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N ote e discussioni Contro il manuale, per la storia come ricerca L’insegnamento della storia nella scuola secondaria « ...quanto deve costare al nostro pensiero abituale una concezione della storia che evi- ti ogni complicità con quella a cui i politici continuano ad attenersi». W. Benjamin « D’altronde detesto tutto ciò che mi istrui- sce soltanto, senza ampliare o accrescere immediatamente la mia attività. » J.W. Goethe Gli storici italiani fanno spallucce ogni volta che gli vengono prospettate le questioni relative aH’insegnamento della storia e alla divulgazione delle loro co- noscenze. La boria, i preconcetti e le preclusioni corporative gli fanno rifiutare rilevanza a quelle questioni. Essi si compiacciono di scrivere solo per i propri pari. Perciò non stupisce che i problemi deH’insegnamento della storia nella scuola secondaria siano tenuti accuratamente fuori dalle aule universitarie. Solo Giuseppe Ricuperati non ha disdegnato di dedicare a quei problemi una riflessione non episo- dica e non superficiale, mantenendo intatto un impegno di analisi che ne fa uno dei pochi esperti interlocutori di chi vuole rinnovare la propria pratica didattica. Con le sperimentazioni che ha animato e con i suoi scritti Ricuperati ha già accumulato molti meriti. Uno ancora più grande gli va riconosciuto ora per aver attivato un gruppo di ricercatori e per aver destinato finanziamenti del CNR ad un’indagine sulla formazione dell’insegnante in discipline umanistiche: esempio unico, credo, negli istituti storici dell’università italiana. Eppure le proposte e le sollecitazioni di Ricuperati sono state snobbate dai suoi colleghi e non hanno avuto la ricezione che meritavano da parte degli insegnanti di scuola secondaria *. Il dibattito seguito al suo articolo più impegnato, uscito sulla « Rivista di storia contemporanea » nel 1972, è stato deludente — come lui stesso riconosce. La sperimentazione didattica all’università ha incontrato le resistenze degli studenti e si è dovuta ridimensionare, dopo parecchie traversie1 2. Impreparazione degli insegnanti? Incultura e refrattarietà degli studenti? Attrez- zature inadeguate? Gli scritti di Ricuperati si contentano di questi responsi. A me 1 Non mi sono risolto ad affrontare la discussione con Ricuperati se non dopo un lavoro — an- cora incompiuto — svolto con gli studenti che hanno frequentato i miei seminari presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna e con gli insegnanti che partecipano ai corsi di aggiornamento dell’ISPA di Castelfranco Veneto e dell’ITIS « Trebeschi » di Venezia: alla colla- borazione e al confronto con loro questi appunti devono molto. Agli amici Enzo Guanci, Rosa Vivante Scioletti e Piero Brunello che hanno voluto pazientemente discutere del testo con me mettendo a mia disposizione il frutto delle loro esperienze e competenze didattiche esprimo la mia riconoscenza più cordiale. La mia speranza è che questi appunti riescano a sollecitare l’indagine sui presupposti inespressi dei problemi dell’insegnamento della storia e la ripresa di un dibattito, che potrà prender quota a patto di metter in causa le fasulle certezze che ora impacciano la riflessione. 2 DINO carpanetto e Giuseppe ricuperati, Didattica della storia dell’Università in « Riforma della scuola », febbraio 1977, pp. 54-56.

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Note e discussioni

Contro il manuale, per la storia come ricerca L’insegnamento della storia nella scuola secondaria

« ...quanto deve costare al nostro pensiero abituale una concezione della storia che evi­ti ogni complicità con quella a cui i politici continuano ad attenersi».

W. Benjamin« D’altronde detesto tutto ciò che mi istrui­sce soltanto, senza ampliare o accrescere immediatamente la mia attività. »

J.W. Goethe

Gli storici italiani fanno spallucce ogni volta che gli vengono prospettate le questioni relative aH’insegnamento della storia e alla divulgazione delle loro co­noscenze. La boria, i preconcetti e le preclusioni corporative gli fanno rifiutare rilevanza a quelle questioni. Essi si compiacciono di scrivere solo per i propri pari. Perciò non stupisce che i problemi deH’insegnamento della storia nella scuola secondaria siano tenuti accuratamente fuori dalle aule universitarie. Solo Giuseppe Ricuperati non ha disdegnato di dedicare a quei problemi una riflessione non episo­dica e non superficiale, mantenendo intatto un impegno di analisi che ne fa uno dei pochi esperti interlocutori di chi vuole rinnovare la propria pratica didattica. Con le sperimentazioni che ha animato e con i suoi scritti Ricuperati ha già accumulato molti meriti. Uno ancora più grande gli va riconosciuto ora per aver attivato un gruppo di ricercatori e per aver destinato finanziamenti del CNR ad un’indagine sulla formazione dell’insegnante in discipline umanistiche: esempio unico, credo, negli istituti storici dell’università italiana.Eppure le proposte e le sollecitazioni di Ricuperati sono state snobbate dai suoi colleghi e non hanno avuto la ricezione che meritavano da parte degli insegnanti di scuola secondaria *. Il dibattito seguito al suo articolo più impegnato, uscito sulla « Rivista di storia contemporanea » nel 1972, è stato deludente — come lui stesso riconosce. La sperimentazione didattica all’università ha incontrato le resistenze degli studenti e si è dovuta ridimensionare, dopo parecchie traversie1 2.Impreparazione degli insegnanti? Incultura e refrattarietà degli studenti? Attrez­zature inadeguate? Gli scritti di Ricuperati si contentano di questi responsi. A me

1 Non mi sono risolto ad affrontare la discussione con Ricuperati se non dopo un lavoro — an­cora incompiuto — svolto con gli studenti che hanno frequentato i miei seminari presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna e con gli insegnanti che partecipano ai corsi di aggiornamento dell’ISPA di Castelfranco Veneto e dell’ITIS « Trebeschi » di Venezia: alla colla­borazione e al confronto con loro questi appunti devono molto. Agli amici Enzo Guanci, Rosa Vivante Scioletti e Piero Brunello che hanno voluto pazientemente discutere del testo con me mettendo a mia disposizione il frutto delle loro esperienze e competenze didattiche esprimo la mia riconoscenza più cordiale. La mia speranza è che questi appunti riescano a sollecitare l’indagine sui presupposti inespressi dei problemi dell’insegnamento della storia e la ripresa di un dibattito, che potrà prender quota a patto di metter in causa le fasulle certezze che ora impacciano la riflessione.2 DINO carpanetto e Giu se ppe ricuperati, Didattica della storia dell’Università in « Riforma della scuola », febbraio 1977, pp. 54-56.

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sembra però che qualcosa non funzioni nei ragionamenti e nelle proposte di Ricuperati; che la sua elaborazione sia ormai bloccata, prigioniera di una con­cezione dei contenuti e dell’iter delle ricerche scolastiche, che non tiene conto né dei modi di acculturazione e del mutamento dei bisogni culturali delle masse giovanili né delle caratteristiche nuove dello statuto scientifico dell’attività sto­riografica.Con queste note tenterò di analizzare le radici di quell’imp<me e di proporre alla discussione alcune possibili vie d’uscita. Mi preme, innanzitutto, cedere la parola abbondantemente a Ricuperati stesso per richiamare le sue tesi a vantaggio del lettore e a scanso di deformazioni o forzature d’interpretazione.Nel 1972 Ricuperati era convinto che l’ancora di salvezza della crisi dell’insegna- mento della storia fosse offerta dalla didattica come ricerca, però giudicava che le esperienze già tentate fossero fallimentari essenzialmente per due motivi: 1) per­ché « gli insegnanti mancano di reali strumenti culturali e di consapevolezza teo­rica »; 2) perché «la ricerca storica come è stata concepita in questi anni ha trascurato abbastanza il nesso imprescindibile tra formazione e informazione » 3. Consequenziali erano i rimedi propugnati. Ad assicurare validità alla ricerca oc­correvano preliminarmente tre cose: « il reclutamento delle informazioni neces­sarie, il rapporto inevitabile con momenti istituzionali di cui si deve accettare la specificità, la sua collocazione in strutture organiche di lungo periodo, che non diano una visione arbitraria e atomizzata delle cose » 4. Ma il requisito indi­spensabile per modificare le condizioni di lavoro e per il successo dell’innovazione didattica appariva « un cambiamento profondo nella cultura degli insegnanti » ; perciò si auspicava la trasformazione delle facoltà umanistiche in luoghi nei quali « la ricerca scientifica sia coordinata non solo col momento della formazione degli insegnanti, ma anche con quello ben più delicato e diffìcile, della qualificazione permanente » 5.Cinque anni dopo, fedele alla sua analisi precedente, Ricuperati ribadisce il suo verdetto severo « sulle vie sbrigative ed un po’ avventuristiche degli anni prece­denti», ma, a differenza che nel 1972, ora enfatizza il ruolo del manuale: «è accaduto che la dialettica come ricerca abbia urtato sempre più contro l’impo­verito quadro delle informazioni e delle istituzioni disciplinari, mentre regredivano via via le scelte motivazionali». Rimedio sovrano perciò appare la ridefinizione del « ruolo del manuale e più in generale della conoscenza di una grammatica storica precedente alla ricerca [...]. Si tratta di valutare se (il manuale) non sia ancora necessario a quanti [...] sono in grado di guidare la ricerca. Questa pre­suppone un ruolo diverso del manuale e forse un manuale diverso ma non la sua abolizione [...]. Esso può intervenire efficacemente nella fase della prope­deutica fornendo l’identificazione dei problemi da approfondire, offerti nel tempo lungo ed inseriti in una grammatica razionale delle civiltà che permette di coglierli nelle loro profonde correlazioni »6. Le affermazioni ulteriori chiariscono ancora più incisivamente le funzioni molteplici e importanti che vengono assegnate al sapere manualistico: «è esso stesso una memoria sufficientemente ampia e sche­

