4
29 OTTOBRE 2011 D 47 CHE COSA MI STAI VENDEN- DO? H a iniziato 15 anni fa, inventandosi magliet- te con disegni hip per chi partecipava ai corsi di inglese, design e arti visive che organizza- va in azienda. Poi è passato a ca- taloghi-magazine dai titoli spiaz- zanti come Revolution o So Be- yond, apprezzatissimi da fotografi e art director. La sua impresa più folle? Passare la notte a tappezza- re una zona di New York di graffiti con la scritta: “Leave Your Mark”. Era il titolo di una sua pubblica- zione, ma pochi hanno fatto il col- legamento. «Però mi sono diverti- to come un matto». Abramo Manfrotto, 45 anni, non è uno stunt-man della comuni- cazione e non sta tentando di vendere jeans o sneakers super cool, ma arredi in alluminio per negozi. Malgrado la spensiera- tezza del suo ceo, la sua azienda ALU (nata 25 anni fa come co- stola della Manfrotto, quella del- l’iconico cavalletto fotografico) è leader del settore. Manfrotto è, semplicemente, uno degli imprenditori che oggi scel- gono di comunicare facendo cul- tura, spesso eclissandosi comple- Sulla rivista MiND, voluta da Abramo Manfrotto di ALU, scatti d’autore (come questo, di René & Radka), progetti artistici, considerazioni culturali. In futuro MiND si evolverà in un hub online con contributors da tutto il mondo. Sotto, Autopole, il prodotto di punta ALU: un sistema per esporre abiti e oggetti. NUOVO MARKETING Contaminazioni, cultura, altri generi. Ora per promuovere una lampada serve mostrare tutt’altro. Ecco le strategie aziendali di chi non punta sul logo di L.T.

CHE COSA MI STAI VENDEN- DO?...azienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a uno di 30 milioni di euro. Il successo del suo marchio non è misurabile solo in termini

  • Upload
    others

  • View
    0

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: CHE COSA MI STAI VENDEN- DO?...azienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a uno di 30 milioni di euro. Il successo del suo marchio non è misurabile solo in termini

29 OTTOBRE 2011 D 47

CHE COSA MI STAI VENDEN-DO?

Ha iniziato 15 anni fa,inventandosi magliet-te con disegni hipper chi partecipavaai corsi di inglese,

design e arti visive che organizza-va in azienda. Poi è passato a ca-taloghi-magazine dai titoli spiaz-zanti come Revolution o So Be-yond, apprezzatissimi da fotografie art director. La sua impresa piùfolle? Passare la notte a tappezza-re una zona di New York di graffiticon la scritta: “Leave Your Mark”.Era il titolo di una sua pubblica-zione, ma pochi hanno fatto il col-legamento. «Però mi sono diverti-to come un matto». Abramo Manfrotto, 45 anni, nonè uno stunt-man della comuni-cazione e non sta tentando divendere jeans o sneakers supercool, ma arredi in alluminio pernegozi. Malgrado la spensiera-tezza del suo ceo, la sua aziendaALU (nata 25 anni fa come co-stola della Manfrotto, quella del-l’iconico cavalletto fotografico) èleader del settore.Manfrotto è, semplicemente, unodegli imprenditori che oggi scel-gono di comunicare facendo cul-tura, spesso eclissandosi comple-

Sulla rivista MiND,voluta da Abramo

Manfrotto di ALU, scattid’autore (come questo,

di René & Radka),progetti artistici,

considerazioniculturali. In futuro MiND

si evolverà in un hubonline con contributors

da tutto il mondo.Sotto, Autopole, il

prodotto di punta ALU:un sistema per esporre

abiti e oggetti.

NUOVO MARKETINGContaminazioni, cultura, altri generi. Ora perpromuovere una lampada serve mostrare tutt’altro.Ecco le strategie aziendali di chi non punta sul logodi L.T.

Page 2: CHE COSA MI STAI VENDEN- DO?...azienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a uno di 30 milioni di euro. Il successo del suo marchio non è misurabile solo in termini

Don

ata

Clo

vis

Il MetropolParasol di J.

