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SCUOLAINTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA SIS RELAZIONE FINALE PER L’ESAME DI STATO ANNO ACCADEMICO 2005/2006 Specializzanda: Venera Maria Drago Classe di concorso: A043/A050 Libretto N° 267249 Scuola sede di tirocinio: Istituto Tecnico Commerciale Statale “Quintino Sella” Supervisore: Carla Gatti

Crosio Roberto dominioinvece concerne la seconda ho fatto riferimento alla didattica metacognitiva, finalizzandola soprattutto all’insegnamento di un metodo di studio. Alla Didattica

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SCUOLAINTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA

SIS

RELAZIONE FINALE PER L’ESAME DI STATO

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ANNO ACCADEMICO 2005/2006

Specializzanda: Venera Maria Drago Classe di concorso: A043/A050 Libretto N° 267249 Scuola sede di tirocinio: Istituto Tecnico Commerciale Statale “Quintino Sella” Supervisore: Carla Gatti

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INDICE

1. LE TEORIE DI RIFERIMENTO …………………………………………………,pag. 3

1.1 I modelli teorici … …………..……………………………………………………………....pag. 3

1.2 Gli strumenti …….…………………………………………………………………………...pag. 4

2. IL PROGETTO ……………………………………………………………………...pag. 7

2.1 Premessa. L’importanza dell’osservazione e dell’analisi del contesto

di riferimento ………………………………………………………………………………...pag. 7

2.2 La scuola, l’indirizzo, la classe …………………………………………………………….pag. 7

2.3 I contenuti ……………………………………………………………………………………..pag. 8

2.3.1 Oggetto dell’intervento didattico ..…………………………………………………….…………...pag. 8

2.3.2 Collocazione del progetto all’interno del piano di lavoro della docente

accogliente ........................…………………………………………………..……………………...pag. 9

2.4 Le ragioni sottostanti le scelte progettuali ………………….………..………………….pag.10

2.4.I vincoli e gli ambiti di libertà ………...……………………………………………………………..pag.10.

2.4.2 Rapporto tra la tipologia dell’istituto e le scelte didattiche …………………………………....pag.10

2.4.3 Le scelte didattiche fondanti ………………………………………………………………………..pag.11

3. L’ANALISI DEL PROCESSO ..……………………………………………………pag.13

3.1 Premessa. Insegnare è trasmettere dei contenuti ma anche gestire delle

relazioni ……..…………………………..……………………………………………………pag.13

3.2 Il Principio di direzione ……….……………………………………………………………pag.14

3.3 La verifica dei prerequisiti e la preparazione del lavoro di gruppo ………………....pag.14

3.4 La lettura per ruoli e il primo esperimento di lavoro di gruppo …………..…………pag.16

3.5 La novella e il bassorilievo: raccontare in uno spazio narrativo breve ……………..pag.16

3.6 Imparare dagli errori ……….………………………….…………………………………...pag.18

3.7 Una piccola emergenza disciplinare ……………………………………………………..pag.18

3.8 La prova di verifica sommativa ……………………………………………………………pag.19

3.9 La restituzione e la correzione collettiva della prova di verifica …………………..…pag.19

3.10 Analisi critica dei risultati ottenuti e dell’esperienza vissuta ………………….…....pag.20

4. GLI ASPETTI METACOGNITIVI DELL’ATTIVITA’ DI FORMAZIONE

SVOLTA ALL’INTERNO DELLA S.I.S. ………………………………………..pag.21

4.1 Io al cento di un “magico” gioco di specchi…………………………………………...…pag.21

5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE RAGIONATA …………….………………...…pag.24

6. APPENDICE ………………………………………………………………………...pag.25

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1. LE TEORIE DI RIFERIMENTO

1.1 I modelli teorici

Uno dei tratti che qualifica maggiormente l’attività didattica dal punto di vista della

modalità dell’insegnamento è la programmazione. Essa non solamente aiuta a non cadere

nella routine o nell’improvvisazione, ma crea anche le condizioni per operare in maniera

tempestiva delle rettifiche, tanto rispetto all’organizzazione del lavoro, quanto rispetto agli

approcci e ai metodi scelti.

Pianificare il proprio intervento in classe significa, anzitutto, selezionare i contenuti da

affrontare, individuare gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, nonché mettere a fuoco il

modello teorico, didattico-metodologico, al quale ispirarsi nell’esercizio della funzione

educativa.

E. Damiano1 afferma che, nell’applicazione del modello scelto, l’insegnante non è mai

un semplice esecutore. Tale modello, infatti, qualunque esso sia, viene inevitabilmente

interpretato dal docente alla luce della propria personalità e della propria esperienza ma, più

ancora, alla luce della realtà concreta all’interno della quale esso si trova ad operare. Di tutto

questo, al fine di non sentirmi imbrigliata nella passiva esecuzione di una “tecnica”, ho tenuto

conto durante il lavoro di programmazione e di realizzazione del mio intervento didattico e

infatti, dopo essermi documentata, pur nel rispetto dei riferimenti teorici ai quali avevo scelto

di rifarmi, mi sono sentita libera di compiere delle integrazioni tra i vari metodi e di

“sperimentarli”.

Dopo avere riflettuto sulla classe e averne colto i “bisogni” educativi in senso ampio,

dopo essermi posta il problema del “genere di insegnante che desideravo essere”, dopo avere

valutato ciò che per me, all’interno del processo di insegnamento/apprendimento, è veramente

importante, ho scelto di assumere come riferimento teorico tanto la didattica fondata sui

risultati quanto quella fondata sui processi. Più precisamente, per quanto attiene alla prima, mi

sono rifatta alla Didattica per contenuti, centrata sull’oggetto dell’apprendimento, e a quella

per obiettivi, secondo la quale questi ultimi, scelti all’interno della zona di sviluppo

prossimale dell’allievo, devono venire esplicitati agli alunni anticipatamente. Per quanto

invece concerne la seconda ho fatto riferimento alla didattica metacognitiva, finalizzandola

soprattutto all’insegnamento di un metodo di studio.

Alla Didattica per contenuti ho riservato uno spazio molto circoscritto, all’interno del

quale, nei modi della lezione tradizionale (frontale), ho compiuto una breve introduzione

1 E. Damiano, Stato dell’arte della ricerca sull’insegnamento, ?

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dell’attività che si sarebbe svolta in classe, anticipando i contenuti sui quali gli alunni

avrebbero dovuto lavorare concretamente, divisi in gruppi e secondo un approccio

laboratoriale ispirato al learning-by-doing.2

Alla Didattica per obiettivi, invece, ho dedicato uno spazio maggiore. Le ho riservato

anzitutto la prima parte delle lezioni, nella quale, di volta in volta, ho esplicitato gli obiettivi

che con esse ci si proponeva di raggiungere. In tal modo i ragazzi, resi consapevoli della

"situazione problematica" (determinata dal conflitto cognitivo) che si trovavano a vivere, sono

stati messi nelle condizioni di selezionare ciò che poteva essere rilevante o trascurabile ai fini

del superamento della situazione di disagio in atto, e hanno potuto disporre degli strumenti

per comprendere da soli quando erano giunti, o meno, alla meta. Alla luce della Didattica per

obiettivi ho concepito anche la parte centrale di ciascun incontro, quella, cioè, affidata

all’esecuzione autonoma da parte degli allievi (vedi sopra) e volta a suscitare, nei soggetti in

apprendimento, delle competenze esprimibili in prestazioni misurabili.

Per quanto riguarda la Didattica metacognitiva ad essa ho fatto riferimento mossa dalla

consapevolezza che il metodo di studio, ossia l’insieme delle tecniche che lo studente mette in

essere per comprendere, ricordare e applicare gli oggetti del proprio apprendimento, non è una

manifestazione naturale dell’intelligenza, bensì un insieme di abilità che possono venire

addestrate e perfezionate. In quest’ottica ho concepito le schede didattiche sulle quali fare

lavorare gli alunni divisi in gruppi, come degli schemi (vedi in Appendice Allegato n. 1) che

offrissero ai ragazzi una dimostrazione concreta della possibilità di rappresentare

graficamente i contenuti da apprendere.

1.2 Gli strumenti

Rispetto alla modalità dell’insegnamento un’altro dei tratti che qualifica l’azione

didattica è ciò che Cosimo Laneve definisce collattività, ossia “il principio che riguarda la

costruzione di quel particolare clima didattico in grado di generare la motivazione ad

apprendere nell’allievo”3. Tale motivazione è fondamentale. Essa, infatti, scatta quando il

soggetto sperimenta il conflitto cognitivo, ed è quello stato interiore che attiva, guida e

sostiene l’azione dell’apprendere. Di qui, anche in considerazione del fatto che

l’insegnamento non produce apprendimento bensì piuttosto mediazione4, la necessità che il

2 John Dewey per primo definisce la teoria pedagogica come una scienza inscindibile dalla vita sociale e dall’istruzione, basata sulla pratica applicazione delle discipline di studio (learning by doing). Secondo Dewey nella scuola attiva deve esservi la massima libertà di movimento per gli alunni, i quali devono potere operare in gruppi e produrre manufatti. 3 C. Laneve, Elementi di didattica generale, Brescia, La Scuola, 1998, pag. 77 4 E. Damiano, L’azione didattica, Roma, Armando, 1993

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docente predisponga degli stimoli esterni dotati di proprietà collattive cioè, appunto, della

capacità di generare motivazione, in maniera da attivare negli allievi una curiosità finalizzata

a ristabilire una situazione di stabilità cognitiva.

Michele Pellerey5 nota che ad avviare un comportamento di tipo esplorativo sono fattori

quali la sorpresa, la novità, la complessità, l’incoerenza, insomma ciò che costituisce qualcosa

di “insolito”. D’altro canto, se è vero che “la nostra attenzione viene stimolata dall’insorgenza

di una difficoltà”6, è vero anche che tale difficoltà, per essere efficace, non deve essere né

troppo, né troppo poco, distante dalla matrice cognitiva dell’allievo.

