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«Con Gesù Cristosempre nasce

e rinasce la gioia» (Evangelii Gaudium 1)

Una Chiesa in uscitanell’incontro

con l’amore di Dio

Atti del ConvegnoEcclesiale 2014

della diocesidi Alghero-Bosa

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Gli atti del Convegno Ecclesiale 2014 sono a cura dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali

Diocesi di Alghero-Bosa

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L ’Esortazione Apostolica,Evangelii Gaudium, è statapubblicata il 24 Novembre

del 2013 alla chiusura dell’Annodella fede, nel primo anno delPontificato di Papa Francesco. Il 26Novembre 2013 durante la con-ferenza stampa di presentazionedel documento, Mons. Rino Fisi-chella, Presidente del PontificioConsiglio per la Promozione del-la nuova Evangelizzazione, hadefinito l’EvangeliiGaudium un’«Esor-tazione Apostolicascritta alla luce del-la gioia per riscopri-re la sorgente del-l’evangelizzazionenel mondo contem-poraneo. […] Uninvito a recuperareuna visione profeticae positiva della real-tà senza distoglierelo sguardo dalle dif-ficoltà. Papa Fran-cesco infonde corag-gio e provoca a guardare avanti no-nostante il momento di crisi, facendoancora una volta della croce e ri-surrezione di Cristo il “vessillo del-la vittoria”»La locandina del nostro Conve-gno Ecclesiale presenta sullosfondo un campo di grano. IlPapa parla di grano 5 volte al-l’interno dell’Evangelii Gaudiume afferma:“La comunità evangelizzatrice èsempre attenta ai frutti, perché il Si-gnore la vuole feconda. Si prendecura del grano e non perde la pace acausa della zizzania” (n.24).“La nostra fede è sfidata a intrave-

dere il vino in cui l’acqua può es-sere trasformata, e a scoprire il gra-no che cresce in mezzo della zizza-nia” (n. 84).“Il cattivo spirito della sconfitta è fra-tello della tentazione di separare pri-ma del tempo il grano dalla zizzania,prodotto di una sfiducia ansiosa edegocentrica” (n. 85).“La parabola del grano e della ziz-zania (cfr Mt 13, 24-30) descrive unaspetto importante dell’evangelizza-

zione, che consiste nelmostrare come il ne-mico può occupare lospazio del Regno ecausare danno con lazizzania, ma è vintodalla bontà del granoche si manifesta con iltempo” (n. 225).Sopra il campo ap-pare la sagoma del-la Concattedrale diBosa e della Catte-drale di Alghero,unite tra di loro, ac-costate e non divise,

per indicare quell’unità pastoraleche deve renderci tutti un’unica fa-miglia diocesana. Infine l’alba, che illumina i varisoggetti, è per definizione la pri-ma luce che compare in cielo trala fine della notte e l’aurora; è l’orache precede la levata del sole, cheè un po’ la funzione del Conve-gno Ecclesiale e dei contenutidell’Evangelii Gaudium: unaChiesa in uscita che illuminatadalla luce del nuovo giorno sve-la il raccolto dopo la semina nel-le nostre comunità.

Giuseppe Manunta

pre

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tazi

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e Il tempo della semina gioiosanelle nostre comunità

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CONTINUIAMO IL NOSTROCAMMINO ALLA LUCEDELLA PAROLAPadre Mauro Maria Morfino

Continuiamo il nostro cammino alla luce della ParolaIntroduzione di Padre Mauro Maria Morfino

L’invito fatto a Mons. Gervasoni, fine teologo e pastore conl’odore delle pecore, ha origine da quello che il Papa dice nel-l’Evangelii Gaudium «Ciò che intendo qui esprimere ha un signi-

ficato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte lecomunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzarenel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può la-sciare le cose come stanno» (EG, 25).A partire da queste parole che il Papa rivolge a tutte le Chiese, chetroviamo al n. 25 intitolato “Pastorale di conversione”, anche noivogliamo cogliere questo invito, e lo accogliamo dentro quello cheè il nostro itinerario. Questa conversione pastorale, di una Chiesache esce e di una Chiesa che diventa eloquente per la gioia stessa cheporta, si pone dentro questo cammino decennale che stiamo fa-cendo, aperto con il Convegno del 2011 “Dio educa il suo Popolocon la Parola”. La scelta di camminare alla lucedella Parola, con questa Suapriorità assoluta, ha visto l’an-no dopo la riflessione ancorasulla Dei Verbum e sul cam-mino delle nostre comunità,mentre nel 2013 ci siamo sof-fermati sull’annuncio del Van-gelo ai giovani: “Giovane dovesei?!”. Dentro questo camminola Lettera pastorale che mettevaal centro del nostro itinerariodel decennio la Parola del Si-gnore. Non tanto temi uno giu-stapposto all’altro, quantopiuttosto questo filo condut-tore dove la luce della Parola èlampada ai nostri passi. Poi inaspettatamente il Papa ha pubblicatoquesta Esortazione con questo titolo e con questo contenuto: Evan-gelii Gaudium, la gioia del Vangelo. Questo è il nostro quarto Con-vegno Ecclesiale che tratterà questa gioia del Vangelo con la volontàdi capire che cosa il Papa voglia indicarci ed è per questo che ascol-tiamo volentieri, oggi e domani, Mons. Gervasoni che ci guiderà,con competenza, dentro questo cammino.

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Convegno Ecclesiale della Diocesi di Alghero-Bosa

«CON GESÙ CRISTO SEMPRE NASCE E RINASCE LA GIOIA»UNA CHIESA IN USCITA NELL’INCONTRO CON L’AMORE DI DIOAlghero 19-20 Settembre 2014

La presentazione di un programma pastorale si articola in quat-tro parti. In primis bisogna specificare che cosa sia un pro-gramma pastorale, poi predisporre un metodo di lavoro,

verificare gli snodi operativi e l’oggetto.

1. Che cos’è un programma pastorale?

Non è una semplice lettera pastoraleLa lettera pastorale intende proporre un tema spirituale, pastorale eteologico lasciando al lettore il modo di reagire al testo e di darvi at-tuazione. L’intento principale sono l’esortazione, la correzione, l’ap-profondimento e la condivisione.

Non è un’esortazione spiritualeL’esortazione spirituale intende incitare la comunità ad alcuni at-teggiamenti proposti nel testo e conosciuti.L’esortazione individua luoghi e modi di sollecitazione pastorale ospirituale e rinvia a modelli pastorali già conosciuti e attuati.

Non è uno svolgimento teologico di un tema Lo svolgimento teologico, seppure pratico, dimostra scientifica-mente (teologicamente) un argomento e ne sviluppa le ragioni, in-dicandone le conseguenze teoriche e pratiche.Di solito l’approfondimento teologico è previo a ogni riflessione eproposta pastorale. Per questo, un programma pastorale deve rife-rirsi ad un approfondimento teologico certo.

Non è un’opera di divulgazioneL’opera di divulgazione intende portare a conoscenza del maggiornumero possibile di persone un argomento specialistico, dandonela ragioni essenziali in un linguaggio ordinario e con un metodo ri-goroso, ma con esemplificazioni e adattamenti vicini alla cultura dichi legge.

Un programma pastorale è lo strumento che regola, governandola,un’azione praticaIl programma pastorale ha come intento di guidare e governare or-dinatamente e consapevolmente un’azione secondo linee, modi e

Un programma pastoraleImparare a credere dal fare e dall’agire pastorali

Incontro di Mons. Maurizio Gervasoni con il clero diocesano

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9intenti dichiarati e razionalmente organizzati. Deve perciò essereun documento che consente di agire criticamente in una comunitàsecondo modi, per obiettivi, per finalità.Il programma pastorale deve fornire con chiarezza il suo oggetto eil suo metodo e deve permetterne la conoscenza sia teorica sia pra-tica. Esso deve essere chiaro: occorre specificare di che cosa si parla,a chi si rivolge, in quali modi, in quali tempi e secondo quali in-tendimenti.Il programma pastorale deve concludersi con la realizzazione diquanto progettato. Deve dare a tutti la consapevolezza della corret-tezza, della verità e dell’efficacia di quanto proposto. Poiché «pa-storale», il programma deve aumentare la comunione ecclesiale ela valorizzazione dei carismi e dei ministeri, e deve aiutare le co-munità e le persone a dare senso alla vita in coerenza con il Vangelo.

2. Un metodo di lavoro

Si propone una pratica pastorale ritenuta importante e opportunaper tutti. La si accoglie comunitariamente e ci si confronta per va-lorizzarla al meglio. Si condividono a livello diparrocchia, zona, vicariato e diocesi le modalitàoperative e spirituali. Ma perché è importante? Che caratteristiche ha?Quali sono gli elementi teologici e spirituali piùsignificativi? Dove si colloca nella vita delle per-sone e delle comunità?Occorre acquisire e condividere le ragioni di que-sta importanza e opportunità. Il primo passo è lacondivisione delle ragioni di tale scelta. Il pro-gramma pastorale chiede a tutta la comunità di in-terrogarsi sul tema e di seguire tutto il cammino: dicomprensione, catechesi, spiritualità e approfon-dimento; di analisi delle pratiche già poste in atto;di individuazione di pratiche future a livello par-rocchiale, vicariale e diocesano. Così facendo, la comunità compiegià un cammino di spiritualità, catechesi e comunione pastorale.Il lavoro di revisione e di programmazione chiede un confronto ef-fettivo tra tutti i livelli di organizzazione della vita della Chiesa invista di una maggiore comunione ecclesiale e pastorale. Questo la-voro segue una scelta pastorale di condivisione. Si fa riferimento al metodo della Governance: esso valorizza le com-petenze, le responsabilità, la dinamicità e la crescita responsabile. Illavoro deve ottimizzare le strutture pastorali in cui è organizzata la vitaecclesiale: Diocesi, Vicariato, Zone e Parrocchie. Occorre prevederemomenti di confronto, sintesi e programmazione tra questi livelli. Infine, dopo l’attuazione programmatica, è necessario attuare la ve-rifica del metodo, dei risultati, delle strutture e del senso elaborato. Tra gli strumenti comunicativi e di spiritualità ricordiamo un’iconabiblica, un’icona artistica e una pratica spirituale o devozionale,nonché cammini di catechesi, teologia, cultura e spiritualità.

�Il lavoro di revisionee di programmazionechiede un confrontoeffettivo tra tutti i livelli di organizzazionedella vita della Chiesa

UN PROGRAMMA PASTORALE IMPARARE A CREDEREDAL FARE E DALL’AGIREPASTORALIMons. Maurizio Gervasoni

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«CON GESÙ CRISTO SEMPRE NASCE E RINASCE LA GIOIA»UNA CHIESA IN USCITA NELL’INCONTRO CON L’AMORE DI DIOAlghero 19-20 Settembre 2014

3. Gli snodi operativi

Occorre precisare la visione di fondo che regola la vita della comu-nità. Per esempio l’ipotesi di gestire il governo pastorale secondo ladistinzione tra la comunità battesimale e la comunità eucaristica. È necessario prevedere le azioni e la trama di senso delle operazioniche si propongono per ciascun elemento operativo ed è basilareconfrontare questa trama con le caratteristiche dell’oggetto, del ter-ritorio, della cultura, delle istituzioni e delle risorse. Gli snodi operativi devono poi essere confrontati con le pratichepastorali più frequenti e più impegnative, nonché con le caratteri-stiche sociali e civili in atto.

4. L’oggetto

Il programma pastorale fa riferimento ai contenuti, alle esigenze,alle caratteristiche e alle condizioni dell’oggetto scelto. Prendendo in considerazione la Parola di Dio e la vita cristiana, peril primo si ricorda che le Scritture evidenziano il primato di Dio, c’èprofonda sintonia tra la nostra esistenza e la Bibbia, ed occorre co-noscere bene le regole di ermeneutica e di esegesi dei testi sacri; peril secondo si individuano i luoghi privilegiati dell’Anno Liturgico,della celebrazione eucaristica domenicale e della Liturgia delle Ore.

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Nell’Evangelii Gaudium già il titolo dice la sfida: è la gioia!Però attenzione: gioia del Vangelo. E già qui la prima sfidadel testo è chiara! Vi farò notare che, alla fine, il Papa arriva

a fare delle affermazioni di natura teologica importanti ed io ve nemostrerò almeno una o due. Sfidare la cultura che più di tutte al mondo fa del piacere il centrodella vita umana.Non è mai esistita al mondo una cultura diffusa che fa del piacereil centro della vita: la cultura del benessere. Noi siamo persone checercano la gioia in maniera spudoratamente estesa, ma è gioia? C’èun paradosso in questa sfida: l’Occidente è triste, il cristiano occi-dentale è triste. «Ma come? Vivete in una cultura che cerca il benes-sere e siete tristi?»

1. Gli elementi cardine della tristezza nella cultura occidentale

L’individualismo. Senza individualismo non c’è questa ricerca sfre-nata del piacere, ma l’individualismo non da quel che promette.

Il potere scientifico tecnologico. Pensate al confronto delle comoditàche ci sono mediamente nelle nostre case oggi e quelle che c’eranocento anni fa, e quanto benessere hanno portato queste cose. Possofare un esempio? Pensate cosa ha determinato l’invenzione del fri-gorifero. Guardate che cent’anni fa il frigorifero non c’era e biso-gnava andare a prendere le vivande da mangiare più frequen-temente. Pensate alla lavatrice. Mia mamma qualche anno fa mi di-ceva che andava a fare il bucato, poi è arrivata la lavatrice. Ma tuttigli elettrodomestici hanno portato benessere. Dovremmo star tuttibenissimo, o no?

La percezione globalistica. Pensate: noi mangiamo le fragole anche il31 Gennaio, oppure mangiamo l’ananas. Tutto è frutto della perce-zione globalistica - che dovrebbe darci un sacco di benessere - tuttoil pianeta diventa un grande villaggio per cui i contadini dell’Italiasono come i contadini del Sudan. Dovrebbero prendere le stessepaghe, lavorare alla stessa maniera.

Vi sono infine gli schematismi di tipo materialista e nichilista.LA GRANDE SFIDA DELL’EVANGELII GAUDIUMMons. Maurizio Gervasoni

La grande sfida dell’Evangelii GaudiumMons. Maurizio Gervasoni

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«CON GESÙ CRISTO SEMPRE NASCE E RINASCE LA GIOIA»UNA CHIESA IN USCITA NELL’INCONTRO CON L’AMORE DI DIOAlghero 19-20 Settembre 2014

Il Papa fa poi una cosa molto semplice. Si è trovato a Roma, lui cheveniva da Buenos Aires, ed una persona che viene qui da un paesepovero non ha la percezione di una grande e diffusa gioia, ma digrande tristezza e paura nascoste dietro l’apparenza del benessere!Vedete il pugno nello stomaco? Il Papa ha detto “Voi Occidentali continuate a dire di essere gioiosi,ma non è mica vero! Ai nostri occhi sembrate tristi. Non esiste almondo nessun paese che ha la depressione come c’è da voi! Nei no-stri paesi l’anoressia non c’è, invece da voi è un grande problema!Come mai?”. Vedete questa è la prima grande provocazione. Non èche il Papa si sia messo a scrivere un’esortazione sulla gioia, par-tendo dal Vangelo. No no, ha detto “Voi siete degli imbranati! Diteuna cosa e ne fate un’altra! Perché?”. Il cristiano occidentale, e nonsolo l’Occidente, è triste; lo siamo anche noi che siamo qui! Siamotutti cristiani, siamo tutti occidentali e siamo tristi! Le ragioni pro-

fonde di vita che sostengono l’Occidente abitanoanche nel cuore dei cristiani e delle Chiese che vi-vono in questa cultura. Vedete: noi prima siamo occidentali, poi siamocristiani. E lui dice “Non va mica bene questacosa! Voi prima siete cristiani!”. Ed invece le ra-gioni profonde dell’Occidente sono nel vostrocuore. Ed allora enuclea subito la sua tesi: “Cisono cristiani tristi perché non vivono della spe-ranza cristiana. Ed allora se volete vivere nellasperanza, convertite il cuore!”. Ecco, è semplicis-sima la sua tesi. “Questo accade perché la societàtecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni dipiacere, ma essa difficilmente riesce a procurarela gioia” (EG, 7).È come se ci dicesse: “Voi avete sposato la culturaoccidentale, con la sua ricerca di piacere, ma non

avrete la gioia se non convertite il cuore”. Qual’è la ragione di que-sto paradosso? Il Papa la definisce una ragione ideologica, e qui tra-disce il fatto che lui fa un po’ anche il teologo, non sembra cosìspontaneo ed ingenuo. È la visione dell’ideologia di tipo marxista, una sovrastruttura che ri-veste idealmente una infrastruttura, che però non è quella! Cioè èun mascheramento ideale di un meccanismo perverso, di modo chetu lo credi importante, bello, positivo e ideale, però di fatto è mor-tifero. All’inizio dell’essere umano, nella cultura occidentale, nonc’è una decisione etica o una grande idea - ideologia dell’occidente:una grande idea o un’opzione morale - ma l’incontro con un avve-nimento, con una Persona che da alla vita un nuovo orizzonte e,con ciò, la direzione decisiva. Il Papa dice “Vedete voi occidentali siete schiavi di un’ideologia, in-vece la vera gioia assomiglia all’innamoramento. Tu non sei felicequando trovi una bella idea, ma quando vedi una bella ragazza et’innamori e lei risponde. C’è un evento, e questo evento è Gesù!”.Finché non raggiungiamo questo non troviamo la gioia. Però que-sta cosa non dipende da noi, non è opera dell’uomo, ma è dono di

�Il cristiano occidentale,e non solo l’Occidente,è triste; lo siamo anchenoi che siamo qui!Siamo tutti cristiani,siamo tutti occidentali e siamo tristi!

