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CHIMICA E GUERRA UNA “SOLUZIONE” PERFETTA · CHIMICA E GUERRA, UNA “SOLUZIONE” PERFETTA Le cause Fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra questi si è dovuto districare

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CHIMICA E GUERRA,

UNA “SOLUZIONE” PERFETTA

Le cause

Fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra questi si è dovuto districare in modo tale da essere

all’apice e non alla base della piramide alimentare ed è proprio da ciò che fu ispirata la massima

latina “mors tua vita mea” che al contempo insegna e fa riflettere quanto l’uomo abbiamo

combattuto contro gli animali e contro i suoi simili per ottenere il predominio. Certo, nel corso del

Storia

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tempo molta acqua è passata sotto i ponti e, parallelamente, è andato aumentando lo sviluppo del

genere umano con il conseguente affinarsi delle tecniche belliche.

Gli albori

Nonostante la finezza degli strumenti faccia sì che molti ne attribuiscano la loro introduzione in

tempi relativamente recenti, in realtà per risalire al primo utilizzo delle armi chimiche si deve

guardare al 10000 a.C. quando nel Sudafrica, alcune popolazioni, precorrendo i tempi, facevano

abbondante uso di frecce imbevute di neurotossine (ottenute dal veleno di scorpione) nella caccia

all’antilope. Naturalmente in questo caso lo scopo principale era la caccia di sussistenza ma con il

passare dei secoli, e l’accentuarsi nell’uomo della voglia di prevalere sulle popolazioni limitrofe, si

giunse alla sperimentazione di armi ancora più subdole su “cavie” umane. Emblematici in questo

senso sono gli esempi che si possono trarre dalla lettura di scritti cinesi che parlano di «nebbie

cacciatrici di uomini» usate per sedare assedi o rivolte; espediente ripetuto con successo anche

presso gli spartani, i romani ed i bizantini che lo usarono rispettivamente contro ateniesi, sasanidi

e arabi.

Il “Rinascimento” delle armi chimiche

Dopo i periodi e le azioni sopra citate

l’utilizzo delle armi chimiche subì una

relativa pausa nel medioevo; fin quando,

nel rinascimento, il genio per antonomasia

di questo periodo, ossia Leonardo da Vinci,

non ne ipotizzò un ritorno in auge come

valido strumento nelle battaglie navali.

Purtroppo o per fortuna, alle parole di

Leonardo non seguirono i fatti anche se

diedero comunque l’impulso al riutilizzo

delle armi chimiche ed alla scoperta di nuove come quelle a “gas asfissiante”. Da questo periodo in

poi, l’acuirsi dei conflitti tra le nazioni fece si che se ne facesse un uso sempre maggiore e sempre

più su vasta scala fino a giungere al loro periodo di massimo utilizzo…

L’esperienza di Ypres

Fu infatti il cosiddetto “secolo breve” a far registrare il crescere esponenziale delle armi chimiche e

se nei giorni di Natale del 1914,all’alba del primo conflitto mondiale, le fazioni opposte si

concessero una breve tregua ed andando oltre il colore delle uniformi mangiarono assieme e si

scambiarono doni; ciò non fu più possibile negli anni seguenti a causa dell’odio e

dell’indignazione che provocò il propagarsi della notizia dell’uso delle armi chimiche derivata per

l’appunto dai fatti di Ypres…

Era il 22 aprile 1915 ad Ypres , piccola cittadina sul fronte belga e, come in quasi tutta Europa,

anche qui si stavano consumando degli scontri: in questo caso tra Francesi e Tedeschi. Eppure

questa data segna una data chiave nell’utilizzo degli agenti chimici perché fu quella la prima volta

in cui venne usato il gas mostarda. Il gas in questione essendo liposolubile penetra in profondità

nello spessore della cute ed a causa della sua alta corrosività provoca dall’interno devastanti e

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dolorosissime piaghe che uccidono il soggetto in modo estremamente doloroso. La fanteria

francese nulla potè contro l’impiego del gas da parte dei tedeschi ed il tutto si risolse con una

strage tanto cruenta da far chiamare dal quel momento in poi il gas, iprite, in nome del luogo della

sua prima carneficina. Nonostante ciò a causa del suo potenziale strategico negli anni successivi

non ne venne limitato l’utilizzo ma anzi lo si aumentò fino a farlo diventare, negli anni della

guerra fredda, uno dei cardini delle strategie del terrore di entrambe le fazioni.

