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"Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove" (II Corinzi 5,17) don Mario Neva Che cosa dobbiamo fare? La vita nuova in Cristo - Bozza al 31.12.2006 - Corso di Teologia III Anno Accademico 2006-2007

Che cosa dobbiamo fare? La vita nuova in Cristo · come si preferisce dire oggi, ... ma anche all'opera di filosofi inglesi quali ... fare?, che cosa fanno tutti? che cosa non fanno

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"Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura;

le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove"

(II Corinzi 5,17)

don Mario Neva

Che cosa dobbiamo fare?

La vita nuova in Cristo

- Bozza al 31.12.2006 -

Corso di Teologia III Anno Accademico 2006-2007

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Introduzione

Appare in queste pagine la prima parte del Corso di

Teologia III dell’Anno Accademico 2006/2007.

La finalità tematica è quella di mostrare la morale

cristiana nel suo momento fondativo e originario.

Nelle Appendici si possono trovare approfondimenti e

sviluppi, con alcuni testi da me pubblicati in questi anni.

Il mondo senza cristianesimo e senza etica è destinato

all’estrema indigenza, all’ingiustizia palese, non

riconosciuta come tale.

don Mario Neva

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PRIMA PARTE

Che cosa dobbiamo fare?1

1 La domanda è formulata più volte e in diversi modi nella Scrittura. Cfr Ger 42,3; Gio 1,11; Lc 3,10; Lc 18,18 - Mc

10,17 - Mt 19,16; Gv 6,28; Lc 3,10; Atti 2, 37.

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1 Che cosa dobbiamo fare?

A) La domanda etica

1 Morale-etica

L’interrogativo che cosa dobbiamo fare? esprime in modo pieno la natura della morale o

come si preferisce dire oggi, dell’etica. I due termini, morale è di origine latina ed etica di origine

greca, in verità vogliono indicare la stessa ‘cosa’; essi infatti indicano il comportamento umano

quale dovrebbe essere, il comportamento caratteristico dell’essere umano in quanto umano.2

Per un contorcimento linguistico di cui sarebbe importante dare una spiegazione plausibile,

morale ha acquisito un significato tendenzialmente esteriore, negativo, proibitivo, ‘cattolico’,

mentre etica ha acquisito negli ultimi tempi una risonanza positiva, interiore, ed è termine preferito

da coloro che invocano il principio della responsabilità personale e si dicono laici.

2 Linguaggio effettivo - linguaggio affettivo

In un discorso come quello morale=etico non è certamente l’unico caso questo in cui noi

siamo quasi costretti a distinguere tra significato effettivo delle parole e loro significato affettivo.

Morale ed etica richiamano infatti un fitto campo semantico con innumerevoli variazioni sul tema e

di declinazioni storiche. Parole come libertà, amore, coscienza, legge, dovere, peccato,

educazione, ecc, possono essere usate con significati complessi o addirittura contrastanti. Non

meraviglia dunque che le proposizioni etiche, i precetti, le norme, le dottrine, i kantiani principi

della ragion pratica, siano stati sottoposti ad una critica fondamentale che ne ha proclamato talvolta

il sostanziale non senso3.

2 Uomo e donna naturalmente.

3 In particolare cfr la FILOSOFIA ANALITICA secondo cui è possibile affrontare i problemi filosofici solamente

analizzando il linguaggio utilizzato per formularli. La filosofia analitica si diffonde in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma

si ispira originariamente al Circolo di Vienna ed all'opera di Gottlob Frege, ma anche all'opera di filosofi inglesi quali

Bertrand Russell e George Moore. L’indirizzo mette in luce la stretta connessione fra linguaggio e pensiero in quanto

solo il linguaggio può chiarificare il pensiero. Si cerca con la chiarezza ed il rigore di eliminare falsi problemi e

confusioni fra regole linguistiche di contesti o livelli diversi. Questo orientamento filosofico caratteristico degli anni ’20

si basa sulla tradizione dell’empirismo inglese avvicinandosi al procedimento scientifico, anche nell’essere un lavoro

collettivo. Dagli anni ‘70, da analisi prettamente linguistiche si è passati anche a problemi di contenuto, con grande

attenzione alla dimensione pragmatica dell’agire razionale. Nell’etica si è riscoperto il tema delle virtù in chiave

antimetafisica.

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3 Riflettere e decidere

Questa semplice riflessione introduttoria ci obbliga a non essere ingenui nell’epoca

conclamata del nichilismo e del disincanto estremo, di quello che la Chiesa con la sua dottrina

etica da più di un secolo definisce come relativismo4; allo stesso tempo ci induce a non avere paura

delle parole. L’arte di definire, la fatica del concetto, sono passaggi inevitabili soprattutto per chi

siede sui banchi dell’Università. Gli unici strumenti di cui disponiamo per chiarire in che senso

sviluppiamo discorsi morali, sono la riflessione e il dialogo. Basterà dunque intenderci sull’uso del

linguaggio comune. Del resto non c’è autentica morale-etica senza lo sforzo personale di riflessione

e di decisione. Soprattutto non c’è giustizia, personale e collettiva senza profonda riflessione e

coraggio nella decisione.

4 Specifico dell’etica: morale oggettiva e morale soggettiva

La domanda che cosa dobbiamo fare? Si distingue da altre simili, del tipo: che cosa

possiamo fare?, che cosa è opportuno fare?, che cosa mi conviene fare?, che cosa mi dicono di

fare?, che cosa fanno tutti? che cosa non fanno gli altri?; ...per ognuna di esse sarebbe opportuna e

possibile una analisi. La frase che cosa dobbiamo fare riguarda il comportamento in un modo del

tutto singolare…la formula dobbiamo infatti indica la richiesta di sapere che cosa è giusto, è

doveroso, sarebbe necessario,…fare. Che cosa dobbiamo fare implica una valutazione di qualità, di

autenticità, di verità dell’agire, indica infine una assunzione di responsabilità, una presa di posizione

su ciò che è bene e su ciò che è male, l’azione che devo scegliere tra le altre. Il dobbiamo introduce

un criterio che supera la contingenza della situazione. Questo criterio di valutazione morale è

tecnicamente definito come oggettivo, degno cioè di essere preso in considerazione per il suo

valore intrinseco, e si distingue ovviamente da un semplice criterio empirico e relativistico che si

può definire come soggettivo. Per questo si parla di morale oggettiva e di morale soggettiva.

Comunque è innegabile che un fine presiede e governa, anche a nostra insaputa, come sottolineano i

maestri dell’inconscio e del sospetto, le nostre azioni. La confusione e la follia, il dubbio e l’errore,

fanno la loro apparizione quando l’azione è attivata contemporaneamente da diverse motivazioni

che sovente combattono tra di loro.

4 Al relativismo tradizionale di matrice sofistica secondo cui l’“uomo è misura di tutte le cose” segue oggi il

relativismo, che intende fondare una vera e propria etica umana ispirandosi a filosofie storicistiche, empiriche e

pragmatiche. Cfr “Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso. Non vi è alcuna

morale umana universale” (Oswald Spengler da Der Untergang des Abendlandes, I, 55). Da più di cento anni la Chiesa

risponde con determinazione, cfr l’enciclica Veritatis Splendor del 3 agosto 1993 e nella quale si legge “la risposta alle

domande fondamentali è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell'intimo dello spirito umano.”

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5 Fine e fine ultimo

Si può obiettare, in parte a ragione, che in realtà gli esseri umani navigano nel grande mare

dell’esistenza, come si suol dire, a braccio, senza porsi troppe domande5. Si osserva dunque che

difficilmente gli esseri umani si pongono il problema su che cosa ad ogni istante sia degno di essere

voluto o su quello che è degno di essere voluto in assoluto e quindi in grado di determinare e

orientare il valore di tutta la vita prima ancora che il valore delle singole azioni. L’adagio di natura

filosofico-aristotelica ripreso da san Tommaso d’Aquino secondo cui quisquis agit propter finem

agit (chiunque agisce, agisce per un fine)6 rimane pur sempre una verità universale e ovvia, perciò

inconfutabile. Ma perché ciò sia compreso e fatto proprio occorre la consapevolezza. Stiamo

dunque aprendo uno spazio elitario di riflessione? Oppure siamo semplicemente lontani dalla

mentalità corrente?

6 Esempi

Se qualcuno desidera laurearsi entro breve tempo deve compiere una serie di azioni coerenti

con questo fine. Per esempio studiare di più, evitare distrazioni, procurare gli appunti, frequentare

assiduamente, chiedere il titolo della tesi (per chi non l’avesse ancora fatto) ecc., a maggior ragione

se qualcuno di voi decide di sposarsi, cambiare il fidanzato, lavorare, cambiare casa, andare a

vivere, come si suol dire, da soli.. ecc. Un ultimo fine che orienta gli altri è sempre in qualche

modo presente nelle nostre azioni. Se decido di svaligiare un appartamento, azione molto più

complicata del laurearmi, anche se la mia azione è intrinsecamente cattiva, richiede una serie

complessa di scelte particolari, sia prima che dopo il furto. In questo senso chi agisce bene è

certamente più tranquillo. Anche il male ha i suoi fini e le sue azioni.

7 Ignavi e fine ultimo

La nostra trattazione sul fine diventa difficile con gli ignavi e gli irresoluti. Per costoro

Dante ha adottato una scelta radicale collocandoli nell’atrio dell’Inferno considerandoli addirittura

degni di nulla.

Chi ha compreso che Dio è il fine ultimo dell’esistenza è detto persona coerente quando

riesce a organizzare la sua vita alla luce della presenza di Dio, cercando di raggiungere via via

ogni fine particolare in grado di mettere in cammino verso il fine ultimo. Per esempio, se voglio

essere coerente e raggiungere Dio cercherò di amare tutte le persone che incontro in modo

5 Nei casi estremi per costoro vale il proverbio che dice: “ Se l’ammiraglio non governa la nave, gli ordini li dà il

cuoco…” . 6 Tommaso, Summa Theologiae, Ia-IIae q. 1-5. Su questo tema cfr le acute osservazioni di Amato Masnovo, uno dei

grandi maestri della Università Cattolica. La Filosofia verso la religione, Vita e pensiero, Mi, 1977.

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disinteressato, deciderò di amare i più deboli, farò di tutto per non ingannare nessuno, deciderò cosa

fare del denaro, mi batterò in modo coraggioso contro ogni forma di ingiustizia, perdonerò gli

eventuali nemici… ecc.

Infine ci si può chiedere: la domanda che cosa dobbiamo fare?, emerge dalla vita stessa, è

essa implicita in ogni cosa che facciamo, oppure si tratta di una domanda suscitata ad arte, in un

corso di teologia? Un grande argomento su cui riflettere e dialogare e per il quale nessuno ci può

sostituire, a maggior ragione questo scritto.

B) Ragione, fede e coscienza

1 Tradizione occidentale

La tradizione morale-etica occidentale individua due sorgenti, ragione e fede, per loro

natura convergenti nella coscienza individuale, come ‘luoghi’, ‘attività’, ‘facoltà’, che hanno il

potere di fare sorgere in un essere umano la domanda etica fondamentale, fino a giustificare, come

nel nostro caso, la formulazione di una risposta e la costruzione di una dottrina etica. Ma ben più in

là esse sono il luogo in cui si genera l’azione umana, buona o cattiva che sia. Una morale senza

azione è come un trattato sul nuoto per chi ha paura dell’acqua.

2 La scelta di ogni istante

Il primo dato assoluto, che qui riportiamo a mo’ di conclusione e che richiede di essere

osservato filosoficamente, cioè usando la ragione in modo radicale, è la necessità di ogni giorno, di

ogni istante, di dover scegliere che cosa fare. La necessità assoluta e rigorosa di ogni momento di

dover scegliere (anche di non scegliere, che è un modo diminuito di scegliere, e che può avere

innumerevoli motivazioni) è lo sfondo sul quale l’intelligenza umana si pone la questione su che

cosa si debba fare, su cosa sia giusto fare. Se questo è vero, l’ambito nel quale la domanda etica

abita potenzialmente è la vita stessa. Se non fosse che l’esito è quello della dannazione,

bisognerebbe proprio richiamare a questo punto la frase dell’Ulisse dantesco ... fatti non foste a

viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza7 …oppure la sentenza più consolante della

7 Inferno, Canto XXVI. Faccio notare che qui come altrove Dante compone la motivazione morale (dannazione) con il

valore della persona (coraggio, avventura). Questo mondo che coniuga una contraddizione è stato spezzato dalla

modernità.

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Scrittura secondo cui l’uomo beato medita giorno e notte sulla legge di Dio, mentre…non cosí sono

gli empi; ma sono come pula che il vento disperde.8

3 La filosofia greca e la ragione

L’affermazione secondo cui fondamento della bontà, della giustizia e della felicità, è la

ragione, fa la sua apparizione, detta in modi diversi, nelle grandi culture filosofiche e religiose, ma

riceve la sua sanzione argomentativa, diremmo pure logica e filosofica, nel comportamento di

Socrate e nella dottrina di Platone. Ma c’è di più: l’esercizio di ragione nella prospettiva socratico-

platonica e anche aristotelica implica una visione di fondo, una metafisica, una visione del mondo.

Se criterio del dover fare è la ragione, criterio della ragione è la verità, criterio della verità è il

mondo e in ultima analisi, sulla bocca di Socrate come nel pensiero di Platone e di Aristotele, il

fondamento dei fondamenti, l’Arché come dicevano i greci dotti, coincide con il Divino.9

Tutta la tradizione etica classica si può appoggiare sull’adagio latino, spesso citato nelle

scuole secondo cui agere sequitur esse, l’agire deriva dall’essere delle cose.10

Ogni natura, ogni

realtà ha una sua identità, uno spessore ontologico che si esplica in un caratteristico modo di agire.

Il sasso tende verso il basso e l’uomo deve usare la ragione, ma mentre il sasso è necessitato a

cadere verso il basso è proprio dell’essere uomo l’arbitrio che sta a fondamento della libertà o della

schiavitù, del bene e del male. Infine è proprio sul modo di concepire la libertà, il rapporto con il

Divino, che si legge la differenza-somiglianza tra il pensiero greco e quello cristiano.

Bisogna anche affermare che la moderna accezione di persona attorno alla quale fiorisce il

personalismo cristiano attinge certamente dalla cultura greca, ma è decisamente sanzionata dalla

prospettiva biblico-cristiana.. Oggi questa prospettiva orienta ormai tutte le dichiarazioni e

prospettive democratiche, pur non riconoscendone la complessa origine culturale.11

4 Nietzsche e la trasmutazione di tutti i valori12

8 Salmo 1

9 Il concetto di Arché, appare la prima volta secondo Aristotele nella dottrina di Anassimandro. Anassimandro afferma,

secondo il famoso frammento che ci è pervenuto, che: Arché principio, [...] principio degli esseri è l’infinito

(ajvpeiron)... da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi

debbono pagare [l’uno all’altro] (allh;loi") la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo. 10

L’adagio in questione sta a fondamento della dottrina delle Legge naturale. L’essere umano in particolare scopre la

sua identità ed è chiamato a realizzare il suo essere. Le filosofie esistenzialiste laiche (Heidegger, Sartre, Camus) hanno

rifiutato questa prospettiva in quanto negatrice della imprevedibilità dell’esistenza e della libertà di fatto. 11

Cfr La Dichiarazione universale dei diritti umani. Cfr anche il dibattito attorno alla nuova Costituzione Europea. 12

Cfr Appendice 7-8. Nietzsche si scaglia contro quello che egli considera l'ipocrita sistema di valori propugnato dal

cristianesimo: l'umiltà, la castità, la povertà, la non violenza. Egli proclama la morte di Dio. Alla morale cristiana, a suo

avviso negatrice della gioia e della pienezza del vivere, ne contrappone una nuova, basata sulla trasmutazione di tutti i

valori, una morale che esalta la forza, la fierezza, l'individualismo, la volontà di primeggiare, il piacere. Tale nuova

morale, connotata dalla volontà di potenza, sarà incarnata dal superuomo, colui che saprà gestire la tragicità

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Tra coloro che hanno intuito quale nesso e collegamento strettissimo esistono tra la verità e

la morale nella tradizione occidentale figura certamente Nietzsche, il quale accede alla sfera dei

valori morali con una paradossale e radicale antitesi (destruktion) che oggi è divenuta un modo di

sentire popolare e comune. La formula trasmutazione di tutti i valori domina la delirante

conclusione dei suoi pensieri prima del precipizio nella oscura follia. Nietzsche, imbevuto forse in

modo troppo frettoloso e giovanilistico di studi sul platonismo e troppo frettolosamente divenuto

ex-cristiano, tende ad identificare cristianesimo e platonismo (il cristianesimo, egli afferma, è il

platonismo dei poveri) e forse non ha riflettuto abbastanza sull’evento da cui sorge con forza

radicale la dottrina di Platone come del resto ha rifiutato la dimensione soprannaturale dell’Evento

Cristo, la sua Morte e Resurrezione.

Platone ha visto Socrate, l’uomo buono, sapiente e giusto per eccellenza, subire una ingiusta

condanna che l’ha condotto alla morte. Ai suoi occhi questo significa che il pensare basato

sull’opinione (doxa) porta inevitabilmente all’ingiustizia, mentre la verità (alètheia) è una cosa sola

con il bene e con la giustizia. Per Platone la giustizia è quindi ancorata ontologicamente alla verità e

al sommo Bene. In questo senso se consideriamo il pensiero platonico come pensiero metafisico,

secondo il quale un valore assoluto regge le sorti del mondo, possiamo definire il pensiero di

Nietzsche come volutamente antimetafisico. Lo sforzo, dopo Nietzsche, di ricreare un mondo di

valori disancorato dalla metafisica platonica e ancor più, (noi distinguiamo rigorosamente) dal

cristianesimo, caratterizza ampiamente l’etica laica del XX secolo.13

5 Fede e carità

La fede è l’evento che instaura l’etica cristiana, o come direbbe Nietzsche quale Genealogia

della morale, è l’argomento specifico del trattato che segue. Occorre affermare in partenza che la

Rivelazione genera un nuovo modo di concepire la vita, una entità nuova ontologicamente e dunque

un rinnovato dover essere che coincide con la vita nuova in Cristo. Un albero si riconosce dai

suoi frutti14

, dice Gesù nel Vangelo, e i frutti sono le azioni. In specie la carità, che è l’espressione

più alta della vita nuova in Cristo, deriva da una profonda trasformazione interiore che scaturisce

dall’obbedienza della fede. Ma non c’è fede, come vedremo senza predicazione della Chiesa e

senza il dono di Dio.

inevitabile dell’esistenza senza illusioni religiose e metafisiche, lasciando alla vita il compito di esprimersi nel suo

slancio autentico. 13

E’ ormai di prammatica citare Karl Popper e il suo attacco, fuori tempo e fuori luogo, contro il venerato Platone

(Vienna, 28 luglio 1902 - 17 settembre 1994), The Open Society and its Enemies, 1946. 14

Mt 7,17Cosí, ogni albero buono produce frutti buoni; ma l'albero cattivo produce frutti cattivi. 18Un albero buono

non può dare frutti cattivi, né un albero cattivo dare frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto è tagliato, e

gettato nel fuoco. 20Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti

30

6 Coscienza e cuore

Gli esiti complessi ed elevati di questo mescolarsi di riflessioni etiche razionali e di potenti

ispirazioni che provengono dall’alto, mentre unico è il principio divino da cui derivano il mondo per

creazione e la salvezza per grazia, conoscono negli esseri umani un ‘luogo sacro’, generatore

dell’etica profondamente umana che la tradizione indica con il termine di coscienza. La coscienza è

il luogo della non identità tra il bene e il male e il luogo della scoperta del proprio bene e del

proprio male; è il luogo della libera scelta e dell’oscuro asservimento, il luogo in cui si genera

l’azione e il luogo della possibilità in atto di una autentica vita etica.

La tradizione considera la coscienza fonte ispiratrice della moralità ma anche luogo della

dipendenza creaturale e spazio della libera azione divina. Come a dire che la coscienza siamo noi e

che allo stesso tempo la coscienza ci parla costantemente della nostra appartenenza ad una regola,

ad un Lògos che ci pervade. Infine la coscienza è la voce di Dio in quanto voce della piena

consapevolezza dell’uomo creatura, creatura debole e salvata, luogo delle ispirazioni e degli oracoli

profondi.

La Scrittura preferisce adoperare il termine cuore che si colora anche di una immancabile

dimensione affettiva nella necessità di ogni istante di agire. San Paolo coniuga in modo

impareggiabile il termine cuore con coscienza mentre scrive in polemica con gli ebrei che sono

attaccati alla legge…Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la

legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige

è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi

ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono.15

7 Vizi e virtù16

In questa concezione globale che prende la distanza dall’indifferentismo etico emerge la

distinzione tra vizi e virtù. L’abitudine acquisita con l’esercizio a fare il bene secondo coscienza e

15

Rm 2,14-15. 16

Virtù, dal (greco ἀρετή; latino virtus) è la abituale e salda capacità di un uomo di eccellere in qualcosa, di compiere

un certo atto in maniera ottimale. La virtù è anche la qualità di eccellenza morale sia per l'uomo sia per la donna. È detto

virtù anche un tratto caratteriale positivo. La parola ἀρετή deriva dal greco arete (αρετη). La parola latina virtus

significa letteralmente "virilità", dal latino vir, "uomo" nel suo senso maschile; ed ancora, proprio dal suo carattere

originariamente maschile, essa si riferisce alle abilità guerresche quali, ad esempio, il coraggio. Per una delle molte

ironie che ci riserva l'etimologia, in italiano la parola virtù è spesso utilizzata in riferimento alla castità femminile. In

Grecia essa era tipicamente chiamata ηθικη αρετη. Essa è la capacità di essere "abitualmente eccellente". È qualcosa che

non può non essere mostrato nell'azione. La virtù della perseveranza ha la particolarità di essere necessaria a tutte le

altre, poiché è necessario che il carattere si formi continuamente alla scuola della perseveranza se si vuole che l'uomo si

mantenga virtuoso. Nel senso greco, la virtù coincide con la realizzazione della propria essenza; in questo modo la

nozione è estesa a tutti gli essere viventi(anche animali teoricamente). Secondo Socrate la virtù è fare ciò che ciascuno è

programmato di fare. Quello che sul piano oggettivo è la realizzazione della propria essenza, sul piano soggettivo

coincide con la propria felicità.

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verità, è chiamata virtù; vizio è il suo contrario, cioè l’abitudine acquisita con l’esercizio a fare il

male. L’abitudine o habitus indica qui una facilità e quasi spontaneità tale da diventare un fatto

naturale. Un pianista che da anni suona il pianoforte almeno cinque ore al giorno, suona con

estrema facilità, dando a tutti l’impressione di una assoluta naturalezza e spontaneità di esecuzione,

in realtà è un suonatore virtuoso, l’esercizio e la genialità l’hanno condotto a questa apparente

prodigiosa bravura; allo stesso modo il bestemmiatore incallito si esprime con naturalezza e

convinzione, ha acquisito progressivamente l’habitus di scagliarsi verbalmente contro la divinità

(incompresa) ed è spontaneamente dominato dall’abitudine. Come la virtù indica una sorta di

facilità a fare il bene che tende verso l’amore e verso la libertà così il vizio indica una sorte di

facilità e insensibilità di fronte al male e rende schiavi delle abitudini e del peccato.17

Fin dall’antichità sorsero innumerevoli gli elenchi dei vizi e delle virtù, derivanti a un tempo

dall’osservazione della realtà e dal confronto con i principi. Di sentenze morali sui vizi e le virtù

sono piene le favole, i racconti, le massime come anche le mitologie. Sovente gli uomini hanno

trasferito le loro virtù e i loro vizi alle divinità.

Se per un greco platonico-aristotelico virtù vuol dire vivere secondo ragione, per un

cristiano vuol dire vivere di fede, secondo l’esempio di Cristo. La fede vissuta nella capacità di

superare le prove, con la certezza di essere salvati, è la speranza; la speranza poi , dice l’Apostolo,

non delude, perché l`amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo

che ci è stato dato. 18

E ancora… queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la

carità; ma di tutte più grande è la carità! 19

In questo senso la tradizione ha codificato la formula

secondo cui la carità è la forma di tutte le virtù.20

Questo schema imponente e dominante per secoli è oggi messo radicalmente in discussione

alla luce di una idea della libertà individuale priva di norme e di riferimenti oggettivi. Inoltre la

psicologia, con tutte le sue convergenti differenziazioni, agisce sovente come potente surrogato

17

Gv 8,31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete

davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenza di

Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». 34Gesù rispose: «In verità,

in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora lo schiavo non resta per sempre nella

casa, ma il figlio vi resta sempre; 36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 18

Rm 5,5. 19

Il testo completo afferma che la carità non finirà mai.

La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9 La nostra

conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10

Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto

scomparirà. 11

Quand`ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto

uomo, ciò che era da bambino l`ho abbandonato. 12

Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora

vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch`io sono

conosciuto. 13

Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la

carità! 20 Catechismo della Chiesa Cattolica. 1827: L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa è il « vincolo di

perfezione » (Col 3,14); è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La

carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore divino.

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etico e solo in apparenza sostituisce la comprensione dei comportamenti al giudizio etico

tradizionale. Di fatto, mancando un criterio di giudizio oggettivo, è facile che si sviluppi un modo di

giudicare in modo indiscriminato e senza regole.21

In ambito occidentale la commistione tra visione

filosofica e visione cristiana ha sortito l’esito della formulazione del classico elenco delle sette virtù

e dei sette vizi. Schema significativo, di matrice aristotelico-scritturistica22

, sancito nelle Summe

medioevali.

C) Una riflessione teologica

1 La Teologia del XX secolo

Il XX secolo è stato senza dubbio uno dei periodi storici più fecondi per la teologia. A

questa indubbia fioritura di scuole, di pensatori teologi, di pubblicazioni, di indirizzi di pensiero, fa

riscontro un significativo mancato riconoscimento da parte della cultura laica. Questa dicotomia

solo in parte deriva dalla tendenza dei teologi a non prendere troppo sul serio il pensiero laico o il

pensiero in sé; si ha piuttosto l’idea che sia dominante ancora oggi il pregiudizio illuministico che

esalta l’uso della ragione in un modo riduttivo: infatti tutta la sfera del metafisico, del religioso, del

sacro, del miracoloso e del soprannaturale è stata relegata nel mondo del mito, della fantasia, della

superstizione, se non nel regno della mistificazione e della falsità. Questa accusa così radicale

rivolta innanzitutto al cristianesimo, e caratteristica della modernità, ha avuto paradossalmente un

effetto salutare sulla teologia e in genere sulla cultura cristiana nella misura in cui non hanno

prevalso in essa forme di assuefazione, di compromesso o di radicale opposizione. La teologia del

XX secolo, non solo quella Cattolica ma anche quella Protestante e Ortodossa, è infatti una teologia

di forte andatura critica e argomentativa. Per ritrovare in teologia un periodo simile dobbiamo

tornare al tempo della Riforma-Controriforma o addirittura al periodo della Scolastica medioevale.

Oggi è indubbio che la teologia si è assunta il compito di attingere criticamente la sua ispirazione

dalla Scrittura e a rispettare il dato primo di ogni conoscenza, l’esperienza della vita: la vita e il

mondo sono le uniche cose che esistono. A chi, avvinto dal pregiudizio, contesta il fatto stesso che

21

Stiamo assistendo forse ad una sorte di contrappasso: una umanità dove vigono regole certe e criteri di verità etica

cammina verso la tolleranza e il rispetto degli altri. Una società totalmente o tendenzialmente liberalizzata, giudica

sempre e ovunque in modo assillante. Vale il principio secondo cui il sonno della ragione genera mostri 22 Le quattro classiche virtù “cardinali” dell'Occidente sono: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza a cui si

aggiungono le tre virtù “teologali”: Fede, Speranza e Carità. I sette vizi capitali nella tradizione sono: Ira, Accidia,

Lussuria, Avarizia, Gola, Invidia, Superbia.

33

qualcuno possa legittimamente parlare di Dio, si può opporre il fatto che la teologia non solo esiste

ancora oggi, e non ha mai cessato di esistere, ma che gode anche di ottima salute. 23

2 Legittimità e importanza del discorso teologico

Dopo questa doverosa premessa ci chiediamo: in che cosa consiste la teologia, in che cosa è

specifico e davvero opportuno o addirittura necessario il lavoro del teologo, in specie del teologo

che si interessa di morale?

Chi apre un dizionario legge che la parola teologia deriva dai lemmi del greco antico Théos

(Dio) e lógos (discorso) e letteralmente significa ‘discussione su Dio’. In questo senso, dal punto di

vista scolastico, la Teologia appare come la disciplina che studia Dio nei suoi caratteri propri; ha

accessoriamente la funzione di produrre elaborazioni teoretiche intorno a Dio, come nel caso della

morale che sviluppa una visone sul comportamento umano a partire dalla conoscenza di Dio. Tutte

le grandi religioni monoteistiche sviluppano una teologia e in specie una forte visione etico-morale;

noi intendiamo focalizzare quel particolare modo di fare teologia che parte dalla fede in Cristo,

piena e definitiva manifestazione della divinità.24

In questo senso specifico la teologia è lo sviluppo di una coerente riflessione a partire

dall’esperienza della fede. E’ il ragionare dentro la fede per cogliere tutta l’estensione possibile

della verità dal punto di vista umano. Riflessione coerente sta per logica rigorosa, indica cioè un

modo estremo di assumere il ruolo e il valore dell’intelligenza, ma questo rigore intrinseco alla

ragione stessa esige di essere vissuto e applicato all’interno del dono della grazia e della fede.

Queste affermazioni per ora sono sufficienti ad orientarci, aprono un capitolo che vive nella

luminosa caligine del mistero. Il pensatore esigente infatti avverte di trovarsi dinanzi ad una specie

di circolo vizioso tra pensare e credere…ma questa è l’esperienza del credente, secondo la formula

agostiniana, dominante per secoli: la ragione esige la fede, così come il credere esige il pensare

(fides quaerens intellectum, intellectus quaerens fidem). E’ quello che possiamo chiamare un

circolo vizioso alto, delle altezze, proprio in modo specifico dell’uomo che cerca e trova Dio, o più

propriamente che sperimenta di essere cercato e trovato da Lui.25

Come si possa di fatto ragionare

dentro la fede richiede spiegazioni teoriche previe, oppure l’avvio di un discorso teologico in atto,

cosa che noi ci apprestiamo a fare. L’armonia tra ragione e fede, tra pensare e credere, si attualizza

nelle vicende personali e non è immune da un duro travaglio, fecondo ma continuo. Non è un caso

che Paolo parli di obbedienza della fede e di stoltezza e scandalo della Croce.26

23

Cfr Appendice: Un secolo senza padri? Filosofia e teologia del XX secolo. 24

Col 2, 9 ...in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità 25

Ben diverso dal circolo vizioso basso, delle schifezze (un gruppo di giovani in cerchio che si passa lo spinello). 26

1 Cor 1, ss.

34

3 Il Sacro Deposito: Tradizione e Scrittura27

I credenti ritengono che la primissima esperienza della fede, la fede originaria di coloro che

hanno conosciuto Gesù e ne sono stati i primi testimoni, sia tuttora trasmessa ai fedeli attraverso la

Tradizione viva, cioè la vita stessa della Chiesa, e congiuntamente attraverso il deposito di tutta la

Sacra Scrittura la cui completa interpretazione si legge nelle pagine del Nuovo Testamento.

