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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 DICEMBRE 2013 NUMERO 459 CULT La copertina ANTONELLO GUERRERA e MICHELE SMARGIASSI Carta canta e-book in crisi perché il cervello preferisce il libro Il libro SUSANNA NIRENSTEIN Il Narciso nero di Rumer Godden Ritorno in India con gruppo di suore All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Serena Vitale da Pasolini a Tolstoj “I miei meravigliosi fantasmi russi” La musica DINO VILLATICO Pappano trionfa con Mozart e Beethoven è gioia autentica L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo Il treno a vapore di Turner NAPOLI «D i feste natalizie ne ricordo in particolare due — racconta con uno dei suoi pacati sorrisi Luca De Filippo — una che appartiene al- l’infanzia e una che risale a quando non ave- vo ancora compiuto trent’anni. Da bambino, con mia sorella ac- canto, il Natale era sempre una fiera della spensieratezza, e mai un rito di circostanza. Perché, sì, sulla Via Appia Antica dove abitavamo a Roma, si faceva un bellissimo albero e si metteva su un presepe coi fiocchi, accurato e artigianale, e arrivava un sacco di gente, amici, che si disponevano, per quanti erano, su due tavoli, ma poi succe- deva come niente che uno degli ospiti (una persona stupenda, ra- diosa) cominciasse per scherzo a prendere di mira l’albero, e piano piano finiva per essere imitato anche dagli altri, così che buona par- te delle palle diventavano bersaglio e venivano allegramente fatte cadere a terra, formando un tappeto coloratissimo di sfere rotte». (segue nelle pagine successive) RODOLFO DI GIAMMARCO C hi è? Uè, professore buongiorno, scusate sto facendo un lavoro un poco delicato, se perdo l’equilibrio fac- cio un volo dal terzo piano... e questo ci manchereb- be. Ho voluto togliere questa tenda... eh già perché si cominciano a rompere i tempi, cominciano le piogge, e se la lascio alle intemperie l’anno venturo ce ne vuole una nuova e Dio lo sa quello che costa la stoffa. Come? No, no, il sole l’ha un poco scolo- rita ma è nuova di quest’anno. Come dite? Sono pignolo? Eh, e ave- te ragione voi professo’, vuol dire che voi siete ricco, e io no. Pro- fesso’, questo poco di roba che tengo me lo devo guardare ecco- me... La manutenzione è tutto, e io non per dire c’ho tale un siste- ma e una regola che la roba nelle mie mani dura anni e anni. Que- sto vestito che tengo addosso, professo’, me lo feci sei mesi prima della guerra, eh eh, e non si può dire che ha sofferto. Mi costò set- tecento lire, io... lo spolvero, lo smacchio, mah... (segue nelle pagine successive) EDUARDO DE FILIPPO DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI DISEGNO DI GIPI PER “REPUBBLICA” De Filippo in casa Natale “Ve lo posso assicurare, era un vero spettacolo” Nel trentennale della morte del grande Eduardo il figlio Luca apre per noi l’album dei ricordi e l’archivio segreto del padre HANNO SCRITTO Paulo Coelho, Maurizio Crosetti, Enrico Franceschini, Rodolfo Di Giammarco, Licia Granello, John Lloyd, Sebastiano Messina, Gabriele Romagnoli e Vittorio Zucconi HANNO DISEGNATO Julia Binfield, Gabriella Giandelli, Gipi Riccardo Mannelli, Emiliano Ponzi, Carlo Stanga e Olimpia Zagnoli

DI REPUBBLICA DOMENICA DICEMBRE NUMERO 459 Natale …download.repubblica.it/pdf/domenica/2013/22122013.pdf · e Beethoven è gioia autentica L arte MELANIA MAZZUCCO ... commozione

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

NUMERO 459

CULT

La copertina

ANTONELLO GUERRERAe MICHELE SMARGIASSI

Carta cantae-book in crisiperché il cervellopreferisce il libro

Il libro

SUSANNA NIRENSTEIN

Il Narciso nerodi Rumer GoddenRitorno in Indiacon gruppo di suore

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Serena Vitaleda Pasolini a Tolstoj“I miei meravigliosifantasmi russi”

La musica

DINO VILLATICO

Pappano trionfacon Mozarte Beethovenè gioia autentica

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoIl treno a vaporedi Turner

NAPOLI

«Di feste natalizie ne ricordo in particolare due— racconta con uno dei suoi pacati sorrisiLuca De Filippo — una che appartiene al-l’infanzia e una che risale a quando non ave-

vo ancora compiuto trent’anni. Da bambino, con mia sorella ac-canto, il Natale era sempre una fiera della spensieratezza, e mai unrito di circostanza. Perché, sì, sulla Via Appia Antica dove abitavamoa Roma, si faceva un bellissimo albero e si metteva su un presepe coifiocchi, accurato e artigianale, e arrivava un sacco di gente, amici,che si disponevano, per quanti erano, su due tavoli, ma poi succe-deva come niente che uno degli ospiti (una persona stupenda, ra-diosa) cominciasse per scherzo a prendere di mira l’albero, e pianopiano finiva per essere imitato anche dagli altri, così che buona par-te delle palle diventavano bersaglio e venivano allegramente fattecadere a terra, formando un tappeto coloratissimo di sfere rotte».

(segue nelle pagine successive)

RODOLFO DI GIAMMARCO

Chiè? Uè, professore buongiorno, scusate sto facendoun lavoro un poco delicato, se perdo l’equilibrio fac-cio un volo dal terzo piano... e questo ci manchereb-be. Ho voluto togliere questa tenda... eh già perché si

cominciano a rompere i tempi, cominciano le piogge, e se la lascioalle intemperie l’anno venturo ce ne vuole una nuova e Dio lo saquello che costa la stoffa. Come? No, no, il sole l’ha un poco scolo-rita ma è nuova di quest’anno. Come dite? Sono pignolo? Eh, e ave-te ragione voi professo’, vuol dire che voi siete ricco, e io no. Pro-fesso’, questo poco di roba che tengo me lo devo guardare ecco-me... La manutenzione è tutto, e io non per dire c’ho tale un siste-ma e una regola che la roba nelle mie mani dura anni e anni. Que-sto vestito che tengo addosso, professo’, me lo feci sei mesi primadella guerra, eh eh, e non si può dire che ha sofferto. Mi costò set-tecento lire, io... lo spolvero, lo smacchio, mah...

(segue nelle pagine successive)

EDUARDO DE FILIPPO

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De Filippoin casaNatale

“Ve lo posso assicurare, era un vero spettacolo”Nel trentennale della morte del grande Eduardo

il figlio Luca apre per noil’album dei ricordi e l’archivio segreto del padre

HANNO SCRITTOPaulo Coelho,

Maurizio Crosetti,Enrico Franceschini,

Rodolfo Di Giammarco, Licia Granello, John Lloyd,

Sebastiano Messina,Gabriele Romagnolie Vittorio Zucconi

HANNO DISEGNATOJulia Binfield,

Gabriella Giandelli, Gipi Riccardo Mannelli,

Emiliano Ponzi,Carlo Stanga

e Olimpia Zagnoli

LA DOMENICA■ 30DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Insieme al figlio Luca rovistiamo tra ricordipersonali e carte inedite ancora da studiare“Lo so, passava per uno severoMa dalle feste in famigliaal palcoscenico per me Eduardoè sempre stato divertimento puro”

La copertina

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(segue dalla copertina)

e immagini più mature che Luca ha impres-se nella mente a proposito di serate nataliziecon Eduardo riguardano invece la secondaparte degli anni Settanta. «Eravamo nella ca-sa di Napoli, e io lì avevo personalmente co-struito pezzo a pezzo il presepe. Ricordo cheal pianoforte c’era Nino Rota. E partecipava,invitata al completo, la Nuova Compagnia diCanto Popolare, capace di eseguire un saccodi pezzi senza mai stancarsi, in presenza diRoberto De Simone. Un Natale tutto da sen-tire e guardare come una celebrazione vi-vente, un Natale con echi curiosi di scena mapieno anche di emozioni umane, dove io emio padre eravamo beatamente spettatori».

Dobbiamo a Luca non solo quest’entratarispettosa nell’albo delle cerimonie nataliziein famiglia, ma anche l’accesso a un ineditotesoretto di vari e preziosi cimeli eduardianiche sono al momento ancora custoditi all’in-terno di una torre del Maschio Angioino diNapoli, dove ha sede la biblioteca della So-cietà Napoletana di Storia Patria che ha ac-colto dal 1997 i materiali affidati dalla Fon-dazione Eduardo De Filippo all’Associazio-

ne Voluptaria. Un fondo che sarà definitiva-mente acquisito dalla Biblioteca Nazionaledi Napoli nei primi mesi dell’anno prossimo,in coincidenza col trentesimo anniversariodella scomparsa di Eduardo.

