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Dottore Commercialista n°2

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Il secondo numero della rivista "Dottore Commercialista" edita dall'Accademia dell'Agro dei Dottori Commercialisti

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SOMMARIOUN IMPEGNO TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE

di Salvatore Alfano P.2

TA.R.S.U. E T.I.A. ALLA PROVA DEL CONFRONTO.

L’evoluzione normativa della Tassa comunale per i rifiuti: differenze con l’attuale e prospettive P.3di Giuseppe Bonino

QUALE DEDUZIONE PER LE SPESE RELATIVE AGLI IMMOBILI DEI PROFESSIONISTI ?

La gestione dei cespiti inamovibili tra criticità antiche e dubbi legati all’innovazione normativa. P.5di Dario Deotto

CONDIVISIONE DEL SAPERE

Accademia dell’Agro: work in progress P.7di Paolo Parente

QUANDO LA SEMPLIFICAZIONE AVVIENE A DISCAPITO DELLE GARANZIE

I nuovi metodi di valutazione dei conferimenti nelle S.p.a.: criticità e proposte d’intervento. P.9di Annalisa De Vivo

NON LASCIAMOCI INGABBIARE

I problemi del Mezzogiorno tra proposte di legge e fatti concreti. P.11di Alfonso Panariello

P.12di Alessia Caputo

IL MASSIMARIO P.13di Alessandro Sacrestano

PROFESSIONE ECONOMICO GIURIDICABimestrale dell’Accademiadell’Agro dei Dottori Commercialisti

DirettoreFelice Ianniello

Direttore ResponsabileAlessandro SacrestanoRedazione

Lucia Barba, Virginia Carotenuto, Annarita Cavaliere, Gina Leo, Carmen Loreto, Alfonso Panariello, Gaetano Pauciulo, Francesco Ruggiero, Maurizio Stile

EditoreAccademia dell’Agro dei Dottori Com-mercialisti

PresidenteSalvatore Alfano

VicePresidenteCiro Cozzolino

SegretarioFelice Ianniello

TesoriereDomenico Coppola

ConsiglieriGiuseppe Pagano, Amedeo Sacrestano,Pasquale Vitagliano

AmministrazioneVia A. Manzoni 21 - 84018 Scafati (SA)

RedazioneVia Kennedy, n. 35 - 84012 Angri (SA)[email protected]

Composizione e StampaAccademia dell’AgroReg. Trib. di Nocera Inferiore n. 789/09 del 24.06.2009Riproduzione RiservataDiffusione gratuita Gli articoli esprimono esclusivamente il pensiero personale degli autori e non impegnano in alcun modo il giornaleNumero chiuso in redazione il 01.07.2009Ti-ratura: 1000 copie

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di Amedeo SacrestanoConsigliere Ordine di Nocera Inferiore

L’ORGOGLIODI MOSTRARSICLASSE DIRIGENTE“Oggi l’Italia è un Paese doppiamente in difficoltà. Una prima volta, perché ha un debito pubblico assolutamente spropor-zionato alla qualità delle infrastrutture, della Pubblica Amministrazione, dello Stato sociale che offre ai propri cittadini. Una seconda volta perché non esiste, nei suoi cittadini, la consapevolezza di essere una comunità, né tanto meno la consapevo-lezza che dalle difficoltà si esce solo con la disponibilità di qualcuno a rinunciare a qualcosa che credeva di poter considerare come dato acquisito”.

Ho voluto riprendere questo passaggio del libro di Claudio Siciliotti “Protagonisti del Cambiamento”, non per emulare il Presidente

della nostra Accademia nell’articolo di apertura di questo secondo numero di “Dottore Commercialista” o per, come dirà qualcuno,

adulare il Presidente nazionale di Categoria. L’ho fatto perché lo ritengo in grado di sintetizzare ottimamente un messaggio politico

che va ben oltre la definizione del ruolo delle libere professioni nella società moderna. L’ho fatto perché condivido la rilevanza, oserei

dire la drammaticità, dell’input che vi si legge in maniera evidente: non è più tempo di indugi ma, bensì, di responsabilità. Un’incom-

benza, questa, che fa capo primariamente alla Classe dirigente del Paese.

I Commercialisti devono ricomprendersi a pieno titolo nella Categoria di vertice della nostra società, non per titoli o per mandato

elettivo ma per la cultura che esprimono e per la funzione che devono (e ancora di più, possono) ricoprire nell’architettura dei moderni

sistemi economici e sociali. In quanto tali, devono ancora di più, e con maggiore incisività, partecipare al confronto pubblico sul

destino del Paese, sui suoi mali e sulle strategie per renderlo più equo e giusto, prima ancora che appagante sul piano della crescita

economica e dello sviluppo delle conoscenze.

I Professionisti economico giuridici evidenziano probabilmente nel loro DNA, anche per le conoscenze tecniche che devono maturare

e possedere, la naturale inclinazione ad occuparsi di problemi complessi. Sarà l’ecletticità delle cognizioni culturali e scientifiche

richieste per l’attività quotidiana o forse il ruolo ad essi assegnato da coloro che, ogni giorno, vi si rivolgono, in cerca di riferimento

per meglio inquadrare problemi ed opportunità della loro attività economica. Fatto sta che in capo alla nostra Categoria sociale, prima

ancora che professionale, si concentrano responsabilità molto più grandi di quelle legate all’esercizio di un’attività lavorativa.

Da sempre, dietro una scelta imprenditoriale importante o un’innovazione organizzativa delle Istituzioni del Paese, vi è il consiglio,

se non addirittura l’indirizzo, di un Commercialista. Non è un vezzo ma un dato di fatto. Anche per questo, c’è necessità che questa

grande Categoria professionale maturi una “politica forte”, che non deve essere scelta partigiana ma proposizione di valori, etici e

culturali. E’ l’Orgoglio di Categoria che deve prendere il sopravvento: è questo il messaggio che l’attuale classe dirigente nazionale

sta lanciando alla “base”. Un pensiero per il quale i Commercialisti non solo devono essere artefici del proprio destino ma devono

anche indirizzare efficacemente (e nella direzione della giustizia sociale) quello dell’intero Paese. Un auspicio, questo, che coincide

pienamente con quelli che sono il valori fondatori dell’Accademia Nazionale dei Dottori Commercialisti: tutela e valorizzazione del

merito e delle competenze; rigore morale e lealtà nei comportamenti; rafforzamento dello spirito di Categoria.

Anche a livello locale la Categoria deve, ritengo, esprimere un pensiero forte: come migliorare l’architettura e il funzionamento delle

nostre istituzioni politiche; come aprire alla partecipazione e condivisione delle decisioni strategiche per il territorio; come favorire la

diffusione della conoscenza e, soprattutto, il rafforzamento della consapevolezza in capo a chi è chiamato ad effettuare scelte con

impatto sull’intera collettività. Ed ancora, come tutelare la trasparenza nei mercati, come valorizzare l’efficacia delle scelte gestionali

delle imprese, come contribuire ad un prelievo fiscale più equo e diffuso.

Non sono temi estranei alla Professione. La professione non può non occuparsene, discutendone apertamente al suo interno ed

impegnandosi, prima ancora che con le sue Istituzioni di rappresentanza, con l’attività quotidiano di ognuno di noi.

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di Salvatore AlfanoPresidente dell’Accademia dell’Agro

UN IMPEGNOTRA MODERNITÀE TRADIZIONEIl tema di cosa significhi esercitare un’attività professionale nel nostro Paese è sempre molto affascinante, oltre che di attualità. Diverse

legislature si sono cimentate su riforme o tentativi d’innovazione di quella che, prima ancora che una collocazione lavorativa, è una funzione

costituzionalmente prevista e da disciplinare esclusivamente con legge dello Stato.

C’è chi intenderebbe abolire le professioni, se non ridurne di molto la valenza operativa nell’architettura della società contemporanea. In

questa furia innovatrice, spesso si dimentica anche che, per eventualmente farlo, bisogna passare attraverso una riforma della Costituzione.