Possiamo paragonare il Nuovo Testamento ad una sorta di cristallizzazione, ad un

precipitato, della vita della prima Chiesa Apostolica; come lava solidificata di una eruzione viva,

paragone estremamente felice se si pensa al giorno di Pentecoste, giorno nel quale i discepoli

vengono battezzati in Spirito Santo e fuoco.28

La formula usata nell’epistolario paolino è quella di sana dottrina29

, intesa come

patrimonio di verità e di certezze che viene trasmesso dai testimoni oculari di Cristo alla nuova

Chiesa.

Il Nuovo Testamento è fortemente imbevuto di ebraismo e porta allo stesso tempo note di

assoluta originalità. Sebbene i 27 scritti, considerati canonici dai cattolici, non sembrano rispondere

ad una logica e ad un piano compositivo, nondimeno rivelano una profonda unità interiore che si

risolve nell’assoluta centralità di Gesù Cristo, considerato concordemente il Signore, risorto e vivo.

Due modalità espressive attraversano la fitta trama dei testi Neotestamentari proprio

riguardo alla persona di Gesù Cristo…il Nuovo Testamento appare come un intreccio tra (a)

narrazione della vicenda di Gesù e della vita della prima Chiesa e (b) riflessione, spiegazione e

celebrazione dell’evento. Già gli stessi Vangeli sono imbevuti di riflessioni e motivazioni

teologiche, ma nessuna riflessione teologica successiva alla vita di Gesù prescinde anche solo in un

tratto del suo coerente sviluppo dalla vicenda storica di Cristo.

Gli stessi eccessi o le stesse lacune che il lettore leale scopre con una lettura intelligente e

non fondamentalista, lo portano a misurare tali debolezze con il rigore della dottrina che riguarda

27

Cfr Dei Verbum II,10 La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di

Dio affidato alla chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi pastori, persevera costantemente

nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni (cf. At 2,42 gr.), in modo

che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca una singolare unità di spirito tra vescovi e

fedeli.

28 Cfr Ivi, P II.

29 Sulla durezza e intransigenza del primo messaggio rivelato spenderemo alcune osservazioni in seguito. La sana

dottrina è una formula di opposizione. 1 Tim 10: i fornicatori, gli omosessuali, i mercanti di uomini, i mentitori, gli

spergiuri e qualsiasi altro vizio che si opponga alla sana dottrina. 2 Tim 4,3 Verrà un tempo, infatti, in cui gli uomini

non sopporteranno più la sana dottrina, ma, secondo le proprie voglie, si circonderanno di una folla di maestri,

facendosi solleticare le orecchie. Tito 1,9 attaccato alla parola sicura secondo la dottrina trasmessa, per essere

capace sia di esortare nella sana dottrina, sia di confutare quelli che vi si oppongono. 2,1 Tu, però, insegna ciò che è

conforme alla sana dottrina.

35

Cesù Cristo.30

In questo senso il lettore, al di là delle affermazioni dogmatiche del magistero della

Chiesa, potrebbe essere in grado di scoprire da solo l’ispirazione delle Scritture, a condizione che si

leggano veramente, si leggano con fede, si leggano con la Chiesa.31

Mettiamo ora in risalto che cosa intendiamo per Teologia commentando un testo teologico

fondamentale allo sviluppo della nostra trattazione di teologia morale.

D) Parola, Fede, Ragionamento…

1 Il Prologo di Giovanni

Scegliamo, con criterio di condivisa opportunità il venerabile testo del Prologo di

Giovanni. Lo assumiamo quale ingresso ufficiale nella teologia della Chiesa delle origini. L’autore

del IV Vangelo, Giovanni secondo la tradizione32

, introduce la sua singolare narrazione della vita di

Gesù, scritta in greco come tutto il Nuovo Testamento con questo inno dalla forte andatura liturgica

nel quale nomina quattro volte Gesù con il termine di Lògos. A Giovanni la tradizione attribuisce

altre tre Lettere e infine l’Apocalisse. Il termine greco Lògos tradotto con il latino Verbum e con

l’italiano Parola, ricorre altre due volte, e precisamente nel prologo alla Prima lettera in cui si parla

di Lògos della vita e in un passo dell’Apocalisse dove il Lògos appare come giudice della storia.

Giovanni intende parlare di Gesù, il Gesù di cui è stato discepolo e testimone, e intende parlare

della sua preistoria divina che dona un significato straordinario alla vita e all’opera del maestro. Per

questo, unico tra gli evangelisti, usa il termine Lògos per indicare Gesù di Nazareth.

2 Il Lògos dalla parte dei Greci

Il termine lògos nella cultura greca antica ha un significato polivalente, occupa il vasto

campo semantico della conoscenza, può infatti significare parola, discorso, legge, ordine,

intelligenza, ragione, regola… Nella filosofia, da Eraclito in poi, assume un significato

30

Elenco in modo rapsodico: un eccesso di escatologia; il tentativo di armonizzare la concezione biblica della donna

con la vita nuova in Cristo; alcuni eccessi di difesa e di attacco; ..le discrepanze che qua e là affiorano con i testi come

nel caso della risurrezione. Per un credente non sono motivo di dubbio ma motivo di riflessione. 31

Cfr Appendice I. 32

I testi della Scrittura non sono firmati, l’autore è attribuito dalla Tradizione primitiva. Non meraviglia che gli studiosi

abbiano opinioni diverse. E’ un fatto comune a tutti i testi antichi. Per questo si preferisce comunque seguire

l’attribuzione primitiva piuttosto che vagare nel mondo delle ipotesi, talvolta stravaganti.

36

sostanzialmente Divino.33

Il Lògos in questo caso è la ragione profonda della logicità del mondo e

dell’identità di ogni cosa, della pensabilità stessa di ogni cosa…ora sarebbe da ingenui pensare che

tutti i Greci pensassero nella antichità in modo metafisico, ma è un fatto che la cultura del Lògos

raggiunge in Grecia una specie di solarità tematica e linguistica.

In questa prospettiva affascinante una Intelligenza superiore pervade il mondo;

l’intelligenza umana è in grado di attingere, o meglio di intravedere, questo significato recondito

che regge il mondo. Le scuole filosofiche hanno messo in risalto diversi aspetti di questa tensione

di ricerca che brilla in modo luminoso nell’opera di Platone e di Aristotele. Il pensiero greco, che

Papa Benedetto XVI34

definisce illuminista nella sua parte migliore, rifiuta categoricamente la

mitica idea del caos; il mondo è dunque un cosmo ordinato, sebbene questo ordine sia graduato e

non uniforme. I filosofi credenti fanno notare che ai Greci sembra proprio mancare l’idea biblica

della creazione per cui sono quasi costretti a relegare la materia in una specie di esistenza media,

posta tra essere e non essere.

3 In principio Dio…dalla parte degli Ebrei

L’autore del IV Vangelo dunque ha in qualche modo presente il significato greco della

parola Lògos, ma la tradizione cui attinge direttamente è certamente un’altra. Giovanni infatti è un

ebreo. Appartiene al popolo della Parola-Dabar –(דבר) per eccellenza, appartiene a un popolo che

coltiva la Parola quale eco di Dio, che parlando crea …Nella Genesi infatti si legge In principio

Dio creò…e Dio disse.35

Ma c’è di più: gli Ebrei dotti traducono già alcuni secoli prima di Cristo36

, l’ebraico Dabar

(parola che crea) con il termine Lògos. Infine essi, nella letteratura della Diaspora, identificano la

Sapienza che regge il mondo con il Lògos intravisto dai Greci. Già per gli Ebrei della Diaspora la

Parola-Dabar è Lògos, e Dio stesso, secondo la cultura ebraica pre-giovannea, è considerato il

Lògos.

Dunque, per concludere, nella intenzione giovannea Gesù è Dio, Gesù è il Logos. Giovanni

nel Prologo del suo Vangelo identifica il Lògos con Dio, il Lògos Dio con Gesù Cristo. Per quanto

possiamo comprendere tutto ciò vuol dire che: l’Intelligenza che organizza il mondo, intravista dai

33

[1 Diels-Kranz ] Di questo lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo

averlo ascoltato; benchè infatti tutte le cose accadano secondo lo stesso lógos, essi assomigliano a persone inesperte, pur

provandosi in parole ed in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com'è.

Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo.

Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il

suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz). 34

Cfr Il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona del 12 settembre 2006. Il discorso del Papa è decisivo per tutte le

affermazioni che seguono. 35

Gn 1,1-2. 36

Cfr Bibbia dei LXX.

37

filosofi greci, e la Divina Sapienza con cui è stato creato il mondo nella Rivelazione dei fratelli

ebrei, coincidono per Giovanni, il testimone, con la Persona di Gesù Cristo.

Dobbiamo dunque affermare, dopo aver illustrato lo spessore di significato contenuto nel

Prologo di Giovanni, che ci troviamo nel punto più alto ed espressivo della Rivelazione:

In principio…

era il Logos (Verbo)

e il Logos era presso Dio

e il Logos era Dio

egli era in principio presso Dio… Gv 1,1…

Ora il punto più alto ed espressivo, coincide con il punto più basso, infatti il testo afferma al

versetto 14:

…E il Lògos si è fatto carne e venne

ad abitare in mezzo a noi…

Il Lògos si è fatto carne significa che il Lògos si è fatto uomo. Attraverso la narrazione di Luca e

Matteo sappiamo laconicamente come ciò sia avvenuto. Le conseguenze sono straordinarie. Cristo è

uomo-Dio per sempre. L’incarnazione è il presupposto di tutta l’opera di Cristo. Sebbene, come

dice Giovanni, le tenebre non l’hanno accolto, chi ha accolto Gesù venuto nella carne è stato

rigenerato ad una vita nuova…

11Venne fra la sua gente,

ma i suoi non l'hanno accolto.

12A quanti però l'hanno accolto,

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali non da sangue,

né da volere di carne,

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

La novità di vita è espressa nei confronti dei fratelli ebrei, molti dei quali hanno rifiutato Gesù e su

di loro grava la sentenza

38

perché la legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 17

Giovanni però scavalca una prospettiva meramente ebraica quando afferma in modo lapidario e

conclusivo

Dio nessuno l’ha mai visto, proprio il figlio unigenito che è nel seno

del Padre, lui lo ha rivelato 18

La prospettiva rivoluzionaria che si apre con la Rivelazione è una cosa sola con la vita che noi

viviamo. Nel prologo della Prima lettera già sopra citato, Giovanni nomina Gesù con il termine

Logos della vita…non si poteva dire meglio che la Rivelazione ha in Cristo il suo centro e nella

nostra vita le conseguenze più tangibili. Tutta la lettera è tessuta sul tema dell’essere generati da

Dio, fondamento dell’amore.

Ma vediamo direttamente il testo

1 Gv 1

Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che

abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e

ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Logos della vita, poiché

la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo

testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre

e si è resa visibile a noi-, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo

annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.

La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste

cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.

Il Testimone annuncia il mistero del Lògos della vita che si è reso visibile, perché vuole che ci sia

comunione tra noi e con Dio. Questa comunione è la radice della Vita nuova in Cristo.

4 Teologia e Testimonianza senza narrazione

Dobbiamo anche qui far notare quanto preannunciato precedentemente, che sia nel prologo

al Vangelo che nel prologo alla Prima Lettera non si fa menzione diretta ad alcun avvenimento

della vita di Cristo, solo una potente e sintetica allusione alla sua vita. Questo vuol dire che siamo in

39

piena navigazione teologica, siamo totalmente immersi nella riflessione e nell’annuncio che nasce

dall’esperienza diretta della vita di Cristo. La corrispondenza con gli altri testi del Nuovo

Testamento è degna di essere considerata. Il prologo alla Lettera agli Ebrei sintetizza da un punto di

vista chiaramente ebraico la novità della conoscenza di Cristo.

1Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in

diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, 2in

questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha

costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto

anche il mondo. 3Questo Figlio, che è irradiazione della sua

gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la

potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione

dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei

cieli, 4ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più

eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

SECONDA PARTE

La vita nuova in Cristo37

40

37

La formula in Cristo torna 74 volte nell’epistolario paolino. Una quantità di espressioni è concomitante come nel

nome di Gesù che torna 13 volte e nel nome di Cristo 4 volte. Innumerevoli le similitudini con il messaggio di

Giovanni dove la concordanza mistica è assoluta.

53

2 La vita nuova in Cristo

A) Genesi della morale cristiana

1 Atti degli Apostoli 2

In quanto teologi credenti, obbedienti nella fede, ci siamo assunti l’impegno di riflettere con

la Chiesa a partire dal Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento ritroviamo l’Antico Testamento,

mentre nella vita di tutti i giorni attraversiamo il campo dell’unica realtà esistente. Il commento al

Prologo di Giovanni, con gli affascinanti sviluppi che comporta, ci ha obbligati ad essere narratori

di fatti e interpreti di questi stessi fatti, ad un tempo.

In questa seconda parte della trattazione vogliamo cogliere il momento in cui si genera la

morale cristiana, il momento in cui sgorga pubblicamente e pienamente, così che la vita nuova in

Cristo diventa un fatto storico tangibile, per quanto misterioso.

A questo riguardo dobbiamo affermare che non esiste un criterio assoluto di preminenza. I fatti

della nostra salvezza, così come noi li recepiamo leggendo il Nuovo Testamento non si presentano

sempre con quella consequenzialità logica che si addice alla nostra mentalità semplificatrice e

ordinata razionalmente.38

A ciò si aggiunge che i testi del Nuovo Testamento conoscono una complessa vicenda

redazionale per cui fatti accaduti precedentemente, come la vicenda di Gesù, sono stati scritti dopo,

alla luce del compimento, e fatti scritti precedentemente sono da collocarsi dopo la vicenda di Gesù.

L’unico criterio da adottare è leggere sempre e continuamente con semplicità ed intelligenza.

Sembra quasi che tutto ciò serva a confondere chi è confuso e a illuminare chi è davvero disponibile

a raggiungere la verità, avendola già trovata.39

Possiamo paragonare il Nuovo Testamento ad un grande castello con ventisette porte per le

quali è possibile entrare; ogni volta che si sceglie un ingresso, un commento, una via da seguire, si

38

Il fatto che noi siamo occidentali e spontaneamente logici è un principio valido ma non è un principio assoluto.

Vengono alla mente innumerevoli fatti che sembrano smentire questo luogo comune. La riflessione sopra proposta

potrebbe spiegare perché oltre le narrazioni Evangeliche e le ricche riflessioni raccolte nel Nuovo Testamento è nata la

necessità di codificare, ordinare, dogmatizzare, i fatti della salvezza. Da qui il Credo, i Concili, i Catechismi. Ma il

cristiano sa che nessuno libro, nessuna formula e nessun catechismo possono sostituire la Persona viva di Cristo e la

primissima cristallizzazione del messaggio rivelato nel Nuovo Testamento. Un ruolo importante per la codificazione del

messaggio è senz’altro svolto fin dalle origini dalla Liturgia. I grandi Inni Cristologici (cfr Fil 2, Col 1, Ef 1) si spiegano

anche in modo plausibile come inni liturgici della primissima Chiesa. 39

Agostino, Confessioni 1. Di' all'anima mia: la salvezza tua io sono 24

. Dillo, che io l'oda. Ecco, le orecchie del mio

cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di' all'anima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa

voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto 25

. Che io muoia per non morire, per vederlo.

54

esclude la possibilità degli altri ingressi; per questo è necessario sviluppare con attenzione e

contemporaneamente le concordanze. Ma ci sono ingressi evidentemente più praticati e praticabili.

Ora è indubbio che il racconto della Pentecoste di Atti 2 rivela il momento, promesso in abbondanza

da Cristo40

, in cui lo Spirito di Cristo fa esistere pubblicamente, e diciamo noi, per sempre, la sua

Chiesa. E’ la gente accorsa che assiste alla prima clamorosa predica di Pietro e degli altri undici a

porre come sappiamo la domanda che ci interessa: che cosa dobbiamo fare fratelli?

2 Atti degli Apostoli: La Pentecoste

1 Mentre i giorni della Pentecoste stavano per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.

2 Venne

all`improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si

trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro;

4 ed

essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il

potere d`esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il

cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la

propria lingua. 7 Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: "Costoro che parlano non sono forse

tutti Galilei? 8 E com`è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

9 Siamo Parti, Medi,

Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell`Asia, 10

della Frigia

e della Panfilia, dell`Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, 11

Ebrei e prosèliti,

Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio". 12

Tutti erano stupiti e

perplessi, chiedendosi l`un l`altro: "Che significa questo?". 13

Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono

ubriacati di mosto".14

Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: "Uomini di

Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole: 15

Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. 16

Accade invece

quello che predisse il profeta Gioele: 17

Negli ultimi giorni, dice il Signore,

Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona;

i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,

i vostri giovani avranno visioni

e i vostri anziani faranno dei sogni. 18

E anche sui miei servi e sulle mie serve

in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi

profeteranno. 19

Farò prodigi in alto nel cielo

e segni in basso sulla terra,

sangue, fuoco e nuvole di fumo. 20

Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue,

prima che giunga il giorno del Signore,

giorno grande e splendido. 21

Allora chiunque invocherà il nome del Signore

sarà salvato. 22

Uomini d`Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da

Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera

sua, come voi ben sapete -, 23

dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu

consegnato a voi, voi l`avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l`avete ucciso. 24

Ma Dio lo

ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo

tenesse in suo potere. 25

Dice infatti Davide a suo riguardo:

Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;

poiché egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. 26

Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò

la mia lingua;

40

Leggiamo in Giovanni 16,13: 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà

da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Cfr Gv 1,33;3,5; 3,6;3,8;3,34; 4,23; 6,63; 7,39; 14,17;

14,26;15,26; 16,4; 20,22.

55

ed anche la mia carne riposerà nella speranza, 27

perché tu non abbandonerai l`anima mia negli

inferi,

né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. 28

Mi hai fatto conoscere le vie della vita,

mi colmerai di gioia con la tua presenza. 29

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al

patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi fra noi. 30

Poiché però era

profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo

discendente, 31

previde la risurrezione di Cristo e ne parlò:

questi non fu abbandonato negli inferi,

né la sua carne vide corruzione. 32

Questo Gesù Dio l`ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. 33

Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva

promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. 34

Davide infatti non salì al cielo;

tuttavia egli dice:

Disse il Signore al mio Signore:

siedi alla mia destra, 35

finché io ponga i tuoi nemici

come sgabello ai tuoi piedi. 36

Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha

costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!". 37

All`udir tutto questo si sentirono

trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". 38

E

Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la

remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. 39

Per voi infatti è la

promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio

nostro". 40

Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: "Salvatevi da questa generazione

perversa". 41

Allora quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a

loro circa tremila persone.

42

Erano assidui nell`ascoltare l`insegnamento degli apostoli e nell`unione fraterna, nella frazione del pane

e nelle preghiere. 43

Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44

Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45

chi aveva

proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46

Ogni giorno tutti

insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di

cuore, 47

lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo. 48

Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla

comunità quelli che erano salvati.

La domanda ‘che cosa dobbiamo fare?’ nasce quindi da una precisa provocazione e da un

evento davvero singolare che è necessario descrivere con attenzione. Siamo nel giorno di

Pentecoste, narrato e descritto da Luca nel capitolo secondo degli Atti degli Apostoli. Dopo la

miracolosa effusione dello Spirito Santo (rombo di tuono come di vento impetuoso,…scesero su di

loro come fiamme di fuoco) gli Apostoli danno l’avvio alla loro predicazione pubblica con estrema

franchezza parlando lingue diverse.41

E’ la vita della Chiesa nel momento della sua nascita, a

compimento della missione di Cristo morto e risorto.

Dobbiamo ricordare con Luca che Gerusalemme in quel momento (nel testo c’è incertezza

sull’ora che oscilla tra il termine della giornata e le nove del mattino) è popolata dagli Ebrei

osservanti e prosèliti della Diaspora, provenienti da ogni parte del mondo conosciuto; sono

pellegrini giunti a Gerusalemme per ricordare il momento in cui Mosè sul monte Sinai ha ricevuto il

41

Il testo suggerisce decisamente il fatto che gli apostoli parlino le lingue delle persone convenute. I Popoli sono

descritti da Oriente a Occidente. Qualche commentatore suppone che lingue diverse possa anche voler dire lingue altre,

lingue estatiche. Cfr 1 lettera ai Corinti.

56

dono della Legge, i dieci comandamenti.42

E’ un momento di forte carica etica. La Legge per gli

Ebrei è la massima espressione dell’intensità di rapporto con Dio, l’osservanza della Legge è

fondamento di ogni azione buona e libera.43

Numerosi sono coloro che si radunano nel luogo attirati dal forte rumore; subito essi

provano stupore e meraviglia quando sentono gli Apostoli parlare nelle loro lingue native, pur

essendo stranieri riconoscono l’inflessione galilaica. Oltre alla sorpresa per come si è manifestato il

fatto sono colpiti dal contenuto del messaggio. A prendere la parola è Pietro. Citiamo direttamente

il testo di cui tralasciamo la lunga trattazione nella quale appare che quanto è accaduto, l’effusione

dello Spirito Santo, era stato abbondantemente promesso, per cui Dio ha dimostrato ai fratelli Ebrei

di essere fedele alle promesse. Il momento cruciale del discorso è quando Pietro proclama

42

Per i fratelli Ebrei si tratta tuttora della Pentecoste o Shavuot che si celebra cinquanta giorni dopo la Pasqua (Pesach)

nel periodo della mietitura.

E’ interessante fare il paragone tra i dieci comandamenti come sono insegnati nel catechismo di Pio X e la versione

biblica. E’ evidente che sono molto cambiati i contesti … Io sono il Signore Dio tuo:

1. Non avrai altro Dio fuori di me.

2. Non nominare il nome di Dio invano.

3. Ricordati di santificare le feste.

4. Onora il padre e la madre.

5. Non uccidere.

6. Non commettere atti impuri.

7. Non rubare.

8. Non dire falsa testimonianza.

9. Non desiderare la donna d'altri.

10. Non desiderare la roba d'altri. La versione biblica

1) "Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi

oltre a me.

2) Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la

terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco

l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà fino alla

millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

3) Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo

nome invano.

4) Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di

riposo, consacrato al Signore Dio tuo.

5) Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.

6) Non uccidere.

7) Non commettere adulterio.

8) Non rubare.

9) Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

10) Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva,

né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo" 43

La Torah comprende dunque due parti: - i primi cinque libri della Bibbia, cioè il Pentateuco, che costituiscono la

Torah scritta. la Torah orale che ha dato origine al Talmud. Secondo la tradizione ebraica la Torah scritta non può

essere applicata senza la Torah orale. il Talmud (che significa "insegnamento") è il secondo grande libro sacro

dell'Ebraismo: diversamente dalla Bibbia ebraica, il Talmud è infatti riconosciuto solo dall'Ebraismo, che lo considera

come la "Torah orale", rivelata sul Sinai a Mosè e trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista

romana. Il Talmud fu fissato per iscritto solo quando, con la distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei temettero che le

basi religiose di Israele sparissero. Il Talmud consiste in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e

i maestri (rabbi) circa i significati e le applicazioni dei passi della Torah, e si articola in due livelli: la Mishnah (o

"ripetizione") raccoglie le discussioni dei maestri più antichi (giungendo fino al II secolo d.C.); mentre la Ghemarah (o

"completamento"), stilata tra il II e il V secolo, fornisce un commento analitico della Mishnah.

57

36 Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito

Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!".

Gesù è stato crocifisso ed è risorto, Gesù è il Signore; la domanda: che cosa dobbiamo fare? nasce

dunque con grande evidenza dal primo annuncio44

pubblico della fede. Più precisamente il testo

afferma che

All`udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli

altri apostoli: che cosa dobbiamo fare fratelli?

La domanda è rivolta a Pietro e agli apostoli, ma è Pietro ancora una volta a pendere la parola. Il

pescatore di Galilea, già impulsivo in diverse occasioni e incerto fino al rinnegamento in un

momento cruciale della Passione del Signore, risponde ora con molta chiarezza. Valorizzare questa

risposta, sottolinearne il contenuto, il tono stesso dell’affermazione, significa, secondo la

testimonianza scritta degli Atti degli Apostoli, considerare la manifestazione pubblica di una nuova

e rivoluzionaria concezione di vita, la vita nuova in Cristo, tema complessivo della nostra

riflessione.

E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di

Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono

dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti

quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro". Con molte

altre parole li scongiurava e li esortava: "Salvatevi da questa generazione

perversa". Allora quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel

giorno si unirono a loro circa tremila persone.

I comportamenti richiesti e proposti con molto calore da Pietro sono strettamente collegati tra di

loro: invito al pentimento e al Battesimo per la remissione dei…peccati. Il Battesimo

abbondantemente rappresentato nel Nuovo Testamento come atto per cui veniamo innestati in

Cristo45

, crea la disposizione a ricevere lo Spirito Santo. I primi cristiani non hanno dubbi sul fatto

che ricevere lo Spirito Santo significhi ricevere lo Spirito di Cristo risorto.

Dall’attenta lettura risulta che si tratta di un momento di grande tensione che instaura una sorta di

originario dualismo tra chi accetta e chi rifiuta

li scongiurava e li esortava: "Salvatevi da questa generazione perversa…”

44

Kerygma, dal verbo greco kerussein che vuol dire annunciare. 45

Gal 3,27: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.

58

Dobbiamo far notare che Pietro non ha davanti a sé un gruppo orgiastico o una qualsiasi situazione

di corruzione che giustifichi, almeno in apparenza, una posizione così netta. Il gruppo è formato da

Ebrei osservanti, religiosi, presenti in Gerusalemme per un motivo sacro di forte intensità etica. E’

più facile pensare che essi già condividano l’atteggiamento di intransigenza nei confronti di una

generazione perversa. Piuttosto Pietro, mosso dallo Spirito, collega la presenza dei fratelli Ebrei

all’uccisione di Cristo, e allo stesso tempo avverte la necessità di sciogliere i presenti dai legami

con la legge; il metodo predicatorio, franco e spontaneo, è tuttora in uso nell’area mediorientale,

uno stile radicale ed estremista a parole, non sempre commisurato alla mitezza dell’azione pratica

che segue, è lo stile dei profeti.

Analizzando, sempre con Luca, l’atteggiamento del Battista46

troviamo lo stesso piglio, la

stessa capacità di suscitare la domanda, ma è singolare il fatto che il Battista dopo aver paventato il

giudizio finale proponga alle richieste della folla azioni accessibili a tutti e comprensibili a tutti (chi

ha da mangiare ne dia a chi non ne ha, accontentatevi di quanto stabilito, non estorcete niente a

nessuno, accontentatevi delle vostre paghe).

Del resto sulla bocca stessa di Cristo appaiono espressioni intransigenti contro l’ipocrisia,

l’uso della ricchezza47

la corruzione morale, soprattutto quando detta le condizioni del vero

discepolo, intransigenza e radicalità che il credente è chiamato ad armonizzare con l’annuncio del

mistero della misericordia di Dio, della gioia di vivere e della piena realizzazione di sé. Questa

conciliazione può avvenire solo nella fede e nella comunione di vita con Cristo vivo.

Possiamo dunque concludere che la radicalità del messaggio delle origini attraversa tutta la

Rivelazione Neotestamentaria come sua nota caratteristica, non è soltanto la contingenza del

46 Lc 3: La parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

3 Ed egli percorse tutta la regione del

Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4 com`è scritto nel libro degli oracoli del

profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5 Ogni

burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. 6

Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! 7 Diceva dunque alle folle che andavano a farsi battezzare da lui: "Razza di

vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all`ira imminente? 8 Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate

a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da

queste pietre. 9 Anzi, la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e

buttato nel fuoco". 10

Le folle lo interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?". 11

Rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia

una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto". 12

Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli

chiesero: "Maestro, che dobbiamo fare?". 13

Ed egli disse loro: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". 14

Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi che dobbiamo fare?". Rispose: "Non maltrattate e non estorcete niente a

nessuno, contentatevi delle vostre paghe". 15

Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro,

riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, 16

Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene

uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in

Spirito Santo e fuoco. 17

Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio;

ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile". 18

Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella. 47

E’ un fatto storico vedere come i movimenti pauperistici tendono ad essere dualisti nel modo di concepire il mondo e

a vivere la povertà non come gioia di liberazione ma come uno stato di accusa e di assedio nei confronti degli altri. Del

resto è curioso che i gruppi ecclesiali che esaltano al coerenza militante, la purezza dei costumi, il coraggio dell’identità,

siano dediti agli affari con singolare cinismo e opportunismo.

59

momento della Pentecoste, momento, come abbiamo visto, di grande impatto emotivo, di fortissima

tensione spirituale e di dinamismo avvincente.

3 Escatologia imminente

A questi aspetti se ne devono aggiunger altri: la Chiesa delle origini, negli anni successivi

alla Pentecoste è attraversata da una forte tensione escatologica, con l’idea diffusa che la fine del

mondo fosse imminente e riguardasse in modo particolare addirittura la generazione presente. Si

deve anche aggiungere che il messaggio cristiano, come vedremo, fu osteggiato dai fratelli ebrei e

in seguito dai pagani, come testimonia ampiamente la narrazione degli Atti degli Apostoli. Tutta

questa somma di riflessioni non vuole certo sminuire la carica di intransigenza del messaggio della

Chiesa delle origini. Vuole solo collocarlo in un’ottica di comprensione.

Il lettore attento scopre poi che i primi credenti con il loro modo di vivere, di stare insieme

tra di loro e con gli altri, manifestano una singolare mitezza e serenità di comportamento che in

apparenza è distante da quella sorte di diktat intransigente che affiora nelle prime prediche degli

apostoli. In un modo o nell’altro qualcosa di straordinario è accaduto e non esiste nessun passaggio

successivo che non sia dominato dalla consapevolezza dell’azione di Dio nella storia.

4 Riprende la narrazione

L’adesione di circa tremila persone depone a favore dell’efficacia della predica di Pietro e

dell’azione convincente dello Spirito; l’adesione al primo annuncio genera una nuova forma di vita

che unisce in modo particolare fattori che noi diremmo spirituali

Erano assidui nell`ascoltare l`insegnamento degli apostoli e nell`unione

fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.

con un’originalissima forma di vita comune che potremmo definire sociale

Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni

cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte

a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.

Infine occorre affermare che non viene meno il contatto con gli altri e soprattutto cresce la stima da

parte degli altri

60

Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a

casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la

simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità

quelli che erano salvati.

Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa

prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la

simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità

quelli che erano salvati.

5 Una prima importante valutazione La scelta di avviare la nostra riflessione a partire dagli Atti degli Apostoli è indubbiamente

strategica e intende esaltare il fatto che la morale cristiana, la vita nuova in Cristo, fino a quel

momento, narrato in verità solo dagli Atti degli Apostoli, non era un fatto decisivo e incisivo nella

storia, non era cioè l’insegnamento e il fatto pubblico che è diventato inseparabile dal cristianesimo

stesso, quella che in termini tecnici chiameremmo una autentica ‘rivoluzione’.

Dobbiamo aggiungere inoltre che il testo degli Atti è tardivo rispetto alla tradizione dei

Vangeli di Marco e Matteo. A maggior ragione è tardivo rispetto alle Lettere di Paolo. In verità i

Vangeli di Marco e di Matteo, parlano dell’Ascensione e della missione, senza presentare il tema

dello Spirito e della sua effusione; ma in occasione del battesimo di Cristo si allude a Colui che vi

battezzerà in Spirito Santo e fuoco.48

La formula Spirito Santo e fuoco riferita al Battesimo di Cristo in contrapposizione a quello

del Battista, ritorna più volte in modo fortemente allusivo alla Pentecoste in tutta la rivelazione

neotestamentaria.

Lo stesso Vangelo secondo Giovanni presenta lo Spirito come promesso da Gesù alludendo

decisamente alla Pentecoste. E’ proprio Giovanni infine, nel suo Vangelo, a collocare l’effusione

dello Spirito Santo nella sera di Pasqua, quando Gesù appare nel Cenacolo agli Apostoli49

.

Una critica puntuale dunque potrebbe condurci ad osservare che il testo di Atti, per quanto

chiaro ed avvincente, è l’unica narrazione dell’episodio che si trova nel Nuovo Testamento, ma

come abbiamo visto le allusioni al fatto sono innumerevoli e coerenti.

48

Mt 3,11: Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son

degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco .

Lc 3,16: Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non

son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 49

Gv 20,22.

61

Un discorso particolare merita la dimensione trinitaria della salvezza, del battesimo e della

morale cristiana. La vita cristiana appare come immersa in un vortice di amore che si rivela in

Cristo e che conduce al Padre nello Spirito Santo. Tanto Paolo quanto Giovanni parlano dell’azione

di Dio, della sua presenza e della sua inabitazione dentro di noi, con effetti ineffabile trasformanti,

nonostante la continua necessità di lottare contro il male. Il frutto di questa presenza genera una

situazione di singolare pace. La dottrina trinitaria che afferma la divinità di Cristo consostanziale al

Padre, cioè Dio come il Padre, e che colloca lo Spirito nella Trinità divina, che procede dal Padre e

dal Figlio, appare vigorosamente espressa nel Nuovo Testamento anche se la sua affermazione è

legata ai Concili della Chiesa dei primi secoli.50

6 L’etica cristiana

L’etica cristiana, la vita cristiana, nasce dunque per un intervento diretto di Dio per opera

dello Spirito Santo, effuso e donato dal Padre e dal Figlio: Lo Spirito santo è il dono del Risorto

nella sera di Pasqua, a Pentecoste nel modo che ormai sappiamo, e sacramentalmente in modo

continuativo nel Battesimo e nella vita stessa della Chiesa, che si raduna per Spezzare il pane ed è

dotata del potere di Rimettere i peccati…

In ogni caso è in Cristo che tutto ciò accade, fuori di Cristo tutto quanto abbiamo detto è

semplicemente innominabile, inesistente, irrilevante. Da ultimo, la vita nuova derivante

dall’effusione dello Spirito collegata al Battesimo, si rivela in atteggiamenti espressivi che

possiamo elencare: l’ascolto della parola, la frazione del pane (eucaristia), la preghiera, la vita

comune, la messa in comune dei beni, il rapporto pacifico con gli esterni, la vittoria sulla povertà.

Questo quadro idilliaco verrà disturbato e in parte alterato dalla debolezza interna e dalle

persecuzioni. Anche in questo caso estremo, come appare palesemente nel martirio di Stefano, la

risposta alla violenza, risposta praticata in Cristo e secondo l’esempio di Cristo, nella forza dello

Spirito Santo, è il perdono.51

50

E’ nota la distinzione tra Trinità economica e Trinità immanente. Descrivere cioè l’azione del Figlio che Rivela il

Padre e dona lo Spirito Santo e che ci coinvolge nella sua vita, e la Divinità in sé, Padre Figlio e Spirito Santo, come

recita il Credo. 51

Atti 7,59: E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: Signore Gesù, accogli il mio spirito. Poi piegò le

ginocchia e gridò forte: Signore, non imputar loro questo peccato. Detto questo, morì.

62

B) Cristianesimo ed Ebraismo

1 Vita nuova e vita vecchia

Prima ancora che interrogarci sul significato reale della vita nuova in Cristo, vita che gli

Apostoli sperimentano per primi e con loro sperimentano i primi tremila ebrei convertiti del giorno

di Pentecoste, cerchiamo di individuare in che cosa consiste la vita vecchia.

Anche su questo non abbiamo dubbi quando riusciamo a decifrare il senso esatto dei testi.

Nell’accezione paolina la vita vecchia è la corruzione morale caratteristica di ogni uomo che segue

la propria carne e il proprio istinto. Già dalle origini nelle prime esortazioni parenetiche, sono

pesantemente stigmatizzate la dissennatezza sessuale, l’adulterio, la fornicazione e l’impudicizia.

Ma la sensibilità nei confronti del male è molto più estesa, supera abbondantemente il cerchio

chiuso della morale sessuale, come testimoniano gli elenchi dei peccati e delle virtù che

attraversano molte pagine del Nuovo Testamento, compresi i Vangeli che si riferiscono al diretto

insegnamento di Gesù. In particolare l’attacco contro l’avarizia, l’ingiustizia e la magia-

superstizione è durissimo nel Nuovo Testamento, come del resto già nell’Antico. Per fare almeno

un esempio, il testo che portò alla conversione sant’Agostino, preso dalla lettera ai Romani, è molto

indicativo.52

Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e

ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. 14

Rivestitevi invece

del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri.

2 Il vecchio e il nuovo

Ma dobbiamo rispettare anche l’ordine tematico e cronologico, prima il giudeo e poi il

greco, direbbe ancora Paolo; la vita vecchia è, innanzitutto, la vita nell’ebraismo, l’osservanza della

Legge, il culto della Torah, la Circoncisione…gli Ebrei di Gerusalemme come abbiamo veduto

sono definiti da Luca come ‘osservanti’ e la loro osservanza e il loro zelo li hanno condotti a

Gerusalemme nel giorno in cui il popolo ricorda che Dio ha fatto dono della sua Legge quale segno

di appartenenza e di singolare privilegio. Lo sfondo che muove i pellegrini è la narrazione

dell’Esodo e la meditazione profonda sulla legge che traspare soprattutto nelle parole del

Deuteronomio, infine la liturgia dei Salmi celebra il beneficio e la grandezza della Legge.

52

Rm 13, 13-14.

Qualsiasi considerazione sui fratelli ebrei verrà sviluppata in seguito; prendo le distanze in modo radicale da ogni forma

di discriminazione nei loro confronti, dichiarando decisamente che non esiste nessuna ragione biblica, evangelica o

storica che giustifichi secoli di violenze e in specie la Shoà.

63

Gli stessi salmi del pellegrinaggio infatti che portano alla città santa sono tessuti intorno

all’idea che la Legge è un dono della potenza e dell’amore di Dio e che il pio Israelita

nell’osservanza della legge manifesta il suo amore indiviso per JHWH.

L’argomento si presenta vasto, intenso e attuale. Si presenta alla mente del credente in

Cristo come un inscindibile composizione di positivo e di negativo. Sinteticamente possiamo

affermare che la morale cristiana sorge sul terreno già ricchissimo dell’etica ebraica. Diciamo

di più: il punto forte dell’etica ebraica è l’osservanza della legge. Quando leggiamo le pagine

dei profeti e soprattutto le pagine del Vangelo, oppure gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo, le

meditazioni di Giovanni, ci accorgiamo che il superamento della visione ebraica della legge è stato

il primo fecondo ostacolo della chiesa delle origini, per certi aspetti il parametro di ogni successivo

cambiamento o, come si suol dire, di ogni successiva inculturazione. Serbando le dovute differenze,

si ha l’impressione che L’Islam costituisca un nuovo passo indietro nella questione del

superamento. Il secondo grande ostacolo o passaggio, che per molti aspetti è concomitante, è la

presa di distanza dalla mentalità paganeggiante, tendenzialmente votata alla superstizione di culti

idolatri o alla licenza morale e alla corruzione, pur essendo pervasa da germi di verità, di sapienza e

di coscienza.

Ebraismo e Paganesimo, in modi diversi, modi per i quali è necessario spendere una puntuale

analisi, sono i due termini di confronto dei primi credenti secondo un percorso reale che è tracciato

con tinte sufficientemente decifrabili dagli scritti neotestamentari. Non esiste una trattazione

esaustiva, ma un diffuso riferimento sia al mondo ebraico di Gerusalemme e della Diaspora, come

al mondo pagano, alla diffusa mentalità del mondo ellenistico e soprattutto in riferimento alle

grandi città di Roma, Atene, Corinto, Efeso.

3 Il compimento-superamento dell’Ebraismo

La proposta-annuncio della vita nuova si pone al centro della predicazione delle origini ed è

strettamente collegata alla presenza di Gesù vivo e risorto che effonde con il Padre la forza dello

Spirito Santo con i suoi doni. La predicazione e diffusione del Vangelo seguono inizialmente la via

già tracciata delle comunità ebraiche sparse per il Mediterraneo, una specie di tessuto linfatico che

costituisce il primo momento della predicazione. L’apertura ai pagani, già inaugurata nei primi

momenti della Chiesa narrati negli Atti53

troverà la sua coscienza più decisa nell’attività e nel

53

Atti 11: 16

Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete

battezzati in Spirito Santo. 17

Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù

Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?".18

All'udir questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio

dicendo: "Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!".

Cfr Atti 8,26, l’episodio del diacono Filippo e dell’eunuco etiope.

64

pensiero di Paolo, sebbene in modo non esclusivo, come qualche commentatore superficiale è

tentato di affermare. Per questo motivo è importante rintracciare non solo una visione, un modo di

pensare e di avere idee in mente, caratteristico della Chiesa delle origini, ma è altresì decisivo il

riscontro narrativo.

Osservando da vicino il rapporto con l’Ebraismo, con la sua indole marcatamente etica, il

Nuovo Testamento ci propone uno spettro di analisi e di giudizio molto ampio: si va

dall’apprezzamento profondo al rifiuto radicale. Una visione adeguata deve rendere ragione di

come la Nuova Alleanza debba essere considerata, nella persona di Cristo, il pieno compimento

dell’Antica promessa; e questo è lo spirito dei primi ebrei che sono diventati con Maria e gli

Apostoli i nuovi cristiani. Inoltre bisogna rendere ragione del rifiuto, anche violento e settario, di

molti fratelli ebrei. La traiettoria di questa oscillazione tematica senza la quale non è possibile

comprendere il Nuovo Testamento, presenta uno spettro molto ampio con alcuni passaggi

essenziali. Emblematica ancora una volta è la figura di Paolo che occupa in una stessa esperienza lo

spazio del persecutore e quello del convertito.

4 Ascolta Israele

Il livello più alto di apprezzamento dell’ebraismo da parte dei primi cristiani è

l’affermazione del valore definitivo dello Shema Israel54

, Ascolta Israele, l’imperativo categorico

che figura in Deuteronomio 6,4-9 con il quale ancora oggi prega il pio israelita durante la giornata.

L’imperativo pone l’amore assoluto verso il Dio unico al sommo della legge; al comando

fondamentale si aggiunge l’imperativo di amare il prossimo come se stessi come recita

Levitico19,18. Allo scriba che si entusiasma per questa duplice e convergente affermazione sul più

grande dei comandamenti, Gesù risponde …non sei lontano dal regno dei cieli.(Mt 19,16-19).

Lo Shema Israel è in sintesi il commento ai dieci comandamenti, legge dell’Esodo e del

deserto, che sopporta nella tradizione rabbinica un commento quasi infinito. E’ interessante

osservare come i cristiani abbiano assunto e addomesticato la legge di Mosè, in modo talvolta

54

"Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno.

Benedetto il nome del Suo glorioso regno per sempre, eternamente.

E amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue facoltà.

Siano queste parole che Io ti comando oggi, impresse nel tuo cuore. Le inculcherai ai tuoi figli, parlerai di esse stando

in casa e andando per la via, coricandoti e alzandoti.

Le legherai come segno sulla tua mano, e siano sulla tua fronte, fra i tuoi occhi. Le scriverai sugli stipiti della porta

della tua casa e della tua città" (Dt 6,4-9).

Commentano i rabbini: Ogni suo versetto, ogni parola, perfino ogni lettera ha dato ai nostri Maestri la possibilità di

approfondire il significato dello Shema‘, ha fornito loro i mezzi per trarre sempre nuovi insegnamenti per guidare

l’ebreo, e non soltanto l’ebreo ma, in definitiva, ogni credente, a meglio intendere lo scopo divino nell’appello ad

ascoltare. http://www.nostreradici.it/Kopciowski_shema.htm

65

eccessivo. San Paolo scrivendo ai Galati afferma che la legge, i comandamenti, vissuti nello Spirito

giusto sono il Pedagogo che conduce a Cristo.55

Non poteva esserci apprezzamento più grande e superamento più deciso. Quando infatti

colui che è stato condotto dal pedagogo raggiunge la maturità diventa libero. L’esperienza di due

mila anni porta però a considerare con realismo il fatto che gli essee umani anche quando sono in

Cristo hanno bisogno del pedagogo. A meno che non si possa immaginare una umanità nuova già

sulla terra che faccia ricorso con maggiore generosità alle risorse dell’intelligenza e della grazia. Il

problema se e come mantenere l’insegnamento e la pratica dei dieci comandamenti nella Catechesi

della Chiesa ha ricevuto un originale commento da parte di Giovanni Paolo II nell’enciclica

Veritatis Splendor.

5 Amare Dio e amare il prossimo…e il comandamento nuovo

Amare Dio e il prossimo è da considerarsi dunque il compimento della legge e dei profeti, e

tale dottrina domina tutto il Nuovo Testamento, così come appare nell’insegnamento di Gesù, e

negli scritti di Paolo. Il comandamento nuovo amatevi come io vi ho amati 56

appare sulla bocca di

Cristo nella narrazione di Giovanni dell’Ultima Cena; il comandamento nuovo deriva dalla Nuova

Pasqua, la Cena del Signore che contiene in sé il Sacrificio della Croce e trova la sua plastica

espressione nell’Inno alla carità di Paolo.57

Una morale cristiana dell’amore senza la narrazione della Passione di Gesù, senza la

partecipazione alla Cena è dunque improponibile. Dobbiamo anche sottolineare che la propinquità

di Gesù a Mosè ed ai profeti è all’insegna della profonda intimità così come sottolineano gli

evangelisti raccontando con dovizia di particolari la Trasfigurazione di Gesù sul monte58

. Qui egli

parla con Mosè ed Elia della sua prossima dipartita in Gerusalemme. Vicini, intimi e solidali. Una

esperienza da meditare profondamente poco valutata dai teologi e commentatori.

Sarebbe infine di grande interesse sapere con quali testi delle Scritture e dei profeti, Gesù ha

spiegato ai due discepoli incamminati verso Emmaus59

che la sua morte e resurrezione erano

previste. Tutto quanto avviene a Gesù, nella sua morte e risurrezione, avviene secondo le Scritture.

6 Comandamenti e precetti

L’osservanza dei comandamenti ha valore quando nasce dall’amore o educa all’amore di

55

Gal 3,25: Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Gal 3,24: Così la legge è per noi come

un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. 56

Gv 15, 12-17. 57

1 Cor 13. 58

Mc 9,2-10; Mt 17,1; Lc 9,28-39. 59

Lc 24,13-35.

66

Dio e del prossimo, altrimenti precipita l’osservante nel mondo complesso della casistica. I farisei,

che etimologicamente significa i puri, i separati, avevano codificato con i dieci comandamenti 613

precetti minuziosi60

; lo scrupolo (se non osservo sto male con Dio e con me stesso), l’ipocrisia (si

osserva per convenienza, con le labbra, ma il cuore è lontano); infine l’assenza di fascino di una

legge puramente esteriore di fatto provocano il desiderio di trasgredire e un male ancora maggiore.

Tutta questa ampia casistica trova una vasta e complessa eco nei Vangeli, viene codificata

soprattutto negli scritti di Paolo il quale si trova in una condizione ideale per comprendere la vita

nuova in rapporto all’antica. Egli infatti si definisce fariseo quanto alla legge.61

Lo schema di

apprezzamento-superamento-rifiuto radicale trova la massima espressione tematica nella lettera ai

Romani, scritta da Paolo quasi certamente da Corinto nell’inverno del 57 dopo Cristo e che in forma

di trattato epistolare penetra nel profondo la problematica etica in rapporto all’ebraismo e al

paganesimo alla luce del fatto che solo in Gesù si ottiene la salvezza: in Gesù, nel nome di Gesù, è

dovuta l’obbedienza della fede, in questo senso solo la fede giustifica, cioè porta alla salvezza. La

Lettera ai Romani è preceduta dalla Lettera ai Galati che sviluppa argomenti simili in forma

certamente più polemica rispetto allo scritto maggiore, più pacato e sistematico. I Galati infatti

hanno abbandonato la purezza della vita della fede delle origini ammaliati, così dice l’Apostolo, da

pseudo-apostoli che li hanno richiamati ad antiche usanze ebraico-pagane e inoltre hanno messo in

discussione la sua autorità di Apostolo.

7 La Circoncisione

L’attacco più formidabile all’ebraismo nella sua accezione tradizionale è la netta abolizione

della Circoncisione che viene sostituita dai primi cristiani con il Battesimo. Occorre far notare che

la circoncisione rimanda ad Abramo e a Mosè ed è un segno di appartenenza a Dio e di identità

etnica tipicamente maschile che lascia una traccia indelebile nel corpo per tutta la vita. Il Battesimo

si presenta al contrario come un gesto transeunte, parola e acqua scorrono via, ma i primi credenti

hanno coscienza che il Battesimo segna con un sigillo interiore, in Spirito Santo e fuoco.

Accostando Battesimo e Circoncisione si avverte in modo molto pesante e decisivo la differenza e il

salto che comporta il passaggio dall’ebraismo al cristianesimo.

Un corollario, non secondario, di questa riflessione è l’esplicitazione delle potenzialità

implicite nel Battesimo, per cui in Cristo non c’è più né giudeo né greco né schiavo né libero non

60

613 mitzvòt (ebraico: תווצמ ג"ירת taryag mitzvot; forma singolare del termine è הוצמ, mitzvà), o 613 precetti, sono il

fulcro della fede ebraica. ...essi normano tuttora ogni forma della vita religiosa, matrimonio, digiuno, pellegrinaggio,

sabato, elemosina, abluzioni ecc. 61

Fil 3,5: …circonciso l`ottavo giorno, della stirpe d`Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto

alla legge.

67

c’è più né uomo né donna.62

Si riorganizza un’etica fondamentale che pone al centro la fede, spazzando via

potenzialmente ogni forma di discriminazione, in netto contrasto con la tradizione; come Paolo

afferma

14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del

Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato

crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né

la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura.63

Al lato pratico l’impatto con la realtà di ogni giorno e la cultura dominante, ebrea o pagana,

generano quel fitto travaglio etico che attraversa la Chiesa delle origini e che trova un’eco intensa

nel Nuovo Testamento.64

Nei capitoli 10 e 11 della Lettera ai Romani con stile certamente non facile, Paolo traccia

una serie di argomentazioni sul rapporto con i fratelli Ebrei, con la loro realtà alla luce dell’evento

Cristo e sul loro futuro come popolo dell’Alleanza. Il pensiero di Paolo, come in altri casi, ci giunge

un po’ contorto e non sempre immediatamente accessibile, ma alla lettura delle sue parole si

riescono ugualmente a ricavare gli elementi che permettono di affermare che dopo di lui altri sono

stati meno capaci di contenere la questione del rapporto con l’ebraismo in una sintesi tanto

efficace.65

62

Gal 3: 26 Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, 27

poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi

siete rivestiti di Cristo. 28

Non c`è più Giudeo né Greco; non c`è più schiavo né libero; non c`è più uomo né donna,

poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29

E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi

secondo la promessa. 63

Gal 6,14.

Si legge nel sito Internet della sinagoga di Milano Nascita di un bambino Quando nasce un bambino, è bene

darne l'annuncio all'ufficio rabbinico. E' antica usanza che la nascita di un maschio venga annunciata in sinagoga durante la tefillà (preghiera) del venerdì sera. L'ufficio rabbinico potrà fornire aiuti e suggerimenti per la milà (circoncisione) e presenziarvi. In tale maniera, il neonato potrà essere iscritto alla Comunità fin dalla

nascita e avere in futuro l'attestato di appartenenza all'ebraismo. Nascita di una bambina Anche la nascita

delle bambine dovrà essere notificata all'ufficio rabbinico, in modo che la neonata possa essere subito iscritta

alla Comunità. E' usanza diffusa dare rilievo alla nascita di una bambina con la cerimonia di imposizione del nome al compimento del primo mese. Per questa cerimonia contattare il rabbino. 64

Fatica lo stesso Paolo così deciso dinanzi alle titubanze di Pietro, almeno dal punto di vista dottrinale, a liberarsi dalla

concezione secondo cui la donna appare sostanzialmente sottomessa all’uomo a motivo della Genesi. E’ dominante

inoltre la paura che la predicazione degli altri, la predicazione dei giudei, la corruzione del mondo, i disordini sessuali,

la fine imminente del mondo, possano trovare i credenti impreparati all’incontro con Cristo. L’idea che in Cristo e nella

sua croce Dio ha mostrato misericordia e amore per tutti, fatica ad essere declinata nel tempo storico, ma come è facile

avvertire si tratta di un problema anche nostro e di ogni generazione cristiana. 65

Significativo a questo riguardo il percorso di Lutero che parte con Paolo da ottime premesse e scivola in una brutale

negazione della presenza degli Ebrei.

68

C) Excursus biblico

Il nostro commento-riflessione sul secondo capitolo degli Atti degli Apostoli ci ha condotti

molto lontano. Ci ha messo in mano alcune chiavi di interpretazione che ci permettono ora un

cammino più libero e creativo.

Alla luce della Pentecoste, camminando a ritroso, mettendo tra parentesi l’epoca di redazione dei

testi, è possibile cogliere in momenti e ambiti diversi, situazioni etiche decisive. Parafrasando una

situazione platonica, alla luce della Pentecoste possiamo affermare che la vita nuova in Cristo è

stata trasmessa progressivamente e che prima di passare al momento essoterico, il momento

pubblico della Pentecoste, è stato molto consistente il momento esoterico, quello privato, quello

dell’addestramento, della formazione interiore, della trasmissione di un modello di vita e di

pensiero. Di questa fase sono testimoni i Vangeli; per quanto scritti alla luce del compimento, essi

testimoniano intensamente la coscienza di aver condiviso con il Maestro una stagione intensa e

decisiva dell’esistenza. Ma già la vita dei trenta anni nascosti di Gesù ha dal punto di vista etico un

valore fondante ed emblematico.66

Romani 10, 6-18 La consapevolezza dell’importanza decisiva della predicazione perché ci sia la salvezza è espressa

in un importante testo di Paolo che assume letteralmente alcune frasi del Deuteronomio alla luce

della nuova predicazione e della effusione dello Spirito Santo. E’ degna di nota la trasformazione di

elementi veterotestamentari in una nuova ottica compositiva. Paolo ribadisce quanto da noi

affermato nel commento di Atti 2 e cioè che l’etica cristiana deriva dalla predicazione e la

predicazione deve essere assunta nel disegno della grazia di Dio. Troviamo il testo in Romani

10, 6-18

1Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio

per la loro salvezza. 2Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per

Dio, ma non secondo una retta conoscenza; 3poiché, ignorando la giustizia

di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla

giustizia di Dio. 4Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la

giustizia a chiunque crede.

66

Di questo si avvidero tutti coloro che coltivarono la piccola via dell’umiltà nella sequela del maestro: il pensiero va a

Francesco, Chiara, Teresa di Gesù bambino, Charles de Foucauld, madre Teresa di Calcutta, Paolo VI, con la sua

splendida meditazione sulla Famiglia di Nazareth.

69

5Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così:

L'uomo che la pratica vivrà per essa. 6Invece la giustizia che viene dalla

fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo

significa farne discendere Cristo; 7oppure: Chi discenderà nell'abisso?

Questo significa far risalire Cristo dai morti. 8Che dice dunque?

Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della

fede che noi predichiamo.

9Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai

con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

10Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa

la professione di fede per avere la salvezza.

11Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso.

12Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il

Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano.

13Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.

14Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come

potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne

parlare senza uno che lo annunzi?

15E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto:

Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!

16Ma non tutti hanno obbedito al vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha

creduto alla nostra predicazione?

17La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta

si attua per la parola di Cristo.

18Ora io dico: Non hanno forse udito? Tutt'altro:

per tutta la terra è corsa la loro voce,

e fino ai confini del mondo le loro parole.

Giovanni 20, 19

Giovanni nel suo Vangelo, analogamente a quanto accade per l’Istituzione dell’Eucaristia, non parla

della Pentecoste pur alludendovi più volte. Egli colloca l’effusione dello Spirito da parte di Gesù

nella sera di Pasqua. Bisogna ripetere che queste discrepanze sembrano scritte ad arte per

confondere i confusi e i non convincibili, mentre denotano una sintonia di fondo straordinaria,

naturalmente per chi crede.

[19]La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo

dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:

«Pace a voi!». [20]Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il

Signore. [21]Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando

70

voi». [22]Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; [23]a chi

rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».

Matteo 28

Il Vangelo di Matteo sembra ignorare la Pentecoste, colloca l’Ascensione sul lago di Galilea, in

sintonia con Giovanni; appare comunque una estrema identità con il comando di ammaestrare,

battezzare, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Appare inoltre la formula

trinitaria, Padre e Figlio e Spirito Santo, che in diversi modi pervade il compimento della Salvezza.

Il Vangelo di Matteo è scritto caratteristico di un ebreo-cristiano inviato ad ebrei-cristiani e contiene

nel saluto finale di Cristo la menzione dell’osservanza dei suoi comandamenti.

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro

fissato. 17Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. 18E

Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

19Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre

e del Figlio e dello Spirito santo, 20insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho

comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Marco 16

Occorre osservare la sintonia e allo stesso tempo la differenza nella finale del Vangelo di Marco e

quello di Matteo. Chi non crederà e non sarà battezzato sarà dannato…si parla di segni e prodigi

che alludono alla necessità di affrontare forti persecuzioni. Si pensa che questo Vangelo sia stato

scritto da Giovanni Marco, segretario di Pietro e inquieto collaboratore di Paolo, tra il 67 e il 73 per

i cristiani di Roma superstiti, da poco emersi dalla persecuzione di Nerone. La tensione del testo di

Marco è marcatamente escatologica.

15Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni

creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà

condannato. 17E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono:

nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in

mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno

le mani ai malati e questi guariranno".

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla

destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava

insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.

71

Le Beatitudini

Il messaggio delle Beatitudini è definito con giustificata iperbole la Magna Carta del cristianesimo.

Esso contiene in sintesi poetico-evocativa tutta la sostanza del Vangelo. E’ però molto importante

non dimenticare da quale bocca escono le parole. Gesù è la prima manifestazione vivente, umano-

divina, del valore definitivo delle Beatitudini dinanzi alla bellezza e al male che c’è nel mondo.

Molti esegeti mettono in risalto il fatto che l’Evangelista rappresenta Gesù come il nuovo Mosè

salito sul monte per emanare la Nuova Legge dell’Amore. In questo senso la sintonia con la

situazione della Pentecoste potrebbe essere addirittura assoluta. Troverebbe anche spiegazione

intima il tono di intransigenza della prima predica di Pentecoste: le Beatitudini esprimono il segreto

cuore di Dio e l’ideale di una umanità salvata. Diversamente da Matteo Luca pone la proclamazione

delle Beatitudini in un luogo pianeggiante. Ma c’è di più, Luca sviluppa in modo radicale le

beatitudini per antitesi e assume sulla povertà una posizione altrettanto radicale… beati i poveri,…

guai a voi o ricchi.

Occorre far notare che le Beatitudini se da un lato proclamano l’importanza dell’accettazione delle

situazioni di sofferenza dall’altro implicano una ribellione radicale, assolutamente non-violenta, ad

ogni forma di ingiustizia.

Matteo 5

•1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2Prendendo

allora la parola, li ammaestrava dicendo:

•3"Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

72

•11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per

causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i

profeti prima di voi.

•13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro

serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

•14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15né si accende una

lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così

risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che

è nei cieli.

Luca 6 [17]Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente

da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, [18]che erano venuti per ascoltarlo ed esser

guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. [19]Tutta la folla

cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

•[20]Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:

«Beati voi poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

[21]Beati voi che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi che ora piangete,

perché riderete. [22]Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e

respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. [23]Rallegratevi in quel giorno ed esultate,

perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.

• [24]Ma guai a voi, ricchi,

perché avete gia la vostra consolazione.

[25]Guai a voi che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi che ora ridete,

perché sarete afflitti e piangerete.

[26]Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.

Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti. [27]Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri

nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, [28]benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi

maltrattano. [29]A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica.

[30]Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. [31]Ciò che volete gli uomini facciano a voi,

anche voi fatelo a loro. [32]Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.

[33]E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. [34]E se

prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per

riceverne altrettanto. [35]Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio

sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. [36]Siate misericordiosi,

come è misericordioso il Padre vostro. [37]Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete

73

condannati; perdonate e vi sarà perdonato; [38]date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi

sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Luca 4

Tutta la narrazione attribuita a Luca, nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli, esalta la funzione dello

Spirito Santo che, come sappiamo, dona una prova tangibile della sua presenza nel giorno di

Pentecoste. Luca non ha dubbi che si tratti dello Spirito di Cristo. Con una ardita riflessione molto

praticata dai teologi si può pensare che si tratti dello Spirito dei profeti e ultimamente dello Spirito

di Dio che aleggiava sulle acque nel racconto originario della Genesi.67

Gesù legge la profezia di Isaia nella Sinagoga di Nazareth e ne proclama il pieno

compimento nella sua persona. Occorre far notare che la venuta del Messia coincide, in sintonia con

le Beatitudini, con l’annuncio del Vangelo ai poveri…come a dire che tra Gesù e la giustizia

sociale non ci sono mediazioni di sorta, ma una presa efficace e diretta.

[14]Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in

tutta la regione. [15]Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi.

