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Le richieste della società civile italiana in occasione del G8 di Deauville (26-27 maggio 2011) e del G20 di Cannes (3-4 novembre 2011).
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Condividere diritti e cittadinanza LE RICHIESTE DELLA SOCIETÀ CIVILE
ITALIANA IN OCCASIONE DEI VERTICI G8
E G20 19 maggio 2011 Un documento della Coalizione Italiana contro la Povertà GCAP Italia
Condividere diritti e cittadinanza
LE RICHIESTE DELLA SOCIETÀ CIVILE ITALIANA IN
OCCASIONE DEI VERTICI G8 E G20
INTRODUZIONE ...................................................................................................................................................... 1
FINANZA: ............................................................................................................................................................... 2
RISORSE PER LO SVILUPPO ..................................................................................................................................... 5
Aiuto pubblico allo sviluppo ........................................................................................................................................... 5
Monitoraggio dell’APS .................................................................................................................................................... 6
SALUTE ................................................................................................................................................................... 8
Salute riproduttiva, materna e infantile ......................................................................................................................... 8
La lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria .......................................................................................................... 8
Rafforzamento dei sistemi sanitari ................................................................................................................................ 9
Accesso universale all’acqua e ai servizi igienici ............................................................................................................ 9
CAMBIAMENTI CLIMATICI, ENERGIA E BIODIVERSITÀ .......................................................................................... 10
CIBO E AGRICOLTURA ........................................................................................................................................... 14
Crescita dei prezzi - Come evitare una nuova crisi alimentare .................................................................................... 14
Un’agenda positiva a sostegno delle donne e dei piccoli contadini............................................................................. 14
Per un nuovo sistema globale del cibo e dell’agricoltura ............................................................................................ 16
LAVORO DIGNITOSO ............................................................................................................................................ 18
UGUAGLIANZA DI GENERE E DIRITTI DELLE DONNE .............................................................................................. 20
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INTRODUZIONE Nel 2005 quando la Coalizione Italiana contro la povertà ha iniziato la sua azione
abbiamo affermato insieme alla Campagna delle Nazioni Unite per gli Obiettivi del
Millennio che “Ci sono le risorse tecniche ed economiche per raggiungere gli obiettivi del
millennio”, viceversa alcuni dubbi esistevano sulla capacità politica di mantenere fede
all’impegno solenne che nel 2000 assunsero 189 capi di Stato e di Governo al Vertice
delle Nazioni Unite con la firma della Dichiarazione del Millennio. A 6 anni di distanza i
dubbi sulla volontà politica di sconfiggere la povertà si consolidano e la storica promessa
fatta rischia di fallire per l’evanescenza degli impegni presi nel G8 e per le risorse che
molti degli stati rappresentati nel G8 e nel G20 hanno fatto mancare al partenariato
globale per lo sviluppo (obiettivo 8).
Nel dicembre 2010 si è chiusa la prima decade degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
(OSM). Nonostante alcuni straordinari successi conseguiti finora in ambiti e in regioni
limitate, l’obiettivo di sconfiggere la povertà in modo permanente attraverso la
realizzazione degli OSM necessità di un impegno di lungo periodo dei governi del Nord e
del Sud del mondo. Ad oggi circa 2 miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al
giorno e la fame nel mondo ha di nuovo raggiunto la cifra record di un miliardo,
aumentando di 44 Milioni negli ultimi 6 mesi a causa dei rialzi dei prezzi dei cereali. La
situazione della salute globale resta critica e i progressi sono lenti, nonostante i
numerosi impegni in sede G8. L’intreccio della crisi economica, di quella climatica e gli
effetti della volatilità finanziaria continuano a costituire una miscela tossica prodotta
dalle nostre politiche economiche, che viene somministrata alla popolazione mondiale e
costringe milioni di persone, in particolare le donne, ad una condizione senza dignità e
senza prospettive.
Gli impatti della crisi climatica nei Paesi più poveri stanno già mettendo a rischio il
raggiungimento degli OSM. Secondo la Banca Mondiale dal 2010 al 2050 serviranno tra i
75 e i 100 miliardi di dollari all'anno per l'adattamento ai cambiamenti climatici, un costo
aggiuntivo rispetto agli obiettivi del millennio che la comunità internazionale dovrà
affrontare per evitare che i paesi più poveri vedano aumentare la spirale della povertà.
L'inizio del 2011 ha visto un brusco incremento dei prezzi del cibo, una delle scintille che
ha fatto esplodere la protesta in Tunisia e in altri Paesi del Mediterraneo. Una situazione
analoga a quella di tre anni fa, quando il prezzo del grano è aumentato dell'80%, quello
del mais del 90%, causando povertà, malnutrizione e sommosse in diverse parti del
Pianeta. Il prezzo del petrolio è passato dai 60 dollari al barile del 2006 ai 144 del luglio
2008, per precipitare in poche settimane a 35 dollari e poi risalire nuovamente. Simili
variazioni dei prezzi non sono legate solo all'economia reale, ma anche alla speculazione
finanziaria, con un impatto devastante sui più poveri: la sicurezza alimentare è
pesantemente indebolita e l’investimento in agricoltura viene scoraggiato
dall’impossibilità di prevederne il ritorno.
I recenti avvenimenti nel Mediterraneo e in Medio Oriente che hanno preso il via dalle
rivolte per il pane e dalle rivendicazioni per i diritti e per la democrazia evidenziano che
in un mondo globale la richiesta di eguaglianza, di democrazia e di dignità non possono
essere più confinati nello stato nazione e che la comunità globale deve costruire le
condizioni per uscire dalla povertà e realizzare le potenzialità economiche, sociali,
culturali e personali di ciascuno.
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Proprio osservando l’evoluzione della crisi nei paesi di quell’area, suscita grande
preoccupazione che la comunità internazionale non sia riuscita a trovare scelte
alternative a quella militare per risolvere le situazioni più difficili come nel caso libico.
L’uso della armi apre in ognuno di noi un profondo dolore per le vite umane falciate e un
grave preoccupazione per le difficoltà di riconciliare popolazioni reciprocamente ferite e
avvelenate dal rancore. La scelta dolorosa della violenza manifesta ancora una volta la
difficoltà della comunità internazionale a trovare soluzioni efficaci e comuni alle sfide
globali. Anche i consessi internazionali dei grandi della terra, intrappolati nel riprodurre
interessi e rapporti di forza si sono rivelati inadeguati. Nell’attuale crisi finanziaria,
economica, sociale e climatica, l’entità delle misure è definita in ciascun paese (o
regione) senza una valutazione degli effetti globali e in assenza di impegni ambiziosi e
adeguato monitoraggio complessivo, rendendo sedi come il G8 e il G20 di fatto inefficaci
nell’ affrontare le crisi globali.
La crisi climatica e ambientale ha dato avvio a un diverso rapporto tra economia-politica
ed economia: finalmente gli intrecci inscindibili che legano queste tre sfere non sono
appannaggio di pochi, ma stanno divenendo coscienza comune. Il sistema di governance
internazionale, però, non riesce a far fronte a sfide che richiedono una risposta
cooperativa e collettiva per evitare scarsità e conflitti.
Con soli quattro anni a disposizione prima del 2015, abbiamo bisogno di un’inversione di
rotta e di presentarci agli appuntamenti internazionali con piani credibili per ridurre la
povertà, fermare la speculazione finanziaria e la volatilità dei prezzi, affrontare i
cambiamenti climatici, fare fronte alla crisi sanitaria, ridare dignità al lavoro mantenendo
un approccio integrato e multidimensionale e promuovendo l’uguaglianza di genere.
FINANZA:
O B I E T T I V O
ISTITUIRE UNA TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE O TTF.
INTENSIFICARE LA LOTTA AI PARADISI FISCALI.
Dal primo vertice del G20 del novembre del 2008, sono stati ben cinque i vertici tra le 20
maggiori economie del pianeta. A distanza di due anni e mezzo per regolamentare la
finanza ed evitare l'esplodere di una nuova crisi le scelte dei G20, sono state per lo meno
deludenti, sia per i provvedimenti assunti che per la loro efficacia. Diverse misure sono
state adottate negli ultimi anni: gli USA hanno approvato una nuova legislazione, il Dodd-
Frank Act, che fissa alcuni limiti a specifiche attività, come nel mercato dei derivati.
L'Unione Europea lavora su diverse direttive riguardanti la finanza. Alcuni Paesi, come la
Corea del Sud, hanno promosso dei controlli sui flussi di capitale. Altri, come Francia e
Germania, hanno rilanciato con nuovo vigore la lotta contro i paradisi fiscali.
Al di là del loro contenuto, le misure di regolamentazione sono lasciate in massima parte
all'iniziativa dei singoli Stati. Il G20 si è auto-nominato principale coordinatore delle
economie di queste nazioni. Ma a dispetto di questa intenzione, fino ad oggi è mancato
proprio il coordinamento tra le nazioni.
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I primi due vertici hanno probabilmente contribuito a gestire l'emergenza della crisi e a
evitare un completo collasso della finanza mondiale. Passata l'emergenza, però, e al
momento di riscrivere le regole che devono sovrintendere la finanza globale, il G20 si è
di fatto impantanato. Con uno slogan, il G20 ha funzionato finché doveva salvare le
banche, non quando si è trattato di tutelare le persone, il lavoro, l'economia.
Le regole riguardanti la finanza continuano a essere legate all'idea di Stato-Nazione,
mentre i mercati finanziari sono sempre più globalizzati. La mancata elaborazione di
regole comuni rappresenta ad oggi un fallimento storico per il modello G20 e rischia di
fatto di aprire la strada a una prossima crisi finanziaria globale.