Ce chi, di contro, intenderebbe aumentarne anche prerogative legali, prima ancora che definirne meglio i contorni operativi. Con tale intento

personalistico, altrettanto spesso vengono assunte posizioni che sarebbe ingeneroso anche solo accostare alla più forbita e moderata ora-

zione tenuta da Marco Tullio Cicerone per riavere l’area e i fondi per ricostruire la sua casa, confiscatagli durante l’esilio.

Inquadrato in questi confini, il dibattito sulle libere professioni risulta essere estremamente riduttivo, oltre che inesorabilmente votato a non

produrre risultati utili per nessuno.

Già sul precedente numero di “Dottore Commercialista” ci siamo interrogati su cosa significhi appartenere alla nostra Categoria professio-

nale. Competenze tecnico giuridiche, etica, equilibrio: sono queste le principali caratteristiche da mostrare (e possedere) per assumere una

funzione privatistica a tutela, però, delle fede pubblica. Il professionista, in generale, non è un funzionario dell’Amministrazione dello Stato

così come non può e non deve essere collocato nel mondo della libera attività d’impresa. Egli appartiene ad un “tertium genus” di funzione

socio economica. Egli esplica la propria attività non a favore di una “parte” ma a beneficio dell’oggettività, del diritto e della ricerca del giusto

equilibrio nella composizione degli interessi. Lo fa esercitando una funzione nell’interesse e, soprattutto, riconosciuta dalla Collettività, al

punto tale da trovare una definizione di tipo costituzionale.

Nello specifico, il Commercialista - il Professionista iscritto ad un Albo normato e vigilato dalla Pubblica Amministrazione - svolge un’atti-

vità imprescindibile per l’equità e la diffusione di conoscenze economiche e legali. Nella progettazione e gestione di fenomeni economici

complessi, egli deve individuare e definire correttamente gli interessi in gioco, favorendo - mediante l’equilibrato intervento di più attori - il

contemporaneo soddisfacimento di più aspettative legittime.

“Cerca sempre di ottenere il giusto per il tuo cliente: il giorno in cui gli farai ottenere più del giusto non avrai fatto bene il tuo lavoro, perché

avrai soltanto gettato le basi per l’emersione di future controversie”. Non è un concetto mio. E’, bensì, rappresentato dal nostro Presidente

nazionale Siciliotti.

Claudio ha voluto esprimere la sua visione della Professione Economico giuridica durante il primo Congresso della Categoria unita tenuto a

Torino, ad inizio anno. Ha presentato un vero e proprio “manifesto”, racchiuso in “Protagonisti del cambiamento”, edito da Ipsoa. Un insieme

di riflessioni sulla società contemporanea, prima ancora che sul ruolo delle professioni liberali. Una sintesi efficace - e di facile lettura - di

quello che vuole essere il rinnovato impegno dei Commercialisti a favore del nostro Paese.

Nello scritto, una serie di sollecitazioni – prima ancora che alla classe politica – ai Colleghi: un messaggio chiaro ad operare, ogni giorno, a

favore della diffusione dei valori della conoscenza e della giustizia. Un indirizzo che l’Accademia dell’Agro condivide e fa proprio. Noi siamo

per l’equità, la valorizzazione del merito e per il diritto. Auspichiamo il confronto e la condivisione delle idee e, in funzione anche della cultura

del nostro Paese, reclamiamo un ruolo preciso per i Commercialisti nella società moderna. Lo facciamo non in quanto appartenenti ad un

gruppo d’interessi - o, peggio ancora, ad una “casta” da proteggere – ma in quanto convinti di potere dare ancora molto, e ancora più, alla

crescita del Paese, all’equità sociale e al progresso civile.

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La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (acronimo Ta.R.S.U.) è stata istituita

con Legge del 1941 (la numero 366). Con essa, il Legislatore ha operato una completa

revisione delle previgenti norme in materia, contenute nel Testo Unico per la Finanza

Locale del 1931 (che, peraltro, già prevedeva un corrispettivo per il ritiro e trasporto dei

rifiuti domestici). La disciplina normativa del tributo è stata oggetto di una sostanziale

revisione nel 1982 (col D.P.R. n. 915), che è stata riproposta anche nel 1993, ad opera del

Decreto Legislativo n. 507.

Quanto al presupposto normativo della Ta.R.S.U., la norma principale che ne contiene la

disciplina (ossia l’art. 62 del D.Lgs. 507) dispone, al primo comma, che essa è dovuta per

“l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, situati

nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o, comunque, reso

in maniera continuativa”.

Per orientamento giurisprudenziale prevalente (e, sostanzialmente, consolidato), condi-

zione per l’imposizione tributaria è “l’istituzione e l’attivazione del servizio”. La possibilità

di utilizzo dei locali è, dunque, presupposto secondario e rilevante solo, ed esclusiva-

mente, in caso di “istituzione del servizio” (principio, questo, meglio delineato di recente

dai Giudici di legittimità). La contraddizione di fondo di tale visione risiede, secondo parte

della Dottrina, nell’attribuire erroneamente al tributo la natura giuridica d’imposta quan-

do, invece, il Legislatore, nel disciplinare entrata tributaria, parla chiaramente di “tassa”.

Il soggetto attivo dell’obbligazione tributaria in questione è il Comune “nel cui territorio

sono situati i locali e le aree scoperte, a qualsiasi uso adibite”. Soggetti passivi sono,

invece, “coloro che occupano o detengono i locali o le aree scoperte …… con vincolo di

solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali

o le aree stesse”.

La norma prevede che la tassa debba essere corrisposta in base ad una tariffa determi-

nata per ogni categoria omogenea di utenti – risultante dalla moltiplicazione del costo di

smaltimento (calcolato per unità di superficie imponibile accertata) per uno o più coeffi-

cienti di produttività quantitativa e qualitativa dei rifiuti. In altre parole, secondo l’inten-

zione del Legislatore, le tariffe devono tener conto solo del “costo del servizio” e della

“capacità dei luoghi di produrre rifiuti”. Devono, dunque, essere soltanto commisurate

alla “capacità di produrre rifiuti dei locali tassabili”.

L’art. 62, secondo comma, del DLgs n. 507/93 prevede esplicitamente i casi di esclusione

dal pagamento della tassa per la “sussistenza di condizioni obiettive che impediscono la

presunzione di rifiuti”. Ciò può dipendere da diversi fattori, quali:

la natura delle superfici (ad esempio, luoghi impraticabili oppure in abbando-

no, soggetti a manutenzione o, ancora, stabilmente muniti di attrezzature

che impediscono la produzione di rifiuti);

il particolare uso delle superfici (ad esempio, locali con presenza sporadica

dell’uomo);

l’obiettiva condizione di non utilizzabilità immediata (ad esempio, superfici di

cui si dimostri il permanente stato di non utilizzo).

Merita sottolineare, in via generale, la previsione da parte della legge di una “presunzione

relativa” alla produzione di rifiuti. La prova contraria, atta a dimostrare l’inidoneità del

cespite a produrne, resta ad esclusivo carico del contribuente, che deve fornire all’Ammi-

nistrazione tutti gli elementi all’uopo necessari.

La Ta.R.S.U. è, insieme all’ICI, il tributo comunale più conosciuto. Tuttavia, da tempo

avrebbe dovuto essere “sostituita” da una tariffa, più corrispondente a quello che, nelle

direttive comunitarie in materia, viene chiamato il principio del “chi inquina paga”.

L’art. 49 del DLgs n. 22/1997 (ora abrogato e sostituito dall’art. 238 del DLgs n. 152/2006)

aveva previsto che la Ta.R.S.U. fosse sostituita da una tariffa, avente natura di corri-

spettivo per il servizio reso dagli enti locali, applicata in base alla produzione effettiva (o

presunta, in base a coefficienti ministeriali) di rifiuti urbani e assimilati. La tariffa, poi, do-

veva obbligatoriamente essere diversamente articolata per le utenze domestiche e quelle

non tali (D.P.R. 158/1999). Il sistema introdotto col DLgs 507/1993 doveva, così, essere

sostituito con un altro che, almeno nelle intenzioni, doveva più efficacemente perseguire

gli obiettivi di tutela e salvaguardia ambientale ispiratori del cd Decreto Ronchi (DLgs n.

