della madre, questi sono testi che si occupano del concepito come oggetto di diritti. Un’altra interpretazione che risale alla glossa ma non ha nelle fonti giuridiche romane nessun fondamento. Nella glossa si distingue due tipi di testi. Certi si riferiscono ai concepiti, nascituri, che non abbiano ancora compiuto i 40 giorni di vita. Gli altri testi invece fanno riferimento ai concepiti che abbiano già oltrepassato la soglia dei 40 giorni. Ultima oppinione moderna (nome di riferimento: Catalano) che sostiene invece che i giuristi Romani ritengano il concepito un uomo salvo alcune eccezioni.!!L'opinione dominante sostiene che le fonti giuridiche romane non sono contraddittorie. I giuristi romani consideravano il concepito come una mera parte della madre. Non come un essere esistente bensì come una parte del corpo altrui. Tuttavia i giuristi per potergli attribuire determinati diritti in certi casi lo finsero nato. !!D. 1, 5, 26: I concepiti in quasi tutto il diritto civile sono considerati in rerum natura.

Seguono 4 esempi nei quali il giurista procede ad esemplificare: al concepito vene concessa l’eredità. I concepiti venivano considerati eredi legittimi. Viene richiamata la legge delle XII tavole: se il padre muore senza aver fatto testamento, questa legge prevede un ordine di successione. Il primo a succedere era il figlio. Poi succede il nipote, in caso in cui il figlio sia morto. Troviamo anche la moglie in caso in cui si fosse risposata. Secondo questa legge succedevano i figli nati nel momento della morte del padre ma anche quelli già concepiti al tempo della morte. Entrambi sono considerati eredi. Secondo esempio: cittadino romano viene rapito. Se riesce a tornare nell’impero

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romano ha diritto ad avere la stessa condizione giuridica che aveva prima della cattura. Il caso nel digesto è la cattura della donna che poi diventa incinta. Se la donna torna in patria ha diritto ad essere reintegrato nella sua situazione del padre o della madre. Questo dipendeva se ci fosse stato o meno un matrimonio. Se il matrimonio c’era assumeva il figlio la condizione del padre. Se il matrimonio non c’è assumeva la posizione della madre. Terzo caso: si parla di usucapione (modo attraverso il quale si acquista la proprietà di una cosa con speciali requisiti). Non si può usucapire una cosa rubata. Giuliano prospetta questo caso. Un ladro sottrae al dominus una schiava incinta. La schiava viene poi venduta ad un compratore in buonafede. La conseguenza è che questa schiava partorisce e non possono ne lei ne il bambino essere usucapiti. Entrambi rimangono nella titolarità del dominus originario. Ultimo caso: gli schiavi possono diventare uomini liberi in forza di un atto volontario del dominus che si chiama manomissione. Atto con il quale il dominus da la libertà allo schiavo. Il dominus poi diventa patrono e lo schiavo diventa liberto. Il liberto si obbligava a compiere determinate cose (es. numero di giornate lavorative gratuite). Quando il patrono moriva trasmetteva questi diritti ai figli, la stessa cosa vale per il liberto. Questi diritti di patronato si trasmettono dal patrono al figlio concepito.!!

D. 38, 16, 7: ipotesi dell’eredità legittima. Succede il figlio già nato oppure se il figlio è stato concepito prima della morte dell’ereditando allora è ritenuto in rerum natura. Significa che il nipote può succedere se il figlio muore perché già concepito al tempo della morte.!!

D. 1, 5, 7: distingue due situazioni. Una nella quale per il concepito ci sia un vantaggio, quello di essere erede, di poter ereditare. Seconda situazione, l’utilità del vantaggio non è nel concepito. Il padre assume a se un figlio diventato orfano. Questo cittadino non poteva rifiutarsi, doveva essere il tutore dell’orfano. Ci sono alcuni casi in cui questo cittadino può rifiutare. Una causa è quella di essere padre di 3 figli. Paolo dice: nel caso in cui viene in considerazione il vantaggio del concepito, costui si consideri in rebus humanis. Se invece viene in considerazione il vantaggio di un terzo allora il concepito non potrà essere ____ dal terzo se non dal momento della nascita. Colui che sta nell’utero si considera concepito quando c’è vantaggio per il padre. !!!

lunedì 3 ottobre 2011!!L’opinione dominante della dottrina.!!I Basilici sono una grande compilazione orientale in lingua greca, risalenti al 900 d.C. Viene fatta con quasi tutto il materiale contenuto nel digesto, costituzioni imperiali e codex. Un imperatore, Leone VI., fa questa compilazione e inserisce il materiale che Giustiniano aveva utilizzato per il Corpus Iuris. Alcuni giuristi fanno dei commenti, brevi commenti, al testo riportato nei Basilici, questi commenti prendono il nome di “scogli”. I Basilici prendono il testo di Giuliano e lo traducono in greco. Traducono in rerum natura esse in un espressione diversa, usano i termini greci antichi (antì tekzéntos = già nato). Giuliano vive nel 140 d.C e usa l’espressione in rerum natura. Nel 260 d.C. non si usa più in rerum natura ma usano in rebus humanis. Queste espressioni vengono tradotte con anti tekzentos. Questo annulla ogni differenza lessicale. Secondo Basilici in rerum natura e in rebus humanis hanno lo stesso significato, individuo già nato. Usando un’espressione diversa per indicare la stessa cosa. Gli orientali interpretano nei Basilici il passo di Giuliano D. 1, 5, 26 alla luce del passo di Paolo. Prendono il passo di Paolo e lo usano come criterio per interpretare il passo di Giuliano. Paolo dice colui quale è nell’utero è trattato come se fosse in rebus humanis, come già nato, nei casi in cui viene in

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considerazione un suo vantaggio. I redattori dei basilici dicono la stessa cosa. Non c’è alcuna differenza tra Paolo e Giuliano. Giuliano dice i concepiti sono considerati come i nati in quasi tutto il diritto civile. Perché “in quasi”? Dicono così perché hanno presente, intendono riferirsi ai casi in cui viene in considerazione il comodo, il vantaggio del concepito. Devono dire quasi perché ci sono dei casi in cui viene in considerazione il vantaggio di un terzo, in questi casi non è considerato come già nato. Giuliano direbbe la stessa cosa però in forma implicita, indiretta (i concepiti si reputano già nati in quasi tutto il diritto civile). Rimanda implicitamente a tutte le situazioni nelle quali viene un vantaggio del concepito. Secondo i Basilici non c’è differenza di pensiero tra Giuliano e Paolo. Lo scolio II. richiama un padre al quale è stata affidata la tutela di un orfano impubere. La tutela non può essere rifiutata a meno che non esistano delle giustificazioni, scusanti. Una di queste è di avere già tre figli. Questo padre ha due figli nati e uno già concepito. In questo caso invoca il figlio concepito come già nato per esonerarsi dal prendere sotto sua tutela l’orfano. Nel successivo scolio non viene utilizzata l’espressione antì tekzèntis, ma un espressione greca, ‘en fùsei’. I redattori dei Basilici fanno coincidere colui che è en fusei (in rerum natura) con i termini antì tekzèntis. Secondo i Basilici è en fùsei soltanto l’antì tekzentes, soltanto il già nato. Il concepito non è ancora en fùsei, ancora non esiste. C’è questa entità tra esistere e essere nati. Coloro che non sono ancora nati non sono in rerum natura, non esistono ancora. Se vogliamo attribuirgli certi diritti bisogna considerarli come già nati. Se il concepito non esiste il padre non si può considerarsi padre. Dobbiamo fingere, equiparare il concepito al già nato. Con questa operazione giuridica si attribuiscono i diritti anche a coloro che ancora non esistono. Questo ragionamento riscuote tanto successo. Passando alla glossa, ci sono dei casi in cui i concepiti non vengono equiparati ai nati. Cujacius; il concepito non è animal, non è un essere vivente e si confonde con le altre parti della madre. Lo si fa succedere secondo il diritto civile perché lo si finge come già nato. Non esiste ma lo si finge esistente. Il testo di Giuliano deve essere letto alla luce di quello di Paolo. Giuliano e Paolo non usano le stesse espressioni. Giuliano usa in rerum natura esse, Paolo usa in rebus humanis esse. Le espressioni usate dai due giuristi sono diverse. Altra cosa che possiamo notare, Paolo parla in una maniera esplicita di commodum, vantaggio, nel testo di Giuliano non c’è un riferimento esplicito del commodum. Questi due indizi ci dicono che il passo di Giuliano richiede attenzione maggiore. Giuliano ha 4 casi nei quali il concepito è finto già nato. Il criterio del commodum funziona benissimo. (esempi: donna schiava incinta catturata dai nemici che ritorna in patria; donna schiava rubata incinta venduta in buona fede - il figlio che nasce è proprietà del proprietario della schiava, nessuno può usucapire il figlio) Un giurista medievale si accorge che non tutti i 4 casi fatti da Giuliano rispondono alla regola del commodum. Fabro si accorge che nel caso della schiava incinta non si può applicare il commodum del concepito. Fabro si accorge che un caso non corrisponde alla regola del commodum. Come conciliare questo caso con gli altri? Negli altri casi vale la regola del commodum. Tutte e quattro le ipotesi rispondono alla ratio, alla stessa giustificazione. Ci porta a vedere se alla frase iniziale possa essere dato un significato diverso. Spinge un’ipotesi diversa che poi va verificata. Ritornando agli altri casi si può dire che sulla base del fatto Giuliano considerasse il concepito come esistente. Come un individuo già esistente. Questo giustificasse i diritti a lui concessi. Sono considerati come individui, hanno un’autonomia. Per questo motivo hanno dei diritti.!Due casi diversi: schiava incinta sottratta, partorisce, il nuovo padrone non può mai usucapire il nato. Un ladro sottrae una schiava, quando già sottratta diventa incinta. Nasce il bambino, il compratore il buona fede può usucapire il figlio. Si può applicare il principio di esistenza al primo caso letto? Si. La schiava viene sottratta incinta. Il concepito esiste. Dunque è furtivo, è sottratto anche lui, anch’egli esistente viene sottratto, esiste al momento del furto. Come tutte le cose furtive non potrà mai essere usucapito, neanche dal possessore in buona fede.!