Dall’archivio foltissimo, suddiviso in fal-doni, spuntano fuori locandine di spettaco-li, programmi di sala, foto di scena, copionimanoscritti, recensioni di messinscene dal1930 all’84, piante delle scenografie, e dise-gni autografi di Eduardo. I suoi autoritrattiraffigurano sempre la sagoma di una testa ed’una faccia corrispondenti a un personag-gio impensierito, scolpito dai drammi piùche dalle commedie. I manifesti di Natale incasa Cupiello — sketch in un atto del 1931 adopera del Teatro Umoristico dei tre fratelli,poi commedia in due atti nel 1932, e infinedramma in tre atti nel 1934 — hanno in serbotante varianti. Partono dai formati minuti del1938 per giungere a sfoggiare una dimensio-ne vistosa e gialla nel 1969 e nel 1976, dove nelcast figura con evidenza Pupella Maggio. So-lo nel 1976 appare anche Luca, il figlio Tom-masino, detto Nennillo, che a domanda ri-sponde “Nun me piace ‘o presebbio”.

Ma qui non è tanto e solo il valore docu-mentario di una collezione di storici repertidi teatro di Eduardo a contare, a emoziona-

re. Quando il pubblico dei cultori e degli stu-diosi avrà familiarità (sia dal vivo che per di-gitalizzazione) con questa raccolta infinita distrumenti di scena del Novecento, a creareun effetto unico, non attinente a un museoma a un rito, sarà la poesia di certi mano-scritti (come quello del Natale in casa Cu-piello) anche se attribuibili alla penna del

suggeritore; saranno i misteri gloriosi dellefoto di compagnia di questo spettacolo dovespunta fuori anche Tina Pica; sarà l’au-stroungarica precisione d’epoca di certe ta-vole sinottiche di tutto il repertorio eduar-diano; sarà il sentimento di una testimo-nianza come quella fornita da una copia del-la rivista Il Dramma con Eduardo in coperti-na e il Natale pubblicato all’interno; sarà lacommozione seria che ti prende alla vista delborderò della prima rappresentazione di Fi-lumena Marturano. Saranno insomma l’i-dillio e il feeling per il contatto con gli ogget-ti dell’arte di Eduardo.

«Passava per severo, per esigente tanto damettere paura, mio padre, ma di fatto iom’accorgevo che chiudeva un occhio su al-cune deficienze se poi poteva far conto su unvero entusiasmo. Parlo con sincerità se dicoche andare in scena con lui è sempre statoper me un divertimento puro, una gioia na-turale — confida Luca — e se io gli comuni-cavo un mio scrupolo d’interprete a proposi-to, che so, d’una caratterizzazione che s’in-terrompeva di colpo, lui mi tranquillizzavacon un affettuoso “Ma che te ne frega? Unavolta si è in un modo, e di punto in bianco siè in un altro, nella vita, e così anche a teatro”.Non era mai un maestro di scuola. Non era

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Natale in casa De Filippo

I DOCUMENTIDa sinistra, il copione

di Natale in casa Cupiello con le paginedattiloscritte del primo atto

e il manoscritto originale di Eduardo;la locandina dello spettacolo

del Natale 1938

Adesso lo posso direme piace‘o presepio‘‘

L’ARCHIVIOLa Fondazione Eduardo De Filippo

diretta da Francesco Somma ha assegnato l’archivio artistico

di Eduardo del teatro S. Ferdinandoall’Associazione Voluptaria

Ora è conservatodalla Società Napoletana

Storia Patriadiretta da Renata De Lorenzo,

in attesa del trasferimentoalla Biblioteca Nazionale di Napoli

diretta da Mauro GiancasproClaudio Novelli collabora

alla sistemazione dei documenti

RODOLFO DI GIAMMARCO

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la Repubblica

mai cupo in palcoscenico. Era animato dauna gioia vitale. Ma anche fuori, in privato,nelle case degli altri, era un intrattenitore na-to, uno a cui piaceva affascinare».

Davanti alla montagna di reperti che al Ga-binetto Vieusseux di Firenze, e qui a Napoli,costituiscono le tracce del suo instancabilepercorso artistico, viene da pensare a unEduardo minuzioso conservatore del suo la-voro intellettuale. «E invece guardi che lui nonci teneva granché ad accumulare gli oggetti dellavoro. Negli ultimi anni aveva scelto di cir-condarsi di poche cose, nella sua abitazione:una maquette del teatro San Carlino, un bustodi Pulcinella col corno, alcune stampe... Saràuna bella impresa quella di mettere insiemetutto il suo epistolario, da pubblicare e da digi-talizzare, ma l’operazione è in atto già da dueanni, e ne è responsabile scientifica Maria Pro-cino. Comunque a Eduardo premeva di più ilrapporto vivo con la gente. Nel dopoguerraaveva deciso di prendere e gestire un teatro aNapoli, e poteva sistemarsi in più sale, ma vol-le mettere piede in un teatro bombardato co-me il San Ferdinando, un teatro di grande tra-dizione popolare, perché voleva non sentirsitroppo legato a un’arte borghese, e voleva co-municare coi napoletani semplici».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I DISEGNI E IL TESTOQui sopra, due autoritratti di Eduardoconservati nell’archivio del Maschio AngioinoIn basso, nella sequenza fotografica,alcune scene da Natale in casa CupielloIl testo di De Filippo pubblicato per la prima voltain queste pagine fu scritto nel 1950per un cortometraggio di propaganda sul Piano Marshall e mai utilizzato

(segue dalla copertina)

Professo’, questo è un vestito cheun’altra guerra se la fa ridendo escherzando. Io per esempio diffi-

cilmente consumo i pedalini. Eh... già,perché prima li faccio riposare facendo-gli fare il giro, e poi perché camminopiano piano, leggero leggero, eh... eh....Le cravatte non le sciupo, eh... eh..., per-ché... il nodo non lo stringo, lo manten-go comodo comodo, largo largo, eh già,perché quando si sforza per stringere ilnodo, si determina un attrito che dagli edagli esce la trama dalla stoffa e andatecamminando con la cravatta sfrangiata,eh... eh... Non vi dico i polsi della cami-cia. A me per esempio difficilmente mivedete camminare con le mani in tasca,perché per lo stesso attrito che vi dicevoprima, si sfrangiano i polsini.

— ... Eh, lo so, è un continuo controllo ma...

se non faccio così come me la cavo... eh...A me caro professore, non mi ha mai da-to niente nessuno... eh...

— ...Sono pure irriconoscente? E pecché?— ...Ah, eh... eh va be’, eh... ho capito, eh...

voi battete sempre lo stesso tasto, sì, sì...non ho capito l’ingranaggio, ecco. Voi

me l’avete spiegato tante volte ma ioconfesso la mia ignoranza, non ho capi-to mai niente. Il Piano Marshall, eh. Nonho capito il funzionamento, eh. Non so,per esempio... io ho bisogno di una de-terminata cosa, è vero, lo faccio saper alsignor Marshall e quello me la manda?!

— ...Ah, no, ah, lui non manda niente. Ho

capito, ho capito. Lui non manda nien-te. Lui ha fatto solo il Piano, è vero. Se ioper esempio gli scrivo direttamente, luinon risponde nemmeno. Ho capito. Lui,diciamo, è l’ideatore di questo Piano, seho capito bene, è vero? Ma non vuolescocciature a casa sua. Oh. E il Piano si-gnifica che quello che manca a noi, loroce lo devono mandare, eh... Ma, noi, èvero, in cambio, non dobbiamo fareniente? Eh, e che volete... è che... è que-sto... questo è quello che non capiscoio... perché se uno mi fa una cortesia,non so, una gentilezza, in un modo o inun altro, io mi devo disobbligare, perchése no che figura faccio? Eh?

(da Eduardo e il suo Monologotra cinema, teatro e storia

a cura di Sergio Bruno, Edizioni Rubbettino 2013,

Centro Sperimentale Cinematografiae Istituto Luigi Sturzo)

Io cammino leggeroper riposare i pedalini

EDUARDO DE FILIPPO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA DOMENICA■ 32DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

Dieci ore di lavoroe otto chilometripercorsi in mediain hangar grandicome venticinquecampi di calcioMezz’ora di pausaLa paga?Il minimosindacale,sette dollariall’ora

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Si dividono tra “pickers” e “packers”, tra chi prendel’oggetto ordinato e chi lo confeziona. Per il resto la regolaè una ed è uguale per tutti: chi si ferma è licenziatoEcco chi c’è dietro il miracolo dell’e-commerce che in 24 ore ci fa trovare sotto l’albero il regalo acquistato online

L’attualitàHey oh

Non chiedetevi mai per chi suonano lejingle bells, perché quelle campa-nelle potrebbero suonare per voi.Potrebbero chiamarvi a diventareuno di quelle migliaia di aiutanti diBabbo Natale che nei centri di rac-colta, impacchettatura e spedizionedegli acquisti chiamati fullfillmentcenter corrono, saltano, si arrampi-cano, cadono, si rialzano per dieciore al giorno con mezz’ora di pausaal minimo del salario legale per re-capitare il pacco nel tempo previsto.