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13Dio. Perciò è fede! Capite? E se è fede, l’incontro continuo in Cristo,va annunciato. Ecco la missione! Lo sfondo di questa idea è il privilegio della ragione scientifica etecnica. Insomma l’eredità dell’Illuminismo: la ragione mette aposto tutto. Gli illuminati dalla ragione costruiranno un mondo or-dinato, corretto, facile, piacevole per tutti. Dietro questa ragionescientifica e tecnica, sta il sogno di un mondo giusto frutto dell’im-pegno morale, etico e razionale di tutti gli uomini e di tutta la so-cietà. Peccato che non tutta la società sia morale, peccato che nontutti s’impegnino per le stesse cose. Peccato che la bomba atomicaè estremamente razionale, perché da sola non si fabbrica. In questa chiesa c’è il dipinto di Massimiliano Maria Kolbe e non soquanti di voi hanno avuto occasione di andare a vedere i campi disterminio. Sono frutti d’ingegneria razionale, cosa credete! La ra-gione dà il benessere? L’ideale di Rousseau e dell’Illuminismo è “Uno sviluppo umanisticocentrato sull’uomo e sulla sua capacità scientifica e tecnica di cam-biare il mondo, partendo proprio dall’uomo, per natura buono”. L’uomo è cattivo? No, è reso cattivo dalla cultura! Per sé è buono…se tu lo lasci agire normalmente è buono. Pensate all’ideologia chei bambini devo esser lasciati sviluppare secondo le loro inclinazioniinteriori, perché sono naturalmente buoni. Fa niente poi che le ra-gioni con cui tu definisci buona una cosa, non sono di tipo feno-menologico o psicologico, ma di tipo culturale e, quindi, etico. Eallora le cose cambiano e viene richiesto un approfondimento. Qual-cuno potrebbe reagire dicendo: “No caro Papa, non hai ragione, iola penso diversamente!”. Ci sta, ma comunque è importante capireche il Papa individua questo fenomeno con estrema chiarezza.L’esito tragico del crollo dei sistemi nazista e comunista indica chela via di sviluppo dell’uomo non può prescindere da una compo-nente essenziale dell’uomo che va riferita alla radice della sua li-bertà, ma che non è di natura razionale e ordinativa. Non è di tipologico, ma di tipo storico, esistenziale. Qui c’è una riflessione teo-logica e filosofica di grandissimo rilievo. La verità dell’uomo non èuna dottrina, non è un sistema logico. È l’incontro, è la decisionedella storia, della libertà e perciò si percepisce come fede. Quindicome decisione. L’Occidente con le sue idee non ha elaborato il modo corretto, le ca-tegorie critiche adatte, per definire l’uomo. Si è affidato ad un “pez-zettino” e lo ha enfatizzato in maniera sbagliata.

2. La verità è presente nell’incontro

Nella cultura contemporanea si è sviluppata la concezione dellaverità come storia. Per chi ha studiato filosofia, si sa che la culturaoccidentale non si è fermata ad Hegel, ha anche ascoltato Kierke-gaard e l’attuale confronto filosofico è esattamente sulla questionedella fenomenologia e perciò della storia. In vero è anche una ri-flessione che l’Occidente sta facendo, però abbiamo ricevuto ungrande alleato: il Papa ci ha dato una bella spinta “andate in quella

LA GRANDE SFIDA DELL’EVANGELII GAUDIUMMons. Maurizio Gervasoni

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«CON GESÙ CRISTO SEMPRE NASCE E RINASCE LA GIOIA»UNA CHIESA IN USCITA NELL’INCONTRO CON L’AMORE DI DIOAlghero 19-20 Settembre 2014

direzione!”. La verità perciò non si esprime nel sistema, nella ela-borazione teorica, ma nella narrazione. Io per sapere la verità delvolto che ho di fronte, devo dirgli “Narrami chi sei!”, e non possodire “Siccome so che tu sei un uomo, so già chi sei!” perché del-l’uomo ho già una nozione. Per sapere chi sei tu, ho bisogno che tume lo racconti. Si tratta di un altro genere di verità. La verità vera del-l’uomo non è il sistema, ma è l’incontro, il racconto. Questa dimensione fa della libertà di ciascuno di noi un unicum,che però non può cadere nell’arbitrio, e perciò ha bisogno delle ra-gioni! Anche nella Chiesa dobbiamo andare incontro a ciascuno. È come Dio, che viene incontro a ciascuno di noi. Noi siamo preziosi

per ciascuno di noi! Come una mamma che chiama ifigli uno ad uno (qui per esempio c’è il confronto conla cultura orientale buddista che azzera l’individuo).Qui cito poi il rapporto tra l’expliquer e il comprendre,tra lo spiegare ed il comprendere.Il Papa dice che l’uomo per essere uomo deve uscireda sè ed affidarsi a Dio. Quella Chiesa in uscita è il cor-rispettivo di un atteggiamento che caratterizza la li-bertà dell’uomo come tale. Egli deve uscire da sè e sesta dentro di sè, non si apre a quello che sta oltre. Se luinon conosce, non è uomo! Deve aprirsi al mistero diDio, ma se è mistero non lo puoi manipolare. Questoè uno degli elementi di carattere teorico più forti deltesto che stiamo analizzando. Dietro a questa conclu-

sione di tipo antropologica, c’è una ragione teologica che il Papaesprime nelle sue citazioni. “Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani,quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché rag-giungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evange-lizzatrice” (EG, 8).Questo per dire che ciò che vi ho detto non l’ho inventato io. “Lagioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incon-trano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal pec-cato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (EG, 11). “ConGesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG, 1). “Per vivere nellagioia occorre lasciarsi incontrare da Dio, ascoltarne la voce e avere cosìl’entusiasmo di fare il bene con gratuità” (EG, 2). “Per questo occorre lasciarsi incontrare da Lui anche nell’esperienza delperdono e del cercarlo ogni giorno senza sosta” (EG, 3). Vedete? Adopera la categoria dell’incontro e non del ragionamento,dell’uscire fuori, del lasciarsi catturare. Questo mi sembra un ele-mento forte che il Papa ci propone.“In realtà, il suo centro e la sua essenza è sempre lo stesso: il Dio che hamanifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto. Egli rende isuoi fedeli sempre nuovi...” (EG, 11).Da qui discende il compito della Chiesa dell’evangelizzazione. Sic-come tu sei stato incontrato e hai cambiato il tuo cuore, perché ti seisentito amato da Dio, che ti ama perché ti viene a cercare, perchévuol farti del bene… tu fai lo stesso! E qui mi permetto di ricordarela Deus caritas est e Bonum diffusivum sui: l’Amore così è un venire in-

�La verità veradell’uomo non è il sistema, ma è l’incontro,il racconto

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15contro che costringe ad andare incontro, ma spontaneamente.Fatta questa affermazione il Papa, da buon gesuita, dice che se vo-gliamo elaborare la gioia dell’incontro con Dio, bisogna lavorareinteriormente. Il taglio che Francesco offre è legato all’esperienzainteriore, per cui se tu non elabori questa esperienza interiore, nonincontri Dio. Non puoi percepire quel carattere innovativo dell’in-contro con Dio e non puoi capire di essere missionario. Sarai sem-pre nella tristezza. “La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere” (EG, 22). Questo è il segreto di Gesù stesso, che porta in sé il misterodi Dio. La potenzialità imprevedibile è la potenza stessa di Dio chemanda il Figlio.

3. Per uscire occorre prendere l’iniziativa

La gratuità dell’Amore di Cristo è ciò che devi metabolizzare al tuointerno. Ci si può chiedere “Ma come? Chi sono io?”, e ci viene ri-sposto “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi!”, oppure Paolo“Quando eravate ancora peccatori lui è venuto a salvarvi”. Ora sitrova con fatica uno che dà la vita per una persona per bene! Tantomeno per una persona cattiva. Dareste la vita per uno stupratore?Ma si fa prima a fare fuori lo stupratore! Invece Dio ti precede, mala percezione di questa precedenza amorosa di Dio te la devi tirardentro, devi farla tua, deve diventare questa la tua vita. Questa è lafede! La dimensione dell’esperienza interiore, di questa gratuità, di-venta fondamentale! Faccio un altro esempio: tutti sappiamo che Gesù è morto in croceper noi? Si! Ma a noi ci interessa qualcosa di questa cosa? Non lo so!Non diciamo subito che ci interessa, perché non sono proprio con-vinto che interessa a tutti, tanto che io decido di farmi prete. PerchéGesù è morto per me e per tutti! O no? Capite, se non c’è un’esperienza interiore è impossibile avvertire lostupore della gratuità di Dio in Gesù! Molte cose della Bibbia le co-nosciamo già, quello che ci manca è il coraggio di metterle in pra-tica. E perché? Perché il nostro cuore è attaccato a qualcos’altro. Da questa certezza di fede che Gesù ci manifesta e ci dona la vita el’Amore di Dio, scaturisce il compito di prendere l’iniziativa. Gesùvuole che siamo missionari... pazienza, facciamolo? No! Sei tu cheprendi l’iniziativa perché è cambiata la tua libertà. Una mamma chedice “Uffa, mio figlio anche stanotte si mette ad urlare, ancora unavolta. Cosa avrà?”, ed il marito dice “Ha fame, che cosa vuoi cheabbia!”, e la moglie “Si vabbè ma cosa facciamo? Dai vai tu!”. Fannocosì le mamme? No! Loro prendono l’iniziativa perché gli sta a cuore!Modi, tempi, circostanze sono incapaci di compromettere la fruttuo-sità della misericordia di Dio, ormai destinata a tutti gli uomini. L’Amore di Dio, giocato in Cristo e donato a noi nello Spirito, nonlo rovina più nessuno. Però la Chiesa ha bisogno di convertirsi:quella di oggi e quella di sempre ha questa necessità. Il vero pro-blema non è di sapere che ne sarà del cristianesimo di domani, madi convertire il cuore dei cristiani a uscire verso il mondo.

LA GRANDE SFIDA DELL’EVANGELII GAUDIUMMons. Maurizio Gervasoni

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Convegno Ecclesiale della Diocesi di Alghero-Bosa

«CON GESÙ CRISTO SEMPRE NASCE E RINASCE LA GIOIA»UNA CHIESA IN USCITA NELL’INCONTRO CON L’AMORE DI DIOAlghero 19-20 Settembre 2014

Vedete il Papa dice “Sono preoccupato per cosa sarà del cristiane-simo di domani!”. Alcuni documenti di Benedetto XVI e soprattuttodi alcuni episcopati, mostrano questa preoccupazione, ma anchenoi siamo preoccupati se guardiamo alle nostre comunità. Vado in una classe di prima elementare, il 60% degli alunni iscrittinon è cristiano perché musulmano o di altra religione, che futuroavrà la nostra Chiesa? Molti giovani non si interessano più allaChiesa e spesso le attività normali dei parroci sono di andare a tro-vare gli anziani e i malati. Ma che Chiesa è? Che destino avrà que-sta Chiesa? Cosa resterà? Dobbiamo preoccuparci? Il Papa dice “No!perché è la forza del Vangelo che fa la forza della Chiesa, non quelladegli uomini, e neppure quella dei Vescovi o del Papa. Non saretevoi che salverete la Chiesa! Fatela andare avanti!”. Ma perché? Per-ché è un’opera di Dio e non dell’uomo. Bergoglio crede profondamente che il Regno va avanti perché ha laforza di Dio, non perché siamo noi bravi a portarlo avanti. Qual’èla condizione allora perché la Chiesa non venga meno? Che ci cre-diamo! La vita della Chiesa, infatti, può ostacolare la forza del Van-gelo, quando appunto è preoccupata di salvare se stessa e non difidarsi di Dio. Per questo bisogna convertirsi, ma anche accettare lasfida del nuovo.Convertirsi ed accettare il nuovo è pertinente, ma non è necessario.Il Papa fa anche questa osservazione considerando che nei paesinon occidentali la Chiesa è in crescita, anche nei giovani. Siamo noiche siamo indietro. Vedete doveva arrivare uno dell’Argentina a dirci“Svegliatevi! Vedete che state crepando! Datevi una mossa!”. L’uomodeve annunciare Cristo e sfidare il nuovo.

4. Il ritorno all’essenziale

Un nuovo paradosso mostratoci dal Papa è quello della cultura deimedia ed è questo uno dei grandi temi della nostra cultura. Si notauna molteplicità infinita d’informazioni, ma contestualmenteun’evidente mancanza di centro. Sapete qual’è la difficoltà chehanno molti insegnanti nella scuola? Che se non sono stati ritiratii cellulari, gli smartphone o i tablet, o se non c’è qualcosa di signi-ficativo che attrae l’attenzione degli alunni, non riescono ad avereattenzione. Non sai mai con chi stai parlando! Hai migliaia di possibilità, maperdi la possibilità che hai di fronte a te! Ricordo che nella mia Dio-cesi, quando ero a Bergamo, ogni tanto andavo dal Vicario Generaleper chiacchierare delle cose da fare come delegato vescovile. E luinon aveva la segretaria, per cui ogni tanto arrivava una telefonataed una cosa che avrei potuto risolvere in mezz’ora, durava due oree mezza, perché lui doveva rispondere al telefono mentre ero lì.Questo è successo più volte, ma alla fine gli ho detto che o pren-deva il telefono e lo buttava giù dalla finestra, o me ne sarei andato.Siccome ero là presente di fronte a lui dovevo avere la precedenza,altrimenti assumeva una segretaria che gli annotava tutte le chia-mate e poi richiamava quando io andavo via.

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17Il Papa dice che voi avete una possibilità infinita di comunicazioni,elaborazioni, informazioni, ma non siete nessuno: poichè siete tutto,voi non siete niente! Dice quindi che occorre tornare all’essenziale.Questo essenziale è specificato al n. 36 “Tutte le verità procedono dallastessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di essesono più importanti per esprimere direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Diomanifestato in Gesù Cristo morto e risorto”. Il Papa va all’essenziale dicendo che anche la manifestazione del-l’Amore di Dio ha un gerarchia, c’è qualcosa di più profondo e dipiù periferico, ma il cuore dell’essenziale per l’uomo è che Dio cisalva, in Cristo morto e risorto. Questa è la cosa più importante,è l’unica.Qui il Papa cita la cosiddetta Lex Nova e chi ha fatto studi di Teolo-gia morale capisce subito a cosa si riferisce, ovvero alla fede che sirende operosa per mezzo della carità. La morale viene elaborata apartire da che cosa? Molte tradizioni umane e religiose fanno deri-vare la morale dalla legge, cioè i comandamenti. Guardate che anchei catechismi fanno così! Anche nell’iniziazione cristiana insegniamoa ragazzi e ragazze che bisogna fare un’esperienza della legge, per-ché per fare il bene bisogna osservare i comandamenti. Se tu disobbedisci ai comandamenti fai il male, è vero o no? Non èvero del tutto! Ci sono casi in cui per obbedire al comandamento vaicontro Dio. L’evoluzione cristiana, rifacendoci a Tommaso d’Aquinodal quale il Papa prende questa citazione, aveva capito che Cristonon ha dato dei comandamenti in più rispetto a quelli che già si co-noscevano, ma ha dato una legge nuova, la legge dello Spirito e dellaCarità. È un altro parametro, e non è la definizione di “interdetti”«non fare, non fare, non fare», oppure di comandi «fai, fai, fai», maè un mutamento del cuore: vivere di amore, poi quello che si devefare lo si cercherà e lo si troverà con l’aiuto della legge. In questomodo sei tu che diventi testimone dell’amore di Dio e questa è lalegge nuova. Paolo quando scrive ai Galati afferma «Ma cosa sentodire, che volete tornare alla legge? Siete stufi di essere liberi?».Il Papa dice che il nucleo della lex nova è ciò che rende te proposi-tore della legge (ama e fai quello che vuoi!). Ecco la natura teolo-gia, che ha una natura spirituale. Metto quindi insieme quest’affermazione teologica che ho appenafatto con l’altra che fa riferimento all’esperienza interiore e dico, conle parole di Sant’Ignazio, che questa è l’elezione cui segue la vitanuova. “Elezione” e per spiegarvelo faccio un esempio: Roberta è lamia innamorata ed io sono innamorato di lei, decidiamo quindi disposarci. Cambia la nostra vita dopo questo passo? Certo che cam-bia, ma secondo quali criteri? Quelli che i due, marito e moglie, de-cidono. Vedete, questa è un’elezione cui segue una vita nuova. Come mai allora molti giovani che si sposano, vanno però a tele-fonare dai nonni? Oppure chiedono al padre di prestargli la mac-china, anche se ne hanno una di loro proprietà? L’elezione è unmomento a cui seguono dei comportamenti nuovi! Però la vitanuova devi eleggerla tu e capire che la tua vita non è più la stessa. Il cristiano si lascia raggiungere da Dio e riconosce di essere posto

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in una condizione che non gli appartiene, ma nella quale Dio lo haposto fin dalla creazione del mondo. Questo è scegliere Gesù. Èl’istanza della fede che permette di vedere il mondo e la storia inun modo nuovo, coraggioso, pieno di misericordia e desideroso dipermettere a tutti di lasciarsi riconciliare con Dio.In questa esperienza non è importante delimitare teoricamente tuttii dettagli e cercare di chiudere in un sistema ogni aspetto. Basta averefiducia e un cuore grande, perché si assapora che il bene non puòche produrre bene.

5. Il discernimento evangelico

Noi occidentali confondiamo il discernimento evangelico che nascedall’entusiasmo dell’essere presi dall’amore di Dio, con l’eccessodiagnostico. Stamattina ho parlato ai presbiteri di programmazionepastorale e potrebbero dirmi «Ma scusa, non è anch’essa un eccessodiagnostico?». Quest’eccesso diagnostico è frutto della cultura mo-derna e con tutte le diagnosi non si riesce ad andare avanti; sembradi esser all’ospedale quando, dopo tante visite, ci viene detto di te-nerci il nostro dolore. Con questa distinzione il Papa ribadisce che la salvezza viene dallafede e non dall’impegno dotto degli uomini. E qui tira le orecchiead un pò di Vescovi, affermando di fare attività troppo diagnosti-che. Forse assomigliate a quelli che devono fare un viaggio e dicono«Vado a piedi, ma se vado a piedi succede questo. Prendo la bici-cletta, ma se vado in bici succede quest’altro. Allora prendo la moto,ma... Prendo quindi la macchina, no ma forse il treno, o l’aereo».Lui ci dice «Ma mettiti in strada che forse arrivi prima!». Il Papa sa che l’azione della Chiesa ha bisogno di analisi, ma nonle è richiesta un’analisi dettagliata e completa, da cui far dipendereun’azione programmatica e gestionale corretta. Basta avere “una vi-gile capacità di studiare i segni dei tempi” (EG, 51). È, cioè, un impe-gno diagnostico operativo, già orientato a fare, non distaccato e nonprotettivo, ma progettuale. Però cosa significhi “studiare i segni deitempi”, il Papa non lo precisa.