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Viene sottratta una schiava non incinta. Il concepito non esiste, non può quindi dirsi furtivo. Viene in esistenza il concepito in un secondo momento quando già dal nuovo possessore. Tutte le quattro ipotesi rispondono alla medesima ratio. In quasi tutto il diritto civile i concepiti sono considerati come esistenti, sono eredi legittimi, sono furtivi, hanno diritti... !!!martedì 4 ottobre 2011!!La schiava viene sottratta incinta, il concepito è oggetto del furto perché già esiste in quel momento. Può riferirsi fruibile. Se invece viene concepito dopo il furto, non è oggetto del furto.!Pagina 63: Africano: La schiava fugge. Nel momento della fuga compie il furto di se stessa, si sottrae al dominus e poi si rende furtiva. Nel momento in cui fugge realizza un secondo furto, vale a dire, sottrae anche al padrone il figlio soltanto concepito (doppio furto). Da questo punto di vista possiamo capire che il concepito è diverso dalla madre, esiste, e può essere oggetto di furto. Alla base di questa disciplina possiamo capire che il concepito è un individuo diverso dalla madre. Questa è una delle possibili letture. Avrebbe però (Africano) voluto riferirsi ad un’altra fattispecie. In seconda posizione potrebbe la schiava essere fuggita da un padrone portando con se il bambino appena nato. Schiavo anch’esso, bambino già nato, da poco partorito. Non possiamo con certezza dire a quale concezione si riferiva. Usa un termine ambiguo, partus. I giuristi Romani usavano questa espressione con un doppio significato. In certi casi per indicare il concepito, in altri invece per indicare il bambino appena nato, il neonato. L’uso di ‘partus’ ci impedisce di capire con esattezza il significato.!Pagina 2, D 38, 16, 7: Celso avesse le stesse idee di Giuliano nella materia del concepito. Anche Celso come Giuliano pensava che il concepito nel diritto esistesse. Possiamo fare questa affermazione per un aspetto di natura terminologica, semantica. In quanto concerne questo profilo possiamo avvicinare Celso a Giuliano. Vediamo dal testo che Celso, come Giuliano, usa l’espressione ‘in rerum natura’. Paolo invece usa ‘in rebus humanis’. Secondo elemento, Giuliano dice “in quasi tutto il diritto civile i concepiti esistono”. Anche Celso introduce l’avverbio ‘quodammodo’, in un certo senso è ritenuto essere ‘in rerum natura’. Questi sono due argomenti di natura formale. C’è anche un argomento di natura sostanziale, il caso in cui Celso sta prendendo posizione. Stava trattando l’eredità legittima, il primo esempio che fa Giuliano (ad essi sono concepiti le legittime eredità). Il significato di questo breve testo è: è stato concepito quando l’ereditando era ancora in vita. Se è stato concepito quando l’ereditando era ancora in vita può essere erede. Poiché il concepito in un certo modo è ritenuto esistere. Esiste in quel momento, al momento della morte del ereditando. Per questa ragione può essere considerato erede. Tutti questi elementi possono comunicare che Giuliano e Celso avessero la stessa idea.!!Abbiamo bisogno di prove. Queste vanno in tre diverse direzioni.!1. Bisogna vedere se il significato di esistere dato nell’espressione “in rerum natura esse”

regga alla prova dei fatti. La prima parte riguarda l’esame del costructum in rerum natura esse.!

2. La terminologia oltre all’espressione in rerum natura esse, troviamo altre espressioni. Bisogna provare se questa terminologia sia compatibile con l’esistenza del concepito medesimo.!

3. Esamineremo la disciplina di alcuni istituti, per vedere se anche la disciplina di particolari istituti si basi alla conoscenza del nascituro.!!

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1. IN RERUM NATURA ESSEPagina 70, passo di Giuliano, D 38, 16, 6: viene richiamata la legge delle XII tavole. Questa legge prevedeva diversi ordini di eredi, il primo ordine era rappresentato dai sui eredes. Se un soggetto muore senza aver fatto testamento i primi che succedono sono tutti i coloro quali alla morte dell’ereditando non hanno nessuno al di sopra di se. Diciamo che l’ereditando abbia 3 figli. Nel momento in cui l’avo muore sono già morti due figli. Succede il figlio in vita ma anche i nipoti dei figli morti, ad una condizione - che il loro padre sia già morto. Vediamo un caso. Un avo ha fatto testamento. All’interno troviamo due disposizioni: la diseredazione del figlio, nomina un erede estraneo però lo sottopone al verificarsi di una condizione, di un evento futuro e incerto (sia mio erede se...). L’avo muore, si aprono le tavole testamentarie. Al figlio non tocca nulla però neanche l’erede estraneo riesce a ereditare perché la condizione non si è ancora verificata. L’eredità rimane sospesa. Mentre si aspetta l’avvenimento di questa condizione, il figlio diseredato si sposa, fa un figlio e poi muore. La condizione è sempre sospesa. Dopo la morte del figlio la condizione alla quale era subordinata l’eredità al terzo non avviene. Non c’è alcun erede. Per conseguenza il testamento cade. Il testamento può esistere soltanto se c’è un erede. Per decidere a chi spetta questo testamento senza eredi si deve ricorrere alla legge delle XII tavole. Giuliano risponde: il nipote non può ereditare perché è stato concepito dopo la morte dell’avo. Aggiunge che non può ereditare perché la legge delle XII tavole chiama all’eredità colui che al momento della morte era “in rerum natura”. Qui il termine in rerum natura non può che significare di esistere. All’eredità viene chiamato il figlio già nato o già concepito. Il termine raggruppa due categorie, i già nati e coloro che sono soltanto concepiti. Colui che non è ancora concepito nel momento della more non può ereditare.D 38,16,1,8: Ulpiano è costretto a usare due espressioni, una che si riferisce ai nati e una ai concepiti. Giuliano indica le stesse categorie invece usando uno stesso termine (in rerum natura). I passi della non esistenza possono essere divisi in tre gruppi. Vediamo la prima sfumatura leggendo il testo di Gaio D 30,69,5: vendo il mio schiavo al mio amico Sempronio. Muore il testatore, si apre il testamento e in questo momento è incerto che lo schiavo sia in rerum natura, ancora vivo. Indica persone oppure cose che non esistono più. Lo schiavo morto non esiste più, non è in rerum natura (in rerum natura non esse). In questo caso particolare l’erede avrebbe dovuto cercarlo e nel caso in cui l’avesse trovato l’avrebbe dovuto consegnare al legatario. Seconda sfumatura: in rerum natura non esse indica cose che non esistono ancora. Cose future. Cose che ancora non sono venute ad esistenza. Qui troviamo due passi P.74-75 (Pomponio, Istituzioni di Gaio). Anche la cosa che non è ancora in rerum natura può essere inclusa in donazione. Qui il termine viene usato per indicare cose che ancora non esistono. (Lascio come legato tutti i figli che la mia ancella darà alla luce; non si parla di concepiti ma di futuri figli. Oppure il vino che sarà prodotto, i frutti prodotti nel fondo.) Terza sfumatura: in rerum natura non esse viene usato per indicare cose che non possono esistere. Gaio fa un esempio: se qualcuno si sia fatto promettere una cosa che non potrà venire ad esistenza (un centauro) il contratto, la promessa è nulla e non produce obbligazioni. Da questi tre passi risulta che anche l’espressione negativa rimanda al fatto della non esistenza. Cose o persone che non esistono più, cose che non esistono ancora perché future e cose, in fine, che non possono venire ad esistenza.!

2. TERMINOLOGIA PER INDICARE IL CONCEPITOGiuliano, Celso e altri usano l’espressione “qui in utero est”. Per indicarlo usano un pronome relativo maschile, singolare o plurale (qui). Questo rimanda al fatto che qualcuno c’è. Esiste anche il genere neutro (quod). Questo rimanda invece al fatto che il concepito sia una mera parte della madre. Il primo ad usare il pronome ‘qui’ è Giuliano. Troviamo anche il termine ‘partus’. Troviamo un passo controverso con significati diversi

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in cui il concepito è definito ‘spes animantis’ (speranza, essere vivente). P 83; D 11,8,2: siamo nella fase monarchica, un re emana questa legge la quale vietava di seppellire la donna morta incinta prima che il parto sia fatto nascere. Le parole spes animantis sono state interpretate in modi opposti. Prima lettura: viene avanzata a coloro, alla corrente dottrinaria, che ritengono che il concepito sia una parte della madre. In questo testo il concepito è definito spes animantis. La parola che indica il concepito è spes. Il concepito non è ‘animans’, non è un essere vivente, lo descrive come la speranza di un essere vivente. Diventerà ‘animans’ con la nascita, prima invece è solo ‘spes’. Altro modo per capire il passo: non come la speranza di diventare un essere vivente ma come la speranza dell’essere vivente. Si può sostenere che Marcello usasse il termine ‘animans’ per indicare il concepito. Il termine ‘spes’ per indicare la sua speranza ossia la speranza di nascere. Si considera come essere vivente. Questa interpretazione trova due argomenti a suo favore molto fondati. Il primo argomento è che laddove a proposito di concepiti troviamo il termine ‘spes’, speranza, c’è il termine nascere, nascita. È possibile che anche Marcello vi facesse riferimento. P 85 D 37,9,1: c’è sempre il riferimento alla nascita. Per questo è possibile che Marcello, implicitamente, indicasse al termine ‘spes nascendi’. Argomento ancora più forte si trova a P 86 D 38,8,1,8: se qualche parente più prossimo, più vicino all’ereditario che si spera che nasca, allora questo concepito è di ostacolo ai parenti di grado inferiore. Ostacola tutti i parenti che vengono dopo di lui. L’ereditario muore, la moglie è incinta, altri non ci sono tranne il fratello del morto. Il nascituro impedisce al fratello di ereditare. Ammettiamo allora i parenti di grado inferiore. Se concepito dopo la morte dell’ereditario non ostacola altri. Ostacola gli altri solo sotto condizione che sia stato concepito quando l’ereditando sia stato ancora in vita. Se il concepimento è avvenuto dopo la more il concepito non ostacola gli altri perché colui che non è ancora concepito al momento della morte non è animax, non è un essere vivente. Il che significa che colui che concepito al momento della morte è animax, quindi eredita.!!!!

