10
“e a n a t a l e , t u t t i d a l l a n o n n a !” D I G i o r g i o b u r e l l o

E a Natale, tutti dalla nonna · L’anziana donna si affacciò alla porta, facendo sporgere solo la testa. I capelli erano quasi tutti bianchi, ormai, ma era indiscutibilmente lei:

Embed Size (px)

Citation preview

“e a n a t a l e ,

t u t t i d a l l a n o n n a !”

D I

G i o r g i o b u r e l l o

  2  

Il Subaru Forester dei Carabinieri si infilò nella viuzza, fermandosi

davanti al piccolo porticato in legno carico di neve. Dal sedile del

passeggero scese un giovane in divisa, che si aggiustò il cappello e girò

intorno all’auto.

— Solo cinque minuti, il tempo di un saluto veloce — promise al

compagno seduto al volante, che aveva abbassato il finestrino.

— Fai in fretta, per favore. Non abbiamo tanto tempo. In caserma

ci aspettano — fu la raccomandazione del collega.

Il giovane scese i due gradini sotto il porticato e suonò il

campanello accanto alla porta. Quell’angolo di paese non era cambiato per

nulla da quando era ragazzino, pensò. La porta di legno sul retro della casa

era rimasta la stessa, con il suo vetro zigrinato e l’inferriata in ferro battuto.

Lo stesso si poteva dire delle finestre in legno verniciato di bianco,

dell’intonaco verde pastello e persino dello zerbino consunto davanti alla

soglia.

Forse non era cambiata nemmeno lei, la signora Gianna. Non la

vedeva da… troppo tempo, semplicemente. Se la ricordava come una

vecchina gentile, minuta, con i corti capelli castani acconciati in onde che

le ricadevano sul lato sinistro del viso, sempre piena di premure per i

ragazzini che frequentevano quella casa, che fossero suoi nipoti, i loro

amichetti o i figli di qualche turista. Era andato su e giù per le scale di

quella casa per anni, prima come “amico del cuore” della più piccola dei

nipoti, poi come il suo innamorato segreto e infine, per due anni al liceo,

come il suo ragazzo ufficiale. Aveva dimenticato tante cose, ma la

gentilezza e le carezze di quell’adorabile nonnina gli erano rimaste nel

cuore.

Suonò il campanello ancora una volta e rimase in attesa. Il Subaru

lo stava aspettando con il motore acceso e il collega stava ascoltando la

  3  

radio. Sentì distintamente un rumore di passi dietro alla porta, che si

avvicinavano con quel ritmo dondolante che ricordava così bene.

— Chi è?

L’anziana donna si affacciò alla porta, facendo sporgere solo la testa.

I capelli erano quasi tutti bianchi, ormai, ma era indiscutibilmente lei:

— Buon Natale, signora Gianna! — esclamò il giovane — Sono

Alfredo, il figlio di Toni “Rosso”. Si ricorda di me?

La donna lo guardò perplessa, poi strinse gli occhi per un istante e

si scostò dalla porta. Il carabiniere attese in silenzio. Il viso lei iniziò a

distendersi in un sorriso, poi ritornò serio.

— Alfredo! Sì, mi ricordo… il piccolo Alfredo — sussurrò.

— Non più tanto piccolo, ormai. Posso entrare, signora? Giusto un

momento, il tempo di farle gli auguri, poi devo scappare.

La donna strinse con la mano lo scialle che portava appoggiato alle

spalle, incerta sul da farsi. Si sporse un po’ di più oltre la porta e vide l’auto

ferma nella stradina.

— Siete già venuti a prendermi? — chiese poi con un filo di voce.

Alfredo rimase interdetto. Si tolse il cappello e se lo infilò

sottobraccio:

— Che cosa… cosa sta dicendo, signora Gianna?

Si voltò verso l’auto, ma il suo collega aveva già tirato su il

finestrino e non gli prestava attenzione. Tornò a guardare la donna che lo

fissava dalla porta, senza ombra di dubbio impaurita:

— Sono solo passato a farle gli auguri, oggi che è Natale, signora

Gianna — aggiunse con una punta di imbarazzo nella voce. Si domandò se,

per caso, l’età non le stesse giocando qualche brutto scherzo.