6. Dal «No!» alla restaurazione

Nel testo sono presenti due grandi sfide, quella economica e quellaculturale. L’approccio che il Papa ha è quello di un uomo che arrivada un paese povero ad un paese ricco. Il Papa per la sfida econo-mica parte da un “no”, da un atto di accusa. «No all’economia del-l’esclusione, no all’idolatria del denaro, no a...»; il Papa fa questeosservazioni dopo aver notato le ingiustizie presenti nel mondo.Parte dalla gente e dallo scandalo di una società che scarta tonnel-late di cibo e in cui milioni di persone muoiono di fame. “No”quindi all’economia che fa queste cose e “no” alla cultura delloscarto. Sembra che faccia un passaggino da poco, ma invece fa unpassaggio veramente importante perché lo scarto comporta un at-

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19teggiamento («butto via!» o «non lo ritengo degno se non fa quelloche voglio io!»). Noi non scartiamo soltanto il cibo o tonnellate diplastica, carta o altro, ma scartiamo anche le persone se non fannoquello per cui ci servono. Capite? È diventata una cultura che,guarda caso, elimina la maggior parte della popolazione mondiale.Egli non ricerca le ragioni strutturali e ideologiche di tale situazione,ma quelle morali e spirituali: non si è più capaci di provare com-passione! «Ma non avete compassione di questi bambini che muoiono o di quelle persone che affogano nel Mediterraneo, cer-cando di arrivare in Europa?». Il Papa ragiona in questo modo, con pugni nello stomaco, ma sucose su cui dovremmo vergognarci! Lui definisce questa condizione“crisi antropologica”, ovvero “la negazione del primato dell’essereumano” (EG, 55), a favore del primato del denaro e del consumo.Il luogo dell’inganno di tale sistema è proprio la constatazione chepochi sono ricchi e molti sono poveri, pochi inclusi e molti esclusi.Ciò conduce il Papa a rilevare una dinamica di fondo che non esitaa definire idolatria, quella del denaro. Edietro vi è anche l’inequità. Sapete, questa parola in Italiano non c’è,ma è una sua traduzione letterale dallospagnolo. Il titolo No a un denaro che go-verna invece di servire descrive tale atteggia-mento. La conseguenza che talecondizione pone è subito indicata dalPapa nella violenza, che nasce dalla ricercaspasmodica di sicurezza, dalla paura diperdere i beni, alimentata dall’esaspera-zione del consumo.Il Papa parte da un “no”, la Gaudium etSpes, invece, si metteva in posizione diascolto e di accoglienza del mondo, percepito come in evoluzioneverso il bene e capace di prospettive alle quali la Chiesa sembravasorda e assente. Pensate in cinquant’anni cos’è successo. Paolo VI e Giovanni XXIIIavevano davanti un mondo che stava producendo giustizia sociale -welfare state, che non è nato nella Chiesa! - e con tutte le magistra-ture incentrate sui principi fondamentali della persona o la condi-zione lavorativa degli operai. Son tutte cose che il mondo stavafacendo e la Chiesa rimaneva indietro. Gaudium et Spes aveva davantiun mondo moderno e sembrava che anche solo la ricerca della ve-rità avesse qualcosa da insegnarci, per cui siamo entrati nella logicaper la quale noi dovevamo ascoltare questi risultati per non rima-nere indietro, facendo emergere la Verità per l’umanità che è Gesù. La Gaudium et spes afferma spesso che “è Cristo il cuore dell’uomo”.Allora noi dovevamo andare ad evangelizzare quelle cose positiveche stavano già capitando e che rischiavamo di perdere. Notate la di-versità con l’atteggiamento del Papa attuale? Si passa dal dialogo di allora all’intransigenza di adesso? No! Per-ché il terreno su cui si muove Papa Francesco non è ideologico , mapratico e sociale. Anzi nello sviluppo di questi 50 anni il sistema

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occidentale che dava questi frutti ha prodotto situazioni esplosive.Sulla sfida culturale è difficile fare sintesi di ciò che il Papa affermaallusivamente. Egli indica certamente il pluralismo diffuso, che perònon libera dalla forte persecuzione che i cristiani sono costretti asubire. Si afferma la libertà di tutti, ma mai come oggi si vivono au-tentici attacchi alla libertà religiosa.Ma perché prendersela con i cristiani? Perché sono gli unici che, seli fanno saltare in aria, non ti fanno saltare in aria! Perché il cri-stiano non può vendicarsi; il cristiano perdona. Com’è che c’è il plu-ralismo da un lato e dall’altro c’è la persecuzione dei cristiani?Perché tutti sono liberi ed invece la libertà religiosa non viene ac-cettata? A queste considerazioni il Papa aggiunge indicazioni circal’individualismo, il razionalismo secolarista, il relativismo morale,la fragilità dei legami…Ma al Papa non interessa proporre una completa e critica letturadella nostra cultura. Egli è più interessato a proporre qualcosa dinuovo e di efficace, che sia speranza e forza. Per questo egli sugge-risce un autentico “umanesimo cristiano” (EG, 68) che scaturiscaproprio dalla docilità allo Spirito Santo che aiuta a leggere i Semi delVerbo e che nasce dalla fede. Egli indica anche due dimensioni cheportano sul tema dell’inculturazione della fede. La prima è quelladella pietà popolare, la seconda è quella dell’attenzione alla culturaurbana.

7. Un Papa “traghettatore”

Si potrebbe allora ipotizzare che il Papa, lo sappia o no, incarna lafigura che C. Theobald descrive nel suo libro Traghettatori della li-bertà come “traghettatore”. Nella sua analisi della condizione cul-turale e sociale odierna Theobald individua figure come quelle delPapa che aiutano gli altri a replicare e a far accadere oggi l’eventodella resurrezione. Racconto un aneddoto: c’era a Bergamo un prete emerito mortotanti anni fa che era cappellano delle associazioni dei reduci diguerra. Il giorno di Pasqua aveva la celebrazione della Santa Messaal Tempio dei caduti, che è una chiesa della città. Ha così commen-tato nell’omelia «Gesù quando è risorto a chi è apparso per primo?Voi mi direte alla Maddalena, a Pietro, agli Apostoli, alle donne. No,è apparso alla Madonna! E cos’avrà detto a sua mamma dopo la re-surrezione? Ti porto i saluti di Giuseppe!». In quel momento si sonomessi a ridere tutti. Ma è ovvio che Giuseppe era già morto e lui,andando nel regno dei morti, dopo la resurrezione appare allamamma e le porta i saluti del papà. Pensare alle apparizioni di Pa-squa in questo modo fa un pò ridere, ma le apparizioni di Pasquaterminano quando il discepolo riconosce che il Risorto è colui cheprima era stato crocifisso e perciò lo definisce “Mio Signore, mioDio!”. Se non c’è questo atto di fede, non c’è apparizione del Ri-sorto. Gesù non è più come prima, ma tuttavia è lo stesso! «Tom-maso metti qui le tue dita e non essere più incredulo, ma credente!».Gesù appare a dei testimoni, ovvero coloro che nella loro vita in-

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21contrano il Risorto, per cui le esperienze della croce diventano espe-rienze di Dio e, quindi, di bene. Ora possono replicare e testimo-niare anche agli altri a rileggere il dramma della loro vita non comedefinitivo, ma come portatore di una speranza che solo l’incontrocon il Risorto ti permette. Questi sono i traghettatori! I Santi sontutti così: sono persone che hanno vissuto l’incontro con Gesù e laloro vita ormai è completamente cambiata e diventano testimoniche ti permettono non tanto di andare chissà dove - esser portatoal settimo cielo - ma di rileggere la tua situazione negativa comeopportunità di salvezza che tu stesso puoi portare avanti aiutandogli altri a fare la stessa cosa.Quell’evento che accade solo nella fede, per cui una situazione dipeccato e di morte riesce a diventare terreno su cuidischiudere una prospettiva di speranza che si de-finisce come più forte della morte. Il Papa ci ripete «Occidentali... state crepando! Mase incontrate il Signore il vostro morire diventa oc-casione di speranza». Di tale passaggio nessuno èpadrone, ma solo testimone. Chi riesce a viverequesto passaggio diventa figura tipica di fiduciache aiuta anche altri a traghettare al di là del marein tempesta e a far incontrare Gesù che “calma ilmare e comanda i venti”. Perché nel Vangelo c’è questa insistenza? Sononato in un paese su un lago, avevo la barca ed’estate andavamo sempre a fare il bagno.Quando leggevo nel Vangelo “Andate dall’altraparte”, pensavo al perché facesse muovere i di-scepoli da una parte all’altra. Una volta, incontroalla tempesta, dopo la moltiplicazione dei pani edei pesci, i discepoli stanno fermi in mezzo al lagoe ad un certo punto arriva Lui che cammina sulleacque. Pietro chiede di camminare con Lui, Gesù glielo permettema poi affonda; Gesù lo trae in salvo e sale sulla barca e arrivanoalla meta. Oppure la barca sta affondando e lui dorme; svegliato ecolpevolizzato di esser indifferente alla situazione, comanda il vento- dopo aver ripreso i discepoli di non avere fiducia - si mette tuttoapposto e giungono a destinazione. La nostra situazione è proprio come quella dei discepoli che in-contrano situazioni difficili, insuperabili, ma se credi nel SignoreGesù, arrivi subito! Prendo questa immagine del “Traghettatore” che nello Spirito in-contra Cristo, come colui che ha vinto la morte e affida a te che, ri-percorrendo secondo le Scritture la figura di Gesù, hai capito chevivere la persecuzione e la morte in quel modo lì, dà la salvezza etorni – di corsa - a Gerusalemme.

�Questi sono itraghettatori! I Santi son tutti così:sono persone che hannovissuto l’incontro conGesù e la loro vitaormai è completamentecambiata e diventanotestimoni

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Vi proporrò due riflessioni questa mattina prendendo spuntodall’Evangelii Gaudium, una prima riflessione di natura teo-logica, la seconda è più spirituale. E mi lascerò guidare anche

da un altro signore, interessante, che si chiama Paolo e che siamoabituati a chiamare San Paolo. Stamattina siamo invitati ad usare la ragione per mettere in ordinee per capire. Quindi il primo intervento è di natura teologica, cioè«fammi capire perché, come, quali sono i vari nessi!». Proviamo a schematizzare una linea di sviluppo del pensiero delPapa, perché se facciamo lo sforzo di capire ed alla fine diciamo«Ah, ho capito!», tutto ciò ci resta dentro molto di più, e possiamotradurla in condizioni diverse perché ce l’abbiamo dentro. Naturalmente una lettera come quella del Papa consente più di unarilettura teologica ed io ve ne propongo una.

1. L’andare oltre dell’uomo

Il Papa ha parlato di una crisi antropologica e afferma che l’uomoè colui che “deve andare oltre”. Vedete già una sintesi, una rifles-sione sintetica. L’uomo - e dicendo uomo intendo anche le donne!- è colui che deve andare oltre e ci sono tante situazioni per le qualil’uomo si caratterizza per questa azione. Esiste un animale che dice“Devo scalare l’Everest?”, esiste un animale che dice che “Devo per-correre i 100 metri piani in 8 secondi?”. Il fatto che l’uomo cerchisempre di andare oltre il limite, che cerchi di capire più in profon-dità, che cerchi espressioni artistiche sempre diverse, mette in evi-denza questa attività dell’uomo consistente nell’andare oltre.Ricordiamocelo: l’uomo non si accontenta! Il problema è: fino aquando va oltre e che cosa vuol dire se l’uomo va sempre oltre? Lavera risposta all’andare oltre dell’uomo non può che essere Dio, cheper definizione è “oltre”, perché è il soprannaturale, è il mistero.Quando diciamo che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza diDio, che l’uomo è fatto per Dio, questa è l’antropologia a cui fa ri-ferimento il Papa. Andare oltre secondo due linee.La fede: l’uomo è chiamato ad andare verso il soprannaturale, an-dare oltre per incontrarlo. Ma anche l’amore: l’uomo è chiamato al-l’impegno verso l’altro. Non avevamo pensato che siamo chiamatiad andare anche oltre l’amare. L’impostazione della cultura occi-

Una riflessione teologicasull’Evangelii GaudiumMons. Maurizio Gervasoni

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23dentale è tutta sul logos, tutta sulla ragione che ci fa dire che se c’è unoltre, dev’esserci anche un soprannaturale. No! L’oltre è l’altro, è ildiverso, l’accettazione dell’uomo, della donna; ora c’è anche la que-stione del gender... L’altro che ti mette in crisi per le tue certezze e tuttavia se non cifosse l’altro, non esisteremo noi come libertà. Queste due dinami-che della fede e dell’amore sono connesse tra di loro, perché per an-dare veramente verso l’altro con amore devi dargli credito. Devicredere che lui è portatore di un disegno più alto, che non lo puoischiavizzare. Kant diceva che l’uomo è da pensare sempre come finee mai come mezzo. La nostra cultura è un pò particolare, perché siamo portati ad amaredi più gli animali delle persone. Non ci siamo domandati perché?Ho visto una coppia che aveva un bambino e due cani. Ma perché?Perché di un cane o un gatto le sue reazioni le conosci, e ti dannosempre affetto quando tu lo vuoi. Immagina un figlio o una figliaquando è adolescente! Noi confondiamo l’amore con l’affetto.L’amore sa benissimo che l’altro può dirti di no, che l’altro può fartiguerra, che può metterti in difficoltà profondamente. La linea della fede, mistero di Dio e dell’altro, misterodella libertà, sono intrecciate. Il vero andare verso l’al-tro chiede l’andare verso il soprannaturale, chiede lafede. Se noi non accettiamo il bene, l’andare verso l’al-tro è sempre pericoloso, perché l’altro può strumenta-lizzarti e se non cerchi il tuo bene lui ti usa. Se l’uomo non si apre a Dio andando oltre le sue forzee capacità, si chiude in se stesso e cade nella violenza,nella menzogna e nell’ideologia. L’ideologia è il modo ideale di farti credere una cosa inmodo che tu t’impegni per questa cosa come se fossebuona, ed invece non lo è. L’ideologia che la razzaariana, pura, potesse salvare l’umanità, ha convintomilioni di persone a dire che questa era la loro missione per la sal-vezza del mondo. Risultato: cinquanta milioni di morti. Attenzione perché molte guerre di religione sono ideologie. Se vo-lete anche Gesù è morto in croce fondamentalmente per un’ideo-logia, quella dei sommi sacerdoti che prevedevano un certo tipo dimessianismo.“Ti sono rimessi i tuoi peccati” avete presente quell’episodio? Aparte che il paralitico avrà detto “Ma scusa ti chiedo di guarirmi e miperdoni i peccati? Ma tieniteli tu, io voglio guarire!”, ma nel testonon dice niente! Lo fa dire a quelli che sono lì vicini “Ma chi crededi essere questo qui che perdona i peccati? Chi può perdonare i pec-cati?” e allora Gesù dice “Ma fallo guarire tu, visto che è così sem-plice!”. Chi può far guarire un paralitico? Dio! Ma io lo guarisco,però ti dico che non mi interessa tanto che tu guarisca dalla tua stor-pietà, ma che tu abbia il perdono dei peccati. Solo che gli antistiti, quelli che erano dall’altra parte, han detto “Vabene questo qui è guarito (meno male!), ma quest’altro è un be-stemmiatore”, oppure gli vanno contro quando guarisce il giorno disabato. Vedete l’ideologia cosa provoca? Chi ha orecchi per inten-

�Il vero andare versol’altro chiedel’andare verso ilsoprannaturale,chiede la fede

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dere intenda! Stai attento che Dio può venire anche in un altromodo! Se tu non vai oltre nella ricerca di Dio, finisci nella violenza,nella menzogna e nell’ideologia.L’uomo è fatto per aprirsi a Dio, se rifiuta questo resta vittima dellapaura, perché deve salvarsi a tutti i costi. Se invece tu dici che co-munque sei nel Signore, non temi nulla! Nell’idolatria costruisci ituoi idoli e guai a chi li tocca; questi sono comportamenti negativiche mascherano di bene il loro male e convincono l’uomo. Questa cosa è di una gravità radicale. Nel dialogo di Ivan Karama-zov sul grande inquisitore il tema è questo. Il grande inquisitore car-dinale riconosce Gesù e lo fa mettere in prigione e gli dice “Cosasei venuto a fare? A dare la libertà agli uomini? Ma sei matto? Do-mani ti faccio crocifiggere un’altra volta!”. Questo perché gli uominihanno bisogno di qualcuno che dia loro la felicità e li comandi.Hanno bisogno di essere comandati ubbidendo ed abbassando latesta e star bene! Non vogliono la libertà! Terribile come provoca-zione, ma ha tanto di verità. La riflessione teologica davanti a ciò che il Papa ci ha detto, porta aqueste cose.