martedì 11 ottobre 2011!!Leggi regie, emanate dai primi re di Roma. Prevedevano la figura del nascituro (divieto di seppellire la donna incinta...)!!Altre leggi:!La legge delle XII tavole, finisce attorno al 1219 a.C.; continua ad essere una fonte del diritto Romano. Dal periodo repubblicano quando si parla di legge si parla di provvedimenti approvati dall’assemblea popolare. Una delle norme di questa legge riguardava il modo attraverso il quale determinare la legittimità della prove. !Pagina 109 Gellio: decenveri = dieci uomini; sono una magistratura speciale ai quali viene dedicato il compito di redigere i testi delle XII tavole. All’interno delle XII tavole c’era una norma che diceva: il figlio poteva considerarsi legittimo del padre anche nel caso in cui fosse nato nei 10 mesi successivi dopo la morte del padre, purché nasca entro i questi 10 mesi. Stabilisce che erede, da un padre morto senza aver fatto testamento è anche il figlio semplicemente concepito al momento della sua morte.!Pagina 112: Istituzioni di Gaio: la moglie è sullo stesso piano ereditario dei figli. Anche i concepiti al momento della morte del ereditando sono considerati eredi. Questa regola viene poi estesa anche agli altri gradi successivi, con riferimento agli agnati.!Testi alle pagine 114 - 116: con il termine agnati indichiamo (in materia successoria) la parentela in linea collaterale. Gli agnati si distinguono in due categorie. Da una parte i consanguinei, dall’altra gli agnati propriamente detti. Sono consanguinei coloro che hanno

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lo stesso padre (fratelli & sorelle). Mentre tutti gli altri collaterali in linea maschile rientrano tra gli agnati propriamente detti. Anche all’agnato semplicemente concepito impedisce la chiamata degli agnati di grado ulteriore.!!Introduciamo un’altra fonte del diritto romano, vale a dire il senato consulto. Provvedimento votato dal senato di Roma. Si tratta di due testi, entrambi provengono dalle istituzioni di Gaio.!Pagina 121 (regola generale del diritto romano: per determinare la condizione del nato, vivo, schiavo, straniero, si guarda alla condizione dei genitori, si deve guardare se i genitori siano sposati legittimamente. Se c’è un matrimonio il figlio assume la condizione del padre al momento del concepimento. Se il matrimonio non c’è si guarda la condizione della madre al momento della nascita) : C’è un matrimonio fra una cittadina romana e uno straniero. Matrimonio legittimo (connubio: diritto allo straniero di sposare la cittadina romana). Il figlio nasce straniero, è un figlio legittimo del padre. La frase dopo contempla l’unione fra una cittadina romana e uno straniero senza connubium. Viene approvata una lex minicia. Questa legge voleva disincentivare le unioni fra romani e stranieri. Per farlo derogava alla regola detta prima. Stabiliva che nel caso in cui ci fosse stata unione fra cittadina romana e straniero privo di connubium il figlio nato sarebbe nato straniero e considerato anche figlio illegittimo di quel padre. Il figlio continua a nascere straniero ma si deve considerare almeno figlio legittimo del padre - c’è questa deroga del senato consulto alla lex minicia.!!Pagina 122: C’è la donna straniera. Non è unita in matrimonio, dopo il concepimento acquista la cittadinanza romana. Il figlio nasce cittadino romano.!Secondo caso: C’è un matrimonio che il diritto romano riconosce, fra due persone entrambe straniere. Qui bisogna guardare la condizione del padre al momento del concepimento per determinare lo stato del figlio. Nel frattempo succede che la donna ha acquistato la cittadinanza romana ma prima della nascita anche il padre è diventato cittadino romano. Da due cittadini romani però nasce un figlio straniero. Presto interviene il senatoconsulto emanando una deroga alla legge: anche il figlio quindi in questo caso nasce cittadino [email protected]!!Pagina 124: La donna incinta muore, però il bambino è ancora vivo. Si chiede al senatoconsulto di disciplinare la successione dei figli alla madre. Prima del 178 d.C., prima del senatoconsulto, per il diritto civile i figli non erano eredi della madre. Se la madre non aveva fatto questo evento, i figli non potevano in alcun modo succedere. Per il diritto civile il figlio non succede mai alla madre. Per il diritto pretorio invece al figlio viene dato il possesso dei beni della madre. I beni di una madre morta senza aver fatto testamento vanno ai figli. Loro sono i primi eredi della madre. Sono considerati i figli già nati ma anche quelli solo concepiti e nati dopo la morte della madre.!!Altra fonte del diritto sono le costituzioni imperiali. Quando finisce la repubblica si passa al principato e poi all’impero. Si riferisce alla costituzione scritta e emanata dall’imperatore.!Vengono riportate notizie di due costituzioni, entrambe di Adriano.!Pagina 125: caso della donna incinta condannata alla pena capitale. La pena di morte non poteva essere eseguita fino al momento che la donna avesse partorito. La donna avrebbe comunque partorito un uomo libero, anche se nell’aspettare la sua nascita lei era una schiava dello stato.!Pagina 126: Un’altra costituzione imperiale viene ricordata da Paolo. Accade che una donna incinta viene accusata di adulterio (crimine per il diritto romano). Interviene

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l’imperatore Adriano e dice che il processo non può aver luogo fino al momento del parto. Si deve attendere che la donna partorisca prima di dar luogo all’accusa.!!Pagina 117 - 119: la fonte del diritto sono i giuristi, siamo nel diritto civile. La materia trattate è la successione testamentaria. Si fa riferimento all’interpretazione della giurisprudenza. La legge prevede che a succedere senza testamento siano i figli o nipoti soltanto concepiti ma anche gli agnati. La giurisprudenza ci dice qualcosa anche alla successione testamentaria.!!Pagina: 117: Il padre nel momento in cui fa testamento può indicare anche i figli che nasceranno dopo la sua morte. I figli futuri possono essere indicati come eredi testamentari in pari ai figli già nati.!!Pagina 119.1: viene prevista una clausola. Il figlio muore, premuore al proprio padre lasciando la moglie incinta. Subito dopo muore l’avo il quale aveva fatto testamento e aveva nominato erede il figlio. Succede che si apre il testamento e si vede che il figlio nominato sia il figlio già morto. Il nipote non è stato nominato erede. Secondo il diritto romano questo sarebbe stato un testamento nullo. Perché i sui eredes, i figli, avrebbero dovuto essere o nominati eredi in maniera espressa oppure diseredati. C’è un vincolo di natura formale. I sui eredes devono essere nominati nel testamento a pena di nullità. I giuristi per impedire questo suggeriscono ai testatori di introdurre delle clausole che salvaguardavano la validità di quel testamento. Questa è una delle clausole dove si nomina un nipote/discendente soltanto concepito. La stessa cosa sarebbe accaduta anche in riferimento al figlio soltanto concepito. Per questo la necessità che tutti i figli vengono contemplati all’interno del testamento.!!Pagina 119.2: per diritto civile poteva essere istituito erede il figlio o il nipote soltanto concepito. Vale a dire il postumo suo (discendenza diretta; concepiti al momento della morte). Questi possono essere nominati eredi o diseredati. Gaio dice che per diritto civile il postumo alieno non può essere nominato erede. Sono postumi alieni coloro che non sono né figli concepiti né nipoti concepiti. Non sono sui eredes (es. figlio concepito dall’amico).!!Ultima fonte del diritto romano è il pretore. Magistrato romano, considerato fonte del diritto. !Pagina 126, istituzioni di Gaio: Parla di una innovazione fatta dal pretore in materia di successione testamentaria. Il pretore interviene a estendere i diritti ad altre persone. Abbiamo visto che per il diritto civile il postumo alieno non poteva essere nominato nel testameno. Succede che in caso in cui uno faccia testamento e nomina erede il figlio soltanto concepito del fratello quel bambino non potrà succedere e il testamento è nullo. Interviene il pretore e estende la materia, va contro il diritto civile e lo corregge. Concede l’eredità anche al postumo alieno. Questa figura è riconosciuta nel diritto onorario/pretorio. Interviene anche alla materia della successione senza testamento.!!Pagina 127 D 38 8 1 8: Il pretore prevede la categoria dei cognati, categoria esclusa dal diritto civile. I cognati sono parenti in linea di sangue.!Esempio: c’è un ereditando che non ha figli. Ha un fratello che muore lasciando la moglie incinta. Nasce una figlia. Per il diritto civile questa figlia viene esclusa. Il pretore viene in aiuto. Concede a queste figlie femmine di ereditare. Contempla un’altra categoria di eredi, i cognati.!!Ultima innovazione pretoria: il pretore, nel caso in cui il padre del bambino concepito fosse morto, crea un apposito soggetto il quale ha il compito di prendersi cura del bambino concepito. Questo soggetto si chiama curator ventris (curatore del ventre, del figlio