3 Giu se ppe ricuperati, Tra didattica e politica: appunti sull’insegnamento della storia in « Ri­vista di storia contemporanea », ottobre 1972, p. 505.4 Ibid., p. 511.5 Ibid., p. 513.6 g. ricuperati, Manuali e testi « alternativi » nelle scuole secondarie in dino carpanetto, Giu ­seppe ricuperati, r. cerrato, f . gastaldi, Editoria e insegnamento della storia, in « Italia con­temporanea », 1977, n. 128, pp. 78 e 79.

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matica, che può dare sempre almeno le prime risposte conoscitive che creino ipotesi di lavoro corrette [...]. Il manuale deve essere quindi sempre meno uno strumento autosufficiente e sempre più un corretto punto di partenza, di consul­tazione, di collegamento, il quale proietti la sua problematicità sulla ricerca e sugli strumenti didattici alternativi » 7. Ma gli ultimi esiti del pessimismo di Ri­cuperati sono ancora più involutivi. Del manuale prevale la concezione di « opera che va studiata organicamente (!), poiché la sua funzione è di dare un’informa­zione di base che va recepita nella sua completezza (!)». Della ricerca si afferma l’accezione più riduttiva che la relega ai margini dell’attività didattica, come spontanea iniziativa complementare dello studente, propiziata soltanto dalla guida bibliografica annessa al testo. L’insegnante è emarginato: può essere consultato, ma non gli viene riconosciuto altro compito che quello di dare consigli. Così si sbocca nel paradosso di un modello di relazione pedagogica di trasmissione e rice­zione del sapere, che dovrebbe però rendere lo studente capace di un’autonoma iniziativa di ricerca8.Dunque Ricuperati si è fatto paladino del manuale e si è votato a ritrovargli una dignità e una funzione importante con la fiducia a cui si sente ora autorizzato dall’ofTerta di manuali rinnovati e di « testi » diversi da parte dell’editoria scola­stica. Dopo tante battaglie contro i libri di testo, l’operazione potrebbe apparire patetica e destinata alle frustrazioni. Invece l’afFezione di Ricuperati ai manuali va presa molto sul serio, perché è condivisa in tutti gli ambienti accademici e dalla maggior parte degli insegnanti medi. Anzi è un segno dei tempi. Con la sua perorazione Ricuperati offre il supporto teorico al ritorno offensivo dei contestati sommari, cui editori ed autori di sinistra offrono il marchio di qualità e le co­perture ideologiche9, e rivela il disagio e l’incertezza che si sono impadroniti di coloro che vogliono tentare sentieri nuovi rispettando le strutture cardine del- l'ancien regime didattico. Infatti all’apologià del manuale si accompagnano la coerente disattenzione per l’irrazionalità dei programmi ministeriali e l’indifferenza circa i contenuti della ricerca.L’orizzonte all’interno del quale viene situata la « ricerca » nella scuola secondaria è quello delimitato dai programmi ministeriali attuali. Non c’è nessuna esplicita dichiarazione in tal senso. Anzi Ricuperati sa che la didattica come ricerca pro­voca «la rottura dei programmi», «mette in crisi la struttura oggettiva di un programma valido per tutti » 10. Ma poi non spende quattro parole per dire in che direzione la rottura deve orientarsi e quale ne deve essere la dimensione. Gli effetti inibitori di quei programmi non sono ricordati tra le ragioni dei falli­menti delle sperimentazioni. Eppure alla normatività del modello culturale im­posto dai programmi sono succubi non solo i burocrati e i genitori (il che è scontato), ma persino gli studenti, afflitti dal pensiero che su quei contenuti cul­turali sarà valutata la loro preparazione, alla resa dei conti. Le linee program­matiche ministeriali e quelle generali dello svolgimento storico costituiscono 1 or­dine del discorso da cui non si può decampare neanche per Ricuperati. Dunque le sue proposte rinnovatrici sono avanzate nel rispetto di una tradizione culturale

7 Ibid., p. 80.8 rinaldo comba, o iu seppe ricuperati, massim o salvadori, Storia, Torino, 1978, si veda la nota su « come si affronta la ricerca » alle pp. 322-324 del voi. II.9 Istruttivo in proposito il titolo E adesso si celebra il trionfo della storia sovrapposto al collage di segnalazioni di nuovi sommari di storia, redatto da G. valentini e pubblicato su « La repub­blica » del 9 aprile 1978, p. 11.10 G. ricuperati, Tra didattica e politica cit., p. 504.

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di cui non vengono rimessi in causa i presupposti epistemologici. Perciò il ma­nuale è ritenuto un punto di partenza inderogabile e la sua crisi è considerata transitoria: crisi della sua pretesa di oggettività e delia univocità politica della chiave di lettura del passato piuttosto che del prodotto in sé. La terapia proposta da Ricuperati pare tuttavia non funzionare. Che cosa impedisce che gli inse­gnanti si facciano una preparazione manualistica benintesa e la utilizzino come base dell’attività di ricerca? Secondo lui, o la presunzione che le linee generali dello svolgimento storico siano state acquisite in precedenza o il rifiuto di « pre­liminari distinzioni fra momenti istituzionali e ricerca » u. Ma è risposta sbri­gativa che non va alla radice dell’ostinato rifiuto. In fondo quello di acquisire (e trasmettere) « le linee generali dello svolgimento storico » non è stato da sempre il compito prescritto agli insegnanti di storia? Se l’insegnante, che pretende di realizzare esperienze di ricerca con la sua scolaresca, non s’impegna a rinfrescare o ad erogare le informazioni di storia manualistica forse ha intuito o ha constatato che l’apprendimento delle linee generali non aiutano che in minima misura, quando non intralciano, la corretta impostazione della ricerca e il suo svolgimento. Le ragioni della ripugnanza non sono superficiali. Indagarle diventa necessario per capire quel che indebolisce la battaglia in favore della ricerca e della diversa formazione professionale dei docenti e provoca il fallimento delle buone intenzioni rinnovatrici. Ma affrontare tale indagine vuol dire: 1. ripensare il ruolo del ma­nuale nella cultura storica; 2. definire i contenuti e la funzione della ricerca storica nella scuola secondaria; 3. discutere in che direzione e in quale misura devono rinnovarsi i programmi. Questa riflessione è indispensabile anche per individuare quali strumenti alternativi servono alla nuova didattica e quale tra­sformazione deve subire l’organizzazione della didattica e la prassi dei docenti di storia nelle facoltà umanistiche al fine di formare insegnanti dotati delle abilità professionali adatte ai compiti nuovi.

li manuale: un feticcio

Il manuale di storia ha uno strano destino: oggetto del disprezzo di tutti gli specialisti, testo di uggioso studio da parte degli studenti, il sommario ingombra tuttavia il cielo degli studi come una stella polare di. cui non si può fare a meno pena lo smarrimento nella selva del passato. Chi dentro gli istituti di storia non ha pesanti riserve non solo sui manuali più antiquati, ma anche su quelli che hanno subito un processo di ringiovanimento e si presentano con i belletti derivati dai progressi della scienza storica e dal marxismo? Eppure questi sottoprodotti dell’attività storiografica sembrano insostituibili. Alcuni di noi li compilano e li imbellettano, tutti li legittimiamo, ne facciamo un feticcio inamovibile dalle aule scolastiche, ne imponiamo il culto agli studenti con l’unico risultato di incre­mentare i conti in banca degli editori e degli autori. L’università ne convalida il decoro intellettuale e la necessità di uso, poiché il tipo di preparazione istitu­zionale che si pretende dallo studente è in funzione della struttura logica e formale che fa di un manuale proprio un manuale: quasi sempre è esso il metro di valutazione principale del sapere storico degli esaminandi. Così il futuro inse­gnante pur avendo nausea del manuale, ne introietta la proposta culturale. Con­cepisce che la storia è la storia generale e che non c’è scampo, quella è la porta stretta da cui tutti gli studenti devono passare. Oppure non può pensare che a

Ibid., p. 505.