2. L’incontro con Dio non può essere opera dell’uomo

I protestanti accusano noi cattolici di incontrare Dio con le nostreopere, di salvarci con le nostre opere. Invece le opere non salvanonessuno, perché Dio s’incontra solo con la fede accettando la sua Pa-rola. Le opere hanno funzione politica e non funzione teologica.Quanto spesso diciamo “Che fatica è credere! M’impegno per farele opere buone e questa è un’opera che Dio vuole”. Anche andareverso Dio è un’opera dell’uomo, anche andare a Messa tutti i giorniè faticoso, ma è un’opera che devo fare io. Questo è anche vero! Mase credi che è buona perché la fai tu, è sbagliato! È buona perché èdi Dio. Finchè non comprendiamo che ciò per cui incontriamo Dio non èil nostro convincimento, ma è la risposta alla chiamata di Dio, equindi è stato lui che ci ha coinvolto, noi non abbiamo la fede.Dobbiamo essere convinti non solo che non dobbiamo fare il malee dobbiamo fare il bene, ma che anche fare il bene non è opera no-stra, ma è semplicemente una testimonianza di un Amore che ci hacambiato. Perché facendo il bene noi viviamo! Il bene non è qual-cosa che dobbiamo fare, ma è una forza che è dentro di noi, cheviene da Dio, perché se fosse nostra non sarebbe più bene! Questoè il concetto teologico più importante che voglio comunicarvi. Intermini biblici “Non tu caro Pietro hai detto che sono il Cristo, maè il Padre che te lo ha rivelato!”. Il bene non è un compito da fare,ma una dimensione nella quale essere, ma non è nostra! E quandotu ti meravigli di essere stato oggetto di bene, allora capisci che puoifare il bene. Noi qui siamo un bel pò di persone. C’è qualcuno di voiche non è figlio o non è figlia? Nessuno! Ma noi ci dimentichiamoche siamo figli, cioè che la vita la abbiam ricevuta da altri che cel’hanno donata! Noi crediamo di essere dei padri eterni perché “fac-

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25ciamo, facciamo, facciamo”, ma intanto “non sei stato capace difarti! Buon per te che qualcuno ti ha fatto, ti ha nutrito e ti ha fattocrescere!”. La logica del matrimonio è simile alla logica di Dio. Due si amanoe generano un figlio, questo cresce e diventa capace di generare. È lalogica dell’amore che è anche interiore, non è solo qualcosa da fare.Nell’innamoramento prima di tutto capisci che sei te stesso perchéè l’altro che dona la sua attenzione a te. Che cosa vuole un ragazzoquando s’invaghisce di una ragazza? Che lei gli dica di si! Ma se nonglielo vuole dire, la può costringere? Se la costringe non è amore, di-venta una schiava, ma è completamente diverso se liberamente la ra-gazza dice di si. Allora io valgo, io ci sono, conto per lei. Il mio “io”nasce dalla risposta libera dell’altro, non posso costringerlo. La stessa cosa vale con Dio e con il bene. Il bene non siamo noi afarlo, ma è lui che ti conquista e tu ci sei nella misura in cui hai lagratuità del bene! Ecco la grande riflessione che ci sta dietro ed è in-sieme teologica ed antropologica. ÈDio il bene che ci ha creato e fa di noipersone capaci di vivere dello stessobene. Ecco qui chi è l’uomo. Il Papa dice chese in noi è presente questa realtà, lagioia si manifesta. Come si manifesta?Hai ricevuto il bene, allora donalo! Di-venta anche tu come Dio, che vivi perfar vivere (la genitorialità).Questa cosa non l’abbiam inventatanoi, non siamo stati capaci di farla. Cela siamo trovata e siamo costituiti daquesto, ma dobbiamo riconoscerlo, e lì nasce la libertà. È un’operadi Dio. L’incontro con Dio è un’opera di Dio, ma non avviene senzadi Dio. Per noi cristiani questa cosa è Cristo, che ha fatto della suaesistenza l’ubbidienza amorosa a Dio e agli altri! Qual’è il misterodi Dio? Diventare figli ed aggregare fratelli! Perché? Perché noi siamofatti per te ed il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te (San-t’Agostino). Se affermiamo di esser afferrati da Dio, “chi ci separeràdall’Amore di Dio”? Niente! Questa esperienza è per molti versi di tipo mistico e non c’è nessunprete, Vescovo o Papa che può indurre un’esperienza del genere.Questo è il mistero della nostra individualità, ognuno di noi èmesso nella condizione di fare questo incontro. Il cristianesimo nonè proselitismo, non voglio persone che fanno delle opere che io dicoin nome di Dio. No! È un popolo di persone libere, sacerdoti, re eprofeti. Ma vi rendete conto cosa dice la fede cristiana? Non c’è nes-suno schiavo, ma tutti innamorati di Dio ed innamorati gli uni deglialtri. Quando diciamo “venga il tuo Regno” che cosa vogliamo dire? Chevenga la fine del mondo? Ma neanche per idea! Se tutti fossimocome Gesù ci sarebbero guerre? esclusi? affamati? ammalati e di-sperati? persone che hanno paura di morire? Ecco il Regno: tutticome Gesù.

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In Cristo avviene la salvezza, perché egli è Dio, è dono di Dio e vaoltre e ci viene incontro con amore, facendo questo come uomo.Guardate che non c’è altra religione che fa questo! Nessun’altra re-ligione propone che un uomo sia la rivelazione di Dio. E lo fa met-tendo gli uomini nella condizione di creare una comunità dipersone che si amano. Egli viene per noi per mandarci oltre! Che cosa occorre fare? Occorre accogliere il dono che è la fede. Ri-conoscere che siamo dono di Dio e che Cristo si dona a noi. Que-sta è la rivelazione.Occorre cambiare il cuore - perché noi comunque siamo plasmatidella paura, del male, di noi stessi - ed andare verso gli altri affinchèogni uomo diventi tempio della Trinità.

3. Invitati ad uscire alla sequela di Gesù

La riflessione teologica è costruita tutta. Noi crediamo a queste cose,le sapevamo già, ma è bene che ce le ripetano e paradossalmentedobbiamo fare un pò di fatica nel capire che dietro ad un docu-mento del Papa ci sta una cosa che già conoscevamo. Perché ci ave-vamo già pensato, perché già ce l’avevano proposta. Ma questoesercizio è bene farlo perché altrimenti noi non siamo liberi, perché

non possiamo fare conto sul convincimento ela-borato che abbiamo: ciò per cui diamo ragionedella speranza che è in noi. Il Papa non è che dica “Vi scrivo questa cosa, fatelaperché ve l’ho detta io! Ubbidite!”, ma incomin-ciate a pensarci, convincetevi e poi fatelo. Andare verso gli altri corrisponde al “Và e anche tufa lo stesso!”, “Và e non peccare più!”. Quantevolte Gesù nel Vangelo assume questo atteggia-mento. Come Abramo e Paolo dobbiamo uscirealla sequela di Gesù ed il Papa nella sua lettera ri-corda Abramo, quando parla della missione: “Esci

dalla tua terra, abbandona le cose sicure che hai, vai verso l’ignoto.Io ti farò diventare numeroso come le stelle del cielo, avrai una terrapromessa dove scorrono latte e miele ed io sarò il tuo Dio e tu ilmio Popolo. E tutte le genti in te saranno benedette”. Adesso faccio il tentatore e vi chiedo: Abramo quanti figli ha avuto?Verrebbe voglia di dire uno e mezzo, due. “La tua discendenza saràcome le stelle del cielo”? Boh? Quando Abramo è morto sapete cosaaveva? Il sepolcro di sua moglie perché l’ha pagato! “In te sarannobenedette tutte le genti”? Ma chi ti ha visto?.Cosa vi viene in mente? Abramo è il padre di tutti i credenti... SeAbramo avesse fatto il conto «Dio mi dice di uscire per andare dove luimi manda, mi conviene?» voi cosa avreste fatto? Tuttavia se non cifosse stato questo incontro con Dio, di Abramo chi si ricorderebbe? Permettete una battuta: qual’è il personaggio dell’Impero Romanopiù citato e ricordato al mondo? Ponzio Pilato! Egli è importante,nella storia, perché ha condannato a morte Gesù. Un funzionarioche poi è stato mandato in esilio ed è stato trattato anche male.

�Andare verso gli altricorrisponde al “Và e anche tu fa lo stesso!”

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27Tuttavia se facciamo un’analisi di mercato, Ponzio Pilato è cliccatosoprattutto perché ha avuto a che fare con Gesù e quindi con Dio.Invece i grandi, Giulio Cesare, Ottaviano Augusto, per noi occiden-tali o per gli studiosi di storia sono qualcuno, ma per un cinese?Siamo invitati a fare come Paolo e Abramo, avendo come unicacertezza la fiducia nella Parola e in Dio. Paolo ha fatto tutto il “pa-sticcio” che ha fatto perché era convinto che il risorto gli avessedetto “Te perché mi perseguiti?”, identificando come questa vocenon fosse del bestemmiatore crocifisso, ma fosse del Vivente.Pensa quindi che Dio si manifesti nel Vivente e non nella Legge,cambiando radicalmente la sua vita e recandosi dappertutto. Que-sta è la fede! La salvezza è dono di Dio e non opera dell’uomo, perché la veracertezza che da la forza è Dio, ma non avviene senza l’opera del-l’uomo! Questo dobbiamo ricordarcelo. L’opera di Dio avviene per-ché Maria ha detto di “Si”; la riflessione sul primato della fedeavviene perché Paolo ha detto di “Si”. Capite? La testimonianza dellaChiesa in questa Diocesi avviene perché voi dite di “Si” e quindi av-viene secondo le vostre caratteristiche, ma è opera di Dio! Perciò daun lato noi dobbiamo sempre convertirci per far in modo che nonsia opera nostra ma di Dio, e tuttavia senza di noi non avviene. Per-ché altrimenti noi crediamo che Dio fa comunque le cose - la tesiManzoniana della Provvidenza - e qualsiasi cosa succeda “prima opoi l’opera di Dio accade”. È una tesi un pò forzata, perché altri-menti non avrebbe senso l’annuncio missionario, il comando mis-sionario “Andate ed annunciate”. Vedete è interessante che Gesù nondica “andate e raggruppate le persone nella vostra struttura”, ma“annunciate il Vangelo e battezzatele!”. La struttura si costruisce sullalibertà e sull’annuncio, perché dovete creare persone libere, libere diDio. Attenzione, non si è chiamati a far ciò che vogliamo, ma a fardella nostra volontà, la volontà di Dio, lasciando ognuno libero discoprire la propria vocazione. È una sfida incredibile!Luogo e forma dell’incontro è la fede: essere in Cristo, figlio di Dio. Oppure nel Vangelo di Matteo “Pietro vienimi dietro e fai quelloche faccio io”. Essere in Cristo che è figlio di Dio: non è Dio in sensogenerale, ma è figlio di Dio. È Dio perché è figlio di Dio, perché inlui la volontà del Padre accade, e non accade al di fuori di lui. Perquesto noi siamo chiamati ad essere, come dice Paolo, “figli nel Fi-glio”. Non ci viene chiesto di diventare il Padre. Possiamo pensare“Se divento Dio, comando come Dio!”, ed invece “Obbedisci comeil figlio, che è finito in croce. Questo è il tuo modo di diventareDio!”. Noi dobbiamo convertirci a far sempre la volontà del Padre,chiedendo lui quale sia la sua volontà per noi. “Figlio di Dio che realizza il comando del Padre per amare e salvaregli uomini”, ecco cosa vuole il Padre: amare e salvare gli uomini.Salvarli significa però metterli nella condizione di amare a lorovolta, perché ci si salva amando. È lui il figlio che dona lo Spirito affinchè “siano capaci di desiderare,con tutto loro stessi, l’Amore di Dio”. Giovanni Battista dice, par-lando del Figlio di Dio, che sarà colui che “vi farà ricordare le coseche vi ho detto e ve le farà capire”.

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4. È il Figlio di Dio che raduna la Chiesa

Se tutti stiamo con Gesù, siamo come lui, ci comportiamo comelui, facciam la volontà del Padre, abbiamo il suo Spirito, allora ge-neriamo l’unità della Chiesa. Nella Lumen Gentium, parlando della Chiesa, il Concilio ci diceche non c’è un concetto identificativo della Chiesa, ma ci sono varieimmagini. È il popolo di Dio, è il gregge, è il recinto del gregge, tutteimmagini con le quali abbiamo denominato la Chiesa, perché è larealtà di coloro che amano come Dio, che amano in Dio e che ma-nifestano nell’unione, nella fede e nella carità questo essere in Dio. Il Papa dice “Ma se la Chiesa è così, cosa aspettate? Di che cosa ab-biamo paura?”. L’incontro con Cristo fa uscire l’uomo verso Dio,verso gli altri, verso il mondo (divenendo custodi del mondo, per-ché se non salvaguardiamo le condizioni d’esistenza degli altri, nonli abbiamo davvero!), e da se stesso (conversione).L’incontro con Cristo è opera di Dio e chiede l’Adorazione, standosulla soglia ed invocando Dio, lasciandosi catturare dal mistero e

creando le condizioni perché quel-l’esperienza mistica accada. Quantevolte sento parlare di Dio come sefosse qualcosa di estremamente fa-cile da dire. Soprattutto i giovani de-scrivono quasi burlescamente gliatteggiamenti di Dio, ma chiedo lorodi darsi una “calmatina”, perchél’Adorazione prevede l’assunzionedella consapevolezza che si sta gio-cando il mistero di Dio, del mondoe dell’uomo, di cui noi non abbiamoconoscenza adeguata. Soprattutto non possiamo disporne!La fenomenologia della religione

dice che il senso del Sacro è fascinans et tremendum: affascinanteperché ti attira, ma allo stesso tempo è terribile perché ti tiene a di-stanza, è qualcosa che ha a che fare con l’Adorazione. Per cui nonbanalizziamo l’incontro con Dio!Una liturgia, capite, che è fatta nel chiasso e nel rumore, non ha lecondizioni perché l’Adorazione possa capitare. Ma anche una vitadove non c’è mai un tempo di ritiro, non lascia spazio all’Adora-zione. Occorre far in modo che nel silenzio la Verità venga dentrodi te, non tu che fai la verità. La conversione invece non è come quella di San Paolo che cade dacavallo e cambia vita. È un processo che inizia e non finisce mai! Suquest’argomento consiglio al Vescovo Mauro una proposta di Lec-tio divina sul Roveto ardente. Quante volte Mosè ha dovuto ricredersi, di fronte alla volontà diDio, e cambiare. Tutto il percorso nel deserto è di conversione.Prima di entrare nella terra promessa viene consegnata la Legge, perfar capire che la storia, in quel luogo dove scorrono latte e miele,non continua se non si osservano i comandamenti.

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29L’incontro con Cristo chiede anche l’apertura a tutti, tutti i popolidella terra, perché Dio ama tutti e tutti sono potenziali discepoli diCristo. Questo dell’apertura a tutti supera quell’attenzione partico-lare del Popolo eletto. Se vedete già nella teologia d’Israele era il Po-polo eletto per tutti, in modo che tutta la gente andasse aGerusalemme e dicesse “Pensa che Legge che hanno questi! Nonpuò che essere la Legge di Dio”. Gesù spazza via tutto e dice “Il Po-polo sono io. Io sono per tutti”. E Paolo riconosce proprio in que-sta apertura a tutti la definitività della rivelazione; non c’è più altrarivelazione oltre a questa! Incontro che richiede anche l’apertura verso i poveri, perché essisono quelli che ti fanno dire “La gioia dove sta?”. È proprio nell’at-tenzione ai poveri, dove i tuoi mezzi sono deboli, che vince Dio. IlPapa te la mette davanti agli occhi perché il mondo che cerca la giu-stizia, la pace, la felicità, di fatto ha prodotto l’esclusione, e i poveriinvece che diminuire aumentano, ed aumenta la ricchezza dei pochiricchi. Dio non ha fatto così!Dall’incontro con Cristo nasce la gioia e questo è il segno della li-bertà. Se noi non siamo gioiosi nel donare, nel fare Chiesa, nell’es-sere missionari, nell’essere generosi nel donare ciò che ha cambiatola nostra vita, non c’è incontro. L’amore di Dio è come le idee, chea differenza del denaro, se viene diffuso non ti impoverisce. Tuttiveniamo arricchiti dalla condivisione della Verità. Lo stesso perl’Amore e la Gioia del Vangelo: è un altro modo di pensare la ric-chezza e la povertà. Non dobbiamo aver paura, anzi più siamo ge-nerativi, più siamo come Dio, più siamo nella gioia e più siamorealizzati. Gioia dell’amore, dell’evangelizzazione, della missione,ossia la Chiesa come opera di Dio con gli uomini, cioè i discepolidi Gesù, i figli nel Figlio e la testimonianza dell’incredibile genero-sità dell’Amore di Dio. Come direbbe Giovanni “La vita eterna”, maintesa non come resurrezione, ma come vita dei credenti e dellaChiesa che è vita di Dio perché è eterna. Dopo c’è la resurrezione!

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Abbiamo provato a fare una riflessione teologica ed abbiam ca-pito un pò meglio le strutture profonde della nostra fede, cosìcome il Papa ci ha provocato. Adesso però ci domandiamo:

cosa facciamo? Qual è l’atteggiamento interiore che devo assumere?Basta aver capito? No... adesso si tratta di vivere e di farlo con unavita nuova, che deve essere assimilata e fatta crescere, e che ha certecaratteristiche.Ci sono tre temi interessanti e ricorrenti nel testo della Lettera. Ilprimo è quello dell’unità nella diversità, l’unità per i molti. E’ ilcompito della Chiesa! Una Chiesa che si chiude in un gruppo ri-stretto, anche di puri, forti, santi, non è la Chiesa. La Chiesa è per imolti e per tutti, e opera nella comunione della diversità. Secondagrande caratteristica è la pietà popolare, ed infine, l’incontro conl’Amore di Dio in Cristo che è alla base della missione della Chiesa.Con quest’ultimo aspetto il Papa chiede una conversione missio-naria, un’evangelizzazione della missione.

1. L’unità nella diversità, l’unità per i molti

Questo tema riprende l’evento della Pentecoste e rinvia al donodello Spirito come dono del Risorto che rende possibile l’unità delgenere umano in Cristo. Il Papa riprende questo evento e lo ripro-pone con la forza kerygmatica di cui è capace (EG, 112-117).Kerygmatica, cosa vuole dire? È un’italianizzazione di una parolagreca: kerygma vuol dire “annuncio”. Il cristianesimo non è innan-zitutto una filosofia, non è una tecnica, non è una rappresentazione,ma è un appello, è una vocazione, è un dirti qualcosa che poi pro-duce la tua risposta. Il Papa è come se ci dicesse “Svegliatevi! Nonperdete il treno dell’Amore di Dio. Non chiudetevi nella vostre pre-occupazioni, non state a difendere l’indifendibile, ma lasciatevi tra-scinare dalla corrente dell’Amore di Dio”. Ecco cos’è la forzakerygmatica. Io ho frequentato il liceo Classico e quindi dovevo faregreco, ma anche il latino... ma il greco certe volte era una tragedia.Che cosa ti davano da tradurre? Il discorso di un Generale primadella battaglia. Per quale motivo un Generale deve fare un discorsoai soldati? Perché deve dar loro una forza, un intendimento, perchéi soldati non sono stupidi e sanno benissimo che se vanno in bat-taglia molti di loro moriranno! Molti si dicono “ma chi me lo fa

Evangelii Gaudium:la riflessione spiritualeMons. Maurizio Gervasoni

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31fare?” e allora, riprendendo Giuda Maccabeo, «noi difendiamo i no-stri figli, i nostri valori, le nostre donne, lo facciamo per loro!». Ecco,questo è un appello kerygmatico, un’esortazione kerygmatica. Ti doun annuncio perché ti dia forza e dia unità. Non c’è una spiritualità cristiana che non sia aperta a tutti e noncerchi l’unità nella diversità.