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concepito). Gaio dice che questo curatore aveva due compiti essenziali (D. 37,9,5): Deve garantire gli alimenti alla donna incinta, deve curare gli aspetti patrimoniali del concepito.!!!lunedì 17 ottobre 2011!!D. 1,5,26: come se Giuliano osservasse il diritto civile, si pone nel cuore del diritto,

osserva tutte le norme che lo compongono e dopo averlo osservato perviene ad una conclusione: se noi guardiamo il diritto civile dobbiamo concludere nel senso che il concepito ha un esistenza. Come se ci pone la domanda: chi è il concepito? Ci da la risposta in questo testo, una risposta data, avanzata, non ricorrendo a criteri interpretativi di tipo filosofico. Non ricorre alla filosofia. Non ricorre nemmeno a criteri di ordine religioso. Ne tanto meno ricorre a dei criteri, riferimenti medici. Giuliano per rispondere a queste domande usa esclusivamente dei criteri giuridici. Lo strumento di compressione è esclusivamente giuridico. È l’esperienza giuridica che lo conduce, che lo porta a questa conclusione. Prende in considerazione il diritto civile e in fine dice: il concepito non può dirti estraneo al diritto civile. Al contrario, il concepito esiste, è qualcosa, un individuo che il diritto prende in considerazione. Facciamo un passo in più, trovando il significato profondo. Giuliano è il primo che compie questo tipo di riflessione. Fino a Giuliano il diritto si occupa di concepiti, di nascituri. Abbiamo visto che questo accade fino alle leggi regie. Con Giuliano si assiste alla prima riflessione giuridica sull’identità del nascituro. Giuliano per primo dice che il nascituro è un individuo, è dotato di un’esistenza propria. In altri termini, Giuliano è il primo giurista che dice in maniera consapevole e sostiene che sulla scena giuridica nel diritto non esistono soltanto le persone nate, esistono anche i concepiti, hanno una sua individualità, è un attore del diritto. Non esistono soltanto i nati. Sono soggetti del diritto. Per la prima volta, 140 d.C., il concepito fa il suo ingresso nella scena giuridica. A questo punto bisogna interrogarsi, perché Giuliano dice “in quasi tutto il diritto civile”? Abbiamo già visto come la dottrina ha cercato di spiegare questa abilitazione ricorrendo ad un testo di Paolo, D. 1,5,7. Laddove Paolo dice: il concepito si considera come un nato laddove viene in considerazione un proprio vantaggio. Una parte della dottrina dice invece che anche Giuliano afferma la stessa cosa di Paolo. Cioè, Giuliano direbbe: i concepiti si considerano come i nati in quasi tutto il diritto civile, laddove viene in considerazione il proprio vantaggio. C’è anche una concezione dove vengono in considerazione i vantaggi degli altri. Tuttavia, se si interpreta contestualmente il tasto di Giuliano bisogna vedere a cosa rimane quel “quasi”. Le soluzioni sono molteplici. Si potrebbe pensare che Giuliano rinviasse a situazioni, a parti del diritto civile nelle quali non si parla di nascituri. Parti dove non si parla dell’esistenza dei concepiti. Possiamo pensare anche che Giuliano pensasse a delle eccezioni, cioè che Giuliano pensasse a delle parti del diritto civile nelle quali i concepiti non sono considerati esistenti, quindi a parti del diritto civile dove i concepiti sono reputati a non esistere. Il caso in cui il nascituro non è considerato esistere nel diritto civile: disposizione testamentaria per postumi alieni. Sono come inesistenti. Non si trovano in pari agli altri, interviene per ciò il pretore e istituisce tutela anche per questo caso. Però nel diritto civile non sono tutelati.!!

D. 50,16,129: Ci ritroviamo un passo di Paolo, pagina 134. Paolo sta commentando la legge Giulia e Papia. È una legge che sanzionava le coppie che non avessero prova di non aver generato figli. Non ammetteva queste coppie alla successione reciproca o a essere inclusi nei testamenti degli altri. Addirittura, se avessero avuto figli, al momento della loro morte il figlio doveva essere ancora in vita. In questo testo Paolo dice: coloro i quali nascono morti non rientrano tra i figli di cui questa legge tiene conto. Il nato morto non si può considerare figlio ai fini di questa legge citata. E dunque, aggiunge, questi

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figli non sembrano nati e nemmeno concepiti. Quindi sono figli mai esistiti, figli che non esistono. Astrattamente si potrebbe pensare che anche a questi figli, pensasse Giuliano, il concepito era ritenuto inesistente. (analoga situazione: postumo alieno).!!

Andiamo a vedere alcune disposizioni che attestano il tentativo di proteggere i concepiti, il nascituro, da atti che possano ostacolare o impedire la sua nascita. Quello che si può sostenere è che una volta avanzata e affermata, diffusa, l’idea che il concepito esista e che sia un attore del diritto, forse è possibile che abbia iniziato ad affermarsi anche una disciplina versa a tutelare quell’esistenza.!!Pagina 135: due testi che ci informano che alle donne gravide non può applicarsi la tortura. Non solo, anche nel caso in cui queste donne vengano condannate l’esecuzione della condanna deve essere riferita dopo la nascita del concepito. È una disciplina volta a consentire al bambino la nascita e impedire gli atti che impediscono la nascita.!!Altra disciplina molto controversa è quella dell’aborto. Per questa disciplina abbiamo tre passi. Sono passi interpretati in maniera molto diversa, appartengono a giuristi che vivono nel 250 d.C.. Sono riportati a pagina 136/137.!!D. 48,19,39: vengono descritte due ipotesi. La prima, una donna di Mileto (provincia di

Asia) ha abortito per denaro. Esistono degli eredi secondi che pagano alla donna per abortire e ricevono così l’eredita che spettasse al concepito. Questa donna è punita con la pena capitale. Secondo caso è invece quello di una donna che dopo aver divorziato abortisce e questa non viene sanzionata con la pena capitale ma con l’esilio. È questa la pena che ritroviamo in altri passi!!

D. 48,8,8: la donna viene esiliata.!!D. 47,11,4: ancora una volta l’aborto e ancora una volta ci ritroviamo l’esilio.!!Cerchiamo di capire come questi passi siano stati interpretati.!La prima interpretazione possibile è stata questa: partiamo dal testo di Trifonino. La prima ipotesti, quella della donna di Mileto sanzionata con la pena capitale, non rifletta il diritto romano. Trifonino riferirebbe una disciplina di altri popoli. L’unica notizia che riferirebbe il diritto romano è quella seconda. Quindi si potrebbe sostenere che tutti e tre i giuristi riferiscano il medesimo scritto, riferiscano la stessa costituzione imperiale, una costituzione che si chiamava scriptio di Severo e Caracalla (200 d.C.). Prima di questa costituzione l’aborto non sarebbe stato punito. Non solo, ma a partire da questa costituzione non sarebbe stato sanzionato l’aborto in quanto tale ma l’avrebbero punito perché era compiuto contro o all’insaputa del marito. Da quando l’aborto, secondo questa interpretazione, sarebbe stato punito in quanto tale? Dobbiamo arrivare a Giustiniano. Questo testo che noi abbiamo D. 48,8,8 non è il testo originale di Ulpiano. È un testo interpolato, cioè, anche Ulpiano doveva nel testo originario, come Trifonino, far riferimento al marito. Cosa fa Giustiniano. Prende il passo di Ulpiano, toglie il riferimento al marito e inserisce il passo di Ulpiano in materia di omicidio. Giustiniano, imperatore Cristiano, vuole sanzionare l’aborto in quanto tale e quindi elimina le volontà del marito e inserisce il testo in materia di omicidio. Fa dell’aborto un caso particolare di omicidio e lo punisce con l’esilio. (533 d.C.)!Seconda interpretazione: parte dal testo di Trifonino e ci dice che nel testo entrambe le ipotesi riguarderebbero il diritto romano. Secondo questa interpretazione nel diritto romano sarebbe possibile individuare due ipotesi criminose. La prima ipotesi è quella che l’aborto sanzionato con la pena capitale a partire da una legge del 81 a.C. lex cornelia de sicariis

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et beneficis. È una legge sull’omicidio. Gli imperatori successivi sarebbero intervenuti con l’introduzione della pena dell’esilio temporaneo per il caso in cui la donna avesse abortito per odio nei confronti del marito. Alcuni studiosi come Cujaccio, Matteus sostengono questa doppia disciplina (pena capitale in generale e pena di esilio per l’odio della moglie per il marito). Aggiungono (Matteus) che questa disciplina si sarebbe applicata soltanto nei confronti dei concepiti già formati, che già avessero assunto la fisionomia di uomo e quindi da un certo stadio della gravidanza. Entrambi parlano a partire dal 40° giorno. A sostenere questo fatto, richiamano due passi dai quali questi studiosi ricavano che il termine uomo viene indicato anche il concepito da allora formato.!!Pagina 141, Sentenze di Paolo 5,23,14: Paolo spiega il contenuto della lex cornelia. Si puniscono coloro i quali danno alla donna incinta una bevanda per abortire oppure un filtro d’amore (bevanda amatoria). Questa somministrazione veniva sanzionata in maniera diversa a seconda dell’autore che la somministra. Se l’autore era delle classi più povere, di umili origini, si prevedeva la pena più dura, diventava schiavo dello stato e lavorava gratuitamente nelle miniere. Se apparteneva alle classi più agiate della popolazione veniva mandato su un isola e una parte del patrimonio veniva confiscata dallo stato. La fine del testo dice che se dalla somministrazione della bevanda fosse derivata la morte della donna o del concepito (dell’uomo) allora la pena sarebbe stata la pena capitale.!Interpretazione di Cujaccio e Matteus: “...se dal fatto l’uomo o la donna sarà morto...” Laddove Paolo scriveva homo, qui avrebbe parlato del nascituro. Con questo termine sarebbe compreso dalla legge anche il nascituro. !!La stessa cosa che il termine homo indicasse concepito alcuni lo desumono da un altro passo, Codice di Giustiniano 9,41,3. Costituzione dell’imperatore Caracalla. Qui si sta parlando di una donna che ha ucciso qualcuno attraverso la somministrazione di un veleno mortale. Se dall'interrogatorio il reato sembra verosimile, emergono degli indizi, allora anche la donna deve essere sottoposta a tortura. Si aggiunge, non si deve avere esitazione a torturare colei che ha estinto con veleni le viscere di un uomo. Alcuni studiosi pensano che in questo caso le parole rimandino ad un concepito (le viscere di un uomo). La donna avesse assunto un veleno per abortire. Con il termine homo è indicato il nascituro. Fin dalla lex cornelia l’aborto diventa un omicidio.!!Questi testi ci permettono di giungere ad una conclusione. Tutte le ipotesi sono sostanzialmente verosimili. Dunque, l’aborto non era sanzionato fino al 200 a.C. è possibile in quanto tale non sanzionato fino a Giustiniano 533 d.C. è possibile invece che sia stato sanzionato dalla legge cornelia 81 a.C.!L’interpretazione più fedele ai testi è che l’aborto sia stato sanzionato in quanto tale a partire dalla costituzione di Severo e Antonio Caracallo o intorno a questo periodo (opinione del professore). Per una cosa lo dice il testo di Ulpiano. Se non facciamo particolari creazioni in questo testo troviamo che la donna che abortisce è sanzionata con l’esilio. Non fa riferimento al marito ma all’aborto in quanto tale. Gli altri due testi che fanno riferimento al marito sono dei casi in cui l’imperatore interviene sul caso specifico e quindi non è escluso che con i riferimenti al marito altro non siano che dei riferimenti al motivo, alle ragioni che in quei casi particolari avevano spinto la donna ad abortire. In altri termini, il riferimento al marito sarebbe un riferimento al motivo per l’agire. È un motivo che alla fine non assume particolare rilievo. Il testo dava semplicemente conto dei motivi per l’agire della donna.!!Struttura di quanto abbiamo detto fino adesso.!Siamo partiti da D 1,5,26 D 38,16,7 D 1,5,7. Abbiamo detto che su questi passi ci sono due interpretazioni. La prima legge questi tre passi allo stesso modo, da lo stesso

