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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 88 APRILE 2020 CITTÀ DEL VATICANO Martiri Te s t i m o n i Asia Bibi Nadia Murad Meriam Ibrahim Meena Barwa Laudato si’ Ambientaliste morte per difendere la loro terra

D ONNE CHIESA MOND O - Vatican News...dori, 2011). Dato che la giornalista non era au-torizzata ad avere contatti con la giovane rin-chiusa in carcere, era il marito di Asia che le

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 88 APRILE 2020 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Martiri

Te s t i m o n iAsia BibiNadia MuradMeriam IbrahimMeena Barwa

Laudato si’Ambientalistemorteper difenderela loro terra

Page 2: D ONNE CHIESA MOND O - Vatican News...dori, 2011). Dato che la giornalista non era au-torizzata ad avere contatti con la giovane rin-chiusa in carcere, era il marito di Asia che le

numero 88aprile 2020

LE IDEE

Q uesto numero di «donne chiesa mondo» è dedicato allemartiri, alle donne che, dando una testimonianza estre-ma di fede, non obbedendo a chi pretende l’abiura ol’abdicazione ai doveri cristiani, sacrificano la vita. Sonotante. E vedrete negli articoli loro dedicati, che non ap-

partengono al passato, non sono il residuo di una persecuzione antica esolo residualmente praticata in zone remote del mondo.

Il martirio femminile è una diffusa, tragica e concreta realtà del mon-do moderno. Donne cristiane e yazide in Siria e in Iraq, pakistane, ni-geriane, sudanesi, congolesi, somale o eritree. Suore che si sono schiera-te con gli ultimi negli angoli più remoti della terra, contadine, madri,studentesse. Sono loro le nuove martiri. “Le più perseguitate fra i perse-guitati” sono state definite dai pochi che se ne occupano. Gli esseriumani che pagano più degli altri l’adesione a una fede.

Non parliamo delle donne martiri della fede per avvertire e denuncia-re. O per tentare di eliminare la spontanea e colpevole censura con cuila stampa mainstream occulta la loro vita, la loro scelta e la loro morte.Non scriviamo di loro per compiangerle in quanto vittime sacrificali diun mondo cattivo e violento. Lo facciamo perché a noi che facciamoquesto giornale, che apparteniamo a fedi diverse o siamo laiche — a tut-te noi — il loro martirio non appare segno di debolezza, ma di forza, diuna grande forza femminile. Come nel passato le nuove martiri sonouccise, spesso barbaramente torturate. Come nel passato il loro esseredonne le ha rese obiettivi più facili. Come in tempi lontani il loro corpoè stato sottoposto alla violenza sessuale e allo stupro. Eppure la loro te-stimonianza — a qualunque religione appartengano — indica una gran-dezza nell’affermazione della fede, una capacità di andare oltre il quoti-diano, una resistenza spirituale, una forza morale, una coerenza e fedeltàalla missione affidata che merita riconoscimento e ammirazione. Le mar-tiri ci raccontano di un modo di essere donna nella Chiesa e nella fedelontano da compromessi e disobbediente alle regole stabilite dal potentedi turno, che si confronta direttamente con un ideale superiore fino allarinuncia della vita. In un mondo in cui l’eroismo è ritenuto solo maschi-le e in cui i pareri e le convinzioni sono malleabili, fluidi e subalterni, lemartiri rovesciano lo stereotipo della donna debole e assoggettata ai mo-delli dominanti. Per questo costituiscono un modello femminile anchenella modernità. Soprattutto nella modernità.

RI TA N N A ARMENI

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romano

Comitato di DirezioneRI TA N N A ARMENI

FRANCESCA BUGLIANI KNOX

ELENA BUIA RUTT

YVONNE DOHNA SCHLOBITTEN

CHIARA GIACCARDI

SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH

AMY-JILL LEVINE

MA R TA RODRÍGUEZ DÍAZ

GIORGIA SA L AT I E L L O

CAROLA SUSANI

RI TA PINCI (co ordinatrice)

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I A GUIDI

VALERIA PENDENZA

SI LV I N A PÉREZ

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

A cura diMARCO DE ANGELIS

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v aredazione.donnechiesamondo.or@sp c.va

per abbonamenti:abb onamenti.donnechiesamondo.or@sp c.va

Un segno di forza

Copertina di Anna Milano

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SOMMARIO

TESTIMONI

Asia Bibie la libertà dall’o dio

MARIE CI O N Z Y N S KA A PA G I N A 4

Nadia Murade la memoria che vive

FAU S TA SPERANZA A PA G I N A 6

Meriam Ibrahime la vita oltre le catene

CAROLA SUSANI A PA G I N A 8

Meena Barwae la forza di ricominciare

FEDERICA RE DAV I D A PA G I N A 10

IL RAPPORTO

Open Doors: così vengonoperseguitate le cristiane

A PA G I N A 12

NEL MEMORIALE DEI NUOVI MARTIRI

Essere donnanon protegge, anzi...

PAOLO CONTI A PA G I N A 13

MARTIROLO GIO

Il corpo delle donnecome campo di battaglia

MARIE CI O N Z Y N S KA E ROMILDA FE R R AU T OA PA G I N A 16

L’I N T E R V I S TA

IlhamAllah Chiara Ferrero:pluralismo scritto nel Corano

FEDERICA RE DAV I D A PA G I N A 22

RETE INTERCONFESSIONALE

Unite contro la tratta

PAGINA 24

ANTICHE MARTIRI

La resistenzadelle prime cristiane

ANNA CARFORA A PA G I N A 26

CINQUE ANNI FA LA «LAU D AT O SI’»

Le martiri della terra

LUCIA CAPUZZI A PA G I N A 30

LE A M B I E N TA L I S T E UCCISE

Una strage silenziosa

PAGINA 31

LA STORIA E LE STORIE

Iacopa, la nobildonnache san Francescochiamò “Fr a t e ”

ST E FA N I A FALASCA A PA G I N A 36

8 16

12 30

IDEE E OPINIONI

Un segno di forza

RI TA N N A ARMENI A PA G I N A 1

Essere testimone di fedeè una sfida quotidiana

CAT E R I N A CIRIELLO A PA G I N A 21

Le donne rileggonoPapa Francesco

SHAHRZAD HOUSMAND ZADEH A PA G I N A 35

ARTE

L’Ultima cenadipinta da una donna

DARÍO MENOR A PA G I N A 38

38

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Asia Bibie la libertà dall’o dio

di MARIE CI O N Z Y N S KA

Pensavamo di sapere tutto di AsiaBibi, contadina cristiana condanna-ta a morte nel 2010 in Pakistan, do-po essere stata ingiustamente accu-sata di blasfemia, un giorno in cui,

sotto un sole di piombo, una delle donne concui lavorava, le aveva rimproverato di aver in-quinato il pozzo riempendosi un bicchiere d’ac-qua. Conosciamo il suo volto, giovanile e sorri-dente, ripreso di tre quarti, il suo bel sari colorzafferano. Le vicissitudini giudiziarie infinite,dallo choc della prima condanna all’assoluzionedefinitiva il 29 gennaio 2019 da parte della Cor-te Suprema del Pakistan, seguita, alcune setti-mane dopo, dall’autorizzazione a lasciare il suopaese, dove la sua famiglia e lei erano minaccia-te di morte.

Ma chi sa cos’è successo nel cuore, nell’ani-ma, nel corpo e nella mente di quella donna inquei dieci lunghi anni? La testimonianza fortedi quella storia intima è ora il libro di Asia Bibi,Enfin libre!, pubblicato in Francia da èditions duRocher, e basato su un’intervista con la giornali-sta francese Anne-Isabelle Tollet, grande repor-ter, ex corrispondente permanente in Pakistan esegretario generale dell’associazione Comité In-ternational Asia Bibi. Anne-Isabelle Tollet non

è una persona qualunque nella storia di Asia Bi-bi, ma la persona che l’ha sostenuta fin dall’ini-zio. Nel 2011 le due donne hanno scritto unaprima testimonianza, Blasfema (in Italia Monda-dori, 2011). Dato che la giornalista non era au-torizzata ad avere contatti con la giovane rin-chiusa in carcere, era il marito di Asia chele poneva una serie di domande per poi riporta-re le risposte ad Anne Isabelle Tollet, che loaspettava lì vicino, in una macchina. È stato co-sì che la voce di Asia ha potuto, per la primavolta, aprirsi un varco tra le strette mura dellasua cella.

Per scrivere Enfin libre! le due donne si sonoincontrate in Canada, dove Asia Bibi subito do-po la scarcerazione si è rifugiata con il marito ele due figlie. Il libro è un concentrato di umani-tà, nei suoi aspetti più oscuri ma anche in quellipiù luminosi. Vi incrociamo guardie carcerariesadiche: uno abbaia ordini e si rallegra della suaprossima morte, l’altra, una donna, la picchiamentre dorme. Ma anche angeli custodi. Scono-sciuti, come la musulmana Bougouina, compa-gna di detenzione — è stata messa in prigioneper adulterio dopo che aveva denunciato il suoviolentatore — che freme d’indignazione quandoAsia le confida che le sue figlie sono state pic-chiate e costrette a bere urina, dopo il suo arre-sto, quando le è stato chiesto di abiurare e diprendere un altro marito. Poco dopo averla

confortata, Bougouina muore, di notte, nellacella accanto… O Mamita, una cristiana che hadeciso di dedicare la propria vita ai martiri nelleprigioni pakistane, dopo che la nipote è statapicchiata a morte dalle guardie del carcere doveera stata gettata per aver rifiutato un matrimo-nio forzato. Mamita le legge la Bibbia e ungiorno riesce a darle un pezzo di ostia consacra-ta.

Ci sono figure meno anonime, come il gover-natore del Punjab, Salman Taseer, musulmano,ucciso poco dopo essere andato a visitare AsiaBibi in carcere dalla sua guardia del corpo, per

stito tanto sulla mia religione, ho pensato a lun-go che le leggi anti-blasfemia puntassero unica-mente alla comunità cristiana. Mi ci sono volutianni per capire che c’erano anche musulmanicondannati e che, in fondo, quella legge spaven-tava tutti perché bastava litigare con un vicinoper ritrovarsi condannati a morte o all’e rg a s t o -lo». Nonostante l’angoscia della separazionedalla sua famiglia, la solitudine, le violenze e leripetute umiliazioni, Asia Bibi non ha cedutoall’odio. Il suo libro è dedicato a tutti coloroche si trovano ora nella sua situazione in Paki-stan e sono in attesa di un processo equo. Co-me la cristiana che occupa la sua ex cella, Sha-gufta Kousar, condannata a morte insieme a suomarito con l’accusa di blasfemia.

La contadina pachistana condannataa morte e detenuta per 10 anni: «leleggi anti-blasfemia non puntano soloai cristiani, ma anche ai musulmani»

aver criticato il modo in cui la legge anti-blasfe-mia era diventata «un’arma per regolare o porrefine a dispute». Sette mesi dopo, il figlio ven-tenne del governatore, Shahbaz, è stato rapito etorturato per cinque anni. Nel 2016 il giovaneha testimoniato sul «New York Times» di esseresopravvissuto grazie alla sua fede e al Corano,al ricordo del padre coraggioso e all’amore dellafamiglia. Infine Asia ha potuto anche contaresul sostegno di Shahbaz Batti, ministro per leminoranze religiose dal 2008 al 2011, anno incui è stato ucciso da un colpo di arma da fuocomentre usciva dalla casa della madre per recarsial consiglio dei ministri.

In prigione Asia Bibi ha avuto il tempo di ri-flettere: «La mia dolorosa esperienza mi ha per-messo di capire che politica e religione non an-davano d’accordo. Dato che all’inizio si è insi-

TESTIMONI

Asia Bibi (foto World Watch Monitor)

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Nadia Murade la memoria che vive

di FAU S TA SPERANZA

«H anno ucciso mia ma-dre davanti ai mieiocchi ma non hannocancellato i suoi in-segnamenti di be-

ne»: così Nadia Murad ha iniziato a raccontarcila sua esperienza di drammatico contatto congli uomini del sedicente stato islamico (Is). Lagiovane yazida, come altre centinaia di ragazzeappartenenti alla stessa minoranza, è stata resa“schiava del sesso”. Una condizione patita dalledonne che aggiunge orrore alla campagna diomicidi di massa, sequestri, spettacolari esecu-zioni, conversioni forzate di cui si sono mac-chiati i miliziani dell’Is tra il 2014 e il 2017 in unterritorio tra Iraq e Siria. Ma se non riusciamo adimenticare gli occhi di Nadia, dopo una con-versazione tanto grave quanto luminosa, è perla forza straordinaria che l’ha guidata fino alPremio Nobel per la pace e soprattutto per lasolidità della sua fede nel bene.

