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Edoardo Varini, 10 gennaio 2012 Edoardo Varini, 10 gennaio 2012 Galleria Luca Galleria Luca Sforzini Sforzini Arte Arte – Casteggio Casteggio (PV) PV) [email protected] [email protected] - www.lucasforziniarte.it www.lucasforziniarte.it

Dai graffiti templari di Domme & Chinon alla Street Art - Luca Sforzini Arte

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Lo Storico dell’Arte Edoardo Varini mette a confronto graffiti medievali e contemporanei. Introduce e modera Luca Sforzini. MARTEDI’ 10 GENNAIO 2012 - ore 21.30 Luca Sforzini Arte - via Porro 2 CASTEGGIO (PV) Evento collaterale della Mostra “USA e NON getta” : novità e conferme dagli Stati Uniti"

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Edoardo Varini, 10 gennaio 2012Edoardo Varini, 10 gennaio 2012Galleria Luca Galleria Luca SforziniSforzini Arte Arte –– CasteggioCasteggio ((PV)PV)

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Sono davvero grato a Luca Sforzini per avere allestito questa mostra e lo sono,molto semplicemente, perché è una bella mostra. Bella e utile. Perché riesce adattuare, con assoluto rigore e raffinatezza di scelte, quello che tutte le mostredovrebbero riuscire a fare: consentire, da un lato, l’aggiornamento culturale epermettere, dall’altro, un’autentica riflessione sulle ragioni più intime che spingonol’uomo a lasciare una traccia figurativa del suo sentire. Perché questo è l’arte visiva:null’altro. Rappresentazione, agli occhi, dell’anima.Provate a guardare “Slither”, il dipinto di LA2, allievo di Keith Haring presente inmostra. Anzi, un momento. Prima di passare all’analisi di quest’opera permettetemimostra. Anzi, un momento. Prima di passare all’analisi di quest’opera permettetemidi dedicare un brevissimo ricordo a Keith Haring, che è stato, insieme a Jean MichelBasquiat e Richard Hambleton, uno dei massimi interpreti del cosiddetto“graffitismo di frontiera” nuovayorkese.Haring era un artista che realizzava graffiti in spazi pubblici, specialmente nellestazioni della metropolitana, cosa che gli costò anche numerosi arresti. Anche inItalia c’è un suo grande murale, a Pisa, nei pressi della chiesa di Sant’AntonioAbate. È la sua ultima grande opera pubblica, venne eseguita nel 1989, l’annoprecedente la morte, a soli 31 anni. È intitolato Tuttomondo ed è dedicato alla paceuniversale.

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Consentitemi una breve nota personale. In quegli anni abitavo proprio a Pisa evedevo quel murale ogni mattina, recandomi dalla stazione alla Normale. Eranoanni in cui studiavo iconologia e iconografia. Ricordo perfettamente che la primavolta che vidi quel dipinto avevo sottobraccio Studi di iconologia. I temi umanisticinell'arte del Rinascimento, la fondamentale opera di Panofsky. In questo testovengono codificati tre livelli di lettura d’opera: quello preiconografico, quelloiconografico e quello iconologico. Non sono cose difficili, credetemi, è solo unproblema iniziale di ordine terminologico. Anzitutto due definizioni: l’iconografiaproblema iniziale di ordine terminologico. Anzitutto due definizioni: l’iconografiaè la descrizione e la classificazione delle immagini; l’iconologia ne èl’interpretazione, spesso in chiave simbolica e allegorica, ma potrebbe benissimoessere di ordine analitico o filosofico. Proviamo a seguire queste tre fasi analitichecon un esempio, poniamo La Fortuna di Giovanni Bellini, una piccola tavolettadipinta nel 1490.

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A livello preiconografico individueremo quello chePanofsky chiama “soggetto naturale”. In questo casouna donna, seduta su una piccola imbarcazione ereggente una grossa palla, circondata da bambini.Non dico “putti”, dico bambini, perché “putti” è giàun tema iconografico. A livello iconografico, che inquesto caso coincide con il livello allegorico, non cioccorrerà molto per riconoscere il tema dellaFortuna. Ecco le allegorie di cui disponeva un artistatardorinascimentale per rappresentarlo:

Leggiamo: “Buona fortuna”, “Fortuna d’amore”. Nel dipinto di Bellini la ruota,simbolo di instabilità e dunque di incertezza, diventa una palla. I putti dellaFortuna d’amore si moltiplicano. E giocano.