— Ah, beh, sì… gli auguri, certo.

  4  

Scostò la porta di poco e Alfredo ne approfittò per entrare. La

donna la richiuse con esagerata attenzione dietro di loro, senza muoversi. Il

corridoio era buio e il giovane, ricordandosi la posizione dell’interruttore,

accese la luce con la mano ricoperta dal guanto. Le prese la mano destra

per farle gli auguri e fece per chinarsi, per stampargli un bacio sulle guance

ricoperte di rughe, ma la donna fece un passo avanti, in direzione delle

scale interne:

— Vedi, caro, io ti farei volentieri anche gli auguri, però ho

combinato un guaio su in cucina e non so come… come…

Continuava a tormentarsi lo scialle, annodando e riannodando i

lembi tra le mani e guardando ovunque pur di non incrociare gli occhi del

giovane. E inoltre tremava, nonostante non fosse freddo, lì nel corridoio.

Alfredo non capiva. Su quel volto segnato dal tempo, lo stesso che

ricordava lui, c’erano imbarazzo, vergogna e… qualcos’altro. Sembrava

paura.

— Se c’è qualcosa che non va, signora, può dirmelo senza

problemi. Magari possiamo darle una mano, il tempo di avvertire il mio…

La donna gli prese il braccio con la mano sinistra, stringendolo con

una forza inaspettata, ed esclamò:

— Li ho uccisi tutti, sai? Tutti quanti. In un colpo solo. Sono tutti in

cucina.

Alfredo sussultò, poi scosse la testa. Era evidente che qualcosa non

andava, nella testa dell’anziana donna. Per un attimo la delusione fu

enorme: era tornato in quella vecchia casa per ritrovare un pezzo della sua

infanzia, immutato, ma il tempo aveva la sgradevole tendenza a cambiare le

cose. E a far invecchiare le persone, riflettè.

La donna continuava a stringere:

  5  

— Però è giusto che siate venuti a prendermi — aggiunse — L’ho

combinata grossa.

Sperando nella comprensione del suo collega, decise di

assecondarla e, liberatosi dalla stretta, le posò con delicatezza una mano

sulla spalla:

— Non credo che una persona come lei possa fare qualcosa di male,

signora. Vuole accompagnarmi in cucina, per cortesia? Scommetto che non

è successo nulla.

L’espressione corrucciata della donna si rilassò in un sorriso e

Alfredo vi riconobbe la cara nonnina della sua infanzia. Il carabiniere la

spinse dolcemente verso le scale e la seguì su quei gradini cigolanti che ben

conosceva. Dopo due rampe si ritrovarono in un corridoio simile a quello

che avevano lasciato, dove si aprivano due porte per lato e, sulla parete di

fondo, una grande finestra lasciava entrare la luce. Le pareti erano ancora

ricoperte fino a tre quarti della loro altezza dalle vecchie perline di legno

lucido, tra le due porte sulla destra c’era ancora il vecchio attaccapanni in

ferro battuto e le ingenue foto turistiche degli anni ‘50, con le montagne

cariche di neve e i colori troppo accesi, erano ancora appese sotto le

appliques a forma di fiore.

La porta della cucina era la prima sulla sinistra. Un silenzio

inconsueto dominava la vecchia casa, appena mitigato dal rumore delle

auto che transitavano sulla strada, oltre la finestra. Nei ricordi di Alfredo

c’era sempre qualcuno che parlava, che cantava o che strepitava tra quelle

mura, a ogni ora del giorno e della sera.

— Sai — riprese la donna aprendo la porta — dev’essere stato mio

nipote Pietro a dire “andiamo tutti dalla nonna, a Natale”, e io ho dovuto

preparare il pranzo.

  6  

La donna entrò e si sedette sulla sedia accanto alla cucina

economica, dove un paio di pentole di alluminio riposavano sui cerchi in

ghisa ancora caldi. Riprese a tormentare lo scialle, con lo sguardo fisso

sulle piastrelle esagonali del pavimento. Alfredo entrò in cucina a sua

volta, titubante, ma fatti pochi passi si fermò, raggelato.