Abbiamo incontrato la prima volta Nadia aStrasburgo, dove aveva ricevuto sostegno dalParlamento europeo dopo la fuga dall’Iraq el’arrivo in Germania. Non aveva ancora recupe-rato il sorriso e la pienezza che ora vive anchegrazie all’uomo che ha accanto e che condivide

il suo impegno — sempre costante — contro latratta degli esseri umani. Le è valso il PremioSacharov nel 2016 e il Nobel nel 2018.

La famiglia di Nadia viveva a Kocho, un vil-laggio vicino alla città di Sinjar, nel norddell’Iraq, a poca distanza dal confine siriano,quando il 3 agosto del 2014 uomini armati han-no portato l’orrore: hanno trucidato gli uomini,hanno catturato i bambini e le donne, e le han-no passate in rassegna uccidendo quelle chenon avrebbero reso soldi al mercato delle schia-ve del sesso. Le più giovani sono state messe adisposizione dei miliziani a Mosul. Ha signifi-cato subito una violenza di gruppo per piegarequalunque resistenza e che — ci ha raccontatoNadia — si ripeteva in caso di tentativo di fugao di ribellione. Nello sguardo di Nadia soprav-vive un’eco del terrore, del dolore, del disgusto,del senso di impotenza provati negli otto lun-ghissimi mesi di prigionia, prima di riuscire as c a p p a re .

Nadia, aiutata da una famiglia irachena dopoessersi allontanata di nascosto dalla casadell’uomo che l’aveva comprata, avrebbe volutodimenticare, ma continua a denunciare: «Il po-tere dell’Is è passato ma in qualche parte delmondo ci sono ragazzine vendute, scambiate co-me merci e io, che so cosa significa, non possotacere». Dice: «Bisogna prevenire ogni forma dirazzismo, che io invece vedo crescere ovunque.

E i rischi sono due: il radicalismo e il terrorismoda una parte, ma anche possibili risposte sba-gliate a tutto ciò, dall’altra parte». Una consa-pevolezza precisa, oltre i problemi dell’Iraq, aldi là delle vicende della fede yazida antica di

4000 anni o del popolo curdo tra i quali è dif-fusa; prescinde anche dalla cronaca recente de-gli ultimi sviluppi nei territori ancora sotto iraid in Siria.

La conversazione ha consentito una certaconfidenza, e così ci siamo ritrovate sedute suun divanetto a cinque posti rotondo in quelle

La yazida schiava del sesso dell’Ispremio Nobel per la pace: «Nelmondo ci sono ancora ragazze

vendute e scambiate come merci»

aree che permettono l’isolamento acustico neipressi dell’emiciclo dell’Europarlamento, dove simuovono politici e giornalisti. Quasi una zonaprotetta da altri sguardi e altre orecchie. Nadiaci ha parlato del sorriso di sua madre: «Lei èsempre stata una persona piena di rispetto pertutti e mi ha educato all’amore e al bene, mi hainsegnato a pregare. Queste cose l’Is non hapotuto distruggerle». Questa ragazza minutanon può dimenticare «le tante ragazzine inmano all’Is che appena hanno potuto si sonotolte la vita, perché non ce l’hanno fatta a soste-nere tanto strazio». Ci ha confidato: «Io nonho mai pensato di uccidermi. Più il male mitoccava e più risentivo in me tutti gli insegna-menti di mia madre e della mia gente, ma so-prattutto la forza di Dio che mai mi ha abban-donata. Più il male mi toccava, più trovavo ilbene dentro di me.»

Per questo la storia di Nadia non è piùun’esperienza, si è fatta testimonianza.

TESTIMONI

Nadia Murad (Ansa Epa)

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Meriam Ibrahime la vita oltre le catene

di CAROLA SUSANI

La storia di Meriam Yahia IbrahimIshag, sudanese condannata all’im-piccagione per apostasia e poi pro-sciolta, ha segnato il 2014 e scossoun’opinione pubblica spesso intrap-

polata in schemi rigidi, pronta a piangere suicorpi delle vittime e raramente in grado di agireperché le vittime escano dalla loro condizione.Meriam si è trovata a subire una insopportabileingiustizia, ma pensando a lei difficilmente vie-ne da credere che sia una vittima. È una donnaminuta nel corpo che con la sua fermezza hasuscitato slancio, coraggio, ha prodotto un con-tagio. Di lei, come sempre dei martiri, si puòdire che se l’è cercata. Cosa le si chiedeva infondo? Di rinunciare alla sua religione. Le portedel carcere si sarebbero aperte di colpo. Ma leinon poteva e non voleva.

La storia comincia sette anni fa, in Sudan:Meriam viene arrestata, è incinta e ha con sé unbambino di poco più di un anno. Ha 27 anni, èuna donna laureata, medico, sposata con un cri-stiano. Il marito, Daniel Wani, che in tutti i mo-di le darà sostegno, si muove su una sedia a ro-telle. All’accusa di apostasia, si aggiunge l’accusadi adulterio per il suo matrimonio con un cristia-no. Mentre un uomo islamico può sposare una

donna di un’altra fede, a un’islamica non è per-messo di sposare un cristiano. Daniel Wani, oltreche cittadino statunitense, è del Sudan del Sud.Il Sudan e il Sudan del Sud si separano nel 2011sulla base di un referendum, ma ancora all’ep o cadei fatti sono in corso controversie sui confini emediazioni delicate sulla questione del petrolio,che il Sud produce e che il Nord lavora e tra-sporta. Il Sudan è per lo più islamico, il Sudandel Sud è per lo più animista e cristiano. In Su-dan, Meriam sulla base della denuncia di un pa-rente subisce la prima accusa, di apostasia. Per laSharia, introdotta in Sudan nel 1983, Meriam fi-glia di un musulmano deve seguire la religionedel padre: rinunciare alla religione islamica delpadre è apostasia ed è punibile con la pena dimorte. In Sudan però il diritto alla libertà di cul-to è sancito dalla Costituzione ad interim del2005. La prima rivendicazione di Meriam è quel-la della libertà religiosa. Ma la Corte costituzio-nale non arriverà a doversi esprimere. Meriam èfiglia di una etiope ortodossa, il padre musulma-no è andato via quando lei era una bambina an-cora piccola, perciò non è un’apostata e la suafede è quella cristiana trasmessa dalla madre. Mail riconoscimento di questo dato come evidente,trova i suoi ostacoli. Meriam resiste. Possiamoleggere le sue parole raccolte nel libro di Anto-nella Napoli, giornalista e attivista, che tanto si èspesa per la sua salvezza, nel libro Il mio nome è

Me r i a m , uscito nel 2015 per Piemme. Scrive Me-riam: «L’11 maggio il giudice rurale AbbasMohammed Al-Khalifa espresse il suo giudiziodopo aver tentato in un colloquio di quarantaminuti di convincermi a ripudiare la fede». Me-riam viene condannata all’impiccagione, perl’adulterio verrà condannata a cento frustate:«non ho mai vacillato», scrive. In prigione sipresenta «una delegazione di imam e di espo-nenti religiosi di associazioni locali. Mi hannochiesto di pregare con loro. Non erano aggressivima molto pressanti. (…) Ho riposto tutta la miafiducia in Dio e nel mio diritto a seguire la reli-

gione che avevo scelto». Meriam è in un carcereumido e malsano, con il bambino piccolo che stacontinuamente male. L’unica crisi la vive quandoarriva il momento del parto, si ritrova a partorirela bambina, Maya, con le catene alle caviglie.Eppure neanche in quel momento cede. La cam-pagna di opinione a suo favore si fa sempre piùintensa, gli appelli delle ong si rincorrono, gli in-terventi diplomatici, della Santa Sede, degli StatiUniti, dell’Italia accorti e rispettosi, ma determi-nati, hanno un ruolo essenziale nella conclusionefelice della vicenda. Il 23 giugno del 2014 è il tri-bunale d’appello sudanese che semplicementescagiona Meriam. La donna esce dal carcere coni bambini e si riunisce al marito. La famigliaaspetta la partenza e documenti nell’ambasciataamericana, poi da lì partono, si trattengono tre

La mamma sudanese condannataall’impiccagione per apostasia, e poi

prosciolta, ha partorito la sua secondafiglia in carcere. Ma non ha mai ceduto

giorni in Italia dove incontrano il Papa, infinevolano negli Stati Uniti.

Un martirio senza sacrificio, in tempi comequelli che viviamo è prezioso, smentisce l’asp etta-tiva dell’impotenza nella quale talvolta ci si cro-giola, dimostra che facendo di se stessi leva di li-bertà e di bene, rischiando, è possibile produrreun contagio, estendere l’influenza del bene.«L’ho fatto per me, per Maya — scrive Meriam —e per tutte le donne sudanesi che non hanno maiavuto gli stessi diritti degli uomini. Ma ancheper i cristiani perseguitati», e continua: «Per chinon ha avuto la forza di tener saldo il propriocredo, (…) ho voluto andare fino in fondo. Econtinuerò a portare avanti questa mia battagliaper difendere il diritto alla libertà di religione.Qualsiasi essa sia».

TESTIMONI

Meriam Ibrahim all’arrivo in Italia (Ansa)

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Meena Barwae la forza di ricominciare

di FEDERICA RE DAV I D

«Q uello che è successo ame, non dovrebbe patirlonessuno. Però mi ha resapiù forte, più ottimista,mi ha insegnato ad anda-

re avanti. Io credo in Dio e mi fido di lui: è luiche mi ha salvata dai miei aguzzini. Io sonograta e sarò sempre grata a Dio per avermi la-sciato vivere ancora la vita». Al telefono dall’In-dia, suor Meena Barwa parla con serenità e fer-mezza del suo viaggio attraverso il dolore.

Era il 25 agosto 2008 quando, nel distretto diKandmahal, Stato di Orissa, i radicali indù ad-debitarono a «una cospirazione cristiana inter-nazionale» l’uccisione di un leader locale. Siscatenò un’ondata di violenza spaventosa, unpogrom contro i cristiani: oltre cento morti, 395chiese distrutte, seimila case rase al suolo, 64mila persone costrette a fuggire dalla loro terra;e sette innocenti finiti in carcere per anni.

Suor Meena, 29 anni, era come ogni giornonel Centro pastorale Divyajyoti. Con i suoicompagni e il direttore, padre Thomas Chellan,fuggì nel bosco e si rifugiò nella casa di una fa-miglia indù. Ma i fondamentalisti la trovarono,la portarono nel Centro sociale cattolico che an-cora bruciava, la spogliarono, la stuprarono sot-

to gli occhi di tutti, poi la legarono con padreChellan, picchiato a sua volta e li trascinarononudi per 5 chilometri, mentre la folla e i rapitoricontinuavano a colpirli. «L’indifferenza dei po-liziotti, che guardavano senza muovere un dito,è stata una delle cose più dolorose. In India lapolizia non aiuta chi appartiene a minoranze re-ligiose», racconta.

Hanno provato a distoglierla dal denunciare,suor Meena, perché in India di stupro è meglionon parlare. «È una vergogna, un disonore chela società non accetta», ci spiega dopo aver ot-tenuto che trenta persone venissero incriminateper aver preso parte alle violenze di cui è statavittima. Nove sono state giudicate, tre condan-nate, altri processi si faranno. Il prezzo è statoaltissimo: oltre alle umiliazioni subìte in tribu-nale, per sfuggire alle vendette, ha dovuto na-scondere la sua identità, allontanarsi da casa, in-terrompere i rapporti con la famiglia per cinqueanni; ancora preferisce non rivelare dove vive.

Ma in futuro, in tribunale non tornerà soloda vittima: nel 2015 si è iscritta all’Università eadesso è laureata in legge. «Non posso ancoraesercitare come avvocato, ma ho avuto il per-messo dalla mia Congregazione per cominciareil praticantato dopo marzo, sto cercando il po-sto giusto». Il percorso che seguirà è quelloscritto nella sua storia: «Voglio aiutare le donneche hanno sofferto quello che ho sofferto io,

che continuano a soffrire». Perché in India, se-condo un report del Governo, ogni quarto d’orauna donna denuncia uno stupro, quasi 34.000nel 2018; in poco più dell’85 per cento dei casisi è arrivati a un processo e solo nel 27 per cen-to a una condanna.