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Qui inizia il livello iconologico, ove non esistono dettagli insignificanti. Ovetutto è segno. E chiediamoci: perché Bellini interpretò in questo modo latipica allegoria? Anzitutto, la fanciulla biancovestita sembra essere triste. Quisi inserisce il tema della mestizia d’amore, detta aegritudo amoris. Varràinoltre forse la pena ricordare che in molti testi l’alchimia è definita luduspuerorum: è magari per questo che i putti (perché ora possiamo chiamarli colloro nome) giocano? E perché quella palla è azzurra? Forse rappresenta ilcielo? Il creato? Forse quella figura femminile e Sophia, a fianco di Dio alcielo? Il creato? Forse quella figura femminile e Sophia, a fianco di Dio almomento della creazione?Qui ci fermiamo, ma era solo per dirvi una cosa. Che nell’arte moderna ilmotivo iconografico è spesso assente. E spesso per la semplice ragione che èignorato. Restano però il “soggetto naturale” ed il livello interpretativoiconologico. Che risultano infine quasi amplificati da questa assenza.Forti di questa considerazione, torniamo ora ad analizzare Slither, il dipintodi LA2 – l’allievo di Haring – presente in mostra.

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A livello di “soggetto naturale” abbiamoun serpente. È tutto. Finito? No, è solol’inizio. Notiamo, mi verrebbe da dire“iconologicamente”, che è bianco, comeMoby Dick e che è un serpente, comequelli della Ballata del vecchio marinaio diColeridge. Ed è probabile che sia unserpente marino, perché l’azzurro èsotto di lui. Ve la ricordate, quellaballata? Inizia con un vecchio marinaio,il vecchio del titolo, che ha una storia daraccontare. E la sua storia è questa. Unaraccontare. E la sua storia è questa. Unanave rimane intrappolata tra i ghiaccidell’Antartide.

Un albatros si posa sul ponte della nave e il marinaio, il narratore, sventatamente louccide con un colpo di balestra: «Qualcosa avevo fatto di infernale/che avrebbe ai marinaiportato male». E più avanti: «Cessò la brezza caddero le vele […] in un torrido cielo colorrame/il solo rosso sangue, a mezzogiorno, grande quanto la luna, si vedeva a picco starsull’albero maestro. Per giorni e giorni rimanemmo fermi: né alito né vento; tutti inerti, comenave dipinta in mar dipinto». È una maledizione, che cesserà soltanto quando il vecchiomarinaio benedirà anche le creature più tenebrose del mare, i serpenti marini, e la suabenedizione sarà al contempo riconoscimento della loro bellezza: «Non v’è linguach’esprimer sappia la loro bellezza».

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Saper vedere la bellezza ovunque, dunque, anche in un serpente marino gravato da uncielo di rame, esattamente come nel dipinto di LA2, è saper cogliere la dualità di questomondo e ricomporla nella sua visione. La chiave della nostra esistenza è forsel’accettazione del male nel mondo. Ora, francamente non so quanto il rimando aColeridge del nostro artista sia intenzionale, e non mi stupirebbe affatto scoprire chenon lo è per nulla, ma questo non inficerebbe minimamente il reperimento di questaanalogia, tutt’altro, ne corroborerebbe la pregnanza archetipica. E che cosa sono gliarchetipi? Secondo Mircea Eliade: «immagini antiche che appartengono al tesoro comunedell’umanità e che si ritrovano in tutte le mitologie», etimologicamente arché (“principio”) etypos (“modello”, oppure “principio”). Stiamo parlando di qualcosa che antecede ilpensiero. Stiamo parlando di forme e concetti connaturati all’anima, stiamo parlandodelle idee platoniche. Zolla li definisce «forme formanti che danno forma alle cose» edelle idee platoniche. Zolla li definisce «forme formanti che danno forma alle cose» edice che si può solo risalire ad essi, dice proprio così, «come fanno i salmoni […] dallanatura naturata a quella naturante, dall’esperienza vissuta alla creazione vivente».È esattamente quello che abbiamo fatto ora: risalire dalla visione, da una visionemolteplice, che è poi una visione del molteplice, all’archetipo che collega le parti diquella visione: E pluribus unum. Per esprimerci in termini strettamente alchemici è lafissazione (nell’archetipo, dunque nell’idea) del volatile (dunque del disperso, della realtàsensibile). Flamel rappresenta questa operazione come un serpente crocifisso: comemateria prima redenta dall’intelletto. Voi sapete che il serpente riveste nella simbologiaesoterica una valenza primigenia, è la materia prima, il livello infimo dal qualeascendere alla conoscenza spirituale, il “tesoro dei tesori”. Ne parlano anche i bestiarimedievali, come ci ha insegnato Baltrušaitis nel suo Medioevo fantastico, altra delle mieletture pisane.