Contemporaneità

E fu proprio il crollo dell’unione sovietica a dare la possibilità ai suoi stati “compagni”, sebbene le

loro possibilità economiche e tecnologiche non lo permettessero, di acquisire armi chimiche e

batteriologiche. Si noti però come mentre allora gli ordigni vennero comprati per scopi difensivi, i

passati capi di stato mai avrebbero pensato che in seguito si sarebbero dovuti preoccupare di

disordini interni sempre più pressanti. E’ questo il caso della Turchia ed è ormai sotto gli occhi di

tutti come lo Stato se ne sia servito contro i suoi stessi cittadini. Ad oggi si sta prendendo

conoscenza del problema e si sta tentando di porvi rimedio mediante trattati ed organizzazioni

come quella per la proibizione della armi chimiche (Opac) anche perché, grazie ai nuovi media,

anche le popolazioni ne invocano a gran voce la distruzione. Nonostante ciò però, soprattutto negli

stati a regime totalitario, continuano a persistere ingenti quantità di ordigni chimici e solo il tempo

darà modo di vedere se verranno usati o meno…

PAOLO VIAFORA IV E

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Un “quasi” grande felino

Il gatto, pantera in miniatura tra le mura di casa

Il gatto domestico (Felis catus) è uno degli animali da compagnia oggi più diffuso ed amato, sia

per la sua indole al contempo amichevole ed indipendente, sia perché lo si considera un animale

da salotto che sporca poco e non dà molti problemi, sia perché può essere lasciato da solo per gran

parte della giornata ( occupata dalla nostra vita sempre più frenetica). Ma, se li si osserva meglio, i

gatti hanno corporatura, atteggiamenti e comportamenti molto simili a quelli dei loro “cugini” più

grandi: leoni, tigri, leopardi, giaguari e così via.Quando il nostro “micio” di casa caccia un animale,

che sia un insetto, un passero, un topo o un geco, attacca la preda di soppiatto, flettendo le zampe

anteriori e posteriori, allungando il corpo e drizzando la coda, e, quando vi è abbastanza vicino, si

lancia su di essa colpendola alla testa o al collo, al fine di romperne la spina dorsale, oppure alla

giugulare, in modo da impedirle di respirare, e tiene ferma la presa sulla preda finché questa non

muore, così come fanno i leoni a caccia di zebre o bufali, le tigri a caccia di cervi e i leopardi a

caccia di impala.Il leone (Panthera leo) è l’unico felino selvatico che vive in gruppi organizzati

intorno all’attività delle femmine, le quali hanno i compiti di cacciare e prendersi cura dei piccoli.

Un’organizzazione simile è propria dei gatti, che originariamente erano felini solitari, ma poi, nelle

Natura

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strade delle nostre città, hanno dato vita per necessità a gruppi anche grandi i cui membri sono

accomunati da legami parentali, ed è

proprio per rinsaldare i legami tra i

membri del gruppo che i nostri gatti si

cimentano nelle cosiddette “fusa”, che

molti proprietari adorano.Un altro

comportamento proprio del gatto, grazie

al quale riesce a sfuggire ai pericoli ed a

catturare i volatili, è quello di

arrampicarsi su alberi e sporgenze,

comportamento che ha in comune con i leopardi (Panthera pardus),i quali, arrampicandosi sugli

alberi di acacia delle savane africane o delle foreste indiane, riescono ad avventarsi dall’alto su

ignare gazzelle o impala ed a mettere al sicuro le loro prede dai più grandi leoni e tigri o dalle iene.

Allo stesso modo si comportano anche i puma (Puma concolor).Caratteristiche anatomiche che

accomunano i gatti e i grandi felini sono: le vibrisse, importanti per la percezione delle prede e

degli oggetti circostanti, in particolar modo di notte; il pene munito di spine, che rende

l’accoppiamento molto turbolento e doloroso per le femmine; e gli artigli retrattili, ritratti a riposo

e sguainati quando il felino si avventa sulla preda o combatte per assicurarsi il dominio sul

territorio e sulle femmine. Altra caratteristica peculiare dei gatti, così come degli altri felini, è

l’ottima visione notturna, dovuta ad un tappeto lucido di fibre di guanina posto dietro la retina che

riflette anche la minima luce presente durante la notte. È per questo che i gatti cacciano e sono

molto attivi di notte, così come i leoni ed i leopardi, che preferiscono cacciare dopo il tramonto