2. Il tema della pietà popolare

Il secondo tema è quello della pietà popolare. In essa si esprime lacapacità che lo Spirito ha di catturare le persone nel profondo dellaloro vita e di fare di loro un popolo radunato nella fede. Questodella pietà popolare è un aspetto che ricorre sia nel capitolo secondo(EG, 70), sia nel terzo sull’annuncio del Vangelo (EG, 122-126).Esso è trattato con una forza veramente particolare. Quella definizione che ho detto, che nello Spirito si costituisce ilPopolo di Dio, non dice ancora tutto della pietà popolare. Quandosi parla di pietà popolare non s’intende la pietà del Popolo di Dio,ma la Pietà del Popolo di Dio nella forma della cultura di quel po-polo. In Sardegna, che è un’isola, si presuppone che ci sia un sensopopolare unitario che caratterizza i sardi rispetto ai continentali. Sitratta del problema dell’inculturazione della fede; la fede diventamodo di vita, ed il modo di vita ha delle caratteristiche culturali,quindi del popolo. È il sentire del popolo che diventa espressionedella fede, oppure la fede modifica il sentire del popolo cristianiz-zandola. Questo è un fenomeno molto complesso e difficile da stu-diare. Il Papa insiste nel fatto che questi elementipopolari che sono anche affettivi, e unisconoanche se non ci accorgiamo, se traducono la fedediventano strumenti importantissimi di testimo-nianza. I popoli hanno un ruolo di soggetti attivinell’evangelizzazione, grazie al fenomeno dell’in-culturazione.Il Papa riconosce nella pietà popolare “la modalitàin cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura econtinua a trasmettersi” (EG, 123).Qui uno studioso di religione fa un salto sullasedia, perché tutte le guerre di religione fanno ri-ferimento alla pietà popolare. Non è una cosa cosìsemplice e qui si vede benissimo l’esperienza la-tino-americana delle comunità di base, che sonoespressione della pietà popolare. Le forme delle pietà popolare sonosolitamente le devozioni, le tradizioni, luoghi in cui simbolica-mente tutti si sentono coinvolti: espressione di un sentire comuneche è cristiano. Bendetto XVI non dava tutto questo peso, ma si sof-fermava di più sull’elaborazione teologica, un pò più astratta emeno affettiva. L’affettività utilizzata da Benedetto XVI era tipica delcontemplativo, del mistico e non del devoto, incarnato in un po-polo in forme condivise.Nella pietà popolare si esprime la fides qua più che la fides quae: fides

�I popoli hanno un ruolodi soggetti attivinell’evangelizzazione,grazie al fenomenodell’inculturazione

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qua creditur e fides quae creditur. Quest’ultima rappresenta i con-tenuti del credo: io credo che Gesù è figlio di Dio, credo che Dio èTrinità, credo che Dio è il Creatore, credo la resurrezione dei morti.La fides qua creditur è invece l’atteggiamento, per cui non seguoquello che dice la mia ragione, la mia tradizione, e seguo invecequello che mi dice il Vangelo. Mi fido del Vangelo! La pietà popo-lare è soprattutto espressione della fides qua, della fiducia che siesprime connaturalmente quando si ama. Quindi la pietà popo-lare esprime “la manifestazione di una vita teologale animata dall’azionedello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori” (EG, 125). La pietà popolare è quella della mamma che si reca di fronte allaMadonna per chiedere che guarisca suo figlio, quella per cui si va aLourdes; è quella per cui la comunità nei momenti di difficoltà siriunisce per cercare dal Signore aiuto, sostegno e forza. È la fede cheattraverso le devozione si affida al Signore e dice “sia fatta la tua vo-lontà!”. «Ti affido Signore il mio congiunto che hai chiamato a te daquesta vita!»: i funerali sono espressione della pietà popolare, ilmodo in cui elaboriamo un lutto, accettiamo una nuova vita.Il n. 126 esprime con grande forza il pensiero del Papa, quando ri-chiama che “Le espressioni della pietà popolare hanno molto da inse-gnarci e, per chi è in grado di leggerle sono un luogo teologico a cuidobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pen-siamo alla nuova evangelizzazione” (EG, 126). Cosa vuol dire luogo teologico? Sono quelle forme - affermazioni, de-vozioni, figure, riti, manifestazioni della fede - che vanno interpellateper capire la volontà di Dio. Luogo teologico significa che sono “formeda cui esce una teologia”. Sono fonte della riflessione teologica.Hanno cioè qualcosa da dire di fondamentale per la fede. La pietà po-polare non è una questione di vecchierelle che non sanno cosa fare odi esaltati rimbecilliti, ma è un luogo dove lo Spirito insegna allaChiesa di oggi la Verità di Dio. Certo, quale verità? Bisogna cercarla!

3. L’incontro con l’amore di Dio in Cristo

Il terzo tema è quello più propriamente spirituale ed affettivo ed èalla base della missione della Chiesa. Ciò è ripreso ricordando cheil Vangelo si annuncia da persona a persona, perché “l’annuncio fon-damentale è l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato se stessoper noi e, vivente, offre la sua salvezza e amicizia” (EG, 128).Riprova di tutto ciò sta nella grande attenzione che il Papa dà al-l’omelia, proposta come una conversazione di una madre che cercadi far capire ai bambini il Vangelo che hanno appena ascoltato, per-ché lo sentano come una cosa viva. Non è solo una spiegazione, è una condivisione della mamma cheti fa capire che cosa devi fare, che devi sentire, ma fatto con un lin-guaggio ed un atteggiamento interpersonale di grande fiducia. Invero a n. 143 il Papa dice: “Il Signore e il suo popolo si parlano inmille modi direttamente, senza intermediari. Tuttavia, nell’omelia, vo-gliono che qualcuno faccia da strumento ed esprima i sentimenti, in modoche ciascuno possa scegliere come continuare la conversazione”.

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33È un cammino interiore attraverso cui Dio parla direttamente al tuoSpirito. Però persone che fan dire a Dio quello che vogliono loro, cene sono tante! Quindi nell’elaborare una spiritualità è vero che cia-scuno di noi è maestro e discepolo davanti al maestro, ma gli in-termediari entrano nella dimensione ecclesiale e dobbiamo tenerloin considerazione. Non è che inventiamo dei nuovi fondatori di re-ligione… Lo dico perché oggi il pentecostalismo è in grande espan-sione e stanno moltiplicandosi denominazioni religiose, per cuinascono dieci miliardi di Chiese! Non è che uno fa quello che vuoleperché gliel’ha detto lo Spirito Santo, ma tuttavia la spiritualità èazione diretta.

4. Il rilancio della dimensione spirituale

Il Papa chiede la personalizzazione della Parola e una sua letturaspirituale. Ancora una volta torna l’intento profondo di questa Let-tera, ossia il rilancio della dimensione spirituale e affettiva della Ri-velazione e della vita della Chiesa, sia a livello personaleindividuale, sia a livello dell’intero popolo, in cui lo Spirito parla. Cioè la nostra fede dev’essere qualcosa di individualmente ed af-fettivamente sentito, ma anche come Chiesa: se c’è un affetto indi-viduale nello Spirito, ci dev’essere anche nella parrocchia, nellaDiocesi. Dobbiamo alimentare un sentire comune.Su questo punto occorre porre particolare attenzione. L’imposta-zione della lettera sembra, infatti, agostiniana e, prima ancora, pao-lina. Il Papa rileva dalla lettura del mondo che l’umanità, lasciata dasola, è corrotta e si corrompe.All’inizio della storia dell’uomo c’è il peccato originale e tutta la sto-ria del rapporto con Dio è storia di salvezza e redenzione. Bisognasmantellare e combattere il male, e la salvezza è la misericordia diDio che ti perdona. In una creazione senza peccato non c’è bisognodi questo; tutta la storia dell’umanità è caratterizzata dalla presenzadel male, e Dio è la misericordia che vince il male, perché tu da soloil male non lo vinci! Pensare di salvarsi da soli ci rende schiavi deldemonio. Perciò gli sforzi moderni di costruire un mondo di pacebasandosi sulla ragione e sul progresso scientifico sono falliti e inef-ficaci. La prospettiva che si nota è quella della violenza e della di-scriminazione, insomma dell’ingiustizia.La nostra spiritualità dev’essere consapevole che la nostra libertà èsegnata dal male. Nella Lettera ai Romani, Paolo individua che nes-suno è esente da peccato e perciò, nessuno è sottratto al dominiodella morte. Chi ci libererà da questo corpo mortale di peccato?Agostino è sulla stessa linea quando descrive il mistero del peccatooriginale. Il Papa sa che la risposta è nella fede che la morte di Cristo rivelasulla croce e che la resurrezione dichiara rivelazione dell’amore delPadre. Le resurrezione è ciò che fa si che la morte di Cristo sia re-dentiva, perciò vita eterna. Noi dobbiamo credere nella manifestazione della potenza di Dionella Pasqua e intraprendere il cammino di conversione di vita nello

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Spirito. Non illusi però, perché la forza del peccato c’è ancora ed èancora in noi e negli altri.La certezza che questo amore salva il mondo è resa interiore daldono dello Spirito, perché non dipende dalla prestazione dell’uomoe non scaturisce da dimostrazione razionale alcuna, ma è, appunto,donata. Segno della sua efficacia è la sua destinazione universale.Qui può essere riletta la ipotesi di Theobald sul “traghettatore” cherende possibile che anche oggi avvengano “episodi di resurrezione”.Episodi dove il dramma del male è vinto dall’incontro con la forzadi Dio, che trasforma e dona lo Spirito perché altri traghettino dallamorte alla resurrezione. Alle linee esposte dal Papa, Theobald ag-giunge la necessità della figura di chi annuncia ossia del testimoneche ha già visto nella sua vita episodi di resurrezione, capaci di su-scitare speranza, proprio avviando alla fede in Cristo. Il Papa nondice che c’è un traghettatore, perché è lui stesso che lo sto facendoscrivendo questa lettera. Questa figura è intesa dal Papa come laChiesa tutta e, in essa, tutti i credentiQuesto esempio non vuole essere irriguardoso, ma lo adopero di-datticamente. Quale mamma ha piacere che nasca un figlio disa-bile? Nessuna. Però credetemi (ho lavorato molto nell’ambito delladisabilità), quante mamme con un figlio disabile hanno detto “Perme è stata un’esperienza di un amore incredibilmente più grandeche per gli altri figli!”. Purtroppo lo dicevano quasi sempre lemamme, mentre i papà molto raramente. Questa realtà di unamamma che diventa “serva” anche per altre situazioni di disabilitào situazioni di conversione della Chiesa, è un’esperienza di tra-ghettatore. Chi sta vivendo un’esperienza drammaticamente nega-tiva com’è un figlio disabile, ne fa un’esperienza di Spirito, vede cheè possibile un’esistenza risorta e pensa alla fine che sono le personesane i disabili, perché non si sa intravedere in questa realtà l’Amoredi Dio.

5. Convertirsi e credere, nella libertà

La dimensione più importante e fondamentale da sottolineare,però, consiste nel fatto che la proposta di salvezza che Cristo ci donaesige la risposta libera dell’uomo, ossia che egli si converta e ci creda.Questa è la logica dell’amore che genera e attende risposta genera-trice, che accoglie e aspetta accoglienza. Questo sì dell’uomo al-l’amore di Dio non è altro che Gesù, docile allo Spirito nel fare lavolontà del Padre. Questo dinamismo è appunto la spiritualità della fede, ciò che ilPapa annuncia a tutti gli uomini perché giungano a salvezza. Laconversione del cuore e la docilità allo Spirito sono ciò che sottostàalla Lettera apostolica del Papa. Egli rileva soprattutto negli aspettiaffettivi, popolari, di apertura universale e di coraggio generoso lapresenza dello Spirito e la sequela di Gesù. La missione dipende appunto dall’unicità della salvezza in Cristo.Non c’è altra salvezza che in Cristo, perché in lui si realizza l’amoredel Padre e la grandezza vera dell’uomo. Partecipare di questo

Page 35: «Con Gesù Cristo

35amore è la vera libertà ed è la perla preziosa della Chiesa, la cui ef-ficacia è proprio un’umanità migliore, più fiduciosa, più aperta,meno “ineguale”, inclusiva e non esclusiva. Questa impostazione spirituale permette al Papa di denunciare nel-l’idolatria il vero peccato dell’umanità, ma anche il suo destino dimorte. È perciò nel cuore che bisognaagire, ma per fare ciò occorre appunto an-nunciare. Si hanno conferme ulteriori di questotema nel capitolo quinto “Evangelizzatoricon Spirito” in cui si ribadiscono le moti-vazioni della missione nei tre aspetti piùvolte sopra ricordati e che costituiscono iltitolo delle ripartizioni che il Papa sugge-risce per il suo testo: L’incontro personalecon l’amore di Gesù che ci salva (EG, 262-283), Il piacere spirituale di essere popolo(EG, 268-274), L’azione misteriosa del Ri-sorto e del suo Spirito (EG, 275-280) e Laforza missionaria dell’intercessione (EG, 281-283).Il Papa parlando di spiritualità ci da un annuncio, una dimensionekerygmatica, ma ci fa capire che la nostra vita è legata al mistero (di-mensione mistica e misterica dell’adorazione). Per cui il Papa nonci sta facendo una dottrina che dobbiamo imparare a memoria,come facevamo col catechismo, ma ci invita ad adorare, a fare e vi-vere questa esperienza, non solo capirla.

6. Ringraziare il Signore per i doni ricevuti

Provo ora a proporvi una sorta di esercizio spirituale partendo dallaParola di Dio, confrontando una situazione, quella di Paolo, chenon è uguale alla nostra, ma che tuttavia rinvia alla stessa radice.Mi lascerò guidare dal testo di Paolo nella 1 Cor 12, 31-1,13.

31Voi, però, desiderate ardentemente i doni maggiori! Oravi mostrerò una via, che è la via per eccellenza.

1Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma nonavessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cem-balo. 2Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misterie tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostarei monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3Se distri-buissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il miocorpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbea niente.

4L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia;l’amore non si vanta, non si gonfia, 5non si comporta inmodo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’ina-sprisce, non addebita il male, 6non gode dell’ingiustizia, ma

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gioisce con la verità; 7soffre ogni cosa, crede ogni cosa, speraogni cosa, sopporta ogni cosa.

8L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite;le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9poichénoi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10maquando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte,sarà abolito. 11Quando ero bambino, parlavo da bambino,pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quandosono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12Poi-ché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; maallora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma al-lora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfetta-mente conosciuto.

13Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore;ma la più grande di esse è l’amore.

È il famoso testo chiamato “Inno all’amore”. Il contesto di riferi-mento non è, come nel caso della Evangelii Gaudium, il confrontocon la società e la cultura in declino dell’occidente, ma la vita stessadella Chiesa, con tutti i suoi carismi. È una società ricca e apertaquella di Corinto. Paolo nell’esordio non rimprovera, ma loda questa Chiesa che èpiena dei doni dello Spirito... dopo la martella! È una Chiesa riccache ha però dei problemi. È interessante che Paolo non dice “No”all’incestuoso, alla divisione, etc. etc., non parte così! Dice che il mi-stero della Chiesa è mistero di unità, di fede e di amore ed io lodoil Signore con voi perché nella Chiesa tutti questi doni sono pre-senti. Ecco la lettura spirituale. La Chiesa che c’è qui ad Alghero-Bosa è una Chiesa ricca dei doni dello Spirito; siano rese grazie alSignore per questa Chiesa. Avete problemi? Certo! Ma non parto daquesti, ma dal dono di grazia che il Signore ci fa, dall’Amore in Cri-sto che noi stiamo vivendo.È una Chiesa in missione e in uscita quella a cui Paolo scrive, nonè chiusa in se stessa – poi andrà a chiederle i soldi per la missionein Gerusalemme - ma è una Chiesa lacerata dalla divisione. Vedetela necessità che questo peccato venga riconosciuto, confessato, per-donato e corretto per un annuncio di vita migliore? Questa divi-sione non è di tipo pelagiano o liberale, ma rinvia a dimensionicarismatiche forti. Il ritorno sul mistero di Cristo e del suo amoreper l’unità e la pace, l’accentuazione della dimensione credente eteologale dell’amore, indicano il cuore della testimonianza cristiana.“Voi non siete diventati cristiani - dice Paolo - perché avete condi-viso la saggezza, la sapienza della dottrina, ma avete accolto lo scan-dalo dell’annuncio della croce”. Non vedete che ragionate ancora da bambini? Scegliete il maestromigliore, vi dividete come i bambini quando litigano, dicendo iosono di questo e io di quest’altro!” Paolo per far capire ai cristianidi Corinto ritorna sull’esperienza credente, sull’essenziale di cui di-ceva il Papa, sulla fragilità dell’annuncio, ma anche sull’enorme ric-chezza dell’Amore di Dio che questo piccolo annuncio produce. E

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37qui il rapporto con le parabole del contrasto è evidente: il chicco disenape, più piccolo di tutti i semi, lo trascuri? Buttalo per terra e poivediamo!Anche qui Paolo è costretto a rinviare alla dimensione kerygmaticae insieme spirituale e mistica, non tanto per dare coraggio e gioia aicristiani stanchi, quanto per esortarli a non cadere nell’illusione disalvarsi da soli con la loro sapienza e capacità.Se tu sei innamorato dell’Amore di Dio, un’ingiustizia non ti pro-cura un gran danno, ma ti da anzi l’occasione perdire che tu sei più grande ancora, perché piùgrande in te è l’Amore di Dio. Se queste cose nonle maturiamo spiritualmente non riusciamo a vi-verle, perché non siamo convinti, e prima o poi cicomportiamo come siamo convinti! Non poteteavere due padroni, o uno o l’altro! Dio non lo ab-biamo dentro di noi così, subito, totalmente, maè un combattimento ed occorre lasciarsi guidaredalla carità, dallo Spirito nella sequela di Gesù checostituisce il tesoro della vita della Chiesa e ilcuore della missione. Se amiamo Dio lui ci sequestra, ma ci restituiscecento volte tanto liberi! Perché siamo noi chesiamo convinti che questa è la Verità.Tutta la lettera di Paolo mostra, per i vari casi dif-ficili che egli nella lettera affronta, che Paolo ricorre alla fede-caritàcome fondamento della vita cristiana, per poi elaborare, caso percaso, i criteri per risolvere i problemi affrontati. Sulla questione degliidolotiti dice che “Se non c’è risurrezione dei morti neppure Cristoè risorto, ma allora la fede è vana”. Queste sono argomentazioniteologiche, ma il cuore dell’intervento di Paolo è che bisogna cre-dere in Cristo! Benché si possano mangiare le carni offerte agli idoli,è opportuno non mangiarne se un fratello per questo può perdersi.Il caso dell’incestuoso è rinviato a una disciplina medicinale… Cosa dobbiamo fare nella nostra comunità cristiana per vivere se-condo il Vangelo? La prima cosa che voglio sottolineare è questa:“Fermati, senti cosa dice il Signore! Mettiti in atteggiamento di con-versione. Cerca l’unità e poi dopo, quando avrai fatto questa espe-rienza, questa testimonianza, mettiti a giudicare!”. Non metteteviperciò a giudicare senza aver iniziato un cammino di conversione edi spiritualità, perché altrimenti usciranno gli idoli, le ideologie, leabitudini, non il desiderio di ascolto, non la missione. Lo sfondo di carità e di unità è sempre invocato e riferito a Cristo,le ragioni e i provvedimenti sono oggetto di discernimento oggettodi una riflessione specifica a parte. S. Paolo e il Papa mostrano al-cuni dei loro criteri di mediazione, entrambi rinviano al cuore del-l’atteggiamento spirituale da tenere. Anche noi dobbiamo fare lo stesso: ritornare alle radici, rileggere laScrittura e contemplare il mistero di Cristo così come la tradizionece lo consegna e testimonia. Nel fare ciò rinnoviamo anzitutto la nostra fede e riprendiamo ilnostro continuo cammino di conversione.