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Ma torniamo a questa mostra, dedicata ai graffiti. E facciamouna seconda considerazione. I graffiti, proprio in sé, comemodalità esecutiva, ci parlano di un’urgenza. Il graffitismoche vediamo qui è dipinto su tela, o tavola, ma non è suquesti supporti che è nato. È nato per le strade, ed è da lì cheha preso nome (l’abbiamo visto: Haring, che dipingeva lepareti della stazione della metropolitana di New York, e cheveniva arrestato per questo). Un graffito è infatti un segno,una traccia disegnata o incisa, su una parete o su una pietra.E, badate, non sono le prime superfici su cui viene in mentedi disegnare, di lasciare una traccia figurativa. O almeno, nonlo sono più da molti secoli, da millenni, dall’epoca dellelo sono più da molti secoli, da millenni, dall’epoca delleincisioni rupestri del paleolitico (anche dette “petroglifi” o“graffiti”, per l’appunto).Ne abbiamo esempi magnifici, ma è l’evoluzione stessa dal“Primo stile” (30.000-23.000 a.C.) dalle figure schematiche acontorni continui al “Quarto” (17.000-8.500), il più realistico,quello dalle anatomie corrette e dalle sapienti sfumaturecromatiche a essere magnifica, perché pare obbedire a unalegge di necessità. Parrebbe indicarci che l’astrazione precedela rappresentazione realistica, che lo schema antecede ildettaglio. Quello stesso dettaglio che - anche questo abbiamovisto - a livello iconologico non esiste.

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E non si tratta di mera acquisizione di perizia, vi è alla base qualcosa di assai piùprofondo. Spesso la semplicità figurativa è stata ricercata, ma direi di più, è statadesiderata con assoluta urgenza, è stata bramata nei momenti di maggior sapienzadesiderata con assoluta urgenza, è stata bramata nei momenti di maggior sapienzatecnica: è dopo il virtuosismo tecnico e la grazia compositiva dell’art pompier, è dopoil vincitore del Prix de Rome Bouguereau che esplode la barbarie feconda eincontenibile, primitiva e sgraziata delle Damoiselles D’Avignon. Attenzione: sgraziatasignifica disarmonica, non brutta. Esiste una bellezza disarmonica. È il serpente diColeridge: Picasso non vuole distruggere la bellezza classica per puro spregio, nondice: «Il peggior nemico della creatività è il buon gusto» solo per spaventare i borghesi.Un po’ anche quello, certo, ma non solo. Non è la cosa essenziale. L’essenziale è cheambisce, titanicamente, a far risorgere dalla completa destrutturazione delprecedente canone classico un nuovo canone estetico, bello anch’esso ma di unabellezza nuova, dissonante. Esattamente come la fenice risorge dalle proprie ceneri,che guarda caso in alchimia è «l’uccello colorato con tutti i colori della GrandeOpera».

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Ma badate a questo: nell’attimo stesso in cui si stacca edistanzia dall’armonia delle forme naturali, larappresentazione pittorica diviene astratta. Possiamodire che non esiste disgregazione formale che nonvolga all’astratto. Guardate i quadri di questa mostra:tendono all’iconismo, alla forma scarnificata delsimbolo, denunciano disagio. Denunciano rivolta,ribellione. Dice ancora Picasso: «La pittura è unaprofessione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciòche sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che havisto». Occorre notare che la chiusura degli occhi è unafuga dalla realtà? Empatia e astrazione mal sifuga dalla realtà? Empatia e astrazione mal sicombinano, non possono convivere ma soloavvicendarsi.