22/97), prima, e del Codice ambientale (DLgs n. 152/06), poi.

La tariffa, ponendosi all’interno di un sistema a corrispettivo, avrebbe dovuto rappresen-

tare il prezzo unitario di cessione del servizio erogato dall’ente. In quanto “prezzo” per lo

L’evoluzione normativa dellaTassa comunale per i rifiuti:differenze e prospettive

TA.R.S.U. E T.I.A.ALLA PROVA DELCONFRONTO.

di Giuseppe Bonino

Dottore CommercialistaOrdine di Nocera InferioreRagioniere Capo del Comune di Angri

Page 6: Dottore Commercialista n°2

smaltimento dei rifiuti, essa avrebbe dovuto anche avere la funzione di correggere, con

incentivi e disincentivi di tipo economico, i comportamenti degli utenti, orientandoli ad

una minore produzione di spazzatura o al recupero della sua parte riciclabile.

L’obbligatorietà del passaggio da Tassa a Tariffa era stato fissato, di fatto, per il 1 gennaio

1999 (termine entro cui doveva essere emanato il decreto attuativo delle nuove disposi-

zioni). Sin da subito, però, si è avvertita la difficoltà dell’operazione che, attraverso una

serie di interventi legislativi (quasi tutti compresi nelle varie leggi finanziarie ), è stata

procrastinata di anno in anno. Nel corso del 2006, lo stesso art. 49 viene addirittura abro-

gato dall’art. 238 del D.Lgs. n. 152/06 (c.d. Codice dell’Ambiente) che istituisce la Tariffa

per la gestione dei rifiuti urbani, ovvero “ il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di

raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”.

Nelle more, la legge finanziaria per l’anno 2007 e quella per l’an-

no 2008 hanno bloccato, per gli anni di rispettiva competen-

za, il sistema adottato da ciascun Comune alla fine del 2006,

impedendo ogni passaggio dalla Tassa alla Tariffa a partire

da quell’anno. Da ultimo, l’art. 5, comma 2-quater, del D.L. n.

208/2008 ha stabilito che, ove il regolamento ministeriale (che

dovrebbe dettare le modalità di determinazione della “nuova” tariffa di cui all’art 238

D.Lgs. 152/2006), non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio

e del mare entro il 31 dicembre 2009, i comuni che intendano adottare la tariffa integrata

ambientale (T.I.A.) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari

vigenti (prima il termine era stato fissato al 30 giugno ma l’art. 23, comma 21, del D.L. del

1° luglio 2009, n. 78 lo ha ulteriormente differito a fine dicembre).

In sostanza, è possibile affermare che, a distanza di oltre 10 anni dall’emanazione del

Decreto Ronchi (febbraio 97), non è ancora avvenuto il completo e totale passaggio dal

regime della Tassa a quello di Tariffa. Si è legittimato, così, una sorta di “sistema binario di

fatto”, in quanto in alcuni Comuni vige ancora il regime TARSU mentre in altri è già opera-

tivo il regime TIA. Inoltre, la stessa normativa in materia di tariffa (teoricamente destinata

ad essere applicata) è stata essa stessa riformata prima ancora di essere effettivamente

utilizzabile e per di più da una norma che non ha, al momento, ancora trovato, pure essa,

concreta applicazione.

La prima e più significativa diversità la si può rintracciare proprio nella filosofia di fondo

della tariffa rispetto alla tassa che, al di là delle diatribe sulla sua intima natura giuridica,

pone una connotazione più marcatamente imprenditoriale del servizio. Inoltre, mentre la

vecchia normativa privilegiava la distruzione finale dei rifiuti (e soltanto marginalmente un

loro tentativo di recupero), il nuovo regime pone l’accento su una gestione del ciclo dei

rifiuti basata su un attività tesa al recupero, anche energetico, e solo in via del tutto resi-

duale alla distruzione e smaltimento finale: il rifiuto viene visto come una materia prima

da reinserire nel ciclo produttivo ed economico.

Una sostanziale differenza si riscontra, poi, nell’individuazione del soggetto attivo che

- per quanto riguarda la Tassa - è individuato nel Comune. Nella Tariffa, invece, viene

fatta una netta distinzione fra l’Ente locale (che emana gli atti generali d’istituzione e re-

golamentazione dell’entrata e di determinazione della tariffa) e il soggetto Gestore, a cui

è affidata la concreta applicazione del servizio di smaltimento dei rifiuti (art. 49 comma

8, 9, 13).

4 Ta.R.S.U. e T.I.A. alla prova del confronto.

Per quanto riguarda la determinazione della tariffa, è necessario specificare che l’art. 238

del D.Lgs. 152/06, al comma 3, sottrae tale potere ai singoli Comuni e lo attribuisce alle

Autorità di Ambito. Lo stesso comma, invece, conferma - in capo ai soggetti affidatari del

servizio di gestione - l’applicazione e la riscossione della tariffa sulla base dei criteri fissati

dal regolamento di cui al comma 6, Regolamento che, come già detto, al momento, non

è stato ancora emanato.

Rispetto alla Tassa, la Tariffa presenta una struttura binomia, essendo composta da due

parti: quella fissa (tariffa di riferimento), che costituisce la base per la determinazione

della tariffa vera e propria e che viene calcolata sulla base del metodo normalizzato

previsto dal D.P.R. 158/99; quella variabile, determinata da ciascun Comune sulla base

della quantità dei rifiuti conferiti

dagli utenti e sull’entità dei costi

del servizio in modo da assicurare

la piena copertura delle spese di

esercizio e di investimento. Questa

struttura binaria viene confermata

dal comma 4 del nuovo articolo

238; al contrario, invece, il comma 2 introduce alcuni elementi di novità, prevedendo che

la tariffa sia commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità

di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

Questo quadro normativo è, poi, completato da una norma di carattere processuale, che

ha destato non pochi problemi, e che fa riferimento alla devoluzione al giudice tributario

delle liti scaturenti dall’applicazione del canone per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani

(art. 2 D.Lgs. 546/92, come modificato dall’art. 3 bis comma 1 del D.L. 203/05 nel testo

integrato dalla relativa legge di conversione). Quindi, se per la TARSU era evidente il

carattere di entrata tributaria, numerosi interrogativi sorgono per la T.I.A.. In merito, la

recente sentenza della Corte Costituzionale n. 238 - depositata il 24 luglio 2009 - ha sta-

bilito che la tariffa di igiene ambientale, prevista dall’articolo 49 del d.Lgs. n. 22/1997, ha

natura tributaria evidenziando: “…non rilevano né la formale denominazione di «tariffa»,

né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la possibilità di riscuoterla mediante ruolo”.

Quanto all’irrilevanza della denominazione, lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992

stabilisce espressamente che i tributi vanno individuati indipendentemente dal nomen

iuris («comunque denominati»). Inoltre, il termine «tariffa» – nella tradizione propria della

legislazione tributaria – ha un valore semantico neutro, nel senso che non si contrappone

necessariamente a termini quali «tassa» e «tributo»…”.

Il riconoscimento della natura tributaria della tariffa determina conseguenze di notevole

impatto per i comuni che hanno adottato tale sistema e per i soggetti gestori del servizio.

Innanzitutto, si profila l’assoggettamento della TIA a tutte le disposizioni inerenti i tributi in

genere ed i tributi locali in particolare: dalle norme in materia di accertamento e sistema

sanzionatorio a quelle per la riscossione ed i rimborsi, con l’obbligo di colmare la lacu-

nosità delle disposizioni contenute nell’articolo 49, attraverso l’esercizio della potestà

regolamentare ex art. 52 del d.Lgs. n. 446/1997. Per contro, la natura tributaria della TIA

e l’inesistenza di un rapporto diretto tra servizio reso ed entità del prelievo la esclude

dall’assoggettabilità ad IVA.