La scarsità dei risultati dà spazio alle critiche riguardanti la governance e la mancanza di
legittimità del G20. Inoltre la gran parte degli stati, soprattutto i Paesi più poveri, quelli
che non hanno responsabilità nella crisi, né voce in capitolo sulle proposte di riforma
dell'architettura finanziaria internazionale, non hanno alcuna rappresentanza in quel
contesto pagando così il prezzo maggiore della crisi finanziaria.
Se 100 miliardi di dollari sono versati ogni anno dai Paesi più ricchi verso quelli più poveri
in aiuti alla cooperazione internazionale, almeno 1.000 miliardi viaggiano dal Sud verso il
Nord del mondo. Flussi legati in parte alla corruzione, in parte ai traffici illeciti di armi,
droga o materie prime, e in massima parte all'evasione e all'elusione fiscale delle
imprese transazionali del Nord che operano nel Sud del mondo. Grazie ai paradisi fiscali
e alla mancanza di regole siamo in presenza di uno scandaloso “welfare al contrario”, in
cui le risorse economiche si muovono dai Paesi più poveri verso quelli più ricchi e le
giurisdizioni offshore. Con buona pace delle dichiarazioni rilasciate in sede G20 sulla
lotta contro i paradisi fiscali.
I Paesi del Sud sono i primi a essere colpiti dalle più recenti evoluzioni della finanza
speculativa. Con la crisi sui mercati "tradizionali", una gigantesca liquidità si è spostata
sulle materie prime e sulla terra coltivabile. Il cibo è diventato un asset finanziario, ed è
oggi possibile investire e speculare sul prezzo del grano, della soia o di qualsiasi altro
prodotto, come si fa con azioni e obbligazioni. L'esplosione del mercato dei derivati
esaspera i fenomeni speculativi sulle materie prime con un susseguirsi di crisi dei prezzi
di questi prodotti e impatti devastanti per i contadini, in particolare per le donne che
costituiscono la maggior parte dei piccoli agricoltori, e per le fasce più povere della
popolazione, nel Nord come nel Sud del mondo.
Uno dei maggiori rischi per le economie del Sud è una nuova possibile crisi del debito
estero. I governi di tutto il mondo sono in competizione tra di loro per attrarre i capitali
necessari a rilanciare le economie colpite dalla crisi. Per trovare tali risorse vengono
emessi titoli di Stato sui mercati finanziari a tassi di interesse molto elevati, il che
significa maggiori risorse da investire nel servizio del debito, se non veri e propri rischi di
default nel prossimo futuro. Alcuni vengono spinti da queste difficoltà a rivolgersi a
nuovi prestatori, che offrono il proprio denaro con facilità e disinvoltura creando le
premesse per una vulnerabilità finanziaria futura.
Altri meccanismi finanziari colpiscono in primo luogo i Paesi più deboli. Pensiamo alla
"guerra delle valute" e agli squilibri monetari internazionali, che riguardano in primo
luogo gli USA ma che colpiscono pesantemente i Paesi poveri le cui economie sono
fondate su pochi prodotti quotati in dollari sui mercati internazionali. Una svalutazione
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di fatto del biglietto verde, come di recente avvenuto con le manovre di quantitative
easing decise dalla Federal Reserve, può avere impatti molto pesanti per milioni di
contadini nel Sud del mondo.
Quindi non si tratta unicamente di proporre misure alternative, ma anche di chiedere
una architettura internazionale che rafforzi luoghi più democratici e rappresentativi,
ovvero l'ONU.
R ICHIESTE:
AT T I V A R E U N ’ I N I Z I A T I V A P E R F R E N A R E LA S P E CU LA Z I O N E
L'inizio del 2011 ha visto un brusco incremento dei prezzi del cibo, una delle scintille che
ha fatto esplodere la protesta in Tunisia e in altri Paesi del Mediterraneo. Una situazione
analoga a quella di tre anni fa. Fra il 2007 e il 2008 il prezzo del grano è aumentato
dell'80%, quello del mais del 90%, causando povertà, malnutrizione e sommosse in
diverse località del Pianeta. Il prezzo del petrolio è passato dai 60 dollari al barile del
2006 ai 144 del luglio 2008, per precipitare in poche settimane a 35 dollari e poi risalire
nuovamente. Simili montagne russe dei prezzi non sono legate all'economia reale, ma a
una speculazione finanziaria che ha impatti devastanti, in particolare sui più poveri.
E’ necessario istituire una tassa sulle transazioni finanziarie o TTF. Un'imposta
estremamente ridotta - lo 0,05% - su ogni operazione sui mercati finanziari. Un tasso che
non scoraggerebbe investimenti e risparmio.
Se applicata in Europa, la TTF sarebbe in grado di generare 200 miliardi di euro l'anno,
650 miliardi di dollari su scala globale da destinare alla tutela dei Beni Pubblici Globali, al
welfare, alla spesa sociale, alla cooperazione internazionale e alla lotta ai cambiamenti
climatici, facendo pagare la crisi ai grandi attori finanziari e non ai cittadini.
Oggi diversi governi, a partire da quelli di Francia e Germania, cosi come il Parlamento
europeo, sostengono apertamente tale tassazione. Una proposta semplice ed efficace
nella direzione di chiudere il casinò finanziario globale e riportare la finanza al suo ruolo
originario: non un fine per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile ma uno
strumento al servizio dell'economia e delle persone.
E' inoltre necessario promuovere delle misure concrete di contrasto ai paradisi fiscali,
che vadano ben al di là di quanto fatto fino a oggi in sede G20 o dalle istituzioni
internazionali, come ad esempio l'obbligo di rendicontazione Paese per Paese (Country
by Country reporting) dei dati contabili e di bilancio di tutte le imprese transnazionali.
Una misura fondamentale per garantire una maggiore trasparenza e nella lotta contro
l'elusione e l'evasione fiscale, il riciclaggio e la corruzione.
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RISORSE PER LO SVILUPPO
A IUTO PUBBLICO ALLO S VI LUP PO
C O N T E S T O E S C E N A R I O
I dati preliminari sullo stato dell’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia, appena fatti
circolare dall’OCSE, sono la dimostrazione del drammatico stato in cui versa la
cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese. L’aiuto italiano, stando ai dati forniti
dall’OCSE/DAC, sarebbe scesa dallo 0,16% allo 0,15% del PIL, con una contrazione in
termini reali rispetto al 2009 del 1,5%, ma del 35% rispetto al 2008.
Non solo l’Italia continua a mettere all’ultimo posto delle proprie scelte di bilancio
l’aiuto pubblico allo sviluppo, ma questa scelta sta provocando l’allontanamento di tutta
l’Unione Europea dagli obiettivi continentali: mentre l’aiuto UE sale del 6,7%, infatti,
l’Italia si conferma fanalino di coda dei paesi dell’Unione, addirittura dopo la Grecia che,
invece, nonostante le difficoltà di bilancio continua a destinare lo 0,17% del PIL all’aiuto
pubblico allo sviluppo. L’aiuto pubblico del nostro Paese in termini assoluti è pari a
quello del Belgio e della Danimarca.
Il contributo dell’Italia nella comunità dei Paesi OCSE donatori scende dal 3,9 % del 2008
al 2,5% nel 2010 con una contrazione del suo contributo più forte a livello UE dal 6,7% al
4,4%. Ossia l’Italia contribuisce sempre meno allo sforzo collettivo per l’assistenza allo
sviluppo.
Nonostante la crisi economica pochi sono i Paesi OCSE che hanno tagliato gli aiuti. Non il
Portogallo e neppure gli Stati Uniti, che hanno aumentato gli stanziamenti
rispettivamente del 31,5% e del 3,5%. I Paesi che hanno ridotto l’aiuto oltre l’Italia sono
stati la Grecia, l’Irlanda e la Spagna, ma, a parte la Grecia, gli altri due Paesi destinano
rispettivamente lo 0,53% e lo 0,43% del loro PIL all’aiuto pubblico allo sviluppo.
L’Italia è dunque il principale responsabile dell’affondamento della credibilità europea
per la cooperazione allo sviluppo, nonostante gli sforzi di quei paesi UE che hanno
incrementato la quota di aiuti e di quelli che, nonostante la crisi economica, hanno
mantenuto i livelli degli anni precedenti. Rispetto a quanto l’Italia si era impegnata a fare
a livello europeo nel 2005, infatti, mancano attualmente all’appello 5,4 miliardi di euro:
il nostro Paese è responsabile del 43% dell’ammanco europeo rispetto all’obiettivo
collettivo e contribuisce al mancato rispetto delle promesse del G8 di Gleneagles del
2005 per il 54%.
Alla fine del 2010, l’Italia non ha saldato nessuno dei debiti pregressi pari a circa 1,5
miliardi di euro e ha contratto nuovi impegni come quello di versare entro i prossimi
quattro anni 92 milioni di euro al Fondo Globale per l’Ambiente e 218 milioni di euro al
Fondo africano di sviluppo, avendo ancora un debito di oltre 300 milioni verso le due
organizzazioni.
Nel 2011, dopo l’ulteriore taglio del 46% all’aiuto pubblico allo sviluppo gestito dal
Ministero Affari Esteri, la percentuale dell’APS italiano sul PIL attorno allo 0,17%, al
netto delle cancellazioni del debito scende allo 0,13% APS/PIL.
Secondo gli ultimi dati OCSE, l’Africa sub-sahariana ha ricevuto il 34% degli aiuti bilaterali
italiani contro il 30% dell’anno precedente, il Medio Oriente il 16% dal 25%, i Paesi meno
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avanzati il 19% dall’11%. Possiamo dire che l’Italia ha aumentato la sua attenzione verso
l’Africa sub-sahariana e i Paesi più poveri, ma è ancora lontana dall’obiettivo che si era
data nel 2009 di destinare il 50% dell’aiuto alla regione. Rispetto ai Paesi meno avanzati
la media EU è del 64%.