Poiché ho ritenuto che tutto ciò potesse riferirsi tanto ai contenuti quanto, in generale,

agli strumenti per mezzo dei quali compiere un intervento didattico, nel realizzare il mio ho

ridotto al minimo i momenti di lezione frontale, cui gli alunni erano già abituati, per servirmi,

piuttosto:

• della lezione euristica (o socratica). Essa si contraddistingue per il suo carattere

fortemente dialogico che si esplica attraverso l’attività del docente il quale, a brevi

esposizioni, alterna domande e frasi non completate. In tal modo tra l’insegnante e

l’allievo si instaura un rapporto di cooperazione. L’alunno, lungi dall’essere un

sempice ascoltatore, assume un ruolo attivo nella formulazione dei contenuti da

apprendere, in quanto partecipa alla loro scoperta e costruzione, nelle interruzioni e

nelle problematizzazioni poste dal docente. A questo si aggiunge che i contesti

dialogici possono favorire l’insorgere di conflitti che, opportunamente negoziati,

costituiscono utili strumenti di crescita cognitiva ed emotiva tanto per i singoli

individui, quanto per le loro reciproche relazioni7;

• del lavoro di gruppo. Esso, come la lezione euristica, richiede la partecipazione

attiva da parte dell’alunno, il quale viene messo nella condizione di acquisire i

contenuti oggetto dell’apprendimento piuttosto che per ricezione, per scoperta.

Sempre nell’ottica di proporre ai ragazzi stimoli tali da catturare la loro attenzione e

mobilitare la loro curiosità, rifacendomi al Principio di significatività8, li ho incoraggiati

ad esprimere le proprie idee, essendo essenziale, affinchè un contenuto venga appreso in

maniera significativa, che esso venga collegato, nella mente del soggetto in apprendimento,

a concetti, emozioni, vissuti già incorporati. Infatti, come osserva Blandino9, l’obiettivo

della scuola non deve essere promuovere l’apprendimento “di” qualcosa, bensì promuovere

5 M. Pellerey, Progettazione didattica, Torino, SEI, 1983, pag. 181 6 M. Pellerey, op.cit., pag. 181 7 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara, Roma, Carocci, 1999, pag. 73-96 8 M. Pellerey, op. cit., pag. 177 9 G. Blandino, B. Granieri, Le risorse emotive nella scuola., Milano, Raffaello Cortina Editore, pag. 11-42

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l’apprendimento “da” qualcosa, ossia l’apprendimento che passa attraverso il filtro della

propria “storia” e della propria “mente”.

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2. IL PROGETTO

2.1 Premessa. L’importanza dell’osservazione e dell’analisi del contesto di riferimento

La progettazione e la realizzazione degli interventi didattici che ho compiuti all’interno

del tirocinio attivo, come pure la riflessione su di essi, hanno avuto quale momento

fondamentale l’osservazione e l’analisi del contesto di riferimento. Nel corso di questi due

anni di specializzazione, infatti, mi sono resa conto in maniera concreta che l’osservazione, da

me concepita e vissuta anche come momento di ascolto nel senso “clinico” del termine,

costituisce una dimensione essenziale della ricerca e dell’azione didattica. Lungi dal risolversi

nella fase preliminare all’intervento in classe essa è, piuttosto, uno degli elementi costitutivi

dell’azione didattica e pertanto, all’interno di tale azione, và praticata con continuità. Prima di

procedere alla progettazione è indispensabile compiere un’osservazione a livello

dell’indirizzo formativo della scuola, della disponibilità delle risorse materiali nonché degli

aspetti intellettivi, motivazionali ed emotivi dei soggetti coinvolti nel processo di

insegnamento/apprendimento. Successivamente, durante lo svolgimento delle lezioni, occorre

osservare al fine di verificare la validità delle proprie modalità di insegnamento nonché

l’opportunità di apportare, o meno, modifiche al proprio progetto e di intervenire in maniera

specifica a supporto dei soggetti che mostrano di averne bisogno. Infine, nella fase conclusiva

dell’intervento, osservare è importante allo scopo di tracciare un bilancio su quanto è stato

fatto e desumerne informazioni utili per gli interventi futuri. Ne deriva, riassumendo, che

l’azione didattica richiede l’attivazione di risorse strettamente legate all’osservazione e che

tale osservazione nasce prima e si conclude dopo il processo di insegnamento in classe.

2.2 La scuola, l’indirizzo, la classe

L’Istituto Tecnico Commerciale Statale Quintino Sella ha sede in via Montecuccoli 12, in

un quartiere residenziale del centro di Torino, all’interno di un grande edificio dotato di un

laboratorio di informatica, uno di chimica e una biblioteca fornita di 24 mila volumi.

Gli alunni, 390 ripartiti in 17 classi, studiano per conseguire il diploma di Ragionieri ad

indirizzo giuridico-economico aziendale, in osservanza al decreto ministeriale che, a partire

dall’anno scolastico 1996/7, al fine di rispondere meglio alle richieste del mondo del lavoro,

ha determinato l’adozione, da parte di tutti gli istituti tecnico commerciali ad indirizzo

amministrativo, di un nuovo ordinamento denominato, appunto, IGEA (Indirizzo Giuridico

Economico Aziendale).

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L’utenza dell’I.T.C. Q. Sella, in linea con il trend che da qualche anno caratterizza

questo genere di istituti, è in calo. Nel complesso, comunque, essa si presenta eterogenea ma

con una decisa prevalenza di allievi di estrazione socio-culturale medio-bassa e una forte

presenza straniera, per lo più dell’est dell’Europa.

Queste caratteristiche della scuola, relativamente all’utenza, le ho ritrovate all’interno

della classe in cui ho svolto il mio modulo di tirocinio attivo, una I° composta, a seguito di un

significativo numero di abbandoni, da 11 alunni (5 maschi e 6 femmine) dei quali 4 (un

ragazzo e tre ragazze) vengono dai paesi dell’est. Di questi ultimi, una ragazza si è trasferita

in Italia da circa tre mesi ed è stata inserita nella classe della mia docente accogliente ad anno

scolastico iniziato. All’epoca non conosceva assolutamente la lingua del nostro paese, adesso,

sia pure con difficoltà, la parla, la scrive e riesce a seguire abbastanza le lezioni.

Dalle ore di osservazione che ho compiuto nella classe ho ricavato l’impressione che

essa sia composta da ragazzi simpatici e “svegli”, benché poco motivati all’apprendimento e

disinteressati nei confronti di quanto accade in aula. E’ come se la vita che si svolge al suo

interno costituisse una situazione dalla quale non si aspettano molto di interessante, come se

essa rappresentasse un mondo che ha poco o nulla a che vedere con quello loro. Certo il loro

livello formativo è complessivamente scarso. Il lessico è appiattito su un numero limitato di

vocaboli, la conoscenza della grammatica, addirittura, lascia fin troppo a desiderare (e non mi

riferisco agli alunni non italiani), altrettanto dicasi per l’abilità scrittoria.

Per quanto concerne la modalità didattica adottata dalla docente accogliente essa è

caratterizzata da un’impostazione sistematica, i cui tratti dominanti sono la lezione frontale

condotta dalla cattedra e l’impiego di strumenti quali il libro di testo e lavagna.

L’impressione che ho avuto è che l’approccio sistematico sopra descritto rassicuri molto

gli allievi mettendoli nella situazione di sapere esattamente, o quasi, cosa accadrà nel corso

della lezione. Di contro, però, forse non li stimola altrettanto ad assumere un ruolo attivo

all’interno del processo di insegnamento/apprendimento e a sviluppare la capacità di adattarsi

a situazioni impreviste.

2.3 I contenuti

2.3.1 Oggetto dell’intervento didattico

L’oggetto del mio intervento didattico è stato la narratologia. Essa si rapporta alle opere

letterarie in maniera radicalmente differente rispetto alla critica, sia per quanto concerne i fini

che si propone di raggiungere, sia per quanto riguarda le problematiche che affronta. La

narratologia, infatti, consta dei metodi e delle tecniche aventi per oggetto l’analisi

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dell’insieme delle forme narrative, nell’ottica di una descrizione sistematica dei moduli e delle

dinamiche che informano e governano le strutture del racconto. Compiere un’analisi di questo

tipo, dunque, significa porre l’attenzione sui meccanismi che regolano la narrazione, come se

ci si trovasse al cospetto di una serie di ingranaggi dei quali si vuole mettere in chiaro il

funzionamento.

Affrontare, a scuola, un percorso di analisi narratologica può essere importante per gli

allievi al fine di:

• acquisire strumenti utili alla comprensione dei meccanismi che sottostanno al

testo narrativo;

• impegnarli in un’attività di carattere analitico, che li aiuti a sviluppare un

metodo di studio e di ricerca focalizzato sulla scomposizione di un tutto nelle

sue singole parti, allo scopo di esaminarle e definirle.

Poiché, però, una lettura prettamente narratologica offrirebbe, di un testo, una prospettiva

oltremodo sterile benché interessante, si ritiene essenziale sviluppare negli allievi la

consapevolezza che essa non possa e non debba concepirsi quale chiave interpretativa unica di

un’opera letteraria, e vada quindi associata ad una lettura:

• dei suoi motivi;

• delle sue tematiche;

• delle sue caratteristiche di stile;

• del contesto storico-culturale in cui essa si colloca.

Come a dire che, oltre a condurre un’analisi del funzionamento della macchina narrativa, è

indispensabile compiere anche un’indagine relativa alle sue finalità e al suo senso generale.

2.3.2 Collocazione del progetto all’interno del piano di lavoro della docente accogliente

Il presente progetto didattico è stato collocato dalla docente accogliente a cavallo tra il

primo e il secondo quadrimestre per la necessità, che essa ha dovuto affrontare, di consolidare

prima le conoscenze linguistiche di base degli alunni stranieri (quasi la metà) e non.

L’intento che esso si prefigge, oltre a quello di contribuire a sviluppare negli alunni un

metodo analitico di studio e di ricerca, consiste nel dotare i ragazzi degli strumenti dell’analisi

narratologica allo scopo di renderli maggiormente consapevoli in vista di una lettura più

completa e articolata dei testi, che di essi consideri, oltre agli aspetti strutturali, anche quelli di

contenuto e relativi alla poetica degli autori, ai quali l’insegnante ha inteso dedicarsi a

conclusione del presente progetto.

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2.4 Le ragioni sottostanti le scelte progettuali

2.4.1 I vincoli e gli ambiti di libertà

Nel progettare l’intervento didattico che ho compiuto presso l’Istituto Sella sono stata

fortemente vincolata dalle indicazioni fornitemi dalla docente accogliente. Essa, infatti, mi ha

invitata a seguire il suo piano di lavoro che prevedeva, in quello specifico momento, di fornire

agli alunni “gli elementi concettuali indispensabili a compiere una lettura di carattere

narratologico del testo narrativo breve”. Fortunatamente, però, a questa forte restrizione del

mio ambito di autonomia rispetto ai contenuti da trattare, ha corrisposto un ampio margine di

libertà per quanto concerne i metodi e gli strumenti didattici dei quali servirmi per veicolare

quei contenuti agli allievi. Ciò mi ha consentito di progettare un intervento adatto a soddisfare

quelli che, a seguito dell’osservazione compiuta, mi erano sembrati i bisogni cognitivi ed

emotivi della classe, nonché di sperimentare alcune delle metodologie e dei principi didattici

che ho appreso durante la frequenza della S.I.S che ritenevo adatti alla situazione.