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Lo scrisse con chiarezza estrema lo storico dell’arte Wilhelm Worringer, in un celebresaggio intitolato Astrazione ed Empatia. Prima però una precisazione, perché avretecerto una chiara idea del significato del termine “astrazione”, ma forse non ne aveteuna egualmente chiara del termine “empatia”, soprattutto in termini estetici. Bene,Per Worringer l’empatia è: «un godimento estetico oggettivato da noi stessi; godereesteticamente significa godere di noi stessi in un oggetto sensorio diverso da noi,immedesimandoci in esso». La premessa dell’empatia, che Worringer non a casoassociava al Rinascimento, è dunque, in ultima istanza, essere in pace col mondo. Èsentirsi a proprio agio nel mondo. Senza paura, senza rabbia, senza tensione, senzaalcuna volontà di evasione. È aderire alle cose al punto da ammirarne e amarne ognidettaglio. Ma a questo processo psichico lo storico dell’arte tedesco ne contrapponeun altro, quello, appunto dell’astrazione. Scrive: «Mentre l’impulso di empatia èun altro, quello, appunto dell’astrazione. Scrive: «Mentre l’impulso di empatia ècondizionato da un felice rapporto di panteistica fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondoesterno, l’impulso all’astrazione è conseguenza di una grande inquietudine interiore provatadall’uomo di fronte ad essi, e corrisponde, nella sfera religiosa, a un’accentuazione fortementetrascendentale di tutti i concetti». Per dirla in termini più semplici, l’astrazione non èaltro che una fuga dal mondo.

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E Worringer aggiunge un’altraconsiderazione, di quelleilluminanti. Di quelle che unavolta lette cambiano, acuendola,la nostra percezione dei fenomeniculturali e della nostra stessaesistenza. Aggiunge chel’astrazione riguarda al contempoi periodi culturali più bassi e i piùelevati: riguarda le pitturerupestri delle Grotte di Lascauxcome gli esiti figurativi piùcome gli esiti figurativi piùraffinati e colti del Novecento, apartire dal naturalismo astratto diFranz Marc, uno dei grandi nomidell’espressionismo tedesco,fondatore nel 1911 insieme aKandinskij del Blaue Reiter (“Ilcavaliere azzurro”) movimentodalla chiara ispirazionespiritualista e simbolica.

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Resta la natura, come dato di partenza, ma quel chedavvero si mira a rappresentare non è la percezionesensoria in sé bensì le sue evocazioni nell’anima.Ricordo ancora l’impressione che mi procurò daragazzo la visione della grande Mucca gialla di Marc,ora al Guggenheim di New York, 140 cm x 190 dilirismo puro: un paesaggio dai cromatismi intensi econtrastati, dal blu oltremare al carminio, dai verdicupi agli arancioni, attraversato per intero da questaepifania di giallo che pare essere riconoscibile ancoraper poco, per un istante, prima di dissolversi in pura,metafisica energia. Scrive Marc: «Gli uomini, con la lorometafisica energia. Scrive Marc: «Gli uomini, con la loromancanza di pietà, non giungono fino ai miei sentimentipiù intimi. Gli animali invece, con la loro innocente eistintiva adesione alla vita, risvegliano in me tutto ciò chevi è di buono».Il giallo, nel personale simbolismo cromatico di Marc,è il più gentile e sensuale dei colori, e rappresenta lanatura, il femminile. Il blu invece rappresenta lospirituale e l’intellettuale, il maschile. Ecco perché lamontagna, simboleggiante il principio maschile, loyang, è di quel colore: secondo Kandinskij, più è scuroe più suscita il desiderio dell’eterno e qui, la vettadella montagna, è cobalto

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Ora anche a me sovviene un’urgenza, ed èquella di di ricordarvi di René Daumal e delsuo Monte analogo, e del suo aver appreso,bevuto e assimilato fino all’ultima goccial’insegnamento di Gurdjieff. E del suosapere a menadito il sanscrito e la filosofiaindù. Anche questi, e lo dico con un sorriso,non sono dettagli. Viene quasi da chiedersise non soltanto in iconologia, o nel caso diDaumal e del sanscrito, ma in generale, intutte le nostre vite non sia scandalosoconsiderare qualcosa un dettaglio di scarsoconsiderare qualcosa un dettaglio di scarsorilievo. Perché l’entità di questo rilievo forsedipende solo da noi. Forse l’unico modo dirinvenire il logos, la “ragione” delle cose, èsmettere di chiamare qualcosa “dettaglio”.Qualunque cosa. Qualunque.

