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Crisi, riforme e nuovi assetti di welfare: alcune riflessioni
Nicola MatteucciDESS - Facoltà di Economia, UNIVPM, Ancona
UNU-MERIT, Maastricht
Struttura dell’intervento
Lo stato del welfare italiano (in prospettiva comparata), e il lungo e tormentato processo di implementazione del nuovo welfare “decentrato”
Alcune evidenze di breve-medio periodo sulle politiche sociali ed economiche in Italia
Il dibattito su crisi economica e crisi sociale: alcuni spunti dalla letteratura (inclusa quella: “Happiness and Economics”)
Le sfide all’orrizzonte nell’età della globalizzazione
FinlandiaPortogalloGreciaSlovenia (a)UngheriaSpagna (a)LussemburgoPoloniaRepubblica CecaCiproIrlandaMaltaSlovacchia (a)BulgariaRomaniaLituania (a)
Fonte: Eurostat, Esspros
(a) Dati provvisori.
Spesa per la protezione sociale nei paesi Ue - Anno 2006(% PIL)
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15
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30
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Ue27 (a)
Spesa per protezione sociale -UE- 2006 (€ pro capite)
Paesi Valori Paesi Valori
Lussemburgo 14.672 Portogallo 3.724
Danimarca 11.764 Cipro 3.517
Svezia (a) 10.589 Slovenia (a) 3.496
Paesi Bassi (a) 9.683 Malta 2.271
Francia (a) 9.078 Repubblica Ceca 2.064
Austria 8.908 Ungheria 1.989
Belgio 8.845 Polonia 1.373
Finlandia 8.429 Estonia 1.316
Regno Unito (a) 8.317 Slovacchia (a) 1.209
Germania (a) 8.088 Lituania (a) 936
Irlanda 7.584 Lettonia (a) 859
ITALIA (a) 6.689 Bulgaria 632
Grecia 4.652 Romania 491
Spagna (a) 4.632 Ue27 (a) 6.349
Fonte: Istat, Conti economici nazionali
Spesa per prestazioni di protezione sociale in Italia per funzione - Anni 2002-2008 (Quote %)
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2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Malattia/salute Invalidità
Vecchiaia Superstiti
Famiglia, maternità, infanzia Disoccupazione e altra esclusione sociale
Protezione sociale: un bilancio bloccato?
FUNZIONI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Malattia/salute 25,5 25,1 26,1 26,7 27,0 26,2 26,5
Invalidità 6,0 6,2 6,0 5,9 5,8 6,0 5,9
Vecchiaia 51,7 51,9 51,1 50,8 50,7 51,4 51,2
Superstiti 10,4 10,2 10,0 9,9 9,8 9,7 9,5
Famiglia, maternità, infanzia 4,3 4,4 4,5 4,4 4,5 4,7 4,6
Disoccup. e altra esclusione sociale 2,1 2,2 2,2 2,3 2,3 2,1 2,3
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Dieci anni dopo la legge 328/00…
La legge quadro 328/00: riarticolazione delle politiche socio-assistenziali tra i due livelli – Stato e Regioni/Enti locali, con l’introduzione di un livello minimo uniforme di tutela nazionale (tuttora mancante) e il decentramento della potestà di definizione e gestione delle politiche sociali a livello regionale/locale.
Questa linea di intervento veniva supportata dalla successiva riforma del Titolo V della Costituzione, che riconosceva nelle Regioni i soggetti più idonei a formulare e monitorare l’assistenza secondo i bisogni emergenti dal territorio.
Alla delega legislativa, però, non è finora corrisposta la delega “sostanziale”, ossia quella delle risorse economiche, certe e pianificabili.
Quello che è stato dato negli anni precedenti (poco), viene drasticamente tagliato in tempi di crisi.
Spiegazione basata sui vincoli finanziari, o sulle priorità di azione politica?
La mia tesi finale punterà sulle seconde, allargate a considerazioni di ordine filosofico-ideologico.