2.4.2 Rapporto tra la tipologia dell’istituto e le scelte didattiche

Nel corso di questi due anni mi sono interrogata a lungo sul rapporto che esiste, o

dovrebbe esistere, tra la tipologia dell’istituto e le scelte didattiche che vengono compiute al

suo interno. La complessità del mondo nel quale viviamo e il continuo progredire della

scienza e della tecnica pongono il bisogno di offrire, ai giovani che frequentano un istituto

quale il Q. Sella, accanto ad una solida formazione tecnico-professionale, un altrettanto solido

bagaglio culturale e, forse ancor di più, una mentalità elastica, dotata di capacità di analisi e di

sintesi, in grado di elaborare un pensiero critico e autonomo. Tutto questo allo scopo di

sviluppare l’attitudine ad individuare le peculiarità delle situazioni, a gestirle, nonché ad

adattarvisi criticamente. Soprattutto, però, quello che mi sembra essenziale, tanto alla crescita

in una prospettiva professionale quanto alla crescita personale10, è pensare a degli interventi

educativi che sollecitino davvero, nei ragazzi, l’autonomia del pensiero critico e le abilità

necessarie per continuare ad imparare anche al di fuori del contesto scolastico. Questo perchè

“sapere apprendere” costituisce il requisito essenziale per potere quantomeno aspirare ad un

futuro successo professionale, e rappresenta, inoltre, uno strumento importante per affrontare,

in generale, la propria esistenza. Infatti “imparare ad imparare” significa divenire consapevoli

delle opportunità date dallo studio, rendersi disponibili a ristrutturare la propria matrice

cognitiva gestendo l’ansia e la frustrazione che il momento dell’apprendimento suscita,

10 G. Blandino, B. Granieri, op. cit., pag. 43

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acquisire consapevolezza metacognitiva e, quindi, sviluppare quella attitudine all’auto-ascolto

che aiuta a vivere meglio.

2.4.3 Le scelte didattiche fondanti

Questo genere di considerazioni, congiunte ai bisogni che mi è sembrato di cogliere

all’interno della classe, mi hanno indotta a progettare il mio intervento didattico focalizzando

l’attenzione su alcuni punti fondamentali.

Dei contenuti e dell’opportunità che essi offrono di far riflettere gli alunni su “ciò che

sta dietro e sotto le cose” nonchè di stimolare, in loro, lo svilupparsi di un metodo analitico di

studio e di ricerca ho detto sopra, pertanto non mi dilungo. Aggiungo solo che la scelta dei

brani sui quali lavorare (La giara e Donna Mimma, due novelle di Luigi Pirandello tratte dalle

Novelle per un anno), sia pure concordata con la docente, è mia ed è stata motivata dal

desiderio di proporre alla classe una lettura “bella”, interessante e intensa, che potesse

produrre piacere e, insieme, la curiosità di andare avanti autonomamente nella lettura

dell’opera pirandelliana. Tra l’altro la novella, essendo un testo breve, dovrebbe scoraggiare

meno di un romanzo chi, come i ragazzi con i quali ho lavorato, non è aduso alla lettura.

Devo dire che per interessi e formazione ho trovato difficoltoso resistere alla tentazione

di affrontare i testi letti secondo un taglio più propriamente critico-letterario. Ho comunque in

parte resistito a questa tentazione per ragioni di tempo e perché essa mi avrebbe condotta fuori

strada. A tale scopo mi sono posta come limite quello di fornire, oltre alle indicazioni

assolutamente essenziali circa l’autore e l’opera, le informazioni di volta in volta finalizzate a

consolidare, supportare, chiarire e confutare le impressioni e le osservazioni personali che

ho deciso di chiedere agli allievi relativamente ai testi letti in classe. Infatti dedicare tempo e

spazio all’espressione dei pensieri degli alunni, far comprendere loro, in maniera concreta,

che tali pensieri sono importanti ed hanno un ruolo nel contesto di apprendimento, anche

quando esso è istituzionalizzato come quello scolastico, mi è sembrato assolutamente

essenziale. Essenziale per sviluppare una situazione di coinvolgimento emotivo, essenziale

per aiutare i ragazzi ad assumere un ruolo attivo all’interno del processo di

insegnamento/apprendimento, essenziale per stimolare la produzione di un pensiero

autonomo.

Con l’intenzione di proporre alla classe una modalità didattica nuova, che li interessasse

in quanto strutturata per “apprendere facendo”, e “facendo in gruppo”, ho scelto un approccio

laboratoriale agito da team di pari. Pertanto ho progettato di chiarire agli allievi i concetti

essenziali e, successivamente, fornire loro delle schede didattiche esplicative che potessero

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guidarli nel lavorare concretamente sul testo, rintracciandovi i concetti propri della

narratologia e compiendo, contestualmente, un’analisi narratologica della novella oggetto del

lavoro. Ho pianificato, poi, di fare seguire a questo un momento di discussione collettiva che

servisse a sistematizzare i concetti e che, prima ancora, sfruttasse, ai fini dell’apprendimento,

la “potenza”11 dei conflitti di opinione la dove essi si fossero sviluppati. L’opposizione,

infatti, può svolgere un ruolo molto importante nello spingere in avanti il

discorso/ragionamento, provocando in tal modo sviluppi e approfondimenti12

A tutto ciò che ho espresso sino ad ora ho pianificato di fare precedere, lezione per

lezione e al principio dell’intero ciclo di incontri, la chiara e minuta esplicitazione alla classe

dei contenuti, degli obiettivi, dei tempi, dei metodi e degli strumenti didattici per mezzo

dei quali ho inteso connotare il progetto e la sua attuazione. Ho scelto di dare agli alunni

queste informazioni perché sono convinta che ciò significa:

• renderli consapevoli della "situazione problematica" (intesa come scoperta della

inadeguatezza/erroneità della propria matrice cognitiva determinata dal contatto

con un "elemento perturbatore"/nuovo concetto) che si trovano a vivere;

• renderli capaci di selezionare ciò che può essere rilevante o trascurabile ai fini

del superamento della situazione di disagio in atto;

• dargli gli strumenti per comprendere quando sono giunti alla meta. Senza

contare le ricadute positive in termini di motivazione ad apprendere che tutto

questo comporta.

In particolar modo, rispetto agli obiettivi13, ho deciso di rendere noto agli allievi non

solamente quelli che avrebbero riguardato loro, bensì anche quelli che io stessa mi ero posta

di raggiungere. Questo perché indubbiamente è vero che nel “microcontesto” del mio

intervento didattico la docente sarei stata io e gli allievi sarebbero stati loro, ma è anche vero

che nel “macrocontesto” della S.I.S. io pure sono un’allieva e loro, sebbene in maniera

indiretta, avrebbero contribuito moltissimo al mio processo di formazione. Senza contare il

fatto che, “assumendo un vertice psicodinamico di ispirazione psicoanalitica” 14, come

Blandino sollecita a fare, la “crescita”15 è da intendersi non solo come un fatto automatico

bensì come un fatto che implica una relazionale di reciprocità. E questo presuppone, anche nel

docente, la disponibilità e la consapevolezza di ricevere oltre che di dare.

11 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, op. cit., pag.75 12 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, op. cit., pag. 82 13 Vedi Appendice a pag. 2 e in calce a ciascuna lezione 14 G. Blandino, B. Granieri, op.cit., pag. 43-44 15 Intesa come “il senso ultimo dell’esistenza della scuola” sempre in G. Blandino, B. Granieri, op. cit., pag. 43

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3 L’ANALISI DEL PROCESSO

3.1 Premessa. Insegnare è trasmettere dei contenuti ma anche gestire delle relazioni

L’insegnamento, prima lo “sentivo” adesso lo “so” per averlo studiato, non consiste

nella mera trasmissione di contenuti e abilità, sia pure quanto si voglia preziosi. Esso si

realizza nella relazione e per mezzo della relazione. Senza questa, senza riconoscimento

reciproco, senza fiducia verso l’insegnante accordata da chi impara, il massimo che può

realizzarsi è un apprendimento meccanico16 che difficilmente, a distanza di tempo, potrà

essere ricordato e riutilizzato.

Dal punto di vista di un insegnante, entrare in relazione significa gestire il rapporto

interpersonale in tutto il suo divenire e, soprattutto, sapere ascoltare, cioè sapere lasciare

all’allievo lo spazio e il tempo che gli sono necessari, saper cogliere i suoi bisogni, saper

accogliere e contenere le sue ansie. In breve, sapere assumere un atteggiamento empatico.

Tutto questo significa che l’insegnante, oltre a trasmettere conoscenza, e quindi a gestire

aspetti di carattere intellettuale e cognitivo, deve anche affiancare emotivamente l’allievo in

quel processo “critico” che è il processo di apprendimento. Il che vale a dire che egli non può

e non deve mancare di gestire quegli aspetti,emotivi e affettivi, che condizionano fortemente

l’apprendimento.

E’ critico il proceso di apprendimento perché esso genera ansia, mobilita vissuti di

angoscia, suscita sentimenti di rabbia, frustrazione e invidia nei confronti del docente. Come

scrive Bartolomea Granieri17 “la mente umana non è naturalmente attrezzata per la

conoscenza, in quanto non è costituzionalmente in grado di tollerare l’ansia del non sapere e

del non capire […] quando l’individuo incontra aree di ignoranza e di dubbio, è portato a

difendersi ricorrendo a operazioni mentali e fantasie molto primitive che allontanano da sé il

dubbio, l’inadeguatezza e il disagio, o negandoli attraverso una superficiale sicurezza, un po’

ottusa, o traformandoli nella persecutorietà di una realtà che viene percepita come

inconoscibile e intrasformabile, e perciò nemica”. Ne deriva che l’insegnante deve porre

particolare attenzione nel contenere l’impulso distruttivo che gli studenti possono sviluppare

nei confronti dei contenuti d’insegnamento.