poiché hanno un consistente vantaggio visivo sulle loro prede, per la maggior parte ungulati, che

non vedono bene di notte; ed è per lo stesso motivo che gli occhi dei nostri “mici” durante la notte,

se illuminati, brillano.Così come tutti i grandi felini, tranne le tigri ed i giaguari, anche i gatti

odiano l’acqua e vi si avventurano solo in caso di necessità, per esempio per catturare una preda lì

rifugiatasi, ed è per questo che è così difficile far loro il bagno. Inoltre, così come per tutti i grandi

felini, tranne che per i leoni, sono le mamme gatto ad occuparsi della cura e del mantenimento dei

propri piccoli, poiché i padri abbandonano la madre subito dopo l’accoppiamento. Dopo circa 65

giorni di gestazione, la gatta partorisce in media 4 gattini, che nascono ciechi e con striature che poi

spariscono con la crescita, caratteristica comune a molte specie feline, come ghepardi e puma.

Durante gli spostamenti, le gatte, così come tutti gli altri felini, trasportano i piccoli prendendoli

dalla collottola, cosa che i gattini trovano molto rilassante. La madre insegna ai piccoli a pulirsi e a

cacciare e dopo 8-12 settimane essi, ormai autonomi, si rendono indipendenti.Ciò detto, possiamo

affermare che i nostri “mici” di casa sono molti più selvaggi di quanto non sembri, perciò

cerchiamo di tenerli d’occhio con maggiore attenzione!

Francesco Guarascio IV A

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I malati di Alzheimer: i Benjamin Button di neurologia

Si

può diagnosticare con sicurezza solo post mortem con una biopsia del cervello, riguarda otto

ambiti cognitivi e una nuova famiglia ogni 7 secondi, affetta dalla malattia tanto quanto il paziente

stesso che è totalmente dipendente dall'aiuto esterno. É l'Alzheimer, una malattia degenerativa

invalidante che comporta una sempre maggiore perdita di autonomia da parte del paziente di cui

ci si deve prendere cura come un bambino, talvolta, però, irascibile e aggressivo.

Secondo gli studiosi, questa malattia é dovuta all'accumulo di una proteina neurotossica, la beta-

amiloide, la quale si deposita tra i neuroni e ingloba, come un collante, placche e grovigli

neurofibrillari questo é associato ad una diminuzione di un neurotrasmettitore, ossia di una

sostanza che veicola le informazioni tra i neuroni, detta acetilcolina. I neuroni, a partire da quelli

dell'ippocampo, impossibilitati a trasmettere ad altre cellule gli impulsi nervosi, muoiono,

provocando un'atrofia progressiva del cervello.

Tutto ciò, porta a livello macroscopico ingenti cambiamenti a livello comportamentale. I malati di

Alzheimer iniziano con il non ricordarsi di eventi recenti, il che, poiché riguardante delle persone

in età avanzata, potrebbe sembrare di poca rilevanza;poi si inizia con lacune mnemoniche più

gravi, si inizia a non riconoscere qualche amico che si vede di rado, a disinteressarsi del

giardinaggio o di qualche hobby che prima si faceva frequentemente e si finisce per diventare

ripetitivi. Anche qui, colpa della vecchiaia. Poi però si inizia ad essere disorientati, a non ricordare

Salute

Salute

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che periodo si sta vivendo, si diventa irascibili o improvvisamente tristi, l'umore non è più sotto

controllo e il comportamento che si assume é decisamente inusuale; ci si mette più tempo a

vestirsi, a preparare la colazione, fin quando è possibile, ma quando la beta-amiloide continua ad

inglobare neuroni, non si è più nemmeno capaci di ricordarsi di mangiare, né capaci di farlo in

autonomia. Non ci si ricorda dei propri cari, degli amici, dei compleanni, la vita sembra un

continuo flashback e si vive in un tempo ormai passato, si rievocano situazioni che sembrano

incredibilmente vivide eppure sono così anacronistiche. Non è più la vecchiaia, é Alzheimer.

Oggi la diagnosi prevede un'esclusione di tutti gli altri tipi di demenza attraverso analisi con

metodi invasivi (si preleva il liquido cerebrospinale e si misurano i livelli di proteine amiloidi beta

e tau), oppure, ugualmente molto costosi, si prevedono metodi meno invasivi come la risonanza

magnetica o la PET che consentono d'individuare i segni di infiammazione o le placche amiloidi

che rappresentano i segni caratteristici della malattia, e che di solito vengono individuati post

mortem durante l'autopsia. La diagnosi non lascia speranze, almeno finora: non vi sono cure certe

per l'Alzheimer; gli unici farmaci esistenti servono a limitare i sintomi, più che a curare la malattia.

