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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 7 APRILE 2013 NUMERO 422 CULT La copertina UMBERTO GALIMBERTI e SIEGMUND GINZBERG Dai romanzi ai nuovi saggi la storia riscritta con i “se” Il libro ALESSANDRA ROTA La fiaba neorealista di Evelina bambina tra fate e partigiani All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Vittorio Sermonti “Leggendo Dante so che la morte non esiste davvero” Il teatro RODOLFO DI GIAMMARCO L’Odissea secondo Wilson è una favola triste fatta di luci L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo Ecco l’Uomo vitruviano Archeotennis la grande scoperta delle sei “balette” La storia GIANNI CLERICI Ho incontrato una kamikaze a Kabul Il reportage MONIKA BULAJ ROMA B ellissimo, grandissimo, costosissimo, ingombrante e un po’ vuoto, il palazzo del Quirinale, detto anche di Monte Cavallo per via delle statuone dei Dioscuri con relativi destrieri che maestosamente lo fronteggiano, è impiantato a 57 metri e 20 centimetri sul livello del mare e nono- stante sia di poco più basso dell’Esquilino è da tutti considerato “il colle più alto” — il che già dice abbastanza sui provvidi equivoci, ma anche sulle nefande e indispensabili ambiguità del potere. Sarebbe giusto che fosse per davvero la Casa degli italiani, come la definiva Carlo Azeglio Ciampi. In realtà è molto di più, il Quiri- nale, e parecchio di meno, o di peggio, se si vuole: città proibita, gabbia dorata, caserma di lusso, museo d’arte e di capricci, croce- via inesorabile di nevrosi, grand hotel a tempo. Vi hanno abitato trentuno papi, quattro re sabaudi, undici presidenti della Repub- blica. L’imperatore Napoleone, per il quale il palazzo venne anco- ra una volta riccamente decorato, non ha fatto in tempo a metter- vi piede. In compenso dopo il sisma del Belice (1968) Saragat volle ospitare sedici famiglie di terremotati. Una giovane coppia pro- creò e il presidente fece da padrino al piccolo, battezzato Giusep- FILIPPO CECCARELLI pe. Come succede, fu poi molto complicato per l’amministrazio- ne riprendere possesso degli appartamenti. Con ispida diffidenza piemontese Vittorio Emanuele III definiva il Quirinale “Ca’ preive”, la casa dei preti. Dopo aver sfrattato il pon- tefice, temeva evidentemente la doppia maledizione di don Bosco («gran funerali a corte») e Pio IX (dopo la presa di Roma ci furono in effetti alluvioni, epidemie e «flagelli — chiosò il pontefice — cui sembra che Dio abbia dato libero corso»). Quando anche i re sa- baudi furono cacciati, nel 1946, lasciarono un debito di 165mila li- re «per fornitura distintivi nodo di Savoia e corona», che la neonata Repubblica saldò con la vendita dei pinoli della tenuta di San Ros- sore. La nuova classe dirigente, in primis Andreotti, aggiornò il sor- tilegio, sia pure limitandolo ai presidenti Dc: oblìo per Gronchi, in- farto per Segni, dimissioni per Leone, sofferenza per Cossiga; tutto sommato Scalfaro se l’è cavata. Ma in termini di potere l’incantesimo pare estendersi anche a chi troppo agogna il Quirinale e quindi mai l’otterrà. Lungo l’elenco: Sforza, Merzagora, Fanfani, Moro, Spadolini, lo stesso Andreotti e anche Berlusconi che tre anni orsono, per l’ennesima volta chia- mato a commentare l’ipotesi di una sua ascesa al Colle, si toccò sca- ramanticamente i testicoli, a riprova dell’energia magica e un po’ pazzoide che si tira appresso quel luogo, e non solo in Italia. (segue nelle pagine successive) DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI FOTO © EMANUELA DE SANTIS / ANZENBERGER / CONTRASTO I TALIANI C ASA DEGLI LA Ci hanno abitato trentuno papi, quattro re e undici presidenti In attesa di sapere chi sarà il prossimo inquilino viaggio tra i segreti del Quirinale Repubblica Nazionale

domenicale 7 aprile - Le notizie e i video di politica, cronaca ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2013/07042013.pdf · UMBERTO GALIMBERTI eSIEGMUND GINZBERG Dai romanzi ai nuovi

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 7APRILE 2013

NUMERO 422

CULT

La copertina

UMBERTO GALIMBERTIe SIEGMUND GINZBERG

Dai romanziai nuovi saggila storia riscrittacon i “se”

Il libro

ALESSANDRA ROTA

La fiaba neorealistadi Evelinabambina tra fatee partigiani

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Vittorio Sermonti“Leggendo Danteso che la mortenon esiste davvero”

Il teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

L’Odisseasecondo Wilsonè una favola tristefatta di luci

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museo del mondoEcco l’Uomovitruviano

Archeotennisla grande scopertadelle sei “balette”

La storia

GIANNI CLERICI

Ho incontratouna kamikazea Kabul

Il reportage

MONIKA BULAJ

ROMA

Bellissimo, grandissimo, costosissimo, ingombrante eun po’ vuoto, il palazzo del Quirinale, detto anche diMonte Cavallo per via delle statuone dei Dioscuri conrelativi destrieri che maestosamente lo fronteggiano,

è impiantato a 57 metri e 20 centimetri sul livello del mare e nono-stante sia di poco più basso dell’Esquilino è da tutti considerato “ilcolle più alto” — il che già dice abbastanza sui provvidi equivoci, maanche sulle nefande e indispensabili ambiguità del potere.

Sarebbe giusto che fosse per davvero la Casa degli italiani, comela definiva Carlo Azeglio Ciampi. In realtà è molto di più, il Quiri-nale, e parecchio di meno, o di peggio, se si vuole: città proibita,gabbia dorata, caserma di lusso, museo d’arte e di capricci, croce-via inesorabile di nevrosi, grand hotel a tempo. Vi hanno abitatotrentuno papi, quattro re sabaudi, undici presidenti della Repub-blica. L’imperatore Napoleone, per il quale il palazzo venne anco-ra una volta riccamente decorato, non ha fatto in tempo a metter-vi piede. In compenso dopo il sisma del Belice (1968) Saragat volleospitare sedici famiglie di terremotati. Una giovane coppia pro-creò e il presidente fece da padrino al piccolo, battezzato Giusep-

FILIPPO CECCARELLI pe. Come succede, fu poi molto complicato per l’amministrazio-ne riprendere possesso degli appartamenti.

Con ispida diffidenza piemontese Vittorio Emanuele III definivail Quirinale “Ca’ preive”, la casa dei preti. Dopo aver sfrattato il pon-tefice, temeva evidentemente la doppia maledizione di don Bosco(«gran funerali a corte») e Pio IX (dopo la presa di Roma ci furono ineffetti alluvioni, epidemie e «flagelli — chiosò il pontefice — cuisembra che Dio abbia dato libero corso»). Quando anche i re sa-baudi furono cacciati, nel 1946, lasciarono un debito di 165mila li-re «per fornitura distintivi nodo di Savoia e corona», che la neonataRepubblica saldò con la vendita dei pinoli della tenuta di San Ros-sore. La nuova classe dirigente, in primisAndreotti, aggiornò il sor-tilegio, sia pure limitandolo ai presidenti Dc: oblìo per Gronchi, in-farto per Segni, dimissioni per Leone, sofferenza per Cossiga; tuttosommato Scalfaro se l’è cavata.

Ma in termini di potere l’incantesimo pare estendersi anche a chitroppo agogna il Quirinale e quindi mai l’otterrà. Lungo l’elenco:Sforza, Merzagora, Fanfani, Moro, Spadolini, lo stesso Andreotti eanche Berlusconi che tre anni orsono, per l’ennesima volta chia-mato a commentare l’ipotesi di una sua ascesa al Colle, si toccò sca-ramanticamente i testicoli, a riprova dell’energia magica e un po’pazzoide che si tira appresso quel luogo, e non solo in Italia.

(segue nelle pagine successive)

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Ci hanno abitatotrentuno papi,quattro ree undici presidentiIn attesa di saperechi saràil prossimoinquilinoviaggiotra i segretidel Quirinale

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La copertinaLa casa degli italiani

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(segue dalla copertina)

Nel periodo della folliapiù acuta (1888-89)Nietzsche scrisse del re-sto al suo amico Gast: «Ilmio indirizzo non lo sopiù: poniamo che per il

momento possa essere il palazzo delQuirinale». Di lì a poco, cantando can-zoni napoletane, fu trasferito a Basilea,ma il filosofo si era convinto di essere ilre d’Italia e giustamente non intendevarinunciare a quella reggia dove pure —e ancora adesso, in omaggio allo speci-fico nazionale — la magnificenza fini-sce per convivere con un clima un po’da operetta.

Fino a qualche anno fa la facciata del-l’edificio era rossiccia, dal 2002 ha ri-preso l’originale tinta bianco travertinoche polemicamente Sgarbi ha designa-to «color meringa», e che fa il suo effet-to soprattutto nelle giornate in cui il cie-lo è molto blu. Sul pennone sventolaanche la bandiera della presidenza del-la Repubblica che Cossiga, appassio-nato vessillologo, ha ridisegnato di per-sona, pure imponendola alla magnificaFlaminia decapottabile su cui il presi-dente appena eletto fa il suo primo giroper Roma.

Nel 1920 il Quirinale fu sorvolato dal-l’aviatore dannunzian-futurista GuidoKeller che vi precipitò delle rose rosse«per la regina e il popolo in segno d’A-more». Analogo omaggio floreale fugettato sul Vaticano, «per frate France-sco», mentre il palazzo di Montecitorio

FILIPPO CECCARELLI

2. LO STUDIONella sala d’angolo all’estremità del palazzo,il Presidente incontra i capidi Stato e i segretari di partitoin occasione delle consultazioniGli appartamenti presidenzialisi trovano alle spalle dello studio,verso i giardini: li hanno utilizzatile famiglie Einaudi, Gronchi, Segni,Saragat, Ciampi e Napolitano(il cui appartamento privatoè poco lontano, in vicolo dei Serpenti)

3. LA VETRATANella Loggia d’onore, nota come“La Vetrata” per via dei cinquefinestroni affacciati sul Cortile, i leader politici rilasciano le lorodichiarazioni alla stampa dopol’incontro con il PresidenteÈ in quest’ala del palazzo che si trova anche la famosa scala elicoidale del Mascarino

11. LE QUATTRO SALEDalla Sala d’Ercole si passa a quella detta degli Ambasciatori(usata per ricevere diplomatici e capi di Stato), quindi alla Salad’Augusto e infine alla sala Gialla. Due anni fa i lavori di restaurohanno portato alla riapertura delle finestre prima tamponate

“Chi troppo lo agogna mai lo avrà”, dice una delle tante leggendeche lo circondano. Dalla maledizione di Pio IXai trenini di Gronchi,dal letto di De Gaullealle microspie di Segni, tour guidatotra le sfarzose stanze di un Palazzosempre più al centro della scena

1. IL TORRINOFu Gregorio XIII, nel 1583, a chiedereal Mascarino di progettare una torre sul puntopiù alto del suo palazzo. Nel 1967, in occasionedella visita di De Gaulle, il presidente Saragatvi inaugurò la spettacolare sala da pranzo“Belvedere” ancora oggi utilizzata per colazioniristrette. Sul pennone, sopra le due campanee l’orologio, sventola il tricolore. Accanto,appena più in basso, lo stendardopresidenziale e la bandiera dell’Europa

I SEGRETIDELQUIRINALEebbe in dono un pitale ripieno di caro-te e rape.