Gesù a Nazaret[16]Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito,

di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. [17]Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;

apertolo trovò il passo dove era scritto:

[18]Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l'unzione,

e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto

messaggio,

per proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

per rimettere in libertà gli oppressi,

[19]e predicare un anno di grazia del Signore.

[20]Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella

sinagoga stavano fissi sopra di lui. [21]Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa

Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». [22]Tutti gli rendevano testimonianza ed

erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il

figlio di Giuseppe?». [23]Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico,

cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua

patria!». [24]Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. [25]Vi dico anche:

c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei

mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; [26]ma a nessuna di esse fu mandato Elia,

se non a una vedova in Sarepta di Sidone.

67

Genesi 1.

74

[27]C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu

risanato se non Naaman, il Siro».

[28]All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; [29]si levarono, lo

cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era

situata, per gettarlo giù dal precipizio. [30]Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

La sintonia con il testo della Genesi, secondo cui lo Spirito è sovrastante il grande caos del mondo è

sufficientemente leggibile considerando che Gesù è Dio.

Genesi 1

1 In principio Dio creò il cielo e la terra. 2 La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano

l`abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.

D) Cristianesimo e mondo pagano

Il Nuovo Testamento dimostra una attenzione del tutto particolare verso il mondo romano.

E’ una attenzione legata alle contingenze, ma sostanzialmente positiva. E’ sufficiente allo scopo

richiamare la quantità di soldati romani di centurioni e di funzionari che entrano in gioco, oltre al

più famoso Pilato, nella narrazione evangelica e negli Atti degli Apostoli. Mediamente i romani, con

le debite eccezioni, intervengono nella narrazione neotestamentaria con la loro fede e la loro

generosità. Il loro atteggiamento devoto e razionale si mostra superiore al fanatismo violento di

molti fratelli ebrei, sempre nella narrazione degli Atti degli Apostoli. Un peso decisivo ebbero in

seguito le violente persecuzioni; dall’affermazione secondo cui il potere deriva direttamente da

Dio68

si passò ad identificare il potere di Roma con Babilonia e con lo stesso potere del demonio.69

Bisogna anche affermare che se decisivo politicamente è il potere romano, dal punto di vista

culturale siamo ancora nel pieno dominio della cultura ellenistica. Le scuole letterarie e filosofiche

sono diffuse e attive in tutta l’area dell’Impero; dobbiamo elencare il platonismo, l’aristotelismo,

l’epicureismo, lo stoicismo, l’accademia scettica… La grande cultura latina, da Cicerone a Cesare,

Ovidio, Orazio, Catullo, Livio e Virgilio, come è risaputo, attinge consapevolmente alla cultura

greca.

68

Rm 12. 69

Ap 13.

75

Dal punto di vista religioso lo stereotipo70

ci porta a distinguere la religione ufficiale

dell’Impero romano, dalla lussureggiante diffusione dei culti locali e dei culti misterici. La religione

romana politeista si erge sul principio che la religione deve servire all’ordine sociale e il disordine

causato dai diversi culti può essere il criterio per la loro drastica soppressione. Questo spiega perché

i romani ebbero sempre problemi con gli Ebrei fino alla definitiva deportazione problemi che si

acuirono con l’avvento del cristianesimo71

. Gli Ebrei presenti in Roma in numero di circa

quarantamila vennero espulsi circa nel 54 dall’imperatore Claudio, così ci informa Svetonio, a

causa di disordini dovuti ad un certo Cresto che può essere certamente Gesù Cristo. (tra gli espulsi

gli Atti ricordano Aquila e Priscilla che Paolo incontra a Corinto)72

.

La religione romana è basata sul principio del do ut des, una religione cioè di tipo giuridico

che privilegia il culto degli antenati, l’osservanza scrupolosa del rito, la superstizione e il ricorso

alla magia. Lo sfondo su cui si staglia la religiosità romana è quello di una caratteristica e diffusa

corruzione morale, che raggiunge la sua diabolica espressione nelle stanze del palazzo.73

Accanto ai culti locali con i loro templi e i loro sacrifici, sono fortemente diffusi i culti

misterici e iniziatici, alcuni di origine orientale, dualista, egizia, con alcune manifestazioni che

sconfinano nell’orgiastico e nel diabolico. Molto diffusa appare la prostituzione sacra. Tracce di

70

La religione romana, ovvero l'insieme delle credenze e degli usi e costumi religiosi della Roma antica, è un

fenomeno complesso, di non facile lettura e per le variazioni che contraddistinsero la sua evoluzione nell'arco di dodici

secoli e per il suo carattere composito, dovuto alla confluenza di diversi sistemi religiosi ed alla varietà delle pratiche

cultuali. 71

Nel 66 d.C. dopo alcuni anni di malgoverno romano sotto i procuratori Albino e Gessio Florio scoppiò la rivolta

ebraica, una delle più gravi fra quelle che sconvolsero il mondo romano. La rivolta - alla quale non presero parte i

cristiani - ebbe come promotori non solo gli Zeloti ma anche i più moderati Sadducei, e ad essa prese parte anche lo

stesso Giuseppe Flavio, che non era certamente un estremista, e che più tardi si allontanò probabilmente vedendo i moti

degenerare. La rivolta provocò uno scontro sanguinosissimo fra le varie fazioni ebraiche, e fu la causa di una grave

carestia con molte migliaia di morti. L'ultima a cadere in mano romana fu la fortezza di Masada tenuta dagli Zeloti, i

quali per non arrendersi ai Romani si suicidarono in massa.

Quando i Romani ripresero Gerusalemme il Tempio, simbolo dell'unità del popolo ebraico, venne distrutto, ma negli

anni successivi l'amministrazione ritornò alla normale tolleranza. Nel periodo successivo si ebbero invece sollevazioni

fra diverse comunità ebraiche nel Mediterraneo in Egitto, Cirene, Cipro, Mesopotamia, ma si può ritenere che il motivo

di tale tensione fossero contrasti locali fra le popolazioni di origine greca e quella ebraica.

Nel 132 quando l'imperatore Adriano decise di costruire una città dedicata a Giove Capitolino sulle rovine di

Gerusalemme, che non era stata più ricostruita, si ebbe una nuova sollevazione, guidata da Bar Cocheba, un

personaggio messianico, non molto stimato dagli stessi Ebrei, che nel Talmud venne considerato un menzognero. Il

fallimento della nuova sanguinosa rivolta portò ad un ulteriore incremento della diaspora, già iniziata nei decenni

precedenti, ma anche ad una profonda revisione all’interno dell’ebraismo: vennero abbandonati i sogni di riscatto

politico-religioso a favore di una visione più interiore della religione. 72

Gaio Svetonio Tranquillo (70-126 circa) Nella sua opera Vita dei dodici Cesari, una raccolta di dodici biografie

degli imperatori da Cesare a Domiziano scritta intorno al 120, ci lascia due accenni ai cristiani. Egli ebbe accesso a tutti

gli archivi e utilizzò le informazioni così trovate per scrivere le sue biografie degli imperatori (De vita Caesarum).

L’occasione per parlare di Cristo è la cacciata dei Giudei da Roma sotto Claudio che anche in Atti 18,2 è menzionata:

“Claudio infatti aveva ordinato che tutti i Giudei abbandonassero Roma”. Ecco il testo: “Cacciò da Roma quei Giudei

che, istigati da Cresto, provocavano disordini continui.” L’errore di Svetonio sta nel ritenere che a quel tempo Gesù

fosse presente a Roma. Un altro accenno ai Cristiani, Svetonio lo colloca nella vita di Nerone: “Sottopose a supplizi i

Cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica” (Vita Neronis XVI, 2) Alcuni ebrei di Roma sono

presenti a Gerusalemme il giorno di Pentecoste. 73

Cfr la vicenda e il pensiero di Seneca.

76

questo mondo complesso e lussureggiante pieno di magia, di dottrine complesse, si leggono ancora

una volta nella narrazione degli Atti degli Apostoli, nell’Epistolario paolino e nell’Apocalisse.

Tutto questo spiega come, rispetto al mondo pagano, al cosiddetto mondo dei gentili,

l’atteggiamento dei primi cristiani appare ancora una volta diversificato. I primi cristiani ebbero

chiara coscienza che lo Spirito spingeva a portare a tutti il messaggio del Vangelo pur sapendo che

non di tutti è la fede.

La decisione teorico-pratica di disancorare la fede cristiana dall’ebraismo costituì il più

importante e decisivo atto compiuto dai credenti delle origini. Decisiva sebbene non esclusiva si

rivelerà l’opera di Paolo. Paolo sperimentò la disponibilità dei gentili a ricevere il Vangelo ma

anche la loro vulnerabilità dinanzi alla mentalità del mondo.

Per descrivere questa ambivalenza scegliamo due testi notevoli, il discorso di Paolo ad Atene,

saggio di alta dialettica e di inefficace strategia, e la denuncia frontale della corruzione del mondo

pagano, sempre ad opera di Paolo, che scrive ai cristiani di Roma.

Nel primo caso, per quanto si debba e si possa considerare il discorso di Paolo ricostruito da

Luca, è evidente il fatto che l’abile scrittore vuole evidenziare come il linguaggio, l’impostazione

del discorso, sono decisamente diversi rispetto ai discorsi tenuti con i fratelli ebrei. Non più il

ricordo delle promesse e dei fatti dell’Antica Alleanza, ma l’annuncio sorprendente dell’unico Dio

che si rivela in Gesù Cristo segno di misericordia. Paolo parla di Dio facendosi varco attraverso una

foresta di idoli usando l’espediente dell’ara al Dio sconosciuto. L’attacco del discorso è

decisamente poetico, religioso e metafisico, l’orizzonte su cui spazia Paolo è quello dell’intera

umanità e del progetto di Dio che culmina nella Rivelazione di Gesù e nella sua risurrezione. Paolo

parla a filosofi, parla alla loro intelligenza, l’inefficacia quasi completa del suo discorso ha aperto

comunque una via.

Che la mente umana e la coscienza umana possano e debbano riconoscere l’esistenza di Dio

Creatore del mondo attraverso la conoscenza del mondo viene detto efficacemente nel brano tratto

dalla Lettera ai romani. Ma è soprattutto il teorema etico che sviluppa Paolo a rivelarsi di grande

interesse. Non avendo gli uomini riconosciuto Dio si sono corrotti, Dio stesso li ha abbandonati a

passioni infami, ad un disordine sessuale estremo. Questa situazione, nell’economia della Lettera ai

Romani, è il corrispettivo dell’ipocrisia degli Ebrei, che osservano la legge solo con le labbra e non

con il cuore.

Proponiamo infine la lettura di un brano di Paolo che sancisce il valore del potere politico

romano e una inquietante allusione dell’Apocalisse al potere diabolico di Roma.

77

Paolo ad Atene (anno 50?) At 17

16Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al

vedere la città piena di idoli. 17Discuteva frattanto nella sinagoga

con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza

principale con quelli che incontrava. 18Anche certi filosofi epicurei e

stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: "Che cosa vorrà mai

insegnare questo ciarlatano?". E altri: "Sembra essere un

annunziatore di divinità straniere"; poiché annunziava Gesù e la

risurrezione. 19Presolo con sé, lo condussero sull'Areòpago e

dissero: "Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina

predicata da te? 20Cose strane per vero ci metti negli orecchi;

desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta". 21Tutti gli

Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo

più gradito che parlare e sentir parlare. 22Allora Paolo, alzatosi in

mezzo all'Areòpago, disse: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete

molto timorati degli dèi. 23Passando infatti e osservando i monumenti

del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio

ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.

24Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore

del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani

dell'uomo 25né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse

bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e

ogni cosa. 26Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini,

perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito

l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27perché cercassero Dio,

se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia

lontano da ciascuno di noi. 28 In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed

esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di

lui stirpe noi siamo. 29Essendo noi dunque stirpe di Dio, non

dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla

pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana.

30Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a

tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, 31poiché egli ha

stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per

mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura

col risuscitarlo dai morti". 32Quando sentirono parlare di

risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: "Ti

sentiremo su questo un'altra volta". 33Così Paolo uscì da quella

riunione. 34Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi

anche Dionìgi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e

altri con loro.

Paolo ai Romani (anno 57)

16Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per

la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. 17È

in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta

scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. 18In realtà l'ira di Dio si

78

rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che

soffocano la verità nell'ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può

conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato.

20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili

possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui

compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21essi sono dunque

inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria

né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro

ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22Mentre si

dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno cambiato la

gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo

corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. 24Perciò Dio li ha

abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da

disonorare fra di loro i propri corpi, 25poiché essi hanno cambiato la

verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura

al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. 26Per questo

Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno

cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27Egualmente

anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono

accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi

uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che

s'addiceva al loro traviamento. 28E poiché hanno disprezzato la

conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza

depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 29colmi come sono

di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia;

pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità;

diffamatori, 30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi,

fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31insensati, sleali,

senza cuore, senza misericordia. 32E pur conoscendo il giudizio di

Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo

continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

Romani 13 (anno 57)

1Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non

c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite

da Dio. 2Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine

stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno

addosso la condanna. 3I governanti infatti non sono da temere

quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da

temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al

servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi,

perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di

Dio per la giusta condanna di chi opera il male. 5Perciò è

necessario stare sottomessi, non solo per timore della

punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo

dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a

questo compito sono funzionari di Dio. 7Rendete a ciascuno

ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le

tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto.

79

Apocalisse13 1Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste,

sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2La

bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle

di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua

forza, il suo trono e la sua potestà grande. 3Una delle sue teste

sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.

Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia 4e

gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia

e adorarono la bestia dicendo: "Chi è simile alla bestia e chi può

combattere con essa?".

TERZA PARTE

Principi della morale cristiana

80

67

3 Principi della morale cristiana

A) Sintesi

1 Ricerca del Fondamento A seguito di questo lungo excursus biblico-neotestamentario è possibile costruire una sintesi

di quanto i credenti pensano o, meglio, dovrebbero pensare della vita morale; si possono estrarre

dalla Parola di Dio e dall’esperienza i cosiddetti principi morali? Difficilmente chi scrive di queste

cose riesce a rivivere la costruzione del messaggio dalle origini e trovare le vere motivazioni; il

sapere autentico esige questa ricerca. Molti dicono di volerlo fare ma poi prevale, anche in modo

inconsapevole, la volontà di giustificare le idee che si hanno già in mente, soprattutto sotto

l’urgenza e la pressione dell’attualità. Trovare un moralista che non procede in questo modo è

davvero raro. Il fondamentalismo teologico nasce il più delle volte dalla paura che i fondamenti su

cui ci si basa non siano veri.

Come è risaputo dopo Aristotele, principio o Arché è ciò che spiega, ciò che sta a

fondamento. Ora noi non vogliamo fingere di aver cercato questi fondamenti nella Scrittura e di

averli trovati con assoluta originalità e novità. In verità noi tutti già conosciamo per sentito dire o

per convinzione personale quali siano tali principi e la riflessione e l’azione ci aiutano a capire

come e da dove essi emergano realmente, e quale sia la loro forza originaria.

2 Dio creatore

Il messaggio delle origini della Chiesa assume e fa propria radicalmente la visione biblica

dell’uomo creatura di Dio, creato a immagine e somiglianza di Dio. E’ Dio che fa di ogni uomo un

essere vivente con il soffio vitale. Dio continua a sostenerci con la sua onnipotenza creatrice.

Ciò che distingue gli esseri umani dagli altri animali è la coscienza (albero del bene e del

male) che esalta il valore di una libertà creaturale, e l’immortalità (l’albero della vita). Se i primi

cristiani fanno propria pienamente la concezione biblica della creazione in essa innestano una

visione nuova. La legge progressivamente rivelata ai fratelli ebrei riflette certamente la

predilezione per il popolo ma è anche l’espressione storica di ciò che esige la coscienza in quanto

tale; nel cuore dell’uomo è incisa una legge viva, non scritta. Solo in seguito i teologi parleranno di

legge naturale universale non senza un influsso della filosofia e soprattutto dello stoicismo.

3 Il Vangelo

68

Il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, mistero nascosto da secoli e finalmente

manifestato, rivela a noi l’amore infinito di Dio, che ci eleva con la grazia, anticipo della vita

eterna. La fede e il battesimo sono doni di Dio offerti alla nostra libertà.

La Rivelazione implica la presa di coscienza, alla luce di Cristo, del mistero dell’iniquità,

realtà e mistero del male e del maligno, mistero che Dio permette, che supera la nostra

comprensione, che ci tocca tutti nell’intimo fin dalle origini (peccato di origine).74

Nella

Rivelazione di Cristo il male non può competere con la fede. Ogni essere umano, creatura di Dio,

vive in un mondo salvato da Cristo sebbene sia attraversato dal mistero dell’iniquità. La libertà in

Cristo, anticipo della vita eterna, esalta l’amore senza egoismo e la piena realizzazione della nostra

persona in Cristo; la pienezza della carità è il sommo ideale della vita nuova in Cristo pur

permanendo nel tempo e nella storia l’insidia del male e la concupiscenza.

4 Una nuova antropologia

All’interno della cultura cristiana delle origini, in particolare nel pensiero di san Paolo, è

possibile rintracciare una vera a propria antropologia, una visone dell’essere umano che possiamo

considerare sia strutturale che dinamica.

Strutturale è la ripartizione tra Corpo-Carne, Anima-Mente, Spirito-Grazia. Nell’unità di

questi elementi si specifica la pienezza dell’esistenza umana in Cristo. Come abbiamo già visto, il

concetto di persona subentra successivamente, anche qui con una curiosa storia, nella sfera dei

concetti filosofici e teologici.75

Dinamica è la tensione che si crea nell’uomo salvato tra peccato-concupiscenza-carne e

fede-amore-spirito. Questa tensione, dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia76

, assume

proporzioni drammatiche nell’esistenza concreta, ma tutto ciò avviene in un mondo salvato. I due

termini costituiscono il dramma e la bellezza della vita cristiana: un’etica della mediocrità e del

sonno esistenziale non si addice alla realtà e alla dignità dell’essere salvati, in Cristo.

5 Alcuni testi fondamentali

La tensione etica del Cristianesimo è dominata dalla composizione di tre testi fondamentali:

sono il racconto della Genesi della creazione e del peccato, la riflessione di Paolo nella Lettera ai

Romani dove sviluppa il parallelo tra Adamo e Cristo e, infine, l’insieme dei brani del Vangelo tra i

quali scegliamo quello dell’Annunciazione. Bisogna affermare con estrema chiarezza, e questo è un

74

Cfr § 6. 75

In origine il termine persona, come è risaputo, indica la maschera, il personaggio dell’azione tragica, per indicare poi

la Persona Divina di Cristo, le Persone Divine, Padre e Figlio e Spirito Santo; infine indica la realtà piena dell’essere

umano. 76

Rm 5,20.

69

progresso decisivo rispetto all’Ebraismo e alla teologia di secoli, che il racconto della Genesi è un

racconto di andatura mitica. Le sue verità vanno oltre l’abito del racconto e inoltre le verità del testo

non risolvono alla radice il mistero iniquitatis.77

Dobbiamo anche affermare che il criterio di subordinazione della donna, in particolare la sua

disposizione prima al peccato, riflessione di origine rabbinica e in un certo modo sostenuta da

Paolo, è inaccettabile, anche di fronte all’esperienza storica. Paolo dimostra nel testo di Romani di

assumere un atteggiamento di lettura della Genesi che oggi diremmo tendenzialmente

fondamentalista. Ciò non toglie che egli ci abbia in modo impareggiabile illuminato sulla nuova

situazione di vita e di conoscenza che nasce dalla redenzione operata da Gesù.

Se infatti il racconto di Adamo è mito che illumina il mistero delle origini, nel bene e nel

male, Cristo è vero, storico, effettivo. Siamo dunque nella condizione di affermare che dal punto

di vista teologico la Genesi ci fornisce una spiegazione efficace ma insufficiente delle origini, non

sappiamo davvero perché e come il male si sia diffuso nel mondo sappiamo solo per

esperienza che il male c’è davvero, ma siamo certi che in Cristo otteniamo la salvezza, in Lui

c’è la soluzione radicale al male che c’è nel mondo.

Un esempio per capirci: se dovessimo scegliere tassativamente tra un medico che guarisce e

un medico che spiega da dove ha avuto origine la malattia, tutti indubbiamente sceglieremmo il

primo pur conservando il desiderio di capire da dove viene la malattia. Questa è la nostra

condizione storica attuale, nella vita eterna si vedrà.

E’ notevole il fatto che Luca, discepolo e compagno di viaggio di Paolo, quindi ben

consapevole della problematica qui agitata, rappresenti l’infanzia di Gesù e particolarmente la

figura di Maria come luoghi della totale rigenerazione, dove cioè non è presente l’insidia del

maligno. Da Maria prende il via la storia della salvezza in modo inequivocabile. Anche nel Vangelo

di Luca appare in seguito prepotente la presenza del maligno, ma i giochi sono stati già fatti;

radicata in Dio la nuova creatura non teme la concorrenza del male. Con una duplice negazione,

nulla è impossibile a Dio l’angelo proclama l’Onnipotenza divina. L’Onnipotenza divina è l’unica

reale possibilità che noi veniamo liberati dal male e che il male possa essere trasformato in bene.78

6 Il grande antagonista

77 Cfr Veritatis Splendor: 1. Chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo, «luce vera che illumina ogni

uomo» (Gv 1,9), gli uomini diventano «luce nel Signore» e «figli della luce» (Ef 5,8) e si santificano con «l'obbedienza

alla verità» (1 Pt 1,22).Questa obbedienza non è sempre facile. In seguito a quel misterioso peccato d'origine,

commesso per istigazione di Satana, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), l'uomo è

permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (cf 1 Ts 1,9),

cambiando «la verità di Dio con la menzogna» (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la

verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (cf.

Gv 18, 38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità. 78

San Tommaso introduce il tema dell’Onnipotenza nel famoso brano in cui parla delle cinque vie per dimostrare che

Dio esiste. Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3.

70

Una riflessione etica che analizza la Scrittura e la realtà stessa della vita e della storia, non

può esimersi dalla necessità di parlare dell’Antagonista, di Satana, del Diavolo e in genere dei

demòni. Prima ancora che analizzare le infinite variazioni sul tema che si rincorrono e si intrecciano

nella nostra cultura da almeno duemila anni, è importante fare nostro il punto di vista della Scrittura

e l’atteggiamento di Gesù.

Dobbiamo affermare per chiarezza di metodo, che è chiarezza di pensiero, che noi

conosciamo l’effettiva esistenza del Demònio e dei demòni solo per rivelazione. Ci manca infatti sia

la precomprensione che la comprensione della loro esistenza. Intendo per precomprensione il fatto

che l’esistenza del Demònio non è una esigenza dell’essere umano; l’essere umano farebbe

volentieri a meno della sua presenza: oltre ad essere una entità invisibile è una realtà negativa e

minacciosa in grado estremo, quanto basta ad un essere umano per desiderare di farne a meno.

Ci manca altresì la comprensione dell’esistenza del Demònio quando siamo convinti per

fede della sua esistenza. L’intelligenza infatti può solo essere imbarazzata dinanzi a manifestazioni

particolarmente tragiche del male, quando il male che fanno gli uomini sembra insufficiente a

spiegare eventi davvero clamorosi. E’ un fatto che chi ricerca con la sua diretta inquisizione la

presenza del Diavolo e dei demòni trova la presenza dove non c’è e non la trova dove c’è.

L’esorcista accreditato ecclesialmente deve necessariamente fare ricorso ad un costante

discernimento. Un fitto sottobosco si agita nelle regioni del satanismo e nei covi dove gli esseri

umani decidono positivamente e liberamente di fare del male agli altri.

Affermare che l’esistenza del Demònio è da noi conosciuta solo per rivelazione vuole dire

anche che solo Dio ne conosce il segreto. Dove arriva questa riflessione? Il catechismo ha

codificato l’immagine della ribellione originaria di Lucifero a causa della sua bellezza e della sua

superbia, atto che avrebbe trascinato con sé gli angeli, angeli caduti per l’appunto79

.

In verità nessun testo autorizza questa immagine chiara e significativa. I testi che parlano di

Satana, del Diavolo, dei demòni, dell’anticristo sono infatti sempre laconici e misteriosi.

Dobbiamo pensare che Satana e i demòni sono dannati per sempre? Dobbiamo pensare che

nell’economia divina il loro eterno castigo viene permesso, viene utilizzato, rientra in una logica

divina misteriosa? Perché Dio ha creato esseri destinati ad una malvagità così estrema? Davvero

l’attività del maligno produce un bene maggiore? Quale valore attribuire alla ipotesi di Origene

su una finale salvezza anche del Demònio, in Cristo? Oppure dobbiamo dare più credito alla

posizione dantesca, riflesso della cultura medioevale, che ha sancito la eterna dannazione dei

demòni e dei dannati con loro? Satana ha davvero un potere sull’uomo, sugli uomini, sulla storia,

sul destino dell’umanità? Come è concepibile tutto ciò alla luce dell’intelligenza umana, ma

anche dell’intelligenza illuminata dalla fede dei semplici? E’ accettabile la risoluzione totale del

tema che travolge in una negazione assoluta sia Dio che i demòni, relegandoli nel regno della

79

Lc 10,18.

71

mitologia, della proiezione fantastica e psicologica? Domande continue, inesauribili, per le quali

l’ultima parola spetta a Gesù Cristo: su questa, come su altre questioni, uno solo è il Maestro.

La presenza di Satana nel racconto della Genesi, nella letteratura sapienziale e

particolarmente nel libro di Giobbe non ci autorizza a formulare risposte esaustive. Infatti tali

riflessioni o narrazioni sono una mescolanza molto caratteristica tra realismo e fantasia mitica. Nel

testo della Genesi il serpente appare alle origini come la più astuta delle fiere della terra che Dio

aveva creato. Nel libro di Giobbe il suggestivo colloquio di Satana con Dio alla corte celeste non

corrisponde ad alcuna logica plausibile. Lo stesso vale per i testi dell’Apocalisse dove il simbolismo

raggiunge dimensioni paradossali ed estreme.

Solo con i Vangeli e con gli altri testi del Nuovo Testamento Satana e i demòni si esprimono

o vengono indicati con toni di assoluto realismo. La chiave di tutto il discorso consiste

nell’affermare che solo quando appare Cristo nella sua vita pubblica la presenza dei dèmoni è

evocata e significata in tutta chiarezza. Bisogna dire di più: quando appare Gesù, il Demonio esce

allo scoperto ed è vinto, viene addirittura buttato fuori. La tentazione nel deserto, i sette demòni

della Maddalena, i demòni scacciati dai posseduti, la tentazione di Giuda e di Pietro, la passione e la

morte di Cristo, sono gli unici luoghi autorizzati per una definitiva teologia di Satana e dei demòni.

Sebbene alcuni episodi di possessione diabolica raccontati nei Vangeli facciano supporre la

presenza di malattie psichiche, togliere in toto questi fatti dalla loro evidente collocazione narrativa

significherebbe eliminare dal Vangelo un elemento essenziale. Nell’epistolario paolino e nelle altre

lettere, la presenza e la tentazione del maligno costituiscono un elemento fondamentale della vita

etica. Nella lettera di Pietro leggiamo

…fratelli siate sobri e vigilate perché il vostro avversario

il diavolo come leone ruggente s’aggira cercando chi divorare.80

Nel Padre nostro l’atteggiamento che il credente deve assumere dinanzi al maligno riceve

una sanzione definitiva dalla bocca stessa di Cristo.

L’invocazione ultima liberaci dal male! (che come risaputo potrebbe essere legittimamente

tradotta con liberaci dal maligno) figura in coda a tutte le richieste rivolte a Dio. Tutto questo vuol

dire che: il maligno esiste davvero e che Dio ha il potere di vincerlo.

La possibilità di essere posseduti dal Demònio contro la propria volontà è un fatto

inquietante e umanamente inspiegabile presente nei Vangeli e anche nell’esperienza. E’ ancora più

inquietante la possibilità che gli esseri umani possano stringere con il Demònio un’alleanza, o come

80

1Pt 5,8.

72

nel caso del leggendario dottor Faust,81

fare addirittura una scommessa. Che tutto ciò possa davvero

avere un esito, possa servire a Dio, essere utilizzato a fin di bene, e che per salvarsi in tutto questo

sia sufficiente all’uomo essere nobile d’animo, è decisamente improbabile.

Genesi 3

1Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore

Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di

nessun albero del giardino?". 2Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi

del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al

giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti

morirete". 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa

che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio,

conoscendo il bene e il male". 6Allora la donna vide che l'albero era buono da

mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo

frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne

mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;

intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

8Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del

giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi

del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?". 10Rispose:

"Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono

nascosto".

11Riprese: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di

cui ti avevo comandato di non mangiare?". 12Rispose l'uomo: "La donna che tu mi

hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato". 13Il Signore Dio

disse alla donna: "Che hai fatto?". Rispose la donna: "Il serpente mi ha ingannata e

io ho mangiato".14Allora il Signore Dio disse al serpente:"Poiché tu hai fatto

questo,

sii tu maledetto più di tutto il bestiame

e più di tutte le bestie selvatiche;

sul tuo ventre camminerai

e polvere mangerai

per tutti i giorni della tua vita.

15Io porrò inimicizia tra te e la donna,

tra la tua stirpe

e la sua stirpe:

questa ti schiaccerà la testa

e tu le insidierai il calcagno".

81

Cfr Appendice 4.

73

16Alla donna disse:

"Moltiplicherò

i tuoi dolori e le tue gravidanze,

con dolore partorirai figli.

Verso tuo marito sarà il tuo istinto,

ma egli ti dominerà".

17All'uomo disse: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai

mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi

mangiare,

maledetto sia il suolo per causa tua!

Con dolore ne trarrai il cibo

per tutti i giorni della tua vita.

18Spine e cardi produrrà per te

e mangerai l'erba campestre.

19Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;

finché tornerai alla terra,

perché da essa sei stato tratto:

polvere tu sei e in polvere tornerai!".

20L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i

viventi.

21Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e le

vestì. 22Il Signore Dio disse allora: "Ecco l'uomo è diventato

come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli

non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita,

ne mangi e viva sempre!". 23Il Signore Dio lo scacciò dal giardino

di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto.

24Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i

cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via

all'albero della vita.

…Commenta san Paolo

•5

1Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro

Gesù Cristo; 2per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa

grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. 3E non

soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione

produce pazienza, la pazienza una virtù provata 4e la virtù provata la speranza. 5La

speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo

dello Spirito Santo che ci è stato dato.

•6Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito.

7Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il

74

coraggio di morire per una persona dabbene. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi

perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9A maggior ragione ora,

giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. 10Se infatti,

quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo,

molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11Non solo, ma ci

gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo

ottenuto la riconciliazione.

•12Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la

morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. 13Fino

alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato

quando manca la legge, 14la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non

avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui

che doveva venire.