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Guardate le analogie tra la vacca di Marc e il toro di Lescaux, distanti quasi 17.000anni. L’identità di intenti, ma non solo, anche di composizione figurativa e di temi èstupefacente. Non si fatica a immaginarsi che per l’artista di Lescaux la grotta fosseanche un rifugio e che quella rappresentazione avesse una valenza apotropaica: ilmale da allontanare era ovunque, là fuori. E quello stesso sentimento di fuga lotroviamo nel 1911, a Monaco, tre anni prima dello scoppio della Grande Guerra.Ma torniamo per un momento a LA2, e ad un altro suo dipinto, Ride or die presentein mostra. “Corri o muori”. Che è come dire “Scappa”. Ed è da un pericolo, che siin mostra. “Corri o muori”. Che è come dire “Scappa”. Ed è da un pericolo, che siscappa. E allora quello skateboard perde i dettagli e diventa soltanto un mezzo cheè in grado di portarci via. Diventa una sorta di rifugio atomico semovente, diventaun grembo, diventa una caverna, diventa un luogo in grado di proteggerci e dicondurci in salvo, per farci poi rinascere quando ci troveremo in un mondo piùsicuro. Eccolo l’elemento salvifico femminile, ecco l’antro dal quale si risorge.

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E ripensiamo per un attimo alsimbolo della grande opera: untriangolo rovesciato (la caverna, ilgrembo) sormontato da una croce(la resurrezione). Lo vediamoanche nell’Appeso, il XII arcanomaggiore dei tarocchi.

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Questa storia del “contenitore”, della“navicella” che traghetta in una nuovarealtà che consente di vivere è molto moltoantica. Leggiamo nell’Esodo che la madredi Mosè: «Quando non poté più tenerlonascosto, prese un canestro fatto di giunchi, lospalmò di bitume e di pece, vi pose dentro ilbambino, e lo mise nel canneto sulla riva delFiume». Leggiamo nella Genesi che Diodisse a Noè: «È venuta per me la fine di ogniuomo, perché la terra, per causa loro, è piena diviolenza; ecco, io li distruggerò insieme con laterra. Fatti un’arca di legno di cipresso… Conterra. Fatti un’arca di legno di cipresso… Conte io stabilisco la mia alleanza».Ma esiste anche una versione molto piùrecente di questo racconto, nata inquell’inesauribile fucina di culturapopolare che è sempre stato il fumetto.Pensate a Superman, che viene inviato dalpadre sul pianeta Terra prima che il suopianeta natale, Krypton, esploda. E doveapproda? Nella provincialissima e ruraleSmalville, quella dipinta all’incirca neglistessi anni da Grant Wood.

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Sebbene non sia questa la sede perelencare le molte analogie tra i cosiddetti“supereroi” e le figure del mito antico,purtuttavia consentitemi talune notazioniutili a sottolineare alcune evidenze.Anzitutto Superman, malgrado i suoisovrumani poteri, non è invincibile.Anch’egli ha il suo “tallone di Achille” (lovedete, anche nominalmente, il mito anticoche affiora?) ovverosia la kryptonite, unminerale del pianeta di origine in grado diucciderlo. Se non temesse la morte,ucciderlo. Se non temesse la morte,smetterebbe di essere uomo. E Superman èpsicologicamente un uomo (è un uomo conmolte fragilità, pensate che i suoi duegiovani ideatori, Jerry Siegel e Joe Shuster,lo modellarono sull’immagine di PrimoCarnera, il colosso di Sequals campione deimassimi nel ’34), a tratti parrebbe anche unalchimista, un trasmutatore, in grado ditrasformare una manciata di carbone indiamanti.».

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Leggiamo in una delle sue avventure:«L'incalcolabile pressione esercitata dal possentepugno dell'Uomo d'Acciaio duplica il lavoro dieoni per fondere l'opalescente carbone nellatraslucida perfezione del diamante scintillante!».Ma anche Andy Warhol dev’essere stato unalchimista, perché non ci mise molto acomprendere che quel ragazzo venuto daKrypton è uno di noi, a capire che forse èdavvero il figlio della coppia di AmericanGothic, ed eccolo lì, è il 1961, trasformato inun’icona pop. Sapete che lavoro faceva ilun’icona pop. Sapete che lavoro faceva ilpadre di Haring? Disegnava fumetti. DicevaElémire Zolla che forse le civiltà nascondonoi loro più preziosi segreti in evidenza. Ed èuna cosa che a me pare ogni giorno più vera.I fumetti, sotto gli occhi di tutti: quantearchetipiche verità contengono? Culturaalta? Cultura bassa? Basterebbe ricordarsidella Tabula Smaragdina: «Ciò che è in basso ècome ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciòche è in basso, per compiere I miracoli della realtàche è uno».