Non molto tempo fa è stato propostodi ribattezzare l’area antistante al Quiri-nale “Piazza degli italiani”. Propositofortunatamente scartato. Come spessocapita nella Città Eterna, all’ombra del-l’obelisco, di Castore e Polluce e dei lorocavalli di marmo si contemplano ricordibelli e brutti. Per rimanere al passatoprossimo, nel 1944 durante una dimo-strazione un manifestante si fece scop-piare una bomba in faccia e il cadaveredel poveretto, issato su un camioncino,prese a girare per Roma fino ad esseredepositato al Viminale.

Ma durante il settennato di Ciampi,sempre in piazza, furono allestiti con-certi e spettacoli all’aperto, anche la not-te di Capodanno, condotti da Paola Sa-

luzzi. Negli ultimissimi tempi vale ricor-dare la folla che ancora in questo spaziofesteggiò la caduta di Berlusconi al suo-no dell’ Hallelujahdi Handel, ma anchecon un rapido lancio di monetine e sem-bra pure di una scarpa sull’automobiledel Cavaliere. Ogni giorno si può assiste-re al cambio della guardia. Di tanto intanto viene qualcuno a protestare, an-che disperatamente. Nell’ottobre scor-so un autotrasportatore rumeno, disoc-cupato e con cinque figli, si è spogliato esi è dato fuoco.

Il cortile d’onore è molto vasto. Là do-ve Grillo due settimane orsono si è fattola foto-ricordo con i capigruppo delM5S, qualche secolo fa il primo maggiosi impiantava l’Albero della Cuccagnaed erano allestite feste cui partecipava-no anche trentamila persone. Pure i lus-

sureggianti giardini del Quirinale co-prono un’area così vasta che in passatoalcuni funzionari si prendevano lo sfiziodi attraversarli a cavallo.

È qui che di norma si ambienta il rice-vimento del 2 giugno. Saragat volle apri-re la festa della Repubblica a migliaia emigliaia di comuni cittadini, però in quelcaso sparivano troppi cucchiaini e unavolta, a party concluso, dentro una siepedi mortella venne rinvenuta una signo-ra ubriaca come una cocuzza, come sidice. La descrizione di un ricevimento alQuirinale, però svoltosi al chiuso, è pre-sente nel romanzo postumo di Pier Pao-lo Pasolini, Petrolio: “In cerchi concen-trici attorno al Capo dello Stato, il vermi-naio era tutto un agitarsi di capini ora pe-lati ora canuti, ora folti ora radi: ma tuttiassolutamente dignitosi”.

All’interno del palazzo, pure segnatoda un’indimenticabile scala elicoidale amisura di cavallo, opera del Mascarino,domina lo sfarzo e si accresce lo stupore,quest’ultimo stimolato da imprevistepresenze e stranianti tipo mobili cinesi esalottini giapponesi. I corridoi degli uffi-ci sono talmente larghi lunghi e lucidiche come in un film lo storico SegretarioGenerale Gaetano Gifuni, soprannomi-nato “Prudenziano”, li percorreva silen-ziosamente in monopattino.

Gli appartamenti presidenziali sonostati utilizzati dalle famiglie Einaudi,Gronchi, Segni, Saragat, Ciampi e Napo-litano. In quelli degli ospiti, fra i tantihanno dormito Hitler, in compagnia diun busto di Augusto acquistato per l’oc-casione; e poi de Gaulle, per il quale fucostruito un enorme lettone, ma solo

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vino che produceva in Piemonte e concui riforniva le cantine del Palazzo: inuna vignetta Guareschi, che proprio perquesta fu condannato alla galera, lo raf-figurò mentre passava in rassegna dellebottiglie come se fossero corazzieri. Unodi questi ultimi, mezzo secolo dopo, siinfatuò di Mariana Scalfaro, fastidiosa-mente chiamandola di continuo conuno dei primi telefonini, ma fu prestomesso al suo posto.

Fra i capricci di Gronchi si annoverauna sala interamente dedicata ai treninielettrici e l’allestimento di una fantoma-tica, chiacchieratissima porticina sul re-tro del palazzo, da cui la leggenda chefosse riservata a giovani amiche perbunga bunga ante litteram. Donna IdaEinaudi si dedicò ai 200 preziosi orologi,molti a pendola, favorendo una com-

plessa e quotidiana opera di sincroniz-zazione. A Cossiga si deve un centralinoa prova d’intercettazione, una “Sala Si-tuazione” iper tecnologica e l’esposizio-ne, previo recupero dalle cantine, deltrono dei Savoia, già appartenuto a Ma-ria Luisa d’Austria. Per la verità il presi-dente picconatore spedì anche in Vati-cano il Segretario Berlinguer per ottene-re il trono papale, ma invano. Segni, sucui ebbero una certa influenza consi-glieri militari, poliziotti e generali dei ca-rabinieri, aveva un po’ il vizio delle mi-crospie. Nei suoi colloqui politici Scalfa-ro coltivava invece il vezzo di un regi-stratore tenuto acceso in bella posa suun tavolinetto.

Sul soggiorno dei Leone al Quirinale,dalla Cederna a Mino Pecorelli, si è scrit-to molto, anzi troppo e almeno a dar ret-

ta ai processi pure ingiustamente. Perti-ni aprì le porte ai giovani, espose i Bron-zi di Riace e invitò a pranzo quelli del set-timanale satirico Il Male che con dissa-crante ribalderia si presentarono aven-do in tasca una canna già pronta, ma poinon l’accesero perché a tavola il presi-dente se ne uscì: «Droga leggera o pe-sante, io darei a tutti la pena di morte».

Per il resto, che è ancora tantissimo, ilPalazzo offre inesauribili risorse narrati-ve. Basti pensare ai tesori d’arte che essoesibisce e al tempo stesso un po’ na-sconde: 300 dipinti antichi, 2000 operedell’Ottocento e del Novecento, 261arazzi, 38mila pezzi di porcellana, capo-lavori di ebanistica e menuisiers, più 90carrozze, una splendida collezione di li-vree, e tappeti, argenti, maioliche, cri-stalli, bronzi, stampe, marmi classici.

Neanche a farlo apposta, in questigiorni è aperta una mostra sui “Capola-vori ritrovati” del Quirinale. Anche ilsottosuolo offre infatti sorprese ar-cheologiche che a loro volta aprono ilcampo a indizi, coincidenze e cortocir-cuiti che ci si farebbe anche scrupolo asottolineare, ma tant’è. Per cui i dieciSaggi o Facilitatoresnominati da Napo-litano si riuniscono a Palazzo Sant’An-drea, e forse non tutti sanno che pro-prio lì sotto è resistita nei millenni l’arache delimitava le fiamme dell’incendioappiccato da Nerone nel 64 dc, e su cuifin dai tempi di Domiziano si facevanosacrifici per scongiurare fuochi violen-ti e incontrollati come quelli che s’in-travedono nell’infiammabile Italia del-la primavera 2013.

perché il leader francese era un gigante.In occasione di quella visita (1967) Sara-gat inaugurò il Torrino, la torre dell’oro-logio rifatta con materiali originali tardocinquecenteschi, insediandovi la più al-ta e spettacolare sala da pranzo da cui sidomina l’Urbe a 360 gradi. Saragat ebbescontate critiche per gli acquisti massividi champagne Krug, peraltro non italia-no. Così come anche più fastidiose neaveva dovute subire Einaudi per via del

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10. IL BALCONESi affaccia sopra il portone principalesulla piazza del QuirinaleQui sono esposti i tre stendardi:della presidenza (che “segue”ovunque il Presidente)d’Italia e d’Europa

6. IL SALONE DELLE FESTEGigantesco (il tappeto di 300 mqche ne ricopre i pavimentiè considerato il più grande d’Europa)ospita le cerimonie che prevedonoun elevato numero di invitatiQui si tiene anche il giuramentodel nuovo governo e si allestiscela tavola per i pranzi di Stato

7.LA MANICA LUNGAll primo tratto del lato suddel Quirinale fu iniziatoda Sisto V per ospitarele abitazioni della GuardiaSvizzera. Al piano nobilegli Appartamenti Imperiali,sedici stanze e quattroforesterie, ancora oggidestinati ad alloggiaregli ospiti in occasionedi visite di Stato

Enrico De Nicola1946~1948

5.LA SALA DEGLI SPECCHIQui si svolgono alcune udienzedel capo dello Stato e il giuramentodei giudici della Corte Costituzionale

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Luigi Einaudi1948~1955

Giovanni Gronchi1955~1962

Antonio Segni1962~1964

Giuseppe Saragat1964~1971

Giovanni Leone1971~1978

Sandro Pertini1978~1985

Francesco Cossiga1985~1992

Oscar Luigi Scalfaro1992~1999

Carlo Azeglio Ciampi1999~2006

Giorgio Napolitano2006~in carica

I PRESIDENTI

8. LA SALA DEI CORAZZIERIL’attuale denominazionesi deve alla rivistadel reparto dei Corazzieriche qui si tiene in occasionedi alcune importanticerimonie. Date anche le vaste dimensioni,nel salone hanno luogomolte delle attivitàdi alta rappresentanzadel Presidente

9. LA CAPPELLA PAOLINAIn occasione delle feste di Natalee di Pasqua qui viene celebratala messa alla presenza del PresidenteA doppia altezza, ha le stessecaratteristiche e proporzionidella Cappella Sistina in VaticanoÈ qui che si tengono ogni domenicai “Concerti del Qurinale”

Xxx xx Yyyyyy2013~2020

4. I GIARDINIPadiglioni, fontane, statueimpreziosiscono i lussureggianti

giardini del QuirinaleIn fondo, di fronte

alla Fontana di Caserta,l’elegante Coffee House

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“È accaduto in un giorno di sole e di polvere a Kabul,dentro un piccolo santuario in cui non si respirava...”Lo straordinario racconto della fotografa

polacca che partita per l’Afghanistanin cerca del sacro incrocia il volto più crudele della guerra

Il reportageSotto il burqa

eppure non sono chiusa in un blindato,non sto dietro il mirino di un mitra.