Di tutto questo, nell’interagire con la classe con la quale ho lavorato ho cercato di tenere

conto, partendo dal presupposto che, se il docente si pone in relazione con gli allievi in 16 L’apprendimento meccanico implica che il nuovo elemento di conoscenza non viene incorporato nella matrice cognitiva del soggetto, cioè non viene “agganciato” a quanto già si conosce, piuttosto rimane isolato e viene trattenuto nella mente solo con la ripetizione meccanica. 17 G. Blandino, B. Granieri, op. cit., pag. 185

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maniera costruttiva, per mimesi gli studenti dovrebbero imparare a porsi efficacemente in

relazione tra loro e con l’insegnante.

3.2 Il principio di direzione

L’attività di progettazione costituisce la fase preparatoria indispensabile al concreto

intervento didattico. Ho impiegato un po’ di tempo a comprenderlo, ma adesso non saprei

concepire l’insegnamento altrimenti. D’altro canto progettare non significa che si debbano

costruire dei modelli rigidi ai quali piegare l’imprevedibilità delle situazioni reali.

Semplicemente, avere un “piano” permette di agire in maniera consapevole, rimanendo

sempre abbastanza padroni della situazione. Insomma, mantenere le idee chiare per potersi

proporre come guide sicure.

Quest’idea di “chiarezza” (di intenti, di modi e di mezzi) per me è assolutamente

fondamentale, tant’è vero che ho dedicato l’intera prima lezione a a compiere un lavoro che

consentisse agli alunni di acquisire piena consapevolezza in relazione al percorso didattico

che avremmo compiuto insieme. Tra l’altro è indubbio che fornire questo genere di

informazioni significa inviare all’interlocutore un messaggio forte di rispetto: “non credo che

tu sia una valigia vuota da riempire e portare dove mi pare, senza informarti di nulla”.

Sebbene ci tenessi molto per tutte le ragioni che ho esposto (qui e a pag. 9), ero

comunque piuttosto preoccupata di riservare così tanto tempo all’esercizio del “principio di

direzione”18. Temevo che il discorso potesse annoiare i ragazzi e risultare, malgrado i miei

sforzi, un po’ pedante. Invece mi è parso che gli alunni, dopo un momento di iniziale

sconcerto, abbiano recepito e apprezzato. Qualcuno ha anche appuntato qualcosa. Soprattutto

li ha favorevolmente colpiti il fatto che, insieme ai loro, esplicitassi anche gli obiettivi che io

mi proponevo di raggiungere per la mia formazione. Tanto è vero che (e ammetto che ci

speravo un po’) nell’ultimo incontro un’allieva, la più estroversa della classe, tutta rossa in

viso, mi ha domandato se ritenevo di avere “imparato” quello che mi ero prefissa.

3.3 La verifica dei prerequisiti e la preparazione del lavoro di gruppo

Nel corso della seconda lezione, per mezzo di un brain-storming, ho proceduto alla

verifica dei prerequisiti19. In linea di massima ho riscontrato il loro possesso da parte della

classe. Però, per quanto attiene al sistema della comunicazione e ai suoi elementi costitutivi,

ho avuto l’impressione che gran parte degli allievi avessero realizzato un apprendimento

meccanico e superficiale. Ne derivava che il non ricordare la denominazione di uno degli 18 M. Pellerey, op.cit., pag. 182 19 Vedi Appendice a pag. 2

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elementi del sistema comunicativo implicava l’impossibilità di ricostruire il sistema nella sua

interezza. Ho dovuto faticare un po’ per “liberarli” dal vincolo della teoria e far comprendere

loro che essa non fa altro che descrivere una realtà, sicchè, procedendo in maniera induttiva,

pur senza ricordare le definizioni si poteva ugualmente ricostruire il sistema comunicativo

semplicemente pensando a come si svolge una conversazione telefonica tra due persone.

Successivamente, in vista del lavoro che avremmo svolto nel corso delle lezioni

successive, sono passata a dividere la classe in gruppi. La composizione dei vari team è stata

compiuta secondo una procedura randomizzata, benchè lievemente corretta. Infatti due alunni,

entrambi poco motivati e che avrebbero voluto stare nello stesso gruppo, sono stati separati.

Questo perché durante l’osservazione avevo avuto modo di notare che, stando vicini, si

“peggioravano” reciprocamente. Il mio intervento ha riguardato anche un’alunna, la ragazza

straniera arrivata in Italia soltanto da qualche mese (pag. 5). Anche in questo caso nel corso

dell’osservazione avevo notato che si trattava di una persona molto chiusa e non ancora

inserita all’interno della classe. Per questa ragione l’ho messa in gruppo con una compagna

che mi era sembrata allegra ed estroversa, ma anche gentile e paziente. Relativamente a

quest’ultima scelta sono particolarmente contenta perché, anche a detta della docente

accogliente, si è trattato di una operazione fortunata, che ha contribuito ad innescare il

processo di inserimento della ragazza all’interno della classe (adesso, mi si dice, non trascorre

più la ricreazione da sola, ma viene cercata o è lei stessa a cercare le compagne).

Come progettato, soltanto a questo punto, cioè dopo che ciascuno conosceva

esattamente quali sarebbero stati i suoi compagni di lavoro, per cui era possibile fare un

discorso molto concreto, ho stimolato la partecipazione della classe alla definizione delle

norme che avrebbero dovuto regolare la convivenza e il lavoro di gruppo. I ragazzi hanno

impiegato un po’ di tempo prima di lasciarsi andare a partecipare liberamente, inoltre, non

essendo abituati a riflettere su questi temi, inizialmente non sembravano avere molte idee

sull’argomento. Dopo un pò, però, hanno capito cosa dovevamo fare e, più ancora,

l’importanza di ciò che dovevamo fare. A questo punto il lavoro è proceduto agevolmente.

Ho chiesto agli allievi di appuntare queste regole sul quaderno e poi ho dato loro la

consegna di tenerle, durante i successivi incontri, sempre bene in vista sul banco.

Devo dire che il sistema si è rivelato efficace. Infatti, quando con il loro comportamento

contravvenivano a quelle regole, mi era sufficiente accennare al quaderno e subito capivano e

“correggevano il tiro”. Essenziale, comunque, è stato il non avere imposto tali norme

dall’alto, bensì avere lasciato il più possibile che esse venissero definite dalla classe.

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3.4 La lettura “per ruoli” e il primo esperimento di lavoro di gruppo

Nell’intento di coinvolgere gli alunni, come progettato, ho assegnato ad alcuni di loro i

ruoli presenti nella novella (Don Lollò, Zi’ Dima, i contadini, etc.) e gli ho poi chiesto di

leggere l’opera ad alta voce. Benchè a monte ci fossero le migliori intenzioni, l’esperimento

non ha dato buoni risultati. Infatti i ragazzi, non conoscendo il testo, lo hanno letto piuttosto

male, disperdendone parte della bellezza. Malgrado questo e malgrado la novella

rappresentasse, geograficamente e culturalmente, un mondo distante dal loro, gli alunni hanno

mostrato di provare interesse e divertimento. Altrettanto interesse hanno manifestato quando

ho accennato alle Novelle per un anno e all’infinita casistica di tipologie umane, trame e

situazioni che le caratterizzano. Non so se in questo ha giocato un ruolo il fatto che, parlando

dell’opera di Pirandello, ho immaginato di interloquire con degli amici ai quali comunicavo le

“scoperte” di una nuova lettura.

Per quanto concerne il lavoro di gruppo trovo che, per essere la prima volta che la classe

si cimentava in un’attività del genere, le cose siano andate piuttosto bene. I ragazzi si sono

impegnati tanto nel lavoro quanto nel rispetto delle “norme” di cui si è sopra detto. Il fatto di

non dover stare ad ascoltare per due ore di lezione frontale e potere, invece, “fare” e scoprire

in maniera autonoma i contenuti più significativi da apprendere li ha resi molto soddisfatti.

Certo, tutto questo pensando alla classe nel suo insieme. Infatti non sono mancati casi

specifici di alunni, i quali non avevano ancora assimilato (e hanno impiegato un po’ di tempo

a farlo) il fatto che, quando si lavora in gruppo, si è responsabili non solamente di sé stessi ma

anche degli altri. Il che significa che quando si lavora in gruppo con il proprio comportamento

si influenza e condiziona l’esito del lavoro di tutti.

Dal punto di vista dei contenuti gli allievi hanno mostrato difficoltà, contro ogni mia

previsione, relativamente all’individuazione, nel testo, degli elementi che ne costituiscono la

struttura di base e, soprattutto, di quelli che dovrebbero risultare più immediatamente

evidenti: peripezie, spannung, scioglimento. Ho cercato di chiarire questi concetti adducendo

diversi esempi, tratti per lo più dal mondo delle fiabe perché era più facile che esse fossero

note a tutti. Comunque credo che utile sia stato anche lo spazio che ho lasciato ai ragazzi per

provare a chiarirsi i dubbi tra loro.

3.5 La novella e il bassorilievo: la gestione di uno spazio narrativo breve

Allo scopo di far “vedere” agli alunni come differente possa essere la gestione di uno

spazio circoscritto, avevo progettato di instaurare un’analogia tra le poche pagine della

novella in ambito letterario e la formella del bassorilievo nel campo delle arti figurative. Per

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questa ragione avevo pensato di portare in classe le immagini di due bassorilievi, uno di

Lorenzo Ghiberti e uno di Donatello, e di istituire un’analogia tra la tecnica del rilievo

“schiacciato” dello scultore Donatello e la tecnica adottata dallo scrittore Pirandello, in

opposizione alla soluzione ghibertiana20.

L’impostazione e la realizzazione di questo discorso è stata, per me, molto importante in

quanto, più di altre, mi ha indotta a confrontarmi con quell’“aspetto discrezionale”21 che

costituisce una delle due dimensioni dell’attività di insegnamento. Tale dimensione concerne

la sfera dell’autonomia, cioè quello che dipende direttamente da noi e di cui, nel bene e nel

male, siamo responsabili. Ho sempre pensato che questo margine di libertà e creatività

costituisse uno degli aspetti positivi del mestiere di insegnare. Non avevo mai riflettuto sul

fatto che, anche in questo caso (e non si vede perché avrebbe dovuto essere altrimenti), la

possibilità di fare un lavoro creativo passa attraverso la capacità di tollerare e modulare

l’angoscia. Perché essere liberi è bello, ma implica il dovere prendere delle decisioni e,

quindi, il dovere compiere delle scelte. E le scelte, si sa, se in ultima istanza mobilitano

addirittura angosce di perdita e di separazione, in prima battuta ti lasciano con il dubbio

amletico di aver scelto “la cosa giusta”. Io il dubbio, devo dire la verità, in fase di

progettazione, quando tutto era solamente “teoria”, non me lo ero posta veramente, presa

com’ero dall’entusiasmo creativo. Me lo sono posta dopo, in fase di realizzazione del

progetto, ma dopo un’attenta riflessione ho deciso di procedere lungo il cammino che avevo

tracciato e, come da programma, ho dedicato buona parte della seconda ora ad istituire un

raffronto tra la novella e il bassorilievo e, nello specifico, tra la novella di Pirandello e il

bassorilievo di Donatello in contrapposizione a quello di Lorenzo Ghiberti ( vedi Appendice

pag. 8 e 9).