Nel 2009 il settore più finanziato dall’aiuto bilaterale italiano è l’agricoltura (10%
dell’aiuto) con un incremento di 121 milioni di dollari rispetto all’anno precedente. Nel
2008 era stata la potabilizzazione, il settore più finanziato. Dopo l’agricoltura seguono le
cancellazioni del debito (9% dell’aiuto bilaterale), e la sanità (al 5,7% dal 3,7% del 2008).
Il sostegno alla potabilizzazione e igiene è il settimo settore più finanziato e rappresenta
il 3% con una riduzione di oltre cento milioni di dollari sul 2008. L’aiuto alimentare
subisce una riduzione di 50 milioni di dollari e una taglio del 55% delle sue disponibilità
ma resta l’ottavo settore più finanziato dalla cooperazione italiana. Il sostegno al
finanziamento dei servizi essenziali di base (educazione e sanità di base, salute
riproduttiva e potabilizzazione) conserva la quota del 7% sul bilaterale, ma con una
riduzione del 41% dello stanziamento assoluto complessivo.
Peggiora la percentuale di aiuto condizionato all’acquisto di beni e servizi italiani (aiuto
legato), che al netto del debito costituisce il 54% del bilaterale dal 38% dello scorso
anno, il peggior valore in Europa dopo il Portogallo. Sono soprattutto i prestiti
concessionali a determinare questo risultato deludente poiché il 96% risultano “legati”.
Sfortunatamente l’Italia ha dichiarato al DAC di non essere in grado di slegare
ulteriormente il proprio aiuto. Infatti nessuna sezione sull’aiuto legato è presente nel
“Piano efficacia 2” approvato nel 2011 dalla Direzione Generale Cooperazione allo
sviluppo.
Infine, se da un lato non c’è un rapporto tra aiuti e democrazia, ossia l’aiuto né
promuove né mina la democrazia. Tutto muta quanto si è di fronte a transizioni di
regime come quella nord africana Valutazioni recentii dimostrano che l’aiuto diretto al
sostegno della società civile o all’ assistenza elettorale o per riforme di governance
aumenta la probabilità dei Paesi partner “liberi”- secondo le classificazioni della Freedom
House. Non sarebbero le condizioni per l’esborso degli aiuti imposte dai donatori a
spingere i governi a riformarsi garantendo maggiore democraticità ma iniziative dedicate
specificatamente a migliorare la governance dei Paesi. Da metà degli anni ’70, le
probabilità di un Paese di essere “libero e democratico” aumentano – anche fino a dieci
volte – se la quota di aiuto dedicato alla governance cresce rispetto al PIL del Paese. Ma
l’effetto a favore di una transizione verso regimi democratici sembra aumentare quando
questo tipo d’aiuto opera in contesti “parzialmente liberi” e non completamente
autocratici. Nel biennio 2008-2009, il 10% dell’aiuto bilaterale complessivo, al netto del
debito, è andato al rafforzamento della governance e della società civile, in nord Africa
appena il 4%. L’Italia ha destinato l’8,5% del suo bilaterale a sostegno dei miglioramento
della governance nel periodo di riferimento, ma solo il 4,5 % in Nord Africa.
MONITOR AGGIO DELL ’APS
Per dare seguito all’impegni sull’efficacia dell’aiuto, molti donatori hanno dato vita alla
“Iniziativa Internazionale per la Trasparenza”. l’Italia non ha preso alcuna posizione sulla
sua partecipazione o meno l’Iniziativa internazionale sulla Trasparenza dell’aiuto che è
ignorata nel “Piano efficacia 2”.
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Negli ultimi vi è stato un miglioramento della la trasparenza e dell’accessibilità alle
informazioni della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (DGCS), mentre le
informazioni sulle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell’Economia sono
ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento. In entrambi i casi,
le informazioni sono disponibili generalmente solo in italiano, pregiudicandone la
fruibilità nei paesi partner.
Dal 2010, l’interruzione della pubblicazione dei bollettini elettronici della cooperazione
ha quasi azzerato gli sforzi per aumentare la trasparenza della DGCS e le informazioni
non riportano una descrizione dettagliata dell’iniziativa e soprattutto non permettono
alcuna ricerca.
Nella prima edizione dell’indice di trasparenza dei donatoriii (Paesi OCSE, agenzie delle
Nazioni Unite e Banche multilaterali di sviluppo) l’Italia occupa la ventisettesima
posizione. Il nostro Paese è soprattutto penalizzato dalla difficoltà di trasmettere ai
governi partner informazioni sui futuri piani di spesa e dalla limitata capacità di risposta
alle richieste di chiarimento.
Il fatto che il nuovo Piano efficacia non si riferisca all’aiuto legato e all’impegno italiano
sulla trasparenza comporta dei limiti importanti poiché il tema dell’efficacia degli aiuti e,
più in generale, dell’architettura dell’aiuto internazionale sarà al centro del dibattito
nella seconda parte del 2011. Il Quarto Forum di Alto Livello sull’Efficacia dell’Aiuto
(HLF4) che si terrà a Busan, in Corea, il prossimo Novembre sarà decisivo per il futuro
della cooperazione allo sviluppo e sarà inoltre l’occasione per approvare riforme più
coraggiose, capaci di massimizzare l’efficacia del sostegno ai paesi in via di sviluppo.
Gli sforzi in favore di una riforma dell’aiuto dovranno inserirsi in un approccio al cui
centro vi sia l’efficacia dello sviluppo con indicatori che diano concretezza alla
discussione sull’efficacia dello sviluppo.
Se a Busan non si stabilirà un meccanismo e un processo di monitoraggio indipendente, i
risultati di qualsiasi accordo sottoscritto a Busan saranno presto dimenticati.
R ICHIESTE:
L’ IT A LI A D O V R E B B E :
Stabilire un piano d’azione “realistico e verificabile per il raggiungimento del target
dello 0,7%.
Slegare ulteriormente l’aiuto, soprattutto per i prestiti concessionali, attraverso una
modifica mirata della Legge 49/87
Decidere di aderire e implementare gli standard di trasparenza aiuti
dell’International Aid Transparency Initiative (IATI)
Spingere l’UE e il Comitato Esecutivo del Gruppo di Lavoro dell’OCSE sull’Efficacia
dell’Aiuto affinché a Busan: si rivedano gli indicatori per tutti i principi dell’agenda
di Accra e Parigi; si garantisca un sistema di monitoraggio indipendente ai futuri
impegni, si adottino gli standard qualità per le ONG elaborati dall’Open Forum.
8
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Raddoppiare la quota di aiuto diretto al sostegno della società civile e
miglioramento della governance all’assistenza elettorale portandola in linea con le
media globale del 10% del bilaterale.
SALUTE
O B I E T T I V O
IMPEGNARE LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE AL RAGGIUNGIMENTO ENTRO IL 2015 DEGLI
OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO (OSM) DEDICATI ALLA SALUTE GLOBALE, IN
PARTICOLARE:
RIDURRE DI DUE TERZI LA MORTALITÀ INFANTILE SOTTO I CINQUE ANNI (OSM 4);
RIDURRE DI TRE QUARTI LA MORTALITÀ MATERNA E GARANTIRE L’ACCESSO UNIVERSALE AI
SERVIZI PER LA SALUTE RIPRODUTTIVA (OSM 5);
BLOCCARE LA DIFFUSIONE DELL’HIV/AIDS E INVERTIRNE LA TENDENZA; COMBATTERE LA
MALARIA, LA TUBERCOLOSI E ALTRE GRAVI MALATTIE (OSM 6).
C O N T E S T O E S C E N A R I O
A quattro anni dalla definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la situazione
della salute globale resta critica. I progressi sono lenti, nonostante i numerosi impegni in
sede G8.
SALUT E RI PRO DUTTIV A , MAT ERN A E IN FANTI LE
Nel corso del Vertice G8 de L’Aquila (2009) è stato raggiunto il “Consenso per la salute di
madri, neonati e bambini”, seguito, al Vertice G8 in Canada, dalla Muskoka Initiative
sulla salute materna, infantile e neonatale, sostenuta finanziariamente da numerosi
donatori, inclusa l’Italia, che però non ha ancora dichiarato pubblicamente entità, tempi
e modi di erogazione di tale impegno. Il Summit delle Nazioni Unite sugli OSM nel
settembre 2010 ha lanciato inoltre la “Strategia globale per la salute delle donne e dei
bambini”, raccogliendo l’impegno dei Paesi donatori, tranne l’Italia, a stanziare 40
miliardi di dollari.
Una componente importante della lotta contro la mortalità infantile è rappresentata
dalla massima diffusione dei programmi di vaccinazione ed immunizzazione e dal loro
adeguato sostegno da parte dei paesi donatori. L'integrazione di tali programmi con i
servizi di pianificazione familiare contribuisce inoltre alla promozione della salute
materna. La stessa Muskoka Initiative inserisce le immunizzazioni fra le aree prioritarie
di intervento per il raggiungimento degli OSM 4 e 5. La GAVI (Global Alliance for Vaccines
and Immunisations) ha garantito in dieci anni la vaccinazione di 288 milioni di bambiniiii e
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che oltre 5 milioni di vite siano state
salvate attraverso i suoi programmiiv.
LA LO TT A CON TRO L ’AIDS, LA TUBER CO LO SI E LA MALARIA
La stabilizzazione dell’epidemia HIV non può essere registrata come dato consolidato: in
alcuni luoghi ove si era bloccata o aveva iniziato a diminuire, i tassi di infezione stanno
aumentando di nuovov; vi sono paesi in cui i programmi di terapia non possono essere
estesi a nuovi pazienti o addirittura vengono tagliativi. La tubercolosi è la causa principale
di morte tra le persone colpite dall’HIV e l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima
che fra il 2011 e il 2015 si verificheranno più di 2 milioni di nuovi casi di MDR-TB
(multidrug-resistant TB), una forma di tubercolosi resistente ai farmaci e
9
9
particolarmente pericolosavii
. A livello globale la malaria causa ogni anno la morte di
881.000 persone, il 91% dei decessi avviene in Africa e l’85% riguarda i bambini sotto i
cinque anni di etàviii
.