Mi allontano senza salutare, comeper dire “non c’entro”, “non c’ero”.Non dico nemmeno “Khoda Hafez”,che Dio si ricordi di te, l’arrivederci de-gli afgani. Ma lei mi segue. Camminolentamente per comunicare una tran-quillità che non ho, lo faccio con passilunghi, per seminarla. Ne esce unacamminata abnorme. Scherzo convenditori ambulanti, mi infilo nella fol-la senza voltarmi e senza fretta appa-rente, per non far vedere che la mia èuna fuga. Passo davanti agli ultimi Sikhdella città che, con dadi e conchiglie,predicono il futuro alle musulmane alriparo di grandi ombrelli. Stavolta migiro, lei non c’è. E Kabul ridiventa reale,con la sua puzza di fogna, le grida deibambini di strada che danno manatesui blindati che passano come sul culodegli asini, il ronzio degli elicotteri d’as-salto che volano così bassi che il soffiodelle loro eliche spaventa i pappagalliverdi sugli eucalipti. Kabul, con i caril-lon dei gelatai ambulanti che strillanoPer Elisae Jingle Bells, vittoria sui divie-ti talebani contro la musica.

Cerco di mimetizzarmi nel passo di-sinvolto delle donne afgane, un lin-guaggio mimetico del corpo che ho im-parato ad assumere in fretta, anche perla mia incolumità. Ma stavolta la paurasi è insinuata in me senza che me nerendessi conto, è già diventata riflessofisiologico. Bagnerò il mio letto quellanotte, e da allora non riuscirò a dormi-re che a brevi intervalli.

Ora riconosco i luoghi. Torno d’istin-to nel quartiere dei musicisti, dove ho ilmio dentista privato. Un santuario conchiodi magici piantati sullo stipite dellaporta, ogni chiodo guarisce un dente.Poi trovo un barbiere con una foresta dicapelli abramitica che mi invita a bereun tè e mi svela allegramente di avereinterpretato Osama Bin Laden in unfilm. L’Afghanistan è così, dalla tragediaalla farsa nel giro di un’ora.

Non so più dove ho fatto quel terribi-le incontro. Il mio sentimento per quel-la donna è un grumo fatto di pietà, con-danna e paura. So che se la denunciassinon mi crederebbero, oppure partireb-be una rappresaglia di sangue. Spariscel’ultimo raggio porpora sulle cime im-macolate dell’Hindukush. Le luci tenuinelle case d’argilla si accendono sui col-li che ora paiono il presepe di Betlem-me. Un asino porta in salita una donnaincinta con un’ombra accanto. Parequella di Giuseppe, il falegname. E in-tanto la donna imbottita d’esplosivo,da qualche parte, si toglie la “cintura delmartirio”, come la chiamano gli estre-misti dell’Islam, e srotola per terra latrapunta colorata nella sua casa senzafigli. Ma non dorme.

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KABUL

Ho incontrato la donnakamikaze un giorno disole e di polvere, in unpiccolo santuario, oltre

una piccola porta di legno, in una stra-da che non saprei ritrovare nel labirin-to della vecchia Kabul. Mi si è avvicina-ta tra una folla di donne, accanto al sar-cofago di un santo, una tomba di mar-mo coperta di tessuti con scritture do-rate. Da quel momento non ho avutopace, lei mi segue ancora nel pensiero.Non so se sia viva o morta. Le sfuggo ela cerco, mi spaventa e mi attrae. La ri-trovo negli sguardi di tante donne inAfghanistan. Immagino la sua ombramagra, allucinata, sgomitare nellestrade intasate, infilarsi tra i carretti e ilfilo spinato, saltare sugli autobus inpartenza infilandosi tra le porte appe-na socchiuse.

È successo dopo mesi di viaggio dalconfine dell’Iran a quello cinese sullenevi del Pamir, un viaggio compiuto dasola, affidandomi al buon senso dellagente del posto ed evitando con cura iluoghi pattugliati dai militari. Cercavoluoghi sacri, taumaturghi erranti, no-madi e storie di donne, e in quella por-ticina che dà sulla strada della vecchiaKabul vedo entrare donne, fagotti plis-settati che vanno sotto il nome di bur-qa. La soglia è piccola, devo chinarmi,l’ambiente è soffocante ma si riempie dialtri corpi ancora. Dentro è penombrama fuori il sole è allo zenith, i muezzinchiamano alla preghiera di mezzogior-no. L’ora in cui Kabul respira di sollievo.L’incubo quotidiano è finito. Qui i ka-mikaze si fanno esplodere al mattino.Lo fanno per arrivare in paradiso all’o-ra di pranzo, in tempo per banchettarecol Profeta.

Sono vestita all’afgana, ho una vestelunga e nera, col velo che copre i capel-li ma lascia libero l’ovale della faccia.Sotto ho il mio taccuino e la mia Leica.Non oso toccarli. Le donne mormora-no preghiere, scoprono i volti bruciatidal sole d’alta quota, si tolgono il burqa,mostrano bellezza e sofferenza, si cer-cano, si toccano, liberano tra loro unacomplicità sensuale. Poi, dopo qualcheminuto, una bambina col velo bianco,la divisa della scuola, mi nota, tocca ilmio viso e si mette a piangere. «Perchépiangi?» le chiedo in lingua dari. «Per-ché sei straniera e porti il velo, comenoi». È allora che la diga si rompe, la vo-ce corre, sono una cristiana che ama l’I-slam, e tra le altre donne si innesca unareazione a catena fuori misura. Il miocorpo è già reliquia, vi strisciano contro,lo baciano, vi depongono caramelle ebanconote per santificare qualcosa diloro e poi infilarsela nelle tasche o nei

vecchiata troppo presto. Quanti anniavrà: trenta? Cinquanta? Da dove vie-ne? Dove sta andando? Perché mostraproprio a me la sua macchina di morte?Fingo di non aver capito. Le chiedo:«Dove sono i tuoi figli?». Il modo con cuivolta la testa mi gela. Vuol dire che nonne ha più. Forse sono morti. Smetto dichiedere. Le domande si fermano sullelabbra. Ho paura, guardo altrove. Dicoa mia volta: «Man se farzand daram», hotre figli maschi. È la frase che meglio miprotegge in questo Paese. Il mio man-tra, il mio lasciapassare, il mio elmettoin kevlar, la mia personale guardia delcorpo. La donna che fa figli maschi quiè una donna vera, rispettata. Nella valledi Khost, durante un matrimonio, mihanno quasi festeggiata per questo. Orala pelle della donna è sudata, pallida, gliocchi sono folli, stanchi, freddi, asciut-ti. Sento il suo gomito ossuto, i muscoliduri delle cosce.

La guerra ha portato a questo. La

reggiseni. Cercano barakà, la benedi-zione, perché sono un’ospite e mi sonofidata. Piangono, asciugano le lacrime,si soffiano il naso nei burqa, mi infilanole dita inanellate nei capelli, mi sfioranola guancia col dorso delle mani. Una diloro esige da me la grazia speciale diavere figli. Come in un sogno. Sono inostaggio, ma non mi oppongo, mi affi-do. Sono in imbarazzo, ma sorrido. Tut-to quello che ho cercato in mesi di lavo-ro mi piomba addosso all’improvviso.Dal ruolo di testimone invisibile a quel-lo, non voluto, di protagonista al centrodi un culto. “Volevi gli uomini di Dio?Guaritori erranti? Donne in estasi?”chiedo a me stessa quasi ad alta voce.“Eccoti accontentata...”. Credendo cheio stia pregando le donne alzano le ma-ni al cielo.

Tra le tante che mi stanno addosso cen’è una che non sorride né piange. Il suovelo è buttato senza cura sopra i capellimaltinti di hennè. Un corpo magro, lesopracciglia accentuate da un segnomaldestro di kajal. Cerco di sottrarmi alsuo contatto fisico. Ma lei mi stringeverso il muro, come per isolarmi dallealtre e si sbottona il vestito per mostrar-mi qualcosa. Mi aspetto una ferita, e in-vece vedo il suo corpo magro impac-chettato in una maglia di cilindri verti-cali legati da fili elettrici.

Non capisco, forse non voglio capire.Penso alle armi di un agente segreto, al-l’autodifesa di una donna più emanci-pata. Ma le cose che ha intorno alla pan-cia non sono pistole, è dinamite. Sem-bra un’insegnante delle elementari in-

morte è un affare fiorente in Afghani-stan. La carne umana è in vendita, di-venta arma che si fa esplodere. Stragi aopera di kamikaze. Rapimenti di bam-bini e di adulti sospettati di avere ri-sparmi. Omicidi su richiesta. «Duemiladollari — mi hanno detto amici afgani— sono la tariffa per uccidere qualcuno,e tutti sanno come trovare un sicario».Anche i kamikaze fanno lo stesso, percomprare la casa alla famiglia o saldareun debito. Economia di guerra, nonmartirio.

Sento ogni fibra del mio corpo e ho lacertezza incosciente che non accadrànulla. Eppure temo che le parole possa-no svegliare qualcosa, far tremare lacorda di un nervo, spezzare il filo dellasua follia. Così cerco di esprimere unosguardo indifferente per sorvolare lasua faccia piatta piena di rughe, le mez-zelune nere delle unghie, la cintura sfat-ta della borsetta, l’odore del sapone el’acido del suo respiro. Intorno le altredonne non si sono accorte di nulla.Continuano a ignorare il santo perguardare me, affascinate, piangendo.