I ragazzi hanno risposto allo stimolo con interesse, ponendo domande e chiedendo

delucidazioni ulteriori sui due scultori. Inoltre, il fatto di vedere in maniera concreta due

differenti modalità di gestione di uno spazio circoscritto come è quello della formella, li ha

aiutati a comprendere meglio come Pirandello ha gestito lo “spazio” narrativo breve della sua

novella.

Per il resto ho realizzato il mio intento, che era quello di mostrare agli alunni altri

“oggetti di cultura” e, più ancora, quello di mostrare loro, indirettamente, un modo di studiare

fondato sul compiere associazioni che siano per ciascuno di noi “intimamente” significative.

20 Vedi in Appendice nota n. 11 a pag. 8 21 G. Blandino, B. Granieri, op. cit., pag. 23-25

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3.6 Imparare dagli errori

La novella che ho proposto è piaciuta ma, poichè è molto lunga, leggerla per me, e

seguire la lettura per gli alunni (malgrado mi fossi esercitata a lungo, a casa, il giorno prima e,

a lezione, abbia sfoderato tutte le mia abilità drammaturgiche), è stato piuttosto faticoso. Di

tutto questo avevo avuto il dubbio, in sede di progettazione, ma dal momento che Donna

Mimma mi piace molto e desideravo davvero che anche i ragazzi la scoprissero, ho deciso di

provare. Poiché ho considerato “l’esperimento” non del tutto riuscito, per le ragioni sopra

indicate, ho cercato di “recuperare” mettendo la classe al corrente di questa mia riflessione.

L’ho fatto per due semplici ragioni. La prima è che la situazione costituiva un’occasione per

mostrare loro, concretamente, che anche per me quelle ore spese insieme erano ore di

formazione. La seconda è che la situazione mi permetteva anche di insegnare, con l’esempio,

che dei propri errori non ci si deve vergognare, occorre piuttosto imparare a farne tesoro.

Poco “riuscita” è stata anche la scheda didattica che ho fornito alla classe nel corso della

quinta lezione (in Appendice, Allegato n. 3): Rileggendola in classe. Infatti, mi sono resa

conto che, nel tentativo di essere esaustiva ma sintetica avevo costruito un testo troppo denso

e poco chiaro. Nulla di strano, quindi, che i ragazzi, i quali nel corso delle lezioni precedenti

avevano mostrato di essersi adattati piuttosto bene al nuovo metodo di lavoro, adesso

reclamassero continuamente aiuti e chiarimenti.

3.7 Una piccola emergenza disciplinare

Nel corso di una lezione si è verificato un problema di carattere disciplinare. La docente

accogliente, chiamata dalla preside, si era momentaneamente allontanata dalla classe, sicchè

io ero rimasta da sola con i ragazzi. Senza che mi rendessi conto di come né tantomeno del

perché due alunni, un ragazzo e una ragazza, hanno cominciato a battibeccare rendendo

impossibile lo svolgimento della lezione. Sperando che questo avrebbe costituito un

messaggio sufficentemente chiaro e incisivo ho reagito tacendo, ma, malgrado le “gomitate”

dei compagni i due hanno proseguito imperterriti. Mi sono limitata a far loro presente che,

trattandoli io con rispetto ed educazione, pretendevo da loro un eguale misura dell’uno e

dell’altra e che, se non provavano interesse per la lezione, li avrei autorizzati a sedersi in un

angolo a non far nulla. Per fortuna ha funzionato e la lezione è proceduta tranquillamente.

Anzi come spesso accade in queste situazioni è proceduta ancor più tranquillamente del solito.

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3.8 La prova di verifica sommativa

Dopo avere somministrato alla classe la prova di verifica sommativa (in Appendice,

Allegato n. 5) ho avuto qualche ripensamento per due ragioni.

La prima è che temevo di non avere messo l’allieva di origine straniera di cui ho più

volte parlato, in condizione di svolgere la prova senza handicap rispetto ai suoi compagni. Il

dubbio è stato fugato in sede di correzione, in quanto la ragazza ha risposto a tutte le

domande, talvolta addirittura meglio degli allievi di madrelingua italiana.

La seconda è dovuta ad uno specifico quesito della prova, il numero 4. Qualche alunno,

infatti, mi aveva domandato chiarimenti, sicchè mi era venuto il dubbio che la consegna fosse

mal formulata. Correggendo i compiti ho visto che un solo alunno aveva risposto alla richiesta

in maniera pertinente. Mi sono allora posta lungamente il problema se “l’errore” non fosse

mio. Ne ho parlato con la docente accogliente e alla fine ho deciso che esso era, piuttosto,

imputabile ad una lettura frettolosa da parte dei ragazzi, i quali non avevano valutato la

differenza tra il termine “definisci” e il termine “descrivi”.

3.9 La restituzione e la correzione collettiva della prova di verifica sommativa

Delle mie riflessioni relativamente al testo della prova di verifica, durante la sua

restituzione e correzione collettiva, ho parlato alla classe con l’ausilio del dizionario

Zingarelli. Gli alunni hanno mostrato di comprendere e di accettare la mia decisione. Con il

senno di poi, però, penso che non sarebbe stato affatto sbagliato, leggere i quesiti con gli

allievi prima dell’inizio della prova, in modo da potere fugare gli eventuali dubbi.

Sempre durante l’incontro conclusivo ho proceduto ad esporre agli allievi come,

secondo me, essi avrebbero dovuto articolare le risposte ai quesiti posti dalla prova di

verifica, dando ragione del perché avevo valutato in modo non positivo i loro lavori

relativamente ad alcuni punti. Devo però dire che, in fase di restituzione dei compiti, quando i

ragazzi, prima ancora che a capire dove e perchè hanno sbagliato, sono tutti intenti a

confrontare il proprio voto con quello dei compagni, ho avuto l’impressione che qualcuno di

loro fosse pronto a contestare l’esito della prova. Di fatto la mia è stata, appunto, soltanto

un’impressione. Infatti i punteggi hanno rispecchiato, in maniera molto fedele, il normale

rendimento della classe e questo, evidentemente, ha di per sé reso i voti, anche i pochi

insufficienti che ci sono stati (due 5 e un 4), tollerabili.

Il resto della lezione, appena una decina di minuti scarsi, li ho dedicati ad esporre ai

ragazzi, in maniera molto sintetica, le mie riflessioni relativamente ai nostri incontri. Non

avevo previsto nulla di simile. Ho semplicemente dato seguito alla domanda di un’allieva che,

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come accennato sopra, mi ha domandato se ritenevo di avere imparato “quello che dovevo”.

Per fare questo, però, ho sacrificato di esprimere, a ciascun alunno, un breve giudizio “non

ufficiale” sul modo in cui, a mio parere, aveva condotto il lavoro di gruppo.

3.10 Analisi critica dei risultati ottenuti e dell’esperienza vissuta

Rispetto ai risultati ottenuti, confrontando gli obiettivi didattici che mi ero prefissa di

raggiungere con gli esiti della prova di accertamento somministrata alla classe a conclusione

del lavoro svolto, mi ritengo, riprendendo un concetto di Winnicot riferito al ruolo della

madre, “sufficentemente” soddisfatta. Ossia, soddisfatta perché ho riscontrato nei ragazzi il

sostanziale possesso dei concetti sui quali avevamo lavorato, e perché ho constatato che, in

linea di massima, gli allievi erano in grado di individuarli concretamente sul testo. Certo,

però, le risposte che ho ottenuto sono state lungi dall’essere quelle che mi sarei aspettata. Per

esempio, per citare un caso, non avevo chiarito ai ragazzi che l’uso di simboli quali le frecce

(fabula-freccia-storia per dire, per esempio, che la fabula riguarda la storia, e si caratteriza per

il fatto che rispetta gli avvenimenti nella loro successione logica e cronologica) è ammesso

quando costruisci uno schema, ma non quando, in un contesto formale, ti si chiede di

esprimere un concetto in forma scritta. Chissà, forse avrei dovuto chiarirlo.

Per quanto attiene all’esperienza didattica nel suo complesso mi ritengo pienamente

soddisfatta. Questo non di certo perché credo di essere stata perfetta e di non avere commesso

errori, bensì perché ho verificato, sul piano personale e su quello metodologico, alcune

questioni che mi stavano a cuore.

Sul piano personale ero molto preoccupata dall’aspetto della disciplina. Il contesto del

tirocinio è certamente un contesto “protetto”, eppure adesso mi sento più sicura di me stessa e

della mia capacità di gestire situazioni “critiche”. Non è che abbia scoperto la “ricetta”, non

saprei dire “si fa così e cosà”. Semplicemente, ho sperimentato di possedere le risorse interne

per fronteggiare circostanze di quel tipo.

Sul piano metodologico ho verificato l’efficacia del lavoro di gruppo, strutturato e

condotto con attenzione, e adesso mi sentirei pronta a cimentarmi in quella modalità di

cooperative learning che è detto jigsaw.

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4 GLI ASPETTI METACOGNITIVI DELL’ATTIVITA’ DI

FORMAZIONE SVOLTA ALL’INTERNO DELLA S.I.S.

4.1 Io al centro di un “magico gioco di specchi”

Nel frequentare la S.I.S mi sono sentita “al centro di un gioco di specchi” che mi ha

costretta ad un lavoro, tanto interessante quanto impegnativo, di etero ed auto osservazione,

dal quale ritengo di avere appreso molto. Per due anni, infatti, contemporaneamente sono stata

cinque “complicatissime cose”:

• l’alunna che ero quando frequentavo la scuola;

• l’alunna che che ha frequentato la S.I.S.;

• la futura insegnante, espressione nella quale includo tanto l’insegnante che

immaginavo di diventare prima, quanto quella che spero di diventare adesso,

cioè dopo avere frequentato la scuola di specializzazione.;

• la tirocinante impegnata a sperimentarsi concretamente come insegnante;

• il genitore.