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Bene, tornando all’arte, diremo che la pop art è senz’altro la maggior fonte diispirazione teorica e figurativa e direi quasi metodologica del graffitismo. Cerca diispirazione teorica e figurativa e direi quasi metodologica del graffitismo. Cerca diessere ossessivamente empatica, con quella sua programmatica adesione ad ogniaspetto della realtà urbana circostante, ma non le riesce. “Pop”, lo si sa, sta per“popolare”, ma quel che a volte si dimentica è che non si tratta di una popolaritàlegata alla sua elementarità ideativa ma semplicemente alla sua serialità produttiva.La pop art non è mai stata un’arte di massa. L’idea di trasporre sul piano artisticol’eterogeneità di elementi figurativi talmente diffusi (fumetto, pubblicità) da risultarebanali sorse tra gli intellettuali europei più raffinati di inizio Novecento, sorse con ildadaismo. Scegliere il barattolo di zuppa Campbell e chiamarlo arte non è diversoda scegliere come oggetto della rappresentazione un orinatoio e chiamarlo“Fontana”. E disegnare i baffi alla Gioconda, come fece Duchamp, non è diverso dalcompiere una coniunctio oppositorum, quella dell’androgino. E quanti pensano l’abbiafatto per burla?

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Erano cose che si trovavano già lì, davanti agli occhi, Gioconda compresa.L’attenzione del riguardante si sposta dall’oggetto alla mano di chi l’haindicato. E siamo di nuovo nel soggettivismo romantico. Ma con unadifferenza: che il tentativo di abbracciare empaticamente l’intorno è statofatto, ma è tristemente, miseramente, irrimediabilmente fallito. Scrisse uncritico americano della filosofia dada: «È la cosa più malata, più paralizzante epiù distruttiva che sia stata pensata dal cervello umano». In realtà no. È l’esattoopposto. In realtà questo critico era solo spaventato. Perché se nulla haopposto. In realtà questo critico era solo spaventato. Perché se nulla hasenso cade il concetto di insensato. È per questo che leggendo i nonsense diCarroll abbiamo un brivido. Per le infinite possibilità di senso che ilnonsenso schiude. È perché ci fa capire che la gratuità è la massima formadi necessità, e che è forse per questo che l’alchimia veniva chiamata luduspuerorum. Ricordate la tavoletta di Bellini? E pensate anche alla splendidaMalinconia di Cranach il vecchio del 1532. Al dubbio amletico, “essere o nonessere”, i dadaisti avrebbero risposto: «Fa lo stesso».

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Proviamo a riflettere per un istantesull’annullamento dell’individualitàsotteso al nome di TMNK, uno degli artistipresenti in mostra (“The Me NobodyKnows”). E se a ispirarlo non fosse stato ildesiderio di appartenenza a un gruppoquanto l’impossibilità di esistere al di fuoridi esso? La dimensione sociale non siaffianca più a quella individuale: è la sola.E la dimensione sociale è una dimensionerelazionale, dunque – sia detto senzaalcuna volontà denigrativa – orizzontale.alcuna volontà denigrativa – orizzontale.Quel che si è perso per le strade dellegrandi metropoli, quelle fisiche e quellecreate virtualmente dei mass media, è ladimensione della verticalità, dellaprofondità. L’epoca di Internet è un’epocadi colleganze, non di riflessioni. Si“naviga” nella rete, e lo sappiamo tutti chela navigazione avviene in superficie.

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«Questo non è affatto un bel mondo» sembra dirci Gus Fink con i suoi stralunatipupazzi neogotici, con i suoi Edward mani di forbici disseminati su campiture dimadreperla, con quell’ostentazione d’artificio che trapela irrefrenabile da ognidove, a cominciare dal perlaceo grigiore del cielo, che pare una trasposizione (un“copia – incolla” per dirla come la direbbe un vero navigatore del Web, ungiovane) del “fondale” della Deposizione di Pontormo. Qui il naturalismo è morto esepolto, questa è pura, cristallina, distillata “maniera”.

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Ma torniamo ora a LA2, a discorrere degli archetipi, dell’urgenza che sottendel’astrattismo e di alcune ricorrenze simboliche, e di come in due dipinti di unimportante graffitista sia possibile rinvenire chiara traccia dell’una cosa edell’altra.Abbiamo anche accennato alla carica eversiva del graffitismo, o writing, chetuttavia non sconfina mai nel vandalismo, in ragione della ricerca formale che loconnota. Una curiosità: il graffitismo nasce da uno scarabocchio comparso intempo di guerra, Kilroy, che i soldati americani usavano tracciare sui muriaccompagnato dalla scritta «Kilroy wash here», («Kilroy è stato qui»). E chi è questoKilroy? Forse un ispettore dei cantieri navali americani che voleva attestare la suapresenza, e dunque la sua capacità di controllo. Forse. È un “si dice”.