Esco a fatica. Lei mi segue, mi aderi-sce come un’ombra. Fuori, una barrie-ra di burqa in nylon con macchie di re-spiro all’altezza delle labbra. Anchequeste mi stringono. «Guardatela — di-ce una di loro — una issawì che ama l’I-slam! Una haredzì che ama l’Afghani-stan!». Issawi vuol dire “seguace di Is-sa”, il Cristo. Haredzi significa stranie-ro. Ecco, io sono questo per loro. Infe-dele e straniera, eppure ho una faccia,odore, occhi, voce. Sono occidentale,

MONIKA BULAJ

Ho incontrato la donna kamikaze

IL CORRIDOIO. Una donna esce da un santuario a Kabul

IL LIBRODi Monika Bulaj,

autrice del testo e delle fotopubblicati in queste pagine,

il prossimo autunno uscirà per Electa

Nur. Appunti afgani(32 euro, 277 pagine)

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DOMENICA 7 APRILE 2013

LA MOSCHEA. Il cortile interno di Abu Fazl a Kabul, dove durante una festa dell’Ashura nel 2011 morirono in un attentato decine di fedeli

L’ALTALENA. Una ragazzina afgana si diverte durante un pic-nic nelle valli intorno a Herat

LA SCUOLA. A Herat si trova la più grande scuola femminile del paese, dove studiano tredicimila bambine e ragazze

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 7 APRILE 2013

La storiaBel colpo

Hanno finalmente trovato le palline.Di quello che ora chiamiamo Ten-nis, ma che nel 1500 chiamavanoGiuoco di Rachetta. Pallina che al-lora chiamavano balla, o baletta.Nei miei lunghi studi, nelle mie ri-

cerche negli anni Settanta, già ne avevo rinvenutaun’immagine contrassegnata “di Palazzo Labia”, esubito pubblicata nel mio librone 500 anni di ten-nis. Ma avrei saputo in seguito dal collega MassimoDe Luca che della pallina esisteva, in un quadro diPalazzo Labia, solo l’immagine dipinta, così come,sempre a Venezia, nel Museo Querini Stampalia,c’è uno dei più importanti quadri che raffigura undoppio del 1750 di Gabriel Bella, e quindi ben piùtardo.

Un giorno mi ritrovo a Mantova, all’uscita da unachiacchiera del Festival di Letteratura, e un bel si-gnore mi si avvicina, si presenta, Professor UgoBazzotti, e sorridendo apre una busta, e ne trae trefoto. Recano, le foto, l’immagine di tre palline, di-verse una dall’altra, ma tutte con un diametro tra iquaranta e i cinquanta millimetri, tra i trenta e iquaranta grammi — mi dice — a soppesarle.

Non diversamente dev’essere accaduto a uncercatore d’oro nell’inciampare in una pepita, percaso, occupato com’era a tutt’altro.

La struttura delle palline me le fa subito ap-parire come le bisnonne di quelle tuttora inuso nel gioco definito Real Tennis nei paesi dilingua inglese, e Jeux de Paume in quelli fran-cesi. Gioco ancora praticato, nel mondo, secon-do il grande esperto parigino Gil Kressmann, intre club francesi, nove americani, ventitré inglesi etre australiani, su uno dei quali, nelle mie gite a Mel-bourne, ho tirato qualche racchettata, insieme adun amico, Michael Wooldridge, che ha svoltoun’attività che più lontana dal Rinascimento è dif-ficile immaginare, quella di ministro degli aborige-ni. Il Jeux de Paume è ormai purtroppo semisco-nosciuto in Italia, il paese che nel Quattro-Cinque-cento rivaleggiava con Francia e Spagna nel pri-mato di quello che ancora non si chiamava sport,ma faceva parte dei divertimenti di corti e mona-steri. Ora simile tennis vivissimo durante il Rina-scimento è da noi quasi dimenticato nonostante iltentativo della mia amica e storica Alessandra Ca-stellani di ridar vita al campo rinvenuto nel Castel-lo di Venaria, la residenza dei Savoia.

In effetti, il tennis di quei tempi, lo si voglia chia-mare Giuoco di Rachetta, Giuoco di Balla o Baletta,oppure in spagnolo Pelota, o Trinquete, o ancora infrancese Jeux de Paume (“palmo”, come quellodella mano, precedente l’invenzione della rac-chetta, strumento che esiste in cento documentima non è mai stato ritrovato, a differenza delle pal-

line mantovane) questo gioco, insom-ma, è il padre del Lawn Tennis, adattato,

ma non certo inventato dagli inglesi. In-fatti, con molta probabilità, confermata

addirittura dai miei studi, questo passa-tempo chiamato tra l’altro Tenez (“prende-

te”, sottinteso la palla, lanciata dal battitorecon l’aiuto, “servizio”, di un collaboratore), emi-

grò di Francia in Gran Bretagna, insieme ai cava-lieri che accompagnarono Marie de Couci, andatasposa ad Alessandro terzo Re di Scozia. E, insiemeall’ambasceria, emigrarono anche i termini dellapaumeche permangono nel gergo tennistico con-temporaneo. Oltre al citato Tenez che forse si tra-mutò in Tennis, il Loveche significa zero discese dal’Oeuf, “l’uovo”, rotondo come uno zero, e Volley,“volata”, fu neologismo da Volée, Quel che scrivo èlargamente illustrato da molti documenti, tra iquali alcune righe di Shakespeare che nomina una“tennis ball” nell’Enrico V, dramma che si svolge al-l’inizio del 1400.

Accadde che, in seguito all’importazione otto-centesca e all’utilizzazione della gomma, i bri-tanni avessero l’idea di trasportare l’antico gioco,dai selciati in pietra indoor, sui prati (Lawn) deigiardini, dove precedentemente non era possibi-le il rimbalzo delle palline similmantovane, co-struite come ancora accade con quelle del RealTennis. Costruite, cioè, in pelle, con una schele-

GIANNI CLERICI

Sorprendentematch balla Palazzo Te

Delle antenate delle palline da tennisesistevano solo raffigurazioni:un bassorilievo del 1300, qualchedipinto settecentesco.Ora peròalcuni esemplari sono stati

trovati per davvero.A MantovaCome ci racconta, foto alla mano,un grande cultore della materia

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FIORIQui sopra le tre palline ritrovatedurante i restauri della BasilicaPalatina di Santa Barbara,a Mantova. La prima da destraha dei fiori dipinti sul cuoio,la prima da sinistra è la meglioconservata. Tutte e tre eranostate murate in uno spioncino

tro di filo rigido e, all’interno, un denso peloespanso, spesso di capigliature femminili, oppu-re di qualche animale, come ad esempio il gatto— ormai roso dai topi — delle balette mantova-ne. Ma ritorniamo all’inizio.

Ricordo che in quel giorno dedicato ai libri delFestival, come fui ritornato alla mia biblioteca conle tre incredibili foto aprii subito uno dei miei testipiù cari, Il Trattato del Giuoco della Palla del mioantenato adottivo Antonio Scaino da Salò, il mag-gior esperto di “Balla e Rachetta” del Cinquecento,un genio col quale mi accade di colloquiare duran-te le sedute spiritiche. Il suo trattato esiste ormaisoltanto in una quindicina di copie nel mondo, e iostesso sono riuscito a ottenerne una, devolvendo,nella combattutissima asta dell’hotel Druot di Pa-rigi, lo stipendio di un’intera annata di collabora-zioni al giornale. Nei disegni contenuti nel Protoli-bro la baletta non era dissimile a quelle mostrate-mi a Palazzo Te, ma le loro struttura giungeva a ri-cordare anche quelle raffigurate nella GrandeEncyclopedie di Diderot e d’Alambert (1751), chealla Paume e al suo sviluppo dedica addirittura ot-to pagine. Nel 1610 l’arte di produrre palle e rac-chette aveva condotto in Francia all’istituzione diuna Comunità di Maestri — Rachettieri, Produtto-ri di Palle — i soli abilitati a tali attività artigianali.

Ma, ritornando a Mantova per ammirare dal ve-ro le balette, sarei venuto a conoscenza di una mol-

to più antica presenza a Corte di “Mastri Balonari”.Varcata la soglia del Palazzo, sarei trasecolatoprendendo addirittura nel palmo (paume) dellamano doverosamente guantata, le palline cheChiara Pisani, conservatrice del Museo Civico, miandava offrendo, con cautela eguale allo charme.

Terminata l’osservazione delle palline, sareistato condotto a visitare le fondamenta che resta-no del campo, dopo l’abbattimento del 1700-1800, “il quale era benissimo ad ordine, né cosa al-cuna vi mancava di balle piccole”. Campo in cui,durante una visita nell’aprile 1530, l’ImperatoreCarlo V si impegnò nel “giocare a detta palla, lui eMonsignor di Balasone da una banda, e dall’altrail principe di Besignano e Monsignor de la Cleva,spagnolo. Giocarono a palla forsi quattr’ore, dovesua Maestà si esercitava molto bene et assai ne sa dital gioco, e giocavano di vinti scudi d’oro la parti-ta, dove alla fine sua Maestà perse sexanta scudi ”.Simili partite delle quali rimangono cronache chepotrei definire storico-sportive, sono citate in piùdi un documento. Nel benedetto libro sovramen-zionato, la causa della pubblicazione — e insiemedella dedica ad Alfonso II° d’Este — viene infattiattribuita a un “puntiglio avvenuto, giocando, avostra Eccellenza” e cioè a un’interpretazione delpunteggio sul quale il Duca e il giovane filosofo sierano trovati in dissenso. Si trattava di una parti-ta tra due dei maggiori professionisti dei tempi,

giocatori che offrivano i loro servizi alla nobiltà. Sitrattava in questo caso di tale Gian Antonio Na-poletano e Gian Fernando Spagnuolo, probabil-mente impegnati in quella che chiameremmoesibizione.

Il punteggio di allora prevedeva, come oggi,una successione di tre punti, denominati quindi-ci, trenta e quarantacinque (ora divenuto qua-ranta), complicati dalla necessità di superare le“cacce”, e cioè i luoghi nei quali l’avversario ave-va segnato il punto nel game precedente. Ma c’e-ra, in più, un dettaglio importante. Il giocatore chesi fosse trovato avanti per tre punti a zero, e aves-se perduto i successivi cinque, doveva concedereall’avversario quel che veniva definita “vittoriarabbiosa”, e cioè un punteggio di maggior valoredi una vittoria semplice, quel che oggi denomi-niamo, in inglese, un game. Proprio da un dissen-so sul tipo di vittoria relativo ai cinque punti suc-cessivi nasceva “quistione, se questo tal giuocovinto dal Napolitano sia semplice, o rabbioso, chedi ciò qui non accade dubitare”.

Dalla lettura di simile libretto, che non a torto re-ca il titolo di Trattato, sarebbe sorta la mia curiositàper una ricerca, i cui risultati avrebbero condottoalla sorpresa, all’incredulità e, a volte, addirittura aribellione sciovinista i presunti inventori del giocotardottocentesco.