L’obbligatorietà del passaggio da

Tassa a Tariffa era stato fissato, di

fatto, per il 1 gennaio 1999

Page 7: Dottore Commercialista n°2

di Dario Deotto

Docente della Scuola Superiore dell’Economia e delle FinanzePubblicista del Sole 24 Ore

La questione della deducibilità delle spese relative agli immobili degli esercenti un’arte

o una professione risulta controversa.

Il comma 1 dell’articolo 54 del Tuir dispone che “il reddito derivante dall’esercizio di arti

e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in

natura percepiti nel periodo di imposta … e quello delle spese sostenute nel periodo

stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi

commi”.

La norma, oltre a stabilire il noto principio “di cassa” per la determinazione dei compo-

nenti reddituali rilevanti per la determinazione del reddito di lavoro autonomo, statuisce

anche il principio generale secondo cui le spese che risultano inerenti, perché funzio-

nalmente collegate all’esercizio dell’arte o della professione, risultano deducibili nella

determinazione del reddito.

Occorre rilevare che l’articolo 54 del Tuir è un articolo “chiuso”, nel senso che la discipli-

na della determinazione del reddito di lavoro autonomo risulta essere regolata soltanto

da tale articolo di legge (ne fanno eccezione le disposizioni di cui all’articolo 164 del-

lo stesso Tuir, riguardante le limitazioni alla deduzione dei componenti negativi relativi

ai mezzi di trasporto, il quale detta disposizioni comuni sia alla disciplina del reddito

d’impresa che di lavoro autonomo), per cui, nel caso in cui la deduzione (o la indeduci-

La gestione dei cespiti inamovibili tra criticità antiche e dubbi legati all’innovazione normativa.

QUALE DEDUZIONE PER LE SPESERELATIVE AGLIIMMOBILI DEIPROFESSIONISTI ?

bilità parziale o totale) di un componente negativo di reddito non risulti espressamente

contemplata dai commi 2 e seguenti dello stesso articolo 54, occorre avere riguardo

proprio alla previsione del comma 1: se la spesa, infatti, risulta essere effettivamen-

te sostenuta, cioè pagata, e inerente, nel senso che risulta funzionalmente collegata

all’esercizio dell’erte o della professione, la stessa viene ammessa in deduzione dai

compensi percepiti.

In relazione alle spese relative agli immobili, l’articolo 54, comma 2, del Tuir stabilisce

che “le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di

immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non

sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili,

nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo

di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all’inizio del periodo d’imposta […];

l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi”.

In precedenza, fino alle modifiche apportate dalla L. 296/2006, cioè sino al 31 dicembre

2006, veniva prevista la deduzione delle spese di ammodernamento, ristrutturazione

e manutenzione straordinaria degli immobili in cinque quote costanti, nell’esercizio di

sostenimento e nei quattro successivi.

Occorre anche rilevare che, per effetto della previsione di cui al comma 335 dell’articolo

unico della L. 296/2006, è stata riconosciuta al lavoratore autonomo, per gli immobili

strumentali acquistati o costruiti nel triennio 2007/2009, la possibilità della deduzione

di quote annuale di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione

dei coefficienti di cui al Dm 31/12/1988. Sicché le spese relative all’ammodernamento,

alla ristrutturazione e alla manutenzione che per loro caratteristiche risultano imputabili

ad incremento del costo dell’immobile, sono deducibili seguendo i medesimi criteri di

deducibilità previsti per le quote di ammortamento dell’immobile cui si riferiscono. In

Page 8: Dottore Commercialista n°2

sostanza, le spese cosidette “incrementative” (per il cui concetto occorre rifarsi al do-

cumento OIC 16) vengono portate ad aumento del costo dell’immobile e trovano il loro

riconoscimento fiscale attraverso la deduzione di maggiori quote di ammortamento. Que-

sto, però, soltanto in relazione agli immobili acquistati o costruiti nel triennio 2007/2009.

Le spese, invece, che non comportano un aumento significativo e tangibile della capacità

produttiva o di vita utile del bene, quindi le spese che risultano “non incrementative”,

risultano deducibili nel periodo d’imposta di riferimento, nel limite del 5 per cento del co-

sto complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta dall’inizio del periodo

d’imposta, con l’eventuale eccedenza che è ammessa in deduzione in quote costanti

nei cinque periodi d’imposta successivi. Cosicché, nel caso di immobile acquistato nel

triennio 2007/2009, eventuali spese:

di natura incrementativa, vengono portate ad aumento del valore del cespite

e portate in deduzione sotto forma di quote di ammortamento;

di natura non incrementativa, risultano deducibili nel limite del 5 per cento dei

beni ammortizzabili presenti all’inizio del periodo d’imposta, con l’eventuale

eccedenza che risulta deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’impo-

sta successivi.

Un particolare dubbio si pone in relazione a quelle spese di natura incrementativa soste-

nute dopo il 1° gennaio 2007 in relazione ad un immobile acquistato tra il 15 giugno 1990

e il 31 dicembre 2006, per il quale non risultano deducibili quote di ammortamento. Nella

circolare dell’Agenzia delle Entrate numero 47/E del 18 giugno 2008 è stato affermato

che deve essere applicata la previgente disciplina, in base alla quale le spese relative

all’ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria di immobili utilizzati

nell’esercizio di arti e professioni risultavano deducibili in quote costanti nel periodo d’im-

posta in cui le stesse erano sostenute e nei quattro successivi. L’orientamento è stato

confermato anche dalla risoluzione, della stessa Agenzia, n. 99/E dell’8 aprile 2009.

Tali conclusioni, però, non possono essere accettate in quanto il contribuente è tenu-

to ad applicare le norme vigenti e non quelle abrogate. Per cui appare incontrovertibile

che l’eventuale possibilità di dedurre tali componenti negativi deve essere ricercata nelle

vigenti disposizioni dell’articolo 54 del Tuir. Norma che, come si è visto in precedenza,

deve essere considerata “chiusa”, nel senso che l’”attrazione” dei componenti positivi e

negativi alla determinazione del reddito di lavoro autonomo risulta essere disciplinata solo

da tale articolo di legge, non potendo ricercarsi il trattamento di un componente reddituale

rilevante nella disciplina del reddito degli esercenti un’arte o una professione in quella, ad

esempio, del reddito d’impresa. Sicché se la fattispecie non risulta disciplinata dai commi

2 e seguenti dell’articolo 54, occorre avere a riguardo alla previsione del comma 1, secon-

do la quale risultano deducibili le “spese sostenute nel periodo … nell’esercizio dell’arte o

della professione”. Pertanto, eventuali spese di natura incrementativa sostenute, ad esem-

pio, nel 2009 in relazione ad un immobile acquistato nel 1995 non potranno che essere

dedotte interamente nello stesso periodo d’imposta 2009, ovviamente se “sostenute” nel

corso dello stesso periodo d’imposta e se inerenti.

Quale deduzione per le spese relativeagli immobili dei professionisti ?

Nata dall’integrazione di varie realtà operanti nel settore della Re-

visione ed Organizzazione contabile alla fine degli anni ‘70, PKF

opera in Italia con oltre 70 professionisti coordinati da Soci opera-

tivi. La copertura del territorio nazionale viene assicurata dalla ca-

pillare presenza di uffici operativi ubicati nelle principali città italiane

tra le quali Milano, Verona, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Brescia,

Firenze e Padova.

PKF Italia è iscritta all’Albo Speciale Consob di cui al DPR 136/75.