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strumenti sostitutivi o aggiuntivi che abbiano col manuale una parentela stretta. E se vorrà tentare didattiche alternative, si troverà allo scoperto, sprovvisto di strumenti concettuali, di piani di riferimento, di una convalida proveniente dal­l’istituzione universitaria e da quella scolastica. Gli sembrerà di operare nel vuoto. I precetti programmatici e la forma mentis ricevuta dalla preparazione scolastica e universitaria lo faranno comportare come l’asino di Buridano, esitante tra storia generale e ricerca, ansioso di non saper praticare il passaggio tra ricerca e « grande storia ».

Perché la struttura del manuale è a tal punto condizionante e inibente? Perché il sommario non è uno strumento neutro, flessibile e polivalente quale appare a Ricuperati? Perché esso è il prodotto di una concezione precisa dell’attività sto­riografica e del sapere storico. Un’archeologia del manuale porterebbe alla luce due strati — ideologico il primo, epistemologico l’altro — risalenti alla seconda metà dell’Ottocento: da una parte l’uso del passato a fini di glorificazione dell’unità nazionale e dello stato e di legittimazione del dominio della borghesia; dall’altra, la storia positivista. L ’uno provvedeva l’oggetto certo della storia; l’altra la con­cezione storiografica adeguata a studiarlo e a manipolarlo. L’oggetto ben definito era il passato della «nazione», dello stato, della classe dirigente, cioè quel passato che poteva dare il senso di una continuità collettiva dell’esperienza che trascen­desse o occultasse i conflitti di classe da cui il presente era scaturito. Esso veniva a configurarsi come l’universo finito dei fatti politici e culturali delle classi diri­genti e come lineare sequenza di avvenimenti disposti secondo un movimento progressivo all’apice del quale la borghesia collocava se stessa e lo stato cui essa dava l’impronta. Ne derivava la convinzione che quel passato potesse essere co­nosciuto e ricostruito nella sua generalità e nella sua continuità. Quel passato divenne il veicolo per comunicare alla classe dominante il senso di identità e di superiorità: ne avallava le ambizioni e le pretese, mentre alle classi dominate poteva inoculare il senso di unità nazionale e di immedesimazione con il vincitore.A quell’immagine del passato e all’uso ideologico cui serviva, la concezione positivista della storiografia forniva gli strumenti di elaborazione concettuale e un corpo sistematico di regole di trattamento. Il metodo positivista postulava la possibilità di accertare i fatti così come si erano svolti e di ricostruire la loro successione in un racconto cronologico ordinato secondo relazioni semplici di causa e conseguenza sul modello post hoc propter hoc. L’analisi critica delle fonti era esibita come massima garanzia dei fondamenti scientifici di quell’elaborazione del passato e della sua «oggettività». Dalla presunzione di un universo finito di fatti disposti in concatenazione cronologica e accertabili oggettivamente è originata l’idea di una storia generale e narrativa, coincidente con lo stesso passato nella sua totalità.Sul piano educativo ne è derivata la conseguenza che soltanto una certa storia ha ricevuto il crisma delPufficialità. Lo studio di quel passato apparve il solo degno di essere inserito nel sistema scolastico in quanto edificante, nobile e « vero » e codificabile in un sapere storico essenziale, misurabile quantitativamente e tra­smissibile integralmente, in maniera che il suo possesso diventasse il criterio di omologazione dell’istruzione storica dello studente. Perciò si son concepiti pro­grammi che prescrivono il racconto delle sequenze cronologiche degli stessi « fatti » nei diversi cicli scolastici, senza tener in nessun conto le differenze dei livelli di maturazione psicologica e dei bisogni intellettuali specifici di studenti di diverse età. Perciò si è potuto attribuire ad un libro singolo il compito di radunare il corpus dei fatti storici, di rinchiudere il sapere entro barriere prefis­sate, di imporlo sia agli adolescenti sia ai giovani, con l’unica differenza che al

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ciclo superiore corrisponde un maggiore addensamento delle informazioni ed una più astrusa complicazione espositiva. Da tutto ciò quel « senso di continuità che pervade i sommari di storia e rende desiderabile che gli studenti apprendano dell’esistenza » di Attilio Regolo e dell’evento della battaglia di Legnano « come parte di quel complesso di informazioni che (per ragioni che si presumono valide ma raramente analizzate) si suppone che essi conoscano in quanto italiani » 12.Se queste sono le radici ideologiche ed epistemologiche del manuale di storia, la sua crisi è molto più profonda di quanto sembri a Ricuperati. È intrecciata alla crisi dell’idea di storia come storia generale, alla crisi della « concezione di storia basata sul continuum » 13, che impregna e struttura qualunque manuale. È la crisi di legittimità della storia generale a spogliare di legittimità i programmi ministeriali e la loro pretesa oggettività e validità universale. Ed è l’impossibilità di credere all’efficacia formativa della storia generale che fa ricorrere, giusta­mente, alla ricerca come all’alternativa più promettente. Prendere coscienza di questa crisi, evidenziare i falsi postulati epistemologici e le fallaci istanze edu­cative della storia generale è la condizione preliminare per favorire la crescita della prospettiva del rinnovamento dell’insegnamento della storia nella scuola secondaria. Per indagare a fondo la crisi dell’idea di storia generale bisognerebbe rimettere in causa il nesso tra passato e storiografia, cercando di ridefinire la funzione sociale del passato, il tipo di rapporto che le varie comunità e i gruppi sociali hanno col proprio passato, il tipo di tramiti che stabiliscono con esso, l’uso ideologico che se ne fa. E poi, in rapporto col passato, ridefinire che cos’è oggi la storia come attività conoscitiva, quali le funzioni che si pretendono da essa, quali gli effetti ideologici che è piegata a produrre. Non è il caso di affrontare temi così complessi in un intervento che deve essere sintetico e che ambisce a sollecitare l’apertura di un dibattito e a mettere in guardia contro il pericolo che le tesi di Ricuperati esercitino una funzione « reazionaria » inco­raggiando il moderatismo di insegnanti, editori e ministri. Qui basti svolgere qualche considerazione sui connotati dello statuto attuale della scienza storica, per far emergere la incongruità tra sapere manualistico e scienza storica.L’idea di storia generale e narrativa non sta più in piedi di fronte ai progressi metodologici della scienza storica. Infatti oggi è chiaro che « per quanto gli storici possano allargare il loro angolo visuale, non per questo riusciranno ad acquisire una visione generale del processo storico [...]. La loro visuale sarà sempre limitata a quei pochi aspetti del passato che per varie ragioni hanno finito per cadere nella rete degli storici » I4. A metter in crisi la legittimità della concezione ottocentesca di storia generale è stata la prodigiosa dilatazione tema­tica, problematica e metodologica della scienza e della pratica storiografica, che si è affermata a partire dagli anni trenta e soprattutto dopo il 1950. Fondata sulla nozione di un passato che muta incessantemente la sua configurazione in funzione di punti di vista e di informazioni nuove, la scienza storica si presenta oggi come essenzialmente problematica e quantitativa, pluridisciplinare nel senso di ammettere e aggregare la molteplicità degli sguardi e delle investigazioni pra­tiche delle altre scienze sociali. Essa ha rotto i tradizionali quadri narrativi e propone un’altra concezione delle sequenze degli avvenimenti, offrendo griglie conoscitive sempre più fini. Ha una forte attitudine alla sintesi e si è assegnata

12 La frase, in cui gli esempi soltanto sono stati modificati per adattarli al caso italiano, è tratta da Eric hobsbawm , La funzione sociale del passalo in « Comunità », 1974, n. 171, pp. 24-25.13 o. ricuperati, Manuali e testi cit., p. 69.14 michael M. postan, Storia e scienze sociali, Torino, 1976, p. 72.