Ente locale: articolazione fondamentale del sistema di politiche sociali Nel corso di questo decennio, il livello decentrato di intervento
(specie i comuni) ha fatto fronte, insieme al “volontarismo” del Terzo Settore e della società civile, alla progressiva espansione del disagio sociale nella società italiana: Indizi: estensione dell’area al di sotto della soglia di povertà,
disuguaglianza reale, scarsa mobilità sociale e polarizzazione dei redditi e della ricchezza (10% italiani raccoglie il 50%) (cfr. Franzini, 2010, ISTAT, OECD)
Qualche cifra su questo ruolo: nel 2008, i Comuni italiani (da soli o in associazione) hanno speso in interventi e servizi sociali 6.662 milioni € (0,42% Pil) (cfr. ISTAT, 2011a).
2003-2008: spesa media pro capite dei Comuni esibisce una dinamica di leggera crescita reale: dai 90 € nel 2003 ai 111€ nel 2008 (+8,9% sul periodo, al netto inflazione).
Forti differenze territoriali tra aree geografiche: dai 30 € per residente della Calabria ai 280 € della Provincia autonoma di Trento.
Quali diritti di cittadinanza? Stimolo alla continuazione dei fenomeni migratori e spopolamento SUD.
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE
Vediamo il periodo più recente, con la dinamica dei FSCS, caso emblematico.
I FSCS rappresentano una quota di finanziamento importante per le politiche socio-assistenziali, sia centrali che locali, in quanto “dedicata”.
Consta di 10 fondi:4 introdotti nel 1997-98, 6 nel 2006-07 Essi racchiudono vari capitoli di spesa, diretti
all’individuo, alla famiglia o a comunità di vario genere. Vari gli ambiti di intervento (dalla disabilità alla
formazione, dal recupero e reinserimento sociale alla tutela del potere di acquisto di classi deboli, dal volontariato civile ai servizi per l’infanzia).
Una parte di essi, erogata attraverso le Regioni e i Comuni, supporta la rete dei servizi sociali territoriali.
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE
FSCS: a dispetto della quota ridotta, oggetto di continui tentativi di tagli, a cui seguono rinegoziazioni e talora parziali recuperi, grazie a Conferenza delle Regioni e delle Province Aut. (cfr. CONF REG 2010)
I tagli ai FSCS vengono “da lontano”: nel 2005, clamorosa rottura dei rapporti istituzionali fra Governo e Regioni per il dimezzamento del Fondo nazionale politiche sociali
Nel periodo più recente (2008-11), anche scontando alcuni cambiamenti intervenuti nella definizione dei singoli Fondi e capitoli di spesa, emerge una dinamica negativa generalizzata dei FSCS (cfr. grafici seguenti)…
…una buona celabrazione per l’Anno Europeo di lottà alla povertà e all’esclusione sociale…
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE (Bil. Prev. Stato – milioni €., www.nens.it )
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2008 2009 2010 2011 2012 2013
Fondo per le politichedella famigliaFondo pari opportunità
Fondo politiche giovanili
Fondo infanzia eadolescenzaFondo per le politichesociali (*)Fondo nonautosufficienzaFondo affitto
Fondo inclusioneimmigratiFondo servizi infanzia
Fondo servizio civile
I FONDI STATALI DI CARATTERE SOCIALE: la riduzione della “torta” (Bil. Prev. Stato – milioni €. e variazioni % )
2008 2009 2010 2011 2012 2013
Totale FSCS 2.526,7 1.757,3 1.472 538,3 340 271,1
Δ % anno preced -30,4% -16,2% -63,4% -36,8% -20,3%
Δ % 2011-08 -78,7%
Δ % 2013-08 -89,3%
Δ ass. 2013-08:-2.255,6
I FSCS: il perché della riduzione della “torta” Il calo dell’aggregato totale dei FSCS è stato
particolarmente drastico nel 2011. Rispetto all’anno precedente, i valori previsivi parlano di
un calo del 63% Rispetto ai valori iniziali (del 2008): il taglio dei FSCS ad
oggi è del 79% Al 2013 (dati di previsione) il taglio intervenuto nei FSCS
sarà del 89% In termini assoluti, questo significherà la cancellazione, a
regime, di 2.255,6 milioni € “E’ tutta colpa della crisi”? E, al di la della causa, esistono valide ragioni
economiche, oltre che socio-politiche, per farlo?