�Lo sfondo di carità e di unità è sempreinvocato e riferito a Cristo, le ragioni e i provvedimenti sonooggetto di discernimento

EVANGELII GAUDIUMLA RIFLESSIONESPIRITUALEMons. Maurizio Gervasoni

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Dopo di ciò, con questo atteggiamento, dobbiamo proporre un’ana-lisi condivisa delle condizioni in cui si collocano gli aspetti dellavita ecclesiale che vogliamo affrontare e da essa ricavare i criteri didiscernimento e d’azione pastorale. Non ci sono risposte già fatte, perché il rischio è il fondamentali-smo, il clericalismo. Non lasciamoci guidare da quella certezza in-teriore cha abbiamo imparato nel cristianesimo e che noiapplichiamo subito perché, invece, la tristezza degli occidentali nonè Cristo, ma qualcos’altro.

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1. Premessa

Cerchiamo di trarre qualche conclusione per declinare nel quie nell’ora della nostra storia, del nostro cammino quantocosì abbondantemente abbiamo riflettuto. La competenza,

direi, teologica che si nota in don Maurizio con questo afflato pa-storale, deriva dal fatto che ha sempre avuto lemani in pasta per quanto riguarda appunto ilservizio apostolico.Come elemento iniziale non posso non ri-farmi ai cammini degli anni passati, quindi ri-facendo brevissimamente la storia di questoincipit che noi abbiamo posto nell’Ottobredel 2011 con quello che è stato il primo no-stro Convegno “Dio educa il suo popolo conla Parola”. È da questo elemento che vorrei far cogliere ilfilo conduttore che c’è dentro questi nostrianni, che è quello appunto non tanto del pal-lino mio o di qualche cosa che in qualchemodo è venuta fuori in modo estemporaneo -l’ascolto, la centralità della Parola e del suoprimato - quanto piuttosto quello che è il tes-suto che fa una comunità credente. Una co-munità è credente in quanto dà credito, loabbiamo ascoltato oggi ampiamente, alla per-sona del Signore Gesù! All’inizio di questofatto cristiano non c’è una idea, ma c’è un evento, c’è una Personaalla quale noi prestiamo costantemente attenzione. Ecco il lavoriodirei che emerge da tutto quello che in qualche modo in questianni abbiamo tentato di porre in atto, pezzettino per pezzettino.Quest’anno abbiamo anche il calendario diocesano che abbracciatutti i giorni dell’anno, dove direi che questo qui ed ora della storia,questo abitare il tempo qui ed ora in ascolto della Parola del Si-gnore, in ascolto del Vivente, ritma veramente il cammino dei 365giorni.Questa sovrabbondanza di ascolto della Parola e della sua prioritàè evidente nei 24 incontri di Lectio Divina e nei 32 della Scuoladella Parola, ben calendarizzati graficamente nel segnalibro.

UNA CHIESA SINFONICAGRAZIE AD UN NOI ECCLESIALEPadre Mauro Maria Morfino

Una Chiesa sinfonicagrazie ad un noi ecclesialeConclusioni ed orientamenti pastoralidel Vescovo Mauro Maria Morfino

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2. L’assiduità nell’ascolto della Parola, per rimanere figli

La Chiesa, ripete Benedetto XVI, non vive in ascolto di se stessa, inauto-avvitamento narcisistico, ma in ascolto della Parola del Si-gnore, di un altro da me dove il cuore, come ci ricordava don Mau-rizio, è fatto da Dio, anela a Dio. Soltanto quando c’è questoascolto reale, profondo, vero, questa familiarità con le Scritture -come scrivevo anche nella Lettera Pastorale - questa indispensabi-lità, questa familiarità, questa assiduità, in questa economia diascolto che conduce e riconduce alla vera identità, appare non fa-coltativa la necessità dell’assiduità familiare con la Parola. Così fa-cendo impariamo di noi come singoli, e impariamo di noi comecomunità credente, oltre che imparare l’identità del Figlio, di Cri-sto Signore, giungendo ad una godibile comunione con gli altri. Siamo al cuore del segreto, il mutamento del cuore e del vissutopersonale e delle comunità credenti è ancorato a questo non saltarei pasti, i pasti dell’ascolto.Voi pensate che la Chiesa non celebra non un sacramento, ma nep-pure un sacramentale (es. la benedizione di un auto), non celebranulla senza che ci sia la proclamazione della Parola! La Chiesasenza la Parola è afona e ineloquente, non ha parola e non riescea stare dentro la storia come il Figlio. Ricordate quest’anno nellaLectio divina fatta in Quaresima sulle tentazioni di Gesù nel de-serto, dove la tentazione in fondo cosa toccava? Gesù che desideraessere il Figlio, costi quel che costi! E il tentatore che gli dice: seiDio? Serviti di questa potenza per te stesso, hai fame? Sei Dio? Cisono delle pietre, dì alle pietre di diventare pane. Gesù moltipli-cherà il pane, ma non per se stesso. La grande tentazione è appuntoquella di essere distolti dal vivere da figli, tant’è vero che quandoGesù precipita nella morte reale sulla croce, è certo di questa morte,ma è ancora più certo di questa cosa: «Padre, nelle tue mani con-segno la mia vita!». La morte è certa, ma certissime sono le manidel Padre, il suo desiderio di rimanere Figlio. Vi è poi quell’altraLectio che ci ha accompagnato in Lc 22: il combattimento, questo ti-rare fuori al Getsemani i desideri contrapposti, rimanendo figlio eabbandonare tutto e tutti. «Io voglio continuare a vivere, se possi-bile allontana da me questo calice, ma non la mia ma la tua Vo-lontà!». Qual è la volontà del Padre con la quale Gesù si identifica?Rimanere figlio, questa è la volontà del Padre. E allora, direi, ilprimo tratto caratteristico di rimanere figli attraverso l’ascolto dellaParola, perché diversamente l’esperienza che facciamo è molto tra-gica e la facciamo nelle nostre comunità quando questo ascoltonon è assiduo, non è familiare e non è centrale, cioè sopra tutti glialtri ascolti. È una Parola normans, è normante (norma normans, norma nor-mante), è una Parola che è performante (dà forma), non porta in-formazioni, ma dà forma alla nostra vita profonda, alle nostrerelazioni, ai nostri affetti, ai nostri stili di vita. Il gusto amaro chenoi facciamo quando questa Parola non è al centro, Paolo ce loracconta molto bene all’inizio, nel primo capitolo della lettera aiRomani. Questa gente non da credito a Dio, non è credente, aldilà

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del look cristiano, aldilà di riti, aldilà di vestiti, aldilà di tutto quelloche potrebbe richiamare una vita cristiana, ma in effetti non c’èquesto ascolto. E da che cosa si vede che a Dio, in Cristo, non èstato dato credito? “Sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cu-pidigia, di malizia. Pieni di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di ma-lignità. Diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi,presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senzacuore, senza misericordia”. Il frutto di un non dare credibilità al Figlionella fede produce questi stili di vita. Non pensiamo subito aglialtri… la Parola per esportazione: per altri, per questa situazione,per questa persona, per questo prete, per quest’altro. Una Parolache tocca noi. E in Galati, cap. 5, Paolo ugualmente dice qual è l’at-teggiamento, gli stili di coloro che non hanno dato credito, e nondanno credito al Cristo. “Del resto sono ben note le opere della carne:fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, di-scordia, gelosia, dissensi, divisioni,fazioni,invidie, ubriachezze, orge e cosedel genere”. Perché ho richiamato questi due testi? Perché la con-cretizzazione, forse più soft, forse meno vistosa, ma nei rapportiinterpersonali e nei rapporti comunitari, spesso è alle venature diquesta Parola che abbiamo ascoltato. Lo dico innanzitutto a mestesso questa sera, ripensando a quando non do credito al Dio diGesù Cristo e quindi metto da parte il primato dell’ascolto. Ricordate qual è il verbo che regge antico e nuovo Testamento? C’èun unico verbo: Deuteronomio 6 «Ascolta Israele!» e nella presenta-zione del Figlio alla trasfigurazione «Questi è il mio Figlio prediletto:ascoltatelo!». Non si dice fate questo, accendete i ceri, mettete l’in-censo, fate funzioni, fate raduni o indicativi morali. «Ascoltate!». Tre anni fa, era emerso dalla quasi totalità dei 37 interventi del-l’assemblea del primo convegno, si chiedeva come urgenza la ri-centralizzazione della Parola di Dio. Stiamo tentando di farlo. Confatica, ma stiamo tentando di farlo. Tre anni son pochi, o meglio,tutta la vita è poca per convertire il cuore. Ma ci siamo voluti darecome strada, come orizzonte e come metodo questa priorità:l’ascolto della Parola. Stiamo cercando di declinarlo in tutti i modi, ecco perché la let-tura di questi due testi paolini, per non cadere in queste discrasie,in queste dissonanze umane, esistenziali, ecclesiali, relazionali per-ché è evidente che questo sottofondo può accompagnare quandol’ascolto non è assiduo, non è familiare, non è voluto e voluto vuoldire anche patito, sofferto, cercato.Certo che io rimango edificato quando entro qui, quando entro aMacomer, quando entro a Bosa, quando nonostante i tempi, ilfreddo, il caldo, il sole, il buio mi ritrovo sempre davanti tantagente. Per me è profondamente edificante. E la fatica che possofare io rispetto a quello che mi viene donato è niente, perché è unabenedizione che comunque una Diocesi non grande come la no-stra, ma dislocata così ampiamente, riesca in qualche modo a tenerfede mensilmente a questo appuntamento. Senza contare la bellaesperienza della Scuola della Parola, che Michele Corona mi pareabbia portato avanti in modo molto significativo durante que-st’anno: non possiamo invocare formazione e andare altrove! Non

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possiamo dire che non ci sono itinerari e non frequentare. Il pastoc’è, come il pasto nella liturgia giornaliera è a disposizione gratuitaper tutti, sempre, senza alcuna condizione.

3. Il nostro cammino ecclesiale. Dalla centralità della Parola all’Evangelii Gaudium

Ho voluto iniziare questa ricapitolazione proprio con questi duetesti che ci riconducono ai nostri incontri periodici dove ho ten-tato di mettere gli elementi fondamentali di una centralità dellaParola, perché e quali siano le modalità per viverla da un punto divista comunitario. Tutta l’ultima parte della Lettera pastorale parladi cose che si possono e si devono fare come comunità che vuoleascoltare il suo Signore, cioè una comunità obbediente. Ob audire significa prestare l’orecchio. Partendo da questa visionepossiamo chiederci: Dio come ci ha educato nel primo testamento?Avendo fatto la prima parte di questo cammino, come ci è statoeducato nella persona di Gesù, quali sono le linee educative cheGesù ha messo in atto con i suoi? E l’ultima indicazione: se Dio haeducato così, con gli antichi profeti e nella persona di Gesù, qualeChiesa può educare alla vita e alla fede? Come educare oggi allavita e alla fede? E abbiamo tentato di tratteggiare queste caratteri-stiche di fondo. E ancora l’anno dopo, quando è venuto don Nisi Candido, cisiamo soffermati ancora sulla Dei Verbum, su questa centralità a 50anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Noi sappiamo bene cheil proemio della Dei Verbum non è soltanto il proemio della DeiVerbum, quanto piuttosto è lo starter di tutto il Concilio VaticanoII. E ci siamo soffermati a lungo, tutto l’anno, per cercare di rias-sumere questo filo conduttore dentro tutte le grandi costituzioniconciliari. L’anno scorso ci siamo dati questo impegno, questotema impegnativo: Giovane, dove sei?! L’annuncio del Vangelo allenuove generazioni. Abbiamo tentato con don Moral di mettere inevidenza alcune linee fondamentali e poi durante l’anno con gliincontri formativi, inseriti negli Atti grazie alla bella idea di Giu-seppe Manunta, mettendoli a vostra disposizione e a disposizionedei presbiteri, per annunciare il Vangelo ai giovani. Quando è uscita l’Esortazione Apostolica non ho fatto grande fa-tica a scegliere questa linea in quanto la sollecitazione è presente inciò che ho letto ieri, quando il Papa dice: «Questo testo va assuntocome programmatico per tutte le chiese sorelle». Voi sapete che il ministero petrino è quello di essere animatorenella carità di tutti i pastori, di tutte le Chiese della cattolicità. Al-lora in questo titolo, Evangelii Gaudim, voi capite che non c’è nes-suna forzatura tematica e abbiamo deciso di soffermarci su questaEsortazione Apostolica. Direi che il Signore ci ha messo su unpiatto d’argento questa continuità con il cammino triennale pre-cedente, mettendoci in evidenza questa gioia del Vangelo.

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4. Chiamati ad uscire da su connottu, dal «si è sempre fatto così!»

Vorrei qui ricapitolare a partire da quello che don Maurizio, il Ve-scovo di Vigevano, ci ha ricordato. Sono cose che sicuramente giàsapevamo: cosa facciamo quando celebriamo? La messa è sempreuguale, non è che cambiamo le parti della messa, la liturgia è sem-pre la stessa, ovvero riponiamo tutti i giorni i gesti indispensabiliper vivere. Siamo qui non per sentire delle novità, ma per ripeterciciò che è essenziale: una parola che il Papa mettecome chiave di volta e comprendere quale siaquesta essenzialità e come declinarla allora pernoi, per la nostra situazione locale. Ogni Chiesa, come ogni persona, ha la sua storia;storia complessa, storia di secoli, non è storia diun giorno quella di una Chiesa locale. E alloraquesto essenziale, come declinarlo per noi Chiesadi Alghero-Bosa? È emerso innanzi tutto questofilamento brillante: il Papa parla di un umanoche è abilitato cioè che è capace di andare oltre.Già l’andare dice il dinamismo, già l’andare dicemovimento, già l’andare dice schiodarsi, già l’an-dare dice prendere distanze da, per andare verso,e la connotazione di questo andare è un andareoltre. Ecco un primo elemento che credo sia indi-spensabile per tirare delle conclusioni di questocammino che don Maurizio ci ha aiutato a fare.Se questo umano è abilitato a fare, perché vieneda Dio stesso e a Dio stesso va, e a cogliere l’oltre,cioè a cogliere l’ulteriorità, la cosa più semplice che io devo dire emi viene da dire è: quali sono le ulteriorità? L’oltre che come Chiesalocale in questo momento dobbiamo attuare? Il Papa usa termini suoi e dice: basta dire“ è sempre stato fatto così”.In sardo si dice “uscire da su connottu”. Bisogna uscire! È sempre stato fatto così, abbiamo sempre conosciuto questo a li-vello pastorale, a livello di iniziative, a livello di catechesi, a livellodi tutto c’è una ulteriorità alla quale il nostro cuore dice profon-damente di sì ma, come ricordava don Maurizio, c’è un freno po-tente. Il Papa lo chiamerà narcisismo spirituale o neo-gnosticismo. Avvi-tamento in se stessi. Allora io, l’ottava meraviglia del mondo, io, imiei progettino, io, le mie cose, io... L’Ecclesìa, in quanto convocazione, ha come soggetto un noi nonun io. La Chiesa in quanto convocata per la missione, è una Chiesainevitabilmente con-chiamata, è un noi ecclesiale. E allora voi ca-pite che qui subentra la rivisitazione di tutte quelle formulazionidove - in questo ambito pastorale, liturgico, relazionale, catechetico- non è «a me piace così», l’io che funziona… No! C’è un noi ec-clesiale che va rispettato!Ho richiamato questo noi ecclesiale nelle linee pastorali di Feb-braio, la comunione nella mano, ricordando ciò che ci viene indi-cato dalla Chiesa e quali sono le condizioni per poter celebrare

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�L’Ecclesìa, in quantoconvocazione, ha comesoggetto un noi, non un io.La Chiesa in quantoconvocata per lamissione, è una Chiesainevitabilmente con-chiamata, è un noi ecclesiale

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secondo l’antico rito. Lì c’è un noi ecclesiale. Ed è evidente, se il Ve-scovo non è decorativo, non è folkloristico, è come dice la LumenGentium, è vicario di Gesù Cristo per la sua Chiesa locale, allora voicapite che questo noi dobbiamo rimetterlo in atto. E qui invito ognicomunità parrocchiale, ogni comunità religiosa, ogni movimento,ogni associazione, a rivedere con una “griglia di ripensamento” peruscire da su connottu e attivare questo oltre che ci chiama potente-mente, prepotentemente. Cos’è che dovremmo mettere in atto come singole comunità perentrare e scorgere questa ulteriorità? Io direi che la prima cosa è ve-rificare gli individualismi, come gli individualismi comunitari. Tal-volta alcune parrocchie sembrano prelature nullius con un vescovoproprio. I singoli, i movimenti, le associazioni, c’è un noi eccle-siale. E allora bisogna ripensare - e questo è l’impegno di ogni co-munità parrocchiale, religiosa, associazione, movimento - qualisiano quelli individualismi dalla quale bisogna uscire per gustarel’ulteriorità. Badate bene: quando non gustiamo l’ulteriorità civiene la nausea della vita umana e della vita cristiana perché cia-scuno di noi è fatto per questa ulteriorità. Se no diventa tuttoscialbo. Diventa tutto grigio. Diventa tutto ripetitivo. Ecco perchél’Esodo è il cammino. È l’archetipo, è la metafora di ogni camminocristiano. Chiamati, tirati fuori dalla casa della schiavitù con unaParola che viene. Ricordate, Esodo 20, lì viene consegnata la Paroladopo 70 capitoli di narrazione di opere salvifiche gratuite che Dioha fatto per il suo popolo. Cinquanta capitoli di Genesi, venti ca-pitoli di Esodo, e poi finalmente viene dato questo Matan Torah,dono della Parola, dono della rivelazione. Dieci Parole, donate adun Israele che sta facendo esperienza di essere tratto in salvo dallaschiavitù che dicono questo: «Vuoi rimanere fuori dalla casa delleschiavitù? Vivi queste parole: non uccidere, non essere bugiardo,non giocare con la vita, non piegare il ginocchio agli idoli». Rimanere fuori dalla casa delle schiavitù è possibile. Questa ulte-riorità è percepita soltanto quando c’è questa esodalità nella nostravita. Ogni stanziamento, ogni sedentarizzazione non può produrrese non noia, se non disgusto, se non nausea anche della vita cri-stiana, anche paradossalmente della Parola, dell’Eucarestia, dellecomunità, della fraternità. Senza questa snellezza, l’abbiamo sentito nei giorni passati, quale èla soluzione a questi serpenti velenosi, brucianti? Cosa dice il Signorea Mosè per salvare il suo popolo? Metti il serpente bruciante suun’asta, alzino gli occhi, mirino alto. Qual è l’orizzonte? L’orizzonteè l’agire di Dio, tutto quello che don Maurizio ha detto. Gli orizzonti sono gli atteggiamenti di Dio, l’orizzonte è come Dio hafatto in Cristo, che ci dà la possibilità di fuoriuscire costantementeverso l’ulteriorità. Ma lo ripeto, senza ulteriorità c’è morte! Senzaun oltre c’è morte! Allora, uscendo per entrare nell’ulteriorità, qualisono gli individualismi da registrare e quindi quali sono i camminicondivisi da mettere in atto? Cammini condivisi all’interno dellastessa comunità parrocchiale, e cammini condivisi con le altre co-munità cristiane e parrocchiali? Sapete che si avviano tre nuove fo-ranie, erano otto: perché tre nuove foranie, cioè tre zone pastorali?

