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Ghisi Grütter 12. Disegno e Immagine Le palazzine “minori” di Luigi Pellegrin Scala interna nell’attico della palazzina in Via Casetta Mattei 206 a Roma, progetto e realizzazione del 1957

di Luigi Pellegrin

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Ghisi Grütter

12. Disegno e Immagine Le palazzine “minori” di Luigi Pellegrin

Scala interna nell’attico della palazzina in Via Casetta Mattei 206 a Roma, progetto e realizzazione del 1957

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Il tessuto residenziale dei nuovi quartieri borghesi della Roma moderna– Salario, Pinciano, Parioli e Aventino - è stata caratterizzata dallepalazzine che lo definiscono. A partire dal primo dopoguerra, lavariante al Piano Regolatore, redatto nel 1909 da Edmondo Sanjustdel 1920, aumenta le cubature e le altezze dei villini, con la possibilitàdi ubicare due o più appartamenti per piano, rendendoli più adegua-ti al nuovo ceto borghese. In tal modo, offre nuove occasioni di inve-stimento alle imprese edilizie anche modeste e consente una veloceurbanizzazione. Forse è proprio con il piano del Sanjust e con l’istituzio-ne delle tipologie edilizie che il fabbricato – considerato il “pieno” con-trapposto al concetto urbano medioevale di strade e piazze in quan-to “vuoti”- diventa il soggetto principale del tessuto urbano e non solologica conseguenza del disegno delle strade come era stato fino allo-ra. La norma transitoria del 1920, prorogata nel 1924, sarà poi acquisi-ta nel Piano Regolatore del 1931 e le palazzine divengono, negli anni

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LE PALAZZINE  “MINORI” DI   LUIGI   PELLEGRIN 

di Ghisi Grütter

Luigi Pellegrin, palazzina inPiazzale Clodio del 1959, mairestaurata.

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Trenta, l'occasione di lavoro per molti giova-ni architetti, più o meno, moderni.1

Personalmente ho un po’ di difficoltà a con-dividere l’entusiasmo per le palazzine roma-ne. Ho sempre pensato che offrissero unpanorama urbano indifferenziato privo diservizi e spazi collettivi d’incontro e checostituissero una contraddizione con l’iden-tità storica del tessuto urbano romano doveanche i palazzi nobiliari si curvano adattan-dosi alle preesistenze (la forma dell'Odeondi Domiziano condiziona Palazzo Massimoalle Colonne) così come le facciate dellechiese attorno alle piazze (Chiesa di S.Agnese in Agone a piazza Navona). Ciònon toglie che io stessa ami alcuni progettidi palazzine e ne riconosca il valore di speri-mentazione linguistica. La palazzina in alcuni casi è diventata il“luogo delle sperimentazioni” per una seriedi ragioni: perché poco vincolata al conte-sto, perché deve risolvere prevalentementeproblemi tipologici e tenere conto solodella forma del lotto. La palazzina di per séè anche una commessa non troppo impe-gnativa (un edificio piccolo e poco costo-so) che i committenti possono offrire facil-mente al giovane laureato, in generale,pieno di fantasia e di velleità linguistichenon ancora contaminate dalla routine pro-fessionale. Il cemento armato poi, fino allo-ra “ingabbiato”, fornisce un’occasione digrande libertà di espressione rendendo pos-sibili le strutture a sbalzo. La palazzina rap-presenta un tipo intermedio tra il villino e ilfabbricato intensivo e costituisce una gran-de occasione di cementificazione e arric-chimento per i piccoli e medi imprenditoriedili (palazzinari). Alfredo Passeri nel suo libro2 evidenzia l’es-senza borghese della palazzina, constatache oggi si è perso il valore testimoniale del“decoro” dell’abitare, cioè della posizionesociale che l’alloggio conferisce a chi laabita o la possiede, e mette in risalto l’uten-za della palazzina romana frammentata,separata, contraria alla collettivizzazionema obbligata alla manutenzione del benecomune. Essendo il carattere del romanotendenzialmente individualista, molti vivono

Luigi Pellegrin, sopra palazzina in via Mengotti del 1956, sottopalazzina in via Bodio del 1961.