I cinque maggiori FSCS al 2008
Mil. € 2008 % 2008 % 2011 % 2013
Fondo politiche famiglia II 346,5 13,7% 9,6% 11,6%
Fondo politiche sociali I 929,3 36,8% 50,9% 16,5%
Fondo non autosufficienza 300,0 11,9% 0,0% 0,0%
Fondo affitto 205,6 8,1% 6,1% 5,3%
Fondo servizio civile 299,6 11,9% 20,6% 41,7%
TOTALE FSCS 2.526,7 100% 100% 100%
FSCS: esiste una logica nei tagli?
Oltre al dato macroscopico dell’entità del taglio, colpisce anche la erratica riallocazione delle poche risorse: Il fondo per le politiche sociali, destinatario di oltre un terzo delle
risorse nel 2008, ne raccoglierà il 16% nel 2013 Altri fondi espressione di bisogni incomprimibili (Fondo non
autosufficienza) vedono azzerate le loro dotazioni, in assenza di misure alternative
Indizi di una “logica finanziaria” e di una gestione “per cassa” delle politiche sociali (cfr. più oltre)
IMPATTO: da un mero punto di vista economico (facciamo cioè l’avvocato del diavolo….lasciamo stare valutazioni di impatto sociale, politico ed infine, etico): Innanzitutto, l’entità del taglio costringe i soggetti eroganti i servizi a
cancellare ogni piano di consolidamento e/o strategia di espansione delle attività e dei livelli di servizio (FUTURO).
Ancor più, simili rapidi tagli minano la stessa sostenibilità economico-finanziaria (e quindi operativa) dell’esistente (PRESENTE).
ESITI ECONOMICI DEI TAGLI A differenza di altri settori economici, questo settore non può
riorganizzare in fretta le proprie fonti di finanziamento e di remunerazione delle attività, per la natura prevalente “non vendibile” dei servizi offerti
Molte di queste attività sono gestite da enti locali già colpiti dalle manovre di finanza pubblica, sotto altri fronti (es: altri divieti imposti dai coevi provvedimenti di stabilità)
Contemporaneamente, alcune redditizie attività per l’ente locale sono bloccate dall’imposizione di forzose (!) partnership con il privato (gestione rifiuti, energie alternative), limitandone ulteriormente l’autonomia operativa e strategica.
Inoltre, dal lato della domanda, questa riduzione di offerta interessa bisogni di assistenza dotati di un forte grado di persistenza temporale (in alcuni casi cronico-irreversibili)
Vi sono poi chiare esigenze sociali crescenti (si pensi ai crescenti fenomeni migratori e all’azzeramento del relativo Fondo, o all’invecchiamento della popolazione in genere).
Domanda elastica al prezzo, rigida ai bisogni, con contestuale riduzione offerta: ESPULSIONE DALLA FASCIA DI PROTEZIONE
ESITI ECONOMICI DEI TAGLI Distruzione di parte delle reti di strutture e servizi assistenziali
faticosamente organizzate sul territorio in oltre un decennio di “stentata” applicazione della legge quadro 328/00.
Distruzione di professionalità critiche, non reimpiegabili altrove, e mortificazione di operatori in professioni già ad alto rischio di “burnout”
Notevole impatto negativo dei tagli sui redditi e i consumi, a motivo della natura labour-intensive del settore.
Miopia delle politiche fiscali restrittive, di fronte ad una crisi macroeconomica di chiaro deficit di domanda (crollo dei consumi e vincolo di cambio)
Effetti chiaramente recessivi delle attuali politiche di stabilità, che si aggiungono a quelli degli shocks esterni (cfr. www.lavoce.info).
VERSO QUALE MODELLO DI WELFARE DECENTRATO? Nei tagli, esiste un briciolo di visione strategica? Tagli simili, anche per le modalità, contraddicono il
principio di sussidiarietà (invalso sin dalla legge 59/1997): il privato sociale, prima chiamato come partner ad affiancare l’ente locale nella progettazione e gestione dei servizi, in periodo di vacche magre viene “scaricato”, proprio quando il suo ruolo sociale diviene critico…e lui non può delocalizzare….!!!!