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Perché la frammentazione di otto foranie e foranie molto piccole,dove non ci si incontrava, non ci hanno dato l’opportunità di cam-minare insieme. Non è una riorganizzazione meramente tecnicama è sostanzialmente comunionale per un desiderio accresciuto dicamminare insieme. Per esempio occorre pensare ad alcuni itinerari formativi per cate-chisti, alcuni itinerari di pastorale giovanile, alcuni itinerari di pa-storale familiare che non possono essere portati avanti, lo capiamobenissimo, dalle singole parrocchie, dalle singole comunità. E nep-pure quando si dice «Noi lo possiamo fare perché abbiamo leforze!» No! Non va bene, non è ecclesiale. Viene a mancare unaconnotazione che è primaria anche da un punto di vista esperien-ziale: per esempio con i giovani o qualsiasi altro ambito pastorale,quando ci si incontra in 5 e quando ci si incontra in 50, quando inqualche modo si fa l’esperienza con altri di condividere la fede, diascoltare la medesima Parola, di fare degli itinerari comuni. Ecco perché non si tratta di un tecnicismo pastorale, di una tatticapastorale, di strategie pastorali, essenzialmente teologici, perché èinvece comunionale e senza comunione, ce lo ha ricordato donMaurizio, non c’è Chiesa. Uno può camminare molto bene dasolo, lavorare bene, tirarsi il collo, sputare l’anima, ma non è cri-stiano! Non è cristiano! Perché il cristiano è dato da questo cam-mino insieme ecclesiale. Allora quali sono gli individualismi daindividuare? Personali, comunitari e intracomunitari e intercomu-nitari, cioè tra comunità e comunità.E quali cammini condivisi si intravvedono da fare? Per buttare giùuna progettazione le tre foranie devono fare una progettazione aquesto livello, altrimenti il progetto non può esistere!

5. Una sinfonia di differenze

La seconda indicazione conclusiva che mi pare dover raccogliereda ciò che il vescovo Maurizio ci ha suggerito è questa. La famigliaè una sinfonia di differenze anche tra gemelli monozigoti, è unasinfonia di differenze. A fortiori ogni comunità è una sinfonia didifferenze. Perché ci sia una sinfonia, un consonare insieme, oc-corre che tutti gli strumenti di un’orchestra, pur differenti l’uno dal-l’altro, suonino armoniosamente, mantenendo il tempo. Quandoc’è chi sa suonare e chi sa dirigere, l’orchestra ti incanta, un’operasinfonica ti lascia senza parole, ti fa entrare nella contemplazione,appunto perché vi è questa sinfonia di differenze. Questo è ognicomunità credente! Ma in che modo ci può essere sinfonia e non cacofonia? Ce lo haricordato don Maurizio facendo appello alla Esortazione Aposto-lica: la fede ci spalanca alla trascendenza. Chi è il credente? Lì dove tutti dicono Dio è morto, Dio non c’è, Dionon ha tempo da perdere in questo, Dio è altrove o se c’è ha altro dafare o da pensare, il credente scopre gli indizi, le orme della Sua pre-senza dove tutti dicono no, qui Dio non c’è. Questa non è la storia della nostra vita personale credente e delle co-

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munità dove tutti non vedono assolutamente nulla? Quando tuttimi dicono “c’è questo problema, c’è quest’altro problema, c’è questoproblema…”, è vero, ma c’è anche una comunità ricca di carismi. Andando su e giù per la Diocesi l’edificazione di questi carismi chespuntano, cioè di gente credente, viene fuori in tantissimi momentidella nostra esistenza, gioiosi e dolorosi, di fatica e di progettazione,di tradimento, di tutto quello che compone la vita. C’è questa pre-senza dello Spirito! Ma allora dobbiamo dire che siamo tutti pococredenti, ma siamo tanti credenti. Questo ci deve far cogliere che sela nostra comunità diocesana, se le nostre comunità e noi come sin-goli, non entriamo in questa dimensione accresciuta della fede -ecco perchè ascolto della Parola giornaliero, ecco perché l’Eucarestiache celebriamo tutti i giorni, ecco perché il Sacramento donato e ri-cevuto della riconciliazione, del perdono, ecco perché la condivi-sione nella fraternità che produce solidarietà – non c’è crescita diuomini e donne credenti, di fede. Senza questo non c’è cristiano! E d’altra parte un credente, uno cioè che scorge le orme del tra-scendente dentro una storia povera, dentro una storia anche rovi-nata, scialba, è capace di impegno verso l’altro. Ma io quando dicol’altro, dico altro da me, ognuno di noi è altro da me. Non c’è copiadi nessuno. E allora entrare in sinfonia con queste alterità è capa-cità di una persona credente aperta al trascendente, che da spazioa Dio nella propria esistenza. Lo ripeto, quando vado a fare le cresime l’ultimo grande dono cheil Vescovo e i presbiteri presenti chiedono, con le mani sopra i cre-simati è: dona il santo Timore di Dio. Signore fa’ che prendiamo seriamente in conto il Tuo amore, que-sto è il Timore di Dio, fa’ che prendiamo seriamente la Tua Per-sona, il Tuo stile di vita consegnatici in Gesù di Nazareth. Ciò che piace a Dio e ciò che a Dio non piace, dove è scritto? Dovedobbiamo andarcelo a cercare? Nella persona del Signore Gesù,nella Sua Parola, nel Suo stile di vita. Ecco perché la Parola tutti igiorni, ecco perché non saltare i pasti! Noi non saltiamo i pasti,mangeremo poco perché non dobbiamo ingrassare, ma non dob-biamo saltare i pasti. E così è per la Parola. Una persona e una comunità credente, toccata dal soprannaturale,toccata dal trascendente diventa impegnata verso l’alterità, impe-gnata verso altri e le due cose - trascendente e alterità - nell’Evan-gelii Gaudium non possono essere scisse. Chi crede si interessadegli altri, se non mi interesso degli altri non credo.

6. Maggiore apertura alla trascendenza e all’amore, per essere Chiesa in missione

La fatica si manifesta anche per questo fondo di solidarietà epi-scopale - ancora una volta vi ringrazio per questo atteggiamentoche vedo crescere piano piano - insieme alla sensibilità che vedocrescere attraverso mille modi. La cifra di quest’anno rispetto allacifra dell’anno scorso ci fa capire che comunque stiamo crescendoda questo punto di vista e ditemi se questa non è una comunità

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credente! Mettere le mani nel portafoglio, se io non do accoglienzaalle alterità, non è così automatico. Allora le due realtà: la fede cheè apertura alla trascendenza e l’amore che mi vede impegnato peraltri, con altri, attento alle diversità. Sono i due criteri che forse que-sta esortazione dovrebbe rimettere al centro della nostra esistenza.Mi è piaciuta la coincidenza, non c’eravamo messi d’accordo, io hofatto questo testo di 1Cor 13 nella prima settimana di Luglio conchi era presente a Montagnese - una cinquantina di persone per gliesercizi spirituali - e don Maurizio ha ripreso questo come ele-mento fondamentale. Dove si vede il vero credente? Paolo lo dice: tramonterà tutto...conoscenza, profezia, speranza, fede e resterà soltanto una cosa,perché è l’unica cosa che rimarrà. E quando è che noi gustiamo lapresenza di Dio fra di noi? Quando c’è l’Amore, quando siamo amati e quando amiamo. Lìnoi facciamo l’esperienza viva del Vivente. Allora la domanda mi pare si ponga da sola: se ogni comunità èsinfonia delle differenze, forsedobbiamo un attimo soffermarcisu quanto di intransigenza, per-sonale e comunitaria, abbiamonei riguardi delle diversità e neiriguardi delle differenze.Siamo tutti intransigenti, tutti!Mi dispiace per voi, ma ognunoporta una qualche intransigenzanei confronti degli altri pur moltevolte con il look del Santo Van-gelo, con il maquillage dell’evan-gelizzazione con tutto quello chesiamo capaci di dire o di fare. Stadi fatto che, se ci fermiamo un at-timo, ognuno coglie le intransigenze. Io invito le comunità, lenuove vicarie a fare una mappatura di queste intransigenze, di que-sti tratti non comunionali, non comunitari, degli steccati che forsenon volendo si sono innalzati, di tutte quelle sfumature che inqualche modo dicono più auto-centramento che uscita, dicono piùvalore per l’io che non valore per il noi, dove il soggetto sostan-zialmente appunto non è Figlio, figli nel Figlio, quanto più quellodi una rivalità personale, di schemi personali, santi… a volte san-tissimi, ma personali. E la Chiesa non è questo. Non può andare avanti né con i pallinidel singolo Vescovo o del singolo parroco, del singolo leader, delsingolo capogruppo… non può essere così!Ci sono dei dati oggettivi che fanno la Chiesa e allora questi datioggettivi vanno ripresi in mano. L’invito che io faccio a singoli e comunità, che andrà ripreso a li-vello appunto di Vicarie, è quanto questo connubio di una fedeche ci spinge a scorgere le orme, gli indizi della presenza di Diodentro la nostra storia e dentro la grande storia, è effettivamentepresente. Che cosa mi permetterà ad un certo punto di dire, l’ho

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detto tante volte ma lo devo ripetere, che la mia storia non è unastoriella e non è una storiaccia, ma è una storia di salvezza? Que-sto accade solo quando io porto i miei vissuti personali e i vissutidelle nostre comunità dentro la Parola! È quello che fa Maria nelMagnificat, altro testo nel quale ci siamo soffermati in una Lectiodivina quest’anno: Maria dove coglie, dove può gridare che Dio èil mio Salvatore? Quando porta la sua esperienza personale bellis-sima e tragica! Una ragazza di quell’età deve essere lapidata tro-vandosi incinta. L’esperienza di Maria è un’esperienza che porta nel cuore il segretodei secoli - madre del Messia, madre di Dio - e contemporanea-mente porta un imbarazzo incredibile interiormente. Quando puògridare Dio è mio Salvatore? Quando porta in una rilettura globaledentro l’orizzonte della storia della salvezza Dio che ha buttato aterra i troni, Dio che ha riempito di beni gli affamati… è Dio pernove volte il soggetto! Maria dentro questa azione può gridare “Dioè mio Salvatore!”. Voi mi dite: che cosa ci interessa se Dio è Salvatore? Fino a quandonon diventa mio Salvatore non me ne frega niente! Io posso gridareDio è mio Salvatore, perché porto la mia storia dentro il grandeorizzonte della salvezza, allora lì scatta il gusto della trascendenza,cioè la salvezza che mi raggiunge nella persona storica del SignoreGesù.Vi è l’uomo non aperto, la persona non aperta a Dio, chiusa in sestessa. Il Papa parla di Chiesa in uscita, di cristiano in uscita, ilcontrario è il rinserramento in sé. Questo rinserramento in sé, que-

sti piccoli orti chiusi, impenetrabili, molte volteorti pastorali, orti devozionali, orti disciplinari,orti liturgici, cosa producono dentro la comunità?Questo solipsismo, don Maurizio ce lo ha ricor-dato con il primo capitolo della lettera ai Romanie il capitolo cinque della lettera ai Galati, produceviolenza, produce menzogna, produce ideologiecon il senso che diceva don Maurizio, cioè com-portamenti che sono negativi anche se masche-rati molto bene, di bene. L’ideologia che siinsinua in tutti i pertugi possibili, in tutti gli am-biti della vita. E allora l’invito a pensare come co-munità credente e come singoli credenti: c’èchiusura in noi stessi? C’è un atteggiamento di

narcisismo spirituale, che intravediamo in noi e nelle nostre co-munità? Se noi diamo una risposta positiva, «Sì, ci sono delle chiu-sure!», allora inevitabilmente bisogna subito scorgere dove sono leviolenze, dov’è la menzogna e dove sono le ideologie. Questo vàfatto se noi vogliamo smontare dal di dentro questo meccanismoperverso di non apertura al trascendente, questo meccanismo per-verso di non reale attenzione alle differenze, agli altri. Allora la chiusura in se stessi come singoli e come comunità pro-duce violenza, menzogna, ideologia. Girando per le comunità, in-contrando le persone, non posso tacere che questi atteggiamenti cipossono essere. Certo ci sono delle violenze molto ben camuffate,

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�La chiusura in se stessicome singoli e comecomunità produceviolenza, menzogna,ideologia

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ci sono delle ideologie molto ben camuffate, ci sono delle non ve-rità, che sono delle menzogne, molto ben camuffate, ma ci sono.Questo è il segno di singoli credenti e di comunità auto avvitate,chiuse in se stesse e noi ce ne rendiamo conto quando non diamo piùcredito, cioè non ci prendiamo cura delle alterità, cioè altro da me.Ognuno che io ho a fianco è altro da me, non ce n’è uno come me.Senza questa sfida c’è questa chiusura. Ma allora, voi capite, non c’èChiesa in uscita! Lo slancio missionario non può covare il fuoco caldo dentro que-sto tipo di solipsismo che è glaciale, perché? Non è consonante conaltri cuori e, tuttavia, può essere consonante con le mie idee gran-diose, con i miei pallini, con le mie progettualità, ma non è caldoperché non è riscaldato da altri volti, da altri cuori, da altre vite. Questa comunità, e il singolo credente, può rimanere come direincapsulato quando rifiuta questa apertura al trascendente e i sin-tomi di questo incapsulamento, secondo quello che il Papa dicenell’Evangelii Gaudium, sono paura, idolatria, chiusura egoistica,finzione ideologica. Anche questa griglia io credo sia molto im-portante per individuare personalmente e singolarmente per esem-pio quali sono le paure reali, concrete? È interessante a voltegirando, ascoltando le persone, ascoltando i preti, come ci sianodelle paure sul fatto che che vengano toccati dei potentati, paure chel’osso venga portato via, paura di venir meno, di determinate realtà senza le quali la mia vita di credente, la mia vita di Vescovo,la mia vita di presbitero, la mia vita di diacono, la mia vita di bat-tezzato, non ha più senso. Voi capite che questo è un sintomo molto brutto e come dice ilPapa rimanda ad una malattia molto grande: la chiusura a Dio. Lapaura è il primo frutto della chiusura alla trascendenza. Questo èmatematico purtroppo. Quanto più c’è chiusura al trascendente, equindi disinteresse alle alterità, tanto più cresce a dismisura lapaura, crescono le idolatrie anche rivestite di santo cattolicesimo,ma idolatrie! Crescono tutte queste forme di auto avvitamento. Il Papa ci ricorda, nell’Esortazione Apostolica, che se non ci fosse ilpresupposto che tutta l’opera della salvezza sia stata gratuitamentegià compiuta da Dio nella persona del Signore Gesù, allora biso-gnerebbe tirarsi via, chi ce li ha, quei quattro capelli e buttarsi damonte Rosello o dal bastione di San Remì a Cagliari. Non resta altro!La novità, la buona notizia è questa qui: non può essere opera del-l’umano, ma è già opera compiuta di Dio nella persona del Signore Gesù! Ecco perchè c’è futuro, ecco perché quest’anno, quest’oggi pos-siamo ripartire, come tutti i giorni possiamo ripartire; ecco perchéle nostre povertà, le nostre chiusure, le nostre intemperanze - met-tete tutto quello che volete - non ci possono portare via la certezzadi un nuovo inizio. Andiamo di inizio in inizio, sempre versonuovi inizi, perché quest’opera l’ha già compiuta Dio. Ma quantocrediamo alla categoria del dono, la salvezza come dono? Non loso! Tanta paura, tante chiusure, tanti irrigidimenti credo peschinoabbondantemente in questa non certezza che questa è un donogratuito di Dio per tutti e sempre. Gratuito, immeritato, incondi-zionato, perno entro cui poter ripensare le nostre vite personali.

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Ognuno pensi in questo istante alle proprie défaillances storiche,ai propri scivoloni, ai propri svarioni esistenziali. Più si va avantinella vita e più ce ne sono e su tutto questo invece ci viene ripetutaulteriormente questa parola: dono gratuito di Dio è la salvezza. Voi ca-pite che una comunità e un singolo credente che ha questa perce-zione profonda che interiormente brucia, si schioda, fuoriesce, vae parla del Cristo come Salvatore. Va e afferma «Io l’ho trovato, l’hovisto, te ne parlo, vieni con noi!». Cosa dovrebbe rispondere ognicomunità cristiana alla domanda: «Chi siete voi cristiani»? Ciò chedice Gesù ai suoi: «Vieni e vedi!». Quando dobbiamo fare troppa

esegesi e dare troppe spiegazionie non possiamo dire «vieni evedi» c’è qualcosa che non fun-ziona. Allora se questo è vero, sein Cristo è avvenuta la salvezzacome dono gratuito, chi è GesùCristo nel vocabolario del Papa?Uno che fuoriesce. Io dico sem-pre: Gesù è la estroflessione delPadre. Chi è che ci racconta infondo chi è il Padre nella sua to-talità? Uno che esce fuori dallaTrinità e che ci raggiunge e si fatalmente prossimo da farsi carne.Ecco una comunità credente.