Tutta la stanza era occupata da una grande tavola imbandita, attorno

alla quale erano riuniti tutti i parenti della signora Gianna: i tre figli Aldo,

Silvio e Carlo con le rispettive mogli, le nipoti Giovanna, Aurora, Lucia e

Mara, due loro fidanzati, i nipoti Tommaso e Pietro, la fidanzata di uno di

loro e un cugino della signora, Attilio, che viveva anche lui in quella

grande casa. Vicino al tavolo c’erano i due cani della famiglia, uno

schnauzer e un pastore tedesco.

Erano tutti morti.

Alfredo si portò una mano alla bocca, reprimendo un conato di

vomito. I commensali erano riversi sul tavolo, accasciati sulle sedie o

giacevano scomposti sul pavimento. Tutti quanti erano cianotici e avevano

la schiuma alla bocca, chiazzata di sangue. Qualcuno di loro stringeva le

braccia al petto, altri si erano portati le mani alla gola. Il pastore tedesco era

riuscito ad avvicinarsi al piccolo divano sotto la finestra, mentre lo

schnauzer era stramazzato tra le gambe del tavolo.

Il giovane carabiniere ritornò sui suoi passi e si appoggiò allo stipite

della porta, incredulo. Si mise le mani nei capelli e, nel farlo, il cappello gli

scivolò da sotto il braccio e rotolò a terra, arrivando ai piedi della donna.

Lo stomaco gli si contrasse, mentre il cuore iniziò a battere all’impazzata.

Era come se qualcuno avesse passato una spugna sui suoi pensieri,

lasciandogli la mente vuota, incapace di formulare un pensiero coerente.

  7  

La signora Gianna raccolse il suo capello dal pavimento e se lo

portò in grembo, lisciandolo con cura. Quel gesto sembrò calmarla, e

guardando Alfredo negli occhi iniziò a parlare:

— Sono stata io. Non ne potevo più. Ero stanca di tutto, di tutti. Lo

sai che tre giorni fa ho compiuto ottantasei anni? E credi che qualcuno di

loro si sia ricordato del mio compleanno? Solo un paio di baci frettolosi su

una guancia, e poi via, tutti con il naso nelle pentole, a vedere cosa avevo

cucinato per loro.

Si accomodò meglio sulla sedia, senza mai smettere di guardare il

giovane carabiniere:

— Li ho sempre accuditi. Ho fatto sempre tutto per loro, senza mai

chiedere, senza mai lamentarmi. E prima di loro l’ho fatto per mio marito,

per quarant’anni. Sempre un passo indietro, sempre dopo di lui, sempre a

riverirlo, a spazzolarlo, a riportarlo a casa quando alzava il gomito. Gli

volevo bene sul serio, sai? Ma per lui era tutto dovuto. E se qualcosa non

andava bene, alzava le mani. Ho fatto la serva per lui, come ho fatto per i

miei genitori. Poi ho continuato per i miei figli e infine anche per i miei

nipoti. Mamma fammi quello, nonna fammi quest’altro, e io sempre zitta,

sempre sorridente, sempre a preoccuparmi che tutti stessero bene, che fosse

tutto preparato a puntino, per tutti. Li vedi, là, i miei figli? Loro dovevano

lavorare, c’era un negozio da mandare avanti, la falegnameria, il bosco da

curare, avevano i loro problemi e io dovevo dare una mano a tutti quanti.

Nessuno, però, mi ha mai chiesto come stavo. Io dovevo correre, non

potevo permettermi di stare male. Non mi portavano neanche un paio di

stivali decenti per uscire con la neve, nonostante ne avessero gli scaffali

pieni. Non avevano tempo. Non mi hanno neanche mai cambiato le vecchie

perline, non era importante. E la legna? Sono due anni che devo

comperarmela, con tutte le piante che abbiamo! Importa a qualcuno della

  8  

nonna? Solo se cucina per tutti, se va a pulire, se stira le camicie, anche se

l’artrosi mi fa impazzire dal male. Le signore, là, non hanno mica il tempo

di fare i mestieri, eh no! E che lo insegnino alle figlie, poi, non se ne parla!