In prospettiva, bozze di federalismo fiscale ambigue lasciano intravedere nuove leve di imposizione fiscale sul territorio per finanziare i servizi sociali…ma non si pensa al quadro economico profondamente sfibrato, quanto a capacità produttiva e competitiva, e quindi quanto a potenziale impositivo (cambiamento strutturale dell’economia e riconversione, delocalizzazione all’estero…)
A proposito di priorità sbagliate di politica
economica e fiscale… Rafforzamento ammortizzatori sociali con “Pacchetto
giochi” (nuovi tipi di gioco – VLT, slots “intelligenti” -più licenze, nuove scommesse), per gettito addizionale previsto di 1.000 mil. €.
Cfr. il finanziamento alla Ricerca Universitaria dopo i tagli con il cosiddetto Scudo Fiscale (cifre ?).
Gioco (d’azzardo) di Stato: settore di 120.000 addetti (terza industria dopo ENI e FIAT). 400.000 utenti (o gioco-dipendenti?)
Crescita recente a due cifre: 2008: 47.500 mil, 2009: 54.780 mil, 2010: 61.500 mil (4% PIL). 2011: 80.000 mil. (stima)
Ormai le slots sono ovunque. Pervasive in ambienti frequentati da minori.
Quali controlli? (gli stessi delle macchinette distributrici di sigarette?)
E i maggiorenni (pensionati in primis), chi li controlla?
A proposito di priorità sbagliate di politica economica e fiscale… Tassazione nel complesso molto generosa: 2% dei
proventi per le videolotterie,3% poker,12% slot machines e Bingo, 23,5% “Win for life”, etc.
98.000 mil.€ la penale da mancato gettito dovuta dalle società concessionarie allo Stato per le violazioni pregresse (cfr. Corte dei Conti). NB: la penale è pari a 43 volte l’entità dei tagli odierni ai FSCS
Tralascio le denuncie di infiltrazioni mafiose in alcune società concessionarie attuali, residenti in paradisi fiscali, e i dubbi sull’operato dei MS.
Gettito attuale (2010): circa 10.000 mil.€ Qualcuno dei Ministeri competenti si è mai chiesto
quanta marginalità sociale, devianza, criminalità (es: usura) esse provocano, e a quali costi per la collettività?
E i partiti (molti), che programma hanno sul punto?
Il nostro modello di sviluppo e di welfare: leve di azione e (in)sostenibilità
( , , )
&* * *
&
* * *
Welfare f PIL PoliticheSoc PoliticheEcon
PIL OccupQualif Diplom LaureaPIL Occup
OccupQualif Diplom Laurea Occup
PIL Occup PopEtàLavPIL Popolazione
Occup PopEtàLav Popolazione
VERSO UN NUOVO WELFAREVERSO UN NUOVO
PARADIGMA ECONOMICO
Economia dello sviluppo capitalistico→? Di fronte alle prossime temibili sfide (invecchiamento demografico,
migrazioni, processi di globalizzazione e deindustrializzazione), il discorso sul nuovo welfare va agganciato a quello sul bisogno di un nuovo modello di economia di mercato, diverso da quello capitalistico, e dai suoi presupposti antropologici.
La cultura capitalistica ha artificialmente espunto dal discorso e dall’azione economica alcuni fondamentali supporti culturali, etici ed istituzionali, relegandoli ai margini dell’economia di mercato (la “riserva indiana” del Terzo Settore) (cfr. Bruni e Zamagni, 2004, Bruni, 2010)
Metafora mitologica dell’Homo Oeconomicus dei nostri testi di studio.
Invece, le azioni di produzione, scambio e consumo sono radicate in relazioni interpersonali, reti sociali, cultura e istituzioni locali (D. North,1994, Premio Nobel).