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significato. Giuliano, Celso e Paolo direbbero la stessa cosa. Paolo gestisce il criterio interpretativo tra loro tre. La seconda interpretazione mettono Giuliano e Celso da una parte e Paolo dall’altra. La riflessione di Paolo ha un significato diverso. Giuliano & Celso dicono che il concepito esiste, è in rerum natura. È considerato come una entità autonoma, dotato della propria esistenza. A questo punto abbiamo introdotto alcune prove (in rerum natura esse / non esse). Questo rimando al fatto di esistenza o della non esistenza. Cose o persone che non esistono più, che non esistono ancora o che non possono esistere. Qui in uterum est, animans, animax. Infine la disciplina di determinati istituti che fanno leva sull’esistenza di determinati discipline.!!!martedì 18 ottobre 2011!!Dobbiamo prendere in considerazione alcuni passi che ci offrono un’idea diversa del nascituro. La parte prevalente di studiosi ritiene che nel diritto romano classico il concepito non fosse ritenuto esistere, un entità autonoma. Noi troviamo una terminologia che sembra contraddire il concetto del nascituro come individuo. È una terminologia che ritiene il nascituro come una mera parte della madre. Questi passi sono diversi. Appare l’espressione quod in utero est. Ciò che è in utero. Seconda cosa, in un testo, sembra di Ulpiano si diche che colui il quale è nell’utero non è un pupillus. Terza espressione trovata nelle fonti si legge che il concepito è una portio matris. Uno studioso, Albanese, ha tratto da questa espressione (quoi in utero est) che il genere neutro quod ripeterebbe la concezione del nascituro come una mera parte della madre. Ci accorgiamo che quod in uterum est è usato in soli 4 testi. Mentre i testi in cui è usato ‘qui’, pronome relativo maschile sono ben 20. Altra ipotesi che possiamo fare è che forse ci sono dei giuristi che usano quod, altri che usano qui, ci ritroviamo in una controversia. Alcuni giuristi erano propensi a considerarlo come entità autonoma (qui), altri invece che lo consideravano parte della madre usavano quod. Ma questo tipo di ragionamento non lo possiamo fare. Guardando alle fonti ci accorgiamo che il temine quod è usato dagli stessi giuristi che usano qui. Paolo e Ulpiano usano quod, due giuristi che utilizzano abbondantemente anche qui. Dobbiamo cercare di capire perché questi giuristi in alcuni passi usassero il quod. Prima di questo diciamo una premessa, il quod non è esclusivo del concepito (pagina 145, quod indica anche la persona già nata). Nei passi D 43,33,1 pr., e D 40,5,41,5 si usa quod natum est. Si usa quindi anche per persone già nate.!!D. 5,4,3: testo di Paolo. In questo testo compare il genere neutro. Paolo svolge due

ipotesi, una la conosciamo già, vale a dire c’è un erede semplicemente concepito e la presenza di questo erede, benché semplicemente concepito, impedisce che l’eredità venga devoluta a eredi che si trovano in un grado di parentela più lontano. La seconda ipotesi di Paolo è quella in cui il concepito si trova nello stesso grado di parentela con una persona già nata. Nel nostro caso, un ereditando muore e lascia un figlio già nato e un figlio soltanto concepito. Qui sorge una problematica. Il figlio già nato vuole ottenere la sua parte dell’eredità. La domanda che ci poniamo è: quanto gli spetta? Poiché lui è erede insieme a un altro, quanta parte dell’eredità può il figlio già nato fare sua? Esistono infatti tanti casi nei cui le donne partoriscano tanti figli alla volta. Dicono, poiché possono nascere tre figli, l’erede già nato si accontenti soltanto di un quarto della eredità. Alla nascita si sistemava tutto. L’erede che ha ricevuto solo il quarto integrava la sua quota di eredità fino alla metà. La lettura di questo passo è possibile formulare una ipotesi sulla ragione sul perché Paolo avrebbe impiegato quod e non qui. Ci troviamo di fronte a un problema di incertezza riguardante la nascita. È incerto, non si sa quanti bambini ci siano nell’utero. Forse si può guardare questa ipotesi ricorrendo al neutro, al quod, perché il neutro più di ogni altro genere poteva esprimere questo

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grado di incertezza. Ricorre al neutro perché è il contesto che lo spinge ad utilizzarlo. Non si sa infatti, quanti siano i figli nell’utero. Vedremo che anche in altri passi sorge la stessa problematica.!!

D. 28,2,25,1: passo di Paolo. Ci sono due personaggi, il testatore e la nipote incinta. Lucio Tizio abita in città, la nipote abita in campagna, lontano alla città. Tizio fa testamento e vuole indicare come erede il bambino soltanto concepito, il pronipote. Scrive, sia erede quod in utero di mia nipote est. Nasce un problema. Nel momento in cui Tizio scrive testamento accade che quel bambino era già nato. Il pronipote era nato all’alba. Allora si domanda, ma quel pronipote può essere erede oppure no? Se noi dovessimo impiegare un criterio estremamente formale allora no. Il testatore indica quod in utero est ma nell’utero non c’è nessuno/niente. Paolo quindi adotta una soluzione diversa. Dice che il verba del testamento si devono interpretare in una maniera più estensiva. Non rigorosamente formale ma in maniera per comprendere anche il pronipote già nato, a due condizioni. Ci dice, questa interpretazione è possibile se il nipote è nato lo stesso giorno nel quale il testamento è stato fatto. Redazione del testamento e parto devono essere avvenuti nello stesso giorno. Questo è il primo requisito. Perché qua c’è quod in utero est. Si può applicare un’opinione diversa, Paolo infatti vuole concentrare con l’attenzione del lettore sul fatto che qui sia indicato erede un concepito di fatto già nato. Questa è la problematica che Paolo vuole sottolineare. Forse allora usa il quod per eliminare altre possibili questioni, ad esempio la questione del sesso (indica qui in utero est e poi nasce una femmina). Paolo ricorre al neutro per eliminare incertezze sul sesso e sul numero dei parti.!!

D. 37,9,1,2-3: sono problematiche riguardanti la diseredazione. Ulpiano si occupa di un testamento nel quale viene inserita una clausola di diseredazione. Il testatore disereda ciò che è nell’utero. Poi costui muore. Ulpiano dice che c’è una clausola di diseredazione, però tuttavia ciò che è nell’utero deve essere immesso nel possesso dei beni e deve essere alimentato. Dice, questo deve essere fatto anche se sia incerto appunto la clausola di diseredazione. Può accadere che il padre abbia scritto in questo modo: se mi nascerà un solo figlio sia diseredato. Sino a che noi non sappiamo quanti figli ci sono nell’utero. Può essere certo che un solo figlio maschio non potrà mai essere erede. Ma possono nascere varie combinazioni, un maschio, una femmina, due femmine, etc... Quindi fino al momento della nascita dobbiamo alimentare il parto e preservagli i beni ereditari. Vediamo in contesto con il primo passo che c’è ancora l’incertezza sul numero dei figli e sul sesso. Non si sa se la clausola di diseredazione può essere applicata o meno. !!

D. 45,1,73 pr.: Paolo parla di una stipulatio, quindi di una promessa la quale fosse costruita: “Prometti di darmi ciò che è nell’utero della tua schiava? Prometto.” Ammette per sua natura una dilazione nell’adempimento, occorre infatti attendere il tempo della nascita. L’uso del termine quod viene usato ancora una volta per comprendere tutti i figli che nasceranno da quella schiava. Elimina ogni problema di incertezza. Concludendo, è probabile che Paolo e Ulpiano non siano ricorsi a quod per errore ma solo nei testi dove la problematica sottostante esprimeva un’incertezza.!!

D. 50,16,161 Il figlio concepito non può chiamarsi pupillo. Se non può essere nemmeno pupillo non può nemmeno dirsi esistente. Sta indicando soggetti che devono ricevere un tutore. Tra questi soggetti rientrano anche i pupilli, usciti dalla patria potestà per la giovane età hanno bisogno di un tutore che amministri il loro patrimonio. Ci dice che a questi fini il concepito non può rientrare tra i figli. È evidente infatti che al concepito non veniva nominato tutore ma un curatore. In questo passo semplicemente Ulpiano ci dice

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che la tutela non si applica ai concepiti per i quali vige l’istituto della curatela perché il concepito non rientra nella definizione di pupillo.!!

D. 25,4,1 pr.: marito e moglie divorziano. Il marito sostiene che la donna, ex moglie, sia incinta mentre la moglie nega di esserlo. Il marito chiede che l’applicazione di una particolare disciplina, introdotta da un senatoconsulto e che riguardava il riconoscimento dei figli. Questa questione viene portata fino agli imperatori, e gli imperatori dicono di no. Occorre infatti una disciplina diversa e nuova, sono gli stessi imperatori che creano una disciplina proprio per questo caso. La donna avrebbe dovuto recarsi nella una casa di una donna onestissima, di ottima fama e reputazione, nella quale la donna sarebbe stata visitata da tre ostetriche. Se le ostetriche avessero detto che la donna fosse incinta, la donna era obbligata a ricevere un custode, qualcuno che la sorvegliasse. Il marito vuole il figlio e ha paura che la donna abortisca. Riceve quindi un custode che le impedisce l’aborto. Se invece tutte le ostetriche o almeno la maggioranza avessero riferito che la donna non è incinta evidentemente, dice Ulpiano, non c’è bisogno di alcun custode. Inizia quindi il commento di Ulpiano, “porzione della madre”. Il parto prima di nascere è una parte della madre, questa è la motivazione che Ulpiano da all’atto che i senatoconsulti in questione si applicano soltanto su richiesta della donna. La donna costringeva il marito di darle gli alimenti e poi a riconoscere il figlio. Si dice: i senatoconsulti sul riconoscimento dei figli si applicano soltanto a richiesta della donna siccome è una parte della donna. Solo la madre sa di essere incinta. Al contrario, ci troviamo di fronte a una descrizione dello stato naturale delle cose, il concepito sta dentro la madre, e si usa per giustificare l’applicabilità dei senatoconsulti sul riconoscimento dei figli soltanto ai casi in cui sia la madre a chiederli. Se li chiede il marito non si possono applicare. Infatti, alla fine dice, il marito potrà far valere le proprie ragioni dopo la nascita. Prima della nascita non può fare nulla.!!