Lassù, nella grande tundra po-stindustriale dell’e-commerce, del-le vendite online, la vita per gli gno-mi con lo scanner e il gps al collo o al-la cintura che misurano al centime-tro i loro spostamenti e i loro passi, èpoco più gradevole di quella di unraccoglitore di cotone nelle pianta-gioni del vecchio Sud coloniale. Lagrande illusione del nuovo mondodel commercio in rete, nella pigracomodità del mouse e del clic chemagicamente fanno apparire dalnulla il libro, il televisore, il giacconeo la Barbie alla porta di casa il giornodopo, diventa la realtà brutale di uo-

mini e donne negli immensi formi-cai destinati a soddisfare gli ordini ri-cevuti da Amazon, da eBay, Netflix,Barnes & Noble. Da chiunque — esono ormai centinaia — offra la pos-sibilità di fare acquisti online.

Il miracolo della immaterialitàdella rete diventa la brutale materia-lità delle piantagioni meccanichedove si raccolgono e si coltivano glioggetti. Al picco della stagione delloshopping, dunque in questi giorni,soltanto Amazon spedisce quattro-cento pacchi al secondo dai suoiquaranta centri negli Stati Uniti. Edietro ogni secondo c’è un “elfo”,una persona che ha disperato biso-gno di un lavoro, di un qualsiasi la-voro, ed è disposta ad accettare il mi-nimo nazionale di salario, 7 dollari e25 centesimi, cinque euro e mezzocirca all’ora, che possono diventareanche sette all’ora, con gli straordi-nari obbligatori.

In colossali hangar che raggiun-gono le dimensioni di venticinquecampi da calcio, come quelli diPhoenix in Arizona, e spesso utiliz-zano grandi stabilimenti automobi-listici abbandonati, come la fabbri-ca della General Motors a Baltimora

(95 mila metri quadrati), i folletti diBabbo Natale percorrono in mediaotto chilometri ciascuno. Li guidanogli scanner che indicano in qualetrincea, a quale piano, in quale cubi-colo siano la scatola della nuovaXbox, l’apriscatole elettrico, il rasoioo il libro. Lo scanner prevede quan-to tempo sia necessario, secondo ilprogramma scritto da qualche spe-cialista che naturalmente non devepoi saltabeccare da un lato all’altrodell’hangar, per raggiungere il pro-dotto richiesto. “Gli schiavi del ma-gazzino”, come li definì enfatica-mente la giornalista Mac McClel-land dopo averci lavorato per unasettimana prima di fuggire, devonorispettare quote prestabilite, comenelle classiche catene di montaggio,nei tempi fissati da cronometro. Senon le raggiungono saranno rapida-mente licenziati. Se le raggiungono,la quota sarà aumentata.

Sono divisi in due grande catego-rie, dai nomi che fanno pensare a unfilm comico o a un cartone animato:i pickers e i packers, quelli che devo-no pick, pescare il pezzo ovunqueesso sia, a volte ai capi opposti del-l’immenso capannone, sisteman-

dolo poi sui nastri trasportatori; equelli che lo devono pack, impac-chettare. Nella mezz’ora di pausaunica possono ritrovarsi soltanto inun locale predisposto, dove sgra-nocchiare qualcosa e fare l’imman-cabile fila ai bagni. Uscire all’aperto,anche per fare solo due passi, com-porta il licenziamento immediato.

Non ci sono diritti sindacali, nérappresentanze di fabbrica. Ci sono,in compenso, file di aspiranti fuori,nella tundra post industriale, prontia prendere il loro posto se cadono,come i reggimenti settecenteschisotto il fuoco nemico: abbattuta laprima linea, avanza la seconda, sen-za fermarsi. Jeff Bezos, il creatore diAmazon, oggi la prima società divendite online, che cominciò im-pacchettando lui stesso libri nel-l’immancabile garage di casa comevuole la letteratura del Sogno Ame-ricano, promette, e spesso mantie-ne, impegni per migliorare o uma-nizzare le condizioni di lavoro nellepiantagioni: soltanto in questo 2013ha investito tre miliardi di dollari peraprirne di nuovi. Ma gli interventitendono ad avvenire quando larealtà trapela all’esterno. Avvenne

VITTORIO ZUCCONI

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la Repubblica

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così nel centro di Allentown, inPennsylvania, dove decine di dipen-denti furono ricoverati dopo esserecollassati nel calore estivo arrivato a40 gradi senza aria condizionata.

In attesa dei robot che peschinogli oggetti dagli scaffali e degli “otto-cotteri”, i droni a otto eliche per re-capitare le merci a casa, l’anello de-bole della catena resta l’essere uma-no. È la donna sorpresa a fermarsiper telefonare a casa e chiedere «co-me stai» al bambino lasciato solo. Èl’anziano che tenta invano di regge-re ai ritmi imposti dal computer. È laragazza che flirta col collega, attivitàrigorosamente proibita. Su di loro,sulla materia morbida della macchi-na, preme la pressa della concorren-za fra i centri di distribuzione e i gi-ganti del commercio online chepuntano al Sacro Graal di questa in-dustria: la consegna in giornata.

Tutti si sforzano di promettere ilrecapito entro il giorno dell’ordina-tivo, 24 ore su 24. La rapidità dellaconsegna, hanno scoperto le ricer-che, è la chiave più sicura per garan-tirsi la fidelizzazione del cliente, piùdel prezzo, più dell’assortimento,più delle tasse sulle vendite, che or-

mai si applicano ovunque. Amazon,che dell’acquirente sa tutto, mira adavere uno di questi centri di distri-buzione entro un raggio di 50 km daicluster (agglomerati di acquirenti)più vicini: è la distanza massima cal-colata per la consegna in giornata.

Ma perché il pacco possa uscirepochi minuti dopo aver cliccato ilmouse sul tavolo di casa, perché ilfurgone possa partire con l’oggettodell’instant gratification (l’“imme-diata soddisfazione”) bramato dal-l’impaziente che non può attendereneppure un giorno, gli elfi devonocorrere più in fretta, arrampicarsipiù velocemente. Devono salire escendere dalle gabbie di acciaio cheli portano verso scaffali alti anche trepiani dove è andato ad annidarsiproprio quel bambolotto dispettosoo quella carogna di cagnetto di pez-za. Meglio non farsi male, perchél’assicurazione medica è limitatissi-ma e la fila, là fuori, preme. «Qualchevolta — ha detto uno di loro al tele-giornale della Nbc— sogno di esseretra gli scaffali a cercare qualcosa chenon trovo e mi sveglio piangendo».Anche Babbo Natale è una carogna.

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La matitaPAULO COELHO

I l bambino guardava la nonna che stava scrivendo una lettera. A un certo punto, domandò: «Stai scri-vendo una storia che è capitata a noi? E, magari, è una storia che riguarda me?».La nonna interruppe lalettera, sorrise e disse al nipote: «Sto scrivendo qualcosa che riguarda te, è vero. Tuttavia, più importan-

te delle parole è la matita che sto usando. Vorrei che, da grande, tu fossi come lei». Il bambino, incuriosito, guardò la matita e non vide nulla di speciale. «Ma è uguale a tutte le matite che ho visto nella mia vita!».«Tutto dipende da come guardi le cose. Ci sono cinque qualità in questa matita e se tu riuscirai a mante-

nerle, sarai sempre una persona in pace con il mondo. Prima qualità: tu potrai fare grandi cose, ma non dovrai mai dimenticare che esiste una Mano che guida

i tuoi passi. Questa mano noi la chiamiamo Dio, ed Egli ti conduce sempre verso la Sua volontà.Seconda qualità: di tanto in tanto devo interrompere quello che sto scrivendo e usare il temperamatite.

Questo la fa soffrire un po’, ma alla fine la matita è più appuntita. Dunque, sappi sopportare qualche dolo-re, perché esso farà di te una persona migliore.

Terza qualità: la matita ci permette sempre di usare una gomma per cancellare quello che era sbagliato.Cerca di comprendere che correggere una cosa che abbiamo fatto non è necessariamente negativo, ma èqualcosa di importante per mantenerci sul cammino della giustizia.

Quarta qualità: ciò che realmente importa nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì il gra-fite che si trova all’interno. Quindi, abbi sempre cura di ciò che accade dentro di te.

Infine, la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Allo stesso modo, sappi che tutto ciò che fa-rai nella vita lascerà delle tracce, e cerca di essere consapevole di ogni tua azione».