Ma, dopo essermi un tantino allontanato dal te-

ma del mio compitino, mi sembra il caso di ritor-nare a Mantova, dove le sorprese di quella per meincredibile giornata non erano finite. Non lontanoda Palazzo Te sorge infatti la Basilica Palatina diSanta Barbara, innalzata per volontà del Duca Gu-glielmo Gonzaga nel cuore del Palazzo Ducale apartire dal 1561 “con poca spesa …nel gioco dellaballa”. Monsignor Giancarlo Manzoli spiega che,nel corso dei lavori di restauro condotti dall’archi-tetto Mori, son state rinvenute altre tre palline, unadelle quali addirittura dipinta a fiori, che erano mu-rate in uno spioncino. Mi verrebbe da pensare chei ritrovamenti di tre più tre palline siano simbolica-mente proporzionali al punteggio del gioco che,come ho detto, già da allora si svolgeva con defini-zione simile a quella odierna.

Ma occuparci ancora delle modalità dell’anticodivertimento porterebbe a uno studio superspe-cialistico, all’esegesi che del Trattato fece nel 2000il Professor Giorgio Nonni dell’Università di Urbi-no, altro centro del giuoco rinascimentale. Limi-tiamoci alla sorprendente duplice scoperta, e au-guriamoci che, tra un secolo, un presunto perdi-tempo non abbia a darne incredula notizia, dellepalline, nuovamente dimenticate in qualche ripo-stiglio. Siamo i soli a possederle, nel mondo, ma sia-mo anche tristemente famosi per l’incuria del no-stro patrimonio artistico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“IL GIOCO DELLA RACCHETTA”È il titolo del dipinto (risalente al 1779-1792) di Gabriele Bellaconservato alla pinacoteca veneziana Querini Stampalia: per la primavolta le linee di caccia sono segnate verticalmente, e non sul terreno Le altre immagini storiche che illustrano queste pagine sono tratte dal volume di Gianni Clerici 500 anni di tennis (Mondadori)

TOPIA lato le tre “balette” ritrovatenel Palazzo Te di MantovaHanno un diametro di 40-50millimetri e pesano circa30-40 grammi. Ricopertedi pelle e riempite di pelo(di donna o animale) sonostate rosicchiate dai topi

Santa Barbara

Palazzo Te

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SpettacoliOverlook

NEW YORK

ensate che Shining sia uno dei migliori horror disempre, uno dei capolavori di Stanley Kubrick, oanche solo il film che ha fissato nella storia del ci-nema il ghigno di Jack Nicholson con le sopracci-glia alzate? Allora credete anche che Jim Morrisonsia morto davvero e non stia invece ballando conElvis e Marilyn, ascoltando al contrario i dischi sa-tanici dei Beatles. Se invece amate i complotti, leteorie della cospirazione o comunque vi piace illato oscuro dell’arte, Room 237 è il vostro docu-mentario. Presentato prima al Sundance poi aCannes, arriva ora nei cinema di New York, doveper assonanza ha riportato in sala pure l’origina-le, ottenendo un ottimo successo. Diretto da Rod-ney Ascher è un flusso indistinto di parole, inter-viste a persone di cui non si vedono mai i volti, chescorre sopra frammenti di Shining, immagini direpertorio e continui rimandi cinematografici estorici: come in quelle fotografie ipnotiche dovec’è un uomo che guarda una foto dove c’è un uo-mo che guarda una foto dove... Una tecnica visio-

naria: giornalisti, professori universitari, autori diteatro e studiosi autodidatti, aprono la porta sul-la loro privata ossessione per le leggende che ac-compagnano il film di Kubrick e sui messaggi su-bliminali che lo inzuppano rendendolo ancorapiù misterioso.

La più affascinante delle teorie è un classico deicomplotti. Il film serve a Kubrick per scusarsi del-la sua partecipazione diretta nel grande imbro-glio dell’Apollo. Sarebbe stato lui infatti, nono-stante anni di smentite, a girare per conto del go-verno Usa la finta scena del primo passo dell’uo-mo sulla Luna (mai avvenuto). Da qui la stanza237, che nel romanzo di Stephen King da cui è trat-to il film è la 217 ma che il regista cambia: non peruna richiesta dei proprietari del vero OverlookHotel come “sostiene la versione ufficiale”, maperché 237mila sono le miglia che separano laTerra dal suo satellite. Altro indizio: il piccoloDanny indossa un maglione proprio con la famo-sa navicella spaziale. E il litigio tra Jack e Wendyquando lei scopre che lui non sta scrivendo il ro-manzo ma riempie i fogli con la stessa frase (“So-lo lavoro e niente divertimento rendono Jack unragazzo noioso”, nella versione originale)? Sim-boleggia la discussione avvenuta tra il regista e lasua compagna tenuta all’oscuro del ruolo da luiassunto nella balla spaziale.

È poi anche un film sulla Shoah. Perché la mac-china da scrivere su cui Nicholson sfoga la sua fru-strazione è di marca tedesca, una Adler, “aquila”,dunque “la follia della feroce burocrazia tedesca”

Le allusioni al genocidio dei nativi americanisarebbero nella marca del cibo nella dispensa(Calumet) e nei disegnitribali degli arazzi nel saloneL’Overlook Hotel, inoltre,è costruito su un cimiteropellerossa: dettaglioinserito da Kubrick nel film ma assente nel libro di King

NON APRITEQUELLA PORTAIl numero 237 è quellodella stanza degli omicidi nell’Overlook HotelSu quella porta il piccolo Dannycon il rossetto scrive “Redrum”ovvero “Murder” (omicidio)se letto allo specchio

Dal mito dell’allunaggio al mito del minotauroStanley Kubrick avrebbe nascostovari messaggi subliminali

nel suo film cult. Ora un documentario li ha finalmente scovati. O almeno crede

Siete proprio sicuridi averlo visto Shining?

MASSIMO VINCENZI

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Inumeri (soprattutto quelli interi) si prestano a spe-culazioni esoteriche, molto più delle parole. Infat-ti, qualsiasi insieme di cifre genera un numero,

mentre non sempre un aggregato di lettere corrispon-de a una parola di senso compiuto.

In linea di massima, tanto è più alto il valore di un nu-mero, tanto minori sono gli spunti che se ne possonotrarre. In particolare, il numero 237, che dà il titolo aldocumentario di Rodney Ascher, non presenta pro-prietà molto interessanti, a parte il fatto che può esse-re ottenuto, in due modi diversi, come differenza didue quadrati: 237 = 41²-38² = 119²-118².

Se, però, si considera la trama del film Shining (og-getto del documentario in questione), non si può farea meno di notare che, in base a una classificazione diJohn Conway, il 237 è un numero malvagio (per la par-ticolare configurazione che assume, nella codifica bi-naria).

L’unico numero di valore relativamente alto che hafortemente colpito (e continua a colpire...), l’immagi-nario collettivo, è il famigerato 666, citato nell’Apoca-lisse di Giovanni, con le seguenti parole: «Una mo-struosa bestia infetterà la Chiesa: questa bestia sarà unuomo, il cui nome conterrà il numero seicentosessan-tasei».

Nel corso dei secoli, ricorrendo a vari cervellotici si-stemi per legare i numeri alle parole, questo numero èstato attribuito praticamente a tutti i personaggi di unacerta notorietà: da Maometto a Lutero, da Napoleonea Stalin, dall’Anticristo al Papa, da Piergiorgio Odifred-di a Silvio Berlusconi. Simili applicazioni, però, a se-conda dello spirito con cui vengono effettuate, oscilla-no tra la sacralità e la beffa...

Per esempio, se si attribuisce a ogni lettera dell’alfa-beto il valore del proprio numero d’ordine (A=1, B=2,C=3, ... Y=25, Z=26), dalla parola Bestia si ricava:2+5+19+20+9+1 = 56. Sommando le due cifre di questonumero, si ha: 5+6 = 11. Ebbene, esaminando le prime11 parole del versetto dell’Apocalisse, prima citato, siottiene il seguente dissacrante risultato.

UNA: 21+14+1 = 36MOSTRUOSA: 13+15+19+20+18+21+15+19+1 = 141BESTIA: 2+5+19+20+9+1 = 56INFETTERÀ: 9+14+6+5+20+20+5+18+1 = 98LA: 12 +1 = 13CHIESA: 3+8+9+5+19+1 = 45QUESTA: 17+21+5+19+20+1 = 83BESTIA: 2+5+19+20+9+1 = 56SARÀ: 19+1+18+1 = 39UN: 21+14 = 35UOMO: 21+15+13+15 = 64TOTALE = 666

Un numeroci seppellirà

ENNIO PERES

— mentre di aquile, simbolo delle SS, è cosparsotutto l’albergo. E perché c’è il numero 42, checompare sulla maglia del piccolo Danny e su quel-la di un cliente. Inoltre Wendy fa oscillare 42 voltela mazza da baseball prima di colpire il marito sul-le scale. E quanto fa 2 per 3 per 7? Fa ancora 42. E il1942 è l’anno in cui ha inizio la Soluzione finale.

È poi anche un film sui nativi d’America truci-dati dall’uomo bianco. Dove sono gli indiani? In-tanto l’hotel (cosa che non viene specificata nelromanzo) sorge sopra un antico cimitero di pelle-rossa, poi ci sono simboli sulle pareti. E per chiavesse ancora qualche dubbio: di che marca sonoi barattoli nella dispensa? Calumet, la pipa dellapace che testimonia i tradimenti dei cowboy e larottura all’interno della famiglia Torrance.

È poi anche un film sul mito del Minotauro: loprovano il labirinto di siepi, il poster dello sciato-re che sarebbe in realtà il mostro metà uomo emetà toro, la finestra impossibile dell’ufficio (stu-diando la mappa dell’hotel quell’affaccio non èpossibile) e i circoli infiniti che il piccolo compiecol suo triciclo.

È poi anche un film palindromo, che può es-sere visto in entrambe le direzioni (altro grandeclassico complottardo). Per questo il bambinocammina all’indietro nella neve, Wendy mentresi difende da Jack risale di spalle le scale. E le sce-ne, in un gioco di immagini, si sovrappongonoperfettamente.

È poi anche un film con qualche errore. Ma co-noscendo la maniacale precisione di Kubricknon sono sviste bensì messaggi cifrati: sedie checi sono in un’inquadratura e non nella successi-

va, Pisolo che appare e scompare sulla porta delbagno...

È poi anche un film sulla Cia: impossibile nonnotare la somiglianza del padrone dell’hotel cheoffre il lavoro a Jack con John F. Kennedy — e quiil cortocircuito è perfetto.

È infine anche un film sulle ossessioni sessualidi Kubrick (che poi si dispiegheranno nel suo EyesWide Shut), la ragazza della stanza 237 ne è la lam-pante prova, oltre al cassetto che si trasforma inerezione e alla rivista Playgirl letta da Jack nellahall dell’hotel. E un film sulla psicanalisi e sullapassione che il regista ha sempre avuto per Freud.Ma qui si esce dal lato oscuro per entrare nel ras-sicurante terreno della critica cinematografica.