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3il condominio come una frustrazione per non possedere una casa isola-ta. Gli abitanti delle palazzine, infatti, neanche si conoscerebbero se nonfosse per quelle saltuarie partecipazioni alle assemblee di condominio.Italo Insolera, da sempre avverso alla tipologia della palazzina vistacome la messa in forma della speculazione edilizia, ne specifica il carat-tere modesto con un giardinetto intorno, non “troppo ricco e non troppopovero” che piace ai ceti medi impiegatizi. Ciononostante quasi tutti gliarchitetti del Novecento hanno progettato palazzine; alcuni addirittura sisono specializzati in questa tipologia come Vincenzo Monaco e AmedeoLuccichenti o Mario Ridolfi e Wolfgang Frankl.Buona parte del successo della palazzina nel secondo dopoguerradipende dalla facilità di accesso al credito degli abitanti (futuri proprie-tari) spesso riuniti in cooperative. In questo periodo, grazie anche alla crescita demografica, la palazzinaraggiunge l’apice del successo e il tipo edilizio è maggiormente interpre-tato e rivisitato rispetto agli anni precedenti. Nel frattempo gli spazi averde tra gli edifici sono diminuiti e le palazzine sono costruite a riempi-mento. Nella Roma intrisa di provincialismo poco si sapeva di cosa succedessenel mondo a livello architettonico e urbano perché durante il ventenniofascista l’Italia era stata tagliata fuori dai rapporti internazionali. Bastipensare, a titolo di esempio, che al concorso del palazzo della Societàdelle Nazioni a Ginevra del 1927 avevano partecipato sia Le Corbusiersia Armando Brasini con progetti assolutamente distanti. È proprio grazie

Luigi Pellegrin con FrankLloyd Wright nel 1956.

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a personaggi come Bruno Zevi e Luigi Pellegrin che si manifesta un’apertu-ra cosmopolita e, in particolare, mediante la conoscenza dell’architetturastatunitense.Negli anni Cinquanta il linguaggio formale della palazzina passa da unarazionale semplicità a proposte di forme irregolari o sghembe; si può direche, in qualche misura, l’architettura organica superi il razionalismo. Comeesempi della tendenza organicista, oltre alla palazzina di Zevi eRadiconcini in via Pisanelli, ci sono quelle di Luigi Pellegrin, che di palazzinene costruisce addirittura sei o sette (oltre a vari progetti di interni), ma chele misconoscerà arrivando perfino a eliminarle dal suo curriculum nono-stante alcune di esse costituiscano dei veri e propri gioielli di architetturaorganica. Pellegrin, “solitario ricercatore” - come l’ha definito ManfredoTafuri nella sua Storia dell’Architettura Italiana 1944/1985-3 nella primametà degli anni ’50 all’inizio della fase di ricostruzione, si reca più volte negliStati Uniti. All’Art Institute di Chicago scopre i disegni di Louis Sullivan e siappassiona alla cosiddetta “Scuola di Chicago”, documentando le archi-tetture con una serie di fotografie. Questa ricerca lo metterà in contattocon Bruno Zevi e lo porterà a pubblicare vari articoli su “l’ArchitetturaCronaca e Storia” tra il 1956 e il 1957 – articoli che gli frutteranno il premio

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Luigi Pellegrin, palazzinain Via Bravetta 304 del1957.

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5Olivetti come giovane studioso dell'architettura contemporanea. Nel 1956 LuigiPellegrin incontra per la prima volta Frank Lloyd Wright a Roma, ospite di BrunoZevi. In quegli anni, com’è scritto nel catalogo della sua recente mostra romana,Pellegrin «si nutre di architettura organica, assorbe e metabolizza il concetto dispazio, la ricerca sulla natura dei materiali, la luce».4 La lezione di Sullivan lo portaa concepire edifici come fossero degli organismi in cui si distingue un inizio, uncorpo e una fine. Nelle palazzine degli anni Cinquanta, Luigi Pellegrin lavora sull'involucro, scavanella volumetria, fa aggettare le strutture e presta grande attenzione ai dettagli.In tal modo i suoi progetti sono riconoscibili per la dinamicità delle facciate, per

Luigi Pellegrin,palazzina divia Bravetta aln. 304 del1957 .