(Traduzione di Rita Desti) © Paulo CoelhoPublished by arrangements with Sant Jordi Asociados Agencia Literaria S.L.U., Barcelona

L’ultimo romanzo di Coelho pubblicato in Italia è Il manoscritto ritrovato ad Accra (Bompiani)© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA DOMENICA■ 34DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

La storia

di frutta secca inglese, che invece è in decli-no. “Christmas stollen by Germans”, titola ilTimes con un gioco di parole tra il panetton-cino tedesco e il verbo stolen, rubare: il sen-so è chiaro, “i tedeschi ci hanno rubato il Na-tale”. Non si meraviglia l’inglese Chris Mc-Grath, nel suo negozietto d’artigianato te-desco natalizio nello Yorkshire: «In questoPaese corriamo dietro alle americanate eperdiamo le nostre tradizioni. In Germania,invece, le tradizioni le difendono». Perfino ilTimes, solitamente velenosetto verso i teu-toni, concorda: «I tedeschi hanno inventatol’albero di Natale, la nostra più bella canzo-ne di Natale è in realtà tedesca, Stille Nacht,e bisogna ammettere che sanno celebrare ilNatale meglio di noi».

A salvare l’onore nazionale è intervenutala regina Elisabetta. Dapprima grazie a un’a-sta di vecchie foto di una sua pantomima na-talizia in costume, in cui interpretava Aladi-no, a fianco della sorella Margaret. Era il1941. La futura sovrana aveva quattordicianni. E lo spettacolo si tenne al castello diWindsor, anziché a Buckingham Palace,perché re Giorgio VI aveva inviato le figliefuori città, preoccupato per i quotidianibombardamenti nazisti. Immagini per ri-cordare un Natale stiff upper lip, imper-turbabile di fronte alle bombe del TerzoReich: i mercatini tedeschi saranno bel-li, lo stollen sarà buono, ma la guerral’abbiamo vinta noi, è la morale di Lon-

ENRICO FRANCESCHINI

in casaNatale

LONDRA

Nessuno organizza una ceri-monia come gli inglesi. Ma-trimoni, funerali, battesimi,anniversari, parate, fino alle

incoronazioni e alle Olimpiadi (vedi lo showdi Londra 2012): ogni volta che bisogna me-scolare tradizione, musica e sentimento, isudditi di Sua Maestà risultano imbattibili.Non sorprende che preparino la cerimoniapiù cerimonia di tutte, la festa di Natale, conaccanimento e meticolosità degni di un’o-perazione militare: mistica e laica, tacchinie pudding, preghiere e abeti inghirlandati,doni e donazioni, carols (canti di Natale) ecartoline d’auguri. Con nei panni di offi-ciante Charles Dickens, lo scrittore più ama-to, un cui racconto, A Christmas Carol, pa-rabola su avarizia e generosità, continua adaccompagnare il conto alla rovescia verso ilChristmas Day, in tivù, a teatro, nello spiritocon il quale ci si avvicina al 25 dicembre.

Ma quest’anno — come in una fiaba allaDickens — qualcuno ha provato a “rubare”il Natale agli inglesi. E quel qualcuno è un av-versario storico, il nemico di due guerremondiali oltre che di innumerevoli Mon-diali (di calcio): la Germania. Già da qualcheanno era cominciata l’invasione dei merca-tini natalizi in stile germanico, dove si man-

La messa al mattino.Il pranzo col tacchino.Lo speech in radio alla nazione

giano würstel con crauti, si comprano figu-rine di legno per il presepe o l’albero, si en-tra nella casetta di marzapane di Hansel eGretel: ormai sono un appuntamento fissoda Londra a Edimburgo, e il FrankfurtMarket di Birmingham è il mercatino tede-sco più grande del mondo fuori dalla Ger-mania. Come se non bastasse, quest’anno isupermercati britannici hanno riportato unincremento del 15 per cento delle vendite distollen, il dolce di frutta natalizio tedesco, adiscapito della mince pie, la tortina natalizia

Windsor

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la Repubblica

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Oltreottant’anni fa l’allora re Giorgio V, nonno della regina Elisabetta,trasmise per la prima volta un messaggio natalizio alla nazione daparte del sovrano. L’autore del testo era nientemeno che Rudyard Ki-

pling, il grande poeta e narratore dell’Impero. Il primo messaggio di Elisa-betta arrivò vent’anni dopo. Nella vecchia registrazione, piena di crepitii, sipuò ancora distinguere un tremore nervoso: ma Elisabetta si rivolse agliascoltatori, a «voi che ora siete il mio popolo», con un’apparente sicurezzaregale. L’anno scorso la regina ha parlato del suo «Giubileo di Diamante», dicome il Commonwealth (niente più impero oggi!) vi abbia contribuito e del-lo «spirito di comunanza» che ancora si manifesta in tutto il mondo un tem-po sottoposto al dominio britannico. Poi è passata a evocare lo spirito checonsidera «l’essenza della storia del Natale».

È stato, come sempre, un discorso senza spigoli. Nessuno sa svicolare lepolemiche meglio di Elisabetta II: si è allenata a farlo per tutta la vita. Il di-scorso di Natale, però, ha un profondo significato politico. Evocando co-stantemente il Commonwealth, la regina enfatizza l’immagine che hannodi sé i britannici, una piccola isola con una grande portata e influenza. Perla maggioranza degli abitanti del Regno Unito, lei è l’unica regnante mai co-nosciuta: vederla in televisione per un quarto d’ora dopo il pranzo di Nata-le — qualunque cosa dica — è rassicurante. Che cosa faremo senza di lei?

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Il discorso della reginaJOHN LLOYD

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IN SCENALa pantomima natalizia in costumemessa in scena in casa Windsor negli annidella guerra. Da sinistra, foto di gruppoper Cinderella nel 1941: al centro,le principesse Elisabetta (destra)e Margaret; la futura regina in abitimaschili recita con la sorella in Cinderella;due momenti di Aladdin (1943)In basso, il programma di Aladdin

dra. Per di più, Elisabetta è ancora qui. E fasapere come festeggerà il Natale, con laroyal family al completo (incluso il pronipo-tino George: la prima volta in un secolo chetre futuri re, Carlo, William e il bebè, si ritro-veranno sotto l’albero insieme al sovrano incarica, ovvero la regina) nel castello di San-dringham e con un cerimoniale che si ripe-te sempre identico. Regali sotto l’albero alle5 di pomeriggio del 24. Apertura dei regali(che per volere della regina devono esseresemplici e costare poco, una volta la princi-pessa Diana fece la gaffe di regalare maglio-ni di cashmere) mentre viene servito tè conbiscotti. Poi cocktail (gin and tonic per tutti,dry martini per Sua Maestà e il principe Fi-lippo), cena a lume di candela alle 8:30 a ba-se di gamberetti, agnello, soufflè e neancheuno stollen all’orizzonte. Il mattino del 25tutti trovano una calza di leccornie appesaal letto, quindi messa, pranzo di Natale contacchino, poi si guardano gli auguri televisi-vi della regina alla nazione. Seguono giochidi società e, il 26, la caccia al fagiano, con Eli-sabetta che va a raccogliere i volatili impal-linati. Così il Natale degli inglesi torna a es-sere “inglese”. Non fosse che il nome origi-nale dei Windsor era “casato di Sassonia-Coburgo-Gotha” e ancor prima “casa diHannover”. Tedeschi anche loro, come imercatini e i dolcetti che hanno pacifica-mente invaso il Regno Unito.

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C’è voluta una guerra per obbligare Elisabetta aritoccare il Christmas Carol

LA DOMENICA■ 36DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

SEBASTIANO MESSINA

VanzinaNatale

Spettacoli1983-2013

LE LOCANDINEDal 1983 al 2013 tutti i cinepanettoniusciti per Natale: oltre al primoVacanze di Natale sono firmati dai fratelli Vanzina i film del 1984, 1994, 1996, 1997 e 1999

in casa

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Trent’anni fa i due fratelli inventaronoil primo cinepanettone. Oggi hanno un solo rimorso: “Che vergognaquando Paolo Villaggio entrò mezzo nudo nel ristorante più chic di Tokyo”

ROMA

Natale in casaVanzina, sce-na prima.Una fine-

stra luminosa sui Parioli: èquella da cui si affacciavail padre — il mitico Stenoche diresse Sordi e Totò,il regista di Un america-no a Roma e di altri cen-to film — perché da lì os-servava i romani, equando sua moglie glidomandava perché per-desse così il suo tempo ri-spondeva: “Non vedi chesto lavorando?”. Una lun-ga libreria, strapiena di li-bri, videocassette e dvd. Suimobili, dalle cornici d’argen-to sorridono le mogli e le figlie.Al centro della stanza, un gran-de tavolo ovale, sul quale sonometicolosamente ordinate pile difogli A4, sceneggiature che aspetta-no (e soprattutto sperano) di diventarela prossima “vanzinata”. È qui che i fra-telli Vanzina — Enrico, lo sceneggiatore, eCarlo, il regista — preparano i loro film, inuna simbiosi perfetta che si prende le lorogiornate. Alle domande del cronista ri-spondono come se giocassero un doppioal tennis, una io e una tu, senza mai pe-starsi i piedi (e allora capisci perché que-sta coppia dura da quarant’anni).