Room 237 è un gioco con cui divertirsi senza far-si troppe domande, ammirando la passione chesconfina nell’adulazione, che a sua volta cammi-na fianco a fianco con la follia: «Sono come chiac-chiere in un dormitorio notturno. Ok: sarannopure sciocchezze poi tutti le ascoltano e nessun vaa letto», dice all’Huffington Post il regista del do-cumentario. Dunque inutile leggere sul New YorkTimes uno dei più stretti collaboratori di Kubrick,Leon Vitali, che si affanna a spiegare: «Quando hovisto il documentario mi sono fatto due risate. Sulset noi facevamo scelte dettate dal senso pratico.Il maglione del piccolo Danny l’ha fatto a manoun’amica della costumista sul modello di mille al-tri. La macchina da scrivere? Stava bene sul tavo-lo di quercia, era grande. Insomma, stupidaggi-ni». Sì, certo, e gli Ufo non sono mai atterrati neldeserto del Nevada.

Sarebbero molteplici i riferimenti alla Shoah. La macchina da scrivereusata da Jack Torrance (Nicholson) è tedesca, una Adler, “aquila” in tedesco, simbolo delle SS(del resto l’aquila è presente in moltealtre scene del film). Il numero 42,essendo il 1942 l’anno della Soluzionefinale: Danny, il bambino, ha un 42disegnato sulla maglietta; Wendy, la mamma, oltre a guardare in tv il filmL’estate del ’42, fa oscillare 42 volte la mazza da baseball prima di colpireJack sulle scale; infine: 2 x 3 x 7 (il numero della stanza) = 42

La teoria più ardita dà anche il titolo al documentario: 237, il numero della stanza(che nel libro è la 217), alluderebbealla distanza tra la Terra e la Luna e sarebbeanche il numero della sala degli studiosdove Kubrick (secondo gli amantidel complotto) avrebbe girato il falsoallunaggio di Armstrong per contodella Nasa; i disegni sulla moquettesono la pianta della base da cui partì la missione; Danny indossa una maglia dell’Apollo 11; e in dispensa ci sono le scatolette di Tang, cibo creato negli anni ’60 per gli astronauti

Il mito ellenico del Minotauro sarebbecitato nel labirinto del giardino (riferimento al labirinto di Cnosso doveMinosse fece rinchiudere la mostruosafigura); la struttura dell’hotel sarebbelabirintica tanto da costringere Dannya circoli viziosi sul triciclo; inoltre il poster dietro le gemelline raffigurauno sciatore-Minotauro, e nella stanzadel direttore dell’hotel la finestra è - cartina alla mano - impossibile

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IL DOCRoom 237 di Rodney Ascherè stato presentato al Festival di Cannes e al Sundance Film FestivalOra è uscito negli Usa mentre in Italia è in programmazionetelevisiva su Sky Arte

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DOMENICA 7 APRILE 2013

NextDica 33

Sul telefonino si è appena aperta una finestrella conun messaggio. “Ehi! È ora di ricontrollare il tuo li-vello di stress”. L’ultimo check non era andato be-nissimo. Poggiando l’indice sulla fotocamera del-lo smartphone per un minuto, era emerso che in ef-fetti “you may be experiencing some stress”. Sì, un

po’ stressato lo sono. E così mi era stato subito consigliata lavisione di una clip di “scene verdi della natura”. Seguiranno“l’onnipotenza dell’acqua” e “la foresta prende vita”. Una sor-ta di terapia yoga fatta attraverso lo schermo dell’iPhone. L’o-biettivo è arrivare rapidamente allo stadio “you are feeling ba-lanced” e poi al nirvana dei nostri giorni: “You are in sync”. Chevuol dire “sei in sintonia con mondo”, ma suona come se aves-si appena sincronizzato te stesso come si fa appunto con untelefonino.

Questa cosa che può apparire stravagante assai è l’ultimafrontiera per combattere lo stress: si chiama Gps for the Soul,ovvero “bussola per l’anima”, uno strumento per tenere sottocontrollo le emozioni negative. È la app lanciata qualche set-timana fa dalla giornalista-imprenditrice Arianna Huffing-ton, direttore dell’Huffington Post Media Group: sviluppata incollaborazione con i ricercatori di Hearthmath, misura il bat-tito cardiaco e le sue variazioni, ricavandone, con un algorit-mo, il nostro indice di auspicato benessere.

La app della Huffington non è affatto isolata. Anzi, per la ve-rità utilizzare il telefonino o un sito web come terapia antistresssembra la moda del momento. Il fenomeno si inserisce in quel-

RICCARDO LUNA

Così mi misurole emozioni

IL PROBLEMAAnsia, stress,depressione: ne soffrono,in modo più o meno grave, milioni di personeMonitorare questidisturbi, anche quandoil “paziente” non è fisicamente dal medico, è il problemache si sono posti diversi ricercatoriTra le “soluzioni” un bracciale e una app

Il progetto più innovativo è quellomesso a punto da una startupitaliana (Empatica). Si trattadi un bracciale simile a quelliche misurano le calorie perdutedurante uno sforzo. Questo misurail grado di stress. E lo fa attraversola interpolazione di diversi dati:battito cardiaco, variazione,conduttività della pellee temperatura corporea

IL BRACCIALE

RACCOLTA DATI

ELABORAZIONEDATI

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DOMENICA 7 APRILE 2013

CALORIE BRUCIATEFuelband, il braccialettodella Nike, pensatosoprattutto per gli sportiviconsente di misurarele calorie bruciate correndocamminando, ma ancheballando o facendo basket

ALLA CINTURAMywellness Key, firmatodalla Technogym,si aggancia alla cintadei pantaloni per registrarei movimenti in manierapiù precisa rispettoal braccialetto sul polso

SCOPO TERAPEUTICOE2, è il braccialettodi Empatica. Pensatoper fini terapeutici, misurabattito cardiaco (attraversol'ossigenazione del sanguenelle vene), conduttivitàe temperatura della pelle

Un dito poggiato sullo smartphone. Oppure un bracciale

intorno al polso.Raccogliendo i dati inviati dal nostro corpo saranno loro a dirci, ovunque ci troviamo, qual è il livello di stress e quali i rimedi immediati da adottare. Èquesta l’ultima frontiera del self-tracking

da qui l’idea di un braccialetto, simile a quelli che misurano lecalorie perdute tanto di moda, ma che misuri lo stress e lo tra-smetta al telefonino.

Il primo prototipo è stato presentato un anno fa ad Amster-dam in una grande conferenza sull’innovazione, The Next Web.Quel giorno la blogstar Robert Schoble ha chiamato sul palcoMatteo Lai che gli ha passato il braccialetto. Schoble l’ha indos-sato e per fare lo spiritoso ha chiesto a Lai: «E quindi adesso seio ti chiedessi se tu vuoi andare nel quartiere a luci rosse tu avre-sti un picco di stress?». Lai fu pronto a ribattere: «Sì, ma il brac-cialetto ce l’hai tu e quindi sono io che te lo chiedo». Un graficotrasmise alla platea il picco di imbarazzo di Schoble e il nome diEmpatica fece il giro del mondo.

Ora arriva il braccialetto vero. Si chiama E2 e al momento èdestinato solo a ospedali e centri di ricerca. Ma intanto i tre ri-cercatori (in attesa di finanziamenti, destino comune a troppiprima di “fuggire” all’estero) hanno in corso una sperimenta-zione che è davvero la frontiera più estrema. Usare il braccia-letto per i dipendenti delle grandi aziende, in modo da monito-rare il loro livello di stress sul lavoro e, visto che lo stress è causadi malattie, suggerire percorsi alternativi. Il test è stato avviatoper la validazione scientifica: dovesse funzionare, i costi socia-li del lavoro sarebbero molto più bassi. Almeno si spera. C’è poiquel piccolo problemino che si chiama “privacy”: è pensabilemettere un braccialetto ai dipendenti per misurarne le emo-zioni? No. E ancora no. Ma le frontiere della privacy si sono co-sì spostate in questi anni che Empatica scommette che quel nopossa domani diventare un sì.

Lo stress è il primo killerdella vita modernaMatteo Lai

Ricercatore e fondatore di Empatica

LA LOCALIZZAZIONEIl paziente comunicaattività “stressante”e propria posizione

I PICCHIElaborando i dati raccoltil’app segnala i picchidi stress (quando e dove)

I CONSIGLIDieci minuti di respirazioneprofonda, 30 a passeggio:alcuni consigli antistress

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lo che negli Stati Uniti prende il nome di self-tracking, ovveromonitoraggio di se stessi, per arrivare a un quantified-self, ov-vero a un insieme di indicatori che ci aiutino a migliorare le pre-stazioni. Nello sport è uso comune: braccialetti o cinturini chemisurino per tutto il giorno i nostri movimenti, indicando le ca-lorie bruciate, sono gadget diffusissimi. Ma un conto è teneretraccia del movimento che facciamo, grazie a un accelerome-tro, tutt’altro discorso è misurare lo stress. Il battito cardiaco ele sue variazioni sono una strada possibile.

Prima della Huffington, per esempio, la app Azumio faceva (efa) praticamente la stessa cosa. Dalla Svezia poi è arrivata Viary,una app che chiede ai pazienti in cura per la depressione di an-notare quello che fanno nei vari momenti della giornata: pareche il 73 per cento di quelli che l’hanno utilizzata non fosseropiù depressi al termine della cura (ma stare tutto il giorno aprendere appunti non è pratico). È stato quindi il turno di Me-quilibrium, una piattaforma web per il coaching psicologicoonline che si avvia risolvendo un test della personalità che divi-de il mondo in cinque categorie rispetto allo stress. Infine è no-tevole l’approccio del progetto Ginger.io: promosso da ungruppo di ricercatori del Mit e disponibile solo su Android, cal-cola il nostro livello di stress da come ci comportiamo con il no-stro telefonino; e quindi, quanto rapidamente digitiamo i tasti,il tono di voce, il numero di messaggi ai quali rispondiamo. Fun-zionerà? Lo sapremo presto.