•15Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono

tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo,

si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. 16E non è accaduto per il dono di grazia

come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di

grazia invece da molte cadute per la giustificazione. 17Infatti se per la caduta di uno solo la

morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza

della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.

•18Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così

anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che

dà vita. 19Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti

peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

•20La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato

il peccato, ha sovrabbondato la grazia, 21perché come il peccato aveva regnato con la

morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo

nostro Signore.

L'Annunciazione

[26]Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,

chiamata Nazaret, [27]a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide,

chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. [28]Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o

piena di grazia, il Signore è con te». [29]A queste parole ella rimase turbata e si domandava

che senso avesse un tale saluto. [30]L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai

trovato grazia presso Dio. [31]Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai

Gesù. [32]Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di

Davide suo padre [33]e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà

75

fine». [34]Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». [35]Le

rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza

dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. [36]Vedi:

anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto

mese per lei, che tutti dicevano sterile: [37]nulla è impossibile a Dio». [38]Allora Maria

disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo

partì da lei.

B) Critiche e risposte

1 Morale eteronoma C’è chi considera la morale cristiana come morale che viene dall’esterno, in questo senso

eteronoma, impositiva, esteriore (etero=altro nomos=legge). Il tema è ricorrente: dalle contestazioni

cui fu soggetto Paolo, al periodo dell’Illuminismo, fino ai nostri giorni. La morale cristiana viene

dunque considerata una morale imposta dagli Apostoli, da san Paolo, dalla Chiesa, dalle

convenzioni sociali, dagli interessi del potere politico, dai discorsi del Papa. Corollario di questa

affermazione è il fatto di privilegiare ad essa morali iniziatiche oppure morali di forte appartenenza,

che promettono una conoscenza diretta e pienamente consapevole e autonoma. Il fenomeno

prevedibile e ricorrente trova la sua massima espressione nel periodo illuminista, nel quale si

rivendica la responsabilità personale alla luce della pura ragione, salvo poi aderire con spirito

iniziatico alla massoneria o coltivare esoterismi e magia.

Si può rispondere nettamente a questa critica mostrando che essa nasce dalla

incomprensione del fatto cristiano e da una esagerata considerazione di alcune sue manifestazioni

storiche negative. Il Cristianesimo, come abbiamo veduto, si diffonde per la predicazione, ma la

predicazione ha significato là dove agisce interiormente la grazia di Dio. La sua struttura autentica è

dunque mistica e ontologica. Nella vita cristiana autentica l’essere umano scopre la sua vera vita

dentro il mistero di Cristo. Inoltre se è vero che l’incoerenza dei credenti sembra deporre a favore

della tesi di una eteronomia della morale cristiana, ci si domanda perché è criticata e ammirata allo

stesso tempo la coerenza di vita dei santi, che alla luce del pregiudizio diventerebbe un mistero

inspiegabile.

76

E’ evidente che dalla comprensione profonda e personale nasce la possibilità di capire che la

legge è già scritta nella nostra coscienza e che la stessa grazia scrive innanzitutto nel nostro cuore.

Solo questa comprensione permette di sviluppare l’idea che l’etica è fonte di vivissima felicità.

2 Morale dualista

Dobbiamo ancora una volta affermare che il più strenuo attacco alla morale cristiana è stato

quello condotto da Nietzsche; il suo pregio, per modo di dire, è stato quello di aver fatto confluire in

modo quasi sistematico le innumerevoli critiche alla morale che si sono accumulate nei secoli.

Nietzsche afferma che l’equivoco della morale consiste nell’aver sdoppiato il mondo in due, mondo

visibile e mondo invisibile, mondo terreno e mondo celeste, mondo del peccato e mondo della

grazia.

Le dottrine dell’anima, del peccato e della salvezza, sarebbero l’espressione di questa

deviazione dallo spirito della terra. In pratica la ricerca dell’aldilà e tutta la morale cristiana

sottintendono per Nietzsche il disprezzo per la vita; per fare l’esempio notevole, la virtù della castità

diventa il più grande dei vizi. In questa ottica lo sfondo religioso e morale del mondo è ridotto ad

una proiezione fantastica che nasce dell’incapacità di vivere, e il cristianesimo come il più radicale

sdoppiamento del mondo.

Per il credente è abbastanza agevole affermare che in realtà il Cristianesimo, nonostante la

sua originaria intransigenza, è un atto d’Amore di Dio per la terra degli uomini. La morale cristiana

si presenta come morale dell’Incarnazione; Gesù Cristo è creatore e salvatore della natura, la grazia

non distrugge, non sostituisce, ma rigenera ed eleva.82

La corruzione del mondo non è stata

inventata o decisa dalla Chiesa. La Chiesa propone la soluzione al problema del male in una

prospettiva di salvezza definitiva. Che il mondo poi sia fatto di realtà visibili ed invisibili, e che

l’invisibile regga il visibile, è una verità che solo l’assenza del pensiero può oscurare. La castità poi

è una virtù solo quando è autentica.

3 Morale compensatoria

Strettamente collegata alle considerazioni precedenti è l’affermazione secondo cui la morale

cristiana, quando parla dell’intervento della grazia, è un vano tentativo di colmare le debolezze

82

Sancti Thomae de Aquino in primum Sententiarum Petri Lombardi q IV a IV

Primo per hoc quod conueniens est: illa que dicuntur a philosophis non contraria sunt rationi; gratia autem non

destruit naturam sed perficit; et ideo, cum sint accepta per rationes naturales, non ab eis destruuntur que sunt a Deo,

nec excluduntur.

77

umane con l’illusione dell’intervento di Dio (miracolo). Illusione è la parola giusta, così come viene

adoperata da Freud in l’Avvenire di una illusione.83

In verità questo si può dire degli aspetti decadenti della esperienza del Cristianesimo che in

molti casi manifesta questo modo deprimente di compensare l’incapacità di vivere. In verità

l’esperienza cristiana autentica si rivela come la morale dell’Amore, l’incontro con Dio è fonte di

pienezza, di verità e di bellezza, senza dimenticare che la debolezza è di tutti gli esseri umani e che

la Croce è inscindibile con il comportamento del cristiano.

4 Morale utopistica Infine è facile sentire affermare che la proposta morale cristiana, al di là del suo valore,

appare come impossibile da realizzare. In verità nessuno che abbia compreso correttamente quali

siano le esigenze della fede cristiana pensa che sia facile essere cristiani.84

Ma la morale cristiana è

fondata su un sì incondizionato alla volontà di Dio, sull’esempio di Maria; ‘nulla è impossibile a

Dio’ è il termine di confronto con la nostra debolezza e il nostro spessore etico umano. La

possibilità di attualizzare la vita del Vangelo è strettamente collegata all’incontro personale con

Cristo. In ogni caso la morale cristiana appare come la proposta di una completa realizzazione di

sé…La salvezza è una azione pedagogica di Dio che rende possibile l’impossibile, abilitando la

nostra libertà umana dentro la sua libertà divina.

AAPPPPEENNDDIICCII

83

Die Zukunft einer Illusion, 1927. 84

PAOLO VI, ANGELUS DOMINI, Domenica 21 giugno 1970 ... Ma un cristianesimo facile e comodo non esiste;

esiste un cristianesimo forte e felice…

55

AAppppeennddiiccee 11

Il Nuovo Testamento è la raccolta dei 27 libri canonici che costituiscono la seconda parte della

Bibbia cristiana e che vennero scritti in seguito alla vita e alla predicazione di Gesù di Nazareth.

Nuovo Testamento o Nuovo Patto è un'espressione utilizzata dai cristiani per indicare il nuovo patto

stabilito da Dio con gli uomini per mezzo di Gesù Cristo. I libri del NT sono scritti in greco con

numerosi semitismi. I quattro Vangeli (che la tradizione chiama: secondo Matteo, Marco, Luca e

Giovanni) riportano la vita e i detti di Gesù il Nazareno, esposti con un peculiare stile letterario,

secondo punti di vista in parte diversi.

Lo stesso autore del vangelo secondo Luca scrive anche gli Atti degli Apostoli, in cui narra la storia

delle prime comunità cristiane sotto la guida di Giacomo e Paolo. A motivo della loro intestazione,

dello stile e dei contenuti, il vangelo secondo Luca e gli Atti degli Apostoli formano quasi una unica

opera, divisa in due parti.

Seguono le Lettere di Paolo: scritti inviati a varie comunità in risposta a esigenze particolari o a

temi generali, assieme ad altri destinati a singoli individui. Gli scritti autentici di Paolo di Tarso

sono i più antichi documenti del cristianesimo pervenutici, a partire dalla I lettera ai Tessalonicesi,

poi Galati, Filippesi, I e II Corinzi, Romani e Filemone. La maggior parte degli studiosi considera

deuteropaoline (scritte da discepoli di Paolo dopo la sua morte) Efesini, Colossesi, II Tessalonicesi

e, per comune consenso, le lettere Pastorali (I e II Timoteo, Tito).

La Lettera agli Ebrei potrebbe essere un'antica omelia rivolta a cristiani di origine ebraica tentati di

ritornare alle istituzioni giudaiche. L'autore, ignoto, conosceva molto bene le norme sacerdotali

ebraiche, le Scritture di Israele e le loro tecniche interpretative.

Le altre lettere sono dette cattoliche, perché indirizzate non alla comunità cristiana di una città

particolare, ma a tutte le chiese, o più semplicemente perché non hanno precisato il destinatario.

Esse sono le due Lettere di Pietro, la Lettera di Giacomo, la Lettera di Giuda (tutte di ambiente

giudeo-cristiano), e le tre cosiddette Lettere di Giovanni.

L'Apocalisse chiude il Nuovo Testamento, con temi desunti dall'apocalittica giudaica reinterpretati e

utilizzati alla luce della fede in Gesù.

Canone

Il canone del Nuovo Testamento ebbe una formazione abbastanza complessa. Esso venne infine

adottato dalla Chiesa alla fine del IV secolo secondo il seguente elenco:

i quattro Vangeli:

o Vangelo secondo Matteo (Mt)

o Vangelo secondo Marco (Mc)

o Vangelo secondo Luca (Lc)

o Vangelo secondo Giovanni (Gv)

gli Atti degli Apostoli (At)

56

le lettere di San Paolo:

o Lettera ai Romani (Rm)

o Prima lettera ai Corinzi (1Cor)

o Seconda lettera ai Corinzi (2Cor)

o Lettera ai Galati (Gal)

o Lettera agli Efesini (Ef)

o Lettera ai Filippesi (Fil)

o Lettera ai Colossesi (Col)

o Prima lettera ai Tessalonicesi (1Ts)

o Seconda lettera ai Tessalonicesi (2Ts)

o Prima lettera a Timoteo (1Tm)

o Seconda lettera a Timoteo (2Tm)

o Lettera a Tito (Tt)

o Lettera a Filemone (Fm)

la Lettera agli Ebrei (Eb)

le lettere cattoliche:

o Lettera di Giacomo (Gc)

o Prima lettera di Pietro (1Pt)

o Seconda lettera di Pietro (2Pt)

o Prima lettera di Giovanni (1Gv)

o Seconda lettera di Giovanni (2Gv)

o Terza lettera di Giovanni (3Gv)

o Lettera di Giuda (Gd)

l'Apocalisse (Ap)

57

AAppppeennddiiccee 22

Vangelo secondo Giovanni

1

1In principio era il Verbo,

il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio. 2Egli era in principio presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui,

e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che

esiste. 4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre,

ma le tenebre non l'hanno accolta. 6Venne un uomo mandato da Dio

e il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone

per rendere testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Egli non era la luce,

ma doveva render testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo

la luce vera,

quella che illumina ogni uomo. 10Egli era nel mondo,

e il mondo fu fatto per mezzo di lui,

eppure il mondo non lo riconobbe. 11Venne fra la sua gente,

ma i suoi non l'hanno accolto. 12A quanti però l'hanno accolto,

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue,

né da volere di carne,

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati. 14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi vedemmo la sua gloria,

gloria come di unigenito dal Padre,

pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli rende testimonianza

e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:

Colui che viene dopo di me

mi è passato avanti,

58

perché era prima di me". 16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto

e grazia su grazia. 17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio nessuno l'ha mai visto:

proprio il Figlio unigenito,

che è nel seno del Padre,

lui lo ha rivelato.

Dall’opuscolo Alla mensa del Logos (2003)

1 IL LOGOS

La rivelazione giovannea

Ma chi è veramente Colui che siede a mensa con i pubblicani e i peccatori? Chi è Colui che

alle nozze di Cana compie il miracolo grazie al quale l’acqua diventa vino in modo tale che i suoi

'discepoli videro e credettero’, al punto da darne testimonianza? Infine, chi è colui che nella notte in

cui fu tradito prese il pane, rese grazie, lo spezzò…e comandò ai discepoli…fate questo in memoria

di me?

Giovanni ci prende per mano e non teme di alzare il tiro quando si appresta a narrare la vita di

Gesù; egli non teme di misurarsi con la preistoria e la preesistenza di Gesù, ricorrendo alla laconica

e solenne sentenza con cui si apre il Prologo (Gv 1,1):

In principio era il Logos,

e il Logos era presso Dio

e il Logos era Dio.

Aggiunge poi nel verso 14:

e il Logos si è fatto carne…

Non si poteva dire meglio che il Logos, Intelligenza, Parola, Sapienza, è Dio, sebbene distinto

all’interno della divinità, e dunque Logos da sempre.

Non si poteva dire meglio che tutto viene attraverso il Logos, infatti:

tutto è stato fatto per mezzo di Lui

e senza di Lui niente è stato fatto

di tutto ciò che esiste…

in lui era la vita…

59

la luce vera quella

che illumina ogni uomo…

Infine non si poteva dire meglio che facendosi vero uomo, il testo dice sarx-carne, da cui deriva il

venerabile concetto di Incarnazione, il Logos è la piena e sovrabbondante rivelazione della

divinità:

Dio nessuno l’ha mai visto,

proprio il Figlio unigenito

che è nel Padre ce l’ha rivelato.

L’uso del termine Logos per indicare la preesistenza divina del Figlio di Dio è esclusivo di

Giovanni. Oltre al quadruplice uso evangelico, ritorna nella Prima lettera, attribuita dunque al

medesimo autore, dove il messaggio e la testimonianza di colui che ha udito, visto, toccato e

contemplato, riguarda il Logos della vita.

Non si poteva dire meglio che nel Logos non esiste la mediocre o semplicemente umana distinzione

tra teoria e prassi, tra ragione e vita, che domina la cultura europea da alcuni secoli.

Per concludere nella visione di Apocalisse 19,13 si dice:

E' avvolto in un mantello

intriso di sangue

e il suo nome è

Logos di Dio

dove il Logos appare come Colui che viene a giudicare il mondo.

Dunque solo Giovanni, se lo accettiamo come unico autore del Vangelo, delle Lettere e

dell'Apocalisse, ricorre al termine Logos per indicare la persona di Gesù, e ciò si ripete

precisamente sei volte.

In latino il termine Logos è tradotto con Verbum, da cui deriva l’italiano Verbo, come si

sente annunciare nelle Liturgie del giorno di Natale; il termine Verbo, mentre si rifà a Parola,

mantiene la distinzione propria ad un termine non usato nel linguaggio corrente. Le altre lingue

europee traducono ufficialmente con Word, Wort, Palabra, Parole e dunque con Parola. Un

chiarimento a questo punto è necessario.

Variazioni sul tema del Logos

La categoria del Logos appare insieme ad Arké (principio) tra le più rappresentative della cultura

greca. Cercare il principio, cioè la causa e la ragione profonda, tanto dei fenomeni minimi, quanto

di tutto ciò che accade, oppure il senso della stessa vita umana e cosmica, costituisce l’anima

segreta della mentalità greca e perciò stesso occidentale. Qualcuno vede in tale ricerca il

presupposto all’orientamento dominatore caratteristico della società tecnologica (tèkne). Proprio in

Grecia, dapprima nelle sue colonie, successivamente ad Atene e per derivazione in tutto

60

l’Occidente, fiorisce quell’esperienza caratteristica, anche se non esclusiva della grecità, che è la

filosofia. Semplificando si può dire che la filosofia greca vive della corrispondenza tra il logos,

l’intelligenza del pensatore e degli uomini pensanti, che appare in fatti letterari e nella

comunicazione della scuola, con il Logos. Il Logos è designato come la causa e il principio ultimo

e primo che spiega perché il mondo, un mondo fatto di una quantità indefinibile di elementi, sia un

Cosmo ordinato e non un Caos distruttivo. Per dire questo attraverso il linguaggio comune, si

instaurò attorno al VI-V secolo a.C. l’uso del termine Logos, inteso in senso oltre-umano, oltre cioè

la misura del limite dell'uomo o dell'apparenza fisica; sebbene appaia in queste note come un

elemento della convenzionalità del linguaggio, il concetto di Logos, chiarificatore ed ineffabile allo

stesso tempo, è volto ad indicare il livello superiore e metafisico della realtà, atto a designare il

fondamento capace di giustificarne il senso, e dunque, oggettivamente e opportunamente pensabile.

Il termine è presente nei frammenti dell’oscuro Eraclito e affiora con radicali conseguenze in

Parmenide, raggiungendo la sua solare espressione nelle argomentazioni dialettiche di Platone e

nell'architettura sistematica di Aristotele, nonché nel fervore di ricerca e di misticismo espresso dal

primo stoicismo.

A tutto questo si deve aggiungere che gli ebrei colti della diaspora, conoscitori allo stesso tempo sia

dell’ebraico che del greco, lettori della Torah e dunque della Genesi (basti pensare ai traduttori della

Bibbia dei Settanta e a Filone Alessandrino) trovarono abbastanza agevole far coincidere il Logos

eracliteo con la filosofia di Platone, in specie di far coincidere il Logos greco con la parola con cui

Dio nella Genesi, in principio, crea il mondo. La coniugazione tra Logos, Torah, Genesi e Sapienza,

è praticata con una abbondanza palese. Questo legame linguistico e contenutistico, è considerato

dagli ebrei ortodossi una specie di contaminazione.

L’autore del Prologo mentre si mostra a nostro avviso consapevole di tutto ciò, propone una

trasfigurazione dell’idea del Logos. Solo in un certo senso tale trasfigurazione porta

all’imprevedibile compimento dell’idea filosofica maturata nel cuore stesso della filosofia greca; in

questo senso il Prologo porta a compimento l'idea che considera il Logos come l'intelligenza

creatrice, non più solamente demiurgica, che regge il mondo e lo organizza; ma il compimento

praticato dal Prologo appare ancora più palese nell’interpretazione ebraica di un termine greco, che

mette maggiormente in risalto l’elemento di rivelazione e di creazione attraverso la parola…

secondo la venerabile formula della Genesi, e Dio disse… Si potrebbe concludere questo momento

della riflessione, affermando che tutto ciò che i pensatori hanno ricercato, qui finalmente è stato

trovato, e ciò che la Rivelazione ha espresso raggiunge il suo pieno e imprevedibile compimento.

La piena Rivelazione e i facili fraintendimenti

L’originalità del Vangelo di Giovanni non sta, innanzitutto, nella capacità di conciliare due

diverse prospettive culturali, che campeggiano e forse anche implicitamente dominano da secoli il

pensiero occidentale; anche se questo è pur indirettamente vero, l’originalità sta soprattutto

nell’attribuire il termine Logos a Gesù di Nazareth. Nel Vangelo il Prologo è posto come premessa per capire ciò che Gesù compie, quello che

dice, come lo fa e come lo dice. In questo senso, tutta la narrazione della vita di Gesù, secondo

l’intenzione giovannea, è segno di qualcosa di misterioso e di definitivo che accade realmente nella

storia e che trova il suo culmine espressivo nella morte e nella resurrezione del Signore.

Il Logos, di cui parla Giovanni, è alla ricerca dell’uomo. Si capovolge in tal modo la

prospettiva religiosa di cui parla strategicamente Paolo all'Areopago di Atene, che mette

abitualmente al primo posto l’uomo come ricercatore di Dio. E' condotta inoltre all'estremo

compimento la rivelazione di Dio attraverso i profeti, come dice con solennità pari al prologo

giovanneo, l'autore della Lettera agli Ebrei:

61

Dio che aveva già parlato nei tempi antichi

molte volte e in diversi modi

ai padri per mezzo dei profeti,

ultimamente, in questi giorni,

ha parlato a noi per mezzo del Figlio…

Tornando a Giovanni, il Logos è la parola incarnata e manifesta da cui procede una nuova

creazione del mondo; e non è un caso che l’acqua della Genesi diventi il vino delle nozze di Cana.

Avvertiamo che interpretare Giovanni solo in chiave di segno, è certamente riduttivo. Lo

stesso evangelista appare preoccupato del fatto che si perda il senso realistico e simbolico allo

stesso tempo dei fatti da lui narrati. L'autore infatti (come del resto l’autore della Prima lettera),

vuole essere scrittore di un Vangelo che, mentre spinge l’intelligenza verso l'interpretazione del

'segno', si concede il gusto del più radicale realismo narrativo. Dinanzi alla tendenza dei primi

gnostico-cristiani di relativizzare la corporeità e l'autentica umanità di Gesù, l'autore della Prima

lettera afferma che l'Anticristo è colui che nega il Cristo venuto nella carne. Come abbiamo visto, lo

stesso autore insiste volutamente sul fatto che ha dinanzi una persona reale quando menziona il

Logos della vita.

La conclusione è che la menzione del Logos in Giovanni, pur necessitando di un riferimento

storico, culturale e filologico, pur portando a compimento espressioni caratteristiche della cultura

greca ed ebraica, che è utile conoscere e riconoscere, acquista una valenza del tutto nuova alla

luce del fatto che è riferito in modo specifico a Gesù Cristo.

Su questo aspetto cruciale insistettero e si soffermarono i primi Concili della cristianità,

durante i quali furono proclamate la Divinità del Logos, l’Unità e la Trinità di Dio, la Divina

maternità di Maria, la vera umanità e la vera Divinità di Cristo nell’unica Persona (secondo la felice

espressione di Leone Magno papa nel Tomus ad Flavianum: ‘Totus in suis et totus in nostris’) e

infine la Divinità dello Spirito Santo.

Giovanni dunque adotta il termine Logos per parlare di Gesù, tutto in lui è mosso dalla

volontà di mettere in risalto il fatto che Gesù e solo Gesù, come si legge nell'Apocalisse, è il Primo

e l’Ultimo, l’Alfa e l’Omega, Colui che era che è e che viene, l'Onnipotente. A tanta verità e novità di dottrina, offerta alla considerazione del limite umano, non è

mancato l’approccio limitato ed interessato, nell’ottica di una conservazione del limite, piuttosto

che in quella dell’acquisizione di una nuova e definitiva rivelazione di Dio. E’ il caso emblematico

di Ario e dell’arianesimo, che attraversa con effimero successo i primi secoli della vita della Chiesa,

e di ogni tipo di neoarianesimo. La posizione ariana è semplice: considera incongruente parlare di

unicità di Dio e allo stesso tempo di divinità del Logos; la tipica espressione dell’arianesimo ci fu

un tempo in cui il logos non c’era indica che il Logos sarebbe creato e non generato contrariamente

a quanto recita il Credo di Nicea e Costantinopoli, in perfetta sintonia con il Prologo di Giovanni.

Il fatto che questa tesi ritorni e sia ampiamente e sostanzialmente condivisa da fautori

dell’ebraismo e dell’islamismo, è un segno dell’originalità del cristianesimo e dell’affermazione che

il Logos è divino. In questa linea si pone anche la traduzione del prologo attualmente proposta dai

Testimoni di Geova, che si concede un curioso In principio era un logos.

Affermare con Giovanni che In principio era il Logos, implica che si prenda posizione netta

nei confronti di ogni tipo di arianesimo o neoarianesimo. Il cristiano cerca la verità e non l'effimero

riconoscimento storico.

La tendenza a ripristinare la concezione eraclitea di un Logos impersonale, immanente al

mondo o a considerare il mondo come divino in quanto espressione di una realtà che si identifica

con il Logos, e quindi la negazione della trascendenza, della perfezione e della divinità del Logos,

ritorna nelle speculazioni stoiche e neoplatoniche, ma anche nella filosofia idealista tedesca, in

particolare nei modi complessi e non banalizzabili della filosofia di Hegel. La più radicale

immanentizzazione del Logos, inteso nel modo eracliteo, è posta da Nietzsche. Non è un caso che

l’orientamento più significativo della teologia, che sorge all’interno del pensiero liberale tedesco,

62

tra fine Settecento e inizio Ottocento, cerca di disgiungere la persona storica di Gesù di Nazareth

dal Cristo della Fede creduto dai primi discepoli. Questa dicotomia tra Gesù Signore, Logos

incarnato, morto e risorto, e Gesù di Nazareth, personaggio umano storicamente esistito, è

inaccettabile nel Vangelo di Giovanni e alla luce della corretta fede. La dimensione del Gesù

divino, incarnato e risorto, il Gesù dei miracoli, in questa prospettiva tende ad essere considerata un

mito costruito dai discepoli e dalla prima comunità cristiana. Ritorna costantemente il desiderio di

demitizzare, di deellenizzare la Rivelazione e il pensiero d’Occidente, riducendo la rivelazione

ebraico-cristiana ad un mero fatto di cultura. Emblematica è la demitizzazione rappresentata in

veste contemporanea da R.Bultmann, cui si ispira M Heidegger.

Non mancano approcci moderni alla dottrina del Logos caratterizzati da una limitata

comprensione o da una fatale incomprensione. E' il caso del riferimento al Prologo di Giovanni che

apre Il nome della rosa di Umberto Eco. Il fervore verso il Logos, che caratterizza la vita del

monaco, è declinato tra l'errore e la caducità della vita umana; una sorta di dogmatismo opprimente

spinge verso l’inquisizione, negatrice della sessualità e del libero pensiero.

E' degno di nota il tentativo di traduzione del testo giovanneo da parte del Faust di Goethe;

questi riconosce la supremazia del Nuovo Testamento su ogni altra scrittura. Egli preferisce tradurre

Logos, dopo aver rifiutato i termini Parola (Wort), Senso-Ragione (Sinn), Forza-Energia (Kraft)

con il termine Azione (Tat). In questo caso si palesa l’esigenza tutta occidentale, e particolarmente

tedesca, di sanare la dicotomia tra ragione e vita, tipica del dotto filisteo. La traduzione appare

funzionale alla trama stessa del Faust che proprio in ragione del suo continuo tendere (streben), e

quindi agire, ottiene la salvezza; l’incomprensione dello strettissimo rapporto tra Logos e vita, come

abbiamo veduto nel sobrio commento al prologo stesso, è oscurata da una lettura riduttiva,

sostanzialmente illuministica.

Del resto in Giacomo Leopardi il Vangelo di Giovanni nel suo significato teologico

profondo è addirittura capovolto quando il poeta di Recanati premette all'ultimo grande Canto, La

ginestra, il verso di Giovanni: gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Nel Vangelo la frase

vuole dire: gli uomini non hanno accettato la rivelazione e la salvezza del Figlio di Dio, il Logos

che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. In Leopardi, volutamente e sarcasticamente, la

luce diventa l'illuminismo e la tenebra coincide con la fede cristiana. Nel suo componimento

Giovanni I,14 J.L.Borges rivive l'arcano del divino che guarda il mondo con occhio umano,

assimilando il mistero del Verbo incarnato alle altre tradizioni religiose; tale tendenza è diffusa oggi

in teologia: non si destituisce di valore la realtà di Cristo uomo-Dio ma si relativizza

contraddittoriamente la sua unicità.

Infine occorre sottolineare che il permanere del pensiero debole, del pensiero aperto,

caratteristico del post-moderno, richiede come conditio sine qua non che il testo di Giovanni sia

semplicemente ignorato e con lui Paolo e tutta quanta la Divina Rivelazione. Diciamo questo con la

caratteristica ironia giovannea che sovrasta in modo forte i deboli interpreti, da Ario fino ai nostri

giorni.

C’è ancora qualcosa da imparare sul Logos?

In verità sì: Bonaventura, Tommaso, Giovanni della Croce, affermano, tra gli altri, che c'è

sempre qualcosa da imparare sul Logos e parlano espressamente della necessità di sondare

continuamente la ricchezza del mistero.

Un orizzonte di esplorazione possibile è quello di prendere coscienza dell'azione universale del

Logos creatore, presente in tutte le cose, verità già esplicitata dai Padri nel tema del Logos che

sparge ovunque semi di verità (Logos spermatikòs).

E' importante soprattutto capire qual è il motivo della Rivelazione del Logos; tale motivo è solidale

con lo stile della stessa Rivelazione: inoltre si tratta di capire quale atteggiamento è richiesto perché

la Rivelazione del Logos manifesti la sua piena efficacia nella nostra vita, nella Chiesa e

63

nell'umanità.

E’ sempre Giovanni a guidarci con l’affermazione lapidaria…Dio ha tanto amato il mondo da dare

il suo Figlio unigenito. La Rivelazione, l’Incarnazione, la Morte e Resurrezione, hanno come punto

di partenza l’Amore. C’è di più. Dire che Dio ama il mondo fino a dare il suo Figlio contiene

implicitamente un fatto ancora più radicale che costituisce il vertice di ogni rivelazione del vero

volto della Divinità: nella Prima lettera, nella quale come già sappiamo si parla del Logos della

vita, della importanza di amarsi secondo il comandamento nuovo, appare per due volte la

definizione della Divinità: Dio è amore. In tal modo è ripristinata nella sua motivazione più radicale

e inarrestabile tutta l'economia della Redenzione, prende luce e significato tutta l’opera di Gesù; a

questo punto è importante cogliere il modo in cui avviene la Redenzione, o ancora più

profondamente si tratta di interpretare gli intendimenti di Gesù, oggetto, autore e perfezionatore

della nostra fede.

Quali furono dunque i suoi sentimenti?

Per un attimo ci distacchiamo dal dettato giovanneo e leggiamo l’Inno ai Filippesi di Paolo.

In questo testo, ugualmente elevato come il Prologo, i discepoli sono invitati ad aver in sé ciò che è

in Cristo Gesù, il quale

pur essendo di natura divina non considerò

un tesoro geloso l’essere uguale a Dio.

Lo stile di Gesù è quello dell’abbassamento, dello svuotamento (Kènosis). Gesù ci rivela che

l’amore quando è vero, quando è divino, dà tutto. Ci invita a pensare che questo svuotarsi per amore

è lo stile eterno nella relazione tra le divine persone nell’intimità dell’amore trinitario.

Paolo descrive con intensità i termini che entrano in gioco in una discesa che passa

attraverso la forma umana, la dimensione del servo, l’obbedienza, la morte…la condanna della

croce. Gli stessi evangelisti ci ricordano che Gesù non solo è morto, ma è stato morto e il suo

cadavere martoriato ed unto in anticipo, è stato sigillato nel sepolcro. E' corretto pensare, con la

prima tradizione della Chiesa, che il Logos divino, incarnato, tradito, umiliato, crocifisso e morto,

sia disceso fino agli abissi delle abiezioni e dell'impossibile nulla, per rivelare a tutte le creature in

cielo, sulla terra e sottoterra l’Amore infinito del Padre. Più è radicale e misteriosa questa Kènosis

del Figlio di Dio, più acquista senso la risalita attraverso ogni situazione cosmica e particolarmente

umana, una risalita che imprime ad ogni vivente l’impronta della resurrezione e della vita eterna.