Eppure è un Natale strano, questo. Neltrentennale dell’uscita di Vacanze di Na-tale, voi non siete nei cinema: il vostrofilm uscirà subito dopo Capodanno. Ave-te voluto prendere le distanze dai cine-panettoni?

Enrico: «Il nome non ci piace, ma il ge-nere esiste. Impossibile negarlo. Il profes-sor Alan O’Leary, che insegna cultura ita-liana all’università di Leeds, ha scritto un li-bro, Fenomenologia del cinepanettone. So-stiene che è il fenomeno più forte del cine-ma italiano contemporaneo. Noi però ri-spondiamo solo dei nostri. Che non sonocinepanettoni ma commedie all’italiana».

E allora parliamo di ciò di cui potete ri-spondere. A chi venne l’idea di fare il pri-mo film della serie, Vacanze di Natale?

Enrico: «Dobbiamo fare un passo in-dietro, perché la nostra vera svolta fu Sa-pore di mare. Una commedia che nascevadai ricordi di gioventù, le nostre estati aCastiglioncello. Capimmo che quello checi aveva emozionato nella vita poteva farridere il pubblico. Dopo quel film venneda noi Aurelio De Laurentiis: facciamo unfilm sulla neve, ci disse, per Natale».

Carlo: «Dicemmo subito di sì. Non c’in-ventavamo niente. Avevamo in menteVacanze d’inverno, di Camillo Mastrocin-que, con Sordi, De Sica e Dorian Gray».

Ma era un’altra cosa. Voi avete cambia-to il format, anzi ne avete creato uno cheha fatto scuola. Con quale schema?

Enrico: «Esattamente come avevamofatto con Sapore di mare, che era il ritrattodi una certa gioventù borghese, decidem-mo di scattare un’altra foto: quella dell’I-talia di allora. Una borghesia che si era ar-ricchita di colpo, che si faceva largo a mo-do suo, insomma i prodromi dello yuppi-smo che sarebbe arrivato negli anni Ot-tanta. Mescolando la satira di costumecon una vena romantica e sentimentalemolto forte. In poche parole, una veracommedia all’italiana. Quelli che venne-ro dopo, gli altri film di Natale, sono di-ventati un’altra cosa».

Sin dal primo film la critica vi ha spa-rato addosso ma le sale erano semprestrapiene. E voi avete scelto il pubblico.

Enrico: «Già, e alla fine Vacanze di Nata-

lo che l’aveva resa celebre alla CasaBianca. Industrialmente è stato un

genio, però era un altro genere.Ricordo quando andammo a ve-

dere Natale in India. C’era unascena in cui Enzo Salvi, detto

Er Cipolla, canticchiava il se-guente motivetto: “Ja-mai-ca, Ja-mai-ca, già-mai-ca-cato-er-cazzo!”. Ci siamoguardati in faccia e ci siamodetti: ma cosa c’entriamonoi con tutto questo? Allo-ra ho capito che si era toc-cato il fondo».

L’Italia di oggi è piùvolgare di quella di Steno,di Totò, di Vittorio De Si-ca, di Alberto Sordi?

Enrico: «Certo che sì. Al-l’estero hanno capito che la

forza della borghesia sta nel-la cultura. La borghesia italia-

na invece ha creduto solo neisoldi. Purtroppo».

Carlo: «Noi questo involgari-mento lo abbiamo raccontato, nei

nostri film. Vacanze di Natale eraimpietoso, sulla borghesia romana. Io

odio la volgarità. Invece la critica hascritto che ne eravamo i cantori. La veritàè che abbiamo pagato il fatto di aver avutosuccesso».

Piacque a vostro padre, a Steno, Va-canze di Natale?

Enrico: «Sì, era molto contento. Unavolta mi disse: “Non ho mai visto il cinemaAdriano così pieno”. Però ci diceva ancheche il cinema è pericoloso, “se sbagli trefilm sei finito”. Aveva ragione».

Ma c’è un film di cui vi siete pentiti? Ilpeggiore, quello che avreste voluto nonaver mai girato?

Carlo: «Nessun dubbio, Banzai!. DopoIo no spik inglish, che era stato un succes-so, Villaggio voleva andare in Giappone amangiare sushi, sashimi e tempura. E cosìci inventammo quel film. Terribile. Anchenei ricordi delle riprese. Ancora inorridi-sco quando penso a Villaggio che si pre-senta seminudo nel ristorante più elegan-te di Tokyo con addosso solo il costume dalottatore di sumo. Quelli si inchinavano,ma erano allibiti».

Esiste, un meccanismo essenziale del-la comicità? E qual è, per voi?

Enrico: «È semplice. Tu prendi una si-tuazione di normalità, e apri una crepa:questo fa ridere».

Carlo: «Poi c’è l’equivoco. Con Proietti,che è un grande, abbiamo girato un pezzosull’attore smemorato e sordo che non ca-pisce il suggeritore e storpia ogni battuta.Una risata inarrestabile».

Chi vorreste, in un vostro film?Enrico: «Carlo Verdone».Carlo: «E Pierfrancesco Favino, Toni

Servillo, Nanni Moretti, Kim RossiStuart…».

Qual è, oggi, l’attrice più bella del cine-ma italiano?

Carlo: «Vanessa Hessler. E Kasia Smut-niak».

E il personaggio che fa ridere più di tut-ti?

Carlo: «Fiorello. Insieme a Gigi Proietti,si capisce».

Un’ultima domanda. In politica, conchi stanno i Vanzina?

Enrico: «Come diceva Malagodi, sonopiù a sinistra della destra e più a destra del-la sinistra. Sono liberale, insomma. Dicentro».

Carlo: «Io invece ho avuto simpatia perla sinistra».

Ha avuto?«Mi dà fastidio la voglia di appartenere

a un clan. Ma non sarò mai di destra: se po-tessero incenerire tutto ciò che è cultura espettacolo, loro lo farebbero subito... »

■ 37DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

“Vedere un film in cui c’è uno che parlae mangia come te, o che assomiglia

al tuo compagno di scuola,piace moltissimo

Qui gli americani non potranno

mai batterci”

le è diventato un cult movie. Per i vent’an-ni del film, nel 2003, organizzammo unaproiezione all’Anica. Vennero da tutta Ita-lia, come a un concerto di Vasco Rossi. Ri-cordavano tutte le battute, e le gridavanoad alta voce prima che le pronunciasserogli attori. C’era persino un matto che avevaimparato a memoria il numero di targadella macchina di Jerry Calà. Perché fun-zionò, quel genere? Perché in vacanza gliitaliani fingono sempre. Fingono di nonessere sposati. Vanno nei posti che non sipotrebbero permettere. Vogliono far cre-dere di essere diversi. E inconsapevolmen-te diventano comici. E poi perché a Natalegli italiani preferiscono una cosa naziona-le che non una cosa internazionale. Vede-re un film in cui c’è uno che parla barese oparla napoletano, che assomiglia al tuocompagno di scuola, che mangia come te,che ti fa ridere sulle cose della tua vita di tut-

ti i giorni, ecco, questo è l’unico modo persentirsi ancora italiani, a Natale. E questopiace, piace moltissimo. Su questo terrenogli americani non possono combattere».

E allora ditemi quali sono le caratteri-stiche della “vanzinata” autentica, a de-nominazione di origine controllata.

Enrico: «Secondo i fan club di Vacanzedi Natale, deve avere due caratteristichefondamentali. Primo, essere ambientatosulla neve. Secondo, avere come protago-nista la famiglia Covelli. Io sono abbastan-za d’accordo. Se la teoria è valida, i veri filmdi Natale, dopo Vacanze di Natale, sonosolo tre o quattro. E invece ne sono uscitimolti di più. Non nostri, però».

È nato il filone dei “cinepanettoni”. Vidà fastidio, quando li chiamano così?

Enrico: «Mi dà un po’ fastidio perchéparagona un film a un prodotto da super-mercato. In realtà noi, con Aurelio De Lau-

rentiis, all’inizio facevamo delle comme-die di costume, sempre diverse. Aurelio,poi, quando abbiamo deciso di passare lamano, ha serializzato il Natale. Lui ha ilmerito di averci creduto, facendone un ge-nere. Di più: ha fatto un’occupazione mi-litare del film di Natale».