L’impegno assunto dai G8 a Gleneagles di garantire l’accesso universale ai servizi di
prevenzione, terapia, cura e sostegno per il contrasto all’HIV/AIDS rimane disatteso,
mentre, nell’ambito del Summit di Heiligendamm (2007), i Paesi G8, insieme ad altri
donatori, per soddisfare la richiesta dei Paesi destinatari, avevano assicurato di fornire
contributi di lungo periodo al Fondo Globale per la Lotta contro l’AIDS, la Tubercolosi e la
Malaria,.
RAFFOR ZAMENTO DEI S IST EMI S ANIT ARI
Lo sforzo per il raggiungimento degli OSM non può in alcun modo prescindere dal
rafforzamento di sistemi sanitari orientati all’equità e all’accesso universale ai servizi di
base, a personale qualificato, ai farmaci essenziali e ai vaccini. Si stima che manchino 4,3
milioni di operatori/trici sanitari/e nel mondo, in particolare in Africa, e che i fondi
necessari al rafforzamento del personale sanitario entro il 2015 siano superiori a 40
miliardi di dollari.
Inoltre, la complessità dell’architettura degli aiuti internazionali per la salute richiede un
impegno verso l’integrazione e l’armonizzazione dei meccanismi di finanziamento per la
diffusione di immunizzazioni, l’erogazione di servizi per l’HIV e il rafforzamento della
salute materno-infantile, ponendo al centro le priorità identificate dai piani sanitari
nazionali dei Paesi interessati.
ACCESS O UNIV ERS ALE AL L ’ACQ UA E AI S ER VIZI I GI ENICI
Denunciamo tuttora l’insufficienza dell’impegno a garantire accesso universale all’acqua
potabile e a servizi igienici, che ha conseguenze multiple, dai decessi per malattie
direttamente legate alla mancanza di acqua potabile e adeguate condizioni igieniche,
allo scoraggiamento della frequenza scolastica per le ragazze, che soffrono maggiori
disagi dei maschi per la mancanza di servizi e vengono spesso incaricate
dell’approvvigionamento dell’acqua, con un non ignorabile impatto sugli equilibri di
genere futuri. Si ribadisce quindi la necessità di operare per l’adesione e la promozione
del partenariato globale “Sanitation and Water for All” (SWA) promosso da istituzioni,
governi e società civile, per condividere un tavolo di concertazione comune per
orientare l’azione in favore dell’accesso universale all’acqua e ai servizi igienici.
R ICHIESTE:
LA GCAP I T A LI A CH I E D E A I PA E S I G8, E D I N P A R T I CO LA R E A L L ’ IT A LI A , D I
R I S P E T T A R E G L I I M P E G N I A S S U N T I N E L C O R S O D E G LI U LT I M I VE R T I C I E D I :
Garantire l’accesso universale ai servizi di prevenzione, terapia, cura e sostegno per
il contrasto all’HIV/AIDS, disatteso nel 2010, definendo un piano che indichi
concretamente le risorse da erogare per raggiungerlo entro il 2015.
Fornire contributi di lungo periodo al Fondo Globale per la Lotta contro l’AIDS, la
Tubercolosi e la Malaria, come stabilito nel 2007 a Heiligendamm. L’Italia inoltre
deve versare quanto prima al Fondo Globale i contributi per il 2009 e il 2010
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0
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unitamente ai 30 milioni di dollari addizionali annunciati nel corso del Vertice de
L’Aquila e definire un piano di finanziamenti per il periodo 2011-2013.
Garantire alla Muskoka Initiative risorse finanziarie aggiuntive pari a 5 miliardi di
dollari, per un totale di almeno 10 miliardi da stanziare entro il 2015.
Adottare un Piano di azione per il finanziamento dei 40 miliardi di dollari richiesti
dalla “Strategia globale per la salute delle donne e dei bambini” e degli ulteriori 48
miliardi di dollari necessari per il rafforzamento dei sistemi sanitari per il
raggiungimento degli Obiettivi 4 e 5. L’Italia deve prioritariamente definire l’entità
dei finanziamenti per la Muskoka Initiative e auspicabilmente stabilire il contributo
per la “Strategia globale per la salute delle donne e dei bambini”, adottando un
piano trasparente di stanziamento delle risorse; aggiuntive rispetto all’aiuto
pubblico allo sviluppo, con modalità e tempi di erogazione prefissati.
Promuovere l’adozione di programmi socio-sanitari a livello paese con un approccio
olistico alla salute delle donne, che integrino la salute e i diritti sessuali e
riproduttivi, trattino la violenza di genere e assicurino la qualità e continuità della
cura.
Contribuire al potenziamento dei meccanismi di coordinamento esistenti, tra cui
l’International Health Partnership (IHP+), accompagnato dal sostegno finanziario
alla Health System Funding Platform che dà la possibilità ai Paesi di utilizzare in
modo più efficace i fondi per lo sviluppo dei sistemi sanitari, evitando la creazione
di nuovi meccanismi/processi di coordinamento.
Finanziare, insieme ai Paesi interessati, i piani nazionali per il personale sanitario,
con particolare attenzione al personale di livello intermedio e di comunità e alla
crescita delle istituzioni di formazione locali;
Individuare obiettivi ed indicatori misurabili, come ad esempio il numero di
operatori sanitari la cui formazione è stata sostenuta entro il 2015.
Applicare il Codice di Condotta per le Migrazioni Internazionali di Personale
Sanitario dell’OMS attraverso un adeguato finanziamento delle necessità di
personale sanitario dei propri sistemi sanitari stessi, riducendo la dipendenza di
questi ultimi da personale sanitario migrante.
Sostenere e contribuire al potenziamento del partenariato globale “Sanitation and
Water for All” (SWA)
CAMBIAMENTI CLIMATICI , ENERGIA E BIODIVERSITÀ
O B I E T T I V I
ACCELERAZIONE DEL PROCESSO DI DECARBONIZZAZIONE E RAGGIUNGIMENTO DI UN
ACCORDO QUADRO SUL CLIMA IN SENO ALL'UNFCCC.
INCLUSIONE DELLA DIMENSIONE AMBIENTALE IN TUTTE LE DECISIONI POLITICHE.
AVVIO DELLA GREEN ECONOMY, TESA A MIGLIORARE IL BENESSERE UMANO E L'EQUITÀ
SOCIALE, RIDUCENDO SIGNIFICATIVAMENTE I RISCHI AMBIENTALI E CON UN USO SOSTENIBILE
DELLE RISORSE NATURALI.
COSTITUZIONE DI UNA VERA E PROPRIA ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELL’AMBIENTE.
La situazione ambientale mondiale si sta rapidamente deteriorando: gli indicatori
dimostrano chiaramente che la spinta alla ricchezza e al benessere degli ultimi 40 anni
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per una parte della popolazione sta esercitando una pressione insostenibile sul nostro
pianeta. Dagli anni ‘60 le pressioni antropiche sulla Natura sono raddoppiate, mentre il
“Living Planet Index”ix rileva una diminuzione del 30% dello stato di salute delle specie
che sono alla base dei servizi ecosistemici da cui dipendiamo. La rapida crescita
economica ha causato una sempre maggiore domanda delle risorse necessarie per
alimentazione, energia, trasporti, prodotti elettronici, spazi in cui vivere e in cui smaltire
rifiuti, soprattutto l’anidride carbonica derivante dai combustibili fossili. Non si può più
continuare così: le nazioni ricche devono vivere sulla Terra in maniera più sostenibile,
riducendo drasticamente la propria impronta, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo
dei combustibili fossili. Anche le economie in rapida ascesa devono individuare un nuovo
modello di sviluppo, che consenta loro di continuare ad accrescere il livello di benessere
dei loro abitanti in maniera sostenibile per il pianeta. E’ necessario modificare gli i stili di
vita e a una nuova definizione di sviluppo che includa l’imperativo di tutelare le risorse
naturali, vivere entri i confini delle loro capacità rigenerative e apprezzare il reale valore
dei beni e servizi che esse ci forniscono.
La crisi economica degli ultimi due anni ha fornito un’opportunità per rimettere in
discussione gli atteggiamenti alla base dell’utilizzo delle risorse naturali globali.
L’iniziativa TEEB (“The Economics of Ecosystems and Biodiversity”) ha focalizzato
l’attenzione sui benefici economici mondiali della biodiversità, evidenziando i sempre
maggiori costi connessi alla perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi. Il
Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e l’OCSE stanno promuovendo
strenuamente l’economia eco-sostenibile. Ci troviamo davanti a numerose sfide – non
ultima, quella di soddisfare le richieste di una popolazione mondiale in continua crescita.
Queste sfide non fanno che sottolineare ulteriormente l’importanza di separare
nettamente lo sviluppo dalle crescenti pressioni sulle risorse naturali. È necessario
trovare nuovi modi per ricavare sempre di più da meno risorse. Continuare a consumare
le risorse della Terra più rapidamente di quanto essa riesca a rigenerarle significa
distruggere i sistemi dai quali dipendiamo. Questa è la sfida che anche il G8 e il G20
devono affrontare.
Tra le emergenze ambientali, quella climatica rimane certamente la più preoccupante
per la capacità di totale sconvolgimento del Pianeta come oggi lo conosciamo. Il
cambiamento è già in atto, e il 2010 ha segnato, purtroppo, un’ulteriore tappa in tal
senso: è stato infatti, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, l’anno più
caldo mai registrato e ha conferma la tendenza "significativa" del surriscaldamento a
lungo termine, con episodi significativi quali la siccità in Russia e le terribili inondazioni in
Pakistan e Cina. Se la crisi economica ha segnato una diminuzione degli sforzi dei
Governi, la crisi climatica non ha certamente dato segni di attenuazione, tutt’altro.