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l'articolazione dei volumi, per gli accessiseminascosti, per le finestre particolar-mente ritagliate e sottolineate, per l'at-tenzione ai particolari e per la fortecaratterizzazione degli interni. Di granderilievo, infatti, è la qualità della progetta-zione degli interni (anche di edifici nonsuoi), spazi spesso “svuotati” completa-mente e risolti con pareti attrezzate inlegno. Le sue palazzine sono anchecaratterizzate da disposizioni interne fles-sibili in modo da corrispondere alle piùvarie richieste degli acquirenti: ripostigli,corridoi e disimpegni, tutti spazi facilmen-te variabili tra un appartamento e l’altro. Tre sono le palazzine celebri di Pellegrin,tutte ampiamente pubblicate: quella invia Mengotti del 1956, quella a PiazzaleClodio del 1959 e quella in Via Bodio del1961 che rappresenterà il distacco defini-tivo di Pellegrin dal tema della casa dicondominio (dopo progetterà solo lavilla bifamiliare sull’Aurelia nel 1964). Tra il1957 e il 1958, cioè tra la palazzina in viaMengotti e quella a piazzale Clodio,Pellegrin ne realizza almeno altre tre dicui due “doppie” ubicate su terreni diespansione urbana a Sud-Est (quelledoppie sono proprio adiacenti alla Valledei Casali). La palazzina di via Bravetta al n. 304 si svi-luppa per quattro piani tenuti insieme daltema della continuità del camino e pre-senta un’alternanza di pieni e di vuotiottenuti mediante gli ampi sbalzi dei bal-coni. L’attico è differenziato volumetrica-mente dagli altri piani anche in facciatae crea una certa asimmetria. L’ingresso,un po’ nascosto, come quasi semprenelle palazzine pellegriniane, ha unaricerca di privacy come se “mostrare” e“vivere” – o meglio “apparire” ed “esse-re” - fossero due cose separate e dialetti-che. Infatti, un elemento ricorrente nellearchitetture residenziali di Pellegrin è l’ef-fetto sorpresa: si accede all’edificio (oall’appartamento) quasi sottotono, o sipone un oggetto ingombrante all’ingres-

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Luigi Pellegrin, palazzina “doppia” invia Casetta Mattei 201 del 1957.

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so, per poi, una voltache lo si è superato,ottenere una visualecompleta e comun-que più ampia e sug-gestiva possibile.Questo effetto sorpre-sa può essergli statosuggerito proprio dalbarocco romano(guarda caso il suostudio era a un passoda Fontana di Trevi) oda culture “altre”come dalla tradizionegiapponese – adesempio nei giardiniche Pellegrin haimparato ad amareattraverso gli architet-ti americani.5

La doppia palazzinain via Casetta Mattei201 è forse quella piùtradizionale volumetri-camente; i due corpidell’edificio sonotenuti insieme da unelemento adibito adattività commercialiche crea una sorta dicorte interna. In talmodo sembrerebbeche il modello sia più il“fabbricato a corte” utilizzato per le case di edilizia popolare e per il ceto impiegatizio, che nonla palazzina. La presenza di spazi collettivi, infatti, è in qualche misura antitetica all’individuali-smo borghese della palazzina. Il rivestimento non è una solita cortina ma è costituito da matto-ni scelti con cura dal progettista, che lasciano vedere il cemento nella trama di pilastri e travi,un po’ come avrebbe voluto Louis H. Sullivan nei confronti dell’”onestà architettonica”. Altri ele-menti particolari di questa coppia di palazzine sono una pavimentazione decorata “a grado-nata” che accompagna agli accessi, gli angoli delle finestre incorniciate dal vivace coloreazzurro - che ben sottolinea la soluzione delle finestre d’angolo – la presenza di balconi internicome fossero loggiati, ponti, giardini e orti interni, infine negli androni troviamo gli specchi perampliare lo spazio (chissà se Pellegrin ha voluto fare un omaggio al famoso baretto viennese diLoos?) Luigi Pellegrin, palazzina “doppia”

in via Casetta Mattei 201 del 1957.

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Luigi Pellegrin, sopraingresso della palaz-zina “doppia” di viaCasetta Mattei 201,sotto di quella in viaCasetta Mattei 206.

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9Al numero 206 di via della CasettaMattei la doppia palazzina presen-ta un impianto volumetrico inusua-le come fosse costituito da solidiche si intersecano: due cilindrisezionati da due parallelepipedi acroce così a formare una coppia ditamburi tagliati longitudinalmente;questa è un’operazione formaleche oggi piacerebbe certamentea Mario Botta, ma che ricorda,molto probabilmente, l’educazio-ne fröbeliana di Frank Lloyd Wrightbambino messo a giocare con soli-di di forme primarie. Le pareti delladoppia palazzina sono poco sve-trate dalla parte dei parallelepipe-di ricoperti di mattoni ma svuotatenel cilindro fino a diventare balco-ni. Le palazzine si relazionanomediante dei servizi commercialipur mantenendo gli accessi bendistinti specularmente. Il corona-mento dei volumi sembra seguire

Luigi Pellegrin, palazzina doppia di via Casetta Mattei 206, del 1957.