In queste vesti, in tutte quante insieme, mi sono confrontata ogni giorno, o quasi, con i

docenti e i discenti che ho incontrato lungo questo mio percorso formativo, nonché, nella

fantasia o nei giochi di simulazione compiuti durante alcuni laboratori, con i genitori degli

alunni. A tutti, dalla mia privileggiata posizione, ho guardato in una maniera che definirei

completa e consapevole.

Completa, perché per la prima volta ho osservato e riflettuto su ciascun ruolo

(dell’insegnante, dell’alunno e della sua famiglia) da una prospettiva tripla:

• quella del discente, con le sue richieste, le sue aspettative, i suoi bisogni, la sua

propria personalità;

• quella del docente, chiamato a svolgere mille compiti complessi come: 1)

mediare e facilitare il processo di insegnamento/apprendimento, 2) cogliere i

bisogni cognitivi, ma anche emotivi e affettivi degli alunni (perchè la

dimensione emotiva condiziona fortemente quella intellettuale), 3) individuare

le strategie didattiche opportune alle singole, specifiche situazioni, 4) assumere

un ruolo di modello e di guida autorevole, 5) gestire le relazioni (con i singoli

alunni, con il gruppo classe, con i colleghi, con i genitori), con tutto ciò che

questo comporta (per esempio la costruzione del setting, la capacità di ascolto,

la capacità di attivare la comunicazione in tutte le direzioni, etc.);

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• quella della famiglia dell’alunno, con il suo carico di attese, di ansie e di

richieste.

Consapevole perché, nell’osservare e nel riflettere sul ruolo del docente, del discente e

della sua famiglia ho potuto disporre del bagaglio di conoscenze e di competenze di cui mi

sono arricchita nel corso di questi due faticosissimi anni.

I risultati, alcuni almeno, sono stati:

• la maturazione di un atteggiamento più comprensivo e disponibile nei confronti

di tutti;

• la convinzione che sia altamente inopportuno, e anzi controproducente,

schiacciare il ruolo docente (nonchè l’individuo che assume tale ruolo) sotto il

peso di un “modello di competenza onnipotente e univoca”22 e, dunque,

l’abbandono della ricerca delle “regole per l’insegnante perfetto”. Non esistono,

né esiste un modo solo per essere un bravo insegnante; si può essere tale in

tante maniere differenti a seconda dei contesti e delle situazioni specifiche.

Senza poi contare che “il buon insegnante” non è il docente privo di difetti o di

carenze ma, invece, quello che si impegna per essere, usando le parole che

Winnicott riferiva al ruolo della madre, “sufficientemente buono”. Ossia un

docente che, con coscienza e serietà, dà il meglio di sé, senza soccombere alla

frustrazione se non ottiene i massimi risultati attesi. Infatti, come afferma

Blandino23, realizzare processi di apprendimento completi è impossibile e

riuscire ad attivarli, ossia fare in modo che nella mente di chi apprende accada

qualcosa di nuovo, è già un risultato importante;

• la riflessione sui modelli di insegnante che ho interiorizzati lungo il mio corso

di studi e la rielaborazione dell’idea di insegnante che desidero essere.

Mi sono resa conto, pensandocci, che il mio modello era scisso in due parti. Da

un lato c’era la professoressa dolce e materna delle scuole medie, dall’altro

quella preparatissima e rigorosissima, ma molto distaccata, del ginnasio.

Quando pensavo all’ “insegnante” pensavo ora all’una, ora all’altra. Adesso sò

che ciò che io spero di essere è l’una e l’altra insieme, cioè un’insegnante

attenta tanto agli aspetti cognitivi e intellettuali, quanto a quelli emotivi e

affettivi del proprio lavoro;

22 G. Blandino, B. Granieri, op.cit, , pag. 145 23 Blandino, B. Granieri, op. cit., pag. 9

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• la presa di coscienza del fatto che il modello di insegnamento che avevo

introiettato era di tipo trasmissivo, e la maturazione della scelta di sostituirlo

con un modello che riconosca l’importanza di rendere il soggetto in

apprendimento parte attiva nella scoperta, nell’elaborazione e nella

formulazione dei contenuti oggetto di studio;

• la consapevolezza che le conoscenze teoriche, fondamentali per potere

compiere scelte didattiche libere e consapevoli, nonché per dare a tali scelte

spessore di contenuti, sono fondamentali, ma non devono assumere un ruolo

totalizzante. In tal caso, infatti, la teoria imbriglierebbe all’interno di modelli

rigidi la concreta pratica d’insegnamento che, invece, necessita di massima

flessibilità in rapporto alle situazioni specifiche;

• la convinzione che se compiere generalizzazioni è sempre limitativo e

fuorviante, farlo a scuola lo è ancora di più. Per questo è importante formulare

ipotesi e concezioni cui attribuire un carattere provvisorio, mantenendo la

disponibilità a metterle (e dunque a mettersi) in discussione.

A tutto questo si aggiunge che durante questi due anni di S.I.S. sono stata formata a

vivere il mestiere di insegnante come ricerca continua, e allora se oggi mi immagino nel ruolo

di docente non posso evitare di considerare guida della mia azione didattica quel “paradigma

della ricerca” a proposito del quale Cosimo Laneve scrive che “garantisce la controllabilità

razionale e la scelta critica, l’apertura all’autocorrezione, l’integrazione, (…) nonché –

conseguentemente- l’innovazione costante”24 dell’intervento didattico.

24 C. Laneve, op. cit., 1998, pag. 99

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5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE RAGIONATA

Testi dai quali ho tratto i fondamenti teorici

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G. Blandino, B. Granieri, le risorse emotive nella scuola, Torino, 2002

A. Calvani, Elementi di didattica, Roma, 2000

G. Chiari, Climi di classe e apprendimento, Milano, 1996

M. Comoglio, Insegnamento e apprendimento in gruppo: Il cooperative learning, Roma,

1996

E. Damiano, Lazione didattica, Roma, 1993

D.W. Johnson, R.T. Johnson, E.J. Holubec, Apprendimento cooperativo in classe, Trento,

1996

M. Martinelli, In gruppo si impara. Apprendimento cooperativo e personalizzazionedei

processi didattici, Torino, 2004

M. Pellerey, Progettazione didattica, Torino, 2004

A.R. Colasanti, Star bene a scuola: la promozione di comportamenti sociali positivi, in

Orientamenti pedagogici, vol. 49, n. 4 (292), 2002

L.S. Vigotsky, Pensiero e linguaggio, Firenze, 1992

Testi che ho usato per la progettazione e la realizzazione dell’intervento didattico

S. Tomasevskij, Teoria della letteratura, , Milano, 1925

AA.VV., L’analisi del racconto, Milano, 1969

H. Bremond, Logica del racconto, Milano, 1977

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1966

L. Pirandello, Donna Mimma, in Novelle per un anno, Milano, 1968

L. Pirandello, La giara, in Novelle per un anno, Milano, 1968

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Appendice

Il testo narrativo breve

Un percorso di analisi narratologica

Anno accademico2004/2005

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1- Prerequisiti

Si ritengono prerequisiti necessari per poter affrontare il tema in questione:

• conoscere il sistema della comunicazione e distinguerne gli elementi costitutivi

(emittente, ricevente, canale, messaggio, codice, referente, contesto);

• riconoscere gli elementi fondamentali del testo narrativo (personaggi, azione,

eventi, ambientazione spaziale, collocazione temporale);

• comprendere il contenuto generale di un testo e individuarne i legami logici e

cronologici;

• conoscere i tratti caratteristici del testo narrativo breve: novella e racconto.

2- Obiettivi

Gli obiettivi cognitivi specifici che ci si prefigge di raggiungere per mezzo di questo

progetto didattico vengono esplicitati in calce a ciascuna lezione. Di seguito si indicano,

invece, gli obiettivi più generali e quelli relativi alle abilità sociali che gli alunni devono

conseguire. Essi sono:

• rielaborare in modo critico e significativo le conoscenze acquisite;

• “scoprire" l’uso delle mappe concettuali quali strumenti che possono aiutarli nella

rielaborazione personale delle conoscenze acquisite

• lavorare in gruppo in maniera cooperativa, sviluppando la consapevolezza che

“l’unione fa la forza”;

• ascoltare “l’altro” con rispetto, sforzandosi di comprenderne (che non significa

condividerne) le ragioni;

• identificare in maniera autonoma il momento in cui il compagno ha concluso il

proprio intervento e può quindi cedere il turno di intervento alla conversazione.

3- Materiale didattico

Il materiale utilizzato è costituito da: libro di testo; appunti presi dagli alunni, schede

didattiche fornite agli allievi per lo svolgimento dei lavori di gruppo (Allegati n. 1, 2, 3).

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4- Contenuti, tipo di lezioni e gestione del tempo

4.1- Prima lezione

Durata: 1 ora (50’)

Tipo di lezione: questa è concepita come una lezione che cerca di trovare un equilibrio

tra l’impostazione frontale e quella euristica, volta a stimolare la partecipazione attiva

degli allievi.

� Si spiega “cos’è” e “cosa fa” un Tirocinante S.I.S., cercando di sottolineare il

carattere di reciproco scambio e arricchimento (tra docente accogliente, tirocinante e allievi)

che l’esperienza del tirocinio offre, nonché il ruolo attivo e importante che anche gli alunni

sono chiamati a svolgere nel processo di formazione di un futuro insegnante.

� In maniera chiara e precisa si illustra il progetto didattico in termini di durata, date

degli incontri, contenuti che verranno affrontati e obiettivi che gli alunni dovranno

raggiungere. Alla esplicitazione di questi ultimi, sia pure in maniera meno dettagliata, viene

affiancata l’indicazione degli obiettivi che la Tirocinante si prefigge di conseguire per la

propria formazione personale (verificare la propria capacità di organizzazione e gestione del

tempo, verificare la propria capacità di assolvere alla funzione di “mediatore” di “oggetti

culturali”25, sperimentare alcune metodologie didattiche apprese durante il corso di

specializzazione, verificare la propria capacità di cogliere e “prestare ascolto”26 ai bisogni

cognitivi ed emotivi degli allievi).