PKF in Italia é membro effettivo dell’Organizzazione PKF Interna-

tional, uno dei principali Gruppi mondiali operanti nei settori della

revisione e della consulenza aziendale, contabile ed amministrati-

va. La struttura internazionale conta su oltre 400 uffici operanti in

119 Paesi con più di 14.500 professionisti.

Per ulteriori informazioni contattare:

PKF Italia S.p.A. - Via XX Settembre, 14 - 37129 - Verona - Italia

[email protected] - telefono: +39 045 8009385 - fax: +39 045 8009400

Revisione e organizzazione contabile

PKF Italia S.p.A.

A member of PKF International Ltd

6

Page 9: Dottore Commercialista n°2

“I’m on-line”. Oggi molto più che una semplice affermazione legata al fatto che il proprio

pc sia collegato ad internet. Uno status che non riguarda solo la possibilità di “comuni-

care adesso” ma sempre più la condizione di una presenza “permanente” di una quantità

di informazioni, più o meno personali, associate a questo o a quel blog, forum, social

network etc.

La necessità delle persone, che spesso diventa mania, di condividere “se stessi” (in for-

ma più o meno alterata) fa la fortuna dei social network; nient’altro che scatole....vuote,

il contenuto sei tu o il contenuto “lo fai” tu. E’ proprio questo il paradigma di una sorta

di rivoluzione che ha riguardato il web negli ultimi anni. Il concretizzarsi della possibilità,

inizialmente destinata a pochi “eletti”, di essere i veri protagonisti della comunicazione.

La capacità di forte interazione, di scambio informativo bidirezionale è di certo l’elemento

in più: molto più che utilizzare il telecomando per scegliersi la telecamera preferita, molto

più che il televoto!

L’evoluzione del web (il web 2.0 [http://it.wikipedia.org/wiki/Web_2.0]) può essere forse

letta come il semplice incontro della estrema semplificazione degli strumenti da un lato,

e una forte necessità comunicativa dall’altro. Una necessità che si manifesta in forme

assai diverse, e che produce una quantità di informazioni enorme con diverse “utilità” (o

“inutilità”).

“I exist”. “Ciao, esisto, ecco le foto dell’ultima vacanza (quella del mio avatar[http://

it.wikipedia.org/wiki/Avatar] è stata scelta con molta attenzione), ovvio che mi piace la

pizza, non ho un cane reale, ma curo quello virtuale, ho 380 amici (con almeno 370 non

ho nulla da dire), ho un orto (virtuale anche quello), oggi sono felice, sono in autobus per

andare a scuola e sono uno di quelli che...si svegliano imbronciati la mattina”.

Se avessi pensato a questo quando ho cominciato a vedere in internet il futuro della co-

municazione, ne avrei avuto una visione sicuramente meno entusiasta (qualcuno potrebbe

dirmi che ho uno scarso senso per gli affari....e forse è vero). Se uno dice qualcosa è pen-

sabile che abbia qualcosa di interessante da dire. Se decide (consapevolmente) di dirlo

ad un numero elevato di persone, è plausibile che abbia qualcosa di molto interessante

da dire. Preso quindi per buono che Facebook è una piattaforma formidabile, ill valore

aggiunto è nella conoscenza / esperienza che ognuno di noi è in grado di aggiungere

all’informazione. Essere in rete piuttosto che esistere in rete. O almeno entrambi!

E’ ovvio che “socializzare” sia per molti il risvolto interessante della faccenda ma è vero

CONDIVISIONE DEL SAPEREAccademia dell’Agro: work in progress

di Paolo Parente

Amministratore Webeetle Srl

E’ ovvio che “socializzare” sia per

molti il risvolto interessante della

faccenda ma è vero che “condivide-

re” è la chiave di lettura utile

Page 10: Dottore Commercialista n°2

che “condividere” è la chiave di lettura utile. E’ più che mai importante quindi che se

qualcuno ha qualcosa di interessante da dire, questo sia fatto in modo che raggiunga più

destinatari possibili. La valutazione dell’importanza o utilità di un pensiero, di un’idea, di

un’esperienza è sicuramente un fatto soggettivo, non si potrà mai essere certi di dire una

cosa importante o una cosa giusta, ma il condividerla può servire proprio a raggiungere

una maggiore consapevolezza o a addirittura a convincersi del contrario.

Nulla di nuovo, certo, concetti consolidati nella vita reale, ma con una differenza importan-

te: il numero delle persone coinvolte!. Scrivere un post[http://it.wikipedia.org/wiki/Post] su

un blog e permettere ai motori di ricerca di indicizzarlo può significare, ogni giorno, avere

nuovi “lettori” e in qualche caso “partecipanti”. Se si scrive di riforma fiscale (tanto per

fare un esempio appropriato) non si può immaginare quante persone ogni giorno scrivono

su google “riforma fiscale” , e quante probabilmente trovano risposta su questo o su quel

blog (e magari non su i “siti ufficiali”).

Succede realmente...ogni giorno.

“Accademia on-line”. Quando abbiamo cominciato a parlare di un sito per l’Associazio-

ne dei Commercialisti dell’Agro eravamo orientati ad una struttura semplice, statica, che

fosse un biglietto da visita “allargato” e nulla più. Questa idea è durata davvero poco: la

semplice “digitalizzazione” della rivista avrebbe consentito di veicolare questi contenuti

ad un pubblico potenziale molto più ampio, ma soprattutto poteva essere la base per

un portale dove far sviluppare i 4 elementi che meglio sintetizzano l’intera iniziativa: Par-

tecipare - Condividere - Collaborare - Crescere. Una base più che sufficiente per poter

iniziare un progetto ambizioso: proporsi come strumento di comunicazione e confronto

per i commercialisti dell’Agro e non solo. La localizzazione infatti perde il suo peso speci-

fico se il proprio messaggio viene proposto sul web: il progetto acquista immediatamente

nuovi obiettivi se gli spazi di partecipazione, condivisione e collaborazione si allargano. Ho

immaginato quindi una struttura ibrida per il sito web: in piccola parte sito, in gran parte

magazine con l’introduzione di una serie di elementi, tipici del blog, che potessero favorire

i feedback e la condivisione ponendo al centro la “user-experience”. Il valore della “user

experience” è nella credibilità che ha l’aver provato/sperimentato in modo diretto.

Per chi non lo avesse ancora fatto l’indirizzo è http://www.accademiagro.eu, è il primo

punto di approdo ma non sarà l’unico (il secondo subito dopo è l’adesione al gruppo

“Accademia dell’Agro” su facebook ). La possibilità di partecipazione e immediata (magari

commentate quest’articolo).

Il sapere condiviso contribuisce in modo determinante alla crescita collettiva, e perchè

no alla propria net-reputation. E’ una strada lunga (infinita?!)...siamo appena all’inizio :)

Condivisione del sapere

Unisciti al gruppo!!!

8

L’Accademia dell'agro ha ilsuo gruppo di discussione!

COMMENTA E CONDIVIDI GLI ARTICOLI SU

www.accademiagro.eu

Page 11: Dottore Commercialista n°2

Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto in più di una circostanza sulla disciplina delle

società di capitali, nel dichiarato intento di rendere il nostro sistema normativo maggior-

mente competitivo nei confronti degli altri Paesi della Comunità Europea. Semplificazione,

competitività, riduzione dei costi: sono questi gli obiettivi perseguiti attraverso le modi-

fiche di alcune disposizioni societarie, che pure erano relativamente «giovani». Non di

rado, tuttavia, le spinte europeiste conducono a semplificare dei processi a discapito delle

garanzie necessarie non solo per i soci e per i creditori sociali, ma più in generale per tutti

gli stakeholders.

È esattamente ciò che sembra essersi verificato in occasione dell’attuazione della Direttiva

2006/68/Ce, con particolare riferimento al recepimento delle prescrizioni comunitarie in

materia di conferimenti diversi dal denaro nelle società per azioni. Recepimento che ha

comportato l’introduzione nelle s.p.a. di metodi alternativi di valutazione dei conferimenti

che, di fatto, rendono facoltativo il ricorso all’esperto di nomina giudiziale previsto dall’art.