Questi agiscono sull'enzima che metabolizza l'acetilcolina, inibendolo, e rendendo il

neurotrasmettitore più disponibile. Hanno un effetto limitato, in quanto, quando i neuroni

colinergici degenerano del tutto, l'azione dei farmaci si perde.

Da studi sempre più avanzati, sono state inventate tecniche per limitare l'irascibilità e lo stato di

ansietà del paziente.

Per i pazienti più gravi, infatti, in

Olanda é stata studiata la "terapia del

treno", adatta per coloro che non

riescono ad accettare gli spazi chiusi

e che manifestano un desiderio di

fuga. Ad essi si offrono illusioni di

un viaggio verso casa, simulando

una stazione ferroviaria imitandone

immagini, suoni e sensazioni che

stimolano emozioni sepolte e

riattivano i processi della memoria.

Dalla Svezia, invece, una bambola di

pezza, Empathic Doll, contenente un

dispositivo che riproduce il battito

cardiaco e degli impacchi profumati,

sollecita gli stimoli sensoriali e la

voglia, nel paziente di voler accudire

qualcuno, tornando indietro nel

tempo e rispolverando istinti

infantili.

Limitare i danni: questo é il risultato

massimo che si può raggiungere mediante queste soluzioni, non si cura la malattia, non si salva da

una morte in stato inconsapevole.

Eppure, la scienza sembra farci ben sperare in una prospettiva che fino a qualche tempo

fa sembrava fantascienza: cura e diagnosi precoce del'Alzheimer. Un'equipe dell' Università di

Rochester ha pubblicato su "Nature Medicine" il risultato di una nuova ricerca per la diagnosi

precoce dell'Alzheimer. Secondo questi studi, un prelievo sanguigno e la misurazione dei livelli di

10 fosfolipidi possono individuare con una precisione del 90 per cento se una persona

cognitivamente normale svilupperà i sintomi di demenza, tipici della malattia di Alzheimer, nei

due o tre anni successivi. Questi marker biologici, nella fase preclinica, offrono le informazioni

necessarie per sviluppare nuovi approcci terapeutici o per un'efficace prevenzione.

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Oltre che di prevenzione, però, nell'Università della Florida si parla di cure. Molto discusse, sia sul

piano etico che su quello scientifico: l'utilizzo delle cellule staminali mesenchimali, cellule adulte,

immature ed indifferenziate che hanno la possibilità di differenziarsi in situ sia in neuroni che in

cellule gliali, per riparare il tessuto danneggiato dall'assenza di acetilcolina e dall'azione della beta-

amilasi. Condotta su individui animali, la ricerca ha previsto il trapianto di cellule staminali e

cellule nervose all'interno di un composto molecolare con lo scopo di riprodurre i neuroni morti.

Anche se ancora in via di sperimentazione, questi studi potrebbero finalmente dare la speranza di

curare una malattia che sta avendo effetti deleteri soprattutto sociali ed economici. Oltre a

richiedere enormi sacrifici di tempo e dedizione, la cura per il malato è estremamente dispendiosa,

nonostante ciò, la ricerca per questa malattia continua ad essere sotto finanziata e migliaia di figli

si ritrovano in casa persone che hanno perso completamente la loro personalità e che assomigliano

solo fisionomicamente ai genitori che, qualche tempo prima li accudivano esattamente nel modo in

cui vorrebbero, adesso, essere accuditi.

Maria Rosa Pellico IVH

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L’uomo: sintesi di scienza e coscienza

« Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me »

(Kant, Critica della Ragion Pratica)