Conforta però suor Meena vedere che «sem-pre più donne trovano il coraggio di denuncia-re, di dire: questo è successo a me, voglio viveresenza nasconderlo, essere riconosciuta come vit-tima». E le parole moltiplicano parole: «Chi ha

fatto coming out, spesso si mette al lavoro per lagiustizia, per la salvezza di altre donne, per aiu-tarle a denunciare e tornare a vivere». Ed è perquesto che lei è diventata testimonial della cam-pagna «#MeToo per tutte», con cui Aiuto allaChiesa che soffre vuole dare voce alle migliaiadi donne che subiscono violenza per motivi reli-giosi.

La suora indiana vittima di violenzadegli indù radicali si è laureata in

legge: «Voglio aiutare quelle che hannosofferto ciò che ho sofferto io»

Ma, chiarisce suor Meena, «pretendere giusti-zia non ha a che fare con il perdono». Perchéquello c’è stato: «La Grazia di Dio mi ha per-messo di perdonare tutti coloro che mi hannoinflitto dolore, di non provare sentimenti malaticome l’odio. Auguro loro soltanto di vivere unavita buona, spero diventino persone capaci diportare pace e armonia nella società. È per que-sto che prego ogni giorno. Come potrei, altri-menti, dire di essere una cristiana, una religiosa?Quello che sento ora è che sto vivendo la miavita normale, una vita felice, proprio perché hoperdonato. Non ho più paura né bisogno di na-scondermi». E c’è di più: «Ogni giorno io dicoil Padre Nostro e chiedo a Dio il suo perdono:come possono queste preghiere arrivare, se nonperdono io?».

Per i cristiani come lei, i problemi restano.«Non posso dire che l’India sia una terra di pa-ce. Continuano ad esserci incidenti, chiese e re-ligiosi attaccati da estremisti, sia musulmani cheindù. E sacerdoti e sorelle che svolgono attivitàdi assistenza, come le suore di Carità, o chi ge-stisce istituti per gli orfani, sono messi in diffi-coltà dalle leggi. Questo non è certo un Paese afavore dei cristiani o delle minoranze in gene-re». Intanto però, suor Meena si è ripresa la suaidentità: «Ora, ovunque vada, io dico alle per-sone chi sono e lo farò sempre, perché vogliouna vita normale».

TESTIMONI

Meena Barwa (foto da Asianews)

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Essere donnanon protegge, anzi...

«Rende più vulnerabili» dice il rettore di San Bartolomeo a Roma

di PAOLO CONTI

«La condizione femminile non solo non protegge le donne impegnatenelle Missioni cattoliche nel mondo ma, anzi, le rende più deboli epiù vulnerabili. Negli atti di violenza e nelle persecuzioni, soprattut-to quando c’è un conflitto sullo sfondo». Don Angelo Romano è ilgiovane rettore della basilica di San Bartolomeo sull’Isola Tiberina.Un luogo dalla lunga e particolare storia ma che, appena vent’annifa, ha aggiunto un capitolo contemporaneo.

Nel 1999, durante del Grande giubileo del 2000, san GiovanniPaolo II istituì una Commissione dei nuovi martiri per indagare sulmartirio cristiano del XX secolo. La commissione lavorò due anniproprio nei locali della basilica di San Bartolomeo, affidata già nel1993 da san Giovanni Paolo II alla Comunità di Sant’Egidio, racco-gliendo circa 12.000 dossier. Il fondatore della Comunità, AndreaRiccardi, lavorò su circa 9.600 casi e dopo il giubileo, san GiovanniPaolo II volle che la basilica divenisse il luogo Memoriale dei nuovimartiri dei nostri tempi: sacrificati negli anni del nazismo, del comu-nismo, o più recentemente sul fronte delle Missioni o dei tanti con-flitti contemporanei. La proclamazione fu solennemente celebrata il12 ottobre 2002.

Venne collocata anche la grande Icona dei Nuovi martiri testimonidella fede del XX e XXI secolo, dipinta da Renata Sciachi, della Co-munità di Sant’Egidio, collocata davanti all’altare maggiore. Nellecappelle laterali, testimonianze di martirii avvenuti tra seconda guer-ra mondiale e nuovo millennio. E moltissime sono donne.

NEL MEMORIALE DEI NUOVI MARTIRI

Open Doors, organizzazione globale ascopo benefico che lavora persostenere i cristiani perseguitati nel

mondo, ha pubblicato a fine febbraio il suorapporto 2020 sulla persecuzione religiosa digenere: la relazione analizza in modo piùapprofondito le ripercussioni della persecuzionesubita in modo diverso dagli uomini e dalledonne. I due tipi di persecuzionemaggiormente segnalati nei confronti delledonne e delle ragazze cristiane sono, a livelloglobale, la violenza sessuale e il matrimoniocoatto. Entrambi sono stati citati dall’84 percento delle persone che hanno partecipato allaricerca nei primi 50 Paesi in cui è più difficilevivere come cristiani, secondo la World WatchList 2020 di Open Doors/Porte Aperte. Lacombinazione tra violenza sessuale ematrimonio coatto significa che, in ogni regionedel mondo, tale tipo di violenza continua adessere il mezzo più diffuso per esercitare poteree controllo sulle donne e ragazze cristiane,nonché uno strumento di punizione. Spesso laviolenza sessuale è esterna al matrimonio, matalvolta una donna/ragazza è costretta asposarsi con il violentatore stesso. È utilizzata

intenzionalmente per disonorare ladonna/ragazza cristiana e, di conseguenza, lasua famiglia e comunità. Sebbene il matrimoniocoatto possa offrire una parvenza dirispettabilità, può anche diventare solo uncontratto per giustificare la violenza sessuale,dal quale una donna non può scappare enell’ambito del quale possono essere esercitatealtre forme di violenza e pressione. Nei Paesi incui è più difficile vivere come cristiani, donne eragazze subiscono questa persecuzione, nellasua massima espressione, come una sorta di“morte vivente” (violenza sessuale, matrimoniocoatto e arresti domiciliari), specialmente se sisono convertite da un’altra fede, come l’islam oil buddismo. Queste giovani donne sonofisicamente vive, ma sono nascoste e isolate,perciò la loro sofferenza è spesso ignota. Sonoinoltre lontane dalla comunità cristiana edescluse dal futuro della Chiesa. Questa esistenzaperseguitata può essere quindi evidenziata daitipi di pressione citati dalle donne, che siclassificano entrambi al terzo posto nelrapporto: violenza fisica e divorzio coatto (citatidal 64 per cento dei primi 50 Paesi).

Così vengono perseguitate le cristianeRapporto Open Doors: matrimoni coatti e violenze sessuali contro le donne e le ragazze

Il pianto di una donna etiope (courtesy of Open Doors)

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Dice don Angelo Romano: «Le donne hanno unacaratteristica, anche nelle aree più difficili, che le ac-comuna tutte. Quella di esporre con un immensocoraggio la propria vita mettendola a disposizionedelle sorelle e dei fratelli affidati alle loro cure. Ep-pure sappiamo bene che proprio le donne, in conte-sti politici, ideologici, religiosi o di conflitto partico-larmente duri, sono l’obiettivo preferito, anche ascopo dimostrativo. Eppure mostrano un coraggioeccezionale». Gli esempi sono innumerevoli, spiegail sacerdote: «Vorrei ricordare la suora colombianaGloria Cecilia Narvaez, rimasta volontariamente dasola nel villaggio di Karangasso, nella complessa ga-lassia del Mali. Restare lì, era una scelta forte edestrema. E suor Gloria Cecilia l’ha compiuta. Venne

rapita l’8 febbraio 2017». La responsabilità venne attribuita a ungruppo estremista vicino ad Al Qaida, da allora non si è più saputonulla di sicuro. Prosegue don Angelo Romano: «Qui conserviamo lostetoscopio e la Bibbia di suor Veronika Theresia Ràckovà, medico emissionaria della Congregazione delle suore missionarie Serve delloSpirito Santo, morta in Sud Sudan il 20 maggio del 2016. Una don-na stava per partorire nella piccola clinica in cui suor Veronika ope-rava. Cominciarono serie complicazioni, così decise di trasportarlasubito in un ospedale più grande e attrezzato. Era sola, senza esitaresi mise alla guida dell’ambulanza. E da sola stava tornando: alcunisoldati di una pattuglia notturna la uccisero. Insomma, le donne ap-paiono sempre pronte a mettere la propria vita al servizio degli altri,senza alcun calcolo sulla propria sicurezza e pur sapendo di esseresoggetti particolarmente fragili, come lo sono in quelle condizionianche gli anziani e i bambini».

Poi ci sono esempi di immensa fierezza e dignità, anche quandoc’è chi vorrebbe cancellare ogni traccia di identità umana: «Suor Re-stituta Kaffa, austriaca, lavorava nell’ospedale di Mödling pressoVienna. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel1938, cominciò a opporsi al nazionalsocialismo continuando a esporreil simbolo della Croce contrapponendolo alla svastica. Alla fine ven-ne arrestata, processata per alto tradimento, decapitata il 30 marzo1943. Ebbe la forza di cantare alcuni inni religiosi poco prima di mo-rire insieme ad altri condannati a morte cattolici. E l’umiliante impo-sizione di dover indossare un vestito di carta al posto dell’abito pri-ma del patibolo, non piegò la sua forza»

Poi ci sono realtà in cui la questione religiosa si intreccia a quellasociale, spiega don Angelo: «In Pakistan i cristiani appartengono allefasce socialmente bassissime della popolazione. E così le donne cri-stiane sono soggette a violenze, soprusi, conversioni forzate, a cosid-detti “matrimoni riparatori”. Atti che suscitano spesso la riprovazionee la condanna delle stesse autorità islamiche locali. Materia comples-sa: persino da noi in Italia il matrimonio riparatore è scomparso nonda molto tempo, e c’è voluta la rivolta di Franca Viola per cambiarele cose».

In quanto al mondo islamico, non è sinonimo di inimicizia. Anzi,il contrario, racconta don Romano: «Molto esemplificativa la storiadi suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata a Mogadiscio.Alle 12.30 del 17 settembre 2006 aveva da poco finito la lezione allaScuola infermieri che lei aveva fondato all’ospedale di Mogadiscio.Appena uscita, venne uccisa da sette proiettili sparati da una bandaarmata. La sua guardia del corpo e autista, Mohamed Mahamud,musulmano, papà di quattro figli, tentò di farle da scudo e di difen-derla ma morì con lei».

In tutto questo, la Rete ha un suo peso: «Viviamo in un mondocomplesso. La globalizzazione, accanto alla contemporaneità e allenuove tecnologie, pone anche mondi arcaici. Realtà che un temponon avrebbero potuto interagire, oggi si confrontano. Un quadronuovissimo che alimenta conflitti ed estremisti»

E a proposito di contemporaneità, l’idea di martirio non appareantica, desueta, lontana dai nostri tempi? Don Angelo Romano è si-curissimo del contrario: «Le storie dei martiri moderni, donne e uo-mini, sono sempre bellissime. Nessun protagonismo, nessuna ricercadella morte a tutti i costi ma un amore che splende, che rischia e nonsi ferma di fronte a niente. Vite che ci parlano di Gesù, del suo mes-saggio di salvezza e di redenzione. Basterebbe uno solo o una sola diquesti martiri di oggi per mostrare eccezionalità, straordinarietà, irri-petibilità. C’è un mistero della Grazia che agisce e che parla ai giova-ni di oggi, che spesso restano affascinati da biografie che non sonodi sconfitti ma di vincenti. In fondo anche la stessa figura di Gesùpotrebbe apparire quella di un perdente, di uno sconfitto. Invece c’èla vittoria della Risurrezione. La stessa Croce, nata come strumentodi morte, è diventata un simbolo di vita eterna. Tertulliano sostenevache il sangue dei martiri è il seme per la crescita di nuovi cristiani. Ione sono più che convinto»

Icona dei Nuovi Martirinella Basilica

di San Bartolomeo a Romadipinta da Renata Sciachi

A pag. 12il rettore

don Angelo Romano(foto Marco Pavan)

«Ci sono realtàin cui la questionere l i g i o s asi intrecciaa quella socialeLe cristianesono soggettea violenze, soprusi,conversioni forzate,a “matrimonir i p a ra t o r i ”.Atti che suscitanospesso riprovazionee condannadelle autoritàislamiche locali»

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Il corpo delle donnecome campo di battagliaLeonella, Olga e purtroppo tante altre: uccise fisicamente e nell’anima

di MARIE CI O N Z Y N S KAe ROMILDA FE R R AU T O

Perché parlare dei martiri al femmi-nile? Una «internazionale dell’umi-liazione delle donne», ecco come labiblista francese Anne-Marie Pellet-tier definisce «la barbarie che colpi-

sce per prime le donne, laddove imperversa laguerra». Se è vero che occorre tener conto dellesituazioni storiche e dei condizionamenti socio-culturali, è altrettanto vero che le donne sonogeneralmente più maltrattate degli uomini. Maè nel rapporto con il corpo che si constatanospecificità più femminili. Quanti corpi di donneabusati nelle loro componenti materna e sessua-le, profanati, mutilati, esposti, esibiti, per diso-norarli, persino dopo la morte? Quanti tentatividi fare del corpo delle donne un campo di bat-taglia, fatto che ricorda che le forze dell’odio siriconoscono dal loro accanimento nel volere di-struggere la bellezza e la vita? Nessun martiro-logio può pretendere di essere esaustivo, tanto imartiri abbondano, ma le storie riportate di se-guito tratteggiano l’infinita gamma della resi-stenza spirituale al femminile.