I cosiddetti “Accordi di Cancun” hanno rappresentato una ripresa del processo negoziale
all’interno della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite e del
suo Protocollo di Kyoto. Si è fissato l'obiettivo di limitare l'aumento medio della
temperatura industriale al di sotto dei 2 gradi centigradi e si riconosce la necessità di
rafforzare tale impegno a 1,5°C, sulla base delle determinazioni scientifiche. Tale
revisione avverrà nel periodo di pubblicazione del Quinto Rapporto dell'International
Panel on Climate Change (IPCC), prevista nel 2014. La decisione sui tagli ai gas serra nel
lungo periodo, la concentrazione di gas serra e l'anno (o il periodo) in cui si dovrà
raggiungere il picco massimo di emissioni (per poi scendere rapidamente) è rimandata al
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2
12
Sud Africa. Il G8 e il G20 devono giocare un ruolo attivo perché vengano fissati questi
obiettivi.
Si è sottolineata la necessità che i paesi industrializzati taglino le emissioni tra il 25 e il
40% al di sotto dei livelli del 1990 entro il 2020, come indicato dalla Comunità scientifica
(IPCC) e si è chiesto ai Paesi industrializzati di aumentare i target di riduzione delle
emissioni (quelli sinora avanzati sono insufficienti rispetto all'obiettivo). Si è confermato
che i meccanismi creati dal protocollo (progetti nei Paesi in Via di Sviluppo e nelle
economie in transizione) continueranno. Si è avviata la revisione della gestione forestale
per calcolare l'assorbimento delle emissioni da parte dei pozzi di carbonio. Si sancisce
che non ci deve essere un gap (vuoto) tra il primo e il secondo periodo di impegni (quindi
nuovi target devono essere approvati entro il prossimo anno). Nelle decisioni sono
anche incorporati gli impegni assunti nell'accordo di Copenaghen da molti Paesi in Via di
Sviluppo (PVS) con lo scopo di ottenere una "deviazione" rispetto al trend di crescita
entro il 2020, con una verifica dell'omogeneità delle azioni e dei costi stimati, con l'invito
ai PVS di sottoporre i dati relativi. Viene assicurata la trasparenza e un sistema di
Rendicontazione (MRV): tutti i Paesi sono tenuti a rendicontare (report) i progressi fatti
nel conseguire i propri obiettivi di riduzione (paesi sviluppati) o le proprie azioni (PVS).
Inoltre, i paesi industrializzati dovranno rendicontare anche il proprio supporto
(finanziario, tecnologico e nella creazione di competenze) ai Paesi in Via di Sviluppo. Dal
canto loro, i PVS hanno accettato la "consultazione e analisi internazionale" delle loro
azioni. Tutti Paesi emettitori produrranno comunicazioni nazionali e inventari almeno
ogni quattro anni, nonché aggiornamenti biennali delle proprie emissioni di gas serra in
una modalità "non intrusiva, non punitiva e rispettosa della sovranità nazionale".
Sulle Foreste, si è stabilito il fine di rallentare, fermare e invertire la perdita di foreste e
di serbatoi (pozzi) di carbonio, con una lista di attività da considerare (e sostenere
finanziariamente). Sulla Finanza, si è confermata l'intenzione, sancita dall'accordo di
Copenaghen, di mobilizzare 100 miliardi di dollari l'anno per la mitigazione e
l'adattamento nei Paesi in Via di Sviluppo, arrivando a creare un "Fondo Verde per il
Clima" sotto l'autorità di un board con un eguale rappresentanza per i paesi Sviluppati e
quelli in Via di Sviluppo. Come già deciso a Copenaghen, i paesi Sviluppati dovranno
rendere subito disponibili 30 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2012. Manca però un
processo per negoziare fonti di risorse finanziare, e tra queste mancano completamente
i cosiddetti bunker, cioè il traffico aereo e marittimo internazionale, attualmente non
regolato.
E' stato finalmente creato il Climate Adaptation Framework che, tra l'altro, svilupperà
piani, rafforzerà le istituzioni e i sistemi di ricerca, osservazione e informazione, valuterà
gli impatti e le necessità finanziarie, cercando di sviluppare la resilienza ecologica e
quella socio-economica ai cambiamenti climatici.
Questi buoni risultati, però, per arrivare a gettare la basi un accordo globale legalmente
vincolante devono trovare da una parte la spinta necessaria da parte dei leader
mondiali, dall’altra devono vedere la messa a punto di alcuni step fondamentali, l’unica
strategia rivelatasi valida per arrivare al risultato finale. Il G8, raccogliendo i paesi
donatori, ha indubbiamente il compito di dare corpo e gambe agli impegni finanziari
presi. Il G20 deve dar corso agli impegni di eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili,
assicurando nel contempo il diritto all’energia (rinnovabile) per i poveri del mondo. In
1
3
13
campo energetico, è altresì necessario prendere atto delle gravi conseguenze e
dell’allarme suscitato dal disastro alla centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, che
pone il problema della sicurezza delle attuali centrali e di questa tecnologia. Un suo
superamento deve essere valutato globalmente prevedendo alternative credibili, che
non possono essere rappresentate dai combustibili fossili. In questo quadro, bisogna
inoltre sin da ora, rafforzare I poteri di controllo e di intervento dell”AIEA. Oggi si rende
ancor più impellente lo sviluppo su scala mondiale delle energie davvero rinnovabili e
sicure, che ormai è dimostrato da numerosi studi possono supplire al 100% del
fabbisogno energetico (non solo elettrico) entro il 2050. Perché ciò avvenga, è
indispensabile un vero e proprio piano Marshall su scala globale.
Con una prospettiva più ampia, occorre impegnare risorse e sforzi intellettuali, non solo
economici e industriali, nella creazione dell’economia a emissioni zero, partendo da
piani nazionali appositi per i Paesi Sviluppati e da Piani di decarbonizzazione dello
Sviluppo per i PVS. Tali Piani costituiranno anche l’ossatura della Nuova Economia (o
Green Economy), cui il G8 e G20 devono dare impulso e sostanza, anche in vista del
Summit Mondiale Rio +20 del prossimo anno. In tal senso va tenuto conto delle
condizioni abilitanti suggerite dall’UNEPx, vale a dire la necessità di stabilire un adeguato
quadro regolatorio; rendere prioritari gli investimenti e le spese nelle aree che stimolano
la sostenibilità dei settori economici; limitare le spese nei settori che erodono il capitale
naturale; promuovere la tasse e gli strumenti di mercato che possano indirizzare le
preferenze dei consumatori e promuovere gli investimenti e l’innovazione in senso
ambientale; investire nella formazione alla nuova economia; rafforzare la governante
mondiale.
R ICHIESTE:
Dare corso agli impegni finanziari raggiunti nell'Accordi di Copenhagen e negli
Accordi di Cancun
Indicare obiettivi di medio (2020) e lungo termine (2050) per i Paesi Sviluppati, e
obiettivi globali di riduzione delle emissioni di CO2 al 2050 nel quadro delle
responsabilità comuni ma differenziate
Impegnarsi a varare Piani Nazionali di Azzeramento delle Emissioni di Gas Serra per
i Paesi Sviluppati e Piani di Decarbonizzazione entro il 2050
Eliminare i sussidi ai combustibili fossili
Varare un Piano Marshall per lo Sviluppo delle Energie Rinnovabili a livello globale,
assicurando anche il diritto all'energia dei paesi meno sviluppati
Varare un piano di graduale uscita dall'energia nucleare
Dare corso alle decisioni della Convenzione sulla Biodiversità di Nagoya e
promuovere la firma e la ratifica del relativo protocollo.
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4
14
CIBO E AGRICOLTURA
O B I E T T I V O
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE DEVE AFFRONTARE URGENTEMENTE LE CAUSE DELLA
VOLATILITÀ DEI PREZZI E QUINDI DELLA FAME NEL MONDO.
CR ESCI TA DEI PR EZZI - CO ME EVIT ARE UN A NUOV A CRI SI
ALI MEN TAR E
A partire dalla seconda metà del 2010, i prezzi dei prodotti agricoli sui mercati
internazionali hanno ricominciato a salire. A marzo di quest’anno, il Food Price Index
della FAOxi è aumentato per l’ottavo mese consecutivo, superando i livelli della crisi
alimentare del 2007-2008 e toccando valori senza precedenti dalla sua istituzione nel
1990, sia in termini nominali che reali. Tra febbraio del 2010 e febbraio del 2011, l’indice
dei prezzi dei cereali è aumentato del 40%, tornando ai livelli di luglio del 2008.
Secondo la FAO non siamo ancora entrati in una nuova crisi alimentare, ma un ulteriore
e prolungato aumento dei prezzi potrebbe determinarla. Le conseguenze di questi
aumenti sono tuttavia già allarmanti e si stanno facendo sentire a livello di singoli Paesi.
La Banca Mondiale stima che dal giugno del 2010, l’aumento dei prezzi dei prodotti
alimentari abbia spinto, nei Paesi a basso e medio reddito, altre 44 milioni di persone
nella povertà estremaxii
.
Diverse sono le cause che stanno determinando questa nuova dinamica inflattiva. Sul
lato dell’offerta influiscono eventi climatici estremi sempre più frequenti che causano la
perdita di molti raccolti; l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti guidati dall’incremento del
prezzo del greggio, la diminuzione dei flussi commerciali per le restrizioni sulle
importazioni imposte da Paesi come, ad esempio, la Russia durante l’agosto del 2010.