Carlo: «Aurelio, dopo di noi, invece dicontinuare la commedia di costume, hascelto lo specialista dei film comici, NeriParenti. E ha trasformato il film di Natalein un incrocio tra un cartone animato,Fantozzi e Jerry Lewis. Scegliendo ognivolta un posto esotico».

E riempiendo i cast con i personaggi te-levisivi del momento...

Carlo: «Già, ma facendo far loro le cosepiù scorrette. Una volta mi disse: “Non dir-lo a nessuno, ma sto trattando con MonicaLewinsky”. Immagino che l’idea fossequella di farle fare a De Sica, nel film, quel-

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MuseI’m sureI used to be so freeWash me awayClean your body of meErase all the memoriesThey will only bring uspain. And I’ve seen,all I’ll ever need

Citizen Erased, 2001

Eccolo qui: un altro Natale. Fanno novanta. E sono ancora vivo. Mi sve-glio, ne prendo atto e mi ricordo l’avvento del 2013, quando mi chia-marono dalla Domenica di Repubblica… era un giornale, una cosa dicarta, ve la ricordate la carta? Ci facevano anche i libri, le agende, si usa-va in bagno al posto del pit spray, ma facciamo prima a capirci se visi-tate lo Yesterday Museum di Berlino. Questa è la stagione ideale, tra po-

co comincia l’estate baltica e farà già troppo caldo. E comunque, trentasette anni fami chiesero di immaginare il Natale del 2050 cioè oggi. Dissero: «Tanto ci sarai an-cora, sei giovane…». Infatti: la settimana scorsa ho fatto il LET (Life Expectancy Te-st) nel postambulatorio condominiale e la macchina a cui ho collegato il mio brac-cio autentico (il sinistro è una protesi, me lo spappolò un drone che sbagliò indiriz-zo per consegnare un pacco sospetto) ha rumoreggiato tre minuti, poi sul display èapparsa la scritta: 120. Vivrò altri trenta Natali. Mi ricordo un vecchio spot di quan-do c’erano ancora i telefoni. Woody Allen (l’avete visto il suo ultimo film? Quello in

cui Seoul sembra Manhattan e il protagonista ironizza sul suo senso di colpa per larelazione con la pronipote?), Woody Allen si aggirava per Central Park (prima del-l’incendio, ovviamente) e leggendo che la vita media sarebbe presto (non così pre-sto, però) arrivata a centovent’anni, esclamava: «Oddio, quanti divorzi dovrò anco-ra fare? Quanti traslochi?».

Ecco, io ho smesso di divorziare da quando basta cambiare lo status sull’identifi-cativo online, indicare la cifra del bonifico mensile e cliccare: ho sempre pensato oc-corresse poesia anche nel lasciarsi, non solo nel trovarsi. O, almeno, sofferenza. Con-tinuo, invece, a traslocare. Vorrei ricordarmi dove mi sono svegliato, ma tutte le cittàdella mia esistenza (Bologna, Roma, Milano, Torino, New York, Parigi, Cairo, Beirut,prima che la radessero definitivamente al suolo, Cape Town) si confondono, comein quello sfondo da Cinecittà che si era inventato uno scenografo all’inizio di questosecolo: CurioCity, la città della memoria. Lì, abito. E faccio un frullato di spazi e tem-pi. Chi lo capisce più, il tempo? Oggi è Natale, domani Pasqua. Letteralmente. Han-no accorciato la vita di Gesù Cristo, per togliere credito a tutta la faccenda dei Van-geli. Hanno accorpato le feste in questa specie di baccanale che comprende anchedue carnevali, ramadan, yom kippur, festa dei lavoratori e delle mamme. È il meseFestizio. Prima o poi qualche altra specie di rivoluzione doveva metter mano al ca-lendario per segnalare il nuovo potere fin dalle prime luci dell’alba. L’ha fatto questogoverno continentale dei comici, che se li chiami pagliacci ti internano nei campi disperimentalismo associativo di Saxa Rubra, dove un tempo c’era la Rai, prima che latelevisione diventasse muta e trasmettesse soltanto no talk-show.

A me poco importa, ho smesso di guardare la tv dal 2020, quando il figlio di AlbertoAngela spiegò nel suo nuovo programma la teoria del big bong, secondo cui l’uni-verso è l’allucinazione di un fumatore di oppiacei. Prima della pausa pubblicitariagià farfugliava abbassando le palpebre. Come inganno il tempo, allora? Anzitutto èil tempo che ha ingannato noi, a essere precisi. Non ha mai avuto la stessa velocità,andava a strappi, ci faceva immaginare svolte, progressi, poi ripiegava. Non soltan-to il futuro non è più quello di una volta: non lo è mai stato. Guarda adesso: per co-municare con il mio amico Paolo a Parigi mi tocca scrivergli una lettera. Sono andatial potere con le prime elezioni via Internet e poi l’hanno spenta. Addio rete, addio e-mail, social network, commercio online. Rottamati gli smartphone, i computer usa-ti come macchine per scrivere e stampare. Poi spedire affrancando con le proprieimpronte digitali. La chiamano riscoperta del ritmo circadiano. Impongono di fareuna sola attività per ognuna delle ventiquattro ore. In otto delle quali: dormire. Sen-za sogni, possibilmente. O avendo cura di non ricordarli. Soprattutto, evitando diraccontarli a qualcuno. Pena: Saxa Rubra.

Sinceramente, non so se siamo più felici oggi o lo eravamo di più trentasette an-ni fa. La nostalgia è come lo specchietto retrovisore: qualunque cosa appare più di-stante, ma anche più tollerabile. Semplicemente: perché non è lì, non è il presente.In questo, passato e futuro si equivalgono, sono entrambi illusioni e più ne parlia-mo più li aggiustiamo in modo da renderli accettabili. Il presente, soltanto il pre-sente è quel che è, non lascia scampo. Curioso come spesso non corrisponda all’i-dea che ne avevamo quando lo chiamavamo futuro. Dicevano che nel 2050 ci sa-remmo nutriti di insetti, mele cresciute su alberi nani, ravanelli coltivati su Marte(dove i primi umani sarebbero atterrati nel 2022). Mangiamo verdure e quel pocopesce che è rimasto. La carne, solo nelle sale apposite, che aprono dopo mezzanot-te, in locali periferici (o nelle meat lounge degli aeroporti principali). Fuori, è puni-ta con multe salate. Su Marte non siamo mai andati. Dicevano che il traffico sareb-be stato tutto sopraelevato e invece è finito in gallerie; che sarebbero cresciute a di-smisura le biciclette, ma sono state tutte rubate e smontate nel black out del 2019.D’altronde, il 1984 non assomigliava per niente a quello di Orwell. Né il 2023 a quel-lo della canzone di Dalida, che profetizzava la discesa di Dio sulla Terra per giudi-care l’umanità di lì a dieci anni (chi l’ha visto?). Se ci pensate, già nel 2013, per dire,la vita era molto diversa da come l’avevano immaginata i film o i libri di fantascien-za. Credo che accada perché l’immaginazione non può mai trasformarsi in realtà,sarebbe una sorta di fallimento. E poi che tristezza se il futuro fosse decifrabile dauna specie di oroscopo scientifico. No, il futuro, come il passato, resta cera. Lo mo-delliamo e poi ci si scioglie tra le mani. Doveva essere diverso, lo so, lo sapete. Do-vevano trovare una cura per l’Alzheimer, invece no. Ho riguardato il calendario: è il2060, non il 2050. Ho provato finora a ricordare com’era la vita dieci anni fa, ma chise lo ricorda, ho potuto fare soltanto ipotesi. Sul passato, che era futuro un attimofa. Poi mi son girato e non c’era più.