Allora l’altro punto indispensabile direi da individuare come sin-goli e come comunità: quali sono le fuoriuscite che dobbiamo pen-sare per testimoniare questo fuoco che brucia? Come Geremia lopossiamo ripetere: «Ho fatto di tutto per non farti credito ma mi hai se-dotto, questa cosa mi brucia dentro come tizzoni bollenti, non posso farnea meno di parlare!». Se una comunità riesce a fare a meno di parlaredella bellezza del perdono, della bellezza dell’amore, della bellezzadello stare insieme, non ha esperito queste cose, perché chi le haesperite non può tacere! È come l’innamorato o l’innamorata chenon può smettere di cantare il nome dell’amato in tutte le solfe, intutti i toni. Quali sono allora le fuoriuscite da attuare? Quali sono, detto intermini un po’ più pastorali, gli itinerari di formazione, di solida-rietà da mettere in atto e da fare insieme, quindi, come fuori uscitada sé? Dio si è disvelato in Gesù proprio come fuoriuscita da sé. Ela Trinità che cos’è? Non è uno, più uno, più uno, ma è uno, per l’al-tro, per l’altro. È questa la comunità credente. è uno per l’altro perl’altro. Quel per dice la fuoriuscita da sé. E allora cerchiamo di in-dividuare questa estroflessione, questa fuoriuscita indispensabile.Cosa in determinati itinerari, catechistici, sponsali, familiari, di pa-storale giovanile, di tutti gli ambiti di pastorale, è da fare insieme,si può fare insieme? Ricordiamolo, è un comandamento: ciò che sipuò fare insieme deve essere fatto insieme, anche quando possofarlo meglio da solo! È quel farlo insieme che dice la cattolicità,che dice la fuoriuscita da sé. L’ultimo spunto prima di fermarmi su una parola. Questa fuoriuscita

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non avviene senza l’opera nostra, Dio fa la sua opera, noi siamo chia-mati a fare la nostra. Ed è in questo connubio che la salvezza si rendestoricamente possibile. La salvezza è dono gratuito di Dio ma nonavviene dice papa Francesco, senza l’opera dell’uomo, dell’umano.Allora qui intravvediamo che cosa non stiamo ponendo di operaumana, ognuno personalmente, ognuno nella propria comunità.Cosa non poniamo del nostro, di umano personale, cosa c’è che ciimpedisce di gustare la salvezza, qui ed ora, per noi?

7. Chiamati ad essere traghettatori

Il termine che mi pare possa riassumere definitivamente ciò chedon Maurizio ci ha detto è quello dell’essere traghettatore. Traghet-tatore dice papa Francesco, ma lui non usa questo termine, perché?Perché lo fa! Il traghettatore ci dice quali episodi di resurrezione,nel qui ed ora, noi intravvediamo. Allora, ognuno di noi è traghettatore e quindi lui stesso diventa av-venimento, episodio di resurrezione qui ed ora. Quando intravvediamo fedeltà nel proprio stato di vita qualunqueesso sia, anche quando c’è fatica per rimanere fedeli, noi siamoreali traghettatori, cioè in noi si esplicita un reale episodio di re-surrezione. Quando non facciamo mancare la nostra presenza fi-sica a incontri come questo, per esempio, nel servizio comunitarioa tutti i livelli, questo è un episodio di resurrezione, siamo tra-ghettatori, cioè disveliamo il volto di Dio in Cristo, rimandiamo di-rettamente al Signore. Ogni qualvolta riusciamoad uscire dall’individualismo, a fuoriuscire dalnostro piccolo mondo questo è un episodio di re-surrezione. Quando c’è una disponibilità a cam-biare, a schiodarsi dai propri pallini, c’è unepisodio di resurrezione. Allora voi capite che cisono infiniti episodi di resurrezione nelle nostrecomunità. Quei carismi vivi ed efficaci che sono lo SpiritoSanto nella nostra comunità, ogni qualvolta cisono fuoriuscita da atteggiamenti non umani enon credenti, fuoriuscita da schemi e da schema-tismi, da etichettature, assistiamo a reali episodidi resurrezione. Tutto quello che in qualchemodo possiamo decifrare come volto bello, ilvolto del vero, del bello e del buono questi sonoepisodi di resurrezione. Ognuno di noi è sovrab-bondantemente ricco di questi episodi di resurrezione. Direi chequesto essere traghettatori potrebbe essere la cifra per rileggere po-sitivamente la nostra esistenza di singoli credenti e di comunità.Concludo con alcune notizie veloci: le 8 foranie sono state ridi-mensionate a 3. La forania di Alghero con il vicario foraneo don Raffaele Madau,Macomer con don Battista Mongili e don Mario Natalino Pirasper Bosa.

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�Ogni qualvoltariusciamo ad usciredall’individualismo, a fuoriuscire dal nostropiccolo mondo questo èun episodio diresurrezione

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Queste foranie avranno dei piccoli consigli foraniali, utili per esserecome cinghia di trasmissione di quello che in fondo sarà la pro-grammazione della Chiesa diocesana. Lo ripeto: non è tanto una stra-tegia pastorale quanto piuttosto un desiderio di camminare insieme. Questo vale anche per gli Uffici di curia. I direttori di Uffici di curiada quest’anno si raduneranno con frequenza mensile, il lavoro chebisognerà fare è proprio un lavoro di insieme, ancora una volta.Decadono, sono già decadute, tutte le commissioni e forse si cam-bierà qualche direttore d’Ufficio. Tutte le commissioni verranno ri-fatte a partire da competenze, a partire da sensibilità, a partire dadisponibilità. E queste commissioni evidentemente dovranno la-vorare, ecco perché a tutti chiedo la disponibilità su questo ver-sante. Come opera segno nella carità, ormai siamo a buon punto,vogliamo mettere in atto la ristrutturazione di quella che era la par-rocchia di San Paolo per creare la Cittadella della Carità. Stiamo tro-vando i fondi per fare questo tipo di lavoro, quindi portare lì laCaritas, ma non semplicemente la mensa o gli ambulatori o tuttoquello che ad essa afferisce, ma direi il luogo dove a livello dioce-sano ecclesiale viene espressa l’attenzione e la carità verso i poveri cheè l’altro elemento che il Papa nell’Evangelii Gaudium mette indi-spensabilmente a tema. Nel calendario, lo dicevo, ci sono tutte le date che possono interes-sare il cammino diocesano e ho scritto alcune righe introduttive sulsenso che può avere vivere il tempo qui ed ora come Chiesa locale.L’ultima notizia: abbiamo qui due giovani che sono presenti,Marco e Andrea, che entreranno al propedeutico, all’anno di pre-parazione prima di entrare, se lo decideranno, al Seminario regio-nale. Abbiamo don Manuel Petretto che è qui diacono e faràun’esperienza annuale in un oratorio della Diocesi di Bergamo,esperienza significativa in prospettiva appunto di attivare i nostrioratori. A Bosa stiamo riuscendo a far partire questa esperienza in-terparrocchiale oratoriana, e con l’aiuto di Dio tenteremo di farloanche ad Alghero. Abbiamo bisogno di persone che in qualchemodo facciano esperienze dense significative prima di metteremano in questo servizio. Al sesto anno sempre a Bergamo, perchénon siamo riusciti ad organizzarlo come vescovi a Cagliari, c’è Leo-nardo Idili di Villanova Monteleone che farà l’anno che ha fattodon Manuel a Bergamo. Ecco queste sono alcune notizie di famigliache possono essere utili.Inoltre il Convegno Ecclesiale dell’anno prossimo abbiamo decisonel Consiglio Presbiterale e nel Consiglio Pastorale diocesano dinon farlo a Settembre, ma di spostarlo a Giugno di modo che, conl’estate che segue, si possa già mettere in atto tutto il movimentoprogrammatico.

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Eccedere, senza misura, nell’Amore

Queste due giornate credo possano essere ben riassunte in ciòche la Parola di Dio nella seconda lettura, attraverso loscritto di Paolo ai Filippesi, dice appunto a quella cristia-

nità: “Comportatevi dunque in modo degno del Vangelo di Cri-sto”. Abbiamo voluto riapprendere in questi due giorni quali sonoper noi gli atteggiamenti per vivere il Vangelo degnamente, il Van-gelo di Cristo. Aver ascoltato e ri-flettuto insieme questa Parola checi è stata indirizzata da Papa Fran-cesco, ma a partire dalla nostra si-tuazione personale e comunitaria,ci da la possibilità di andare viada queste giornate con qualcosadi più chiaro su cosa significhiper noi comportarci in mododegno del Vangelo di Cristo, dellabuona notizia che è Gesù.Ognuno di noi porta certamentenel cuore un’indicazione che èpersonale e che il Signore ha vo-luto donare per portarla con noi.Ognuno di noi sa che c’è un ambito della propria esistenza dovequesto vivere degnamente il Vangelo di Cristo ha una sua lumino-sità, ma ha anche delle opacità.Vogliamo qui fare memoria e ringraziare il Signore per tutti questisegni dove questo “degnamente” possiamo riscontrarlo, leggerlo,gioirne insieme. La nostra Chiesa, come tutte le Chiese che sonosparse nella cattolicità, fa questa esperienza in se stessa: di averequesti eventi di resurrezione. Per noi vivere degnamente il Vangelo di Cristo è, in questo mo-mento, aprire il cuore - come ci ricorda il versetto allelujatico - e ac-cogliere la Parola del Signore. Cosa significa per ciascuno di noi, inquesto istante, accogliere la Parola che è Cristo? Cosa vuol dire perciascuno di noi vivere degnamente il Vangelo di Gesù? Il Signore tocca la nostra storia personale, c’è una biografia perso-nale che è irripetibile ed è dentro questo spazio che il Signore cioffre l’opportunità di fare l’esperienza della salvezza.

53Omelia della S. MessaDomenica XXV del Tempo OrdinarioAnno A

Padre Mauro Maria Morfino

OMELIA DELLA S. MESSADOMENICA XXV DEL TEMPOORDINARIO ANNO APadre Mauro Maria Morfino

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Le salvezza è uguale per tutti. La salvezza è diversa per tutti. Perchéil Salvatore, Dio che salva in Gesù, ci raggiunge lì personalmente inuna storia ed in un momento della nostra esistenza, che evidente-mente è solo nostro. Per questo dobbiamo ringraziare il Signoreperché è lui che si muove, che parla, che si fa prossimo a noi! Nonsiamo noi a farci la salvezza, come ci ha ricordato Papa Francesco,non siamo noi a costituirci questo evento salvifico. È lui che si faprossimo! Mi pare che questa pagina evangelica che ci viene do-nata in questa Domenica, venticinquesima del tempo Ordinarionel ciclo A, ci dice proprio questa prossimità divina. C’è un uomo, un vignaiolo, che va in giro per cercare i suoi lavo-ranti, ma ci sono delle cose che non tornano nei conti di una nor-male economia di datore di lavoro. Anzi, sono completamente fattisaltare. Che cos’è che viene fatto saltare? Parliamo innanzitutto dell’elemento della vigna. È tre settimane diseguito che le Scritture ci parlano con questa metafora della vigna.D’altra parte se ricordiamo il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni“Gesù si identifica come vite, il Padre è il vignaiolo e noi siamo i

tralci”. Questa metafora della vigna piace tal-mente tanto al Signore che oggi ci viene ripropo-sta un’altra volta. Quali sono le discrepanze cheritroviamo nell’economia di un padrone dellavigna, rispetto a quello che viene raccontato inquesta parabola? Innanzitutto la cosa più vistosaè che questo padrone non fa i suoi interessi, mafa gli interessi dei lavoratori, e già questa è unacosa stranissima. È evidente che quest’uomo che esce quattro volte,lo faccia la prima volta per andare a trovare lagente per lavorare alla sua vigna, la seconda rien-tra nei canoni, ma la terza e la quarta sono fuorimisura. Perché? Gli ultimi vengono chiamati alle5 del pomeriggio, il lavoro finisce alle 6, cosa en-trava a questo padrone per un’ora di lavoro? Luiè in perdita, è sciocco come padrone di una vignaa compiere un gesto di questo tipo, perché traun’ora finiranno! E allora? Cosa dice oggi questaparabola a ciascuno di noi? Noi nell’umano pro-cediamo per equità, Dio procede per eccedenzadi amore, eccedenza di gratuità, eccedenza di at-tenzione. Se questo però è l’atteggiamento di Dio

in Cristo, questo è l’atteggiamento di ogni ministro del Vangelo, diogni testimone del Vangelo. Ricevere il mandato catechistico, il mandato per essere testimoni diGesù, questa sera noi possiamo leggerlo soltanto in questa ecce-denza. Nessun saggio padrone che sta attento alla sua tasca e aisuoi conti, avrebbe chiamato alle 5 del pomeriggio per lavorare,operai da remunerare finendo il lavoro alle 6. Un padrone che fa gli interessi dei suoi salariati. Dove si è maivisto? È difficile pensarlo! Di fronte a questa eccedenza di atten-zione ed eccedenza di gratuità, viene fuori l’altra modalità, ovvero

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�Dio procede pereccedenza di amore,eccedenza di gratuità,eccedenza di attenzione.Se questo però èl’atteggiamento di Dioin Cristo, questo èl’atteggiamento di ogniministro del Vangelo, di ogni testimone del Vangelo

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la giustizia secondo i nostri criteri. D’altra parte il padrone avevaconcordato lo stipendio all’inizio della giornata. C’è quindi unalarghezza della giustizia del padrone che è giusto con coloro che,all’inizio della giornata hanno concordato per quello stipendio,ma eccede con quelli che sono chiamati un’ora prima della fine dellavoro. È evidente che ci troviamo di fronte a questo grande dono che il Si-gnore Gesù ci fa. Non brontoliamo anche noi come quelli che sonochiamati alla prima ora! La colletta iniziale oggi è molto bella, pen-sata a partire da questo Vangelo. In questa sovrabbondanza di gra-tuità dove Dio si dimostra nella sua verità di amore eccedente egratuito, di chi fa i nostri interessi, lui per primo è interessato ainostri interessi, molto più di noi stessi. L’invito come Chiesa è pro-prio questo: “non brontoliamo della bontà di Dio!”. Dio è ecce-dente per sua natura e non possiamo stare e testimoniare di luidentro la storia, se non con questa eccedenza, con questo amore insurplus che dev’essere presente nelle nostre relazioni, nell’annun-cio del Vangelo, nella testimonianza della vita cristiana. La verità diquesta persona è detta dalla stessapersona: “Sei invidioso che io siaeccedente? Sei invidioso che iosia buono?”. Dobbiamo ripeter-celo spesso. Talvolta un Dio delgenere ci da fastidio ed è quellostesso fastidio provato quandoGesù racconta la parabola delpadre buono e dei due figli, dacoloro che ascoltandolo nonsono d’accordo per la riammis-sione incondizionata del figlio acasa. “Al massimo - dicono -venga riammesso, ma da sala-riato! Come servo, ma non comefiglio!”. E qual’è la risposta di Dioper bocca di Gesù? Quando il fi-glio stesso sta per dire la frase preparata da lontano “Ho peccatocontro il cielo e contro di te! Non sono più degno di essere chia-mato tuo figlio!”, quando sta per dire “Trattami come uno dei tuoiservi”, ci sono nove verbi che il padre dice ai servi e non al figlio.Egli si rivolge loro dicendo “Restituitegli tutti i segni della figlio-lanza!”. Neppure quando il figlio chiede di andare tra i servi, ilpadre decide per questa opzione, perché il figlio resta sempre fi-glio! Ecco l’eccedenza dell’Amore.Come annunciatori e testimoni del Vangelo, questa è la misura: ilnon avere misura! Eccedere nell’Amore. Questa è l’unica cosa chea noi compete per annunciare il Vangelo, per testimoniare il Van-gelo. Ecco perché nella prima lettura, dal libro del profeta Isaia,viene riportata quella espressione dove di Dio viene detto “I mieipensieri non sono i vostri pensieri. Le vostre vie non sono le mievie. Oracolo del Signore”. Sapete che quando c’è questa espressione“Naum Adonai”, è come ci fosse il sigillo: è Dio che sta parlando di-

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rettamente e non è più il profeta. E Dio dice “Le mie vie non sonole vostre vie” e le pagine del Vangelo ci dicono in cosa distano que-ste vie: nell’eccedenza dell’amore. Una comunità è cristiana nellamisura dell’eccedenza dell’amore. Uno è ministro e servo del Van-gelo nella misura dell’eccedenza dell’amore. Non possiamo essere

gelosi o invidiosi che Dio siabuono! Anzi, nella persona diGesù questa bontà di Dio ci vienedonata e noi stessi diventiamoeventi di misericordia quando ec-cediamo nella pazienza, nella be-nevolenza, nel dire bene deglialtri, nel perdonare, nell’acco-gliere, nella cura, nell’acco-glienza, eccediamo... eccediamo...eccediamo. Allora si è cristiani ed è evidenteche la Chiesa di Gesù brilla, parlaed è luminosa anche senza fare

nessun gesto eclatante. È lui oggi dentro la storia! Chiediamo al Si-gnore, per ciascuno di noi, questa eccedenza dell’Amore. Chiedia-molo davanti a Lui, che si rivela nella persona di Gesù di Nazareth,di non essere invidiosi perché Dio è buono anche perché, primadi tutto, è stato buono con me.

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57Indice

Presentazione Il tempo della semina gioiosa nelle nostre comunità p. 5

IntroduzioneContinuiamo il nostro cammino alla luce della Parola » 7Padre Mauro Maria Morfino

Incontro di Mons. Maurizio Gervasoni con il clero diocesanoUn programma pastoraleImparare a credere dal fare e dall’agire pastorali » 8

Relazioni

La grande sfida dell’Evangelii Gaudium » 11Mons. Maurizio Gervasoni

Una riflessione teologica sull’Evangelii Gaudium » 22Mons. Maurizio Gervasoni

Evangelii Gaudium: la riflessione spirituale » 30Mons. Maurizio Gervasoni

Una Chiesa sinfonica grazie ad un noi ecclesiale » 39Padre Mauro Maria Morfino

Omelia della S. Messa » 53Padre Mauro Maria Morfino

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2014Grafiche Peana - Alghero

Via La Marmora, 62 Tel. 079.975112 - 079.5906352

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