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come frontiera una storia totale sempre incompiuta. Ambisce alla ricostruzione pluridimensionale; tende a smontare tutta la storia di una società attraverso l’os­servazione di un microcosmo (un gruppo sociale, un villaggio, una regione per esempio) o lo studio di un « singolo » oggetto (la produzione e il commercio dei cereali per esempio). Cosa ha da spartire questa storia proteiforme con le grame certezze della storia manualistica?

Ma i manuali si sono rinnovati, si sono aperti ad altri aspetti della vita sociale, non omettono i quadri economici — mi sento obiettare. E poi l’ideologia che li ispira è oggi generalmente democratica, non più al servizio delle pretese egemo­niche della borghesia. L’obiezione è incontestabile. Ma malgrado i loro aggior­namenti i manuali recano evidenti le tracce della loro origine peccaminosa. Una serie di elementi negativi caratterizza indistintamente tutti i manuali quali che siano le loro differenze ideologiche e di ambizione intellettuale. Essi hanno la pretesa di rappresentare e trasmettere la sequenza dei mutamenti storici cumu­lativi, ma si presentano come un miscuglio di racconti settoriali separati. Con­tengono una profusione di ex fatti e di problemi storici obsoleti15. La selezione e l’articolazione delle materie e la scansione del tempo sono imperative e instau­rano una lettura tranquillizzante del passato. La costruzione del discorso è sempre pervasa da un’impostazione teleologica e deterministica; l’esposizione risulta apo­dittica e non soggetta alle esigenze della verifica. Attraverso queste stigmate ogni manuale finisce per socializzare un’immagine del passato che è sempre — anche contro le intenzioni dell’autore — rassicurante e deludente. Perciò ogni discorso manualistico anziché essere eccitante è un sedativo dell’attività mentale, pone le energie intellettuali dello studente in uno stato di contenzione. Come è pen­sabile allora di investire questi condensati di sapere di quella somma di virtù educative e conoscitive che generalmente vengono esibite quando si perora la causa dello studio della storia?Perché essi sopravvivono insieme con i programmi all’epoca che li ha generati? Perché la concezione di storia generale che ne è la matrice ha radici solide e rinasce senza mai darsi per vinta. L’istruzione obbligatoria l’ha insediata nella cultura di massa e storici ed editori l’alimentano, contendendosi gli scaffali del pubblico colto con monumentali e profittevoli (per loro) storie generali. D’altra parte l’idea che la storia generale possa « coprire la totalità dell’esperienza pas­sata e svelarci il processo sociale nella sua interezza o il mutamento storico in tutte le sue manifestazioni è una delle illusioni caratteristiche degli storici di professione » 16. Da quest’illusione rampolla l’altra che i manuali possano fornire il quadro di riferimento primario e l’addestramento tecnico ai principianti. Ma il manuale in quanto deposito delle presunte evidenze del discorso storico e garanzia di normalizzazione del sapere non può erogare quella che Ricuperati chiama « grammatica storica » con una metafora ambigua e controversa, tenuto conto della crisi della grammatica nell’insegnamento linguistico. Ma quali abilità prerequisite consegue lo studente che, avendo imparato il manuale, può lasciarsi scorrere fra le dita la successione di fatti come un rosario? E poi è proprio sicuro che lo studente abbia le motivazioni e il tempo per la ricerca dopo aver appreso

!s « Gli ex fatti sono conoscenze rilevanti per problemi che erano vivi un tempo, ma che oggi sono ormai esauriti. I testi e i programmi di storia delle scuole e delle università sono stracarichi di ex fatti che hanno perduto la loro rilevanza senza acquistare il fascino dell’antico e del pittoresco. Essi non illuminano e non divertono eppure occupano grande spazio nel campo della conoscenza storica riconosciuta e raccomandata »: Ibid., p. 78.16 Ibid., p . 72 .

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il sapere manualistico o non è più probabile che, impastoiato da quel modo di appren­dere si bloccherà sulla soglia della vera conoscenza storica? In quanto residuato della scienza storica di ieri, il manuale diffonde una forma arcaica e degradata di storia, predetermina i modi di vedere e di ricostruire il passato, intossica le menti degli studenti e degli insegnanti. Perché Ricuperati non promuove un’inchiesta tra i licen­ziati della scuola media e della scuola secondaria per verificare se è davvero abbre­viato il periodo d’addestramento e favorito l’apprendimento di una « grammatica » storica dai manuali oppure se essi generano soltanto fastidio e stereotipi, incom­prensioni e confusioni?Ma non sarebbe possibile produrre un manuale diverso nel quale l’interesse venga spostato « sui grandi meccanismi economici, sui gruppi sociali e la loro parteci­pazione alla storia, sui mutamenti delle mentalità collettive»? Un manuale sif­fatto, ricco di « una bibliografia ragionata e dell’indicazione precisa di fonti do­cumentarie » 17 non potrebbe essere promosso a strumento passe-partout della nuova maniera di insegnare storia? Attualmente questo obiettivo è illusorio. Ri­cuperati ha avuto l’occasione di realizzare la « sua » idea di manuale. Ma il recente sommario di cui è coautore in che si distingue dagli altri buoni sommari che gli insegnanti hanno a disposizione? L’impianto è del tutto conforme a quello dei sommari tradizionali e le caratteristiche di fondo sono le stesse già deprecate: una resa incondizionata alle ragioni del marketing dell’industria editoriale e alle pressioni dei programmi scolastici? O ennesima conferma della tirannia dell’idea di storia generale? Ammesso, però, che il manuale di nuovo conio progettato da Ricuperati avesse già libero corso, esso sarebbe indubbiamente di qualità supe­riore ai testi correnti; ma in che faciliterebbe l’approccio alla conoscenza e ricerca storica nei ragazzi ancora privi di senso del passato e di senso storico? Come potrebbero coniugarsi le ragioni della ricerca e quelle del manuale?

« Il contenuto del manuale può cambiare: una storia economica o una storia della men­talità può rimpiazzare una storia puramente politica e diplomatica. Resteranno sempre nascoste la maniera con cui la storia si costruisce, la ragione dei suoi cambiamenti ecc. Il manuale resta autoritario. Esso mimetizza il modo di produzione delle rappresentazioni storiche, le loro relazioni con gli archivi, con le problematiche contemporanee che deter­minano la loro fabbricazione [...] In altre parole il manuale parla di storia ma non mo­stra la sua propria storicità. Per questo deficit metodologico il manuale impedisce allo stu­dente la possibilità di vedere come esse si fabbricano e di essere lui stesso produttore di storia e di storiografia. Esso impone il sapere di un’autorità, cioè a dire una non storia »,18Con questi argomenti di Michel De Certeau siamo proprio agli antipodi delle aspettative di cui Ricuperati investe il manuale alternativo. Insomma come po­trebbero coniugarsi le ragioni della ricerca e quelle del manuale?No, per concepire l’insegnamento della storia in funzione dei bisogni conoscitivi specifici degli studenti e della crescita del loro dominio intellettuale sul presente non basta pensare di far tesoro di manuali rivitalizzati, né bastano le nuove offerte dell’industria culturale che dalla struttura e dai vizi manualistici non prendono le distanze. Piuttosto occorre fare i conti con la caduta di legittimità della storia generale, bisogna assegnare obiettivi precisi e verificabili all’insegnamento della storia, occorre far chiarezza su quale ricerca sia possibile agli insegnanti e agli

17 G. ricuperati, Manuali e lesti cit., pp. 79-80.18 Intervento di m . de certeau in un dibattito pubblicato dal « Magazine iitteraire », 1977, n. 123, p. 12. In realtà De Certeau lascia aperto uno spiraglio alla speranza che un manuale diverso possa introdurre alla produzione storica: « A livello dei manuali, c’è dunque un grosso lavoro da fare per introdurre lo studente come attore nella città storiografica ». Ma la conclusione mi pare incon­ciliabile con le asserzioni precedenti, a meno che la parola « manuale » non venga a designare un prodotto storiografico sostanzialmente diverso da quello attuale.

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studenti della scuola secondaria, occorre decidere quali programmi debbano so­stituire gli attuali.