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Eppure questa onnipresenza, questa imprevedibile comparsa ha qualcosa diinquietante, ammettiamolo. Chi è onnipresente è anche onniveggente, el’onniveggenza è attributo divino. Si pensi all’occhio di Horo, o di Ra, da cui derival’occhio onniveggente massonico. Chi è onnipresente è puro spirito. RicordoAmleto sugli spalti del castello di Elsinore, quando esige il giuramento del silenziodai suoi uomini dopo aver visto lo spettro del padre. Dice loro: «Hic et ubique, orsù,spostiamoci». E fa loro ripetere il giuramento. Quello è un rito, quella è lasimulazione dell’ubiquità, è accedere al regno dell’invisibile. E guardate l’occhiodell’opera qui esposta di un campione della street art, il già citato TMNK, MendingFences, che ironicamente – ma fino a che punto? – significa “Sistemando le cose”.Sta alla Statua delle libertà come le Damosielles d’Avignon stanno alle fanciullepompier, causticamente, direi: ma guardate quell’occhio. E pensate all’occhio di Ra.

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Lo vedete? Siamo di nuovo nell’archetipo. Siamo di nuovo alla fuga dalla realtà.Questo mondo è diventato, oppure è sempre stato, una prigione. Occorre forse aquesto punto soffermarsi un momento sul tema gnostico della liberazionedell’anima dalla tenebrosa imperfezione della materia e ricordarsi che per glignostici questo mondo è esattamente, letteralmente una prigione, in cui gli uomini– che conservano nel loro profondo una traccia della luce celeste – sono staticostretti a vivere in seguito a una disintegrazione della realtà celeste che li ha esiliatidalla loro vera dimora.Leggiamo nel Pistis Sophia, la celebre opera gnostica in lingua copta della metà delIII secolo d.C.: «Rinunciate a tutto il mondo e a tutta la materia che è in esso, a tutte le suesollecitudini, a tutti i suoi peccati, in una parola a tutte le associazioni che sono in esso,acciocché possiate esser degni dei misteri di luce ed esser salvati da tutti i tormenti che sonoacciocché possiate esser degni dei misteri di luce ed esser salvati da tutti i tormenti che sononei giudizi». E non dimentichiamo che lo gnosticismo è una concezione dualistica,che vede il mondo come terreno di scontro tra Bene e Male. La rappresentazione delMale non è certo merce rara nelle opere dei graffitisti, anche se spesso attenuata dauna modalità espressiva tra il giocoso e l’ironico che però tuttavia finisce conl’essere solo più inquietante. Ricordate il sadico pagliaccio di It di Stephen King,così tanto, così troppo simile al Ronald McDonald dell’omonima catena di ristorantifast food? È poi così distante dai mostri dalle sgargianti cromie di RD357, daquell’infantilismo iconografico troppo ostentato per non essere fasullo e perciòstesso “demoniaco”?

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E conseguentemente l´arte contemporanea conosce anche, in manieraassolutamente speculare, raffigurazioni paradisiache, e un artista come W.M.Zanghi ne dà chiara prova. Guardate il suo “Senza tiolo” del 2007, econfrontate l’ascensione di quei pinguini con l’Ascesa dei beati all’Empireo diBosch.

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Osservate la sorta di mandorla, di aureola che circonda, sulla sinistra, il pinguinoche sta in posizione sopraelevata. Non vi ricorda la celestiale visione del pittoreolandese?Bene e male che si contrappongono, proprio come, nei mosaici gnostici dellabasilica di Aquileia, si contrappongono la tartaruga (da “Tartaro”, il mondo delletenebre, infero) e il gallo, annunciatore della luce.