Sulla piccola isola Tiberina, nel cuore di Ro-ma, la basilica di San Bartolomeo è dedicata al-la memoria dei nuovi martiri del XX e XXI seco-lo. È lì che dal 2008 è conservata la croce diLeonella Sgorbati, assassinata due anni prima aMogadiscio. Questa religiosa italiana, missiona-ria della Consolata, infermiera prima in Kenyapoi in Somalia, è stata uccisa da terroristi isla-mici, in una paese lacerato dalla guerra civile,dalla carestia, dal banditismo e dal fondamenta-lismo religioso. Era appena uscita dall’osp edalepediatrico per ritornare al suo convento, a po-chi metri da lì. Era in compagnia della suaguardia del corpo, un musulmano, ucciso anchelui, in strada. Suor Leonella era andata a Moga-discio per aprire una scuola per infermiere, persoddisfarne il crescente bisogno. «Donna didialogo», dotata di un cuore «extra-large», svol-geva la sua missione sempre con il sorriso sullelabbra, «lo sguardo rivolto al futuro». Quandole consorelle esprimevano la loro preoccupazio-ne per la sua sicurezza, rispondeva: «Io mi sonodonata al Signore, Lui può fare di me quel chevuole». In un’intervista, poco prima della suamorte, aveva detto: «C’è un proiettile con il mionome scritto sopra e Dio solo sa quando arrive-

MARTIROLO GIO

rà». Le sue ultime parole, prima di morire, sonostate: «Io perdono, perdono».

È sempre in un contesto di guerra civile chesettant’anni prima, alla fine del 1936 a Madrid,María Carmen Lacaba Andía viene uccisa in-sieme ad altre tredici religiose dell’ordine dellefrancescane dell’Immacolata Concezione. Lequattordici religiose contemplative non sonomorte lo stesso giorno e nello stesso luogo, masono state tutte uccise per la loro condizione divita e la loro totale adesione a Cristo e allaChiesa. Suor María Carmen Lacaba Andía vive-va in un monastero di contemplative sulla lineadel fronte che separava le truppe nazionaliste anord da quelle repubblicane a sud. Quando iconventi erano presi d’assalto dalle milizie re-pubblicane e dalle bande di anarchici, al gridodi morte alle religiose, le comunità si disperde-vano e le suore si rifugiavano nelle case vicine.Se venivano scoperte, erano sottoposte a umilia-zioni e vessazioni per spingerle all’ap ostasia.Madre María Carmen invece aveva deciso di re-stare con le compagne più anziane, tra le qualiun’invalida. Un testimone ha raccontato chemadre María Carmen e le sue compagne furonouccise in una piazza di Madrid, una ad una.Madre María Carmen, che fu l’ultima, cercò fi-

no alla fine di confortare le altre sussurrando lo-ro che stavano andando incontro al loro sposoceleste, Cristo Re.

Avevano donato la propria vita all’Africa eavevano scelto di restarvi fino alla fine, piutto-sto che trascorrere gli anni della vecchiaia tran-quillamente in Italia. La loro era stata un sceltalucida. Nel giugno 2013, ossia un anno primadella sua morte, suor O lga Raschietti avevaconfessato a un’altra suora: «Ho quasi ot-tant’anni. L’ultima volta che sono tornata inItalia, i miei superiori erano indecisi se lasciarmiritornare in Burundi. Un giorno, durante l’ado-razione [eucaristica] ho pregato: “Gesù, sia fattala tua volontà, ma tu sai che io voglio tornarci”.E ho sentito chiaramente queste parole nellamia testa: “Olga, pensi di salvare l’Africa?L’Africa è mia. Comunque sono contento che tuparta; vai a donare la tua vita!”. Da allora nonho più avuto il minimo dubbio». Un anno do-po è stata ritrovata malmenata e sgozzata accan-to a suor Lucia Pulici, 75 anni, nel loro conven-to di Kamenge, quartiere povero della capitaledel Burundi, Bujumbura. Come B e r n a rd e t t aBogian, 79 anni, assassinata il giorno dopo.Quest’ultima aveva scritto, poco prima di mori-re: «Nonostante la situazione complessa e con-

Murales raffigurante suor Maura Clarke e le martiri del Salvador (Wikipedia)

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flittuale nella regione dei Grandi Laghi, perce-pisco la presenza del regno dell’amore che sisviluppa, crescendo come un granello di senape,da un Gesù presente per tutti».

Si dice che suor Maura Clarke abbia com-piuto una rivoluzione del Vangelo. Appartenen-te alla comunità irlandese di New York, ha par-tecipato alle marce per la liberazione dei piùpoveri negli anni Settanta in America centrale.Suora domenicana missionaria di Maryknoll,Maura Clarke difendeva i contadini e gli emar-ginati, nel solco del concilio Vaticano II, al tem-po in cui gli squadroni della morte seminavanoil terrore. Insieme ad altre due religiose e unalaica, fu violentata ed uccisa da militari salvado-regni, in una afosa notte di dicembre del 1980,poco tempo dopo l’assassinio del vescovo ÓscarRomero. Secondo diverse indagini, l’assassiniodelle quattro missionarie era stato commissiona-to da alti responsabili della Guardia nazionale.Ma solo gli esecutori materiali sono stati con-dannati. Due generali coinvolti sono emigrati inFlorida. Maura Clarke era nota per il coraggio el’incrollabile fede che l’avevano spinta a lasciare

che la importuna da tre anni. Quell’uomo pur-troppo l’aspettava sotto casa. Colpito da turbepsichiche, Giuseppe era stato espulso dal semi-nario e aveva cominciato a prendersela con icredenti. Inviava a Santa lettere deliranti e mes-saggi blasfemi. Le chiedeva di rinunciare a Dioper dedicarsi a lui. Una volta aveva addiritturacercato di violentarla. E finirà con l’ucciderlacolpendola ripetutamente con un coltello. Santa

Subito, il documentario dedicato alla giovane, hacommosso gli spettatori in Italia ed è stato pre-miato al Festival del Cinema di Roma 2019.

In Messico si dice che fa parte di una listanera: quella dei giornalisti assassinati dai cartellidella droga, come rappresaglia per il loro impe-gno nelle reti sociali. Aveva 39 anni e due figli,era caporedattore del giornale «Primera Hora»,a Nuevo Laredo, città nota per essere la sededella «guerra dell’erba», nome dato agli scontritra i cartelli che rivaleggiano per ottenere il mo-nopolio del traffico della droga. Ma molti la co-noscono con lo pseudonimo, «La Nena de La-redo», nome di penna della giustiziera masche-rata, con la verità come unica arma. Con altri,

postava regolarmente informazioni sul traffico,per cercare di prevenire le violenze e di aiutarela polizia, nel sito collaborativo locale. Il 22 set-tembre 2011, Maria Elisabeth Macías Castro,laica della comunità delle Missionarie di SanCarlo, veniva rapita da uno di quei cartelli. Èstata ritrovata due giorni dopo, decapitata eatrocemente mutilata, in una strada trafficata diNuevo Laredo, accanto a una tastiera da com-puter e una nota: «Sono la Nena di Laredo esono qui a causa dei miei articoli (on line) e deivostri».

Ha resistito all’odio fino alla fine quest’altragiovane, dando prova di una maturità spiritualestraordinaria. «Grazie a Dio, grazie alle vostrepreghiere, mi sono lasciata cullare teneramente.Ho visto la luce nelle tenebre e ho imparato chepersino in carcere si può essere liberi. Sono gra-ta per questo. Mi sono resa conto che c’è delbuono in ogni situazione, a volte basta cercar-lo». Queste parole strazianti e piene di luce leha scritte dal carcere ai suoi genitori Ka y l aM u e l l e r, attivista protestante evangelica di 25anni rapita dai miliziani dell’Is, poco prima di

la tranquillità e le tradizioni dell’ambiente dacui proveniva. Nel corso di una conversione spi-rituale e umana, si era messa dalla parte dei piùbisognosi. «La mia paura della morte — affer-mava — è costantemente sfidata quando bambi-ni, adorabili ragazze e anziani vengono uccisicon armi da fuoco, o alcuni a colpi di machete,e i loro corpi vengono gettati in strada, con ildivieto per le famiglie di sotterrarli».

Lontano dagli orrori della guerra civile, San-ta Scorese era una studentessa e attivista cattoli-ca italiana, che aveva deciso di diventare missio-naria. Aveva 23 anni quando è stata assassinatada uno psicopatico. Era il 1991, vicino Bari, nelsud dell’Italia. La sera della sua morte, Santaera andata a visitare una famiglia a cui offrivaassistenza materiale e spirituale. Aveva poi rag-giunto i giovani dell’Azione cattolica per un in-contro di catechesi. Le attività di quell’ultimaserata costituiscono il suo testamento spirituale:carità e formazione cristiana. Alle 22, quando isuoi amici si offrono di accompagnarla a casa,lei rifiuta, aggiungendo che la cosa peggiore chele può capitare è d’incontrare Giuseppe, l’uomo

Bernadetta Boggian ( Ansa)A sinistra, Etty Hillesum (Wikipedia)

Suor Olga Raschietti (Ansa);a sinistra, Maria Elizabeth Macias Castro (Fair use);sotto, Kayla Mueller (Ansa)

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La fede in quanto virtù teologale è un dono di Dio. Questo dovrebbe aiutarcia comprendere che non possiamo gestirla come qualcosa di nostro,pretendendo di averla o non, ma solo impegnarci ad accrescerla con speranza,carità e preghiera. Anche per questo non è semplice esserne autenticitestimoni, specie al giorno d’oggi. Il mondo in cui viviamo, infatti,si va progressivamente svuotando di valori che ci aiutavano a vivere consperanza e ad avere uno sguardo che andava oltre ciò che si poteva vedere.La fede dei nostri nonni e genitori era una testimonianzaed un aiuto per chi si affacciava alla vita. Oggi non più. Chi vuole essereesempio di fede in questa società globalizzata va incontro a persecuzioni,poiché è più facile seguire le mode e non ciò che dà senso alla vita.La fede, però, non si applica alle idee o alle persone. Fede non è “fedeltà”,a qualcuno, ma è “a l t ro ”: è affrontare — credendo in Colui che è veramentefedele — qualsiasi avversità, sapendo che — vada come vada — saremo salvati.Al presente chi manifesta il proprio credo religioso è sbeffeggiato, isolato,umiliato e perfino ucciso. Ma la grande assurdità è che attestarela propria fede — soprattutto per i cristiani, adesso i più perseguitati —comporta oppressione e morte anche nei paesi più sviluppati.Donne e uomini vivono quotidianamente questo martirio, costretti

anche all’apostasia senza chenessuno faccia nulla, nella totaleindifferenza di chi vi assiste.Per le donne, poi, tutto sitrasforma in un film dell’o r ro re :picchiate, stuprate, esposteal pubblico ludibrio e infineuccise perché doppiamentecolpevoli: donne e cristiane, eperché le madri sono in assoluto

le prime catechiste.Nessuna di loro cerca la morte, così come si ordinava ai primi cristiani, ed èsempre lei a sorprenderle inermi mentre cucinano, lavano o accudiscono ibambini. Molti pensano che non si può perdere la vita per qualcosa di“intangibile”: è da pazzi. E così per tante persone la fede diventa abito daindossare nel privato, per non perdere la faccia.Anche i giovani fanno fatica a testimoniare ciò in cui credono, e chi lo fa vacontro corrente.Ma la fede è una sfida quotidiana anche per chi si è consacrato a Dio.Non sono poche le contraddizioni e le ragioni opposte alla carità ed allafraternità, ed è forte la voglia di prevalere sugli altri con la scusa del “p otere”.Anche in questo caso sono le donne ad essere più vessateperché ricattabili psicologicamente. Perciò c’è chi continua a camminare confede e chi non ne può più. «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quandosubite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messaalla prova, produce pazienza» (Gc 1, 2-3). Nessuno più vuole abbracciare lafollia della Croce?