2343 c.c., con la paradossale conseguenza che la procedura più rigorosa di accertamento

della formazione del capitale risulta oggi essere quella prevista per le s.r.l.

Vale la pena di ricordare che il nostro ordinamento giuridico fonda le proprie ragioni sull’art.

2343 c.c., norma generale che prevede un forte intervento esterno dell’autorità giudiziaria,

cui compete la nomina di un esperto per la valutazione dei conferimenti. La tutela dei

creditori sociali e dei terzi è garantita, nel caso di specie, dall’indipendenza dell’esperto

di nomina giudiziale, nonché dalla responsabilità civile e penale assunta da quest’ultimo.

Invero, in sede di recepimento della Direttiva, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commer-

cialisti e degli Esperti Contabili aveva prodotto un dettagliato documento di osservazioni

allo schema di decreto attuativo, evidenziando le perplessità della nostra categoria pro-

fessionale a fronte dell’introduzione di una norma che, nel consentire la valutazione dei

beni e dei crediti mediante sistemi alternativi a quello previsto dalla disciplina ordinaria, di

fatto riduce le garanzie di certezza dell’effettiva formazione del capitale sociale.

Purtroppo, tali doglianze non sono state in alcun modo accolte nel testo del d.lgs. 4 ago-

sto 2008, n. 142, in vigore dal 30 settembre 2008, di attuazione della Direttiva. Dei temi

accennati si occupa la circolare CNDCEC n. 11/IR del 20 giugno 2009, redatta come di

consueto dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Essa

esamina le nuove disposizioni di cui agli artt. 2343-ter e 2343-quater c.c., analizzando cri-

ticamente i metodi di valutazione alternativi alla perizia giurata. In particolare, l’art. 2343-

ter c.c. contempla tre ipotesi al verificarsi delle quali non è richiesta la relazione di stima

di cui all’art. 2343 c.c. :

1. conferimento di valori mobiliari o di strumenti del mercato monetario, se il

valore ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e

dell’eventuale sovrapprezzo è pari o inferiore al prezzo medio ponderato al

quale sono stati negoziati su uno o più mercati regolamentati nei sei mesi

precedenti il conferimento;

2. conferimento di beni in natura o crediti, qualora il valore ad essi attribuito ai

fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo

corrisponda:

QUANDO LASEMPLIFICAZIONEAVVIENE ADISCAPITO DELLE GARANZIE

I nuovi metodi di valutazione dei conferimenti nelle S.p.a.:criticità e proposte d’intervento.

di Annalisa De Vivo

Dottore commercialista – Ordine di SalernoRicercatrice Istituto di Ricerca Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili

Page 12: Dottore Commercialista n°2

ma. La formulazione letterale di quest’ultima, tuttavia, non sembra esser tale da preclude-

re l’ipotesi che detta valutazione possa essere «ab origine preordinata al conferimento»,

come ammesso esplicitamente nella Relazione al decreto: in altre parole, chi conferisce il

bene potrebbe commissionare una perizia specificamente finalizzata ad evitare l’applica-

zione dell’art. 2343 c.c. e, quindi, il ricorso al tribunale per la nomina del perito.

Il rischio è ancora più evidente se si pone l’attenzione sulla figura dell’esperto di cui all’art.

2343-ter c.c. Dalle scarne indicazioni fornite dal legislatore si ricava che detta figura deve

essere: i) indipendente sia dal conferente che

dalla società conferitaria; ii) dotata di adegua-

ta e comprovata professionalità. Nulla è detto

circa la necessità che l’esperto sia individuato

nell’ambito delle professioni regolamentate, o

quantomeno che debba trattarsi di un sog-

getto abilitato (come pure era previsto dalla

Direttiva). Ciò rende addirittura più rigorosa la

procedura nelle s.r.l., ove l’esperto deve esse-

re scelto tra gli iscritti nel registro dei revisori

contabili e deve giurare la perizia, con la conseguenza - tutt’altro che inverosimile - che,

al fine di conseguire un risparmio sui costi di perizia, le società di capitali potrebbero

inizialmente essere costituite sotto forma di s.p.a. e poi trasformate in s.r.l. La non appli-

cabilità delle norme penali, unitamente al fatto che l’esperto di cui si discute non è tenuto

a giurare la perizia, configurano inoltre in capo a tale figura una responsabilità di grado

sicuramente inferiore a quella dell’esperto nominato ex art. 2343 c.c.

La parte più interessante dello studio dell’IRDCEC appare, tuttavia, quella in cui sono

descritti gli adempimenti di cui all’art. 2343-quater c.c. che, nell’imporre precisi doveri

agli amministratori, delinea al contempo preoccupanti profili di responsabilità in capo agli

stessi. Responsabilità derivante sia dalla scelta di non avvalersi del sistema fondato sulla

perizia giurata redatta da un esperto di nomina giudiziale, sia dall’eventuale scelta suc-

cessiva di ricorrere ad una nuova valutazione, ove il metodo alternativo originariamente

prescelto si sia poi dimostrato fallace.

Ciò a conferma del fatto che la semplificazione é stata conseguita attraverso un meccani-

smo che, al fine di compensare la riduzione di garanzie, finisce per aggravare la posizione

degli amministratori della società conferitaria, sui quali grava interamente la responsabi-

lità della scelta del metodo di valutazione. Ragione quest’ultima che, nella maggior parte

dei casi, finirà per giustificare il «ripristino» del sistema ordinario previsto dall’art. 2343

c.c., al quale in ogni caso gli amministratori dovranno tornare ex lege ogni qualvolta l’uti-

lizzo dei metodi alternativi non consenta di attribuire un valore attendibile al conferimento.

a) al valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno, pur-

ché sottoposto a revisione legale e a condizione che la relazione del revisore

non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento;

b) al valore equo risultante dalla valutazione, precedente di non oltre sei mesi il

conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la

valutazione dei beni oggetto del conferimento, effettuata da un esperto indi-

pendente da chi esegue il conferimento e dalla società e dotato di adeguata

e comprovata professionalità.

Il minimo comune denominatore delle ipote-

si considerate é teoricamente rappresentato

dalla esistenza di un valore di conferimento

oggettivo (in quanto espresso da soggetti

terzi rispetto ai diretti portatori di interesse

alla operazione di costituzione della s.p.a. o

di aumento del suo capitale sociale) e affi-

dabile (in quanto espresso come risultato di

procedimenti valutativi tecnicamente validi)

in grado di soddisfare le finalità di tutela

dell’integrità del capitale sociale e dei diritti

ad essa connessi. Tale valore oggettivo è definito «valore equo», ma la relativa nozione

non è in alcun modo chiarita dalla norma. Solo dalla Relazione al decreto si apprende

che si tratta del fair value di cui ai principi contabili internazionali IAS-IFRS. Nondimeno,

essendo la norma rivolta a tutte le s.p.a., deve ritenersi che anche le imprese non IAS-

compliant possano utilizzare i metodi alternativi in commento, ove il valore risultante dal

bilancio o dalla perizia preesistente coincida con il fair value.

Tornando al contenuto dei metodi alternativi, appare evidente che l’interesse degli ope-

ratori si soffermerà principalmente su quelli disciplinati dalle lettere a) e b) del secondo

comma dell’art. 2343-ter c.c.. Nel primo caso, la disponibilità di un bilancio dal quale

risulti il «valore equo» del conferimento consente infatti di evitare il ricorso alla perizia

giurata, purché quel bilancio sia stato assoggettato a revisione (dal revisore esterno, ma

anche dal collegio sindacale ove incaricato del controllo contabile) e dalla relazione del

revisore non risultino rilievi in ordine alla valutazione del bene oggetto del conferimento.

La pecca principale del metodo di valutazione in commento, come si osserva nello studio

dell’IRDCEC, risiede nel considerare «equo» ai fini del conferimento un valore desunto

altrove e trasposto automaticamente in un contesto produttivo diverso, ovvero con fun-

zioni diverse.