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Ora che abbiamo accennato al ricorrere nelle manifestazioni figurative agliarchetipi, al simbolismo ermetico, alla percezione della realtà circostante comepericolosa, inquietante, irrimediabilmente “altra” e ostile, è giunto il momentodi introdurre il tema dei graffiti templari di Domme e Chinon. Questa volta idi introdurre il tema dei graffiti templari di Domme e Chinon. Questa volta i“prigionieri” che li realizzarono furono davvero tali. A Domme, in Aquitania,furono alcuni tra i settanta cavalieri templari incarcerati nelle due torri diguardia del piccolo ma difesissimo castello. La bastide fu fondata nel 1281 daFilippo III, detto l’Ardito, a pochi chilometri da Sarlat. Ventisei anni dopo, perl’esattezza venerdì 13 ottobre 1307, il re di Francia Filippo IV il bello diedeordine di arrestare tutti gli appartenenti all’Ordine del Tempio. Le accuse eranoidolatria, eresia, sodomia e l’adorazione di una misteriosa divinità pagana chegià nel nome tradiva l’infondatezza dell’accusa, Bafometto, che altro non è che lastorpiatura del nome di Maometto estorto con la tortura. Filippo il bello nonindulse in inutili pietismi, la sola cosa che gli importava era non ripagare gliingenti debiti contratti con l’Ordine. Nessun templare uscì vivo dalla bastide.

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Né i detenuti sperarono mai che potesse accadere. Nell’agosto del 1308 papaClemente V emanò la bolla Faciens misericordiam, con la quale vennero destituiti itribunali civile e sostituiti con quelli ecclesiastici. E fu la fine di ogni speranza diequità e giustizia. Eccolo allora Clemente V, nella stessa postura bestiale delLucifero dipinto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni .

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Su un’altra parete abbiamo una croce sormontante un triangolo ed anche unastrana coppa: quella croce è forse anche una spada nella roccia e quella coppa èforse il Sacro Graal. Se così è siamo con ogni probabilità all’interno delsimbolismo del ciclo arturiano, che già Fulcanelli asseriva essere di chiaraispirazione gnostico-alchemica.

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La storia dei graffiti di Chinon è deltutto analoga a quella dei graffiti diDomme: anche qui a realizzarlifurono templari incarcerati. Fu quiche il Gran Maestro Jacques deMolay venne rinchiuso e torturatoprima di essere messo al rogo. Fusulle pareti interne del torrione cheuna mano scrisse sette secoli fa:«Commanda eis philipe rege papaclemens quintus diabolis et dragonibus»,che tradotto vale: «Clemente V eche tradotto vale: «Clemente V eFilippo, re di Francia, fu il diavolo, fu ildragone a mandarvi». Mi permettereidi aggiungere che è difficile darglitorto. Concluderei con alcune brevenotazioni su taluni graffitidell’incisione murale del torrione,perché sono in realtà “crittografate”,il messaggio che ci trasmettono èvelato, nascosto.

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Consideriamo la prima pietra in altoa sinistra. Vediamo un personaggioinginocchiato davanti al quale sitrovano tre segni: una piccola figuraenigmatica sospesa, unmomogramma gotico del nome diGesù, IHS, una piccola croce rialzatasu dei gradini contornata daglistrumenti della passione: le chiavi,la spugna e la lancia. L’estremità diquest’arma è all’altezza in cui sitrovava il fianco di Gesù, secondo itrovava il fianco di Gesù, secondo idettami della terminologia araldica.È la stessa immagine che vediamoingrandita a destra del personaggio,che la presenza dell’aureola ciqualificherebbe come un santo. Suigradini di questa croce è scritto: «Jerequiers à Dieu pdon» e “pdon” stapalesemente per “pardon”, perdono.

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Sotto questo santo ce n’è un altro, di cui si vede soloil volto, mutilato. Possiamo nondimeno affermareche ha un aspetto monastico. La sua aureola è piùprofondamente incisa dunque il suo volto spiccadall’ombra maggiormente. Di fronte a sé ha il cuoretrionfante del Salvatore Gesù Cristo. Questo volto èassai probabilmente quello Bernardo di Chiaravalle,il legislatore e maggior sostenitore dell’Ordine delTempio. È dunque comprensibilmente a lui chel’autore dell’incisione chiede di intercedere per lasalvezza sua e dei suoi fratelli. Il cuore raggiante èmolto ricorrente nell’iconografia medievale mamolto ricorrente nell’iconografia medievale maquesto, per la triste sorte e la sua consapevolezza diessa dell’uomo che lo tracciò, è forse il piùstruggente. Ricordo le parole di Plutarco: «Il Sole, conla forza di un cuore, sparge e diffonde da sé il calore e laluce, come se fossero il sangue e il soffio». E terminereicon le parole di Giobbe, il giusto che soffreincolpevole: «Per la vita di Dio, che mi ha privato delmio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiatol'animo, finché ci sarà in me un soffio di vita, e l'alito diDio nelle mie narici, mai le mie labbra diranno falsità e lamia lingua mai pronunzierà menzogna!».

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William Blake, Satana infligge la peste a Giobbe, 1826