*Suore Figlie di Gesù, docente stabile di Teologia spirituale e Storia della Spiritualità

- Pontificia Università Urbaniana, Roma

TRIBUNA A P E R TA

Essere testimone di fedeè una sfida quotidiana

perdere la vita in circostanze mai chiarite. Lalettera è stata consegnata ai genitori in seguito,da un ex ostaggio liberato. Lei che, sul suoblog, dichiarava di voler essere «attiva nel mon-do per fare il bene», prima di recarsi in Siriaaveva lavorato in una clinica per sieropositivinella città natale di Prescott e in un centro diassistenza per donne senzatetto. «Trovo Dio ne-gli occhi sofferenti che si riflettono nei miei»,aveva spiegato al padre. E da allora, aveva deci-so di non abbassare lo sguardo davanti alle sof-ferenze dell’umanità. Ex compagne di cella ya-zide hanno raccontato che non ha mai accettatodi rinnegare la sua religione, e che, persino do-po essere stata più volte abusata dal capodell’organizzazione terroristica, la sua preoccu-pazione era di proteggere le altre prigioniere,condividendo con loro il suo cibo.

Nel momento in cui, come scrive Anne-MariePelletier, «il crollo di modelli identitari tradizio-nali del maschile tendono a riabilitare, per con-traccolpo, una figura di virilità conquistatrice,che esibisce la forza dei propri muscoli, vive nelrapporto di forza, e pertanto nel disprezzo ditutto ciò che ha volto di femminilità attenta allavulnerabilità dell’altro», ognuna di queste mar-

tiri offre, come contrappunto, un modello dieroismo femminile intessuto di resistenza,d’istinto protettore e di amore per la vita, piùforte degli atti di forza e più forte persino dellamorte. Meditando su Etty Hillesum giovanedonna ebrea e mistica, morta ad Auschwitz a 29anni, la biblista s’interroga: «Sarebbe indebitosottolineare che c’è in lei una nota particolare eprofondamente femminile, quando passa da un“Dio che aiuta” alla sua decisione di “a i u t a reD io”?». E conclude: «Bisogna forse essere don-ne per giungere a questo estremo di semplicitànella relazione con Dio».

Questo articolo è dedicato anche a suor Jeanne

Yegmane, suor Clémentine Anuarite, suor Denise

Kahambu Muhayirwa, suor Angelina, suor Clara

Kahambu, Luisa Guidotti Mistrali, Marta Obre-

gon, Daphrose Rugamba, le sei donne martiri d’Al -

geria, Raghada al-Wafi e le vittime dell’attentato

nella cattedrale di Baghdad, suor Marguerite Bartz,

suor Valsha John, suor Lukrecija Mamic, suor Gi-

na Simionato, suor Liliana Rivetta, Anne Thole,

Shama Masih, Mariah Manista, suor Mary Tacke,

suor Irma Francisca, suor Paula Merrill e suor

Margaret Held, e tutte le altre.

di CAT E R I N A CIRIELLO *

Suor Leonella Sgombati (Ansa)

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Il pluralismoè scritto nel CoranoIlhamAllah Chiara Ferrero, segretario generale della Coreis

di FEDERICA RE DAV I D

«M i sono convertita24 anni fa, in tem-pi più tranquilli.Papà, docente difilosofia all’Uni-

versità di Genova, studiava Dante e l’Islam; conlui ho conosciuto il padre del mio futuro mari-to. La mia conversione ha a che fare con l’amo-re, con la fede e con la curiosità intellettualeche ho ricevuto in dono dai miei genitori».

A parlare è IlhamAllah Chiara Ferrero, segre-tario generale della Coreis, la Comunità religio-sa islamica italiana presieduta da suo maritoYahya Sergio Yahe Pallavicini, Imam della mo-schea Al-Wahid di Milano e figlio del fondato-re .

La Coreis è fortemente impegnata nel campo del dialogo

interreligioso, con una storia di intensa interlocuzione con

la Santa Sede. Come procede?

Quando Papa Francesco è stato eletto, connostro figlio ci siamo trasferiti a Roma per es-sergli più vicini, per la grande apertura che hamostrato fin dall’inizio. È una strada difficile, la

sua, non sempre condivisa. Vogliamo sostenerlo,gli siamo grati per aver dato il coraggio a moltivescovi e sacerdoti di compiere azioni nuove inquesta direzione.

Lo ha incontrato personalmente?

Due volte in Vaticano e avevo sempre il velo,che porto solo quando prego o in contesti reli-giosi: con una delegazione internazionale pocodopo il suo insediamento e per una conferenzaalla fine del giubileo della misericordia. Abbia-mo parlato, sono stati momenti belli; il Papa ri-corda e saluta sempre con grande affetto miomarito. Un altro momento significativo è stato aGerusalemme durante la visita del Papa nel2014.

Papa Francesco pone spesso l’attenzione sul sacrificio dei

cristiani perseguitati nel mondo.

Voglio esprimere il mio pieno sostegno allepersone perseguitate e la totale condanna di chifa loro violenza. Il dramma è l’Islam politicizza-to che usa la religione per fomentare un nazio-nalismo che non ha senso nel mondo globaliz-zato. Si comincia invitando insistentemente allaconversione gli studenti di altre fedi nelle scuolee si arriva alle persecuzioni. È l’esclusivismo

confessionale che porta alla violenza, l’identitàreligiosa non è di per sé estremista. Se si conti-nua a dare la colpa alle religioni, in fondo simisconosce la loro funzione di avvicinamento alDio Unico.

Chi altro va chiamato in causa?

In alcuni contesti, il problema è lo Stato; inaltri, sono i movimenti politici islamisti estremi-sti che mettono in atto comportamenti persecu-tori per destabilizzare la società e chi la go-verna. Mi dispiace che il mondo politico occi-dentale non riconosca che si tratta di questionipolitiche. Si è un po’ strizzato l’occhio ad alcu-ni di questi movimenti: da una parte perché fa-ceva comodo che destabilizzassero il potere cen-trale; dall’altra perché, presentandosi comeesclusivi e verticistici, sono sembrati interlocuto-ri più accessibili per chi aveva difficoltà a con-frontarsi con una realtà plurale come la comuni-tà islamica.

Come se ne può uscire?

Il dramma è anche nella difficoltà di una co-munità religiosa che non riesce a gestire una si-tuazione non più attinente al sacro. Gli Statisfruttano la religione a fini di potere per coprirecrisi di identità, quando invece dovrebbero ga-rantire il pluralismo come è scritto nel Corano.Ricordiamo le origini dell’Islam, i diversi scam-bi proficui del Profeta Muhammad con i cristia-ni. E Omar, il secondo Califfo, che quando en-trò a Gerusalemme, visitò il Santo Sepolcro marifiutò di pregare lì, perché voleva preservarequel luogo per i cristiani, evitare che si prendes-se la sua preghiera a pretesto per costruirci unamoschea. Del resto è sempre accaduto che ci siospitasse nei luoghi di culto fra diverse religio-ni, in caso di necessità. E nel mondo islamico cisono molti esempi di chiese e sinagoghe vicinoalle moschee: sono queste le immagini che do-vremmo mostrare. Purtroppo però, molte chiese

IlhamAllah Chiara Ferrero e il marito imam Yahya Sergio Pallavicini con Papa Francesco il 3 novembre 2016

L’I N T E R V I S TA

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RETE INTERCONFESSIONALE

Unite contro la trattaLaiche e religiose di ogni credo con Thalita Kum. Il doc Wells of Hope

Sono i campi profughi, i serbatoi dove vannoa rifornirsi più facilmente i trafficanti: guerre, fa-me, cambiamenti climatici, provocano il costanteaumento del fenomeno a livello globale, ragionper cui, anche la rete delle donne si allarga, ed èprossimo il coinvolgimento dell’Egitto nel pro-getto.

Nassim Alwan, artista e cantastorie, responsa-bile della biblioteca del villaggio di Mtein nelMonte del Libano, affollato di rifugiati, svolge la

sua opera di prevenzione raccon-tando tragedie di vita vissuta,

come quella che fa da filoconduttore al documen-

tario di Lia GiovanazziBeltrami per AuroraVision: Shaima fuggedalle bombe in Siriacon la sua famiglia,perde il padre, finiscein un campo profughiin Libano dove l’unicacosa che le permette

di vedere il mondo fuo-ri dalla tenda è un cellu-

lare; lì, via Facebook, in-contra il ragazzo turco che

le manda dei soldi, la sposae la porta via, poi la droga,

vende il suo corpo, e, quandoper il sesso non serve più, lo

getta in un campo: un corpo vuoto, perché i suoiorgani sono stati venduti.

Wafa Makhamreh ed Esraa Alshyab mostranoil luogo della coabitazione interconfessionale: ilsantuario di San Giorgio, nel villaggio di Mahes,dove si affiancano una parete per il culto cristia-no e una con le sure del Corano. Il Medio orien-te, ricorda suor Gabriella, «è terra d’incontro». EWafa precisa che è da lì, nel Discorso della mon-tagna, che «Gesù, disse Beati i costruttori di pa-

ce»; mentre Esraa sottolinea come l’Islam sia «re-ligione di pace e di perdono: la parola pace, “sa -lam”, ha la stessa radice di Islam». E racconta:«In Libano, Siria, Giordania, Palestina, ho lavo-rato con molte suore, attiviste, femministe, mi so-no esposta alle culture diverse di donne leadernel mondo arabo che possono portare importanticambiamenti». Sono vicini i villaggi di Wafa edEsraa, maggioranza cristiana nel primo, musul-mana nel secondo, «ma non sentiamo la diffe-renza, partecipiamo gli uni alle feste degli altri»,dice Wafa, impegnata attivamente da 7 anni peril dialogo interreligioso e «l’i n t e rc o n n e s s i o n e » .Ed Esraa ringrazia la sua mamma, «che, rimastasola con cinque figlie, è stata anche padre e fra-tello e ci ha trasmesso la fatica delle donne perl’emancipazione, ma anche la pace interiore, lacondivisione, la convivialità». (f . r. d . )

Per chi vuole sostenere il progetto:h t t p s : / / d o n o r b o x . o rg / w e l l s - o f - h o p e

in Medio Oriente si svuotano a causa della dia-spora dei cristiani provocata dagli attentati, checolpiscono anche i musulmani.

Al martirio che toglie la vita, si aggiungono stupri e vio-

lenze. Il contrasto agli abusi sessuali mette le donne di

ogni fede di fronte a un unico nemico?

Occorre che le religioni facciano delle campa-gne di educazione, per gli uomini ma anche perle donne. Bisogna insegnare loro a non viverecome sottomissione e accettazione comporta-menti che sono pericolosi, che esulano dalle di-namiche di amore, in cui la religione e i versettidel Corano vengono presi a pretesto. È anchequesto il senso del progetto italiano «Not in myname» contro la violenza di genere, che Coreis,Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e Unio-ne delle comunità ebraiche italiane portanoavanti con il sostegno del Dipartimento per lepari opportunità della Presidenza del Consiglio.Andiamo a parlare insieme nelle scuole: uominie donne, laici e religiosi.

Una donna musulmana in Occidente, oggi, che problemi

incontra nelle relazioni quotidiane?

È faticoso doversi sempre giustificare, doverspiegare continuamente che la nostra religionenon ha una visione negativa delle donne. Parloper l’esperienza italiana che conosco. Io trovosbagliato negare le differenze fra uomo e donnaritenendole causa di diseguaglianze, la diversitàè ricchezza e va riconosciuta. Sono per un’al-leanza fra uomini e donne, non per la competi-zione, altrimenti si va verso un impoverimentodelle identità.

Nonostante sia stata attaccata più volte perquesta posizione, credo fondamentale riconosce-re che uomini e donne possono insieme soste-nersi per una crescita spirituale che sia di ispira-zione per una vera pari opportunità.

Nanssim Alwan, libanese di reli-gione drusa; Wafa Makhamreh,giordana di F’hes, cristiana orto-dossa; Esraa Alshyab, giordanadi Mahes, musulmana sunnita. È

da loro, come da altre donne mediorientali diogni credo, che sgorgano le “Fonti di speranza”da cui lo scorso luglio, è nata Wells of Hope,una delle ultime reti di Talitha Kum, network in-ternazionale della vita consacrata contro la trattaumana. A coordinarla, facendo confluire tutte lefonti in un fiume che scorre dalla Giordania, allaSiria al Libano fino al Mediterraneo, è MarieClaude Naddaf, suora del Buon Pastore in Liba-no.