Nel secondo caso, invece, almeno in via di principio il «valore equo» dovrebbe poter

essere utilizzato esclusivamente nel caso in cui - in relazione al bene oggetto del conferi-

mento - effettivamente esista già una valutazione conforme ai requisiti richiesti dalla nor-

Quando la semplificazione avviene a discapito delle garanzie

Le spinte europeiste conducono a semplifi-

care dei processi a discapito delle garanzie

necessarie non solo per i soci e per i credi-

tori sociali, ma più in generale per tutti gli

stakeholders

10

www.bccscafatiecetara.it

Page 13: Dottore Commercialista n°2

Il Governo, nell’agenda degli interventi di politica economica per il Sud, ha annunciato la

creazione dell’Agenzia per il Mezzogiorno (una sorta di “Piano Marshall”) cui si abbinerà,

probabilmente, la reintroduzione del meccanismo delle cosiddette “gabbie salariali”, con

il collegamento diretto del livello di salari e stipendi al costo della vita di quello specifico

territorio.

Le gabbie salariali nacquero nel dopoguerra con accordi tra imprese e sindacati. Nel 1954,

con l’intesa sul “conglomerato retributivo”, l’Italia fu divisa in 14 zone (“gabbie”) con una

differenza massima di retribuzione del 29%, a vantaggio del Nord. Nel mese di marzo del

1969, dopo un grande sciopero nazionale, la Confindustria accettò la graduale soppres-

sione del meccanismo descritto, peraltro definitivamente abrogato nel luglio del 1972. E’

da quell’anno che i minimi retributivi sono gli stessi per l’intero territorio del Paese e fissati

dai contratti nazionali di categoria.

Al riguardo è opportuno precisare che le retribuzioni dei dipendenti privati che lavorano

al Sud sono già più basse di quelli che lavorano al Nord. La Banca d’Italia, il 28 luglio

scorso, ha confermato che le retribuzioni lorde nel Mezzogiorno sono inferiori dal 16 al

17% rispetto al resto d’Italia, proprio come il costo della vita. Secondo questa indagine,

nel Nord-Ovest la retribuzione totale lorda media nel settore industriale è stata (nel 2008)

di 29.800 euro; nel Nord-Est di 28.900 euro; nel Centro di 28.300 euro e, nel Mezzogiorno,

di soli 24.500 euro. Tra l’area più ricca dell’Italia e la più povera c’è, quindi in questo caso,

una differenza di 5.300 euro di retribuzione media. Tale divario è dovuto al fatto che al

Sud le varie indennità accessorie, i superminimi e i premi di produttività riconosciuti ai

dipendenti sono inferiori. Nel Meridione, infatti, i contratti di categoria determinano ben il

94,3% dello stipendio nelle imprese industriali, mentre al Nord-Ovest “appena” l’80,5%.

Le gabbie salariali, applicate fino al 1972, forse sono la causa del più basso importo delle

pensioni pagate nel Sud rispetto al Nord. Secondo i dati del casellario delle pensioni, nel

2008 l’importo medio delle pensioni pagate al Nord è stato, infatti, di 11.124 euro all’anno,

al Centro di 10.997 euro mentre al Sud ha raggiunto appena 9.434 euro, ovvero il 15,2%

in meno dell’importo medio corrisposto nel Settentrione.

Nel Mezzogiorno il costo della vita è più basso del 16,5% (dati Banca d’Italia) perché c’è

meno ricchezza: i dati diffusi nello scorso mese di agosto dal Dipartimento delle Finanze

del Ministero dell’Economia, relativi ai redditi dell’anno 2007, pongono i contribuenti della

Lombardia al primo posto con un reddito medio di 22.460 euro, mentre quelli della Cam-

pania si fermano a 15.850 euro; evidenziano un Sud in affanno con un reddito medio pro-

capite al di sotto della media nazionale (pari a 19.000 euro), con il Molise a 14.390 euro, la

Basilicata a 14.180 euro e la Calabria a 13.410 euro. Il costo della vita al Sud è più basso

soprattutto per la minore incidenza di alcuni servizi privati, come l’affitto e la ristorazione.

Nel bilancio di una famiglia di un dipendente, questi vantaggi sono maggiori di quelli per-

cepiti da una famiglia di un lavoratore autonomo; in altre parole, bisogna chiedersi: chi se

ne avvantaggia di più, i dipendenti o i lavoratori autonomi? Di solito sono questi ultimi che

vanno al ristorante più frequentemente, vanno abitualmente in vacanza e così via. Parlare,

in generale, del costo della vita significa trascurare la composizione dei consumi della

popolazione, che è diversa caso per caso.

Pagare retribuzioni più basse nel meridione provocherebbe una catena di effetti negativi

sull’ammontare delle pensioni (già impoverite), sulla domanda e sulla disuguaglianza eco-

nomica e sociale, con imprevedibili risvolti politici.

NON LASCIAMOCIINGABBIARE

di Alfonso Panariello

Dottore Commercialista – Ordine di Nocera Inferiore

Pagare retribuzioni più basse nel meridione

provocherebbe una catena di effetti

negativi sull’ammontare delle pensioniLa proposta di applicare le gabbie salariali nel settore pubblico è insostenibile perchè ver-

rebbe leso un principio costituzionale: lo stipendio per lo stesso lavoro deve essere uguale,

a prescindere dal luogo in cui questo venga svolto. Non c’è alcuna ragione per discriminare

un impiegato dell’Agenzia delle Entrate di Pagani rispetto al suo omologo di Monza.

Accettabile, se ben regolamentata e concordata con le rappresentanze sindacali, potrebbe

essere invece l’ipotesi di agganciare parte della retribuzione alla produttività dell’azienda.

In questo modo, la componente principale del salario resterebbe fissata dal contratto na-

zionale del lavoro di categoria. Poi, ci sarebbe la parte agganciata non al territorio ma alle

caratteristiche dell’operatività aziendale. In tal modo, proprio il meccanismo di funziona-

mento di tale parte variabile del compenso potrebbe, tra l’altro, generare effetti emulativi

nel contesto, aumentando così il livello di produttività di un intero territorio.

I problemi del Mezzogiorno tra proposte di legge e fatti concreti.

Page 14: Dottore Commercialista n°2

quello relativo a chi ha conseguito una laurea a pieni voti: nel 2004 partiva il 25% dei lau-

reati meridionali con votazione massima; dopo tre anni la percentuale è arrivata al 38%.

Diffi cile, quindi, ipotizzare un’inversione di rotta in queste condizioni. Secondo lo Svimez

“il Paese è spaccato in due: un Centro-Nord che attira e smista fl ussi al suo interno ed un

Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarli”.

E’ vero, in ogni Paese ci sono zone ricche e zone povere, ma il guaio è che da noi que-

sta differenza aumenta sempre più. Dal 1995 al 2005 le nostre regioni meridionali sono

sprofondate nella classifi ca europea della ricchezza, perdendo in media una trentina di

posizioni e andandosi a piazzare tra il 165° ed il 200° posto su un totale di 208.

Questa è certamente tra le più rilevanti emergenze nazionali, rappresentando un tema

sul quale le Classi dirigenti del Sud (in primo luogo i Professionisti Economico Giuridici)

non possono non intervenire, non solo apportando il loro punto di vista ad un dibattito

(peraltro del tutto scomparso, negli ultimi anni) ma, soprattutto, operando fattivamente per

riagganciare il “Sistema Europa”.

Ciò detto, bisogna anche ricordare che - tutto sommato - il problema più rilevante del Mez-

zogiorno non è (e non sarà, eventualmente) il ritorno delle gabbie salariali. E’ la mancanza

di Lavoro il vero dramma del Sud, per chi l’ha perso e per chi non lo trova, a cominciare

dai giovani.