� Si danno indicazioni relative alle modalità didattiche secondo le quali verranno

condotti gli incontri, spiegando che alla lezione frontale classica si preferiranno la lezione

euristica (che ha carattere dialogico ed è fondata sulla cooperazione insegnante/allievo) e il

lavoro di gruppo (del quale si parlerà in maniera più dettagliata nel corso dell’incontro

successivo). Si stimolano quindi gli alunni a riflettere sul fatto che l’adozione di tali “formati

didattici”27 implica un significativo mutamento del tipo di partecipazione alle lezioni che

viene loro richiesto. Essi, infatti, non dovranno attendere che la Tirocinante gli “offra” il

materiale oggetto di apprendimento, bensì dovranno “rimboccarsi le maniche” e impegnarsi

attivamente in un lavoro di ricerca e costruzione dei contenuti. Si sottolinea che fondamentale

sarà la loro disponibilità a “mettersi in gioco” esprimendo idee, pensieri, dubbi.

� Si spiega che nel corso delle lezioni verranno compiute, in maniera informale, delle

verifiche intermedie volte a misurare gli effetti dell’intervento didattico e, quindi, a valutare

25 E. Damiano, L’azione didattica, Roma, Armando, 1993, pag. 214 26 C. Uccelli, in appunti delle lezioni del corso S.I.S di Metodologia della ricerca psicologica, 27 A. Calvani, Elementi di didattica, Roma, Carocci, 2000, pag. 143-158

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l’opportunità o meno di apportare modifiche al progetto originario e di offrire supporto agli

alunni che mostrino di averne necessità.

� Si danno delucidazioni relativamente alla verifica sommativa che verrà

somministrata a conclusione del lavoro svolto. Si spiega, per prima cosa, che si tratterà di una

prova semistrutturata, cioè a stimolo chiuso e risposta aperta ma vincolata, e che per svolgerla

gli alunni avranno a disposizione due ore di tempo, ivi inclusa la lettura, individuale, del testo

narrativo su cui essa si baserà. Successivamente si esplicitano le modalità di misurazione della

prova, il cui voto sarà il risultato di una media ponderata e verrà accompagnato da una

valutazione individuale, formulata dalla Tirocinante al fine di tracciare un bilancio

complessivo del lavoro svolto da ciascun allievo. Infine si rende noto che il voto della

suddetta verifica verrà considerato, dalla Professoressa Rizzo, come voto di un’interrogazione

orale.

� Si propone alla classe di scegliere un testo sul quale lavorare alla verifica dei

prerequisiti nel corso dell’incontro successivo. Nel caso dovessero presentarsi difficoltà ad

individuare un testo che fosse noto a tutti la Tirocinante proporrà una fiaba.

4.2- Seconda lezione

Durata: 1 ora (50’)

Tipo di lezione: brain-storming, lezione euristica

Prima Parte (25’)

� Dopo avere esplicitato l’argomento della lezione e gli obiettivi che, con essa, ci si

prefigge di raggiungere, per mezzo di un brain-storming si verificano i prerequisiti e, nel caso

in cui il feedback prodotto dalla classe ne evidenzi la necessità, si procede ad un loro

consolidamento. Per compiere questo lavoro si usa un testo concordato con la classe nel corso

della lezione precedente.

Seconda Parte (25’)

� Si divide la classe in quattro gruppi, tre composti da tre alunni e uno da due. A

ciascun membro di ciascun gruppo viene assegnato un ruolo: leggere, annotare, incoraggiare

la partecipazione di tutti.

� A questo punto, quando ciascun allievo conoscerà esattamente con quali compagni

dovrà lavorare per cui si potrà fare un discorso molto concreto, si stimolerà la partecipazione

attiva dei ragazzi alla definizione di norme che, regolando la convivenza reciproca,

contribuiscano a creare un clima di rispetto, di sé e degli altri, e di interdipendenza positiva.

Nel caso non dovessero emergere dalle proposte degli allievi, le norme generali che la

Tirocinante intende comunque porre come essenziali sono le seguenti: 1) ascoltarsi

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reciprocamente senza disturbare, interrompere, prendersi gioco dei compagni 2) sforzarsi di

comprendere le ragioni dell’altro prima di replicare con le proprie, anche allo scopo di

argomentare meglio queste ultime 3) rivolgere eventuali critiche all’opinione del compagno e

non al compagno 4) non alzare la mano per chiedere la parola, bensì sforzarsi di comprendere

autonomamente quando il compagno ha concluso il proprio intervento e può quindi cedere il

turno di conversazione. Per quanto, invece, concerne i momenti di lavoro di gruppo si spiega

alla classe che esso richiede: 1) che si stia seduti in maniera composta 2) che ci si sistemi in

maniera tale da potersi guardare negli occhi 3) che si parli a bassa voce 4) che si dia il proprio

contributo 5) che si incoraggi la partecipazione dei compagni 6) che si faccia “squadra” e si

sviluppi quindi la consapevolezza che all’interno di un gruppo ciascuno è responsabile di sé e

degli altri non potendoci essere successo di uno senza che vi sia il successo di tutti e

viceversa.

Queste ed eventuali altre norme emerse nel corso della lezione dovranno essere dagli allievi

appuntate su un foglio che dovranno sempre avere sott’occhio nel corso degli incontri.

4.3- Terza lezione

Durata: 2 ore (100’)

Tipo di lezione: frontale, lavoro di gruppo, euristica

Oggetto: la storia

Obiettivi:

• sapere definire la fabula e l’intreccio, saperle distinguere nel testo e sapere

individuare il rapporto che intercorre tra di esse;

• conoscere le tecniche di alterazione della fabula (analessi, prolessi, inizio in medias

res, narrazione ad incastro), saperle definire e saperle individuare nel testo;

• conoscere la definizione di sequenza narrativa, conoscere i tipi di sequenze

(descrittive, narrative, riflessive, dialogate) e sapere “smontare” il testo nelle

sequenze e macrosequenze in cui esso si articola;

• conoscere la struttura di base di un testo narrativo (esposizione, esordio, peripezie,

spannung, scioglimento), sapere definire le fasi di cui essa si compone e saperle

individuare nel testo.

Prima Parte (15’)

� Si esplicitano: l’argomento della lezione, il “piano di lavoro” che si seguirà (lettura

collettiva di un brano, lavoro di gruppo, discussione) e gli obiettivi specifici che ci si prefigge

di raggiungere.

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� Sulla base della scheda didattica (Allegato n. 1) fornita a ciascun gruppo si

introducono i concetti più significativi usando, come testo da cui trarre le esemplificazioni,

quello adottato nell’incontro precedente. In particolar modo si spiegano le tecniche di

alterazione della fabula e i tipi di sequenze narrative.

� Si sottolinea come i concetti di fabula, intreccio, struttura, siano strumentali alla

comprensione dell’ “ingranaggio” e non vincolanti nella composizione di un’opera letteraria

e che di ciò è necessario tenere conto ogni qual volta ci si appresti a compiere l’analisi

narratologica di un testo.

Seconda parte (30’)

� Si legge La giara (1908) di Luigi Pirandello.

� La novella in esame è presente nel libro usato dalla classe. Si porta, però, agli alunni

anche il testo integrale delle Novelle per un anno28, affinché essi abbiano modo di “vedere”

l’opera e, brevemente, si parla di quell’inesauribile casistica di tipologie umane, trame e

situazioni che costituisce la produzione novellistica pirandelliana.

� La lettura viene compiuta ad alta voce dagli alunni che si offrono volontari (nel

corso dello svolgimento del progetto didattico si avrà cura di far partecipare a quest’attività

tutti gli alunni).

� Si ritiene che nello studio di un’opera letteraria, indipendentemente dal tipo di

approccio scelto, critico o narratologica che esso sia, protagonista debba essere sempre e

comunque il testo. Per questa ragione si procede alla lettura della novella cercando il più

possibile di far prevalere il puro e semplice piacere di leggere una storia e “sapere come va a

finire”, evitando le interruzioni (salvo su esplicita richiesta degli alunni) e fornendo eventuali

chiarimenti in un secondo momento. A questo “principio” si deroga per la spiegazione di

qualche vocabolo che possa risultare un po’ più ostico, essendo una elevata percentuale di

alunni di madrelingua non italiana.

Terza Parte (30’+ 25’)

� I gruppi sono chiamati a compiere un lavoro di tipo cooperativo sul testo appena

letto, avvalendosi della scheda didattica che è per tutti la medesima.

� Conclusa la fase di analisi del testo ciascun gruppo espone alla classe il risultato del

lavoro compiuto. Al fine di strutturare la responsabilità individuale tale esposizione non viene

compiuta da un rappresentante di ciascun gruppo, bensì da tutti i suoi membri interrogati a

caso dalla Tirocinante. Nel corso dell’esposizione, sfruttando eventuali contrasti d’opinione,

28 Luigi Pirandello, Novelle per un anno, Milano, Mondatori, 1968

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si stimolano contesti di “discussione”29 finalizzati alla co-costruzione30 del sapere e, quindi,

alla sistematizzazione dei concetti sui quali si è lavorato.

4.4- Quarta lezione

Durata: 2 ore (100’)

Tipo di lezione: frontale, lavoro di gruppo, lezione euristica

Oggetto: i personaggi

Obiettivi:

• riconoscere la gerarchia dei personaggi del testo (principali, secondari, comparse);

• individuare, nel testo, i loro ruoli e le loro funzioni (protagonista, antagonista,

aiutante, oppositore, destinatore dell’oggetto desiderato, destinatario dell’oggetto

desiderato).

Prima Parte (15’)

� Si esplicitano: l’argomento della lezione, il “piano di lavoro” che si seguirà (lavoro

di gruppo, discussione) e gli obiettivi specifici che ci si prefigge di raggiungere.

� Sulla base della scheda didattica (Allegato n. 2) fornita a ciascun gruppo si

introducono i concetti più significativi usando, come testo da cui trarre le esemplificazioni,

quello adottato nel corso del secondo incontro. In particolar modo, invitando gli alunni a

prendere appunti, si introducono, relativamente ai personaggi, i concetti di gerarchia, ruoli e

funzioni, tipo di presentazione e livello di caratterizzazione

� Si sottolinea, ancora una volta, come questi concetti siano strumentali alla

comprensione dell’ “ingranaggio-testo” e non vincolanti nella sua composizione e che di

questo fatto è necessario tenere conto ogni qual volta ci si appresti a compiere un’analisi di

carattere narratologico.