Si incontrano all’Uisg (Unione internazionalesuperiore generali), a Roma, queste donne, laichee religiose, sorelle e attiviste nella battaglia con-tro un nemico inarrestabile, la tratta di donne,bambini, uomini a volte, privati della libertà etrasformati in oggetti di lucro: abusi sessuali,schiavitù, prostituzione, matrimoni forzati, traffi-co di organi. «Le persone soffrono, non importaquale sia la loro religione», è l’idea che le guida.E annunciano nuove compagne di strada: buddi-ste, induiste, alawite.

«La creatività del bene è contagiosa, noi sia-mo avanti», dice suor Gabriella Bottani, la coor-dinatrice di Talitha Kum, Ufficiale dell’Ordine alMerito della Repubblica italiana per volontà delpresidente Mattarella. I suoi occhi celesti sprizza-no gioia quando racconta di «15.500 persone ac-compagnate in percorsi di recupero, 2.000 coin-volte nelle nostre 53 reti, 235 mila raggiunte dallavoro di prevenzione». È questo che fa, soprat-tutto, Wells of Hope: «Il nostro obiettivo prima-rio è sensibilizzare una massa più vasta possibiledi persone, mostrare loro le tecniche dei predato-ri, proteggerle da altre donne che le manipolanoper alimentare la tratta», spiega suor MarieClaude.

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dalla sua bambina, che verrà adottata da una consorella nella fede.Ancora, il 7 febbraio del 203, a Cartagine, subisce il martirio ungruppo di catecumeni tra cui la giovane madre Perpetua che, assiemealla sua compagna di martirio, Felicita, darà il nome allo scritto chene narra la vicenda: la Passione di Perpetua e Felicita. Si tratta di duegiovani donne, una già madre, l’altra in procinto di diventarlo, chevivono in pieno questa loro condizione. L’una, allatta finché può,durante la detenzione, il suo bambino: «Ho trascorso molti giorni inpreda a queste preoccupazioni finché non riuscii ad ottenere che ilbambino restasse in carcere con me; a questo punto mi risollevai efui liberata dalla pena e dalla preoccupazione per il bambino e il car-

La resistenzadelle prime cristiane

Forti e testimoni di parrhesia cristiana nonostante inumani supplizi

di ANNA CARFORA*

La letteratura martirologica dei primi secoli annovera molte figure fem-minili, alcune delle quali presentano caratteristiche di tutto rilievo.Già nella seconda metà del II secolo vengono consegnate alla memo-ria delle comunità cristiane testimoni del calibro di Blandina che aLione, nel 177 d. C., affronta la morte sostenendo e incoraggiando isuoi compagni. Il suo martirio viene interpretato da chi redige la Let-

tera delle Chiese di Lione e Vienne alle Chiese d’Asia e di Frigia che de-scrive quanto avvenuto in Gallia, nella linea della sequela Christi che,sebbene sia comune a tutti i martiri, è proposta qui con una raffigu-razione cristologica di straordinaria potenza. Si legge, infatti, nel te-sto: «Blandina, dal canto suo, fu sospesa a una traversa e così offertain selvaggia pastura alle fiere che le saltavano addosso. La sua figurasospesa sembrava, allo sguardo, aver forma di croce ed ella inoltre,col suo pregare vibrante, ispirava grande esaltazione nei compagni dimartirio, che durante l’agone scorgevano anche con gli occhi del cor-po, nella figura della consorella, quella di colui che per loro era statocrocifisso, a convincere quanti hanno fede in lui che chiunque patiscaper la gloria di Cristo ha perenne comunanza con il Dio vivente»(Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5,1,41). Blandina, letteralmen-te, sembra qui impersonare il suo Signore e in questo modo vienepercepita dai compagni di fede.

Si incontrano poi, figure di martiri madri, il cui nome appare tra-mandato nel titolo del documento che ne trasmette il ricordo. È ilcaso di Agatonice, di cui testimonia il Martirio di Carpo, Papilo e

Ag a t o n i c e , che affronta il martirio nonostante comporti la separazione

ANTICHE MARTIRI

cere si trasformò immediatamente per me nel mio quartier generale,lì dove preferivo stare più che in qualsiasi altro luogo» (Passione di

Perpetua e Felicita 3, 9). L’altra, Felicita, ha paura delle doglie del par-to più di quanto non tema il martirio. La Passione di Perpetua e Felici-

ta è una delle storie di martirio su cui più si è concentrato un interes-se trasversale, di studiosi di varia provenienza — celebre il saggio adessa dedicato dalla psicologa junghiana Marie Louise von Franz —ma anche di letterati. Il testo è prezioso perché contiene, al suo inter-no, il diario redatto durante la detenzione che, con un consenso pres-soché unanime, si ritiene opera di Perpetua stessa, dunque un raroesempio di scrittura autobiografica femminile e di letteratura di pri-gionia risalente all’età antica. Perpetua costituisce un caso notevolis-simo di parrhesia cristiana, ossia di quella franca disinvoltura con cuisi interagisce con i potenti di questo mondo perché non se ne ricono-sce la signoria; questo in virtù della confidenza con la quale si è in

Sante Felicita e Perpetua

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relazione con Dio. Perpetua infatti resiste a suo padre che tenta difarla recedere dal suo proposito e tiene testa al procuratore rispon-dendogli a tu per tu. Il diario di Perpetua contiene quattro sogni-vi-sione, l’ultimo dei quali la vede trasformata in maschio combatterecontro un egiziano di enormi proporzioni. Attraverso queste visioniPerpetua elabora, con crescente maturazione, il suo stesso martirio enon abbandona il suo essere femminile nemmeno durante la lottacorpo a corpo, in quanto accetta di rivestire un aspetto maschile,adattandosi alle condizioni imposte dal contesto ludico nel quale sicolloca il sogno e che coincide con quello reale dei ludi gladiatorii neiquali troverà la morte, proprio per poter continuare ad essere se stes-sa. I sogni visione di Perpetua, però, non sono soltanto il portato deisuoi vissuti personali; piuttosto ella riceve una sorta di investitura dai

monianza converte la guardia Basilide (Eusebio di Cesarea, Storia ec-

clesiastica 6, 5, 1-6). Eusebio osserva che si trattava di donna moltobella, che aveva subito pesanti molestie a causa di ciò, ma la confes-sione della fede e la conversione di Basilide costituiscono il motivoprincipale per il quale, secondo Eusebio, Potamiena deve essere ri-cordata. La storia ricompare nel V secolo nella Storia Lausiaca delmonaco Palladio, ma appare pesantemente rielaborata: Potamiena èuna schiava che viene fatta imprigionare dal suo padrone in quantonon ha soddisfatto le sue avances sessuali e diventa martire perchédifende fino alla morte la sua verginità, mentre è caduta nell’oblio laconversione di Basilide (Pa l l a d i o , Storia Lausiaca 3, 1-4). Nei raccontidi martirii avvenuti successivamente la verginità diventa un elementocentrale: tra i martiri di Palestina, spiccano le vergini (Eusebio di Ce-

suoi compagni, perché attraverso la visione le si possa rivelare il vole-re di Dio: «Allora mio fratello mi disse: “Signora sorella, hai conse-guito ormai una tale dignità che se chiedi una visione ti sarà mostra-to se ci sarà il martirio o la liberazione”. E io, che mi sapevo in gra-do di conversare familiarmente con il Signore, dei cui grandi beneficiavevo fatto esperienza, fiduciosamente glielo promisi dicendogli:“Domani te lo farò sapere”» (Passione di Perpetua e Felicita 4, 1-2). Ilriconoscimento delle donne in quanto tali e del ruolo da esse svoltonella comunità, senza che siano necessariamente considerate m u l i e re s

viriles, che traspare dalle figure e dai testi considerati, subisce, nei se-coli successivi, consistenti trasformazioni. Il caso della martire Pota-miena, che si verifica ad Alessandria nello stesso periodo di quello diPerpetua, si presta ad illustrare il cambiamento. La martire muoreper testimoniare la sua fede, anzi la si ricorda perché con la sua testi-

s a re a , Martiri di Palestina 7-9) e spesso esse muoiono proprio per di-fendere, come Irene, la loro verginità (Martirio di Agape, Chione ed

I re n e 5,8-6,2). Addirittura le vergini di Antiochia durante la persecu-zione preferiranno il suicidio piuttosto che rischiare la propria inte-grità verginale (Eusebio, Storia ecclesiastica 8, 3-5). Il culmine di que-sto processo è rappresentato dalla figura, soffusa di leggenda, diAgnese. Nel trattato su Le vergini, Ambrogio, celebrandone il marti-rio, affermerà che la verginità non è lodevole perché la si incontranei martiri, ma perché è proprio questa a produrre il martire (A m b ro -gio, Le v e rg i n i , 1,3,10). Un’evoluzione, questa descritta, che offre piùdi un motivo di riflessione.

*Docente associata di Storia della Chiesa, Pontificia facoltà teologicadell’Italia meridionale - sez. San Luigi

Da sinistra:Irene assiste al martirio

delle sorelle Chionia eAgape (miniatura dal

Menologio di Basilio II);Sant’Agnese (Domenichino,1620 circa); la vetrata diSanta Blandina a Lione;

Santi Carpo, Papilo eAg a t o n i c a

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Come lei, solo negli ultimi cinque anni, sono state assassinate al-meno altre 83 testimoni dell’impegno al femminile per la protezionedella casa comune. Un calcolo drammaticamente al ribasso. Spesso,le morti delle attiviste, come le loro storie e coraggio, restano confi-nate nel frammento remoto di globo in cui si sono consumate.

Global Witness — una tra le organizzazioni più rigorose e determi-nate a rompere il black-out informativo — ha registrato 67 ambientali-ste uccise tra il 2015 e il 2018, su un totale di 753, circa il 9 per centodel totale. Nel 2019, le vittime sono state 16 su 142, l’11 per cento, se-condo Front Line Defenders che segue con attenzione la situazionedei difensori dei diritti umani e a loro ha dedicato Hrd Memorial: unmemoriale virtuale, con foto e biografie. A completare la stima, infi-ne, il caso, segnalato da fonti locali, della peruviana Olivia ArevaloLomas, indigena Shipibo di 81 anni, memoria ancestrale della comu-nità, massacrata a Ucayalli il 19 aprile 2018. Per l’anno in corso, inve-ce, le stime non sono ancora disponibili.

Da quando è stata scritta l’enciclica sulla casa comune, in media,ogni tre settimane, è stata massacrata una delle sue custodi. Tante.Sempre meno, però, dei colleghi uomini. «Probabilmente perché neiloro confronti altre armi vengono considerate parimenti efficaci. Co-me lo stupro. Sono tantissime le donne che l’hanno subito come«punizione» per l’impegno civile ed ecologico. «Spesso, inoltre, siprivilegiano gli attacchi alla rete familiare dell’attivista, in particolareai figli», spiega Lorena Cozta di Front Line Defenders. E aggiunge:«Il fatto preoccupante è che la lista di omicidi e attacchi legati alladifesa della casa comune si allunga, anno dopo anno».

Le martiridella terra

Si allunga la lista delle attiviste ambientali uccise per le loro lotte

di LUCIA CAPUZZI

«Èmolto nobile assumere il compito di avere cura del creato con pic-

cole azioni quotidiane. (…) Non bisogna pensare che questi sforzinon cambieranno il mondo. (…) L’esercizio di questi comportamentici restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce a una maggioreprofondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la penadi passare per questo mondo». Non si sa in quale giorno del 2015abbia scritto queste parole. È possibile, però, che quel 24 maggio,poco prima di concludere l’Enciclica, Papa Francesco abbia dato lo-

ro un ultimo sguardo. Tre settimane dopo, il mondo le avrebbe co-nosciute, insieme al resto della Laudato si’.

Di certo a Rosalie Calago, capelli corti neri e occhi color ambra,sarebbero piaciute: la giornalista 45enne credeva fermamente nellaforza, silenziosa e potente, delle «piccole azioni quotidiane». Gesticompiuti non per un’idea ma per restare fedeli alla propria umanità.Per tale ragione, aiutava i contadini dell’isola filippina di Negros abattagliare con la parola e la legge in difesa della loro terra, minac-ciata dai latifondisti locali. I risultati «impercettibili» non la scorag-giavano: non perdeva mai lo slancio e, soprattutto, il buon umore.