Loro hanno cose più importanti da fare, tanto c’è la nonna che tappa i

buchi. Come se non ne avessi già abbastanza, poi, si sono anche comperati

non uno, ma due cani. Ma ai cani, bisogna stargli dietro! Non sono mica

giocattoli! E secondo te da chi portavano quelle povere bestie quando

dovevano andare da qualche parte? E mio cugino? Si alza dal letto solo per

andare al bar, e mi tocca badare anche a lui. Mai una volta che facesse

funzionare la stufa, o che pulisse, mai! Non riuscivo neanche a uscire dal

letto, da tanto ero stanca, qualche volta, ma ero io quella che doveva

sforzarsi, perché loro hanno tutto, vanno dappertutto e sono sempre

scontenti, sempre… depressi, come mi ha detto la Mara una volta, dicendo

“tanto, nonna, tu non puoi capire”. Già. Io non capisco. Mai. Però l’ho

capito bene, quest’estate, quando ho avuto un infarto, e se non era per la

commessa del negozio, qui sotto, sarei già andata al Creatore! Il cardiologo

ha riunito tutti quanti e si è raccomandato il massimo riposo, ma due giorni

dopo essere tornata dall’ospedale erano di nuovo tutti qua: fammi questo,

cucina quello, rammenda quest’altro… E così, due giorni fa, quando hanno

deciso che sarebbero venuti tutti da me a mangiare il giorno di Natale, è

stato come se mi rompesse qualcosa, qui dentro.

Si portò una mano al petto:

— Ero arrivata all’orlo, capisci? E ancora una volta ho detto di sì,

anche se le mani mi facevano impazzire dal dolore, e il cuore ogni tanto

martellava nel petto come se volesse uscire, e le gambe non mi reggevano e

mi si annebbiava la vista. Ho preparato tutti i loro piatti preferiti e poi ho

cercato giù, in cantina, e ho trovato quel vecchio veleno per topi. “Mi

raccomando, nonna” mi hanno detto “Cucina alla vecchia maniera, con il

  9  

burro di malga, e fai il ragù quello buono, quello che sai fare solo tu!”.

Quando si sono accorti che qualcosa non andava, era già troppo tardi.

Alfredo era lentamente scivolato lungo lo stipite man mano che la

donna raccontava, dapprima infuriato, poi rattristito e infine rassegnato.

Ora, seduto sul pavimento, provava solo una pena infinita. Gettò uno

sguardo alla tavola affollata di cadaveri e si stupì, invece, nel non provare

nulla, proprio nulla, per nessuno di loro. Solo per i cani, che avevano

pagato senza colpe, provò compassione.

Riuscì a rimettersi in piedi, nonostante il tremore alle gambe:

— Mi aspetti qui, signora Gianna.

— E dove pensi che vada? — disse lei — Sono sempre rimasta qui.

Uscì dalla cucina e scese le scale un gradino alla volta, nel timore di

inciampare. Spalancò la porta sul retro e corse verso l’auto, dove il collega

stava già abbassando il finestrino, visibilmente spazientito:

— Ti vuoi dare una mossa? Se arriviamo in ritardo, ci fanno…

— Parcheggia là, in quello spiazzo, e poi vieni dentro anche tu. C’è

un grosso problema.

L’espressione sul volto di Alfredo non ammetteva repliche. L’altro

carabiniere rimase in silenzio, rialzò il finestrino e parcheggiò il Subaru

dove gli era stato indicato.

Alfredo rientrò in casa.

La signora Gianna si era seduta sul divano e aveva ricominciato a

tremare. Il giovane si sedette accanto a lei e la abbracciò.

— Che cosa mi succederà, adesso? — gli chiese.

Il giovane carabiniere sospirò. Il suo collega stava salendo le scale

con passi pesanti.

— Non le succederà nulla, signora Gianna. Promesso — disse dopo

un po’.

 10  

Uno dei cadaveri rovinò giù dalla sedia, facendo volare a terra un

bicchiere che si infranse sul pavimento.

— Credo che lei, la sua pena, l’abbia già scontata.

Sappada, 4 gennaio 2014.

This work is licensed under the Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License. To view a copy of this license, visit http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/.