Se mancano questi supporti, l’economia reale si sfalda. ES: Lo stesso scambio è basato sulla “fiducia” (categoria non
economica) Oltre alla sfera economica, il modello individualista-efficientista pare
un presidio sempre meno efficace per i diritti sociali e le libertà fondamentali della persona, anche nelle democrazie dell’Occidente
I fondamenti individualistici dell’economia capitalistica Se l’unico criterio etico-comportamentale è l’interesse/profitto,
l’interesse dell’individuo spesso soccombe di fronte all’interesse del conglomerato/lobby. Esempi tra tanti: USA: tagliate le politiche sociali, il disagio viene medicalizzato.
Lo stato sociale “degli antidepressivi” della lobby farmaceutica. Gli homeless del centro di San Francisco lasciati dai tagli sociali
repubblicani ITALIA: nel 2008-2009 800.000 donne riferiscono che, nel corso
della loro vita lavorativa, per gravidanza, sono state licenziate o “dimissionate”. Solo 4/10 ha ripreso l’attività (ISTAT 2011b).
Comportamenti individualistici (modelli imprenditoriali di tipo “mordi e fuggi”) stanno destrutturando la base manifatturiera europea, italiana e marchigiana.
Rincorsa del più alto profitto, sotto l’alibi della cosiddetta disciplina dei mercati finanziari.
Quale responsabilità sociale di impresa? Quando ne vedremo bene gli effetti (tra qualche anno), sarà troppo tardi per recuperare.
In sintesi, la cultura personal-individualistica, derivanteci dall’Antichità classica, oggi evidenzia i suoi limiti nella soluzione dei: Fallimenti del mercato Fallimenti dello Stato sociale
Il bene comune ed i beni pubblici/collettivi
La categoria di bene comune e “beni collettivi” è stata a lungo espunta dalla riflessione economica contemporanea
Più in generale, la gestione comunitaria delle risorse pubbliche/collettive studiata poco e male.
Liquidate frettolosamente dalla storiografia (la “enclosure” (privatizzazione) dei Commons)
Qualche segnale incoraggiante: Nobel a Elinor Ostrom nel 2009 Dopo le privatizzazioni degli anni Ottanta/Novanta, molti beni
pubblici e patrimoni industriali impoveriti dal privato La triste parabola di molte privatizzazioni in Italia:
Il caso Telecom Italia: il declino tecnologico, le buonuscite milionarie del top management ed i “cosiddetti” esuberi di personale
Il razionamento del credito delle banche concentrate e de-localizzate. SEGNALI POSITIVI: in America Latina (e anche in Europa) si è
tornati indietro sulla privatizzazione di alcuni servizi pubblici essenziali, e si sono introdotti modelli di gestione pubblica “controllati dal basso”.
Anche qui, l’Italia è in controtendenza…
La proposta dell’economia civile. E’ possibile conciliare mercato (≠ capitalismo), vita buona e felicità. La teoria economica contemporanea ha perso ogni strumento di
comprensione della natura civile del concetto di felicità, abbandonata nel corso degli ultimi secoli per il suo mero equivalente edonico (benessere materiale).
La proposta dell’Economia civile (Bruni, Zamagni, 2004): Radici nel Medioevo
Monasteri benedettini come “imprese sociali” e cooperative ante-litteram. Opere pubbliche.
Strumenti creditizi nascono da esigenze di coesione sociale. Monte dei Pegni di origine francescana.
Gli stessi pilastri del welfare moderno sono basati sul concetto di reciprocità/solidarietà: sistemi pensionistici, CIG, mobilità, indennità disoccupazione, sistemi fiscali ad aliquota progressiva.
I fondamenti antropologici dell’economia civile Necessità di una visione relazionale (o trinitaria) dell’Uomo. Uomo-
relazione, perfino capace di gratuità! PARADOSSO PER l’H-O. Il dono autentico suscita reciprocità
“allargata” e convinta, sostenibile quando assistita da sanzione per chi devia (Bruni, 2008).
Segreto della migliore sostenibilità dei sistemi di welfare Nord-Europei
Effetti di moltiplicazione della produttività e della ricchezza in presenza di fiducia, collaborazione e reciprocità (patto sociale), a lungo negletti.
“Fai all’altro quello che vorresti fosse fatto a te” (norma presente in molte grandi religioni e culture, anche laiche).