Mayer H.Architects in

Plaza de laEncarnación, a

Siviglia.L’immagine fa

parte del catalogodella mostra su

Rudolf Steiner alVitra Design

Museum. Sotto, laTipTon Chair diBarberOsgerby

per Vitra. Inbasso,

l’installazioneLuce, Tempo e

Luogo di Toshibaal Fuori Salone2011 e il tabletFolio 100 della

stessa azienda.

tamente in quanto logo o marchio.Il catalogo tradizionale? «Serve ece l’abbiamo. Ma che noia». L’on-nipresenza del marchio? «Supera-ta». Tant’è che il prodotto comuni-cativo di più grande impatto rea-lizzato da ALU è una rivista,MiND, dove si parla di arte, de-sign, creatività a tutto tondo. Il no-me dell’azienda è sepolto nel colo-phon, dopo redazione e publisher(che poi è quello che realizza an-che la bella rivista olandese Fra-me). Il lettore, insomma, non col-lega MiND all’azienda vicentina.Un esempio? «Vittorio Radice (adRinascente)», dice Manfrotto,«che dopo anni di (ignorato) cor-teggiamento mi chiama nel suoufficio. La persona che cercavaera la mente dietro MiND: nonaveva idea che fossimo un’azien-da che produce arredi per il re-tail». Un bell’insuccesso, in termi-ni di marketing tradizionale. Inve-ce, Manfrotto è uscito dalla riunio-ne rinvigorito. «Il business oggi sifa per affinità elettive. Radice nonha deciso di servirsi di ALU macerto non si dimenticherà di noi!».Un imprenditore cresciuto a panee Naomi Klein (autrice del celebresaggio No Logo)? Forse un’intera

generazione, visto che Manfrottonon è il solo a ritenere che farecultura no logo sia quasi un impe-rativo categorico per le aziende.Basti pensare al caso editorialedell’ultimo anno e mezzo, la rivista(libro?) Inventario. 160 pagine(realizzate con l’editore cult Cor-raini) per ispirare, informare, ap-profondire la teoria del direttoreBeppe Finessi: «Tutto è progetto».E niente è logo, dato che chi effet-tivamente sovvenziona questaproposta intellettualmente densaè l’azienda di illuminazione Fosca-rini di Carlo Urbinati e AlessandroVecchiato. Che, a onor del vero,da sempre fa cultura (per esem-pio sponsorizzando la Biennaled’Arte di Venezia), ma che nonera mai arrivata a “scomparire”da un’operazione comunicativa.«Quando Beppe ci ha descritto lasua visione abbiamo capito che sitrattava di un progetto ambizioso,che avrebbe potuto andare lonta-no», racconta Urbinati. «Ma perfare questo, dovevamo uscire. Inoperazioni passate avevamo scel-to di essere presenti solo sottovo-ce. Qui, invece, non ci siamo pro-prio. Del resto, saper capire quan-to esserci o quale distanza pren-

«Il catalogo tradizionale? C’è,ma che noia. L’onnipresenza delmarchio? Superata. Megliolavorare per affinità elettive»

Page 3: CHE COSA MI STAI VENDEN- DO?...azienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a uno di 30 milioni di euro. Il successo del suo marchio non è misurabile solo in termini

dere, se necessario, da un proget-to perché si sviluppi meglio, ciguida in generale nel nostro lavo-ro». A che cosa serve tutto que-sto? Di sicuro non a vendere piùlampade. «Tutto è progetto, dice ilsottotitolo: perché crediamo nellacreatività diffusa. Inventario ci co-sta, ovviamente, e il suo impattopratico non è quantificabile. Maper mettersi in contatto con lenuove idee è necessario entrarenel mondo dei pensieri. Non c’èbisogno di gridare con loghi opubblicità, chi segue Inventario sache è una nostra iniziativa e ap-prezza il nostro non esserci».In Vitra, produttore di arredi cult,da Jean Prouvé agli Eames, que-sto approccio è quasi storia: dal1989, infatti, il Vitra Design Mu-seum produce cultura attraversomostre slegate dal contesto pro-duttivo dell’azienda svizzera (at-tualmente ce n’è una su RudolfSteiner, fino al 1 maggio 2012).Ma ora la schiera delle aziende il-luminate e silenziose cresce. C’èla giapponese Toshiba, che si pre-