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

NextVisioni

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Domani è già Pasqua, poi Ramadan, Carnevale e Yom KippurIl governo continentale dei comici, quello che ha abolito internetdopo le ultime elezioni online, ha accorpato tutte le feste in un baccanaledi trenta giorni. La tv è muta, i francobolli sono le improntedigitali, il cenone è a base di verdure e poco pesce perché la carne si mangia solo nelle “meat lounge”degli aeroporti. E Woody Allen ha fatto un altro film

Lucio DallaCon un saltosiamo nel duemilaalle porte dell’universoimportanteè non arrivarci in filama tutti quantiin modo diverso

Telefonami tra vent’anni, 1981

Elton JohnMars ain’t the kindof place to raise yourkids. In fact it’s coldas hell. And there’sno one there to raise them if you didAnd all this scienceI don’t understand

Rocket Man, 1972 I muscoli del capitano,1982

David BowieHere am I floatinground my tin canFar above the MoonPlanet Earth is blueAnd there’s nothing I can do

Space Oddity, 1969

Natale2050

L’estate balticadel mese Festizioqui a CurioCity

FrancescoDe GregoriIn questa notteelettrica e veloce,in questa croce di ’900il futuro è una palladi cannone accesae noi la stiamo quasi raggiungendo

GABRIELE ROMAGNOLI

Così cantavano il futuro

■ 39DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

LA DOMENICA■ 40DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

I saporiStellari

Gnocco fritto, baccalà, tortellini, zampone, bolliti,faraona arrosto: “Quando apri il forno e ne senti il profumoè la vera emozione della festa”. E per finire, crostate,zuppa inglese e sbrisolona. Il menù più invidiatod’Italia? Quello del pranzo del 25 alla tavoladi uno dei più celebri chef del pianeta

BaccalàmantecatoBisogna dissalarlo con curae usare un extra vergineprofumato, non invadenteNessuna scorciatoia,tipo usare le patateper aumentare la cremosità

Gnocco frittocon salumi L’icona della Modenesità:gnocco frittoben croccante, salumidi alta qualitàe un tocco dolce di amarena per darerotondità al palato

Tortelliniin brodoPerché il brodo non restipesante, occorresgrassarlo beneMai risparmiaresugli ingredienti:mezzo chilo di ripienobasta per tutta la famiglia

Tortellidi zucca Il bilanciamento tra il dolce della zuccae la sapiditàdella pancetta stagionataè la chiave del piattoUsare il guanciale?Esperimento interessante

BollitomistoLa scelta dei tagliè determinante,privilegiare quelli ricchidi collagene: lingua, codae guancia. Mostardadi mele Campaninee salsa verde per condire

MODENA

a casa è quella della buona borghesia emiliana: pavimenti di legno —tranne quello della cucina, in marmo, dove regna il tavolo per tirarela sfoglia — mobili importanti, un grande tavolo rettangolare nella sa-la da pranzo, doppiato da una madia imponente. Alle pareti quadridell’Ottocento di pittori modenesi, «perché mio padre alle opere con-temporanee preferiva delle vere croste, purché fatte in zona». A par-lare, Massimo Bottura, uno dei più bravi e famosi cuochi del pianeta,tre meritatissime stelle Michelin alla Francescana di Modena, esper-to — lui sì — d’arte moderna, benissimo rappresentata tra le pareti delsuo ristorante e quelle di casa.

Ma qui siamo a casa di Bottura senior, scomparso da pochi mesi, edella moglie Luisa, la mamma di Massimo. Che siccome non è in granforma, questo Natale preferisce passarlo a casa, accogliendo la fami-glia piuttosto di spostarsi dai figli. E questo è il resoconto fedele del

pranzo di Natale che Bottura cucinerà in onore di mamma Luisa e unaventina di familiari molto molto fortunati, tra cui la moglie Lara, lasuocera newyorkese Janet e i figli Alexa e Charlie. «Il menù è semprelo stesso, intoccabile: gnocco fritto, salumi e baccalà mantecato percominciare, sempre. La convocazione è per le 12.30, ma mia mammasi alzerà alle sei per mettere su i bolliti. Prima di tutto, lo zampone. Bi-sogna ammollarlo la notte prima, avvolgerlo in un canovaccio appe-na stretto, calarlo in acqua fredda, scaldarlo molto lentamente. Devesobbollire, che non si crepi durante la cottura. Poi il brodo dei tortel-lini: acqua fredda, capponi, manzo, midolli, lento lento lento. Il cap-pone serve solo per il brodo, ma lo mettiamo tra i bolliti anche se è stra-bollito. Passo successivo, i tortellini. Per la sfoglia arrivano Lidia Cri-stoni, la più brava sfoglina del mondo, e la Loredana che tirava la pa-sta al Campazzo, la mia prima trattoria. Farina del Mulino Marino, na-turalmente. Per la farcitura, siccome siamo a Modena e non a Bolo-gna, di mortadella ne metto pochina, diciamo il dieci per cento, e ilrestante novanta diviso equamente tra prosciutto crudo e Parmigia-no. Tutto macinato con maiale e vitello scottati tre, quattro volte.

LICIA GRANELLO

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Natalein casaBottura

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la Repubblica

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Zamponee lenticchieTradizione secolare da rispettare affidandosial macellaio di fiduciaPer le lenticchie,dal centro Italia alla Sicilia,solo l’imbarazzodella scelta

Parmigianoal BalsamicoNon ci si alza da tavolasenza avere la boccache sa di Parmigiano,esaltato dal mix di aciditàe dolcezza del tradizionaleaceto balsamicoextra extra extra vecchio

ZuppaingleseIl dolce dell’infanzia,firmato dall’Alchermesdella farmaciaSanta Maria Novelladi FirenzeChe la vaniglia sia vera e il cioccolato profondo

Tortelli fritticon savorCristalli di sale nella pasta, la marmellatad’amarena equilibra il gusto. Controllare la temperatura di fritturacon una sonda: 180º è quella giusta

TortasbrisolonaPer farla risultare davverofriabile e croccante,occorre delicatezza:infatti non va impastata,ma sbriciolata a mo’ di neve con la punta delle dita fredde

Niente uovo, ma un gran lavoro di mani. Rifinisco con un ricordo dinoce moscata. Lo confesso: una parte di tortellini devo farli per forzacon la panna, che mi porta Marco Panini del caseificio Hombre, e Par-migiano. Sono quelli che finiscono prima di tutti.

Per i tortelli di zucca, invece, faccio appassire la zucca in forno ilgiorno prima, la passo al setaccio e la impasto con mostarda di mele,amaretto, cannella, Parmigiano non vecchio, un pizzico di sale. Sugodi pancetta con soffritto senza cipolla — scalogno intero all’inizio, chepoi tolgo — e pomodorini del piennolo di Giovanni Assante spellati espremuti. Stendo sul piatto da portata la salsa, poi i tortelli, altra sal-sa e Parmigiano sui tortelli. Non arrivano neanche in tavola, li man-giamo prima. Altro super piatto, la faraona arrosto. Quando apri il for-no e senti il profumo, quello per me è l’emozione del Natale. La cot-tura è fondamentale: alloro, rosmarino, spicchio d’aglio intero perogni coscia e ala, sale. Leghi con il filo cosce e ali, cottura tutta coper-ta a 120° per un’ora, così il petto non si asciuga. Intanto, sbollento cin-que minuti le patate a tocchetti, asciugo, condisco con battuto d’er-be, salto in padella a fuoco altissimo, poi in forno nell’ultimo quarto

d’ora, quando alziamo la temperatura, combinazione grill, scopren-do la faraona e battezzandola con un goccio di aceto balsamico nonvecchio. Finiamo i secondi con una scheggia di forma (Parmigiano),un bel modo per finire i vini rossi aperti dopo una litigiosa selezionefatta da Beppe e Marco, uno tutto Piemonte, l’altro tutta Toscana.

E siamo ai dolci. La crostata di amarene, con la composta del dot-tor Levi spalmata sulla frolla tirata sottilissima e cotta, rimessa in for-no con sopra anche le strisce di pasta avanzata. Poi la zuppa inglese,che ha due anime, crema e cioccolata, e l’alchermes. Tuorli d’uovo,vaniglia in bacche, scorza senza parte bianca. Tuorli, fecola e ungrande cacao, come un budino denso. Si aggiunge un fondente dicioccolato sciolto. Chi fa una crema unica e la divide alla fine è squa-lificato forever. Chiusura in gloria con la Sbrisolona, si spacca col pu-gno, la gustiamo con i grandi bianchi alsaziani. Alla fine clementine(soprattutto gli anziani). Bambini che corrono, uno inciampa nel tap-peto e bisogna medicarlo, un altro rompe un bicchiere. Noi beviamodue dita di nocino e ci sentiamo in pace col mondo».

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LA DOMENICA■ 42DOMENICA 22 DICEMBRE 2013

la Repubblica

“Certo che esiste: sono io!” Ha 73 anni, si chiama Giorgio Rana,abita a Caselle Torinese. Ex operaio

falegname, fotografo,da trent’annidispensa regalinella città che oggiè dei “forconi” “Non mi piace la gentecinica che mi guardacome fossi un buffoneE non passerò di moda:

le persone adoranoricordare il tempo in cuisono state piccole e felici”

TORINO

Tutte le cose che sappiamosu Babbo Natale sono ve-re, verissime, tranne una:non vive a Rovaniemi, in

Lapponia, e nemmeno a Salekhard, ol-tre il Circolo Polare Artico. Babbo Nata-le abita a Caselle Torinese, cittadina no-ta più che altro per la presenza di un ae-roporto dove, che si sappia, atterrano edecollano aerei, non slitte trainate darenne volanti.