L'apostolo infatti proclama:

per questo Dio l'ha esaltato e gli ha

dato il nome che è sopra ogni altro nome.

Non ci resterebbe a questo punto che considerare la vicenda evangelica come un processo di

amore talmente pieno da svuotarsi completamente per portare ovunque l’amore del Padre o,

secondo la felice formula paolina

…Egli si fece povero

affinché per mezzo della sua povertà

noi tutti fossimo arricchiti.

Anche qui gli approfondimenti sono innumerevoli.

Se è vero che il problema del male con la sua prosaica durezza e misteriosità sembra

inchioda ogni ricerca di verità ad un limite invalicabile, il credente sa che il Crocifisso inchiodato

sulla croce ha il potere di vincere il male, sebbene l'attuale stato della Rivelazione non ci fornisca

una spiegazione logica della realtà e dell'origine del male stesso.

64

Di questi possibili approfondimenti sul motivo essenziale dell'abbassamento e del

conseguente innalzamento, abbiamo scelto quello della mensa, il mangiare e il darsi da mangiare

del Logos incarnato, umiliato, obbediente, crocifisso, esaltato, risorto, e, per sempre, Signore.

Invitati alla mensa del Logos, scopriamo che la Cena è il momento che introduce nel mistero

dell’abbassamento abissale del Cristo in direzione di ogni esperienza e dolore pienamente umano.

Invitati alla mensa del Logos scopriamo che l'Eucaristia, Rendimento di grazie, conduce la

comunità dei credenti e l'umanità all'innalzamento della comunione con Dio e con i fratelli, verso la

pienezza della gioia.

65

AAppppeennddiiccee 33

Vizi e virtù nell’epistolario paolino

1 Corinti

5,9 Vi ho scritto nella lettera di non immischiarvi con gli impudichi.

5,10 Non mi riferivo agli impudichi di questo mondo o ai cupidi, ai rapaci o agli idolatri; altrimenti

dovreste uscire dal mondo.

6,9 O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né gli impuri, né

gli idolatri, né gli adulteri,

2 Corinti

12,20 Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero, e che a mia volta venga trovato da voi

come non mi desiderate; temo che vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze,

insinuazioni, superbie, insubordinazioni;

Galati

5,19 Ora le opere proprie della carne sono manifeste: sono fornicazione, impurità, dissolutezza,

5,22 Invece il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, longanimità, bontà, benevolenza, fiducia,

5,23 mitezza, padronanza di sé;

Filippesi

2,1 Se dunque c'è un appello pressante in Cristo, un incoraggiamento ispirato dall'amore, una

comunione di spirito, un cuore compassionevole,

4,8 Per il resto, fratelli, quanto c'è di vero, nobile, giusto, puro, amabile, lodevole; quanto c'è di

virtuoso e merita plauso, questo attiri la vostra attenzione.

Romani

1,28 E siccome non stimarono saggio possedere la vera conoscenza di Dio, Dio li abbandonò in

balìa di una mente insipiente, in modo da compiere ciò che non conviene,

1,29 ripieni di ogni genere di malvagità, cattiveria, cupidigia, malizia, invidia, omicidio, lite, frode,

malignità, maldicenti in segreto,

66

13,1 Ogni persona si sottometta alle autorità che le sono superiori. Non esiste infatti autorità se non

proviene da Dio; ora le autorità attuali sono state stabilite e ordinate da Dio.

13,2 Di modo che, chi si ribella all'autorità, si contrappone a un ordine stabilito da Dio. Coloro poi

che si contrappongono, si attireranno da se stessi la condanna che avranno.

13,3 I magistrati, infatti, non fanno paura a chi opera il bene, ma a chi opera il male. Vuoi allora

non avere timore dell'autorità? Fa' il bene e riceverai lode da essa.

13,4 E' infatti a servizio di Dio in tuo favore, perché tu compia il bene. Ma se fai il male, temi,

poiché essa non porta invano la spada: infatti è a servizio di Dio, vindice dell'ira divina verso colui

che compie il male.

13,5 Per tutto questo è necessario sottomettersi, non solo a motivo dell'ira, ma anche a motivo della

coscienza.

13,6 Per questo dovete anche pagare i contributi: sono infatti servitori pubblici di Dio e si applicano

costantemente a questo compito.

13,7 Date a tutti ciò che è loro dovuto: il contributo a chi è dovuto il contributo, l'imposta a chi è

dovuta l'imposta, il rispetto a chi è dovuto il rispetto, l'onore a chi è dovuto l'onore.

13,8 Non abbiate debiti con nessuno, se non quello di amarvi gli uni gli altri. Chi infatti ama l'altro,

compie la legge.

13,9 Infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualunque altro

comandamento trova il suo culmine in questa espressione: Amerai il tuo prossimo come te stesso.

13,10 L'amore, infatti, non procura del male al prossimo: quindi la pienezza della legge è l'amore.

13,11 E fate questo, rendendovi conto del tempo nel quale viviamo: è tempo ormai per voi di

svegliarvi dal sonno; adesso infatti la nostra salvezza è più vicina che non quando demmo l'assenso

della fede.

13,12 La notte è avanzata nel suo corso, il giorno è imminente. Perciò mettiamo da parte le opere

proprie delle tenebre e rivestiamoci delle armi della luce.

Colossesi

3,5 Fate dunque morire le membra terrene: fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e

l'avidità di guadagno, che è poi idolatria;

3,12 Voi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, vestitevi di tenera compassione, di bontà, di

umiltà, di mitezza, di longanimità,

3,14 sopra tutto ciò, rivestitevi di carità, che è il vincolo della perfezione.

Efesini

4,31 Estirpate di mezzo a voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza, ogni

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cattiveria.

5,1 Imitate Dio, come figli diletti,

5,2 e camminate nell'amore sull'esempio del Cristo che vi ha amato e ha offerto se stesso per noi,

oblazione e sacrificio di soave odore a Dio.

5,3 Come si conviene tra santi, non si sentano nominare tra voi fornicazione e qualsiasi impurità o

cupidigia,

4,1 Perciò io, il prigioniero per il Signore, vi invito a condurre una vita degna della vocazione alla

quale siete stati chiamati,

4,2 con tutta umiltà, dolcezza e longanimità, sopportandovi a vicenda con amore,

4,3 preoccupati di conservare l'unità dello spirito col vincolo della pace:

4,32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi reciprocamente,

come anche Dio vi ha perdonato in Cristo.

5,10 scegliendo ciò che Dio gradisce.

5,11 Non prendete parte alle attività infruttuose delle tenebre, ma piuttosto riprovatele,

5,7 Quindi non associatevi a loro.

5,8 Eravate infatti tenebre, ma ora siete luce nel Signore: comportatevi da figli della luce –

5,9 il frutto della luce è ogni sorta di bontà, di giustizia e di sincerità –

1Timoteo

1,8 Certo, noi sappiamo che la legge è buona; a condizione però che se ne faccia un uso legittimo,

1,9 ben sapendo che la legge non è istituita per chi è giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi

e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli omicidi,

6,3 Se poi qualcuno insegna cose diverse e non aderisce alle sane parole, che sono quelle del

Signore nostro Gesù Cristo, e alla dottrina secondo pietà,

6,4 è accecato dall'orgoglio e non sa nulla, pur essendo preso dalla febbre dei cavilli e dei litigi di

parole: da tali cose hanno origine le invidie, le contese, le maldicenze, i sospetti maligni,

3,2 Bisogna infatti che l'episcopo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, prudente,

dignitoso, ospitale, adatto all'insegnamento,

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3,8 I diaconi ugualmente siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino, né avidi di

turpe guadagno;

4,12 Nessuno disprezzi la tua giovinezza! Al contrario, mostrati modello ai fedeli nella parola, nella

condotta, nella carità, nella fede, nella castità.

Tito

1,9 attaccato alla parola sicura secondo la dottrina trasmessa, per essere capace sia di esortare nella

sana dottrina, sia di confutare quelli che vi si oppongono.

1,10 Vi sono infatti molti insubordinati, parolai ed ingannatori, soprattutto quelli che provengono

dalla circoncisione:

3,3 Anche noi, infatti, siamo stati un tempo insensati, ribelli, fuorviati, asserviti a concupiscenze e

voluttà d'ogni genere, vivendo immersi nella malizia e nell'invidia, abominevoli, odiandoci a

vicenda.

1,7 Bisogna infatti che l'episcopo, in quanto amministratore di Dio, sia irreprensibile, non arrogante,

non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di vile guadagno;

2,1 Tu, però, insegna ciò che è conforme alla sana dottrina.

2,2 Che i vecchi siano sobri, dignitosi, prudenti, sani nella fede, nella carità e nella pazienza.

2,5 ad essere prudenti, caste, attaccate ai loro doveri domestici, buone, sottomesse ai loro mariti,

perché non sia vituperata la parola del Signore.

2,11 E' apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini,

2,12 insegnandoci a vivere nel secolo presente con saggezza, con giustizia e pietà, rinunciando

all'empietà e ai desideri mondani,

2,13 in attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del grande Dio e Salvatore

nostro Gesù Cristo,

2,14 il quale ha dato se stesso per noi allo scopo di riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un

popolo che gli appartenga, zelante nel compiere opere buone.

2 Timoteo

3,1 Sappi poi che negli ultimi giorni sopravverranno tempi difficili.

3,2 Gli uomini, infatti, saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, arroganti, bestemmiatori,

disobbedienti ai genitori, ingrati, empi,

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2,22 Cerca di fuggire le voglie giovanili; persegui la giustizia, la fede, l'amore, la pace con quelli

che invocano il Signore di cuore puro.

3,10 Tu però hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta, i miei disegni, la mia fede,

la longanimità, la carità, la pazienza,

70

AAppppeennddiiccee 44

Da: “GRANDI LIBRI D’EUROPA” (2004)

Esplorazioni filosofico-letterarie

FAUST, IL TRADUTTORE

L’episodio è poeticamente introdotto da Goethe nella parte Prima alla scena Studio (Studiezimmer).

Il dottor Faust, accompagnato da un misterioso cane barbone, che poi si rivelerà essere lo stesso

Mefistofele, si ritira nel suo studio dopo il tramonto, la sera stessa del giorno di Pasqua. La notte

precedente si era avvicinato al suicidio portando la fiala del veleno alla bocca, mentre sul fare del

giorno un coro pasquale di bambini annuncianti Cristo risorto, lo aveva distolto dall’insano gesto

riportandolo al pensiero della originaria giovinezza; rinfrancato, era poi uscito con il fedele Wagner

per le strade della cittadina ad incontrare il popolo in festa, fatto oggetto di pubblica riconoscenza,

nel ricordo benefico del padre taumaturgo. Tramontato il sole Faust rientra, lo stato d’animo è

poeticamente espresso con note struggenti

Prati e campi li ho lasciati,

li copre una notte profonda

che con l’ansia di un sacro spavento

ridesta l’anima nostra migliore.

Dormono gli impeti veementi

ora e le azioni scatenate.

L’amore per gli uomini ora si leva,

si leva l’amore di Dio.

Una lettura cattolica e bonaria del testo, pregevole per equilibrio ed intensità, vorrebbe condurci

manzonianamente, memori della conversione dell’Innominato, a pensare ad un momento di

profonda conversione, di adesione alla grazia divina, di intervento risolutorio del Dio che atterra e

suscita, che affanna e che consola e che si traduce nella gratitudine e nella pienezza dell’amore

ritrovato, verso Dio e verso gli uomini, che dal cuore si leva armonioso e spontaneo. L’ora del resto,

nella tradizione evangelica, è la più propizia: è l’ora nella quale il Cristo risorto si fa presente con il

suo saluto di pace mostrando le piaghe della passione sul suo vero corpo trasfigurato, è l’ora in cui

si spezza il pane.

Al contrario la vicenda prepara imprevedibili sviluppi, la presenza di Mefistofele in veste di cane

barbone preannuncia la tempesta e il perpetuarsi della tragedia illimitata di Faust. Tutto ha già avuto

una risonanza e una sanzione nel cielo, quando Mefistofele ha tenuto il suo colloquio privato con il

Padre celeste. Il lettore biblico attento si avvede immediatamente che Goethe attinge a piene mani al

prologo del libro di Giobbe introducendo libere variabili per nulla preoccupato dell’esatta

canonicità. Patetico, Mefistofele, scommette con il Padreterno di riuscire a inclinare la folle

inquietudine caratteristica di Faust, dalla sua parte, portandolo a dannazione.

Ma torniamo nello Studio del dottor Faust; nello sviluppo della scena ciò che interessa è un

particolare narrativo molto intenso che rischia di sfuggire. Pur infastidito dal ringhiare del cane in

un angolo dello studio, Faust pensa intensamente e sperimenta dapprima l’armonia ascendente di

un’anima che cerca la verità ma, immediatamente, questo rinnovato entusiasmo si cambia di nuovo

in dolorosa inquietudine, il travaglio è destinato a continuare

Ah, però già sento, con tutto il buon volere,

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che nell’anima torna la scontentezza a gemere.

Perché deve inaridirsi così presto la corrente

e noi rimanere assetati?

Ci limitiamo ad osservare che un canone espressivo caratteristico di Goethe è quello secondo cui

possiamo parlare con certezza solo di ciò che in modo profondo abbiamo esperimentato in noi e

negli altri. Con questo non ci autorizziamo a concludere nel fatto che ogni cosa che Goethe mette in

bocca a Faust si riferisce a se stesso, certamente sorprende la profondità…

Tanto spesso ne ho fatto esperienza.

Eppure a questo vuoto si può dare compenso:

si impara quanto valgono le cose ultraterrene,

si cerca la Rivelazione

che mai più degna splende e più bella

come nel Nuovo Testamento.

Dobbiamo sottolineare il rigore del processo interiore qui descritto oscillante tra disperazione e

speranza, tra tranquillità armoniosa e inquietudine del vuoto. Tra queste due dimensioni antitetiche

prevale infine un vuoto doloroso, una sorta di coscienza infelice, ma non privo di speranza, esso

infatti spinge a cercare le cose ultraterrene e ad attingere alla Divina Rivelazione, infine ad aprire il

Nuovo Testamento. Anzi riguardo a quest’ultimo Faust non si sente solo

Qualcosa mi spinge ad aprire quel testo

a provarmi, con cuore devoto, a tradurre

il sacro originale

nella cara mia lingua tedesca.

Potremmo indugiare sul verso che richiama al lettore sano e ingenuo, l’attività del grande traduttore

per eccellenza, Martin Lutero, coadiuvato dal dotto Melantone e molestato dal diavolo nella

fortezza della Wartburg. La cara lingua tedesca è quella che il Riformatore è andato a raccogliere

nella sua forza originaria sulla bocca di coloro che vivono nella piazza del mercato. Il cuore devoto

infine richiama intensamente la situazione interiore che il pietismo oppone alla possibilità che si

faccia strada la durezza del cuore e che ci si limiti alle nozioni astratte nel rapporto con il Sacro

Libro.

Il testo poetico mostra la coscienza che una giusta traduzione infine avviene perché

…mi dà aiuto lo Spirito!

L’apparente spontaneità del verso goethiano, e la causalità dell’apertura del grosso volume, una

specie di tolle, lege di agostiniana memoria, non può mascherare il fatto che il testo in cui si imbatte

Faust è in realtà stra-scelto: si tratta infatti del venerabile Prologo al Vangelo Secondo Giovanni.

Non è un testo qualsiasi, ma piuttosto quello più elevato e riassuntivo di tutto il messaggio

evangelico. Qui si rende necessaria, per l’intelligenza di quanto segue, una sobria annotazione

teologica.

L’evangelista Giovanni, o chi per lui, scrive in lingua greca. Egli premette alla narrazione

evangelica, caratteristica per la sua andatura mistico-simbolica resa singolarmente viva dal realismo

che tradisce la testimonianza, un Inno sintetico e riassuntivo comunemente chiamato Prologo. Nel

Prologo Giovanni intende parlare di Gesù, offrire una testimonianza efficace della sua realtà umana

e divina, della sua unicità e della definitiva efficacia della sua Rivelazione e Redenzione. Gesù per

Giovanni è la persona storica di Gesù di Nazareth, morto e risorto, presente e vivo nell’umanità e

nella Chiesa. Gesù in quanto Dio è quella Parola, quella Intelligenza e quella Sapienza che presiede

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la stessa creazione e conservazione del mondo. Da qui la scelta del termine LOGOS con la famosa

reiterata espressione

In principio era il Logos

e il Logos era presso Dio

e il Logos era Dio.

Tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui niente è stato fatto

di tutto ciò che esiste. In lui era la vita..

e il Logos si è fatto carne…

nessuno ha mai visto Dio,

il Figlio unigenito

che è nel Padre ce l’ha rivelato.

Il termine Logos ritorna quattro volte nel Prologo del Vangelo, una volta all’inizio della Prima

lettera di Giovanni e infine un’ultima volta nell’Apocalisse.

L’autore del Prologo allude alla realtà storica, umano-divina di Gesù, ma si pone anche in una linea

di continuità con il testo della creazione narrata dal libro della Genesi. Ma c’è di più: la scelta di

termini come Logos-Parola e Archè-Principio indica l’intenzione di collegare la vicenda di Gesù

alla grande ricerca filosofica dei greci. Il Logos divino, pienamente rivelato in Cristo, è quel

principio supremo che preside la scala dei principi ascendenti e discendenti che i filosofi avevano

intravisto e designato. Proprio il Prologo al Vangelo di Giovanni permette ad Agostino la grande

affermazione teologico-filosofica, secondo cui nella filosofia pagana si trova scritto che in Principio

era il Logos, la parola che crea il mondo, ma non c’è scritto che questa Parola si è fatta carne. In

sintesi il termine Logos, che nell’accezione linguistica comune greca indica parola, intelligenza,

legge, principio, misura, acquista nel Prologo una ricchezza di significati che vanno collocati per

analogia nella sfera del divino e non si esauriscono in una facile scelta preferenziale. Di fatto si può

per analogia intendere il Logos quale perfetta intelligenza divina, talmente perfetta da essere

Persona, con il Padre e con il Figlio, ma anche intendere il Logos come il grande Architetto della

continua creazione di realtà aventi significato; è ancora l’Intelligenza che rivela il Mistero Divino.

L’evento dell’Incarnazione sta alla base di tutta la Rivelazione e Redenzione ed è atto estremo e

definitivo, in una parola Cristo è lo stesso, ieri, oggi e per sempre. Il definitivo dunque ha dato

segno di sé nella storia. Le conseguenze sono pensabili, e il pensarle vuol dire fare la teologia. La

prima e più evidente è che attraverso l’umana parola di Gesù di esprime la Parola divina. Diciamo

noi che un grandissimo poeta come Goethe si trova in una invidiabile situazione di sintonia con

questa valenza divina e pienamente umana della Parola.

Torniamo al Faust. Ci conviene citare direttamente il testo e vedere come, nel ritmo fascinoso della

poesia, procede il nostro traduttore.

Sta scritto: ‘In Principio era la Parola’

Ed eccomi già fermo.

Chi m’aiuta a procedere?

M’è impossibile dare a ‘Parola’(Wort) tanto valore.

Devo tradurre altrimenti,

se mi darà giusto lume lo Spirito.

Sta scritto ‘In Principio era il Pensiero’(Sinn).

Medita bene il primo rigo

ché non ti corra troppo la penna.

Quel che tutto crea e opera , è il Pensiero?

Dovrebb’essere: ‘In Principio era l’Energia’(Kraft).

Pure, mentre trascrivo questa parola, qualcosa

73

già mi dice che non qui potrò fermarmi.

Mi dà aiuto lo Spirito! Ecco che vedo chiaro

E, ormai sicuro, scrivo: ‘In Principio era l’Azione’(Tat)

Alcune note si impongo immediatamente. La traduzione più logica e letterale, quella già adottata

dallo stesso Lutero (peraltro contemporaneo all’ipotetico personaggio storico del Faust) viene

immediatamente scartata dal dottor Faust, gli sembra troppo povero il fatto che la Parola (Wort) che

sta in Principio, contenga tutta la potenza che le si attribuisce in seguito nel testo giovanneo cioè, il

fatto di presiedere alla creazione del mondo. Lo stesso vale per il termine successivo Pensiero. Ci si

avvicina alla meta con l’impersonale Energia per approdare alla soluzione dettata dallo Spirito e

cioè Azione: In Principio era l’Azione.

E’ evidente che il dottor Faust non ha sviluppato la nostra riflessione precedente; ciò appare

decisamente funzionale dal punto di vista della trama della tragedia: in forza del continuo incessante

tendere (Streben) Faust diviene emblema dell’umanità, il cui continuo e incessante tendere è il

motivo ultimo della salvezza. L’immagine e somiglianza di Dio si esplica in una sorta di sintonia tra

il tendere incessante del divino, onnipotente e perfetto, e la tensione più propriamente umana,

giocata tra finito e infinito.

Di fatto però, rispetto alla posizione giovannea sopra sobriamente illustrata, il nostro inquieto

traduttore adotta una visione della parola meramente intellettualistica, cattedratica e statica,

diremmo noi formalista, che sembra fatta apposta per essere superata. E’ il caso in cui una

problematica culturale, psicologica e antropologica assume una risonanza teologica. Il dottor Faust

ci appare come un uomo geniale, ma anche, occorre dirlo, un cattivo teologo, decisamente legato ad

una concezione del linguaggio appunto formalista. Ci limitiamo ad osservare solo allusivamente che

la strenua battaglia di Nietzsche contro il filisteo, dotto e teorico, incapace di azione, abita molto

vicino al testo del Faust. Siamo nei pressi di un fraintendimento del pensiero teologico e metafisico

dell’Occidente. Il Prologo di Giovanni facendo del Logos il Principio, ha già sancito l’equilibrio tra

la compiutezza statica della contemplazione e la perfetta affermazione di un dinamismo

assolutamente logico decifrabile negli eventi della storia della salvezza; nello stesso Vangelo

appare, dalle stesse parole di Gesù, che l’Incarnazione del Logos è l’opera compiuta dal divino e

l’opera umana più adeguata che vi corrisponde è la Fede.

E’ affiorato qui uno dei leit motiv ricorrenti nella cultura europea e tedesca in specie: la lotta contro

il razionalismo statico e normativo e l’evocazione ed esaltazione della prassi, della libertà e della

volontà. Se univoca è l’istanza espressa dal solitario personaggio dell’opera goethiana, sono

innumerevoli e anche contraddittorie le declinazioni del tema nel momento storico in cui visse

Goethe. Accusare il grande scrittore di essere un antesignano dell’irrazionalismo niciano vorrebbe

dire assecondare la folta schiera di coloro che affermano la presenza in ogni dove dei presupposti di

quella cieca forza storica distruttrice che fu il nazismo. Lo stesso Oswald Sprengler ne Il tramonto

dell'Occidente dedica una riflessione approssimativa alla cosiddetta anima faustiana

congiungendola alla volontà di potenza di Nietzsche, mentre nelle birrerie di Monaco si prepara

l'avvento del nazismo. Noi scoraggiamo decisamente la pratica di questa facile ermeneutica.

Nondimeno la cultura tedesca appare fortemente teologizzata e parimenti squilibrata, la sola

Scrittura e il Libero Esame hanno prodotto sì un grande e invidiabile commercio di idee e di

pensieri ma all’insegna di clamorose oscillazioni, contraddizioni, riduzioni e assolutizzazioni, di cui

l’esile e significativo testo di Goethe non è che un esempio.

Non siamo noi in questo momento alla ricerca di facili concordanze. Alcuni rilievi storiografici

decisamente si impongono. L’anno precedente alla pubblicazione della prima parte del Faust,

avvenuta nel 1908, esce la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Il commento sui generis al

Prologo di Giovanni, come già per Clemente, Origene, Agostino, costituisce la struttura portante di

tutta la speculazione hegeliana e dell’idealismo in genere che si conclude nella celebre petizione di

principio: tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale. Sono gli anni in cui

Schleiermacher traduce l’opera completa di Platone. La filosofia di Kant, adorata, contestata,

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utilizzata e financo saccheggiata, introduce una accelerazione incredibile al pensiero teoretico in

sintonia con le diatribe letterarie pro e contro illuminismo, romanticismo e classicismo. Sullo

sfondo campeggia la decisiva posizione panteistica e omnicomprensiva di Spinoza, l’ottimismo

illuminato di Leibniz. Contemporaneo e amico di Goethe, Schelling vive, ultimo tra i padri

dell’idealismo, l’inquietudine di una filosofia che gioca in disarmonia feconda con la conoscenza

teologica e l’esperienza della fede. Il Soggettivismo e la negazione della Trascendenza sono

comunemente indicati dai manuali quale esito della grande avventura del pensiero ottocentesco.

Goethe, che del logos tedesco detiene l’indiscutibile scettro, è parimenti spettatore e regista di

questa incredibile fioritura culturale. Ma c’è un altro fatto rilevante destinato ad acuire la

problematica del rapporto tra pensiero e prassi, un fatto che si aggiunge agli inesorabili processi di

trasformazione tecnologica e scientifica comuni al nord Europa, portandoli ad una accelerazione

unica e forse irripetibile: appare in Germania l’astro napoleonico, divoratore, distruttore e

affascinante proprio in ragione di quella singolare capacità di agire e di decidere, ampiamente

teorizzata e così poco vissuta dai tedeschi.

Fino a che punto il personaggio della tragedia corrisponde all’animo e all’esperienza dell’autore?

Su questo terreno bisogna sempre muoversi con circospezione: troppo consapevole e geniale

Goethe per non avvertire il rischio della coincidenza e non sperimentare ironicamente la gioia

dell’invenzione e del gioco.

I biografi ci suggeriscono un Goethe religiosamente intenso in modo naturale panteistico,

allontanatosi ancora giovanissimo dalle spire del pietismo e dalla sterile ribellione sturmeriana che

trova eco nel giovanile Prometeo; un uomo tentato perennemente di viva sensualità e dunque

inevitabilmente portato a sondare la relazione tra l’archè divino e quello femminile. Gli ultimi anni

della sua vita sono segnati dal rifiuto di entrare in questioni minuziose di coscienza dinanzi al tema

della Rivelazione e della Redenzione: Goethe non amava parlare della Croce e non amava discutere

sul tema della Grazia e della Redenzione. Goethe infine non parla di Gesù Cristo. Il suo approccio

alla religiosità è facilmente leggibile in un’ottica illuminista; la Religione nei limiti della sola

ragione di Kant indica una strada di comprensione, e un clima culturale. Il Goethe anziano si mostra

deferente nei confronti di Hegel, ma non in sintonia, preferendogli Kant. Al criticismo kantiano egli

riconosce le caratteristiche del rigore razionale e la sintonia lata con la teoria dei colori che egli

sosterrà strenuamente essere il contributo della su ricerca culturale che più di ogni altro gli avrebbe

garantito la notorietà e l'immortalità.

I commentatori infine notano che la finale del Faust riecheggia, come una specie di cupola

di san Pietro nel deserto, il finale della Divina Commedia dantesca. Goethe ha esplicitamente detto

di avere adottato una comoda soluzione cattolica. Lungi da noi parlare di un Goethe che si deve

convertire a tutti i costi; certamente nel paragone con Dante la conclusione dell’opera, pur così

avvincente e geniale, cede decisamente il passo.

Una sorta di indeterminismo teologico-filosofico grava sui maestri dell’espressione in epoca

moderna, tra essi il grande Goethe: quando ci si dedica profondamente ad una esperienza in qualche

modo se ne svaluta o se ne perde un’altra. Questo vale allo stesso modo per chi si esprime con la

sicurezza della verità, vuoto di pensiero e di passione per l’uomo e per la sua vita, incapace di

pensare, di leggere e di scrivere.

75

AAppppeennddiiccee 55

Da: “LA RICERCA DEL ‘SENSO’ TRA L’ESSERE E IL NULLA” (2003)

LEOPARDI

“Il fiore del deserto”

A) Riflessione sul perché Giacomo Leopardi antepone alla Ginestra un testo del Vangelo di Giovanni con significato radicalmente capovolto

L’onestà ermeneutica mi porterà a scontentare due categorie di persone tra quelle, naturalmente, che

si interessano di letteratura e soprattutto di Giacomo Leopardi.

Alla prima categoria appartengono quanti ritengono che il poeta di Recanati, nonostante la palese

professione di sensismo e di ateismo, sia da annoverare tra i grandi spiriti religiosi di ogni epoca. In

questo caso egli sarebbe inconsapevolmente l’assertore di una tesi contraria ad una sua tesi

consapevole e a tutti nota.

Non si può certo negare una motivazione intrinseca a questa diffusa posizione interpretativa,

praticata soprattutto da letterati credenti, i quali amano ricollegarsi al tortuoso e doloroso itinerario

spirituale del Leopardi, ma anche alla sublime poesia leopardiana, che canta la vita frammezzo ad

una meditazione sulla vita che appare senza speranza; a questa forzatura del dettato leopardiano si

presta inoltre lo stesso discorso religioso, la teologia infatti possiede la forza di includere significati

avversi e percorsi ambivalenti, in una logica composita ma lineare. Se solo a Dio compete la

capacità di scrivere diritto su righe storte, la teologia è in grado di leggerne il testo. Il sottoscritto

intende parlare di Leopardi con il piglio del Teologo ma non si avvarrà di questa possibilità per fare

cantare un canzone diversa e capovolgere così la grammatica dei segni leopardiani.

Quanto alla seconda categoria, ad essa appartengono quanti ritengono che il discorso religioso

non faccia parte della riflessione di Leopardi, non rientri cioè nelle regioni della sua piena

consapevolezza. Ora nessuno vieta ad alcuno la possibilità di assumere per la propria vita la

decisione laica, laicista, atea o agnostica, avulsa dal suo percorso storico. Sta il fatto, come ci

impegneremo a dimostrare, che Giacomo Leopardi addiviene pensosamente e dolorosamente,

benché giovane, ad una risoluzione radicalmente atea, attraverso un processo che, pur essendo

suffragato da una miriade di condizioni sfavorevoli alla vita e favorevoli all’ateismo, si riduce

secondo noi ad un arbitrio, ad una decisone capitale, avvertita dallo stesso in tutta la sua portata.

Anche in questo secondo caso non mancano ragioni; una meditazione distesa e

omnicomprensiva dell'esistenza configura l'ateismo inizialmente come possibile, mentre sul piano

ermeneutico, quando cioè si instaura una volontà radicale di ritrovare il senso delle cose, l'ateismo

diventa insostenibile, ameno che non si decida che comunque la vita c'è e la si vive, anche se non ha

senso.