senta al Fuori Salone con meravi-gliose installazioni sensoriali, incui la tecnologia si trasforma in unmezzo per trasmettere un’emozio-ne. O l’italiana Brix, che conBYRSLF propone happening, co-me la performance artistico-con-cettuale pensata con il duo di gio-iellieri sui generis Vernissage Pro-ject. Certo i passanti attratti nelloshowroom di Brix dalle sperimen-tazioni vocali di coriste in abiti go-tici, non avevano idea di entrare inuno spazio pensato per venderepiastrelle super firmate. Cose perricchi? «Assolutamente no», diceMassimo Nadalini, marketing ma-nager di Brix. «BYRSLF è un’ope-razione low budget per la qualescegliamo nomi nuovi che ci piac-ciono». Concorda Francesco Mai-nardi, direttore della filiale italianadi Santa&Cole (azienda spagnoladi arredi, lampade e libri), che daqualche mese organizza i DesignCircles, serate di dibattito (ideateda Patrizia Coggiola e Nemo Mon-ti) sui temi più svariati, legati allacultura del progetto. «ll rapporto

«Davanti a unprogetto editorialeculturalmentedenso,l’imprenditoredeve dare fiduciae defilarsi. Solocosì garantisce la libertà per andare oltre»

In alto, unmomento dellaperformance di

Vernissage Projectallo showroom di

Brix, a Milano, e il mosaico

Frammenti diClaudio Silvestrin.

A sinistra, lalampada Colibì di

OdoardoFioravanti per

Foscarini. Sotto,uno scatto di Max

Rommer cheinterpreta la

lampada Caboche;una copertina di Inventario.

Page 4: CHE COSA MI STAI VENDEN- DO?...azienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a uno di 30 milioni di euro. Il successo del suo marchio non è misurabile solo in termini

D 52

Ale

ssan

dro

Coc

o

costi-benefici è assolutamentevantaggioso. Abbiamo messo apunto con cura la formula e gra-zie a questa iniziativa instauriamoun dialogo con gli architetti, cioè ilnostro pubblico». Mainardi è cosìsoddisfatto che vuole estendere ilprogetto ad altre aziende (a no-vembre toccherà a Skitsch).L’idea che qualcuno possa soffia-re a S&C il podio dell’azienda in-telligente non lo preoccupa. Anzi.«Condividere idee e azione è ne-cessario. Non siamo più nell’erain cui l’orticello era dignitosamen-te sostenibile: adesso non c’è ter-reno che ti dia abbastanza damangiare se non esci dalla tuatorre d’avorio».«Il modello Castiglioni-Cassina,cioè il dio designer che sposa ildio imprenditore, è finito. È neces-sario individuare un nuovo para-digma per iniettare il nuovo nelleaziende: io credo nella creativitàdiffusa», dice Daniele Lago, da 6anni alla guida dell’omonimaazienda di famiglia, che ha tra-ghettato da un fatturato di 5 a unodi 30 milioni di euro. Il successodel suo marchio non è misurabilesolo in termini di vendite: i giovanidesigner, infatti, lo considerano un

mito. È lui che si è inventato l’Ap-partamento Lago, un’iniziativa percui chiunque può candidarsi onli-ne come tennant di un apparta-mento (che Lago arreda) e poi ge-stirlo come spazio per eventi cul-turali. E il Lago Studio, un soggior-no estivo nella sede dell’azienda aVilla del Conte (Pd), in cui giovanidesigner vengono invitati a creareil nuovo. «Ci scervelliamo per ave-re una personalità, più cheun’identità, concetto che trovo su-perato». Vero, ogni tanto al LagoStudio ci scappa il prodotto. Ma loscopo è un altro. «Il design perme non è solo una disciplina checrea oggetti. Lo considero piutto-sto una forma mentis, una spintapropulsiva da applicare in tutti isettori. Sogno un’azienda in cuitutti si confrontino ogni giorno conla creatività allo stato brado: dal-l’amministrazione alla produzio-ne». E il profitto? «È sempre loscopo di un’azienda, ovvio», conti-nua Lago. «In discussione non c’èil cosa ma il come arrivarci. Tifoperché l’Italia prenda il volo epenso che fare cultura possa por-tare a un nuovo paradigma. Il pro-fitto segue a ruota l’idea nuova.Purché sia rilevante».

«Tifo perchél’Italia prendail volo. Il profitto arriva semprecon un’ideanuova. Bastache sia davverorilevante»

L’opera dell’artistaTomas Saraceno

(sopra, il suoallestimento

alla Biennale ’09) è protagonista

dell’ottava edizione dei Dornbracht

InstallationProjects®,

promossidall’azienda

di rubinetteria (a lato, il loro

Deque). Sotto,l’AppartamentoLago e la sedia

Lastika.