Babbo Natale è italiano, si chiamaGiorgio Rana, ha 73 anni, occhi celesti ebaffi bianchi: particolare che agevolatrucco e parrucco nel momento dellavestizione. Nella vita è stato falegname,saldatore, fotografo. «Ma io sono so-prattutto Babbo Natale, non uno che siveste da Babbo Natale». Tiene molto, aquesto. «Quando lavoravo in Fiat, allecarrozzerie Mirafiori, osservavo i BabbiNatale che distribuivano i pacchi donoai figli dei dipendenti: belli, ma perfe-zionabili. Così mi venne voglia di pro-varci anch’io, prima per scherzo e poiper passione. Ho cominciato da auto-didatta, girando per le strade e dandocaramelle ai bambini, poi mi sono mes-so a distribuire panettoni per una dittadi amici, in cambio solo di un rimborsospese, e non ho più smesso. Ogni annodico che è l’ultimo, ma poi aspetto chearrivi un altro Natale e un altro ancora».

Giorgio è un vero professionista, nonlascia nulla al caso. «La prima cosa è en-

trare nel personaggio, sarà che il mio so-gno era il teatro. Da giovane, a Bari, hoanche lavorato con Nino Taranto, sen-za considerare quella volta che ho par-tecipato a un programma Rai per bam-bini, facendo il clown: indimenticabile.Essere Babbo Natale significa non de-ludere, non sbagliare i particolari. Io,per dire, non bevo e non mangio mai inservizio. Al massimo, due dita di lattecaldo con la cannuccia, mica posso al-zare la barba come fa qualcuno, sareb-be poco serio. Ve l’immaginate, la blu-sa di Babbo Natale sporca di maioneseo cioccolata? La mia vestizione l’hannopure filmata, è un rito, è come quella diun torero. In testa metto una cuffia danuoto, sopra ci lego la barba. Il vestito loconfezionarono quasi trent’anni fa miamoglie, che non c’è più, e mia sorella.Scegliemmo il panno migliore, la pan-cia imbottita la comprai alla sartoria ar-tistica di piazza Solferino, mi costò cen-tocinquantamila lire, proprio come ledue parrucche e la barba: ne servonosempre un paio, per avere il cambio.Anche i miei stivali neri sono speciali, esotto il ginocchio si chiudono i pantalo-ni alla zuava. Modestamente, ho pure lagerla e una campanella dorata. Ricordoche un anno, per il peso, caddi con lapancia a terra in via Roma, una figurac-cia, ma sono gli incerti del mestiere».

Che meraviglia i lavori fatti per pas-sione, che favola le passioni che diven-tano un lavoro, che fortuna quelli che ciriescono: i calciatori, gli astronauti, ipompieri, i poeti, Babbo Natale. «Dalprimo dicembre, tutti gli anni montosul mio furgone rosso e giro per la città.Vado all’ospizio dell’Immacolata, dovele vecchiette centenarie spalancano gliocchi come bambine, non immaginan-do di vedermi sbucare all’improvviso.Vado in piazza Carlo Alberto, dove or-mai mi conoscono pure i cinesi e michiamano Babbo. Vado all’istituto deidisabili in via Montebello, i ragazzi fan-no dei lavoretti artigianali e a Natale livendono, a una cert’ora arriva pure ilsindaco. In piazza Castello, che è lapiazza più centrale di Torino, i bambinimi danno le letterine: io le conservo tut-te e d’estate le rileggo, così mi sembragià Natale. I desideri sono sempre glistessi, anche se oggi mi pare si chieda-no meno cose, o cose meno costose,forse per la crisi. Quelli che non soppor-to sono gli adulti che provano a smon-tarmi agli occhi dei più piccoli, dicendo

che Babbo Natale non esiste ed è soloun tizio travestito. Certo che esiste, so-no io! Babbo Natale merita rispetto, unavolta un ragazzo voleva fare il furbo e mitirò la barba: si prese una campanellatain testa, sissignori».

Lunga è la strada per costruire i sogni,puoi essere Babbo Natale nel cuore onella testa, ma per diventarlo davveroservono costanza, pazienza, tempo.«Venni a Torino da Bari nel ’59, con intasca un diploma di falegname: me l’a-veva consegnato Aldo Moro in persona,anche lui era pugliese. Attraversai mez-za città a piedi per raggiungere i miei cu-gini, e la mattina dopo già lavoravo inuna fabbrichetta di fiori di plastica. Al-lora a Torino c’erano solo tute blu, cosìdecisi di diventare operaio e imparai ilmestiere di saldatore. Ero proprio bra-vo, saldavo anche le lastre da un milli-metro e mezzo. Mi presero alla Fiat, do-ve rimasi tantissimo tempo e frequen-

tai anche un corso di fotografia, l’altramia passione. Alla fine, con tenacia, di-ventai fotografo professionista, sem-pre alle dipendenze della Fiat, ma an-che per il giornale Calciofilm: la dome-nica andavo alla stadio a fotografare igiocatori. Ricordo una trasferta col To-rino, da Napoli a Roma nel bagagliaiodel pullman granata perché l’allenato-re Gigi Radice non voleva estranei a bor-do. A quel tempo, nel pullman svilup-pavo anche le pellicole e le asciugavo te-nendo le foto fuori dal finestrino, erauna bella vita, divertente. Una volta, ve-stito da Babbo Natale sono andato aconsegnare i panettoni allo stadio Co-munale, ero insieme al presidente delToro, Borsano, quello che sarebbe fini-to in galera: neppure uno tra i miei col-leghi riuscì a riconoscermi. Anche miofiglio è fotografo, abbiamo un negoziet-to a Torino. E con la pensione, final-mente, sono diventato Babbo Natalesul serio, senza altri pensieri».

La cosa più bella, dice Giorgio, è guar-dare le facce dei bambini nell’istantedella sorpresa. «Una volta sono statoper mezz’ora su un balcone, aspettan-do il momento giusto per consegnare idoni. Una bimba dal palazzo di frontemi vede, apre la finestra e comincia agridare “c’è Babbo Nataleeee!”: e io nonero mica uno travestito, ero lui. Gli altripiccolini, dentro casa, si voltano di scat-to mentre stanno guardando la tivù, e ionon potrò mai dimenticare i loro occhi.Erano sbarrati, stupefatti. Un’altra vol-ta, mentre stavo facendo delle foto a unmatrimonio, il padre della sposa miporta la ragazza e le dice: ecco, vedi, luiera il tuo Babbo Natale da bambina. So-no bei momenti. Perché le persone nonsmettono mai di ricordare quando so-no state felici da piccole».

Eppure, l’uomo vestito di rosso diceche non è mica tutto facile. «La mia ni-potina si spaventava, piangeva comeuna fontana, e io dovevo togliermi il co-stume prima di entrare in casa: poi sco-primmo che aveva paura della campa-nella. Però, credetemi, il Natale non èsolo una faccenda da bambini: sono so-prattutto gli adulti a voler fare una fotocon me, quando mi incontrano. E se midicono “che bel costume, tu sei proprioBabbo Natale!”, mi riempiono d’orgo-glio. Non credo di essere un personag-gio passato di moda e non mi piace lagente cinica che mi guarda come se iofossi una maschera di Carnevale, o una

specie di buffone. Penso che il Natalesia un modo sincero per stare insieme,per desiderare qualcosa dopo essersicomportati bene. E per chi ci crede c’èGesù Bambino, che comunque nonconsidero un mio concorrente».

Dunque, se incrociate Giorgio daqualche parte (ma non vi illudete di ri-conoscerlo, è truccato troppo bene: «Almassimo possono tradirmi i miei occhicelesti, modestamente»), non fate quelsorrisetto di scherno, non è mica bellosentirsi superiori a queste piccole cose.«Sapeste quanto è lungo un anno, da unNatale all’altro. A volte mi vengonopensieri strani, tipo travestirmi da Befa-na: sarei capacissimo, anzi ho già pro-vato. Ma lo vivrei quasi come un tradi-mento alla mia vera natura. Ogni 20 no-vembre vado a prendere il trolley doveconservo il costume di Babbo Natale, eper prima cosa lucido bene gli stivali.Poi, comincio a provare il vestito e tuttoil resto, per essere sicuro che ogni cosasia in ordine. Passate le feste, mia sorel-la Filomena smonta con cura le partibianche del costume, quelle in pellic-cia, gli orli delle maniche e della blusa,per mandare in tintoria il panno, in mo-do che il rosso non tinga il bianco nel la-vaggio. E poi cuce di nuovo tutto insie-me. Va avanti così da trent’anni: infatti,il mio costume è nuovo come il primogiorno. Anche le parrucche e la barbabisogna farle lavare e pettinare ogni an-no, costa dei soldi ma è necessario».Perché Babbo Natale pretende la stessaesattezza dei sogni e delle illusioni.

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BabboNatale

MAURIZIO CROSETTI

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