In sintesi, lo scrivente scontenterà i credenti interpreti, i quali non si rassegnano a lasciare

sfuggire uno scrittore dell’altezza del Leopardi dalla sfera della religiosità anche solamente

implicita e inconsapevole; ma scontenterà soprattutto i laicisti, privi di una rigorosa formazione

teologica e religiosa, e che amano perciò stesso fare terra bruciata attorno al discorso religioso (mi

pare che sia uscita anche ultimamente la proposta di tagliare gli alberi per non avere più il problema

degli incendi).

Entriamo dunque nel vivo della questione: uno degli ultimi Canti del Leopardi, La ginestra

o il fiore del deserto, è introdotto da un verso del Vangelo di Giovanni, scritto nel testo greco

originale che tradotto suona precisamente così

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Gli uomini hanno preferito

le tenebre alla luce Gv 1,19

Nel Vangelo di Giovanni il verso in questione ha un significato non aleatorio. Gesù è la luce del

mondo, gli uomini hanno preferito la tenebra del peccato e lo hanno rifiutato. Tutto il Vangelo, ma

anche la Prima lettera di Giovanni, sviluppa questo tema. Già nel famoso Prologo si legge

Egli era la luce e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta…

Il verso greco si traduce attualmente con non l’hanno accolta e si tradurrebbe più precisamente con

non l’hanno sopraffatta. Questa seconda traduzione, accreditata quanto la prima, indicherebbe

qualcosa di più che un sonno passivo rispetto alla luce che viene, qualcosa di più grave che una

distrazione, una non volontà o una forma di pigrizia; in questo secondo caso il testo indicherebbe un

tentativo di aggressione, ultimamente non riuscito, di annullare la luce, un male dunque non passivo

ma attivo. Una traccia di questa interpretazione si ritrova ancora nel Vangelo e precisamente

nell'episodio del cieco nato guarito da Gesù. E' risaputo che per Giovanni i miracoli sono concepiti

come segni, luoghi di rivelazione divina attraverso le parole e i gesti di Gesù; in questo caso Gesù è

la luce del mondo. I commentatori prendono atto che il gioco tra tenebre e luce narrato nei Vangeli,

ma anche negli Atti degli Apostoli, è pervaso da una caratteristica ironia. I tentativi di nascondere la

luce divina falliscono continuamente il loro scopo. Ci domanderemo come e fino a che punto lo

stesso Leopardi, non solo negatore ma altresì capovolgitore del messaggio, sia sottoponibile

all'ironia giovannea. Sarebbe un discorso antipatico e da non farsi se lo stesso Leopardi non avesse

posto in gioco con sarcasmo voluto il versetto del Vangelo.

Tornando a Giovanni l’esito di questa contrapposizione dialettica storica e metafisica mette

maggiormente in risalto il valore della luce rispetto alle tenebre. E’ importante notare che Gesù nel

Vangelo è narrato nella sua divina ed ineffabile preistoria: Gesù è il Logos, l’Intelligenza e la Parola

divina che si fa carne, cioè Dio e uomo, come dice la teologia classica, nella stessa Persona. Si

condivida o meno, questa affermazione, insieme a quella della morte e resurrezione di Cristo,

costituisce l’essenza del cristianesimo. La possibilità diversa è quella di negare l’esistenza storica di

Cristo, o di negare il valore di verità dei testi. In questo secondo caso occorre giustificare il perché

di questa falsificazione della realtà attraverso i testi. Per fare almeno un esempio questo sforzo fu

condotto da Feuerbach; egli affermò che dietro il linguaggio che si presenta come teologico, ovvero

come discorso su un Dio che si manifesta, si nasconde in realtà un insegnamento umano,

antropologico. E’ l’uomo, secondo Feuerbach, che proietta e divinizza in Cristo la propria umanità.

E perché l’uomo farebbe questo? Perché è alla ricerca di se stesso fuori di sé, in una parola è

alienato. Il tema dell'alienazione verrà poi approfondito e radicalizzato in modi diversi e complessi

da Marx, Nietzsche e Freud, per citare i più conosciuti tra i profeti del sospetto.

Il nostro Leopardi scrive qualche anno prima di Feuerbach, e Giovanni, o chi per lui, molti

secoli prima di entrambi. Questi testi giovannei come si vede sono impegnativi, gravidi, sono

talmente pesanti che i più hanno deciso di ignorarli o come nel caso dei Testimoni di Geova di

indebolirne e svilirne il suono: è sufficiente tradurre In Principio era il Verbo con in Principio era

un Verbo per aprire due porte totalmente diverse e solo apparentemente simili. Nell’economia del

nostro discorso occorre precisare che nel Vangelo la luce, cioè la divinità stessa, l’Intelligenza

stessa divina, è apparse in forma umana nell’uomo Gesù, in un modo irripetibile e unico… recita

ancora il Vangelo …E il Logos (Verbo-Parola) si è fatto carne. Da questo carne del verso 14

deriva il grande concetto di Incarnazione. Come spiega la Dei Verbum del Concilio Vaticano

Secondo, riprendendo in sintesi tutto il messaggio Neotestamentario, la Rivelazione avviene con

fatti e parole strettamente fra loro congiunti, fatti e parole che raggiungono il loro culmine con la

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venuta del Figlio di Dio, apparso in carne umana. La consapevolezza che qualcosa di simile è

presente in tutte le religioni mette ancora maggiormente in risalto l'unicità dell'Incarnazione. Dio

stesso tratta con gli uomini in modo amichevole.

La lunga chiarificazione era necessaria per comprendere meglio le riflessioni che seguono.

Un fatto non può essere ignorato. Leopardi adopera il verso di Giovanni con significato

radicalmente capovolto… infatti la frase gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce così come si

desume da tutto il componimento significa: gli uomini avevano finalmente intrapreso la via faticosa

ma severa della ragione, dell'illuminismo, quindi della luce, ma sono tornati alle tenebre delle

fantasie religiose e agli spiritualismi cattolici, cosa che vedremo più da vicino. Gli uomini hanno

girato le spalle all’illuminismo perché il lume autentico della ragione li mette dinanzi alla realtà

miserabile della vita umana e alla crudeltà e indifferenza della natura. Hanno preferito, rinunciando

alla ragione, parlare di immortalità, di centralità dell’uomo nel cosmo, di discesa degli dei sulla

terra.

Come è ormai facile vedere siamo dinanzi ad un totale capovolgimento, ad una volontà di

Leopardi di scalzare dal didentro l’assetto della verità cristiana. Avverto che stiamo parlando di

Leopardi, di un genio erudito, di colui che lo stesso Nietzsche definì il moderno filologo, di un

uomo che ama tra tutte le attività soprattutto compulsare i testi e concentrarsi sullo studio delle fonti

con acribia scientifica, parola per parola e frase per frase. La lettura delle volute filologiche e

filosofiche dello Zibaldone c’impedisce di considerare il Leopardi alla stregua di coloro che citano i

pensatori e i poeti usando come criterio filologico la spanna. Leopardi infine conosce troppo bene il

greco e troppo bene il Nuovo Testamento per commettere questo svarione.

Un’ultima possibilità potrebbe essere quella che attribuisce la citazione al Ranieri o da chi

per esso, non originaria quindi. Di fatto abbiamo tre manoscritti della Ginestra, non esiste un testo

originale, con la possibilità, accreditata presso gli studiosi, che il testo sia stato dettato e non scritto

dal poeta direttamente. E’ possibile dunque che il Ranieri abbia anteposto alla lirica il verso,

capovolto nel suo significato, al componimento? La tesi è plausibile ma improbabile, la diamo uno

su dieci…; risulta infine dalle rivelazioni del Ranieri stesso che il Leopardi diede severe

disposizioni sulla sorte dei suoi testi, fino alla fine.

Occorre caricare intensamente su questa riflessione. La tesi di un Leopardi consapevole

dell’operazione compiuta, che cioè consiste nel capovolgimento del significato del Vangelo e della

parola di Cristo, è perfettamente coerente con la sua visione del mondo, i tedeschi, suoi

contemporanei, avrebbero detto Weltanschauung, visione che appare nella Ginestra. Se accettiamo

questo dobbiamo accettarne anche le conseguenze, e non sono di poco conto. Come più

palesemente e violentemente avverrà con Nietzsche e il suo Anticristo, ma con toni più pacati e

meno passionali, Leopardi intende destituire il cristianesimo del valore che gli è attribuito; il suo è

un tentativo di capovolgimento voluto e programmatico, non privo di un certo sarcasmo; egli infatti

si rivolge ad alcuni lettori non difficilmente identificabili; Leopardi proprio in quell'anno è oggetto

dell'intervento della censura borbonica che ritira dalla piazza l'edizione delle Operette Morali e dei

Canti; i circoli liberali e cattolici, i nuovi credenti ai quali egli dedicherà negli ultimi mesi di vita

una satira mordace, vero atto finale e non esaltante della sua produzione letteraria, stigmatizzano il

pensiero distruttivo e nihilista del Leopardi. Nella sua contro reazione c'è qualcosa di più che una

semplice reazione emotiva, c'è anche lo snobismo espresso dal testo greco, non da tutti leggibile,

tratto dal Vangelo di Giovanni. Ben oltre le polemiche il discorso è sdegnosamente rivolto al cuore

stesso della fede cristiana e cioè al messaggio del Nuovo Testamento.

A questo punto occorre ricordare che Leopardi, con i suoi fratelli, fu educato all’osservanza

dei precetti cristiani, la madre era dedita ad una preghiera costante condotta in solitudine e interrotta

solo dai calcoli finanziari; i suoi primi precettori furono sacerdoti, parenti e vicini alla famiglia; il

padre stesso stimolò ripetutamente il figlio a scrivere saggi catechistici e teologici di cui il piccolo

Giacomo dava resoconto dinanzi a vescovi e cardinali. L’aspetto più soffocante dell’educazione

religiosa del Leopardi è legato alla figura della madre che molto probabilmente e tristemente

corrisponde alla madre cristiana, nemica della vita, descritta nelle pagine dello Zibaldone

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(Zibaldone 353,6 25 novembre 1820). Una recente biografia, vero colpo di grazia finale, afferma

che la madre ritenne suo dovere essere presente alla confessione sacramentale del figlio.

Leopardi conosce dunque teologicamente il cristianesimo, alle fonti quando è ancora

giovanissimo, desideroso, come ricordava il padre al Ranieri con uno stonato compiacimento, di

assistere più volte alla Santa Messa in uno stesso giorno; ma la sua è una esperienza spirituale di

conflitto, tragica, soffocante, negatrice della vita, priva di amore e di serenità, dettata anche dalle

disastrose condizioni fisiche e dall’incapacità di scoprire in modo autentico la relazione con una

donna.

Tutte queste ragioni possono essere pensate come una concausa, l’elemento determinante

della posizione leopardiana è un atteggiamento universale, una posizione dinanzi all’universo colto

nella sua infinitezza e bellezza, concepito sostanzialmente come vuoto. Ciò che rimane dinanzi a

questo sguardo indisponibile alla fede è una natura madre di parto e di voler matrigna, rimane

l’infinita vanità del tutto. Nella sua sarcastica difesa Leopardi ricorda ai nuovi credenti che lui non

fa che rivivere il sentimento presente nel libro di Giobbe e nel Qoèlet.

Nella primissima giovinezza e con grave preoccupazione dapprima tacita ed in seguito

espressa dei genitori, Leopardi rigetta in toto la fede cristiana affidandosi allo scientismo illuminista

e al sensismo d’Holbachiano (Zibaldone 4175-7, 22 aprile 1826); contemporaneamente, dopo una

militanza conservatrice, il giovane Leopardi abbraccia le cause progressiste e patriottiche espresse

nelle prime canzoni che lo resero noto sulla scena letteraria e politica italiana. La conoscenza della

filosofia moderna in Leopardi meriterebbe analisi più puntuali, sta di fatto che la visione atea del

mondo, la proclamazione della sufficienza della natura e dell’intelligenza per spiegare la vita e il

mondo, si palesa in modo inequivocabile; la sua adesione all'illuminismo, che egli vede come una

continuazione del Rinascimento, si è già precocemente insediata nel suo animo nella primissima

giovinezza, prima ancora che appaia il canto che fra tutti abita vicino alla religione, l’Infinito, che,

forse, ne è paradossalmente il più lontano.

Propongo ora una sintesi esplicativa della Ginestra. L'approfondimento di alcune tematiche,

ormai per noi consuete, e infine la lettura del testo leopardiano e di altri testi.

In punta di piedi entriamo in poesia.

B) La Ginestra, il fiore del deserto, immagine della poesia e del poeta nel mondo.

Suggestioni

E' molto importante collocare il componimento dal punto di vista storico biografico. Nel 1833

Leopardi si trasferisce con il Ranieri a Napoli. Si lascia alle spalle lo sfortunato amore con Fanny

Targioni, le condizioni economiche sono precarie. Vive a Torre del Greco, ospite del Ranieri nella

villa Ferrigni alle falde del Vesuvio.

Il componimento è del 1836, anno in cui ha termine la produzione leopardiana. Con la Ginestra

compone infatti il Canto Il tramonto della luna e la satira mordace I nuovi credenti.

L'anno precedente con l'editore Starita di Napoli aveva concordato l'edizione in sei volumi

dei suoi scritti. Lo Starita stampa la terza edizione delle Operette morali; la censura borbonica

ordina il sequestro sia di queste che dei Canti. Il 14 giugno 1837, l'anno successivo, Leopardi muore

mentre a Napoli scoppia una epidemia di colera assistito dalla sorella Paolina. Il Ranieri a stento

sottrae il cadavere alla fossa comune. Leopardi è sepolto a Fuorigrotta nella Chiesa di san Vitale. La

salma fu traslata a Margellina nel 1938, ma in seguito non fu ritrovata.

La Ginestra Non si conoscono autografi di Leopardi, abbiamo tre copie di mano del Ranieri... Ci sono incertezze

testuali, correzioni e cancellature che fanno pensare a dettatura o ripensamenti dell'autore. Abbiamo

infine la versione dei Canti stampata a Firenze nel 1845 dove non figura "I nuovi credenti"

composizione che spiega il tono polemico della Ginestra, che il Ranieri ritenne opportuno di non

pubblicare, forse contravvenendo alla volontà espressa dal Leopardi stesso.

79

Dal punto di vista estetico la composizione rivela l'arte raffinata del Leopardi che riesce a

tenere il verso senza cadute di tono, chiudendo con il verbo in modo ellittico lunghissimi periodi, in

perfetta sintonia con l'argomento e il paesaggio, aspro e grandioso. Il verso è sciolto, con alcune

rime che addolciscono il ritmo liberamente, i versi sono endecasillabi e settenari. I critici discutono

sull'ispirazione; molti mettono in risalto che la poesia è sopraffatta dall'argomentazione tematica e

dalla polemica contro i nuovi cattolici. Ammettono la presenza di squarci poetici, quando si fa

menzione della ginestra in rapporto al vulcano e alla catastrofe dell'eruzione. A noi non resta che

ascoltare il componimento e di sentirlo risuonare nell'orecchio anche se, data la complessità è

opportuno conoscerne dapprima il contenuto, per meglio gustarne tutto l'arco espressivo. Per quello

che ci riguarda il componimento non è di immediata e facile comprensione. Si ha l'impressione di

ritrovare come riassunti nella Ginestra tutti i contenuti della poetica leopardiana, si tratta di un testo

che si presta dunque ad una fitta concordanza; questi elementi sparsi nelle diverse composizioni

poetiche sono qui assunti e quasi trasfigurati in una architettura tesa e complessa, che richiama le

grandi opere lasciate in eredità dai geni: il pensiero va a Dante, Shakespeare, Pascal, Beethoven, per

citarne solo alcuni. Il contenuto, inaccettabile alla luce di una fede autentica, è salutare nei confronti

della fede inautentica e del pensiero compensatorio e illusorio. Seguiamo la numerazione più

accreditata e la suddivisione proposta nell'edizione della BUR (a cura di Franco Brioschi, MI, 7a

edizione, 1998).

Qui su l'arida schiena…(1-50)

Si apre uno scenario maestoso sulle falde del Vesuvio, il poeta si rivolge alla ginestra sparsa intorno

e profumata. Si rammenta d'averla vista tra le rovine di Roma, e di averla trovata compagna di

luoghi tristi, distrutti e deserti. Sotto la lava è sepolta una civiltà annientata dal vulcano; nuovo

accostamento poetico tra la ginestra profumata e le rovine. La scena diventa immagine del mondo,

dell'umanità e della sua storia.

Il poeta invita quanti hanno l'abitudine di esaltare il genere umano a considerare qual è il

trattamento che all’umanità riserva la natura. Basta un sommovimento leggero o poco più intenso

per annullare e addirittura annihilire totalmente gli esseri umani. Cita sarcastico il verso di Terenzio

Mamiani che negli Inni Sacri del 1832 esprime il punto di vista spiritualista ed evangelico

sull’umanità… le magnifiche sorti e progressive.

Qui mira e qui ti specchia…(51-86)

Si accentua l'invettiva contro il tempo presente e la sua mentalità, perché ha abbandonato la via

tracciata a fatica dal risorto pensiero del Rinascimento e dell’Illuminismo. Leopardi manifesta il suo

sdegno e la sua avversione per il tempo presente pur sapendo che ciò comporterà l'oblio di sé e della

sua opera. Gli è toccato in sorte di vivere in un tempo che rifiuta la verità smascherante del nuovo

lume con cui veramente si progredisce e chiama fuggitivo chi non illude gli uomini con il discorso

della dignità umana e della salvezza.

Uomo di povero stato…(87-157)

Ritornano i concetti precedenti, sono ragionamenti in forma poetica. La vera grandezza e nobiltà

d’animo non è quella di fingere ma quella di dire la verità: è bensì quella di accettare le sofferenze

della vita e di non aggiungere a quelle che sono inevitabili gli odi e le inimicizie fraterne che sono

invece evitabili; è quella che non incolpa gli altri uomini dei mali di cui vera responsabile è solo la

natura; piuttosto occorre stringersi insieme con compassione per vincer il più possibile i mali che ci

minacciano. Altrimenti si agisce come coloro che, cinti di assedio, litigano tra di loro e cadono in

balia del nemico. Leopardi, fedele al pensiero illuminista, ritiene che i patti sociali siano nati per

contrastare insieme la comune nemica, la natura, e che la convivenza comune debba essere fondata

su civiche virtù e non su favole religiose. Propone in tal modo un'etica centrata sull’uomo.

Sovente in queste rive…(157-201)

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Potente evocazione poetica notturna: il poeta rivela la consuetudine (sempre caro mi fu… sedendo e

mirando) di contemplare lo spettacolo del vulcano, del golfo di Napoli e delle stelle. Le stelle lo

portano a pensieri di infinito, poesia e conoscenza scientifica si mescolano spontaneamente.

Emerge potente la domanda, in questo scenario grandioso e ostile, cos’è l’uomo? Denuncia

l’errore di considerare l'essere umano centro dell’universo e impugna come fosse una favola, il

racconto della discesa sulla terra dei suoi autori; in termini poetici e velati il Leopardi nega

radicalmente la venuta di Cristo, in perfetta corrispondenza con l’uso del versetto di Giovanni da

noi ampiamente considerato. Pone infine in rilievo la contraddizione della sua età storica fatta di

progresso e di regresso insieme, che genera nel suo animo riso e compassione ad un tempo.

Come d’arbor cadendo un picciol pomo…(202-236)

Un pomo maturo cade dall’albero e schiaccia inesorabilmente il formicaio, in un attimo. Paragone

con l’umanità, posta nella medesima condizione. Travolgente scena dell’eruzione del vulcano e

suggello del paragone tra l’umanità e il formicaio.

Ben mille e ottocento…(237-296)

Ricordo storico dell’eruzione che sommerse Ercolano e Pompei e di cui rimangono tragiche

testimonianze. Il timore degli abitanti del posto è ancora vivo. Leopardi rivela la conoscenza

scientifica dei segni premonitori dell’eruzione e degli effetti della discesa della lava. Il terrore che

suscita il Vulcano si accresce quando l’eruzione è osservata attraverso le precedenti rovine. La

natura sta indifferente e ognor verde (ricordo personalmente l’impressione che mi fecero i prati

verdissimi tra le baracche distrutte di Auschwitz), passano le generazioni e i linguaggi, e l’uomo si

arroga il vanto dell’eternità.

E tu, lenta ginestra,…(297-317)…

Ritorna l’idillio poetico…la ginestra, fiore del deserto, è assimilata all’autentica poesia e

all’autentico pensare, incarna l’animo dello stesso poeta e il suo umanesimo pessimista ed eroico

insieme, distruttivo delle illusioni e costruttivo di un atteggiamento eroico e non rinunciatario.

Anche la ginestra soccomberà al fuoco che avanza, si piegherà innocente ma non renitente, senza

aver codardamente e vigliaccamente piegato il capo dinanzi all’oppressore e nemmeno dopo essersi

fatta da sé orgogliosamente immortale come illusoriamente fanno gli uomini.

C) Leopardi filosofo?

All'esagerata e ormai diffusa espressione che considera il Leopardi come il maggior filosofo italiano

ed europeo dell'Ottocento, può solo contrapporsi l'idea secondo cui il Leopardi è in verità da

considerarsi uno dei grandi pensatori dell'umanità, una incarnazione particolarmente potente

dell'immagine pascaliana della canna pensante.

In un certo senso il nostro poeta preannuncia con intensità unica e con una altezza poetica da tutti

riconosciuta la vicenda drammatica del nihilismo contemporaneo.

Già nell'Infinito, scritto dal poeta poco più che ventenne, appare l'afflato metafisico;

attraverso il superamento del limite visivo, il rumore del vento che agita le foglie, il Leopardi

accede, nell'attimo lirico, all'infinito spazio temporale che con la natura avvolge la storia degli

uomini e accoglie il naufragare dolce dell'io empirico. Infinito, natura, e io si intrecciano

delicatamente nel verso asciutto e musicale, determinando con chiarezza espressiva la trama

idilliaca di ogni autentica dedizione metafisica. Il soggettivismo leopardiano si spalanca

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consapevole sull'orizzonte dell'universo, la cui percezione è accresciuta da una adesione scientifica

alla struttura del mondo spogliata dai miti e dai misticismi. La nudità leopardiana è accompagnata e

pervasa da un rifiuto dell'esperienza religiosa e dalla adesione al meccanicismo e al materialismo

illuminista. In una parola Leopardi accede ad una trascendenza laica, per via di una intelligenza

primordiale del mondo che lo avvicina ai presocratici (cfr. Il frammento di Anassimandro); allo

stesso tempo Leopardi si decide per la negazione della trascendenza inferita attraverso il finalismo

del mondo o lo spessore ulteriore del proprio io. Analoghi pensieri, con struttura linguistica e

mentalità differente, si agitano nel mondo tedesco a lui contemporaneo, che vede l'affermazione

dell'idealismo e soprattutto di Hegel. In una parola Leopardi non indaga se stesso come luogo di

inferenza e di travalicamento dal visibile all’invisibile, ma solo come punto di partenza del viaggio:

l'autoconsapevolezza gli permette la continua escavazione del mondo metafisicamente inteso come

un tutto reale che basta a se stesso. Il mondo viene ultimamente ridotto a natura che genera e poi

distrugge. Avvertiamo noi che essendo stata praticata la decisione della non esistenza di Dio, questo

è l'unico pensiero veramente possibile. Al laico è possibile vivere ma non è possibile essere

ottimista.

Lo Zibaldone e le Operette morali si collocano nel filone tipicamente italiano ed europeo del

pensiero laico mentre contemporaneamente il Manzoni, con pari consapevolezza concettuale, si

colloca nella tradizione dei credenti. Le due opere leopardiane testimoniano la dedizione di

Leopardi alla filosofia di cui egli poteva agevolmente conoscere le fonti direttamente sui testi

originali. Riceverà addirittura la proposta di tradurre Platone dal greco, declinando l’offerta per

quella che egli considerava una insostenibile fatica; questa operazione realizzata in Germania da

Schleiermacher all'inizio dell'Ottocento e nel primo Rinascimento, in Italia da Marsilio Ficino, ha

creato sempre delle svolte nei percorsi culturali europei, ed è sempre stata vissuta in parallelo con la

traduzione dal greco del Nuovo Testamento. L'atteggiamento di Leopardi nei confronti di Platone

sarà alfine sostanzialmente negativo, in perfetta sintonia con il filone del pensiero europeo iniziatosi

con Bacone e Cartesio.

La lettura dello Zibaldone e delle Operette è sufficiente ad indicare il grande lavoro,

erudito, del Leopardi, in campo filosofico, a partire dalle letture disordinate che segnano il suo

distacco dalla fede religiosa per approdare alle riflessioni più penetranti e meditate della maturità; in

ogni caso egli addiviene alla caratteristica posizione, come dicevamo precedentemente,

meccanicistica e materialistica della vita. Ma nella ricerca leopardiana è dato di osservare qualcosa

di più profondo ed abissale, come il tentativo di mettere in discussione il principio di identità e il

tentativo di sostenere la derivazione del mondo dal nulla se non l’affermazione del solido nulla che

caratterizza le cose, la loro radicale insignificanza. Affermazioni oggi abbondantemente riprese e

quasi di moda nella filosofia dotta che transita da Leopardi e da Nietzsche. Affermazioni che

valgono per descrivere cosa accade nella mente, libera comunque, dell’uomo e

contemporaneamente prigioniera di una volontà di non affermare il divino. La decisione per il nulla

che richiama positivamente Heidegger, non ha alcun valore per i pensatori autentici per i quali

esistono solo realtà esistenti o possibili.

Si può notare che in Leopardi prevale il peso della cultura illuminista accompagnato da un

disincantato atteggiamento nei confronti della storia e della natura; ma comunque traspare l'assillo

metafisico della situazione assurda dell'uomo che cerca un senso alle cose e non lo trova. La cifra

dominante è quella della disillusione e dell'angoscia (Canto notturno…). Il permanere nell’uomo

dell’immaginazione, del cuore, della poesia contemplativa ed idilliaca, indica con sufficienza che

l’abisso nichilista è evocato ma non percorribile radicalmente. Se un senso religioso può essere

attribuito alla vicenda leopardiana qui è il suo luogo applicativo. Questo forse spiega perché il

Leopardi acceda alla sfera suicidaria e poi la neghi.

Leopardi: un occhio metafisico insufficiente per penetrare nella dimensione che diventa

pregiudiziale, quella che potremmo definire la via dell'interiorità? Che cosa impedisce al Leopardi

di rintracciare in ogni suo pensiero la solidità indiscutibile dell'interiorità e della spiritualità? La sua

situazione di salute? La disastrosa esperienza affettiva, emotiva e sessuale? L'acerba e triste

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relazione con la madre e con il padre? Il senso di continua frustrazione dinanzi all'indifferenza nei

confronti del suo genio? Una forma di radicale risentimento? L’amore non corrisposto? Una

decisione? Come può decidere un genio che Dio non esiste? I commentatori rintracciano una

traiettoria evolutiva nel pensiero leopardiano in particolare nel suo modo di analizzare la ragione

umana considerata nella sua evoluzione storica. Egli sviluppa l'equazione tra illusione giovanile, è

l'illusione della felicità, e l'ingenuità mitica degli antichi. Egli è consapevole che la ragione

disincantata non produce un miglioramento del modo di vivere, perché pone l'uomo di fronte alla

crudeltà dell'esistenza. E’ ragionevole affermare che l’uomo è radicalmente infelice e non in

ragione della sua situazione di salute o di vita ma in quanto semplicemente esistente. Diviene logico

pensare alla morte come al vero rimedio del male di vivere, mentre il pensiero dell’immortalità e

del giudizio accrescono maggiormente la sofferenza della vita. E' il momento del pensiero

leopardiano che accede all'essere e non essere del suicidio (Dialogo tra Porfirio e Plotino) negato

non in ragione di una proibizione divina o dell'inganno platonico dietro il quale Leopardi maschera

il cristianesimo per evitare la censura, ma per il prevalere della compassione umana e dell'eroica

decisione di vivere ugualmente, accomunati dalla medesima sorte. In questo senso la Ginestra

costituisce una vera sintesi del travaglio leopardiano nonostante sia disturbata dalla polemica con i

nuovi credenti già abbondantemente da noi considerata.

Resta comunque il fatto incredibile per il lettore, e cioè la tessitura sublime del verso

leopardiano, la grandezza poetica, l'onestà intellettuale, il ruolo decisivo nella storia della nostra

cultura, ma anche la sua dovuta superabilità; a condizione di farci partecipi della sua vicenda

umana e poetica, uscendo dalle facili assimilazioni e dai falsi irenismi, a condizione infine di

praticare una dedizione alla verità pari alla grandezza del suo genio.

83

AAppppeennddiiccee 66

5 dicembre 2006

A) Un secolo senza padre? Filosofia e teologia del XX secolo

meraviglia e gioia: "Dio è morto e il nostro mare è di nuovo aperto, forse non ci fu mai un mare così aperto" angoscia e sconcerto:

"Ma come abbiamo potuto fare ciò? Come potemmo bere tutto il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando staccammo la terra dalla catena del suo Sole? In quale direzione ora ci muoviamo? Non precipitiamo noi continuamente? Indietro, da un lato, davanti, da tutte le parti? C’è ancora un altro e un basso? Non voliamo come attraverso un nulla senza fine? Non soffia su di noi lo spazio vuoto?… Dio è morto, Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!"