Seconda Parte (20’ + 20’)

� I gruppi sono chiamati a compiere un lavoro di tipo cooperativo sul testo della

novella La giara, avvalendosi della scheda didattica che è per tutti la medesima.

� Conclusa la fase di analisi del testo ciascun gruppo espone alla classe il risultato del

lavoro compiuto. Al fine di strutturare la responsabilità individuale tale esposizione non viene

compiuta da un rappresentante di ciascun gruppo, bensì da tutti i suoi membri interrogati a

caso dalla Tirocinante. A questo punto, sfruttando eventuali contrasti d’opinione, si stimolano

29 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara, Roma, Carocci, 1999 30 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, op.cit.,

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contesti di “discussione”31 finalizzati alla co-costruzione32 del sapere e, quindi, alla

sistematizzazione dei concetti sui quali si è lavorato.

Terza Parte (40’)

Attraverso domande si stimola una discussione nel corso della quale gli alunni si sentano

liberi di esprimere le proprie impressioni e le proprie idee relativamente al testo letto.

L’intenzione è quella di favorire l’instaurarsi di un rapporto ”spontaneo”, “libero” e “diretto”

tra gli studenti e l’opera in esame, nonché di incoraggiarli alla produzione di un pensiero che

sia critico e capace di problematizzare. Per cercare di ottenere questo risultato ci si sforza di

praticare un ascolto attivo e non giudicante, che lavora sulla riformulazione delle idee

espresse dagli alunni. Tuttavia non si manca di guidare la conversazione per mezzo di

interventi che offrano agli alunni informazioni che possano supportare, arricchire, confutare e

problematizzare la lettura del testo da parte degli allievi. I contenuti che si desidera

comunicare riguardano la collocazione dell’autore nello spazio (Agrigento, Roma, Bonn) e

nel tempo (1867-1936) e il concetto di “sentimento del contrario” (nel saggio L’umorismo del

1908). Soprattutto, però, al fine di far “vedere” agli alunni come differente possa essere la

gestione di uno spazio circoscritto, si instaura un’analogia tra le poche pagine della novella in

ambito letterario e la formella del bassorilievo nel campo delle arti figurative. Quindi si

portano in classe le immagini di due bassorilievi, uno di Lorenzo Ghiberti33 e uno di

Donatello34, e si istituisce un’analogia tra la tecnica del rilievo “schiacciato” dello scultore

Donatello e il modo dello scrittore Pirandello, in opposizione alla soluzione ghibertiana35.

4.5- Quinta lezione

Durata: 2 ore (100’)

Tipo di lezione: frontale, lavoro di gruppo, lezione dialogata

Oggetto: i personaggi

Obiettivi: 31 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara, Roma, Carocci, 1999 32 C. Pontecorvo, A. M. Ajello, C. Zucchermaglio, op.cit., 33 Lorenzo Ghiberti, Sacrificio di Isacco (1401); bronzo dorato. Firenze Museo del Bargello. 34 Donatello, San Giorgio e il drago(1420 c.); rilievo schiacciato in marmo. Firenze, Museo del Bargello 35 Ghiberti: il suo rilievo ha parti molto sporgenti che catturano la luce e, con un’abile gioco di piani inclinati, la trasmettono verso il fondo liscio, dove dilaga. Le figure rappresentate sono quelle dei protagonisti e delle comparse. Non vi è sfondo che contestualizzi la scena. Donatello: si propone di rispettare la sezione della “piramide visiva”, il piano, per cui il suo rilievo è molto basso, eppure la sua spazialità è molto più profonda. Questo risultato è ottenuto attraverso l’appiattimento e la dilatazione delle masse, limitate da un segno inciso in maniera profonda, spesso scavato dietro e sotto i risalti (tecnica del sottosquadro), che si contrappone come un solco d’ombra alla luce battente sulle parti rilevate. Per mezzo di questo espediente lo scultore riesce anche a contestualizzare la scena in uno sfondo ben delineato. Pirandello: come Donatello fa nel bassorilievo, nello spazio circoscritto del racconto riesce a delineare personaggi e sfondo attraverso un “segno” forte e netto ed una sorta di “appiattimento e dilatazione delle masse” ottenuti per mezzo di un acre umor nero e di un intenso e deformante espressionismo verbale.

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• riconoscere, nel testo, le differenti modalità di presentazione dei personaggi

(presentazione diretta, indiretta, mista);

• riconoscere, nel testo, i diversi modi di caratterizzare i personaggi (personaggio

“tipo” o “a tutto tondo”, descrizione fisica, caratterizzazione sociale, psicologica,

ideologica, culturale).

Prima Parte (15’)

� Si esplicitano: l’argomento della lezione, il “piano di lavoro” che si seguirà (lettura

di un testo, lavoro di gruppo, discussione) e gli obiettivi specifici che ci si prefigge di

raggiungere.

� Sulla base della scheda didattica (Allegato n. 3) fornita a ciascun gruppo si

introducono i concetti più significativi usando, come testo da cui trarre le esemplificazioni,

quello adottato nella seconda lezione. In particolar modo, invitando gli alunni a prendere

appunti, si introducono, relativamente ai personaggi, i concetti di tipo di presentazione e

livello di caratterizzazione.

Seconda Parte (45’)

� Si legge la novella Donna Mimma di Luigi Pirandello. Si tratta di un testo non

presente nel manuale usato dalla classe pertanto lo si fornisce agli alunni in fotocopia.

� Si apre una breve riflessione sul testo lasciando spazio alle impressioni e alle

emozioni che la sua lettura ha suscitato negli allievi.

Terza Parte (20’ + 20’)

� I gruppi sono chiamati a compiere un lavoro di tipo cooperativo sul testo della

novella letta, avvalendosi della scheda didattica che è per tutti la medesima.

� Conclusa la fase di analisi del testo ciascun gruppo espone alla classe il risultato del

lavoro compiuto. Al fine di strutturare la responsabilità individuale tale esposizione non viene

compiuta da un rappresentante di ciascun gruppo, bensì da tutti i suoi membri interrogati a

caso dalla Tirocinante. A questo punto, sfruttando eventuali contrasti d’opinione, si stimolano

contesti di “discussione” finalizzati alla co-costruzione del sapere e, quindi, alla

sistematizzazione dei concetti sui quali si è lavorato.

� Si riprendono anche i concetti relativi ai personaggi affrontati nel corso della lezione

precedente.

4.6- Sesta lezione

Durata: 1 ora (50’)

Tipo di lezione: frontale (5’) e lavoro di gruppo (15’+ 30’)

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Oggetto: l’autore, il narratore e il punto di vista

Obiettivi:

• distinguere tra autore e narratore;

• riconoscere, nel testo, i differenti tipi di narratore (interno/esterno, palese/nascosto,

testimone/protagonista);

• riconoscere, nel testo, il punto di vista dal quale viene condotta la narrazione

(focalizzazione interna, esterna, zero)

Prima Parte (15’)

� Si esplicitano: l’argomento della lezione, il “piano di lavoro” che si seguirà (lavoro

di gruppo, discussione) e gli obiettivi specifici che ci si prefigge di raggiungere. Sulla base

della scheda didattica (Allegato n. 4) fornita a ciascun gruppo si introducono i concetti più

significativi usando, come testo da cui trarre le esemplificazioni, quello adottato nella seconda

lezione. In particolar modo, invitando gli alunni a prendere appunti, si introducono,

relativamente ai personaggi, i concetti di tipo di presentazione e livello di caratterizzazione.

Seconda Parte (45’)

� I gruppi sono chiamati a compiere un lavoro di tipo cooperativo sul testo della

novella letta nel corso della lezione precedente, avvalendosi della scheda didattica che è per

tutti la medesima.

� Conclusa la fase di analisi del testo ciascun gruppo espone alla classe il risultato del

lavoro compiuto. Al fine di strutturare la responsabilità individuale tale esposizione non viene

compiuta da un rappresentante di ciascun gruppo, bensì da tutti i suoi membri interrogati a

caso dalla Tirocinante. A questo punto, sfruttando eventuali contrasti d’opinione, si stimolano

contesti di “discussione” finalizzati alla co-costruzione del sapere e, quindi, alla

sistematizzazione dei concetti sui quali si è lavorato.

4.7- Settima lezione:

Durata: 2 ore (100’)

Tipo di lezione: verifica sommativa (Allegato n. 5).

� Si leggono le domande per chiarire eventuali dubbi relativi alla formulazione delle

consegne.

� Si ricorda il carattere assolutamente “strumentale” dell’analisi narratologica.

� Si augura buon lavoro.

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4.8- Ottava lezione

Durata: 1 ora (50’)

Tipo di lezione: consegna delle prove di verifica e loro correzione collettiva (vedi punto

n. 8).

8- Verifica intermedia, Verifica sommativa, Criteri di correzione e valutazione

dei risultati, Modalità di riconsegna delle prove

Nel corso delle lezioni l’Insegnante, in maniera informale, sia attraverso domande poste

agli alunni che sulla base dei loro interventi spontanei in classe, si prefigge l’obiettivo di

verificare l’opportunità, o meno, di apportare modifiche al progetto didattico così come esso è

stato concepito e organizzato, nonché di individuare i soggetti che possano avere necessità di

un sostegno, al fine di aiutarli, magari fornendo loro materiale utile a chiarire dubbi o a

colmare lacune.

A conclusione dell’unità didattica gli alunni devono sostenere una prova che verifichi il

raggiungimento degli obiettivi. Tale prova (Allegato n. 5) si articola in sei quesiti ai quali i

candidati devono rispondere in maniera sintetica, ma completa, in due ore di tempo. Accanto

a ciascun quesito viene esplicitato il punteggio che va da un minimo di 1 punto ad un

massimo di 3 punti. Il punteggio complessivo, allo scopo di ottenere un valore in decimi,

viene ponderato secondo la seguente proporzione: Punteggio alunni (punteggio totale risposte

esatte – numero risposte errate): Punteggio totale risposte esatte = X : 10. Sulla prova, accanto

al voto ottenuto come descritto sopra, si esprimerà anche un sintetico giudizio individuale

relativo al modo in cui l’allievo ha partecipato ai lavori di gruppo.

Dopo essere stata corretta, la verifica viene riconsegnata agli alunni affinché ciascuno

possa prendere visione degli eventuali errori commessi e chiedere chiarimenti. A questo punto

si procede ad una sua discussione collettiva, che vuole essere un modo di riprendere e

riassumere i contenuti del ciclo di lezioni concluso.

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Allegato n. 1

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Allegato n. 2

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Allegato n. 4

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