Nel 2008 nel Mezzogiorno, secondo i dati Eurostat, si è registrato in media un tasso di

disoccupazione giovanile (in età compresa tra i 15 ed i 24 anni) pari al 33,6%, di gran lunga

superiore a quello del Nord (pari al 14,5%). Tra le 12 regioni europee con il più alto tasso

di disoccupazione giovanile, ben 6 sono, infatti, del Sud Italia. La Sicilia, con un tasso del

37,2% di giovani senza lavoro, si piazza subito dopo le tre regioni francesi d’oltremare

Guadalupe, Renion e Martinica. Nella lista, tutte con un tasso sopra il 30%, fi gurano an-

che Campania (32,5%), Sardegna (32,5%), Puglia (31,8%), Calabria (31,6%) e Basilicata

(31,4%).

In gabbia, quindi, già si trovano i meridionali (soprattutto giovani) che, secondo i dati Svi-

mez, negli ultimi dieci anni in 700.000 si sono trasferiti dal Sud al Nord del Paese in cerca

di lavoro. Emigrano operai e brillanti laureati. Un dato che induce al pessimismo è proprio

Non lasciamoci ingabbiare12

“Il colpo di grazia” di Marguerite Yourcenar è un romanzo molto interessante. Scritto tra Capri e Sorrento, si distingue per argomento e per spessore sicura-mente da quelli che lo precedono e che hanno fatto la fortuna della Yourcenar :”Memorie di Adriano” e “L’ Opera al nero”.“Il colpo di grazia “fondamentalmente rievoca un episodio di guerra civile avvenuto in Curlandia all’epoca dei putsch tedeschi contro il regime bolscevico, nel periodo approssimativo che va dal 1919 al 1921.E’ una storia vera raccontata all’autrice da un amico del protagonista principale e questo sicuramente aggiunge al tutto un grado di coinvolgimento notevole. In breve è la storia di Eric von Lhomond, uomo aristocratico, che deluso dalla sconfi tta della Germania e dal crollo del mondo materiale e ideologico nel quale si era barricato decide di impegnarsi nella difesa del castello nel quale vive con il suo migliore amico Conrad de Ravel e la sorella di questi, Sophie e con un discreto numero di uomini e uffi ciali vari! Tutto questo è solo la cornice di un dramma tutto interiore e psicologicamente raffi nato che si svolge lì dove a sede l’amore e la passione più sfrenati e le ideologie, quelle più vere.Se tutto sembra prefi gurare solo un noioso racconto di guerra e di sconfi tta, ben presto si ci rende conto che ad andare in scena è l’amore assurdo fra Eric e Sophie, fatto di passione, gelosia e tradimenti occasionali.Sophie rappresenta qualcosa di irraggiungibile in fi n dei conti, perchè non solo non si fa conquistare da Eric se non fi sicamente, ma combatte il suo amante anche da un punto di vista ideologico, manifestando con decisione la sua simpatia per il fronte bolscevico.Per tutto il testo non è chiaro fi no in fondo cosa Sophie rappresenti, se il buono o il marcio.Io ancora me lo chiedo, così come ancora mi domando come si faccia a scrivere così intensamente di un amore effi mero e forte allo stesso tempo.La Yourcenar in questo è stata divina, con le sue descrizioni delicate e minuziose e con l’inserimento dell’evento tragico che conclude il tutto e che si comporta nei confronti della storia come un pietra scagliata in un vetro.Questo libro parla di intimità, quella di Eric, quella di Sophie e infondo anche quella di Conrad che in tutta questa storia sembra essere sempre un passo indietro a tutti per intelligenza e coraggio e che anche se alla fi ne resta all’oscuro di quello che per mesi si era svolto sotto il suo naso è colui che rispecchia sicuramente gli stereotipi del personaggio più buono. Privati delle stesse cose, queste tre travagliate umanità fi niscono con l’imboccare strade decisamente diverse che li porteranno purtroppo l’uno contro l’altro, armati si, ma nonostante questo, sconfi tti nel profondo.

IL COLPO DI GRAZIADI MARGUERITE YOURCENAR

di Alessia Caputo

www.leggodunquesono.net

“Il colpo di grazia” di Marguerite Yourcenar è un romanzo molto interessante. Scritto tra Capri e Sorrento, si distingue per argomento e per spessore sicura-mente da quelli che lo precedono e che hanno fatto la fortuna della Yourcenar :”Memorie di Adriano” e “L’ Opera al nero”.

Page 15: Dottore Commercialista n°2

Agevolazioni. Bonus investimenti. Obbligo e non facoltà di computare in diminuzione gli ammortamenti di competenza del periodo. Non sussiste

Nel merito l’Ufficio finanziario ha rilevato che la Società ricorrente ha determinato l’investimento agevolabile di cui all’art. 8 della legge 318/2000 non tenendo conto delle quote di ammorta-

mento relative ai beni rilevati iscritti nel registro dei cespiti ammortizzabili da imputare alla competenza dell’esercizio in esame e, conseguentemente ha dichiarato un credito d’imposta mag-

giore rispetto a quello spettante. Il Collegio osserva che il citato art. 8 legge 388/2000 prevede che per nuovi investimenti si intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi per la parte del

loro costo complessivo eccedente le cessioni e le dismissioni effettuate nonché gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta relativi a spese di investimento della stessa natura produt-

tiva. E’ evidente che nella su riportata disposizione è assente ogni riferimento o anche semplicemente ogni rinvio a “ammortamenti figurativi”. A tal riguardo è facile rilevare che il legislatore

ha voluto prendere in considerazione solo gli ammortamenti contabilizzati, e quindi dedotti, escludendo quelli che per scelta del contribuente non sono stati effettivamente contabilizzati.

Giova ricordare che per consolidato principio della Suprema Corte non può imporsi al contribuente alcun adempimento che la legge tributaria non preveda espressamente e, soprattutto,

come nel caso di specie, quando si interpretano in modo estensivo disposizioni di legge.

CTR Palermo - Sezione XIV - sentenza n. 5 del 4 febbraio 2009 – Presidente: Barcellona Relatore: Oliva

Accertamento. Studi di settore. Inapplicabilità alle attività d’impresa esercitate al di fuori delle normali logiche di mercato. Sussiste.

Il contribuente accertato ha specificato che la sua attività lavorativa risulta essere abbastanza anomala in quanto viene svolta per un solo committente il quale assegna i trasporti attraverso

ordini giornalieri e paga con tariffe unilateralmente stabilite. Questa situazione particolare di lavoro non può trovare collocazione in uno specifico studio di settore. A parere della Commissio-

ne, tale attività, con le modalità attraverso cui è svolta, classificherebbe il contribuente fra i c.d. imprenditori “Marginali” di cui alla circolare 31/E del 2007 dell’Agenzia delle Entrate. Infatti,

in questa circolare, l’Agenzia delle Entrate precisa chiaramente che la condizione di marginalità economica è riferibile a tutti gli operatori i quali, per cause indipendenti (o anche dipendenti)

dalla propria volontà, non gestiscano l’attività imprenditoriale secondo logiche di mercato, ponendosi conseguentemente al di fuori del principio di normalità che sottende l’intero impianto

metodologico degli studi di settore.

Ctr Venezia-Mestre, sez. staccata di Verona – Sent. N. 95/15/09, sez. XV, del 07/08/2009 – Presidente: Aldo Celentano – Relatore: Maurizio Grasso

Irap. Libero professionista. Impiego di mezzi strumentali limitati concessi in comodato. Autonoma Organizzazione. Non sussiste.

E’ esente dall’Irap il professionista che esercita la propria professione avvalendosi esclusivamente di una stanza e di un computer concessigli in comodato dal papà. Il tutto perché, nel

caso specifico, risulta mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2 del DLgs n. 446 del 1997, dall’esercizio abituale di

un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Secondo costante giurisprudenza, il requisito dell’autonoma organiz-

zazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo

non occasionale di lavoro altrui.

Cassazione – sez. Tributaria – sentenza n. 18973/2009 del 31/08/09 – Presidente Aurelio Cappabianca, Relatore Biagio Virgilio

ILMASSIMARIO

di Alessandro Sacrestano

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