Liberarsi dall’idea della necessità del manuale è però il primo passo: un’opera­zione di igiene mentale indispensabile per predisporre, intellettualmente e psico­logicamente, gli insegnanti a credere nelle virtù della prassi di ricerca, a persua­derli della sua praticabilità, a stimolarli ad attrezzarsi per realizzarla. Non è l’autorità dei programmi e dei manuali a giustificare oggi le pigrizie di insegnanti e studenti non motivati, ad incoraggiarne l’opposizione all’attivismo didattico e alle difficoltà che comporta? Difatti c’è anche il problema di generalizzare la nuova didattica, di promuovere ad essa l’adesione della gran parte dei docenti.La sfida che ci si propone oggi è quella di introdurre nella secondaria una forma di conoscenza storica dimensionata al nostro tempo. I progressi metodologici e concettuali possono e devono oltrepassare la soglia della secondaria e modificare l’impostazione di base del nostro insegnamento, rimpiazzare la storia scientifica di ieri, « oggi consumata totalmente e insignificante come una partita di briscola » (P. Chaunu).La via maestra c’è: è la ricerca. « Si presume che le tecniche dell’indagine storica non possano essere insegnate sul corpo di problemi storici vivi: in realtà se la tecnica storica fosse insegnata [...] in corsi sulle forme viventi essa potrebbe insegnare agli allievi non soltanto l’arte di maneggiare il materiale documentario ma anche quella della rilevanza storica » 19, non soltanto la struttura concettuale ma anche quella sintattica, cioè i criteri e le strategie attraverso le quali la disci­plina raggiunge i suoi risultati conoscitivi. Certo, resta l’esigenza di far acquisire agli studenti un sistema di referenze, dei piani generali di riferimento. Ma è un problema la cui soluzione dipende dalla risposta che diamo alla domanda: quale ricerca?

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La ricerca

Qual è ora l’itinerario mentale di un insegnante di scuola media che voglia ci­mentarsi in una ricerca, scontando il suo deficit di addestramento tecnico e di informazione storica? Generalmente ora i conti li fa con la sua preparazione manualistica, con la periodizzazione e la serie dei contenuti imposti dai program­mi, con la limitatezza degli strumenti bibliografici e documentari alternativi al manuale. Sono questi gli elementi che circoscrivono il campo delle sue scelte e lo costringono ai compromessi più controproducenti. Difficilmente entrano nel calcolo delle possibilità e delle convenienze la personalità e la disponibilità dei ragazzi. Prima di tutto si pensa che questi possano ricevere la motivazione da argomenti che presentino qualche aggancio o qualche analogia con la realtà politica e sociale attuale e che si carichino di immediati insegnamenti politici. Poi sulla base delle indicazioni programmatiche e delle offerte editoriali si orienta la scelta verso una gamma limitata di temi, che sono imposti allo studio qualunque sia l’età, il gradimento, la carica motivazionale degli studenti. Li si tuffa in un addestra­mento forzoso e accelerato; li si mette alle prese con problemi, linguaggi, concetti, strutture espositive fuori della portata delle loro menti e dei loro interessi veri. La ricerca finisce per essere un penso altrettanto estraneo ai ragazzi dello studio del manuale. Dal carattere di imposizione artificiosa e intempestiva della ricerca

19 m . postan, Storia cit., p. 79.

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libresca provengono gli scarsi effetti formativi delle sperimentazioni e il rigetto che esse provocano negli studenti. Se la radice profonda dei molti fallimenti è in questa forzatura occorre cambiare procedimento. Bisogna mettere al primo posto la personalità e l’esperienza degli studenti. I contenuti della ricerca, la loro complessità problematica, la gamma delle procedure e delle fonti da impiegare dovranno essere calibrati sulla scala della maturazione intellettuale degli studenti, secondo una progressione di obiettivi che si proponga di sviluppare via via: la nozione del tempo, il senso del passato, la sensibilizzazione alla storia, l’educa­zione del senso storico e la crescita della razionalità critica attraverso l’applica­zione dei procedimenti della storiografia. Non intendo affrontare il problema dei compiti precipui che dovrebbero svolgere in questa progressione rispettiva­mente la scuola dell’obbligo e la scuola secondaria. Comune all’una e all’altra dovrebbe essere però il metodo della ricerca.C’è una fascia di passato che può essere il campo di investigazione prioritario, perché è quella in cui le menti dei ragazzi possono penetrare più proficuamente e con minori artifici, in quanto è la meno lontana dalla loro esperienza. È la striscia di passato dell’ampiezza di 60 o 70 anni dominata dalla memoria di due0 tre generazioni adulte. Essa entra selvaggiamente nel patrimonio intellettuale delle giovani generazioni attraverso l’esperienza degli adulti e per tramite dei mass media. Non è soltanto questione di rievocazioni dirette. Il fatto è che nei comportamenti, nel linguaggio, nella cultura degli anziani e nella comunicazione dei media i ragazzi apprendono o intuiscono una grandissima quantità di riferi­menti o allusioni a « fatti » compresi in quella fascia di passato. La realtà com­presa in quello spazio di tempo e quella attuale sono sostanzialmente omologhe. Gli strumenti per comprenderla non devono essere attinti dal linguaggio libresco ma sono quelli che vengono usati per la decifrazione del presente. Su quell’esile striscia di passato gli sforzi intellettuali dei ragazzi possono fare molta presa.1 primi problemi da mettere al centro della loro indagine storica devono essere situati in quella fascia: attraverso la loro analisi essi possono forgiarsi gli ele­mentari strumenti concettuali ed euristici e possono provare procedure che in seguito potranno essere applicate allo studio di problemi di un passato meno prossimo. Ma un’altra condizione è da rispettare perché tra esperienza dei ragazzi e oggetto di studio non ci sia fin dall’inizio uno scarto incolmabile. Occorre che il passato all’esplorazione del quale li si invita sia prossimo anche geograficamente, abbia una qualche possibilità di rientrare nel circuito delle loro esperienze dirette, sia insomma quello del loro villaggio o città e poi quello della loro regione. A consentire la realizzazione di ricerche adatte ci sono oggi a disposizione metodi ed esempi già elaborati e verificati. Da una parte la storia orale offre una nuova metodologia storica particolarmente suggestiva e promettente (se usata con intel­ligenza e partecipazione); dall’altra nell’attività storiografica corrente il gusto e le valorizzazione della storia locale e regionale trovano largo campo di appli­cazione. Dunque l’introduzione e la diffusione di ricerche di storia orale e locale trovano conforto e legittimazione nella pratica scientifica odierna. Esperienze di altri paesi sono lì ad ammonirci che la rivoluzione non solo è possibile ma salu­tare. Ed ora anche in Italia alcune sperimentazioni di storia orale potranno fornire materiali per una messa a punto dei percorsi di ricerca20. La storia orale è a mi-

20 Si pensi per esempio alle esperienze inglesi documentate dalla rivista « Orai History » e dalla guida metodologica Family History in Schools elaborata per avviare al senso del passato i bambini ai loro primi anni di scuola. Per l’Italia si veda luisa passerini e lucetta scaraffia, Didattica della storia e fonti orali, in « Rivista di storia contemporanea », 1977, n. 4, pp. 602-610. Ora è disponibile l’esemplare antologia di saggi inglesi Storia orale, Vita quotidiana e cultura materiale