Comportamenti moltiplicatori di “felicità” (Happiness and Economics)
Molti aspetti della nostra vita quotidiana si basano su comportamenti di gratuità e reciprocanti. L’economia domestica e le scelte di fertilità Nessuno di noi in questa giornata ha compiuto in maggioranza
contratti e atti di scambio. Contate gli scontrini che avete in tasca. E paragonateli con le cose che avete detto e fatto per/con gli altri.
Economia della reciprocità per la società multi-culturale
Le categorie della fiducia “contagiosa”, gratuità e reciprocità (con sanzione per il deviante) sono enfatizzate da recenti nuovi modelli di produzione, consumo, e cooperazione (eterodossi).
Impresa sociale, Economia di Comunione, Commercio Equo e Solidale, Banca etica, Microcredito.
Abbisognano però di una formazione nuova della persona alla relazione aperta, “non finalizzata” dall’interesse individuale.
Ruolo della scuola e…delle Facoltà di Economia! Letteratura: Bruni, Gui, Pelligra, Porta, Sudgen e Zamagni:
“Reciprocity, Happiness and Economics” Lo stile comunitario e l’”Homo ‘reciprocans’” è proprio quello che ci
avvicina alle tante culture del SUD presenti nelle nostre città… Le società comunitario-solidali dell’Africa sub-sahariana Il modello sociale “olistico” diffuso in Asia.
Economia della reciprocità per la società multi-culturale
Su questa nuova base paritaria (come dignità culturale), possiamo pensare insieme a nuovi modelli economici inclusivi e sostenibili.
Per chi ha un occhio curioso e scevro da dogmatismi ideologici, gli esempi non mancano.
Cfr. le esperienze già citate. Ma anche: Il volontariato internazionale Il turismo solidale. Il consumo etico. La “filiera corta” tra
produttori e consumatori, per favorire la “fiducia” I fenomeni legati a Internet:
Gli user generated content: creatività e gratuità L’Open Source: ingegno, collaborazione, rete Concretizzazioni dell’”Ubuntu” africano
Sintesi e proposta operativa per gli operatori di politiche sociali Emerge una valutazione molto critica sull’attuale modello di stato e
mercato (e connesso welfare), basati su un modello antropologico individualista e riduzionista sulla natura umana
Modello che anche l’Italia pare aver imboccato con decisione Occorre riconoscere che il modello di sviluppo capitalistico attuale,
come talora le politiche economiche e fiscali che lo accompagnano, è “malato” poiché crea endogenamente disagio sociale.
Non ha senso (nemmeno economico) accettarne i costi sociali intervenendo ex post, filantropicamente, per lenire le ferite.
I processi produttivi e lavorativi vanno ri-umanizzati “ab origine”. Ma per questo il mercato e le imprese falliscono. Nemmeno il
singolo stato può, nell’epoca della globalizzazione. La regolamentazione abbisogna di un sovra-stato autorevole. UE?
ONU? Terzo Settore: occorre che esso rifletta su questi “fondamenti
ultimi”, per non limitarsi a battaglie minimaliste Né indulgere nel lobbying individualistico e competitivo per risorse
scarse, che sconfessa la propria identità e dignità PROPOSTA; associarsi in rete tra “diversi ma euguali”.
Riferimenti bibliografici e sitografia
Bruni, L. Zamagni, S. (2004) Economia Civile, Il Mulino, Bologna. Bruni, L. (2008), Reciprocity, altruism and civil society, Routledge, London. Bruni, L. (2010) L’ethos del mercato. Mondadori, Torino. Conferenza Regioni e Provincie Autonome (2010), Dossier Politiche sociali (30.09),
http://www.regioni.it Franzini, M. (2010), Ricchi e Poveri. Disuguaglianze, crescita e crisi, Università Bocconi Editrice,
Milano. ISTAT (2011a) Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni singoli e associati, Statistiche in breve,
Anno 2008, Roma. ISTAT (2011b) Rapporto annuale 2010. Roma
…
Grazie per la vostra attenzionePer ogni ulteriore informazione:[email protected]/nicola.matteucci