Qui si conclude la prima parte e si apre l’ultima parte sul libro del concepimento, i testi di Paolo.!!D. 1,5,7: la dottrina in maniera quasi unanime ritiene che in rebus humanis si debba

tradurre come individuo già nato tutte le volte quando viene un vantaggio del concepito. Se invece viene in considerazione il vantaggio di un altro in forza del concepito. In questo caso il concepito non gli è di alcuna utilità prima della nascita. Se vi è in considerazione il vantaggio di un terzo bisogna attendere la nascita perché il terzo possa avvantaggiare del suo vantaggio.!!

C’è una serie di passi in cui compare l’espressione in rebus humanis e questi passi possono essere spiegati, compresi, se noi attribuiamo a questi passi non un generico significato di esistere ma il significato di essere nati.!!!lunedì 24 ottobre 2011!!D. 1,5,7: l’espressione nel passo di Paolo, in rebus humanis, sta a significare l’essere già

nato. Questa espressione rinvia all’essere umano già nato può risultare un elemento testuale che troviamo all’interno del passo. Il riferimento alla nascita ci fa intuire che anche la prima ipotesi di Paolo fa riferimento alla nascita. Nella seconda ipotesi il riferimento è esplicito. Nella prima parte il riferimento è soltanto implicito. Laddove viene in essere il vantaggio di una terza persona allora in quel caso l’equiparazione non c’è più e occorre attendere la nascita. Ci sono parecchi passi nei quali traspare che in rebus humanis stia a significare individuo già nato.!

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Il primo di questi passi si trova a pagina 166!D. 37,9,1 pr: Ulpiano contrappone due categorie di individui. La prima categoria è

individuata da coloro che erano già in rebus humanis. La seconda è quella che raggruppa tutti ancora non nati. Alcuni soggetti sono già in rebus humanis, alcuni non sono ancora nati ma hanno speranza di nascere.!!

D. 37,9,7 pr: anche qui Ulpiano usa in rebus humanis nel significato di essere già nati. Sostanzialmente dice che il pretore concede al nascituro, al concepito di essere immesso nel possesso dei beni ereditari nel caso in cui il concepito (se fosse nato) avrebbe potuto chiedere il possesso medesimo. Quindi il ragionamento che fa Ulpiano è questo: laddove il pretore ammette il nato nel possesso di beni ereditari negli stessi casi ammette anche il concepito. !!

D. 38,16,1,8: siamo in materia successoria e si ribadisce uno dei requisiti fondamentali per poter succedere, per aver diritto all’eredità. Questo requisito è quello di essere al tempo della morte dell’ereditando o in rebus humanis o per lo meno concepiti.!!

D. 38,16,6 & D. 38,16,1,8: al momento della morte entrambi esistono e entrambi sono chiamati all’eredità. Ulpiano usa il termine in rebus humanis, così è costretto a recuperare anche l’altra categoria, i concepiti. Deve far seguire l’espressione in rebus humanis anche con “pre lo meno concepiti”. Non usa in rerum natura e quindi deve usare due espressioni separate.!!

D. 50,16,164 pr: Ulpiano sta scrivendo in materia di legati. Cerca di spiegare il termine “figlia”. Il testatore scrive testamento, lascia un legato e lo lascia alle proprie figlie. Ulpiano si chiede chi dobbiamo considerare ricomprese nell’ambito del termine “figlie”? Non c’è alcun dubbio che riguardi anche la postuma, colei che nasce dopo la morte del testatore. Il nome di postuma noi non lo possiamo applicare alle figlie che sono già nate al momento della morte. Mentre il termine figile comprende sia le nate e le concepite, il termine postuma non ricomprende le figlie che sono già nate, in rebus humanis.!!

D. 28,6,10,1: appare l’espressione “eredi necessari”. Chi sono? Sono coloro i quali che non hanno scelta, coloro che sono obbligati a accettare l’eredità. Sono i figli, i nipoti, gli schiavi. Spesso il testatore che era pieno di debiti lasciava l’eredità allo schiavo. Ulpiano su questo descrive un caso di sostituzione pupillare. Parliamo prima della sostituzione volgare. Si ha sostituzione volgare quando il testatore nomina un sostituto all’erede di primo grado. Tizio sia erede. Se Tizio non sarà erede allora sia erede Caio. La sostituzione pupillare è in parte diversa. La formula è questa: Mio figlio sia erede. Se mi sarà erede ma muoia prima di diventare pubere, allora sia erede Caio. Nella sostituzione pupillare succede che il testatore nomina erede il figlio. Il figlio diventa erede ma muore prima di raggiungere la pubertà. Non essendo ancora pubere non può fare testamento. Allora ci pensa il padre. Il padre non nomina un sostituto dell’erede ma nomina un erede al figlio. Caio erediterà non soltanto i beni del testatore ma anche tutti i beni che nel frattempo erano entrati nella sfera giuridica del figlio. È un vero erede del figlio. Nella sostituzione pupillare erede necessario diventa anche il fratello del figlio. Se un cittadino romano fa testamento e dice “Sia erede mio fratello”. In questo caso il fratello ha la facoltà di rifiuto perché non è erede necessario. Solo nella sostituzione pupillare lo diventa.!!

D. 40,5,24,4: qui si dice che può essere manomesso attraverso un atto di volontà al servo che non è ancora in rebus humanis. Anche qui in rebus humanis indica un soggetto che non è ancora nato.!

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D. 44,2,7,3: Ulpiano sta commentando un’azione processuale di rivendica. Un soggetto rivendica la proprietà (vuole ottenerla) di una schiava incinta. La schiava si trova presso un altro e con l’azione di rivendica vuole indietro la schiava incinta. Succede che il bambino nasce soltanto successivamente. Allora si chiede Ulpiano, il nostro proprietario può esperire un’altra azione di rivendica nei confronti del bambino? Allora Ulpiano risponde: certo, il nostro proprietario può esperire un’altra azione di rivendica contro il bambino schiavo perché l’oggetto è diverso. Nel primo processo si era chiesta la schiava, qui l’oggetto è diverso e quindi può esperire l’azione di rivendica. Dice però attenzione, perché se il bambino è nato prima della sentenza e la sentenza lo ha tenuto in considerazione, si è pronunciata anche sul figlio della schiava, in questo caso una seconda azione volta a rivendicare il figlio della schiava non sarà possibile.!!!

martedì 25 ottobre 2011!!DATA ESAME (PREAPPELLO): 21-22-23 Novembre & 28-29-30 Novembre!Lunedì 14: vengono appese al 3° piano una serie di fogli con i giorni e numeri di studenti che possono sostenere l’esame. Ogni giorno possono sostenere l’esame 20 persone, ciascuno si iscrive nello spazio vuoto.!!Libro di Pier Paolo Zamorani, scrive in giovane età 3 libri. Inizia a con un libro sul precario, accolto molto bene.!!Abbiamo una distinzione tra proprietà, possesso e detenzione. La proprietà è un diritto reale assoluto. Possesso e detenzione invece sono delle res facti, delle situazioni di fatto. Si diversificano in forza dell’animus, dell’elemento soggettivo. Tanto possesso quanto detenzione presuppongono una custodia, una disponibilità materiale della cosa. Il possessore possiede la cosa come propria. Usa la cosa come se fosse propria. Il detentore invece usa la cosa ma non con la stessa intenzione, non come se fosse una cosa sua. Chi sarà il possessore? Innanzitutto il proprietario, lui è allo stesso tempo anche possessore. Incanto a lui possiamo trovare anche un soggetto che compre una cosa però l’atto era inidoneo al trasferimento della proprietà ma è passato soltanto il possesso. Il negozio usato era inidoneo. Pure il ladro della cosa è un possessore. L’usufruttuario usa la cosa ma non come se fosse il proprietario. Lui è un detentore. Anche l’usuario, il conduttore, il depositario e il comodatario sono detentori. C’è sempre la disponibilità materiale anche se manca l’animus per usare la cosa come se fosse propria.!Diciamo che il diritto romano conosce 2 proprietà: proprietà pretoria e proprietà civile. Si parla anche di proprietà provinciale per indicare la proprietà dei fondi che si trovano in provincia. Terreni, beni immobili che si trovano in provincia. È importante distinguere 2 tipi di proprietà, quella civile e quella pretoria. Come si acquista la proprietà civile? Ci sono due diversi modi. A titolo derivativo e a titolo originario. Quelli a titolo derivativo sono 3: mancipatio, in iure cessio, traditio. Mancipatio è un negozio formale, serve per trasferire la proprietà delle res mancipi. Vale a dire gli schiavi, gli animali da soma e i fondi italici. La in iure cessio avviene al tribunale in presenza di un magistrato. Per le res nec mancipi si può sempre ricorrere alla in iure cessio perché con questa trasferiamo la proprietà anche di res nec mancipi. La traditio invece è la consegna materiale dell’oggetto che si vuole trasferire. A titolo originario invece conosciamo diverse figure, esempio la specificazione, quando una materia prima viene trasformata in una nuova cosa (oro in anello, uva in vino...). Accessione è un altra figura, confusione, commistione, acquisto dei frutti, occupazione (si diventa proprietari per occupazione, con la semplice presa di possesso della cosa.!Ultima categoria sono le cose del nemico, il bottino di guerra. C’è un altro modo di acquisto della proprietà, l’usucapione. L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà

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mediante il possesso continuato nel tempo. Perché si produca l’acquisto di proprietà occorra che vengano rispettati certi requisiti:!res habilis: Esiste anche un divieto di porre in usucapione (esempio: la cosa furtiva)!titulis: deve esserci un titolo, una causa alla base del possesso; es: muore un soggetto, l’erede si reca nella casa dell’ereditando e trova una cosa che egli pensa sia dell’ereditando ma la realtà è che l’ereditando ha ricevuto solo in deposito quella cosa. In questo caso l’usucapione non potrà prodursi)!fides: chi possiede deve essere convinto di non danneggiare altri, deve essere in buona fede, richiesta però soltanto nella parte iniziale.!possessio: occorre avere la disponibilità della cosa in modo continuativo.!tempus: le cose mobili hanno la durata di 3 anni, le cose immobili invece il tempo può essere di 10 anni (se il proprietario della cosa e colui che usucapisce si trovino nella medesima provincia) oppure di 20 anni (se invece si trovano in province diverse si applica questa durata).!!Vengono creati due istituti:!- successio possessionis!- accessio possessionis!Sono due istituti che consentono all’attuale possessore di sommare al proprio tempo anche il tempo di un altro. Questo altro è diverso a seconda se si tratti del primo o del secondo istituto. Il primo è il caso dell’ereditando e dell’erede che subentra nel suo possesso. Alla fine del calcolo globale l’erede potrà avvalersi del tempo dell’ereditando. L’accessio invece descrive un’altra cosa. Il compratore potrà avvalersi del tempo nel quale ha posseduto il venditore.!!Proprietà pretoria!Si ha in 2 casi. Un caso l’abbiamo già visto, quello della res mancipi che viene trasferita e tuttavia nel momento in cui la cosa viene trasferita non viene utilizzato il negozio idoneo a trasferire la proprietà della cosa (schiavo, res mancipi, il compratore non ricorre ne alla mancipatio ne alla in iure cessio, quindi sbagliano perché non usano un negozio idoneo). La proprietà civile non passa, passa semplicemente il possesso della cosa. Ci sarà un possessore che non è proprietario civile ma potrà diventarlo soltanto grazie all’usucapione. !Secondo caso che da proprietà pretoria è la vendita di una cosa di chi non ne è proprietario civile. In questo caso, nessuno può trasferire qualcosa che non ha, quindi si trasferisce un possesso che un giorno potrà trasformarsi in proprietà solo in futuro. Si parla di proprietà perché la situazione di questo possessore è del tutto simile a quella di un proprietario. Sia per quanto concerne l’uso della cosa, l’uso che può fare, sia per quanto concerne i strumenti processuali che gli vengono concessi per questa situazione. Sono strumenti molto simili a quelli concessi al proprietario civile. !!Possesso!Il possesso nel diritto romano. Riguarda il possesso in età Giustinianea.!Possiamo definirlo come la disponibilità materiale della cosa, unita all’intenzione di usare quella cosa come se si fosse proprietari della stessa. Aggiungiamo: senza la necessità che ci sia un titolo di legittimazione. Il ladro per esempio è possessore. È una mera situazione di fatto che ha queste caratteristiche. In età Giustinianea, il possesso è dato da due elementi. I due sono indicati nelle fonti da un intero corpus con il termine “animus possidendi”. corpus = custodia. Animus è un elemento soggettivo, quindi l’intenzione di volerla possedere, di usare la cosa come un proprietario. animus possidendi = intenzione di possedere. Prendiamo in considerazione questi due elementi per la nascita del possesso. Il possesso nasce quando ci sono entrambi questi elementi. Mentre l’animus deve essere sempre del possessore, il corpus può essere di un altro. Esempio: io mando

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mio figlio a prelevare lo schiavo che è arrivato al porto. Al momento lo schiavo viene preso io divento possessore. L’animus è del possessore, me, però il corpus può essere anche di mio figlio. Si possiede attraverso la disponibilità realizzata da altri.!Ci sono dei casi in cui si ha l’acquisto del possesso solo animo, senza corpus. Traditio brevi manu: c’è un proprietario, dall’altra parte c’è un usufruttuario. La cosa si trova presso il usufruttuario (mero detentore). Quest’ultimo acquista la proprietà dell’oggetto che usufrutta. Non c’è bisogno della consegna materiale perché la cosa è già nel suo possessio. C’è un altro caso, del costituto possessorio, assistiamo a un proprietario che vende la cosa ma la trattiene a titolo di usufrutto.!!Conservazione!Vale lo stesso discorso, il possesso viene conservato quando vengono mantenuti i due requisiti, corpus & animus. Come per l’acquisto del possesso, anche in materia di conservazione l’animus deve sempre essere del possessore, il corpus può essere del possessore o di un altro (figlio, schiavo, usufruttuario, depositario...). Anche nel caso della conservazione ci sono dei casi di solo animo; si prescinde dalla disponibilità materiale. Esempio: pascoli invernali/estivi. I terreni adibiti al pascolo, che per la loro caratteristica vengono utilizzati non tutto l’ano ma soltanto in una parte dell’anno. Nessuno ha la disponibilità materiale di tutto il pascolo, tuttavia il possesso permane anche in assenza del corpus. È un caso di possesso solo animo.!Altro esempio: il possessio va conservato solo animo, lo schiavo fuggitivo. Scappa, viene meno il corpus, il dominus non ha più la disponibilità materiale. Questo è un caso di conservazione del possesso solo animo, grazie all’animus possidendi da parte del dominus.!!Si perde il possesso o in modo volontario o in modo involontario.!Volontario: quando la cosa viene venduta (io alieno la cosa e la consegno ad altri), oppure quando abbandono la cosa (involontariamente).!Involontario: quando la cosa viene smarrita, quando c’è un naufragio, oppure quando la cosa viene rubata.!!Difesa del possesso!Non ci può essere la forza. Il possesso si difende attraverso strumenti processuali chiamati interdetti. L’interdetto è un ordine del magistrato (pretore), emesso sulla base di un sommario esame dei fatti e può essere un ordine volto alla conservazione del possesso (che protegge il possesso attuale) oppure un interdetto volto a recuperare il possesso perduto. Parliamo di due interdetti: protezione di beni mobili e quello di immobili!!Uti possidedis (come possedere): vale per i beni immobili.!Poniamo il caso in cui ci sia un possessore e ci sia anche un altro che molesta il possesso del primo. Esercita delle pressioni. Il possessore va dal magistrato e gli chiede l’interdetto, chiede il vietare di ogni atto di turbativa. Il magistrato gli concederà questo interdetto a una condizione: se il possessore non possiede vi (violenza) clam (di nascosto) precario (nei confronti dell’avversario).!!Ùtrui: vale pre i beni mobili.!Il magistrato eviterà le turbative però deve depurare anche un altro requisito. Deve vedere se sia il possessore oppure colui che esercita le turbative ad aver posseduto per più tempo nell’ultimo anno. Se il magistrato appura che colui che esercita le molestie ha posseduto per più tempo ordina all’attuale possessore di restituire il possesso a colui che lo turba. Ordina la restituzione del possesso.!!

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lunedì 7 novembre 2011!!Possesso!È l’insieme di due elementi, uno è di natura oggettiva, elemento di disponibilità materiale, il secondo è quello dell’intenzione di detenere, natura soggettiva.!!Savigny, 1865: pubblicata l’ultima edizione della monografia che ha segnato tutti i studi successivi in materia. Fin da età classica il possesso è la somma di due elementi.!

Corpus + Animus Domini!Sorgono delle critiche sull’animus. Non riusciva a spiegare alcune figure. (Nel diritto romano il possesso viene riconosciuto anche a soggetti che non avevano l’animus domini come il sequestratario, il precarista...) In particolare la critica con più successo dice che sarebbe stato più corretto parlare di Animus Possidendi, invece di Domini. Questo, per esempio, sarebbe riconosciuto anche al sequestratario. La teoria viene messa in forte dubbio da uno studioso, Carlo Augusto Cannata, scrive infatti due articoli in materia possessoria. Sostiene che corpus e animus non sono elementi del possesso. Sono, secondo lui, due strumenti fra loro alternativi. Seconda differenza è che Cannata traduce in maniera diversa queste due espressioni. Secondo lui Corpus significa il corpo dell’uomo, mentre Animus lo traduce come anima. Il possessore quindi può possedere o attraverso il proprio corpo oppure (se la cosa non si può ‘toccare’) possedere con l’anima. !!Nel 1977 infine appare il lavoro di Zamorani. Lui dice che il possesso è corpus. I giuristi romani hanno una concezione prettamente materialistica del possesso. Il possesso consiste nella disponibilità materiale della cosa. L’animus viene ridotto da Zamorani ad una entità accessoria. È qualcosa che sta al di fuori dalla nozione di possesso. È una entità alla quale i giuristi ricorrono per consentire la conservazione del possesso, laddove non ci sia la disponibilità materiale - il corpus, in ipotesi ben determinate. Laddove non c’è il corpus soccorre l’animus. Ha anche un nome, Animus Revertendi, significa “intenzione di ritornare” (alla cosa).!Vediamo quali sono le ipotesi di applicazione dell’animus. Partiamo dal testo in pagina 15.!!Istituzioni di Gaio 2.67: Gaio ci dice quando si acquista e quando si perde la proprietà dell’animale selvatico. I volatili, pesci, etc. Dice, l’animale inizia ad essere in nostra proprietà quando lo catturiamo. Manteniamo la proprietà finché manteniamo la custodia. La proprietà si perde quando si perde la custodia ovvero quando l’animale recupera la propria libertà naturale, quando l’animale fugge e noi non lo vediamo più oppure quando ancora lo vediamo ma sarà troppo difficile catturarlo. La custodia viene meno e quindi viene meno anche il diritto di proprietà.!!D.41.2.1.1.: Paolo. Cita un giurista, Nerva figlio. Lui non parla di custodia ma di possesso. Gli animali selvatici cadono in proprietà a coloro che per primi se ne impossessano.!!D.42.2.3.13.: Paolo. Possesso consiste nella custodia, nel avere la disponibilità materiale. Lo dice espressamente.!!D.41.1.5.: Gaio. Ribadisce il concetto esemplificando con le api. Anche le api sono animali selvatici. Noi diventiamo proprietari delle api nel momento in cui riusciamo a catturarle. Soltanto in quel momento ne abbiamo la proprietà. Quando cessa la custodia cessa anche la proprietà.!!Questa è la disciplina che riguarda solo animali selvatici. Diversa è la disciplina degli animali domestici.!