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sura dei ragazzi per due motivi importanti per agevolare la praticabilità della ri­cerca: 1) gli « archivi » cioè la memoria degli adulti e i documenti di vitafamiliare sono lì a portata di mano e perciò la raccolta delle testimonianze può essere fatta dai ragazzi stessi o avvenire sotto il loro controllo e con la loro partecipazione; 2) essa mette a disposizione una svariata gamma di campi di os­servazione, di temi, di oggetti di studio (dalla storia della propria famiglia a quella dei gruppi sociali, dalla storia delle tecniche a quella della mentalità...) che consentono di adeguare in ogni caso il problema e la ricerca alle effettive possibilità degli studenti. La storia locale e quella regionale hanno la virtù di proporre alla riflessione critica dei giovani il passato della propria gente, dei luoghi patrii, quel passato che ora è rimosso, assolutamente abrogato dall’euro- centrismo e dal nazionalismo dei programmi, dei manuali ed anche dei testi al­ternativi.Il ricorso a testimonianze non orali potrà essere via via più grande fino al punto che gli studenti siano capaci di impegnarsi in ricerche che richiedano solo docu­mentazione scritta. Allora si potrà sottoporre al loro esame una documentazione che si riferisca a problemi analoghi a quelli studiati con la storia orale, ma di tempi più lontani, con un procedimento a ritroso che, partendo dal passato pros­simo, porti gli studenti a prendere coscienza dei meccanismi e delle dinamiche, delle permanenze e dei mutamenti della vita conomica, sociale, culturale di strati di passato sempre più profondi e sempre più diversi dal mondo dell’esperienza giovanile.Ecco, mi sembrano queste le vie maestre per le quali condurre gli studenti all’ac­quisizione del senso critico, alla capacità di storicizzare se stessi e di situarsi in una rete complessa di forze, di relazioni, di tendenze.Ma come si risolve il problema di fornire il tessuto a trama più o meno fitta delle informazioni generali entro cui gli studenti possano contestualizzare il campo di indagine, le notizie che vanno raccogliendo e le osservazioni che ne scaturiranno? In primo luogo esordendo con ricerche che esigano il minor numero di riferi­menti, di connessioni con la « grande » storia; poi, operando come fanno gli storici, che cercano le loro informazioni generali non certo nei manuali ma in opere di sintesi e in lavori originali vertenti sullo stesso tema o su argomenti affini o collaterali. Quale manuale potrebbe dare le informazioni sufficienti per soddisfare gli interrogativi che le miriadi di ricerche di storia orale o locale potrebbero far sorgere? Dovrebbe essere un manuale ipertrofico, impossibile a realizzarsi. Un esempio può chiarire come siano illusorie le speranze riposte nel manuale come magazzino di riferimenti generali. Nell’ambito di una ricerca di storia orale che alcuni insegnanti stanno svolgendo nell’Istituto professionale per l’agricoltura di Castelfranco Veneto, un intervistato ha ricordato la « quota 90 » e le sue conseguenze sul reddito dei contadini. All’insegnante si pone dunque l’esigenza di dare le informazioni sulla scelta deflattiva del governo fascista. Se, come vuole Ricuperati, l’insegnante si limitasse a far studiare le pagine del ma­nuale dedicate allo stato totalitario, che lumi potrebbe ricavare lo studente sulla svolta del 1927 che in alcuni testi è appena accennata e in altri neppure menzio­nata? È evidente che l’insegnante deve attingere le sue informazioni dai saggi di coloro che hanno studiato originalmente la politica economica del governo fascista per poter corrispondere alla volontà d’intelligenza degli studenti.

delle classi subalterne (Torino, 1978), curata da luisa passerini, che nell’introduzione considera le potenzialità delia storia orale con ponderata cautela.

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Questo esempio giova anche a delineare il ruolo e le responsabilità dell’insegnante di storia. Egli non può essere soltanto l’ispiratore, il promotore e la guida della ricerca; dovrà impegnarsi anche nel compito di intermediazione tra gli studenti e la letteratura storiografica, per il reclutamento delle notizie sull’onda delle sug­gestioni provocate dalla ricerca. È un compito non semplice, inevitabile e molto più alto della illustrazione e amplificazione dei capitoli manualistici.Ma la ricerca per mezzo di documenti da sola non basta. La prassi di ricerca quale si è finora configurata non può essere totalizzante, perché non può essere applicata per soddisfare tutti i bisogni conoscitivi degli studenti. C’è da imma­ginarsi che il dibattito politico, le mode culturali, le suggestioni dei media, il lavoro scolastico facciano insorgere curiosità ed interessi per problemi storici nazionali o europei o per la storia di popoli extraeuropei, sui quali non è il caso di tentare neanche una simulazione della ricerca su pochi documenti esemplari. Allora che si fa? Proprio quello che fanno gli storici in simili casi. Si utilizzano i libri (sintesi o saggi originali) per acquisire le conoscenze necessarie a dare una risposta ai quesiti di partenza. Forse che gli storici di mestiere si obbligano a imparare un manuale di storia nazionale prima di leggere opere riguardanti la storia dei popoli estranei ai settori di loro competenza? Dunque man mano che attraverso la ricerca la sua padronanza della struttura concettuale e della sintassi storica cresce, l’impegno dello studente può essere orientato alla conoscenza dei problemi salienti della storia nazionale e non, tramite l’acquisizione critica dei risultati delle ricerche e della ricostruzione del dibattito storiografico.L’importante è che, al contrario di quanto ora avviene nello studio del manuale, il senso delle ricerche vada dal particolare al generale, dal semplice al complesso o dalla complessità meglio intelligibile ad un’altra che lo è meno e che si rinunci a « quel tipo di spiegazione — la filiazione genetica -— per cui un fenomeno storico si spiega con il suo antecedente, il più recente con il più remoto, in un’ossessiva corsa verso le origini, verso l’idolo delle origini » 21.Alla fine del suo curriculum di studi secondari lo studente non avrà un’istruzione storica enciclopedica. Del resto ora ce l’ha? Perché non proviamo a misurare e a valutare il grado di preparazione e l’immagine di storia che l’apprendimento del manuale residua nei licenziati della scuola secondaria? O basta la ricorrente costatazione della loro « ignoranza » che ci occorre di fare negli istituti univer­sitari? Lo studente dunque ignorerà moltissimi dei fatti ora inclusi nel sapere manualistico, ma probabilmente avrà una conoscenza pertinente di alcuni aspetti rilevanti delle civiltà passate e di alcuni dei problemi di più o meno lungo periodo che reputiamo « costitutivi >> della civiltà attuale. Ma, quel che più importa, potrà disporre del metodo, delle procedure, degli strumenti intellettuali acquisiti nella ricerca storica per decomporre e ricomporre secondo un altro piano gli aspetti della realtà che avvertirà il bisogno di affrontare con la sua analisi razionale. Forse avrà acquisito anche il gusto delle letture storiche e non si accontenterà delle prime risposte date da libri dallo scarso vigore scientifico o saprà stare in guardia contro i loro effetti ideologici. A questi fini, giova imparare il manuale? Il vero problema sta nel decidere se ciò che si guadagna sia più redditizio di quello a cui si ha la saggezza di rinunciare.

21 MARCELLO del TRErpo, La libertà della memoria, in « Clio », 1976, n. 3, p. 214.

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i programmi

I programmi attuali sono la camicia di forza che impedisce agli insegnanti la libertà di movimento necessaria per attuare la nuova didattica con efficacia. Questi programmi vanno dissolti. Essi possono limitarsi a convalidare la legittimità che la didattica si svolga come ricerca di storia orale e di storia locale e come studio critico dei problemi storici e a sancire il « diritto all’ignoranza » che già la saggezza di Salvemini rivendicava contro la pretesa di far apprendere tutta la storia. Il loro principale compito dovrebbe essere quello di indicare — sulla scorta delle indicazioni della psicologia dell’apprendimento — gli obiettivi cognitivi e operativi da conseguirsi nell’arco degli otto anni della scuola postelementare attraverso la ricerca rispettosa dei ritmi di evoluzione delle strutture mentali dei ragazzi. Inoltre potrebbero predisporre il curricolo equilibrato necessario per il raggiungimento degli obiettivi, deputando gli istituti regionali di aggiornamento e sperimentazione a individuare le aree tematiche e i campi di investigazione più adatti ad una popolazione scolastica determinata.Chimere? Ma in Francia non hanno già da quest’anno abolito la storia per periodi e dissolto il racconto dei vecchi quadri narrativi, imponendo la trattazione di temi circoscritti quali la storia dell’agricoltura o quella dei trasporti? Certo, la riforma francese s’è fermata a mezza strada ed ha suscitato molta ripugnanza negli inse­gnanti impreparati e sclerotizzati e giuste riserve nella corporazione degli storici preoccupati che i vecchi vizi teleologici, deterministici, narrativi s’insinuino fa­talmente nella storia trattata per temi di lunghissimo periodo. Ma l’esempio francese ci conferma che la situazione oggettivamente preme per un rinnova­mento radicale dell’insegnamento della storia. Tenendo conto delle esperienze d’oltralpe noi potremmo superarne le timidezze e compiere per intero la strada che la nuova storiografìa ci addita. La riforma dei programmi della scuola media potrebbe essere il primo banco di prova.