L’era della “vita artificiale” si fa più vicina? Una simile espressione non può che spaventare ma è

effettivamente così. La ricerca scientifica ha oggi a disposizione strumenti che permettono a

ricercatori e scienziati di interagire tra loro a chilometri di distanza, scambiare idee restando a due

diversi capi del mondo facendo uso di potenti strumenti di analisi, sperimentazione e calcolo per i

propri studi e ricerche. La scienza desta da sempre l’interesse e la curiosità di tutti, a partire dai

bambini la cui esperienza è vera e semplice in quanto questi cominciano ad approcciarsi al mondo,

vivo e dinamico in cui vivono e lo fanno con la purezza che è propria dell’individuo che non

conosce e che attraverso i sensi, il proprio corpo e la propria mente apprende interagendo con le

cose e con le altre persone. Il codice della vita ha la forma di una doppia elica che prende il nome

di DNA, costituita a sua volta da quattro piccoli mattoncini: le basi azotate (adenina, timina,

citosina, guanina). E’ su di esso che studiano ricercatori e uomini di tutto il mondo, i quali, dai loro

più o meno piccoli, più o meno attrezzati laboratori, portano avanti le proprie iniziative/battaglie

silenziosamente per poi magari riuscire a cambiare radicalmente il modo di approcciarsi alle più

Enti di ricerca/Salute

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diverse cose della vita, della natura. Le ultime scoperte inerenti al DNA e alla “vita artificiale” di

cui tanto si parla provengono dagli Stati Uniti dove nei laboratori dello Scripps Research Institute

Denis Malyshev, autore della ricerca e Floyd E. Romesberg, guida del team di ricerca, hanno

ottenuto il primo batterio di Escherichia Coli che presenta un “DNA potenziato” difatti esso

presenta ben sei basi azotate. Ma quali le effettive applicazioni di un simile risultato? Si parla di

nuove biotecnologie ma l’unica certezza in nostro possesso è che il processo che porterà a concrete

applicazioni nella vita di tutti i giorni è sicuramente lungo e imprevedibile. Nel campo della

genetica questo tipo di studio non è poi così nuovo. Da decenni si cerca di “ingannare” il DNA e i

meccanismi che ne regolano la duplicazione con l’obiettivo di poterne sfruttare le potenzialità

nascoste. La rivista Nature che ha riportato la notizia dei risultati del lavoro del team di

Romesberg ha catturato l’attenzione di molti per questo tipo di studio che si svolge in tutto il

mondo ormai da tempo. Come in tutte le cose il processo che porta al conseguimento di

interessanti risultati è sempre estremamente complesso e presenta più tappe e diversi ostacoli di

carattere tecnico ma anche etico. L’applicazione di una tale ricerca riguarda principalmente il

campo medico: si parla infatti di “terapia genica” per il trasferimento del DNA nella cura o nella

prevenzione di malattie. Un tempo le terapie geniche prevedevano l’inserzione casuale dei geni nel

DNA ma ciò provocava diversi problemi tra cui l’attivazione di proto-oncogeni, principali

responsabili dello sviluppo tumorale, la cui proliferazione accentuava la probabilità che lo

sviluppo di una cellula portasse alla comparsa di un tumore. Oggi l’uomo ha sicuramente un

maggiore controllo su ciò che accade nella cellula, l’inserimento del DNA non è più casuale e

questo è un grande vantaggio. Attraverso vettori virali si veicolano i frammenti di DNA creati in

laboratorio nelle cellule bersaglio. La più grande difficoltà è stata proprio creare basi azotate che

riuscissero a ingannare i sistemi di controllo del DNA (meccanismi di checking) in modo tale da

non essere riconosciute come estranee diventando quindi parte integrante della catena e

partecipando alla duplicazione. I vantaggi della creazione di batteri semisintetici sono diversi. Il

controllo che l’uomo può avere sull’attività del batterio semisintetico è sicuramente uno di questi

vantaggi in quanto questo controllo è nettamente superiore a quello che l’uomo può avere

sull’attività di un qualsiasi altro batterio che presenti un genoma naturale. Il secondo vantaggio,

che non è assolutamente secondario in termini di importanza, è sicuramente quello economico. Le

capacità che questi batteri possiedono sono potenzialmente infinite. Pensando trasversalmente si

giunge a parlare della creazione di nuovi combustibili o anche di nuovi metodi di degradazione

definitiva delle plastiche. In definitiva il vantaggio ambientale, accanto a quello terapeutico, è

fondamentale. Viviamo in un mondo complesso che presenta problematiche di vastissima portata;

il ricercare nuove strade è un dovere dell’uomo di scienza nei confronti di se stesso e dell’ambiente

in cui vive. L’uomo deve però far uso della sua intelligenza in modo responsabile, nel rispetto di se

stesso, della sua coscienza e del pianeta che lo ospita guidato dalla legge morale anche se con gli

occhi rivolti sempre verso il cielo.

Chiara Torchia, Martina Donato. Paolo Viafora. Elena Carbone IVE