Tutto questo in un settore, quello agricolo, caratterizzato da carenze strutturali politiche
e finanziarie. Sul lato della domanda, invece, l’aumento della produzione di
biocombustibili, l’instabilità del dollaro, la speculazione sui mercati finanziari attraverso i
derivati sulle commodities agricole, influiscono sul rialzo prezzi dei prodotti alimentari.
La Comunità Internazionale dovrebbe intervenire urgentemente sulle cause della
volatilità dei prezzi e della fame nel mondo. Per questo la Francia ha assegnato ai temi
della sicurezza alimentare e della volatilità dei prezzi agricoli un posto di rilievo
nell’agenda del G8 e del G20 per il 2011. I Paesi del G20, tra cui l’Italia, si trovano in una
posizione chiave per definire un’azione coordinata di risposta alla crisi.
UN ’AGEN DA POSI TIVA A SO ST EGNO DELLE DON NE E DEI PI CCO LI
CONT ADINI
È importante che i Paesi del G20 sostengano un’agenda di lungo periodo in grado, da un
lato di risolvere in maniera strutturale il problema della volatilità dei prezzi, dall’altro di
sostenere le fasce di popolazione dei Paesi a medio e basso reddito più colpite dalla crisi
alimentare.
IN V E S T I R E D I P I Ù E M E G L I O I N A G R I C O L T U R A
L’impatto della crisi dei prezzi è più forte in quei Paesi poveri fortemente dipendenti
dalle importazioni di prodotti agricoli e alimentari (Low-Income Food-Importing
Countries). Per ridurre la dipendenza dai mercati internazionali è necessario aumentare
gli investimenti pubblici in agricoltura dando priorità ai piccoli contadini, la maggioranza
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dei quali sono donne. I piccoli agricoltori producono il 90% del cibo in Africa e circa la
metà a livello mondiale, ma faticano ancora ad alimentare se stessi. Sono quindi
necessarie nuove risorse da investire nello sviluppo agricolo, un settore che ha visto
ridurre la propria quota di aiuto pubblico allo sviluppo dal 19% sul totale del 1980 al 3%
del 2006, con un recupero al 5% nel 2008. Durante il vertice de L’Aquila nel 2009, in
conseguenza della crisi alimentare del 2007-2008, i Paesi del G8 si sono impegnati a
stanziare 22 miliardi di dollari per il successivo triennio con l’obiettivo di aiutare i Paesi
che maggiormente soffrono le conseguenze della crisi e favorire l’aumento della
produzione agricola (Aquila Food Security Initiative - AFSI). L’AFSI pone forte enfasi sul
sostegno alle priorità definite a livello di singolo Paese beneficiario (Country and
Regional Led Plans) e sull’attenzione alle donne contadine, ai piccoli produttori e allo
sviluppo rurale. Nel settembre di quello stesso anno, l’impegno dei Paesi del G8 si è
esteso a quelli del G20 durante il vertice di Pittsburgh. A due anni di distanza, poco è
stato fatto dai singoli Paesi per onorare gli impegni assunti e, in particolare, delle risorse
stanziate una parte ridotta sono poi risultate aggiuntive. Durante l’ultimo vertice del G8
in Canada, il Muskoka Accountability Report commissionato dagli stessi Paesi donatori
per valutare l’avanzamento degli impegni assunti a L’Aquila, segnalava che solo 6,7 dei
22 miliardi sui quali i Paesi si sono impegnati risultavano veramente aggiuntivi a risorse
già stanziate. L’esempio italiano è quanto mai calzante in proposito: Infatti, dei 428
milioni di euro promessi, solo 180 milioni sono risultati essere nuove risorse. Nel 2011 il
Governo italiano dichiarerà di avere quasi raggiunto il suo target, avendo esborsato circa
392 milioni di Euro dal 2009 per interventi relativi alla sicurezza alimentare. Il problema
è che un impegno pari a circa 200 milioni annui non può essere considerato serio e
responsabile di fonte all’annoso problema della crescita esponenziale del numero degli
affamati a livello globale.
Oltre ai limiti di natura quantitativa, la qualità dell’aiuto agricolo si è dimostrata molto
bassa e, complessivamente, la comunità internazionale dei donatori è ben lontana dal
promuovere la strategia elaborata nell’AFSI.
SO S T E N E R E R I S E R V E A L I ME N T A R I A L I V E L L O R E G I ONA L E E N A Z I O N A L E
Le riserve alimentari a livello nazionale, locale e regionale possono svolgere un ruolo
chiave sia per la sicurezza alimentare che per garantire la stabilità dei prezzi. L’utilizzo
delle riserve permetterebbe l’aumento della domanda durante i periodi di
sovrapproduzione evitando quindi che il prezzo scenda, mentre l’immissione nel
mercato di beni alimentari a prezzi calmierati durante i periodi di calo dell’offerta
eviterebbe il rialzo eccessivo dei prezzi. In questo modo sarebbe possibile garantire
un’offerta costante a prezzi accessibili evitando che tensioni sul lato della domanda e
dell’offerta, causate da differenti fattori, si trasformassero in crisi alimentari. Inoltre le
riserve potrebbero favorire politiche di public local/regional procurement a sostegno
della piccola agricoltura. Il G20 ha riconosciuto l’importanza delle riserve alimentari,
senza assumere però decisioni concrete per assicurarne il corretto sviluppo e
funzionamento.
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R ICHIESTE
A T A L P R O P O S I T O , L ’IT A LI A , CO M E M E M B R O D E L G20, D E V E :
Farsi promotrice all’interno del G20 dell’adozione formale dell’ AFSI, sostenuta nel
2009, promuovendo però impegni concreti.
Rispettare gli impegni presi al vertice de L’’Aquila garantendo le risorse addizionali
ora non rese disponibili, favorendo, all’interno del G8 e del G20, l’adozione di un
meccanismo di contabilità trasparente che includa i dettagli dei fondi stanziati in
relazione ai programmi ed impegni relativi, ai beneficiari (piccoli agricoltori e
agricoltrici) ed al modello di sviluppo agricolo promosso.
Promuovere un approccio coordinato tra i diversi donatori a sostegno dei piani di
sviluppo agricolo definiti a livello Paese/Regione, garantendo che nessun piano
nazionale sia a discapito delle diverse priorità dell’agenda dei donatori, sostenendo
iniziative bilaterali e multilaterali come il GAFSP.
Sostenere lo sviluppo di riserve strategiche con priorità assegnata verso i Paesi a
basso reddito, in particolare i Low-Income Food-Deficit Countries. Le riserve
strategiche a livello regionale e locale dovrebbero essere orientate a ridurre la
volatilità dei prezzi, in particolare sostenendo l’assistenza verso i gruppi più
vulnerabili, come donne e bambini, gestendo le risorse in collaborazione con le
organizzazioni della società civile, incluse quelle contadine e per i diritti delle
donne, garantendo loro l’accesso al mercato ad un giusto prezzo.
Chiedere alla FAO la formazione di un comitato di supervisione a sostegno dei
governi che intendano sviluppare le riserve alimentari, favorendo la diffusione delle
informazioni, delle buone pratiche nella gestione delle riserve, ed un efficace
coordinamento a livello regionale e globale.
PER UN N UOVO SI ST EMA GLO BALE DEL CI BO E DELL ’AGRICO LTURA
La crisi alimentare del 2007-2008 ha reso evidente la necessità di profonde riforme
strutturali della governance globale sul cibo e l’agricoltura. Due in particolare sono i
settori che necessitano di regolamentazione: i mercati dei derivati e gli investimenti
agricoli.
R I F O R M A E R E GO L A M E NT AZ I O N E D E I M E RC A T I P E R L IM I T A R E L A S P E C U L A Z I O N E
S U L C I B O
I mercati delle commodities, tra cui quelle agricole, hanno registrato un aumento delle
attività di investimento realizzate da investitori istituzionali, Banche di Investimento,
Hedge Fund, Fondi pensione etc.. Tra il 2003 ed il 2008, grazie anche ad una politica di
deregolamentazione dei mercati dei derivati portata avanti dal governo statunitense, gli
investimenti sui derivati delle commodity sono passati da 13 a 317 miliardi di dollari,
principalmente attraverso l’utilizzo di veicoli finanziari come i Commodity Index Fundsxiii
.
Secondo l’UNCTAD, questo dei volumi finanziari investiti nei mercati dei derivati agricoli
ha contribuito all’aumento della volatilità ed al rialzo dei prezzi. La stragrande
maggioranza degli scambi dei derivati avviene al di fuori dei mercati regolamentati,
utilizzando piattaforme Over the Counter (OTC), non trasparenti e non dotate di
meccanismi di garanzia di copertura del rischio di insolvenza. Nel 2008, questi grandi
investitori controllavano, attraverso i derivati, il 70% del cibo scambiato sul mercato
mondiale, a fronte di un 20% di dieci anni prima. E’ evidente come le dinamiche dei
mercati agricoli non dipendano esclusivamente dai fondamentali della domanda e
1
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dell’offerta, ma anche dalle dinamiche che si realizzano sui mercati finanziari. A tal fine
l’Italia dovrebbe:
F E R M A RE L ’A C C A P A R R A M E N T O D I T E R R E D A P A R TE D E I G R A N D I I N V E S T I T O R I
Circa 50 milioni di ettari di terra coltivabile, pari al doppio della superficie del Regno
Unito, è stata affittata o acquistata a livello globale da parte di grandi investitori,
multinazionali, fondi sovrani e, in alcuni casi, singoli Paesi. Il land-grabbing,
accaparramento di terre, si caratterizza per una serie di investimenti su larga scala,
miranti ad acquisire il controllo di enormi estensioni di terreni, sia per una produzione
destinata all’export – in particolare commodities destinate alla produzione di
biocarburanti - che per investimenti puramente speculativi. Molto spesso non vengono
rispettate le legislazioni nazionali e internazionali in materia di diritto al cibo, all’acqua,
alla terra, dei diritti delle popolazioni indigene, con fenomeni di gravi violazioni dei diritti
umani e spostamento forzato di intere comunità.