Purtroppo, però, Rosalie non è riuscita a leggere le parole profeti-che della Laudato si’. Nelle stesse ore nelle quali il testo veniva conse-gnato per la pubblicazione, un proiettile ha spezzato la sua vita. Ilcorpo carbonizzato è stato trovato il giorno dopo, accanto a quellodel marito Endric, nella casa di Tacpao.

CINQUE ANNI FA LA «LAU D AT O SI’»

Berta Caceres con Papa Francesco il 28 ottobre 2014. Pochi mesi dopo fu uccisa

Una stragesilenziosaINDIA

• Lalita• Anjuma Khatun• Snowlin• Jancy Rani

COLOMBIA

• Wallis Del CarmenBarrionuevo Posso

• Cecilia Coicue• Adenis Jiménez

G u t i é r re z• Ruth Alicia López

Guisao• Ya n e t h Alejandra

Calvache Viveros• Yo r i y a n i s Isab el

Vernal Varela• Maricela Tomb é• Ofelia María

Mosquera Usuya• Efigenia Vasquez

Astudillo

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La strage si concentra in America latina e nel sud-est asiatico, Fi-lippine in testa. L’Africa resta fuori dai radar per la difficoltà di ac-cesso ai dati. In ogni caso, la mappa della violenza è sovrapponibilea quella delle «frontiere estrattiviste» situate nel Sud del mondo.Porzioni di pianeta viste, in base alle lenti deformate del paradigmadominante, come «dispense di risorse» da saccheggiare. Serbatoi dimaterie prime a basso costo — e basso grado di lavorazione — per ilmercato internazionale. Territori e popoli sono sacrificati sull’a l t a redel dio-profitto-illimitato per le imprese, nazionali e multinazionali, ei loro «protettori» politici. In tali contesti, prestare orecchio, mani ecuore al grido della terra, madre e sorella, e delle genti che la abitano— dare, cioè, volto, per quanto imperfetto, alla Laudato si’ — significaopporsi a interessi miliardari. E il prezzo da pagare è alto.

Lupita — Guadalupe Campanur — sapeva bene che cosa rischiavaquando, nel 2011, ha scelto di diventare la prima donna guardaboschidel popolo Cherán, nello Stato messicano di Michoacán. Una regio-ne dilaniata dalle mafie del narcotraffico. Per anni, queste ultime ave-vano abbinato al fiorente commercio internazionale di coca, il traffi-co di legname pregiato. Gli alberi erano caduti, uno dopo l’a l t ro :ogni sera, tra i cento e i 200 camion lasciavano la valle carichi ditronchi. Insieme alla terra, l’avanzata del crimine organizzato lacera-va il tessuto sociale. Omicidi, reclutamento forzato, estorsioni eranoall’ordine del giorno. C’era anche Lupita il giorno in cui gli indigeniCherán hanno pronunciato il loro irrevocabile «Ya basta». E si sonoribellati ai narcos. Data l’inerzia o, spesso, la connivenza delle autori-tà, le cinquanta comunità native si sono auto-organizzate e hanno ri-conquistato i boschi ancestrali, trasformati in lande desolate dai ta-gliatori illegali. Le distese brulle hanno ripreso a ricoprirsi di pinigrazie al sistema di gestione e vigilanza locale inventato dai Cherán.

Il loro esempio è diventato sinonimo di resistenza dal basso ai boss.Insieme alle altre «guardie indigene», Lupita vegliava sugli alberi. Esulla rinascita della comunità. Lo ha fatto fino al 16 gennaio 2018quando è stata sequestrata, picchiata e strangolata alla periferia diChilcota. Prima di lei, era toccato ad altri 18 nativi. Una volta, nelcorso di un’intervista, le hanno domandato il perché delle sue scelte.La sua risposta è diventata un manifesto d’azione per le donne Che-rán: «Non mi piace starmene ferma, con le braccia conserte. Quandoposso aiutare lo faccio, a costo di andare controcorrente. Fra i boschimi sento piena, felice. Perché so di fare qualcosa di bello per la miacomunità».

«Qui è molto facile essere uccisi. Se andiamo avanti è grazie allaforza che ci proviene dai nostri antenati, eredità di migliaia e migliaiadi anni di resistenza, di cui siamo orgogliosi», diceva Berta Cáceres,attivista Lenca, popolo di poco più di 400 mila persone dell’Hondu-ras occidentale. I Lenca si considerano i «guardiani» della natura.L’acqua — spiegava, spesso, Berta — racchiude l’essenza della femmi-nilità. Alle donne dell’etnia, l’incarico, dunque, di proteggerla. Perquesto, aveva fondato il Consiglio dei popoli indigeni dell’Honduras(Copinh) e coordinato la battaglia nonviolenta contro la maxi-digadi Agua Zarca, che avrebbe lasciato a secco migliaia e migliaia di fa-miglie. Per oltre un anno, nel 2013, Berta ha dormito accampata sullerive del Gualcarque, a capo del presidio che bloccava l’accesso al fiu-me. La determinazione dei nativi ha spinto i finanziatori stranieri delprogetto alla resa. E Berta è stata insignita, nel 2015, del PremioGoldman per l’ambiente, il “Nobel ecologista”. Nemmeno la notorie-tà internazionale è riuscita, però, a salvarla. Il 2 marzo 2016, è statacrivellata di proiettili nel suo letto di La Esperanza. Quattro mesi do-

Macarena Valdes(HRD memorial)

a destra, Nilce De SouzaMa g a l h ã e s

(HRD memorial)e Olfelia Mosquera Usugo

( Fa c e b o o k )

Guadalupe Campanur( Tw i t t e r )sotto, Juana Raymundo(HRD memorial)Efigenia Vasquez Astudillo( Tw i t t e r )

• Yolanda Maturana• María Del Carmen

Moreno Paez• Oneida Epiayú• Cristina Bautista• María Nelly Bernal

Andrade• Maritza Quiroz

Leiva• Lilia Patricia García• Concep ción

C o r re d o r

GUAT E M A L A

• Laura LeonorVázquez Pineda

• Rosalinda Pérez• Juana Raymundo• Diana Isabel

Hernández Juárez• Paulina Cruz Ruiz

BRASILE

• Jane Julia Oliveira• Terezinha Nunez

Meciano• Leidiane Drasdroski

Machado• Sônia Vicente Cacau

Gavião• Kátia Martins• Francisca Das

Chagas Silva• Iraúna Ka’ap or• Nilce de Souza

Magalhães• Maria das Dores dos

Santos Salvador• Samilla Letícia

Souza Muniz

• Maria da LurdesFernandes Silva

• Leidiane SouzaS o a re s

• Cleidiane AlvezTeo doro

• Marinalva SilvaSouza

• Zilquenia MachadoQ u e i ro z

• Edilene MateusPorto

• Dilma Ferrera Silva• Rosane Santiago

Silveira

FILIPPINE

• Jennifer Albacite• Maikinit Goyoran• Rosalie Calago• Carolina Arado• Baby Mercado• Cora Molave Lina• Mia Manuelita

M a s c a r i ñ a s - G re e n• Elisa Badayos• Lucila Vargas• Leonila Tapdasan

Pe s a d i l l a• Benilda Santos• Gloria Capitan• Beverly Geronimo• Arlyn Almonicar• Angelife Arsenal• Joemarie Ogahayon• Janeth González

Lóp ez• Jean Plabial

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po, il 6 luglio 2016, è toccato all’amica e compagna di lotte LesbiaUrquía.

Anche Dilma Ferreira da Silva combatteva le dighe. Il ciclopicoinvaso di Tucuru, in Amazzonia brasiliana, l’aveva costretta a lasciarela sua terra, insieme a 30 mila famiglie del Pará e a trasformarsi, an-cora bambina, in profuga nel proprio Paese. Dilma aveva sperimenta-to il calvario di chi è eternamente «di troppo» perché ha perso il suoposto nel mondo. Il dolore, però, in lei, era diventato energia per ri-vendicare tutele per tutti gli sfollati delle dighe. Il 22 marzo 2019,una pugnalata, inferta dopo ore di tortura, ha arrestato il suo cuore,quello del marito, Claudionor, e dell’amico, Hilton. Aveva 47 anni edè stata la prima attivista uccisa in Amazzonia nell’anno del Sinodo.

«Se soffri il caldo pianta un albero, se ami la vita pianta molti al-beri», era solita ripetere Diana Isabel Hernández Juárez. Non era unmodo di dire. La gran parte delle foto pubblicate sul suo profilo Fa-cebook la ritraggono intenta a rinverdire le colline ferite dai traffican-ti di legname di Santo Domingo, nel Guatemala occidentale. I capel-li ebano coperti da un cappello da basket, le mani sigillate in guantida lavoro, Diana Isabel sorride circondata da una schiera di bambinie adolescenti, alunni o fedeli della parrocchia di Nostra Signora diGuadalupe, dove era responsabile della Pastorale per la custodia delCreato. «Dio ci parla di continuo nelle Scritture e nella natura», di-ceva ai ragazzi che formavano la «Brigata di riforestazione» da leicreata. Doveva parlare della Parola e del suo incarnarsi nella Creazio-ne quella domenica 7 settembre dello scorso anno, che la diocesi ave-va dedicato alla Bibbia. Non ha potuto farlo. Durante la processionedella vigilia, una raffica di mitra le ha spento la voce. Diana Isabel,però, continua a parlare negli alberi che i «suoi» giovani si ostinanoa piantare.

In occasione della Festa della Donna, l’Unione mondiale delleOrganizzazioni femminili cattoliche (UMOFC), assieme a donne di altre fedi,hanno riconfermato il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e

la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da PapaFrancesco e dallo sheikh Ahmad al-Tayyeb, rileggendolo in una prospettivafemminile.Parlando del viaggio negli Emirati Arabi Uniti, il 6 febbraio 2019 nell’udienzagenerale Papa Francesco ha detto: «Per la prima volta un Papa si è recatonella penisola arabica. E la Provvidenza ha voluto che sia stato un Papa dinome Francesco, 800 anni dopo la visita di san Francesco di Assisi al sultanoal-Malik al-Kamil. Ho pensato spesso a san Francesco durante questoViaggio: mi aiutava a tenere nel cuore il Vangelo, l’amore di Gesù Cristo,mentre vivevo i vari momenti della visita; nel mio cuore c’era il Vangelo diCristo, la preghiera al Padre per tutti i suoi figli, specialmente per i piùpoveri, per le vittime delle ingiustizie, delle guerre, della miseria…; lapreghiera perché il dialogo tra il Cristianesimo e l’Islam sia fattore decisivoper la pace nel mondo di oggi».Rileggiamo queste parole alla luce di tre momenti storici di grande impatto ev a l o re :

1. l’incontro di san Francesco, ilsanto dell’unità e della fra-tellanza universale con imusulmani d’Egitto indica unanuova apertura e un diversoatteggiamento cristiano verso imusulmani;2. dopo secoli un documentodel concilio Vaticano II (N o s t ra

Ae t a t e ) proclama in modorivoluzionario la presenza dellaverità e della santità nelle altre

religioni, invitando il mondo a riconoscere i musulmani come credentinell’unico Dio misericordioso;3. il viaggio di un Papa chiamato Francesco che, per la prima volta nellastoria, realizza la celebrazione dell’eucaristia negli Emirati Arabi Uniti allapresenza di più di 150 mila fedeli cristiani.Il Papa dai gesti materni ha compiuto un gesto mariano, abbracciando tutti isuoi figli proprio come una madre, che non si presenta con autorità ma contenerezza, ascolto e comprensione. Questi atteggiamenti hanno permesso direalizzare il primo documento elaborato a quattro mani dai due leadermaggiori del Cristianesimo e dell’Islam, unico nel suo genere perché frutto diuna collaborazione paritaria, che riporta la firma congiunta dei due leader.Papa Francesco e lo sheikh Ahmad al-Tayyeb, il grande Imam della millenariauniversità di al Azhar, con sapienza, coraggio e una lettura autentica dellareligiosità scrivono insieme nella prefazione: «La fede porta il credente avedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare, il credente è chiamato aesprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tuttol’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose ep overe».Un patto storico destinato a emanare pace e speranza verso un mondo che neè assetato.

di SHAHRZAD HOUSMAND ZADEH

LE D ONNE RILEGGONO PA PA FRANCESCO

La Fratellanza Umanaun anno dopo

Dilma Ferreira da Silva( w w w. s i n o d o a m a z o n i c o . v a

Courtesy of MAB)

NI C A R A G UA

• Celedonia ZalazarPoint

• Bernicia DixonPe r a l t a

• Naw Chit Pandaing

MESSICO

• Guadalup eCampanur

• Eulodia Lila DíazO rtiz

• Estelina LópezGómez

HONDURAS

• Berta Cáceres• Lesbia Yanez Urquia• Mirna Teresa Suazo

Martínez• María Digna

M o n t e ro

GAMBIA

• Ismaila Bah

CILE

• Macarena Valdés

TURCHIA

• Aysin UlviBüyüknohutçu

UCRAINA

• Nikolai Yarema• Katerina Handziuk

PERÚ

• Olivia ArevaloLomas

• Sonia IsabelAlvarado Huayunya

KE N YA

• Esther MwikaliWa m b u a .