Stremanti alternativi

Ricuperati mostra molto ottimismo per la piega che ha preso l’editoria scolastica e la novità dei prodotti che essa offre. Indubbiamente le collane di manualetti tematici con appendice documentaria ora a disposizione degli insegnanti e degli studenti rappresentano un passo avanti. Esse frantumano il complesso manua­listico e valorizzano alcuni importanti nodi storiografici. Sembrano porsi sulla linea del rinnovamento da me profilato. In realtà ora sono soltanto degli equivoci succedanei del manuale. Ne presuppongono l’uso, ne confermano la funzione; sono concepiti come innesti sul corpo morto del manuale. Ne ripetono l’astrat­tezza e la complicazione espositiva e si espongono a molti dubbi circa il grado di fruibilità, di funzionalità nel lavoro scolastico e di gradimento da parte degli studenti. Ricuperati si astiene dal dare un giudizio di valore sui singoli volumi e non si pone neppure un interrogativo sui condizionamenti che le esigenze del marketing editoriale impongono alla scelta dei titoli e alla compilazione dei libri. Perciò non si accorge che i curatori delle collane sono costretti a pascolare nello stesso campo il cui recinto è segnato da programmi e da manuali. Infatti nelle collane ritrovi gli stessi vizi di eurocentrismo e di visione centralizzatrice della storia italiana. Pochissimi, del resto, i titoli di storia italiana. Anche qui la storia specifica degli stati italiani e la storia dei popoli che compongono l’Italia è rimossa. Anche essi, come i manuali, impongono nell’attività didattica temi e problemi estranei alla sensibilità ed esperienza degli studenti, lontani dai loro specifici bi­

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sogni conoscitivi. Molto più adatti ad agevolare i compiti degli insegnanti mi sem­brano invece i readers, da una parte, e la pubblicazione di documenti di storia regionale per temi, dall’altra. Le antologie di studi riferentisi ad un medesimo campo d’indagine possono servire alPaggiornamento dell’insegnante meglio di una compilazione che si proponga come sintesi. Esse danno il senso della dialettica della ricerca storica e — in presa diretta — i termini del dibattito storiografico, le procedure diverse di analisi, gli strumenti euristici e concettuali messi in opera. Non mancano nelle librerie già ora esempi ben riusciti di antologie. Bisogna premere affinché gli editori aumentino i titoli e ne dedichino una maggiore quan­tità a problemi di storia degli stati e delle regioni italiane.Le pubblicazioni di documenti di storia regionale su temi precisi, e perciò non eterogenei o meramente esemplari, dovrebbero fornire agli insegnanti e agli stu­denti i materiali di base per la ricerca orientata sul passato non penetrabile attra­verso le fonti orali. Esse potrebbero contenere le indicazioni bibliografiche, ar­chivistiche e metodologiche per agevolare la raccolta di documenti per ricerche più originali.Sono d’accordo con quanto Ricuperati affermava nel 1972: che « la scelta lasciata alle case editrici non garantisce minimamente la qualità e la direzione del ma­teriale » e che « l’operazione di ricerca storica, per non restare subalterna, deve prevedere [...] l’elaborazione dal basso, in piccoli gruppi, di strumenti alternativi» che nascono dalla collaborazione di una gran parte degli insegnanti22. Ma perché esimere da questo compito il personale degli istituti universitari? La preparazione degli strumenti alternativi progettati e costruiti in collaborazione con gli insegnanti medi e, per quanto possibile, sulla misura delle esigenze emergenti, potrebbe di­ventare il modo di stringere un saldo e proficuo rapporto col territorio da parte degli istituti di storia. O dovremo continuare a lasciare sussistere la finzione di un rapporto col territorio realizzato attraverso le committenze che direttori d’isti­tuto e baroni ricevono da enti locali e banche?

La formazione professionale

Gli insegnanti di storia hanno attualmente una preparazione che li abilita soltanto a farsi espositori dei manuali o, nel migliore dei casi, amplificatori di alcuni ar­gomenti in essi trattati. Non è pensabile che tutti riescano in tempi brevi a riqualificare la propria preparazione, a rinnovare la mentalità e le informazioni per affrontare i compiti nuovi. Occorre scontare un lungo periodo (una genera­zione?) di coesistenza di tradizione e innovazione. Quel che conta è che il rinno­vamento si radichi, conquisti nuovi proseliti, diventi sempre più diffuso. Insomma quel che ci deve stare a cuore è che si affermi una tendenza e che essa impronti di sé l’aggiornamento degli insegnanti in servizio e la formazione delle nuove leve, con la speranza che il nuovo, né improvvisato né avventuristico, con l’effetto dimostrativo, riesca a contagiare anche gli scettici e li stimoli ad arricchire il loro insegnamento tradizionale, a spostarlo dall’asse narrativo ad un asse pro­blematico.Che questa tendenza si affermi è urgente ed è necessario. A renderla urgente c’è la insanabile crisi dell’insegnamento tradizionale, il rifiuto degli studenti di un sapere che non può insegnargli nulla sul loro presente. A renderla necessaria c’è

22 G. ricuperati, Tra didattica e politica cit., p. 511.

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il bisogno di preparare il personale insegnante capace di gestire la didattica se­condo le nuove esigenze della scuola secondaria riformata. Necessario, questo impegno è possibile? A renderlo possibile c’è l’ansia di molti insegnanti di uscire da una situazione d’impotenza e di frustrazione e ci sono le aspettative degli stu­denti. Alcune delle condizioni favorevoli vanno emergendo: l’aggiornamento sot­tratto alla burocrazia ministeriale e affidato alla gestione diretta degli insegnanti e agli istituti regionali di prossima attivazione; i corsi delle 150 ore dove è già possibile introdurre contenuti e didattiche diversi; la diffusione dei corsi di laurea in storia e la crescita degli spazi occupati dalle discipline storiche nei corsi di laurea letterari e filosofici; un dipartimento in via di costituzione con funzioni e strutture da precisare. Non nutro illusioni su come attualmente vanno le cose in ciascuna delle sedi ricordate. Ma non c’è motivo di rassegnarsi a lasciarle andare così. C’è la possibilità di trasformare l’aggiornamento in occasione di formazione permanente degli insegnanti. C’è la possibilità di non dover imporre ai lavoratori che frequentano i corsi delle 150 ore interessi di riporto e di valo­rizzare la loro cultura per il tramite della storia orale e locale. C’è la possibilità di ristrutturare i corsi di laurea in storia e quelli ad indirizzo storico e la possi­bilità di organizzare i dipartimenti in maniera da farne la sede ottimale della formazione professionale del nuovo insegnante di storia.Le potenzialità ci sono. I docenti universitari vorranno accollarsi il fardello dei compiti indispensabili per concretarle? Gli storici progressisti devono già farsi perdonare troppe complicità di fatto con il sistema che ha lasciato degradare l’insegnamento universitario e non dovrebbero perdere quest’occasione per scindere le proprie responsabilità e per cooperare al rinnovamento della formazione pro­fessionale degli insegnanti. Purché impegnino le loro competenze, il loro prestigio, la loro autorità, piuttosto che a farsi approvare dalla corporazione, a cercare le forme e i modi per la costruzione di una cultura storica di massa. La sfida con cui misurarsi è quella di formare una miriade di esperti in ricerca storica che possano mettere a frutto le competenze acquisite in quei luoghi che tradizional­mente vengono considerati come sedi di mera riproduzione di informazioni fab­bricate altrove. Questo obiettivo implica che i docenti universitari imbocchino strade radicalmente nuove nella propria pratica didattica, nell’organizzazione del rapporto tra ricerca e didattica e di quello tra produzione scientifica e utenza. Il curriculum di studi dovrebbe smettere di essere oscillante tra un enciclopedismo tanto sgangherato quanto caotico e un eccesso di specializzazione* settoriale e di frantumazione disciplinare (come negli attuali corsi di laurea in storia). Dovrebbe essere riformulato con lo scopo di far conseguire livelli di professionalità carat­terizzati dalla conoscenza critica, quanto più ampia e problematica possibile, del­l’elaborazione della cultura storica e dal possesso della capacità di far ricerca. L’attività didattica, che ora è dispersiva e collidente con gli interessi degli studenti e con la serietà dei loro studi, dovrebbe essere organizzata in modo da conseguire la ricomposizione tra il momento didattico e l’attività di ricerca, e da favorire la imbricazione tra le diverse discipline. Ogni fase dell’attività didattica dovrebbe diventare per lo studente occasione di apprendistato.La parte istituzionale non può più essere lasciata all’iniziativa autodidattica e affidata al manuale. Deve entrare a far parte integrante di ciascun insegnamento (o, meglio, di aree disciplinari) e mirare a far conoscere le problematiche più vive dell’attività storiografica, a far acquisire il senso della rilevanza dei problemi storici e la consapevolezza dei condizionamenti cui è sottoposta la produzione storica (perché certi territori sono più frequentati di altri? perché certe proble­matiche emergono con maggior forza d’attrazione?...). La ricerca deve diventare l’asse portante della prassi didattica. Non ci sono impedimenti di sorta, neppure