Nel Multi-Year Action Plan on Development adottato durante il vertice del G20 di Seoul
lo scorso novembre, si sostiene l’adozione dei principi su Responsible Agricultural
Investment (RAI), che però sono stati fortemente contestati dalla società civile per
l’assenza di un processo inclusivo durante la loro elaborazione e perché inefficaci in
materia di controllo degli investimenti privati. Anche la FAO, nell’ultima sessione del
Committee on World Food Security (CFS) dell’ottobre scorso, non ha adottato i RAI
stabilendo l’avvio di un nuovo processo più inclusivo. La definizione di un quadro
normativo internazionale di riferimento per gli investimenti nell’acquisizione di terreni
dovrebbe: garantire come prioritario l’acceso alla terra per le comunità locali; risultare
legalmente vincolante; garantire la piena realizzazione del diritto al cibo; garantire il
diritto delle donne al controllo sulla terra; tutelare l’accesso alla terra e garantire un
libero ed informato consenso da parte delle comunità che abitano e dipendono per
vivere da quei terreni; non a detrimento dell’ambiente e prevedendo seri studi di
impatto.
R ICHIESTE
L’ IT A LI A D O V R E B B E :
Favorire in ambito G20 l’adozione di un regolamentazione dei mercati dei derivati
che limiti la quantità di contratti derivati controllati da un investitore sia all’interno
dei singoli mercati delle commodities che complessivamente; riduca l’effetto leva
attraverso un aumento del capitale di deposito richiesto per le transazioni sui
derivati; limiti la quantità dei volumi di scambio e la dimensione degli investimenti
permessi ai grandi investitori istituzionali, in particolare per gli Index Funds; e che,
infine, garantisca la trasparenza, la regolamentazione e la supervisione dei mercati
OTC.
Sostenere la moratoria sulle acquisizioni su larga scala da parte di attori pubblici e
privati, fino all’attuazione di norme vincolanti a livello nazionale che internazionale.
Sostenere il lavoro del Comitato per la Sicurezza Alimentare in materia di land-
grabbing, attraverso lo sviluppo di linee guida volontarie per la gestione
responsabile della terra e delle risorse naturali (Voluntary Guidelines on Responsible
Governance of Land and Natural Resources) e per un’effettiva implementazione
1
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dell’art.14 del CEDAW, la Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le donne, sul diritto al possesso e al controllo della terra,
abbandonando il sostegno al processo RAI.
Sostenere l’adozione di regole a livello nazionale e regionale sulla responsabilità
delle imprese nelle loro operazioni nazionali e all’estero, incluse le violazioni dei
diritti umani, in caso di investimenti di land-grabbing.
Promuovere in ambito di G20 e di Unione Europea una moratoria su un’ulteriore
espansione degli investimenti in paesi terzi per produzione di biocarburanti, la
cessazione delle sovvenzioni pubbliche volte a favorire lo sviluppo della produzione
di biocarburanti e la creazione di adeguati quadri normativi che assicurino che gli
sforzi dei governi per la diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento
energetico non mettano a rischio il diritto al cibo delle comunità dei Paesi del Sud.
LAVORO DIGNITOSOxiv
O B I E T T I V O
“UN’ECONOMIA RISPETTOSA DEL PIANETA, MIRATA AL PIENO IMPIEGO, AD UNA MIGLIORE
DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA E DEL LAVORO, DOVE TUTTI I LAVORATORI POSSANO
CONTARE SU SALARI DIGNITOSI, CONTRATTATI COLLETTIVAMENTE, CHE AUMENTANO ALLA
STESSA VELOCITÀ DEI PREZZI E DELLE PRODUTTIVITÀ. SALARI DI QUESTO TIPO SONO LA BASE
DI UNA VITA DIGNITOSA, COSÌ COME DEI SISTEMI DI PROTEZIONE SOCIALE E DEI SERVIZI
PUBBLICI”xv
.
C O N T E S T O E S C E N A R I O
Dal 2008 ad oggi, secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il numero di
disoccupati ufficiali è aumentato di 59 milioni di persone, raggiungendo i 240 milioni,
pari al 7,4 % della popolazione attiva del pianeta, senza considerare l'elevato numero di
persone, uomini, donne, minori, anziani, costretti a lavorare in modo precario e senza
dignità, nella cosiddetta “economia informale”. Ancora oggi oltre 180 milioni sono i
bambini lavoratori, circa 200 milioni i migranti e 12,3 milioni le persone ancora vittime
del lavoro forzato e 2,5 milioni vittime della “tratta di essere umani”, di cui il 45% ha
meno di 18 anni. Queste violazioni continuano soprattutto perché ad oltre il 60% della
forza lavoro nel mondo è vietata la libertà di organizzazione sindacale e di
contrattazione.
Le conseguenze della crisi globale non si sono ancora tutte manifestate, calcolate e tanto
meno affrontate e le dinamiche che l’hanno generata non si sono fermate sebbene ne
siano state individuate tutte le principali cause. I paesi del G20 non hanno messo in atto
alcun piano di risanamento dell’economia reale tale da garantire la ripresa economica
basata sul lavoro dignitoso e sulla giustizia sociale e ambientale.
L’aumento delle disuguaglianze e la primazia degli investimenti finanziari rispetto a
quelli produttivi sono i due elementi considerati ormai da tutti gli economisti all’origine
di quegli squilibri macroeconomici che hanno causato gli squilibri globali e la crisi. Anche
il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’OIL, in preparazione ai lavori di una
conferenza congiuntaxvi
hanno concordato con questa analisi e hanno esaminato i costi
umani della recessione e le possibili basi per una crescita bilanciata e sostenibile. Il
documento delle due istituzioni internazionali non si limita all’analisi delle cause e delle
conseguenze della recessione, ma avanza alcune proposte di policy, i cui tratti principali
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ruotano attorno all’obiettivo di stimolare la domanda interna e di difendere e creare
posti di lavoro. Nell’idea di risolvere strutturalmente le cause della crisi c’è la revisione
dell’intera impostazione dell’economia globale. Un’idea di ripresa e di crescita
economica da salari, contro l’economia da debito.
Dunque oggi si riconosce la “crisi di un modello” ed occorre definire una nuova agenda
che eviti il rischio che le disuguaglianze, la precarietà del lavoro, l’assenza dei diritti
fondamentali e, più in generale, la crisi non vengano assunti come problemi strutturali.
Già ora istituzionale molte imprese invece di puntare sull’innovazione, sulla produttività
e sulla qualità sociale ed ambientale delle loro produzioni, come strumento di
concorrenza internazionale usano la “minaccia” di disinvestimento e di delocalizzazione
per ridurre costi e diritti. Più in generale, nonostante condizioni di partenza differenti,
che hanno portato impatti differenziati, la crisi può essere strutturalmente risolta solo
con una riforma globale dell’intero sistema produttivo e redistributivo, quindi finanziario
e monetario.
Le contromosse nazionali e internazionali alla crisi finora hanno agito solo sulle
conseguenze, e non sulle cause strutturali, dimostrandosi perciò inadeguate.
Nonostante le difficoltà che il movimento sindacale deve affrontare, proprio nella crisi si
rilancia la funzione riformatrice delle organizzazioni sindacali.
La crisi in corso mette in luce il fatto che siamo arrivati alla fine di un modello di sviluppo
basato su una crescita che non considera l’impatto sociale ed ecologico. Una crescita
basata su un iper-consumo e sullo sfruttamento senza limiti della natura e dei lavoratori
che non sono la causa della crisi, ma finora ne sono state le vittime.
R ICHIESTE
Garantire l’applicazione delle norma internazionali del lavoro dell’OIL a partire della
libertà di organizzazione sindacale e di contrattazione collettiva in tutti i paesi e in
tutti i settori, come pure il divieto di discriminazione, di lavoro minorile e di lavoro
forzato;
Sostenere la creazione di nuovi posti di lavoro ed investimenti nei settori ad alta
intensità di manodopera, inclusi i cosiddetti “lavori verdi” tramite la creazione di un
contesto istituzionale ed economico sostenibile;
Facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro, in particolare dei più vulnerabili,
giovani e donne, e proteggere dalla crisi gli individui e le famiglie, e il lavoro
nell’economica informale;
Favorire la formazione dei lavoratori lungo tutto l’arco della vita;
Promuovere un coordinamento più stretto ed efficace sulle tematiche del lavoro
dignitoso delle organizzazioni internazionali, delle istituzioni finanziarie e delle
banche di sviluppo regionali;
Costruire sistemi fiscali equi che pesino più sulla ricchezza e sulle rendite
finanziarie che non sui lavoratori (tassazione progressiva, abolizione dei paradisi
fiscali);
la tassa sulle transazioni finanziarie internazionali;
Promuovere:
o la sostenibilità delle imprese, pubbliche o private, e l’attuazione delle Linee
Guida OCSE e dei Principi Guida su Imprese e diritti umani: attuare il quadro
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dell’ONU “proteggere, rispettare e risarcire” approvato dal Consiglio ONU per i
diritti umani;
o lo sviluppo di strumenti di protezione sociale – sicurezza sociale;
o Una politica di accoglienza e integrazione per i richiedenti asilo e i migranti
economici;
o condizioni di lavoro che preservino la salute e la sicurezza dei lavoratori;
Impedire l’uso della violazione dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro come
un vantaggio comparativo legittimo.