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di ST E FA N I A FALASCA

E quando Francesco la sentì arrivarenon esitò a esclamare davanti aisuoi frati: «Benedetto Dio che hacondotto a noi Donna Jacopa, fra-tello nostro! Aprite le porte fatela

entrare!» perché «per fratello Jacopa», così ri-portano Fonti francescane, non valeva «osservareil decreto relativo alle donne» avendo ricevuto«il privilegio di un particolare affetto da partedel Santo». Scrive Paul Sabatier, iniziatore dellamoderna storiografia francescana: «Prima dimorire, Francesco desiderò rivedere questa caris-sima amica» a cui lo legava «una comunioneprofonda». Nell’imminenza del suo dies natalis,

dunque, Francesco d’Assisi, non ebbe intorno asé soltanto i suoi frati. Accanto, ebbe anche unadonna, laica, l’unica donna presente al transitodel Santo nella casupola di frasche e loto cheera stata la sua ultima cella.

Donna Jacopa o, meglio, «frate Jacopa», co-me la chiamava Francesco, è identificata dalleFo n t i come nobildonna di origini normanne, Ja-copa de Settesoli sposa di Graziano Frangipanedi illustre famiglia romana. Rimasta vedova trail 1210 e il 1216, con due figli e un patrimonioda amministrare, molto probabilmente sentì par-lare di Francesco durante la sua lunga perma-nenza a Roma, dove era giunto con i suoi peni-tenti per ottenere da Innocenzo III l’a p p ro v a z i o -ne della loro Regola. Affascinata dalla sua pre-dicazione, Jacopa chiese e ottenne di conoscer-

lo. Le ripetute visite, i colloqui con Francescodiedero vita a una solidissima amicizia che fecedel palazzo romano della nobildonna anche lasua casa ospitale e Jacopa de Settesoli divennela più valida collaboratrice del nascente Ordinefrancescano nella Città eterna. Ne assorbì la spi-ritualità e ne seguì l’esempio pur restando nelmondo, continuando a svolgere i propri compitidi madre e di amministratrice, come capo fami-glia, di molti beni e quindi responsabile di mol-te persone che nei terreni di sua proprietà abita-vano e lavoravano. A volerla accanto nel mo-mento del suo incontro con «sorella morte» erastato lo stesso Francesco. E per lettera l’avevapregata di affrettarsi a venire, preannunciando alei l’imminenza della sua dipartita. Un invitoaccompagnato da alcune richieste, come docu-menta il testo dal tono familiare della lettera ri-portato negli Acta: «… E porta con te un pan-no oscuro in cui tu possa avvolgere il mio cor-po, e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche diportarmi quei dolci, che tu eri solita darmiquando mi trovavo malato a Roma». Ma prima

Iacopa, la nobildonnache san Francesco

chiamò “Fr a t e ”

ancora che la lettera partisse, Jacopa era già allaporta della Porziuncola prevenendo come unamadre gli stessi desideri del Santo. E per unprivilegio di libertà e di pietà, fu lei la prima adabbracciarlo dopo il transito, accogliendo tra lesue braccia come un figlio colui che l’aveva ge-nerata a una nuova vita nello spirito.

È certo significativa la chiamata di questadonna nella circostanza della morte di France-sco al cospetto di frati che pure avrebbero potu-to assolvere con diligenza le necessità del mo-mento. E certamente si dimostra carica anche dirimandi evangelici. Tuttavia, nelle due biografiedi Tommaso da Celano, come in quelle di Bo-naventura, di questo legame spirituale e dell’ul-timo incontro tra Jacopa e Francesco morentenon si fa cenno. Un racconto più dettagliato diquesto incontro si trova solo nel Trattato dei mi-

ra c o l i , ritrovato alla fine dell’Ottocento. I condi-zionamenti culturali del tempo influirono note-volmente su questi biografi che si trovarono im-barazzati a far conciliare la sapiente libertà diFrancesco con i dettami imposti da una societàriguardo alla considerazione verso le donne econ la mentalità del clero che cercava di esclu-dere dalla propria cerchia e rimuovere da sé ciòche non riusciva a far entrare nei suoi schemi ei n t e re s s i .

È stata rilevata dagli studiosi delle Fonti fran-cescane la portata dei rimandi evangelici della

sua presenza al momento del dies natalis del Po-verello: il confronto con Maria Maddalena aipiedi della croce, con i Magi, per l’adorazione ei doni. Come i Magi, Jacopa rappresenta l’ap er-tura del messaggio alle donne e agli uominidell’intera umanità. Ed è proprio questo ciò cheincarna la sua presenza, indicata del restodall’epiteto «fratello» con il quale la designaFrancesco. Non ci sono barriere per «frate Jaco-pa», non ci sono chiusure, recinti èlitari. L’uni-co privilegio che conta è quello del cuore, nondella casta, non della congregazione religiosa,del censo, del denaro. Per questo Donna Jacopaè ammessa nella profondità che è il cuore diFrancesco, Alter Cristus, e nell’abbraccio con luimorente ha il grande dono di cogliere l’abbrac-cio della misericordia di Dio. «Che ci sia un le-game tra Jacopa e il Terz’Ordine francescano —fa osservare la studiosa Lucia Baldo, della Fra-ternità francescana Frate Jacopa — è attestatoanche dal cronista Mariano di Firenze il qualeriferisce che nel 1212, dopo il suo viaggio a Ro-ma (dove Francesco incontrò, pare, per la primavolta la nobildonna) il Santo pensò all’istituzio-ne del Terz’Ordine». A differenza di Chiarad’Assisi, la laica Jacopa non ha lasciato scritti,ma la sua immagine accanto a Francesco costi-tuisce da sola un testamento non scritto. Più at-tuale che mai.

LA STORIA E LE STORIE

La lapide nella cripta della Basilica di Assisi

Cappella del Transito alla Porziuncola (Frate Jacopa è sulla destra)

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ARTE

di DARÍO MENOR

Dallo scorso novembre, nel museodella basilica fiorentina di SantaMaria Novella è esposto, dopo ilrestauro, il capolavoro della suo-ra domenicana Plautilla Nelli, i

cui dipinti erano molto quotati nel Rinascimen-to.

«Orate pro pictora», “pregate per la pittrice”.Sono solo tre parole, poste dopo una firma, S.Plautilla, ma segnano una svolta nella storiadella pittura e costituiscono una delle prime ri-vendicazioni femministe del mondo dell’arte.Sono scritte in modo ben visibile nell’angolosuperiore sinistro dell’Ultima cena realizzata dasuor Plautilla Nelli, un commovente dipinto aolio lungo quasi sette metri e alto due, grazie alquale la religiosa domenicana si consacrò comeuna delle grandi pittrici del Rinascimento a Fi-renze. Inoltre, Plautilla venne a contatto con al-tri maestri il cui nome, invece, passò alla storia.Il suo capolavoro e la sua stessa figura sono sta-ti riscattati dall’oblio grazie ad Advancing Wo-men Artists (AWA ), un’organizzazione statuni-tense senza fini di lucro che si dedica a studiare,restaurare e far conoscere creazioni artisticherealizzate da donne, presenti nei musei e nei de-positi fiorentini. Dalla sua fondazione nel 2009,ad opera della mecenate Jane Fortune, l’AWA harecuperato già sessantasei opere: tra queste ilprogetto più importante è stato l’Ultima cena diPlautilla Nelli. È costato 220.000 euro, offertida donatori privati di diversi paesi che hannopatrocinato i tredici personaggi che mostra lascena raffigurata: il momento in cui Gesù co-munica ai dodici apostoli che a tradirlo è Giu-da, il quale stringe nella mano destra una borsacon i trenta denari. Persino il traditore per ec-cellenza ha trovato uno sponsor.

L’Ultima cena di Plautilla è esposta da no-vembre nel museo della basilica di Santa MariaNovella a Firenze, a due passi dalla stazioneferroviaria. «Bisogna recuperare questo patrimo-nio nascosto e far conoscere la visione offerta daartiste che, per diversi motivi, sono state quasidimenticate dalla storia», osserva Linda Falco-ne, direttrice dell’AWA . «Plautilla è stata unadonna straordinaria. Ha imparato da sola a di-pingere e ha insegnato a farlo alle altre mona-che del convento di Santa Caterina dove viveva,trasformandolo in una bottega da dove uscivanopiccole opere devozionali, presenti allora in tut-te le case dei nobili fiorentini, come ci raccontaGiorgio Vasari nel suo libro sulla vita degli arti-sti della sua epoca. Ebbe grande successo e, unavolta affermatasi come pittrice, trovò il coraggiodi dipingere un’Ultima cena, che era l’opera piùimportante nella carriera di tutti i pittoridell’epoca. Era considerata la massima espres-sione dell’abilità maschile. E lei rispose conquesta magnifica creazione dove ritrasse trediciuomini a grandezza naturale e dove lasciò an-che la propria firma e un particolare invito apregare per lei, rivendicandone così la realizza-zione».

La prima cosa che attira l’attenzione nel con-templare l’Ultima cena di questa singolare reli-giosa sono le mani dei commensali. Plautilla neritrae ogni tipo di gesto: quelle di Gesù, checon la destra accarezza amorevolmente san Gio-vanni e con la sinistra porge un pezzo di pane aGiuda; quelle con le dita intrecciate, in posizio-

ne di preghiera, con l’indice che indica l’alto;quelle appoggiate con gesto energico sulla tavo-la. Quest’ultima è ricoperta da una magnificatovaglia e riccamente apparecchiata, con bic-chieri e caraffe di vino, vassoi di lattuga, pani,tre eleganti saliere e, al centro, un agnello appe-na cucinato. Insomma, una natura morta inmezzo agli apostoli. «C’è grande cura del detta-glio sia nella tavola sia nelle mani, che mostra-no le vene, i tendini e persino le cuticole delleunghie. Plautilla differenzia molto bene i diversicompagni di Gesù e ci dà informazioni suognuno di loro, in base all’aspetto e in partico-lare alla barba», spiega Rosella Lari, responsa-bile del progetto di restauro dell’Ultima cena.

Plautilla era inoltre una maestra di pitturaper le consorelle del convento. «Sembra che sia-no state circa in otto a partecipare alla realizza-zione dell’Ultima cena. A quell’epoca i monaste-ri erano un polo di conoscenza e di potere perle donne» racconta Falcone. Quello di SantaCaterina a Firenze si manteneva grazie ai quadridevozionali che dipingevano Plautilla Nelli e lesue compagne. La religiosa iniziò ispirandosi al-le creazioni del Beato Angelico, attraverso alcu-

L’ Ultima

L’immagine che ha commosso il mondo

cena dipinta da una donna

L’Ultima cena di Plautilla Nelli(Firenze, 1524-1588) dopo il restauro

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ni disegni di Fra Bartolomeo da lei ereditati. Fuda questo pittore dell’inizio del XV secolo cheprese l’idea di firmare l’Ultima cena con la ri-chiesta a chi la contemplava di pregare per ilsuo autore, anche se lo ha fatto declinando ilmotto al femminile e mettendolo in posizioneben visibile. Dipinto per abbellire il refettoriodel convento, il quadro rimase esposto lì perquasi tre secoli finché, con l’invasione napoleo-nica all’inizio del XIX secolo e la soppressionedegli ordini religiosi, passò al complesso mona-

stico di Santa Maria Novella, per adornare il re-fettorio dei domenicani. Si trovava lì quando cifu l’alluvione del 1966 che devastò Firenze edanneggiò una parte importante del suo patri-monio artistico. L’acqua non arrivò a bagnare ilquadro, si fermò a pochi centimetri, ma provocòcomunque il deterioramento della tela a causadell’eccessiva umidità. Per la direttrice LindaFalcone recuperare le opere e le figure di artistecome questa religiosa significa compiere un attodi giustizia nei loro confronti.

Il restauro è stato eseguito dalla Bottega di Rossella Lari, qui al lavoro. Tutte le foto sono Rabatti&Domingie

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