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in quei casi in cui gli archivi a cui attingere sono lontani dalla sede universitaria. Oggi generalmente i docenti fanno lezioni utilizzando i libri già fatti, propri o altrui. Agli studenti non resta che apprendere quei «testi», magari, insieme con l’esercizio di una qualche reazione critica. L’innovazione consisterebbe nel- l’ammettere gli studenti nel proprio laboratorio di storico, esibendo gli strumenti, le tecniche di trattamento dei dati, le procedure preferite, le motivazioni delle scelte tematiche, insieme col corredo di letture fondamentali sottoposte ad analisi critica. Così lo studente che assisterà alla viva esperienza dell’operazione storica e potrà maneggiare i materiali documentari lui stesso ogni volta che si verifichino le condizioni favorevoli, alla fine del suo corso, potrà essere in grado di utilizzare il codice dello storico nell’elaborazione della propria tesi di laurea superando le approssimazioni metodologiche e concettuali che oggi viziano la massima parte delle dissertazioni. E inoltre avrà l’attrezzatura intellettuale adeguata per smon­tare le opere storiche che avrà il bisogno di conoscere da insegnante, in modo da controllarne il grado di rilevanza problematica, da saperne smascherare gli effetti ideologici, da coglierne le carenze metodologiche, da verificarne il grado di rigore analitico e la coerenza interna, il livello di complessità e di probabilità della ricostruzione e interpretazione che gli è offerta.Certo, a chi sguazza nell’attuale palude, a coloro che seguitano a considerare l’insegnamento e la ricerca una faccenda privata, a coloro che al principio della « libertà d’insegnamento » ricorrono come ad un anticorpo ideologico contro ogni tentativo di riforma dell’organizzazione didattica, le mie proposte appariranno urtanti o utopiche o pericolose. Configurano una piccola rivoluzione che confligge con la lunga durata delle abitudini mentali e delle adesioni ad una vieta conce­zione della storia e del proprio ruolo di intellettuale. Infatti la conseguenza inevi­tabile sarebbe che la ricerca storica non potrebbe più funzionare in circuito chiuso, ma dovrebbe tener conto dei nuovi interlocutori. La speranza sarebbe che l’attività storiografica si democratizzasse sempre più, coinvolgendo un numero sempre maggiore di operatori culturali; che si estendesse la possibilità di ridurre il carattere di iniziativa privata dell’attività scientifica e se ne valorizzasse invece sempre più la destinazione sociale.Perché il rinnovamento sia realizzato una condizione è imprescindibile: che gli studenti possano frequentare i corsi e partecipare assiduamente alle attività uni­versitarie. L’organizzazione didattica che soddisfi le loro esigenze è già un forte fatto­re attrattivo. Ma non basta. Occorre che i docenti si diano da fare per ottenere una riforma universitaria che si qualifichi in prima istanza perché crea le con­dizioni indispensabili per favorire la presenza degli studenti nei futuri diparti­menti. La realizzazione piena del diritto allo studio dovrebbe caratterizzare la università riformata. Quest’obiettivo dovrebbe orientare la soluzione dei problemi del personale docente e della riorganizzazione strutturale.Non c’è tempo da perdere. Porsi la meta dell’acclimatazione dei progressi della storiografia nella scuola secondaria è impellente se si vuole evitare i rischi di una riforma che perpetui l’irrazionalità dei programmi e dei metodi di insegna­mento. Ed è ancora più urgente se vogliamo fare la nostra parte nello sforzo di trovare le risposte alle domande dei giovani. O introduciamo nelle scuole la « buona » storia, cioè quella che corrisponde agli attuali parametri dello statuto scientifico della storiografia o rischiamo di perdere la partita: il disinteresse dei giovani ci seppellirà.

« La storia scientifica è pronta ad accettare senza eccessivo disagio, il lassismo m etodolo­gico, purché ogni specialista vi trovi la sua parte di potere e di piacere [ .. .] N on si potrebbe escludere, nondimeno, un’eventualità: che le giovani generazioni arrivino a disinteressarsi

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della storia in quanto amministrazione del passato. La forza rigogliosa del presente è tale che il passato, per quanto vicino, appare presto come desueto. Non basta costatare che le istituzioni d’insegnamento e di ricerca concedono un posto sempre maggiore alla storia; che oggi le pubblicazioni storiche godono di un ’ampia diffusione. Bisogna anche osservare che i giovani — tranne quando si tra tti di acquisire una qualificazione che serva ad assi­curare loro una funzione sociale — si fanno sempre più beffe del passato, remoto o pros­simo; che preferiscono alla classificazione storica la dispersione territoriale [ ...] , la varietà dei viaggi [ ...] ; che cercano il « fatto » come rottura, fosse pure senza seguito, più che l’elemento di una strategia [...] Mitica nell’Ottocento, scientifica nella prima metà del Novecento, la disciplina storica s’insedia ormai come moda culturale (o come trappola) ed è grave il rischio di allontanarsene. Che non esista un sapere storico [...] è chiaro; ed è chiaro anche che esistono conoscenze storiche che si approfondiscono, si specificano, si diversificano nella prova di un controllo incessantemente rinnovato. Il problema epistemo­logico e politico consiste nel sapere che cosa fare di questi lavori, nati dall’istituzione e che, si integrino in essa o vadano oltre, la mettono in discussione » 23.

Sarà forse il caso di dar retta aU’ammonimento di François Châtelet. Altrimenti verificheremo che « la lieta novella che lo storico porta senza respiro, viene da una bocca che forse, già nel momento in cui si apre, parla nel vuoto » 24.

Poscritto', questo lavoro era già in tipografia quando Aleana Montini ha offerto un piccolo test dell’improduttività e della dannosità dell’apprendimento manualistico nella scuola deU’obbligo, pubblicando le risposte di un alunno e di una alunna al quesito di verifica finale; «Cause e conseguenze della rivoluzione francese». Mi pare opportuno offrirle qui alla meditazione degli adoratori del manuale. Ri­sposta di un alunno-, « Le cause della rivoluzione francese erano molte. La francia doveva combattere contro interi battaglioni, con napoleone bonaparte che era uno dei più forti del secolo, quindi la francia veniva sconfitta e perdeva centinaia di guerriglieri, ma lei non si arrendeva mai e combatteva sempre per cercare delle cause contro di lei. La rivoluzione francese non aveva delle conseguenze molto belle per cui aveva dei problemi dalla testa ai piedi. Di giorno in giorno ghi­gliottinava generali e ricchi per aver tradito il popolo ed era così che le conse­guenze non andavano bene per questi motivi». Risposta di un’alunna: «Le cause che portarono alla rivoluzione francese, fu che i francesi erano in lotta con i romani perché loro non erano d’accordo sul farli passare sui loro territori è per quello che i francesi proclamarono una rivoluzione francese ». Giustamente la Montini commenta: « è ben evidente la commistione di vocaboli da manuale di storia e vocaboli radio-televisivi, come è ben evidente che impartire la storia secondo il rituale canonico o semplicemente proporre le < vicende > del passato entra in urto con il senso del tempo che hanno i bambini sottoposti al bombar­damento quotidiano di immagini e di suoni che proiettano la presenza dell’io in una dimensione di sensazioni, emozioni da cogliere e consumare in rapida succes­sione senza riflessione e discriminazione dialettica... » (« Il manifesto » del 13 giu­gno 1978, supplemento n. 18). I brani (qui si sono omessi quelli relativi alla rivoluzione americana) sono paradigmatici dei risultati del modo assurdo di socia­lizzazione del passato a cui gli attuali programmi costringono: un modo che produce un guazzabuglio di nozioni e impressioni imprecise e sconnesse. Giusto il contrario di quanto ci si propone di conseguire con la conoscenza storica. La rinuncia a questa somministrazione di sapere storico a chi nuocerebbe? Certamente non ai ragazzi.

ivo MATTOZZI

23

24François chatelet, La filosofìa delle scienze sociali, v o i. V I I , M ila n o , 1975, pp. 157-158. walter benjamin, Angelus novus, T o r in o , 1976, p. 74.