UGUAGLIANZA DI GENERE E DIRITTI DELLE DONNE
O B I E T T I V O
I PAESI DEL G8 E DEL G20 PIANIFICANO E REALIZZANO POLITICHE PER PROMUOVERE I
DIRITTI DELLE DONNE, SIA ATTRAVERSO L’INTEGRAZIONE DI UNA PROSPETTIVA DI GENERE IN
TUTTI I SETTORI DI INTERVENTO SIA TRAMITE SPECIFICHE AZIONI DI EMPOWERMENT DELLE
DONNE AL FINE DI VALORIZZARNE IL RUOLO COME SOGGETTI ATTIVI DELLO SVILUPPO, TRASFORMARE GLI ATTUALI SQUILIBRI DI POTERE TRA DONNE E UOMINI E AFFRONTARE ALLA
RADICE LE CAUSE DELLA POVERTÀ. TALI POLITICHE SONO PIANIFICATE E REALIZZATE CON LA
PARTECIPAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI E DEI GRUPPI DI DONNE E FINANZIATE IN MODO
ADEGUATO, PREVEDIBILE E TRASPARENTE.
C O N T E S T O E S C E N A R I O
Gli effetti della crisi economica, finanziaria e alimentare globale che interessano sia Paesi
industrializzati che regioni in via di sviluppo, hanno ripercussioni peggiori sulle donne in
tutte le aree tematiche identificate come prioritarie dalla Presidenza francese:
istruzione, supporto alla crescita, salute, sviluppo sostenibile, sicurezza e sovranità
alimentare. In un’economia mondiale sempre più interdipendente, è necessario
integrare un approccio di genere a tutti i livelli delle politiche di cooperazione per
rispondere alle sfide globali e realizzare interventi efficaci contro le disuguaglianze tra
donne e uomini che ostacolano lo sviluppo economico e sociale di molti Paesi e il
raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
925 milioni persone soffrono ancora la fame e studi recenti di organizzazioni
internazionali, tra cui l’ultimo Rapporto SOFA della FAO, hanno sollevato l’attenzione
sulle disuguaglianze di genere nel settore agricolo dei Paesi in via di sviluppo che
ostacolano l’accesso delle donne alle risorse naturali, ai programmi di sostegno
all’agricoltura e al credito. Le donne costituiscono il 43% della forza lavoro agricola nel
Paesi in via di sviluppo e giocano un ruolo importante nell’uso e mantenimento delle
risorse naturali e nella produzione di cibo. Le disparità di genere in questo settore
inaspriscono il problema della fame per le donne, già di per sé critico e accentuato da
sfide recenti quali l’effetto del cambiamento climatico sulla produzione agricola,
l’espansione dell’agricoltura industriale a scapito dei piccoli agricoltori (in gran parte
costituita da donne), l’accaparramento di terre per uso diverso dall’agricoltura e la
speculazione finanziaria che ha portato a un drastico aumento dei prezzi negli ultimi
anni. Le donne in particolare sono le vittime più colpite, non solo perché appartengono
ai gruppi sociali più poveri ed emarginati, ma perché la cura della famiglia in occasione di
carestie, siccità e disastri naturali è maggiore e rinforza i tradizionali ruoli di genere che
le escludono dalla partecipazione alle attività produttive.
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Secondo la FAO se si investisse sulle donne agricoltrici la produzione agricola potrebbe
aumentare del 20%-30% e il numero di affamati nel mondo si ridurrebbe del 12-17%.
Nel mondo due terzi dei 796 milioni di analfabeti è costituita da donnexvii
e la maggior
parte dei 69 milioni di bambini che non vanno a scuola sono bambinexviii
. Nei Paesi in via
sviluppo inoltre le bambine hanno molte meno probabilità di completare la scuola
elementare e di accedere a cicli di istruzione superiore rispetto ai coetanei maschi.
L’impossibilità di frequentare la scuola per bambine e ragazze non è solo una negazione
di un loro diritto fondamentale, ma ha anche ripercussioni a livello economico-sociale
per lo sviluppo di un Paese. Studi recenti mostrano che un aumento dell’1% del numero
di donne che ricevono un’ istruzione secondaria portano ad un aumento del PIL dello
0.3%xix
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio per la salute sono i più lontani dal traguardo. La
dimensione di genere evidenzia come il ruolo delle donne in questo ambito le renda, allo
stesso tempo, vittime e risorse. Sono infatti più vulnerabili dal punto di vista biologico e
sociale, in termini di mancanza di riconoscimento dei bisogni specifici e dei diritti di cui
sono portatrici; sono esposte alla violenza di genere, spesso in ambito domestico, e, nel
caso dell’HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili, hanno una minore
capacità di negoziare rapporti protetti con il partner. Al tempo stesso, tuttavia, sono
potenti risorse per lo sviluppo, per la centralità del loro ruolo nella cura e nel
sostentamento economico della famiglia, con effetti allargati alla comunità a cui
appartengono. Opportune azioni di empowerment delle donne consentirebbero di
raggiungere prima e meglio gli Obiettivi di sviluppo del Millennio per la salute ed evitare
gravissimi costi in termini di vite umane: ogni anno, solo le patologie legate alla salute
sessuale e riproduttiva causano la perdita di 250 milioni di anni di vita produttiva e
riducono la produttività complessiva femminile anche del 20%xx
.
È dunque essenziale che in sede G8/G20 si includa una prospettiva di genere con
programmi ed interventi efficaci e sostenibili nel tempo. L’empowerment delle donne e
l’uguaglianza di genere devono essere una priorità del G8 e G20 per il raggiungimento
non solo del 3° Obiettivo del Millennio, ma anche degli altri Obiettivi.
Il Summit G20 di Seoul del novembre 2010 ha sottolineato la necessità di una
connessione tra agenda economico-finanziaria internazionale e sviluppo, accentuando le
responsabilità del G8/G20 nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. In
questo senso è essenziale che i Paesi del G8 e del G20 supportino la nuova entità delle
Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women)
attraverso impegni concreti per finanziare adeguatamente le sue attività.
R ICHIESTE
L’ IT A LI A I N S E D E G8 E G20 D E V E :
Promuovere una programmazione finanziaria adeguata e di lungo periodo
dell’agenzia UN Women da parte dei Paesi del G8 e del G20;
Giocare un ruolo forte perché i Paesi del G8 adempiano agli impegni previsti
dall’Aquila Food Initiative, lanciata sotto la Presidenza italiana in risposta alla crisi
alimentare, dando priorità a interventi a favore dei piccoli agricoltori, in particolare
le donne;
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Contribuire al processo di efficacia degli aiuti promuovendo l’integrazione di un
approccio di genere in tutte le politiche di aiuto allo sviluppo a livello locale,
regionale, nazionale e internazionale, e nella programmazione e valutazione
dell’efficacia dei propri finanziamenti, con particolare riferimento al Budget
support, sulla base dei principi sanciti dal Programma di Azione del Cairo (1994) e
dalla Piattaforma di Azione di Pechino (1995).
Promuovere attività e risorse finanziarie specifiche per l’empowerment educativo,
sociale ed economico delle donne, tenendo in considerazione i bisogni specifici
delle adolescenti,
Promuovere il coinvolgimento delle donne e delle organizzazioni delle donne nei
processi decisionali e nella definizione delle politiche a tutti i livelli;
i http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1465-7287.2009.00154.x/full ii realizzata dalla Campagna internazionale “Publish what you Fund”
iii Si veda http://www.gavialliance.org/resources/GAVI_Alliance_Feb_2011.pdf. iv Si veda http://www.gavialliance.org/media_centre/facts/index.php. v UNAIDS, Universal Access to HIV Prevention, Treatment, Care and Support: from Countries to Regions to the High Level Meeting on AIDS and Beyond. 2011 Road Map, febbraio 2011 (http://www.unaids.org/en/media/unaids/contentassets/documents/document/2011/2011_UA_roadmap_en.pdf). vi UNAIDS, 2011-205 Strategy. Getting to Zero, dicembre 2010 (http://www.unaids.org/en/media/unaids/contentassets/documents/unaidspublication/2010/JC2034_UNAIDS_Strategy_en.pdf). vii Si veda http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2011/TBday_20110322/en/index.html viii Si veda http://www.rollbackmalaria.org/keyfacts.html.
ix http://www.wwf.it/lpr2010.sh
x
http://www.unep.org/greeneconomy/Portals/88/documents/ger/GER_synthesis_en.pdf xi un indice che misura la variazione dei prezzi su un paniere di 55 prodotti agricoli, tra i
quali mais, frumento, riso, oleaginose. xii
World Bank, Food Price Watch, Febbraio 2011. xiii
UNCTAD, Trade and Development Report 2009, Capitolo 2, 2010. xiv
Financial Crisis, ITUC, 2009 3° bollettino economico CGIL, gennaio 2011 Conferenza Sociale di Primavera, Bruxelles, 11 marzo 2011 Dichiarazione OIL sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta (2008) xv
Conferenza Sociale di Primavera, Bruxelles, 11 marzo 2011. xvi
“Le sfide per la crescita, l’occupazione e la coesione sociale”. xvii
UNESCO: http://www.unesco.org/en/literacy/dynamic-content-single-
view/news/unesco_celebrates_the_power_of_womens_literacy_on_8_september_inter
national_literacy_day/back/11922/cHash/b51afa133c/
xviii Le cause di questo fenomeno sono molteplici: il coinvolgimento delle bambine e delle
adolescenti nell’economia domestica (es provvedere alla raccolta della legna, dell’acqua,
andare al mercato, ecc), i matrimoni precoci, le gravidanze, la necessità di accudire
fratelli/sorelle minori. Nell’insieme tali fattori alimentano la credenza diffusa che
investire nella educazione di una bambina non sia vantaggioso.
http://www.unesco.org/new/en/education/themes/strengthening-education-
systems/early-childhood/single-view/news/every_child_has_the_right_to_education/
xix PLAN 2008. Paying the price: The economic cost of failing to educate girls, PLAN:
Children in Focus
xx The Alan Guttmacher Institute. 2004. "The Benefits of Investing in Sexual and
Reproductive Health." Issues in Brief. 2004 Series. No.4. New York: The Alan Guttmacher
Institute.)