Intanto il progetto sulla carta più innovativo è quello di unastartup tutta italiana. Si chiama Empatica, e ha alle spalle tregiovani genietti: Matteo Lai, Simone Tognetti e Maurizio Gar-barino. Si sono incontrati nel 2011: Lai è un architetto cresciu-

CONNESSO ALLA BILANCIAFitBit è stato il primobraccialetto di grandediffusione pensatoper un uso familiareCollegato wi-ficon una bilancia e una appcui inviare i dati da elaborare

ACCELEROMETROUP è il braccialettodi Jawbone per misurarel’attività fisicacon un accelerometroSubito un successo,dopo un po’ ci si è accortiche si rompeva facilmente

GLI ALTRI MISURATORI

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to alla scuola del Senseable City Lab di Carlo Ratti, Tognetti eGarbarino avevano appena concluso un dottorato su come le-gare i segnali fisiologici che manda il nostro corpo alla misura-zione delle emozioni. Le applicazioni di questo filone sono in-finite e quasi tutte molto remunerative: ai tre ricercatori, peresempio, venne offerto di usarla per il neuromarketing e aiuta-re una multinazionale a vendere più detersivi. Ma loro aveva-no in mente un utilizzo socialmente utile. E si sono buttati sul-lo stress che comunque non è un mercato piccolo, visto che so-lo negli Stati Uniti ne soffrono 28 milioni di persone. Sono quin-di partiti da studi scientifici molto seri, per arrivare alla con-clusione che il nostro stress può risultare da una interpolazio-ne di quattro dati: il battito cardiaco e la sua variazione, maanche la conduttività della pelle e la temperatura corporea. Latecnologia per misurare questi parametri esiste, ma è in clini-ca o negli ospedali. Siccome i pazienti non vivono in ospedale,

L’APP

LA RILEVAZIONELo smartphone rilevail grado di stress durantele varie fasi della giornata

GLI STATI D’ANIMO

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DOMENICA 7 APRILE 2013

I saporiReinventati

LICIA GRANELLO

«Per fare lasagne prendere pasta fermen-tata e trasformarla in una forma più sot-tile possibile. Poi dividere in quadrati ditre dita trasverse per lato. Poi prendereacqua bollente salata e cuocere in essale lasagne. E quando sono a cottura ul-

timata, aggiungere il formaggio grattugiato. E, se volete, po-tete anche aggiungere sopra buone spezie in polvere. Poimettere su un altro strato di lasagne e polvere di nuovo, e so-pra un altro strato e la polvere, e continuate fino a quando iltagliere o la ciotola è piena. Poi si mangiano prendendoli conun bastone appuntito».

Sembra tratta da un manuale di cucina salutista del ter-zo millennio, la ricetta pubblicata nel Liber de Coquinaaglialbori del Trecento e frutto della sapienza cuciniera dellacorte napoletana di Carlo II d’Angiò. Come dire che le lasa-gne sono state diverse da subito, e che da subito l’unico co-mandamento certo è stato l’utilizzo primigenio della sfo-glia di acqua e farina.

Quasi duemila anni più tardi, le lasagne sono ancora esempre in bilico tra la sontuosità grassosa della prepara-zione bolognese e le infinite varianti che abitano i ricetta-ri. Dismessi i panni cicciotti di cibo delle feste, dove as-sommare due campioni dell’arte culinaria franco-napo-letana come béchamellee ragù, la seducente stratificazio-ne di pasta — si badi bene: da zero a quaranta tuorli perchilo! — ha saputo accogliere farciture polpose o magro-line, in beata solitudine o creativamente assemblate, ci-bo del mondo o local come nessun altro.

I primi a ribellarsi alla dittatura del macinato di carne so-no stati i vegetariani, pronti a rivendicare il potere golosodelle verdure. In scia, i vegani, che — azzerate buona partedelle proteine animali — si sono limitati a sostituire burroe latte con soia e tofu o, in versione ancora più restrittiva,brodo vegetale e agar agar.

In quanto agli amanti del pesce, declinare il mare in lasa-gna richiede una sensibilità speciale — soprattutto riguardoai crostacei — per evitare che la cottura in forno trasformi lafragranza in stopposità. Tradotto in ricette, cottura tradizio-nale per il ragù ittico, ma costruzione nel piatto per tandemdelicati e suadenti come zucchine e capesante o gamberi epesto (così da preservare anche la delicatezza del basilico).

Poi, proprio come prescriveva l’anonimo cuoco degliAngioini, largo alle spezie e alle combinazioni della gastro-nomia etnica, che spaziano dalla dadolata di verdure conhummus (puré di ceci con crema di sesamo e limone) aglisfilaccini di pollo e salsa Teriyaki (soia, sake, olio e zucche-ro), arrivando fino alle tipologie dolci — fondente fuso e no-ci sbriciolate, carpaccio d’ananas e salsa vaniglia — e allesfoglie fritte invece che bollite.

Se le lasagne diverse vi intrigano, organizzate una gita aBologna, dove mercoledì 10 aprile la benemerita associa-zione TOur-tlen, forte dei sui tredici supercuochi cittadini,ospita e sfida sette chef in nome della tradizione reinventa-ta. In caso di crisi abbandonica, infilatevi in una delle oste-rie-culto del centro e regalatevi una porzione abbondante dilasagne bolognesi doc.

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L’importanteè stratificare

Non solo ragù e besciamella:le variabili all’antica ricettadei cuochi bolognesi e napoletanisono infinite.Pesce, tofu, hummuso verdure, a ciascuno la sua

lasagnaL’altra

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DOMENICA 7 APRILE 2013

MASSIMO MONTANARI

Dici lasagne e ti vengono in mente Bologna, il ragù, la be-sciamella. Ma la più antica ricetta di lasagne è in un testoscritto a Napoli agli inizi del Trecento. E il ragù non è previ-

sto: nel Medioevo non solo le lasagne, ma ogni genere di pasta sicondisce solo con burro e formaggio (la besciamella arriverà solonel XVIII secolo). Perciò le lasagne possono comparire come vi-vanda “di magro”: in una novella quattrocentesca di Sabadino de-gli Arienti, i monaci bolognesi di San Procolo le mangiano di ve-nerdì, «giorno di passione». Le attingono col cucchiaio da un «ca-tino» appena sfornato, caldissimo. E proprio il calore della vivan-da sarà protagonista del racconto: un monaco particolarmente af-famato (o goloso) non riesce ad attendere e si affretta a imbocca-re una cucchiaiata di lasagne. Il volto gli si infiamma, il caloreinsopportabile lo opprime, dagli occhi gli escono lacrime. «Perchépiangi?» gli chiede un fratello. E lui, per non svelarsi: «Piango la sor-te dei nostri compagni che quest’anno sono morti di peste». Pocodopo, anche l’altro monaco addenta le lasagne bollenti, e pure luisi mette a piangere dal dolore: «Perché piangi?» gli chiede il primo.«Della stessa cosa di cui piangevi tu» gli risponde. Il ricettario na-poletano del Trecento raccomandava di prendere le lasagne conun «punctorio ligneo», una posata di legno con le punte. Per farprendere aria alla vivanda, ed evitare di scottarsi.

Nel racconto di Sabadino c’è anche un curioso retroscena: il«catino» di lasagne è preparato e servito in tavola da un cuoco«ch’era tedesco» e lavorava nella cucina del monastero. Forse fuproprio a Bologna che quel tedesco apprese l’arte di far lasagne.Ma i libri di cucina medievali sembrano attestare una larga pre-senza di questa pratica culinaria, in Italia e fuori d’Italia. In ogni ca-so, il particolare rivela un’interessante contaminazione di cultu-re. Lasagne vuol dire Bologna, ragù, besciamella. Ma anche altriluoghi, e altri condimenti.

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Bologna. Gli indirizzi

DOVE DORMIRE

SUITE HOTEL ELITEVia Aurelio Saffi 40Tel. 051-554379Doppia da 80 euro, colazione inclusa

4 VIALE MASINI DESIGN HOTELViale Masini 4/3Tel. 051-255035Doppia da 105 euro, colazione inclusa

HOTEL METROPOLITANVia dell'Orso 6Tel. 051-229393Doppia da 120 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARE

SCACCO MATTOVia Broccaindosso 63/bTel. 051-7018968Chiuso lunedì a pranzo, menù da 38 euro

OSTERIA BOTTEGAVia Santa Caterina 51Tel. 051-585111Chiuso domenica e lunedì, menù da 30 euro

MARCO FADIGA BISTROTVia Rialto 23/cTel. 051-220118Chiuso domenica e lunedì, menù da 40 euro

DOVE COMPRARE

SFOGLINEVia Belvedere 7/bTel. 051-220558

LA BOTTEGA DELLA PASTAVia Orfeo 38/bTel. 347-1303417

LA BOLOGNINAVia Di Vincenzo 33/dTel. 051-370780

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LA RICETTA

Impastare farina, uova e un pizzico di sale, fare riposarealmeno un’ora. Stendere la pasta e tagliarla a quadrettidi 5 cm. Pulire i pesci, tenendo da parte teste e carapaci dei gamberi. Soffritto con cipolla, sedano,carote, aglio, aggiungere gli scarti dei gamberi e il pomodoro a cubetti. Sfumare con un bicchiere

di vino bianco, far ridurre e passare al colino Cuocere in abbondante acqua salata per pochi istanti

i pisellini sgusciati e passare al mixer con un filo di extra vergine fino a ottenere una crema liquida

Rosolare con aglio e olio calamari, vongole e muscoli, aggiungere i crostacei. Bollire le lasagnette, unirle a molluschi e crostacei, aggiungere qualche cucchiaio di salsa di gamberi. Impiattare il tutto, aggiungere la crema di piselli, le fave e qualche foglia di basilico

Ingredienti per 4 persone

1/2 kg di farina 20 tuorli, 8 gamberi 500 g di calamaretti spillo200 g di muscoli, 200 g di vongolepisellini, fave1 pomodoro cuore di buecipolla, sedano, carota1 bicchiere di vino biancoolio extra vergine di oliva1 testa d’agliobasilico e maggiorana

Andrea Sarri, presidente dei JeunesRestaurateurs italiani, è lo chef-patron del ristorante "Agrodolce", adagiatosulla banchina del porto d'Imperia,dove la Liguria profuma i piatti di mare e di terra. Come pure questaricetta ideata per i lettori di Repubblica

Le lacrimedei monaci

Asparagie scamorzeFarcitura con gli ortaggisimbolo di primavera,sbollentati, affettati e spadellati, alternati a provolanormale e affumicata,più besciamella leggera

VegetaleIl meglio dell’orto di stagione(zucchine, carote,piselli, porri) ridotto in dadini minuscoli(brounoise) e insaporito in extravergine, con o senzapomodoro

DoppiopestoVersione double: a crudo (fogli di pastacotti, assemblati in piatto con gamberi)oppure infornati con patate e fagiolini,aggiungendobesciamella o ricotta