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l’insegnamento orga-nico di Louis H.Sullivan mutuato dallabiologia dove si distin-gue inizio-corpo-fine.Mattoni, peperino,legno e ferro sonotutti materiali utilizzatiin questo edificio.L’interno dell’attico,progettato per i geni-tori di Pellegrin, è tuttocostruito in legno: unaspina centrale attrez-zata separa lo spaziopranzo dal soggiornocon una serie diaggetti, mensolesovraporte, controsof-fitti e porte-finestre atutta altezza. E nelsoggiorno non pote-va certo mancare ilcamino in pietra checostituisce il cuoredella casa.

Luigi Pellegrin, interno dell’attico di via Casetta Mattei 206 del 1957.

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11Luigi Pellegrin, interno dell’attico di via Casetta Mattei 206 del 1957.

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Luigi Pellegrin, palazzina in viaGianfrancesco Albani detta “VillinoCecilia” del 1958.

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La palazzina detta “Villino Cecilia” del 1958 in viaGianfrancesco Albani è in una zona di Roma molto più centra-le e “borghese”; l’accesso a 45 gradi è seminascosto e lì si ritro-va un attento progetto del verde mediante fioriere fisse, pavi-mentazione e vari dettagli progettati, come i lampioni cheescono dal muro a una certa altezza. All’interno si trova unascala triangolare molto suggestiva. Le finestre dei vari piani(quattro piani + uno) invece di essere delle “bucature”, come sidiceva una volta, costituiscono dei bassorilievi quasi fossero unricordo di bow-windows; il camino centrale diventa un settoche trapassa i balconi a sbalzo. L’uso della bicromia sottolineala struttura. Il giardino comune si arricchisce anche di alberidove il grande pino dialoga con il camino quali elementi verti-cali preponderanti.

Luigi Pellegrin, palazzina in viaGianfrancesco Albani detta“Villino Cecilia” del 1958.

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L’interno dell’appartamento in viaCasetta Mattei 259, progettatoall’inizio degli anni ’70 presenta unimpianto che ricorda molto gliinterni di Frank Lloyd Wright. Nelgiardino grandi lastre di travertinosono incorniciate da lunghedoghe di legno. C’è un accuratosfruttamento delle pareti, conmensole fisse anche sopra le porte.L’uso di laminato plastico si alternaall’uso del legno e le pareti-armadiche costituiscono l’arredo si posso-no usare da ambo i lati. Notevole èil particolare della scala che portaalla cucina-tinello del piano semin-terrato dove è scalettato anche ilsolaio che è la parete-attrezzatadella stanza da letto chiusa da unvetro per dare luce all’ambientescala. Il soggiorno sembra un pal-coscenico dove si alternano varie

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L u i g iP e l l e g r i n ,interno invia CasettaMattei 259.

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pedane di diverse altezze; il tutto ricoperto di moquette verde così comeil colore del soffitto. La con-fusione tra sotto e sopra, tra architettura enatura è tipico di questo modo di progettare. Lo spazio è continuo, fluidoprivo d’interruzioni per lo sguardo che, superato l’ostacolo di legno all’in-gresso, spazia dal pranzo al soggiorno, al giardino al disimpegno dei servi-zi. Le ricerche di Luigi Pellegrin dopo queste esperienze progettuali verteran-no sempre più verso l’habitat alla grande scala e lo porteranno lontanodalla realizzazione di piccoli edifici o oggetti di design e, a mio avviso, èun vero peccato perché aveva un talento speciale.

NOTE 1 Cfr. Giorgio Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Architettura e città 1922-

1944, Einaudi, 1989 pp. 81/86.2 Alfredo Passeri, Palazzine romane. Valutazioni economiche e fattibilità

del progetto di conservazione, Aracne, Roma 2013.3 Sergio Bianchi nel catalogo della mostra “Copiare da Saturno”, Roma,Galleria 14, gennaio 2014.4 Manfredo Tafuri, Storia dell’Architettura italiana 1944/1985, Einaudi 1986. 5 Sembra che lo stesso Wright sia rimasto molto suggestionato dalPadiglione Giapponese della Fiera Colombiana di Chicago del 1892 (untempio tradizionale in legno in scala 1:2) e da tutto ciò che vi era esposto.

Luigi Pellegrin, internoin via Casetta Mattei259.

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Devo ringraziare con affetto la famiglia di Luigi Pellegrin che mi hadato modo, generosamente, di accedere nelle varie case da luiprogettate e mi ha fornito le bellissime fotografie in bianco e neroscattate da Vincenzo Labellarte in occasione della mostra citatanel testo.

Roma 1 marzo 2014

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Pallina sulla scala a chioccioladell’attico di via Casetta Mattei206.