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Se un animale domestico scappa noi non perdiamo il diritto di proprietà. Perdiamo però il possesso su quel animale.!!Esistono però degli animali selvatici che però hanno anche caratteristiche di animali domestici. Sono animali (colombe, api, cervi, pavoni...) che hanno l’abitudine di scappare e ritornare. I giuristi romani elaborano una regola diversa.!!Istituzioni di Gaio 2.68: ci sono degli animali che Gaio indica, per i quali è stata approvata una regola secondo la quale la proprietà non viene meno, non si perde quando si perde la custodia. Questi animali hanno infatti un animus revertendi. Si perde la proprietà quando l’animale cessa di ritornare.!!D.41.2.5.5.: Gaio dice che la natura di questi animali è una natura selvatica anche se hanno questo animus revertendi. Questo istinto non incide sulla loro natura. Gaio ribadisce il suo pensiero. Per questi animali viene introdotta una deroga alla regola della custodia. I giuristi si sono accordati che la proprietà viene mantenuta finché l’animale ha l’animus revertendi. Se l’animale non ritorna viene meno la proprietà.!!D.41.2.3.16.: Paolo. Qui si parla di possesso mentre prima si parlava di proprietà. La cosa principale da notare è che Gaio parla di conservazione di proprietà dell’animale selvatico come se fosse una regola approvata, da tutti condivisa. Qui Paolo non parla di regole. Dice ‘taluni pensano’. Tra tutti i giuristi ce ne sono alcuni, lui compreso, che pensano che non solo la proprietà ma anche il possesso degli animali con animus revertendi vada conservato. In virtù dell’istinto di ritornare anche il possesso va conservato. Per quanto riguarda il possesso, l’animus revertendi non ha alcun ruolo. Se noi perdiamo la custodia dell’animale immediatamente perdiamo anche il possesso. Non riconoscono alcun valore al fatto che l’animale ritorna. Il giurista che sostiene questo è Nervo figlio. “Di tutte le cose mobili noi conserviamo il possesso finché ne abbiamo la custodia, eccetto l’esempio dello schiavo.”!!D.41.2.47.: Papiniano. La parte che ci interessa è la seconda, laddove Papiniano introduce il caso dello schiavo. Lo stesso Nerva scrive che diverso è il caso dello schiavo dato in comodato una volta perduta la custodia. Qui abbiamo uno schiavo che viene dato in comodato. Il comodante consegna al comodatario lo schiavo, affinché usi e si serva dello schiavo. Ad un certo punto la custodia viene meno. Accade probabilmente che lo schiavo scappa, fugge dal comodatario. Quindi vediamo che la disponibilità materiale viene perduta. Troviamo la regola che il possesso viene meno con la perdita della custodia. Nervo figlio però dice che anche nel caso in cui la custodia sia perduta (il proprietario non ha più la custodia sullo schiavo) il possesso viene conservato a condizione che lo schiavo abbia la condizione di ritornare al proprietario. Grazie all’animus i giuristi riconoscono la possibilità di conservare il possesso. Anche gli schiavi possono avere l’animus revertendi. Secondo Paolo questo animus si può trovare anche nella bestia.!!D.21.1.17.3: Ulpiano riporta il pensiero di Viviano. Ci dice quali sono gli elementi per definire fuggitivo uno schiavo. La definizione, dice Viviano: possiamo definire un servo come fuggitivo non guardando semplicemente alla fuga (non tutti gli schiavi che si allontanano dal padrone sono fuggitivi). La fuga non basta per definirlo fuggitivo. Le ragioni per le quali lo schiavo fugge sono molteplici. Viviano fa un elenco, ci dice che può essere catturato dal nemico e poi scappa dal nemico, oppure scappa dalla casa del dominus perché la casa si incendia. Possiamo trovarsi anche di fronte a casi diversi, è stato dato a un precettore, comodatario. Lo schiavo fugge perché magari lo trattano in un

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modo crudele. In tutti questi casi dice che la fuga non basta per definirlo fuggitivo, infatti è necessaria anche l’intenzione dello schiavo. Se lo schiavo si allontana dal padrone ma vuole poi tornare presso il proprietario, allora noi non posiamo definire quel servo come un fuggitivo. Dunque fuggitivo sarà soltanto quel servo che fugge, che si allontana dal proprietario senza avere l’intenzione di farvi ritorno. Anche qui si percepisce l’animus revertendi.!!Abbiamo incontrato due cose per le quali i giuristi riconoscevano l’animus revertendi:!- Lo schiavo !- La bestia!Esiste anche una terza cosa, questa riguarda i “saltus”. Sono dei terreni adibiti a pascolo o come bosco. Hanno delle caratteristiche particolari.!!Festo, II significato delle parole, alla voce saltum (L. 392): con il termine saltus si indicano quei territori nei quali si trovano dei boschi oppure territori utilizzati come pascoli. Se poi c’è una piccola parte del territorio che viene coltivata perché il custode/pastore possa avere un minimo da vivere, questa circostanza non incide sul saltum. Quest’ultimo rimane tale.!!Varrone, La lingua latina, 5.36.: usus salvus: fare uso della cosa lasciando la cosa intatta, senza modificarla.!!D.43.20.1.3.: Ulpiano. Ci sono cose che per loro natura sono economicamente produttive soltanto in una stagione dell’anno (vestiti estivi, vestiti invernali). Ci sono dei terreni che vengono utilizzati soltanto in una parte dell’anno (esempio del prof: Heidi).!!!martedì 8 novembre 2011!!Materia del possesso!!D.41.2.27.: Proculo ci parla di possesso. Il possessore continuava a possedere grazie al suo anumus. Se questo possessore impazzisce non perde, nonostante lo stato di pazzia, il possesso. Ci viene da pensare che una pazzia sopravvenuta incide sull’animus, sull’intenzione, però non è così. Zamorani avanza questa ipotesi, dice che il pazzo non può perdere il possesso partecipando, concludendo un negozio che avesse proprio questo effetto.!!D.43.17.1.25.: Ulpiano parla del possesso di pascoli invernali e estivi. Lega il nome di Proculo alla conservazione di animo a questi fondi. Anche Ulpiano cita Proculo e lo cita e lo lega ai saltus invernali & estivi ed ancora lo lega alla regola della conservazione animo del possesso.!Giovani Rotondi ha studiato il possesso e scritto vari contenuti, ha pensato che Proculo abbia scritto questa regola perché sarebbe stato colpito dal fenomeno dei saltus. Il giurista scriverebbe che nei periodi in cui il terreno non viene sfruttato allora quel possesso va conservato grazie all’animus possidendi.!Zamorani non è d’accordo. Secondo lui, Proculo elabora questa regola per una ragione diversa. Inizia a esaminare delle fonti igromatiche (igromatico = studia tutto ciò che ha a che fare con il terreno)!!

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Th 33.26, 34.9, 34.18, 34.22: Frontino si sta occupando della protezione di beni immobili. Quale strumento processuale usare nel caso in cui veniamo spossessati di quel bene. Frontino ci dice che i casi sono due:!- interdetto; procedura molto veloce ma nella quale occorre riuscire a provare il proprio

possesso, il fatto di essere possessori di quel bene. !- rivendica della proprietà; uno può rivendicare la proprietà di un bene che gli è stato tolto.!Frontino dice che questi due strumenti processuali vanno commisurati al tipo di situazione. Per quanto riguarda i campi coltivati, agite con l’interdetto. È facile infatti dimostrare il possesso. Per quei luoghi invece in cui ci sono boschi ed è difficile dare la dimostrazione del possesso, allora voi dovrete agire più correttamente con l’azione di rivendica. Per questi è più difficile infatti dimostrare il possesso.!Si parte dal fatto che per i saltus esiste un problema di conservazione del possesso perché questi terreni vengono lasciati per quanto tempo senza una persona e si rischia di ritrovare sul pascolo altri pastori. Il problema è quello di conservazione del possesso. L’intento di Proculo, dice Zamorani, sarebbe stato quello di conservare il possesso anche nei momenti in cui il nostro possessore si fosse allontanato. Ma sarebbe stato utile conservare il possesso a condizione che il possessore fosse effettivamente ritornato sul fondo. Secondo Zamorani, alla base della regola di Proculo ciò che giustificherebbe questa regola è la volontà del possessore di ritornare sul fondo. Anche in questo caso deve esserci l’animus revertendi. !!!lunedì 14 novembre 2011!!Per Zamorani il possesso in età classica è dato dalla materiale disponibilità della cosa. È unita di grado di volontà, non è mai reso con il termine ‘animus’. Per lui il termine animus non è contrapposto al corpus, non è l’elemento soggettivo ma lo percepisce come entità accessoria che si configura come animus revertendi. Grazie a questa intenzione, il possesso va conservato anche in assenza di disponibilità materiale. Questo animus revertendi si trova soltanto in casi determinati, in quei casi dove c’è stato un allontanamento (ferra bestia, schiavo, salvus).!!Abbiamo visto già da alcuni passi che ben presto la regola che Proculo elabora viene estesa a tutti i fondi, tutti gli immobili. Zamorani si chiede le ragioni, il perché di questa estensione. Alla base di questa estensione, Zamorani individua due ragioni.!1. di tipo teorico: i giuristi ben presto non hanno difficoltà ad estendere la regola

elaborata in tema di saltus perché si accorgono che l’animus, l’intenzione di ritornare si può applicare a tutti gli immobili. Anche il possessore della propria abitazione si allontana per andare al mercato, ha l’animus revertendi. Non c’è ragione per stabilire una disciplina diversa, non c’è ragione per differenziare due tipi di possesso dov’è visibile lo stesso tipo di animus. È probabile però che la ragione vera che spinge i giuristi a spingere l’estensione sia una ragione di ordine pratico, dice Zamorani.!!

2. di tipo pratico: la ragione di ordine pratico viene individuata nel rapporto che c’è tra possesso e usucapione. L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà. Ricordiamo il momento in cui si perde il possesso di un fondo conservato animo.