MareMisto di scorfano e pescatrice a tocchetti, rosolatoin olio extravergineprofumato d’aglio Al posto della besciamella abbinamento con vellutata al fumetto di pesce

FunghiGalletti o porcinitagliati sottili, trifolati in padellacon prezzemolo A parte, preparare la pancettaaffumicata a dadini,rosolata senza olio, e infine mescolarealla ricotta

PanecarasauSpianata sarda al posto della sfogliatradizionale Una volta bagnatacon brodo caldo di pecora, si farcisce con sugodi pomodoro e pecorino grattato

RapebiancheRadici tagliatesottilissime, cotte due minutie quindi immerse in acqua freddaAsciugate, disponetein teglia con rigagliedi pollo saltate, salsa di yogurt, sedano

MaisFarina gialla versata a pioggia in acqua bollente per una polentamorbida da stendere a cucchiaiate con prosciutto cotto, carciofi rosolati e mozzarella

MoussakaPatate a rondelle e melanzane affettate con la bucciafritte separatamente,allineate,sovrapposte,ricoperte con ragù di carne rossa e besciamella

VeganaSfoglia integrale, latte di soia per la besciamella,tofu al posto del formaggio Il resto vien da sé:zucchine trifolate,filetti di peperoni arrostiti, anelli di cipolla

Lasagnette in guazzetto di frutti di mare e primizie dell'orto

A tavola

TricoloreUna lasagna bianca, rossa

e verde a base di scamorza

affumicata, speck e zucchine

preparati a parte e stesi

sulla sfoglia da infornare,

con crema di latte e maizena,

grana, menta, pistacchi tritati

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DOMENICA 7APRILE 2013

Cinquanta film in ventisette anni“Finora mi è andata benema ho sempre il terrore che la favolafinisca da un momento all’altro”confessa una delle attrici più premiate

del cinema italianoChe a domanda risponde:“No, non sononevrotica comei personaggiche interpreto,

ma ormai mi sono rassegnata: se qualcuno ancora me lo chiede io mi limito a sorridere”

ROMA

Nel volto e nello sguardosi mescolano un velo dimalinconia e una venadi ironia. E forse pro-

prio questo strano mix è il segreto delfascino di Margherita Buy. Un dono dinatura che, abbinato a una seria pre-parazione professionale all’Accade-mia d’Arte Drammatica, le ha consen-tito di esprimere sentimenti e propor-re personaggi autentici, anche quan-do sul copione apparivano solo ab-bozzati. La prima a sorprendersi delsuccesso, nonostante stia per arrivarein sala il suo cinquantesimo film inventisette anni, è proprio lei. «Ho ini-ziato questa carriera molto seriamen-te, forse anche perché cresciuta in unafamiglia dove la cultura ha semprecontato molto, ma senza alcuna illu-sione. Convinta, anzi, che sarebbe fi-nita male. Così, ancora adesso, mi me-raviglio di ciò è accaduto e qualche vol-ta ho perfino la tentazione di mollare,perché finora è andato tutto per il me-glio, ma sotto sotto continuo ad avver-tire il vago terrore che la favola possa fi-nire da un momento all’altro».

La sua filmografia sembra sfatare laleggenda che oltre gli “anta”, per le at-trici in genere e per le interpreti italiane

in particolare, non ci sia più spazio. «Èvero» ammette la cinquantunennevincitrice di cinque David di Donatel-lo, «con la maturità sono arrivati i per-sonaggi più interessanti, le cose piùbelle. La mia fortuna è stata quella dicominciare con un gruppo di coetanei,da Daniele Luchetti a Giuseppe Piccio-ni, da Sergio Rubini a Cristina e Fran-cesca Comencini fino a Ferzan Ozpe-tek, con i quali non ci siamo più lascia-ti. Siamo cresciuti insieme e insiemeabbiamo raccontato le nostre vite, lenostre esperienze». Dal prossimo 24aprile tornerà sugli schermi accanto aStefano Accorsi, con cui recitò Le fateignorantidodici anni fa, nel film di Ma-ria Sole Tognazzi Viaggio sola. Ma cu-rioso è soprattutto il rapporto con Ser-gio Rubini, il suo ex marito col quale,anche dopo il divorzio, ha continuato afrequentarsi artisticamente. Così sulset Margherita e Sergio si sono spessoritrovati a formare, con grande natura-lezza, quella coppia che nella vita realenon c’era più. Tanto che, anche nelnuovo film di Rubini Mi rifaccio vivo,presentato al Bif&st di Bari e nelle saledal 9 maggio, ancora una volta la pro-tagonista femminile sarà proprio laBuy. «Le emozioni provate in questolavoro spesso sono così forti che si tra-sformano in ricordi personali, come seciò che si è vissuto solo nella finzionedel set fosse accaduto davvero nella vi-ta reale. Certi personaggi ti restanodentro. Mi è capitato più volte: di re-cente, con Maria, la protagonista de Lospazio bianco, che mi ha fatto scoprirerealtà inedite sulla maternità, o con El-sa di Giorni e nuvole, un film quasi pro-fetico, che ha raccontato in anticipo lacrisi dei nostri giorni e mi piace pensa-re che abbia aiutato la gente a prepa-rarsi alle difficoltà del momento. Amointerpretare personaggi che esistanorealmente, nei quali gli spettatori, e so-prattutto le spettatrici, possano rico-noscersi con grande facilità. Ciò nontoglie che se mi chiamasse Tim Burtonper un fantasy andrei di corsa...».

Il tema della maternità ricorre mol-te volte nei film interpretati dalla Buy,che della sua esperienza di mamma diuna figlia unica quasi dodicenne, avu-ta dal secondo marito, il chirurgo Re-nato De Angelis, dice: «Mi sento unamiracolata, nel senso che mia figlia èstata la cosa più bella che mi sia acca-duto di vivere. L’esperienza di madremi ha migliorato e mi ha fatto crescere,mi ha reso più responsabile. Penso di

essere stata una mamma molto ap-prensiva ma, seppure con fatica, credodi essere riuscita a non diventare trop-po invadente. Oggi con mia figlia con-divido già molte cose. Del resto hosempre avuto un ottimo rapporto conl’universo femminile, come dimostrail fatto di aver girato molti film con re-giste donne. Anche sul lavoro, trovoche fra donne il rapporto sia facile per-ché si comunica attraverso un codiceconosciuto e condiviso; non ci sonovergogne né pudori, inevitabili con iregisti uomini. È accaduto di recenteanche con Susanna Nicchiarelli per Lascoperta dell’alba: un film particolare,emozionante, che sfugge a ogni classi-ficazione di genere, stando a metàstrada fra il fantasy e il politico, e chepretende dallo spettatore di lasciarsiandare alle emozioni. Con Susanna,fin dal primo istante, siamo state per-fettamente in sintonia».

Ciò che invece a Margherita non è

ancora riuscito è il tentativo di liberar-si dalla maschera di donna nevrotica,timida, scostante, ansiosa e ansiogenacon cui il pubblico, a partire da Male-detto il giorno che ti ho incontrato diVerdone del 1992, l’ha identificata.Amici e conoscenti assicurano cheMargherita non sia affatto così, ma in-tanto anche nel film Boris è stata pro-posta una parodia della Buy che pun-tava proprio su questo aspetto. «Nonmi sono sentita affatto offesa ancheperché, se mi volevano prendere in gi-ro, potevano farlo ancora più feroce-mente. D’altronde mi sono convintache, almeno sullo schermo, emanoqualcosa che mi sfugge e, poiché i per-sonaggi nevrotici mi vengono bene, ilpubblico pensa che io sia davvero co-sì. Non c’è scampo, ormai mi sono ras-segnata e non provo più a negare:quando mi chiedono “ma tu sei davve-ro così?” mi limito a sorridere».

Tuttavia qualcosa di vero deve puresserci, perché c’è chi ricorda che nel-la conferenza stampa alla Mostra delCinema di Venezia nel lontano 1986dopo la proiezione del suo primo film,La seconda notte di Nino Bizzarri, alledomande dei giornalisti le risposte diMargherita furono poco più che mo-nosillabi. Ma l’unica insicurezza chelei riconosce a se stessa riguarda lescelte professionali: «Certe volte nonè facile accettare una proposta e an-cora più difficile rifiutarla. Natural-mente conta moltissimo la presenzadel regista. Da attrice mi piace esserediretta, avere la sensazione che sul setci sia un capo che abbia ben chiara intesta la direzione che il film deveprendere. Quando ciò non accade, è ildisastro. Le mie scelte non derivanoquasi mai da una riflessione sul per-sonaggio che mi viene proposto, madipendono da un giudizio complessi-vo sul film. Meglio scegliere un ruolopiù piccolo e meno interessante in unfilm che funziona, piuttosto che ave-re una grande parte in un’operazionecomplessivamente zoppicante. Sba-gliare qualche scelta è inevitabile, an-ch’io ho dei cadaveri nell’armadio,ma non mi pento di niente: alla fineanche i film meno riusciti, a volte, of-frono occasioni di crescita professio-nale e umana. Per esempio ho recita-to in quello che è forse il film più brut-to di Mario Monicelli, Facciamo Para-diso, ma sono felice di aver avuto l’op-portunità di entrare in contatto conun uomo unico e straordinario».

Il segreto di Margherita sembra es-sere quello di vivere il ruolo di attricesimbolo di un generazione con lievità,sobrietà, senza mai neppure sfiorareatteggiamenti da diva. Contrariamen-te alle attrici d’altri tempi, alle incom-benze di una vita normale e a certi do-veri domestici la Buy non si è mai sot-tratta: sebbene parzialmente nascostasotto un cappello e con enormi oc-chiali da sole sul viso, anche in giorna-te poco luminose, è facile incontrarlain fila al supermercato sotto casa. Pro-prio per questo, nonostante l’infinitàdi riconoscimenti ricevuti, spesso por-tatori di velenose antipatie, Margheri-ta non suscita sentimenti ostili neppu-re fra le colleghe. Lei, del resto, i varipremi ricevuti non li esibisce neppurenel salotto di casa. «Ciak d’Oro e Nastrid’Argento — racconta — sono stipatiin un baule, anche perché si possonocomodamente inscatolare. È un po’più complicato con i David, che sonosparsi nelle varie stanze...». Recente-mente, in un programma televisivo, haammesso di aver perduto una di quel-le preziose statuette che si assegnanoogni anno al miglior attore italiano del-la stagione cinematografica. «Ma an-che se faccio finta di niente non credache io non tenga ai premi. Anzi, e loconfesso pubblicamente: intendocontinuare a collezionarne».

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L’incontroAntidive

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