(Nietzsche, La gaia scienza, p.129, Adelphi)85

Il compito che mi assumo è quello di rispondere sinteticamente a tre domande. La prima è

già indicata con il punto di domanda: il XX secolo è davvero il secolo della morte di Dio,

dell’annullamento definitivo del valore dell’autorità, dei principi, dei valori della tradizione, è

davvero il tempo storico del nichilismo, dell’assenza di riferimenti o di criteri per vivere che non

siano la nuda affermazione dell’arbitrio umano di fronte all’indeterminazione della nuda possibilità

al suo limite e alle sue limitate capacità? La domanda come potete immaginare pervade soprattutto

il grande fenomeno culturale che ha ricevuto il suo avvio storico nelle teorie psicanalitiche di Freud

ma caratterizza altresì il pensiero dei grandi epigoni della modernità; oltre a Freud, Nietzsche, come

ha acutamente osservato un contemporaneo come Thomas Mann, e inoltre Feuerbach, Marx, tutto il

filone di maestri e profeti del sospetto il cui pensiero e le cui idee sembrano davvero dominanti nel

XX secolo. Maestri e profeti del sospetto hanno prospettato una radicale alternativa, almeno in

85 La morte di Dio è un concetto filosofico formulato da Nietzsche. Si configura, per Nietzsche, come una realtà teorica e storica al

tempo stesso, che non fonda cioè le sue radici solamente su un convincimento ideale e personale del filosofo, bensì su una vera e

propria realtà di fatto, ovvero sulla fine di tutte le illusioni dell’essere umano, alla quale gli uomini cercano di far fronte creandosi dei

sostituti, quali idoli e miti di varia natura e di varia specie, che diano un senso alla vita ma anche alla morte, in modo che ognuno si

veda e si senta realmente ricompensato delle proprie fatiche, delle rinunce e degli affanni, immaginandosi di venire un giorno

ripagato e premiato nell'oltre-vita e nell'oltre-mondo, ovvero nell’aldilà. Essa assume inoltre la portata di un evento epocale e

caratterizzante che, oltre ad aver influito su buona parte del pensiero del filosofo, coincide anche con la perdita di tutte quelle

certezze, che, con la loro crisi, hanno fatto cadere l’umanità stessa nel dubbio e nell’incertezza. Infatti è il mondo stesso – col suo

caos, il suo disordine e la progressiva mancanza di punti fissi che gettano su tutto l’ombra del relativismo – a giustificare il fatto che

Dio non esiste più e che oggettivamente non può più esistere, in un ambiente così corrotto e degenerato. Di qui la presa di coscienza

di Nietzsche, che fa del suo indubitabile ateismo quasi una parola d’ordine, il quale si configura al tempo stesso anche come denuncia

del carattere "alienante" di ogni professione religiosa, questione a suo tempo già formulata e dibattuta da Feuerbach. Ne La gaia

scienza, la morte di Dio viene annunciata da un uomo folle, che giunge tra gli uomini ad avvisarli di questo avvenimento così

importante, e spingendoli a creare il Superuomo per riempire il vuoto lasciato da questo avvenimento, causato da tutti gli uomini. Gli

uomini, infatti, hanno ucciso Dio, che rappresenta le certezze assolute che finora avevano mantenuto gli uomini lontano

dall'incertezza propria dell'età moderna. Ma il folle si accorge di essere giunto in anticipo: questa notizia non era ancora arrivata in

quei luoghi. Naturalmente questa metafora nasconde molti significati nascosti, molti concetti molto profondi. Il tema della morte di

Dio intesa come eliminazione di una legge sovraumana sarà trattato anche in Così parlò Zarathustra, rappresentato questa volta dal

drago chiamato "tu devi". Nell'annuncio della morte di Dio, poi, viene esposto già il concetto di superuomo, che deve creare delle leggi proprie per sostituire quelle del Dio oramai morto

84

apparenza a concezioni secolari, ritenute invalicabili. C’è anche chi legge, in modo a mio avviso

semplicistico un tale processo come inevitabile conseguenza di una serie di presupposti storico-

culturali legati soprattutto alla svolta della modernità (XVI -XVII secolo)

Questa è la prima domanda alla quale mi accingo a rispondere e dovrò rispondere in modo

storico-pensante rispondendo necessariamente alle due domande senza punto di domanda che

compaiono nel titolo: che cosa hanno pensato di notevole gli uomini nel XX secolo, che cosa hanno

detto i credenti pensatori, ovvero i teologi nel XX secolo. Il pensiero del XX secolo è davvero

riducibile ala riduzione estrema sopra evocata.

Come dire che rispondo alla prima domanda rispondendo alla seconda e alla terza. Nascerà forse

spontaneo ancora una volta chiedersi negli ascoltatori quale sia il rapporto che intercorre tra fatti e

idee nel secolo vivo che ci ha lasciati. Rispondere a questo sarà forse la conseguenza di un percorso

che ora tracciamo.

Esito di una contrapposizione: oscillazione di pensieri Dinanzi alla precedente affermazione Nietzschiana, fortemente e variamente condivisa dal

pensiero contemporaneo, ci troviamo dinanzi a due posizioni estreme tra le quali si collocano in

modo diverso le innumerevoli scuole di pensiero filosofico e teologico dell’occidente nel XX

secolo.

Soprattutto negli anni novanta si è assistito al tentativo di una sorte di bilancio sintetico, quasi una

composizione di forze culturali in campo. In particolare è stato attributo significato forse eccessivo,

utile comunque al nostro scopo, al pensiero di Gianni Vattimo dell’Università di Torino, oggi

settantenne, sedicente gay, ex-cattolico, il quale ha codificato la formula ormai diffusa di pensiero

debole proprio della postmodernità al quale si contrappone vanamente il pensiero forte86

, cioè il

pensiero della tradizione, codificato attorno al principio del rapporto tra verità e morale, tra verità e

trascendenza, con una solida connessione tra pensiero e fede. Il pensiero dunque dei metafisici

tradizionali, che leggono Platone, Aristotele, san Paolo, San Tommaso d’Aquino ecc

Pensiero debole e pensiero forte

G. Vattimo, in polemica con Viano ragiona sulla scorta di Nietzsche, facendo propria

l’interpetazione che di Nietzsche ha dato M. Heidegger al quale si deve la più radicale critica al

pensiero di Aristotele, di Platone e del Cristianesimo filosofico-teologico; Vattimo si appropria

anche dello stile in cui un famoso discepolo di Heidegger, G Gadamer da poco scomparso, poco più

che centenario, affronta il recupero della tradizione filosofica dell’Occidente con la pratica e la

teoria dell’Ermeneutica. In sintesi, e rispettando le dovute proporzioni, il pensiero debole afferma

che dinanzi alla realtà del mondo nessuno può pretendere di scoprire o affermare una verità assoluta

e che una verità assoluta si traduce necessariamente in una forma di violenza. Questa tesi è poi

radicalizzata da altri pensatori di diversa estrazione culturale quali ad esempio il rinomato Karl

Popper con la sua critica radicale al sapere metafisico, soprattutto di marca platonica, e questo

nonostante il forte dissenso dei platonici, ancora esistenti, vivi e vegeti.

Ma il pensiero debole nella prospettiva Vattimiama non appare solo come critica e

smascheramento, intende porsi anche come fondamento di una convivenza democratica tra gli

uomini e come una accettazione nel campo delle relazioni delle diversità e delle minoranze. Ciò che

la tradizione definisce in sintesi come una forma di relativismo e che i suoi fautori intendono invece

come una sorta di umanizzazione del sapere filosofico, in particolare come risposta al dominio della

tecnica sull’uomo, che appare ai loro occhi l’esito primo della metafisica tradizionale e del suo

nichilismo mascherato. Non è raro infatti sentire affermare che dal comando di sottomettere le

86 Il testimone è ridotto egli stesso a puro sintomo. (da Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1988) Il fatto paradossale è

che proprio la passione per la verità, la coscienza, nella sua ricerca del vero, è giunta a mettere in crisi se stessa: ha scoperto,

appunto, di essere solo una passione come le altre. (ibidem). Se c'è qualche cosa che vi appare evidente, diffidatene, è sicuramente

una balla. Di tutto potete essere certi tranne delle vostre certezze più radicate. (da Giovanni Filoramo, Emilio Gentile, Gianni

Vattimo, Cos'è la religione oggi? – Ets, Pisa, 2005)

85

creature della Genesi per passare poi attraverso la metafisica degli enti in rapporto di analogia con

l’essere, ciò che costituisce l’impianto della filosofia tradizionale, il presupposto del dominio sugli

enti e l’affermazione distruttiva della tecnica o teknè di cui le guerre, la bomba atomica, la

manipolazione genetica diventano espressioni problematiche oltre che assillanti. Salvo poi che gli

stessi condannano la posizione della Chiesa nel campo delle tecniche sessuali e la manipolazione

genetica, introducendo qui il principio della libertà.

Come è facile avvertire accediamo ad una specie di complessità tematica ancora in grande

turbolenza all’inizio del XXI secolo.

A questa serie di pensieri si oppone, solo apparentemente, E. Severino ormai quiescente,

dell’Università di Venezia, bresciano, ex cattolico sedicente cattolico. Egli infatti accetta la critica

Nietzschiana e Heidegegriana che comporta la critica alla tradizione filosofica d’Occidente con

l’eccezione assoluta e rigorosa di Parmenide. Il ritorno a Parmenide, al principio dei principi che è

l’Essere, lo iscrive, apparentemente a mio avviso, nella schiera dei pensatori forti che affermano

cioè l’esistenza di una verità definitiva e di un orizzonte di costante definitività di ciò che noi

consideriamo come limitato, mutevole e relativo. Di fatto appare come un radicale relativizzatore,

della metafisica tradizionale e soprattutto del cristianesimo.

Come è facile avvertire, rispondendo alla prima domanda che con artificio ci siamo posti un

secolo senza padre? Abbiamo già apparecchiato alla luce di una conclusione la risposta alle altre

due: quali sono le principali correnti filosofiche e teologiche del XX secolo? Si può davvero ridurre

l’esito di un pensiero ad una contrapposizione così netta o ci sono altre ragioni da esplorare.

Crrcherò di rispondere in sintesi.

B) Filosofia del XX secolo

Indirizzi filosofici

Sulla scorta di quanto già affermato possiamo dire che la filosofia non è mai stata studiata,

scritta, proclamata, come nel XX secolo e mai come nel XX secolo è stata in diversi modi

l’espressione di una crisi epocale nella quale pessimismo e ottimismo si combattono ancora oggi

strenuamente. Se da una parte sulla spinta del pensiero illuministico, (ma diciamo noi sulla spinta

del pensiero antico e cristiano) è fuori discussione la rivendicazione dell’autonomia, e dunque della

dignità, del pensiero, bisogna anche dire che è diffusa a diverso livello una sorte di

autodelimitazione del sapere entro un ambito mondano e critico, se non addirittura una presa di

coscienza della precarietà della ragione. La cosa si chiarisce ricostruendo a questo punto una specie

di sviluppo cronologico delle dottrine filosofiche nel XX secolo.

La filosofia della scienza, fare filosofia con metodo scientifico…

L’enorme sviluppo del sapere scientifico e della teologia ha generato (fin da Cartesio e

soprattutto con Kant) una complessa filosofia della scienza volta a fondare il rigore logico della

ricerca; tale ricerca ha cercato di estendere le proprie considerazioni ha tutta la realtà mondana,

umana e morale.

Bisogna anche affermare che lo sviluppo delle scienze umane (psicologia, sociologia,

antropologia, etnologia ecc) ha ridotto sempre più le pretese specifiche della filosofia sottraendole

forse definitivamente spazi tradizionali. Da una lato prolificano all’inverosimile le scienze

particolari e la frammentazione del sapere ha messo definitivamente in crisi la concezione

aristotelica di una sapienza organizzatrice, crisi che caratterizza inevitabilmente i nostri mondi

universitari

86

Filosofia nella scienza - Neopositivismo

Dobbiamo citare, oltre al già richiamato Popper, i neopositivisti logici e analisti del Circolo

di Vienna. In rapporto con Oxford, con innumerevoli centri di studi Europei e Americani.

Neokantismo Il recupero della filosofia di Kant nel circolo di Marburg e nelle università tedesche.

Fenomenologia

Uno spazio particolare occupa la Fenomenologia di Husserl, filosofo rigoroso proveniente

dalla matematica e dallo studio del numero, per accedere con metodo rigoroso alla determinazione

dell’essenza di ciò che accade e di ciò che esiste. Dalla Fenomenologia derivano per sviluppo

autonomo M. Heidegger, già citato che riapre il senso dell’esistenza alla luce della ricerca

dell’Essere, Max Scheler ed E Stein che si fanno espressione della insopprimibilità della ricerca del

divino a partire dalla ricerca di un rigore filosofico. Quest’ultima oltre ad operare una riscoperta di

san Tomma so da’Aquino approda alla tragedia di Auschwitz. Appartengono al filone

fenomenologico, che ebbe grande influsso in Germania e in tutta l’Europa, i pensatori francesi

Merlau Ponty, Deridda, Deleuze.

Filosofia ebraica

Un filone di interessante vitalità è quello del pensiero ebraico che ad un certo punto della

storia appare dominato alla Shoa e dalla visione di una crudeltà senza riparo. La filosofia ebraica

attinge fortemente alla tradizione biblica e rabbinica e ha codificato profonde riflessioni circa il

valore della persona umana, del dialogo, alle esigenze di trascendenza e di universalità. Dobbiamo

citrare M. Buber, Levinas, Jonas, Rosenzweig, Abraham Heschel.

La metapsicologia di Freud

Tra i pensatori Ebrei che hanno esercitato un influsso straordinario sulla nostra epoca non

possiamo certamente dimenticare S. Freud il quale intese penetrare con metodo positivista la psiche

degli esseri umani con il preciso desiderio di costruire una interpretazione universale della società

in chiave psicanalitica. Freud parte dalla constatazione universale del conflitto in cui versa ogni

uomo per addivenire ad una soluzione in chiave mondana, terapeutica. L’influsso della psicanalisi

su tutta la cultura del tempo è davvero decisivo e gli effetti sono certamente perduranti.

Esistenzialismo

L’urgenza di temi storici sovrastanti come le due guerre mondiali genera due guerre la

complessa corrente dell’esistenzialismo che si lascia ispirare da Pascal e Kirkegaard, e che

rivendica l’assoluta preminenza dell’individuo e del suo dramma di vivere dinanzi alla complessità

del mondo. L’elemento religioso affermato come esigenza e nostalgia, e più spesso negato, è nota

caratteristica. Citiamo A. Camus e JP Sartre il cui influsso nella cultura, nell’arte e nel costume del

dopoguerra fu molto forte. In Italia partecipano del filone esistenzialista l’influsso del pensiero di

Abbagnano, Paci, Chiodi, Sini, che manifestano nella tradizione italiana del pensiero gentiliano e

Crociano l’istanza metafisica.

Il marxismo

Un discorso a parte merita il marxismo che può considerarsi con la psicoanalisi freudiana

il fattore ideologico dominante fino agli anni ottanta, anni che hanno segnato la definitiva, sebbene

piena di contraddizioni, vittoria dell’economia del libero mercato e delle democrazie nelle

prospettive politiche e sociali dell’umanità. Il marxismo è un fenomeno complesso poiché

strettamente collegato alla realtà storica della rivoluzione industriale e alle diverse accentuazioni

che ha ricevuto in Russia, in Cina, nei paesi del blocco sovietico, in Europa, in America latina,

87

dell’America del Nord. L’oscillazione è tra formule ortodosse legate all’esperienza trainante della

Russia bolscevica e in seguito nella Cina di Mao Tse tung, alle forme più elaborate e critiche

dell’Occidente, in Italia, Spagna, Francia e Germania. Di fatto il marxismo procede da una critica

radicale della tradizione sancita dalla religione e propone l’evento del proletariato e la relativa

uguaglianza come processo storico necessario ed inevitabile, addirittura scientifico. Il modo di

raggiungere questo scopo tende a dividere gli appartenenti al movimento marxista tra riformatori e

rivoluzionari. Fu questo il problema del fondatore del partito comunista italiano Antonio Gramsci

che considerò necessaria e fondamentale l’attività culturale di formazione del nuovo assetto

politico. Il marxismo infatti attribuisce per tradizione una grande rilevanza alla cultura, intesa come

paideia, e visse la sua stagione aurea nella sua lotta contro il nazismo e la resistenza, sebbene

mancò in tempo reale di una puntuale critica al comunismo storico.

La scuola di Francoforte

Nell’area del cosiddetto pensiero di sinistra si iscrive la scuola di Francoforte con la sua teoria

critica che intende costruire un metodo dell’intelligenza, ispirato da marxismo e psicanalisi,

nell’analizzare i grandi fatti storici e politici. I pensatori di Francoforte, Adorno, Marcuse

Horkheimer furono eletti da milioni di giovani nell’epoca della rivoluzione breve del sessantotto,

prima che il marxismo con la caduta del muro di Berlino piombasse nella sua crisi irreparabile.

C) Teologia del XX secolo

Contrariamente a quanto si è detto per la filosofia, che sembra consegnare alla storia un

faticoso zero, è necessario affermare che la teologia del XX secolo intesa come riflessione e

pensiero all’interno della fede cristiana ha conosciuto uno straordinario sviluppo con esiti costruttivi

molto elevati e ancora in corso di affermazione. Il vero problema della teologia è che la fede non è

una esperienza programmabile, prevedibile, facilmente organizzabile. Nel presupposto della fede

consiste tutta la straordinaria ricchezza e il grande limite della teologica. Per questo il nostro

discorso richiederebbe di essere introdotto da una riflessione rigorosa su cosa significhi davvero

credere e come attraverso la conversione personale, dono della grazia, la fede diventi una esperienza

significativa.

Questo detto dobbiamo affermare che i convertiti del XX secolo hanno creato una

controtendenza davvero straordinaria al secolo senza padre, affermando con estrema convinzione di

aver incontrato il Padre, Dio. Richiamo per questo alcuni nomi significativi tra gli altri: Charles de

Foucauld, Thonas Merton, Jacques e e Raissa Maritain, Paul Claudel, Henry Bergson, Edith Stein,

don Milani, S.Bulghakov Allo stesso tempo dobbiamo anche riflettere sulla presenza di eminenti

personalità religiose nel XX secolo che hanno saputo valutare e orientare il secolo nel quale hanno

vissuto alla luce della fede. Qui è d’obbligo citare Madre Teresa, Gandhi, A.Schweitzer, Luter

King, De Gasperi ecc. Tra queste figure è davvero emergente per consistenza teologica, culturale e

morale la figura dei romani pontefici. Da leone XIII fino ai nostri giorni.

Infine dobbiamo dire che la teologia con i suoi maggiori esponenti, le sue scuole, le sue

produzioni avverte chiaramente, ancora oggi, la debolezza dell’apporto filosofico, dopo le stagioni

della concordanza con la struttura del pensiero antico e che il rapporto con la cultura moderna la

segna decisamente nella sua profondità ma anche nelle sue oscillazioni, retaggio del pensiero

dell’ottocento e dell’illuminismo.

Per poter considerare più da vicino il fenomeno della teologia del XX secolo in particolare il

suo rapporto con la modernità occorre distinguere tre grandi aree di esercizio della scienza teologica

che pur entrando in denso contatto tra di loro nondimeno si distinguono per le loro peculiarità. Mi

riferisco alla teologia di fratelli, Protestanti, Ortodossi e infine alla Teologia cattolica.

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Teologia Protestante

La teologia protestante mantiene anche nel XX secolo la sua forte ispirazione biblica

secondo l’adagio luterano della sola scriptura. Dopo la stagione della critica liberale del XVIII

secolo che applica ai testi biblici i metodi della esegesi scientifica con effetti talvolta riduttivi, la

teologia protestante è ancora oggi determinata nel bene e nel male dal peso di una cultura che ha

segnato decisamente, oltre alla Germania tutto l’Occidente, almeno fino alla seconda guerra

mondiale. La Germania di Goethe, Kant, Hegel, Dilthey, Nietzsche, Mann, mantiene una presa

micidiale sul pensiero filosofico e teologico.. Il filosofo emergente K.Barth ha proposto una

teologia dialettica che si lascia interpellare direttamente dalla Parola senza sovrastrutture filosofiche

e ripristina la concezione biblica dell’uomo ascoltatore, dell’uditore della parola. La polemica

contro la filosofia immanentista della tradizione tedesca e contro la tradizione sistematica dei

cattolici, è sancita in K.Barth dall’idea che bisogna distinguere tra fede e religione, tra analogia

entis e analogia fidei. E’ nell’ambito di questo indirizzo fortemente implicante e libertario che si

situano le grandi esperienze di Bonhoeffer e dei resistenti tedeschi al nazismo. I contributi

protestanti alla teologia sono anche fortemente orientati a dimostrare la valenza storica del

cristianesimo in ordine anche ai problemi politici e sociali rivalutandone la matrice cristologia. Tra i

teologi di questo indirizzo dobbiamo ricordare particolarmente Pannenberg, Tillich, Moltmann,

O.Culmann, ecc. Il particolare assetto delle Università tedesche, nelle quali sono presenti due

facoltà teologiche, una Cattolica e una Protestante, ha permesso una fitta simbiosi tra le due

posizioni di pensiero a volte contraddittoria e talvolta fruttuosa.

Teologia Ortodossa

La teologia ortodossa del XX secolo è fortemente vincolata e anche paradossalmente

stimolata dagli eventi della Rivoluzione d’Ottobre e dalla stato di persecuzione o di sottomissione

con il potere politico. Gli esuli ortodossi ebbero un ruolo decisivo sia in Francia che in America e

seppero diffondere con originalità di sviluppi alcune prospettive teologiche dell’ortodossia.

Davvero originali e struggenti le testimonianze di Pavel.Florenskji vittima del lager sovietico e

Sergej Bulgakhov ispiratore della scuola di san Sergio di Parigi, convertito nei primi anni del

novecento dopo avere aderito al marxismo russo della prima ora. Una vena di nazionalismo pervade

la speculazione russa che afferma di essere portata a sanare le contraddizioni atee materialistiche

dell’occidente nichilista valorizzando l’animo russo naturaliter cristiano; è tipico dei pensatori russi

rifiutare la distinzione tra filosofia e teologia e l’affermazione del significato kenotico del divino

nella storia. Occorre sottolineare anche una venatura escatologico-apocalittica prefigurata da

Solovev o da Dostoevskji, L’importanza attribuita alla Divina Liturgia alla bellezza iconografia

attirano fortemente acnhe oggi le altre confessioni cristiane.. L’Ortodossia vive comunque una

drammatica situazione nel post comunismo forse smarrita dinanzi alle prospettive future

dell’umanità.

Teologia Cattolica

La teologia Cattolica merita davvero un discorso del tutto particolare; essa ha conosciuto, non senza

fitte comunicazioni con i fratelli separati, una intensa fioritura, degna delle epoche storiche auree

del pensiero cristiano. E’ utile sottolineare in sintesi alcuni aspetti peculiari.

1. La prima grande peculiarità è la presenza di un magistero di alto livello espresso

soprattutto dai romani Pontefici. Determinante è stato l’impulso di Leone XIII con

l’Enciclia Aeterni Patris del 1879, documento chiave della vita culturale dei cattolici,

nel quale il pontefice promuove un intenso e per certi aspetti imprevedibile percorso

che conduce fino ai nostri giorni. L’idea portante dal punto di vista della Tradizione

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è il recupero della tradizione storica del pensiero cristiano dei Padri e soprattutto del

pensiero di san Tommaso d’Aquino. Dal punto di vista speculativo l’idea portante,

sempre ispirata a san Tommaso, è l’armonia e la solidarietà tra ragione e fede.

Nell’intenzione del Papa tale distinzione convergente genera una vera e propria

filosofia cristiana. Ma ciò che fu davvero decisivo è la politica ecclesiale ispirata

all’Enciclica: ovunque sorgono accademie, centri di studi, facoltà.

2. La prima parte del XX secolo è dominata dalla questione del modernismo; la Chiesa

Cattolica pur tra mille fraintendimenti ed eccessi, intese far fronte all’immanentismo

del pensiero moderno e al suo influsso sulla stessa teologia. Progressivamente e non

senza fatica il rapporto con il pensiero tedesco, riedito in Italia da pensatori come

Croce e Gentile, diventò un aspetto dominante della ricerca cattolica sia in campo

teologico che filosofico. Da questo punto di vista gli anni trenta segnano uno

sviluppo davvero decisivo. Il movimento tomista affermatosi con l’Enciclica

Aetrerni Patris diventa progressivamente il presupposto di un’apertura e di un

progresso di ampio respiro, di cui oggi la teologia vive.

3. I primi segni di aggiornamento del pensiero cristiano si manifestano nell’ambito

specifico della Liturgia, nel modo di affrontare la lettura dei testi Sacri, ma appaiono

anche formidabili le istanze sociali e politiche spesso sollecitate dagli eventi del

momento. Tematiche quali la guerra la pace, il sottosviluppo, il rapporto con il

marxismo, con la sessualità, la corporeità ecc divengono sempre più argomento

teologico. Si può dire che la teologia cattolica passa da posizioni teoretiche rigorose

a visioni dove entra la storia con la sua vivacità.

4. L’evento davvero decisivo dal punto di vista ecclesiale, soprattutto teologico, si deve

considerare il Concilio vaticano II, vero punto di riferimento per il pensiero e

l’attività della Chiesa nella seconda metà del novecento. Le critiche rivolte al

Concilio, sempre più diffuse per le sue pretese aperture al mondo moderno sono

segno di riflusso e di incapacità di compimento, atteggiamenti oggi variamente

diffusi nella Chiesa.

5. Infine è necessario avvertire che nel mondo cattolico accanto a posizioni

teologicamente rinchiuse e antagoniste rispetto alla modernità, si è mantenuta viva e

vivace l’attività filosofica, una vera e propria filosofia cristiana, sebbene il mondo

laico non la consideri filosofia, considerandola una propaggine della fede.

Il pensiero cattolico nomina alla fine del XX secolo soprattutto pensatori come Rahner, Balthasar,

Paolo VI, J. Maritain, E. Gilson, i viventi J. Ratzinger, C. M. Martini per tralasciare in questo modo

una schiera di pensatori e teologi, innumerevoli di grande valore, con le loro scuole e le loro

ricchissime pubblicazioni.

Conclusione

Un secolo di grande fervore filosofico e teologico che si misura con una realtà in grande

trasformazione che tende ad eclissare i valori e le conoscenze profonde. Una lotta il cui esito è

ancora da leggere e da decifrare. Chi ha parlato è un ottimista, tragico: niente è senza lotta.

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AAppppeennddiiccee 77 www.filosofico.net/nie28.htm - 15k F.W. Nietzsche,“GENEALOGIA DELLA MORALE”

Composta da Nietzsche nell'estate del 1887 e pubblicata agli inizi dell'inverno di quello stesso anno,

la "Genealogia della morale" nacque come scritto polemico, presentandosi all'insegna di una

consapevole provocazione. Alcune delle più controverse teorie sociali di Nietzsche, come per

esempio la contrapposizione fra morale dei signori e morale del gregge, vengono ampiamente

esposte e argomentate in questo libro. Ma ogni riferimento sociale rimarrebbe opaco se non lo si

connettesse al suo presupposto "metafisico": l'indagine sull' "origine dei nostri pregiudizi morali"

presuppone l'interrogativo sull' "origine del male", a cui Nietzsche dichiara di essersi dedicato sin

dal suo "primo gioco d'infanzia letterario": "a quel tempo, ebbene, com'é logico, resi l'onore a Dio e

feci di lui il padre del male". Nietzsche sapeva benissimo che questo suo scritto sarebbe suonato

"urtante all'orecchio". Ma sapeva anche che, nella sua epoca come nella nostra, questo é inevitabile

per ogni ricerca che metta radicalmente in questione la bontà dei buoni sentimenti e si offra quale

amaro antidoto alle perorazioni di coloro che "a quel che pretendono non danno il nome di rivalsa,

bensì di 'trionfo della giustizia'". In quanto tale, con tutte le sue contraddizioni e dolorose tensioni,

la "Genealogia della morale" rimane un saggio prezioso. La "Genealogia della morale", come

accennato, fu concepita e presentata da Nietzsche come un'integrazione e un chiarimento rispetto

alle tesi enunciate in "Al di là del bene e del male", pubblicato l'anno precedente. E' lo scritto con il

quale Nietzsche conclude il periodo della sua battaglia contro la morale occidentale e cristiana,

iniziata con "Umano, troppo umano". Rispetto ai primi scritti di questo periodo, costruiti come

raccolte di aforismi, la Genealogia della morale presenta una maggiore sistematicità e un andamento

più argomentativo. Essa risulta infatti articolata in tre dissertazioni, ciascuna con un proprio titolo,

e, precisamente: 1 ) buono e malvagio, buono e cattivo; 2 ) colpa, cattiva coscienza e simili; 3 ) che

significano gli ideali ascetici? Il primo effetto prodotto dalla cattiva coscienza consiste

nell'interpretare in chiave morale i propri istinti animali e, quindi, come cattivi, ossia costituenti di

per sè una colpa, in quanto sarebbero contrastanti con la volontà di Dio. Il positivo viene così

interamente spostato fuori di sè e della propria natura e riconosciuto solo i Dio, mentre tutto ciò che

é umano, compresi se stessi e la propria natura, diventa il negativo. Tra questi due poli si instaura

una distanza incolmabile, sulla quale si fondano le nozioni di inferno e di pena eterna. Alla radice di

queste operazioni Nietzsche vede una volontà inconsapevole di crudeltà, che raggiunge il suo apice

proprio quando é rivolta contro se stessi: qui si radica la "volontà di pensarsi castigato"

eternamente, senza mai poter scontare interamente e definitivamente da sè la colpa, con la

conseguenza che l'esistenza e l'uomo stesso vengono spogliati di ogni valore, per identificare il

valore stesso con Dio. E strettamente connesso a queste argomentazioni é l'ascetismo, che si basa

sul presupposto di concepire l'uomo come un essere imperfetto e incompleto, mancante di qualcosa.

Ciò significa che l'uomo non ha in se stesso la giustificazione della propria esistenza, ma deve

cercarla altrove, fuori di sè e soltanto fuori di sè: nella negazione di se stesso può trovare un

significato per la propria vita. L'ascetismo agli occhi di Nietzsche presenta solo un aspetto positivo:

l'aver dato un senso alla sofferenza, che é un dato ineliminabile, ma che appare assurdo e privo di

senso a colui che soffre. Come intuibile, con la "Genealogia della morale" Nietzsche si impegna con

una nuova profondità a rovesciare tutti gli apprezzamenti di valore già dati nella tradizione europea.

In particolare, la morale platonico-cristiana, con i suoi valori di compassione, umiltà, rassegnazione

e uguaglianza appiattita sul livello dei più deboli e rinunciatari, viene stigmatizzata come "morale

degli schiavi" , che dicono un "no" secco alla vita, e del risentimento contro le virtù praticate

positivamente dagli aristocratici (magnanimità, coraggio, capacità di eccedere e di donare). In quest'

opera c'è poi un riavvicinamento a Schopenauer. Infatti nella prefazione egli dice: "...il mio grande

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maestro Schopenhauer". La parentela del nuovo principio filosofico della "volontà di potenza" con

il principio schopenhaueriano della "volontà di vivere" è evidente e indiscutibile (e lo dice

Nietzsche stesso). La prima si presenta anzi come una variante della seconda. In entrambi i casi si

tratta di una sostanza irrazionale, che è in noi. La differenza rispetto a questa sostanza si riduce al

fatto che Schopenhauer la rifiuta e vuole negarla, Nietzsche invece l'accetta e vuole affermarla. In

quest'opera cominciano a delinearsi gli argomenti e le tesi contro la scienza. [...] Mentre ogni

morale aristocratica nasce da una trionfale affermazione di sé, la morale degli schiavi oppone sin

dal principio un no a ciò che non fa parte di essa, a ciò che è differente da sé ed è il suo non-io; e

tale è il suo atto creatore. Questo capovolgimento del colpo d'occhio valutativo, questo punto di

vista che si ispira necessariamente all'esterno invece di fondarsi su se stesso, appartiene in proprio

al risentimento. Della "Genealogia della morale" ce ne parla Nietzsche stesso in "Ecce homo", la

sua autobiografia: "Le tre dissertazioni di cui é composta questa genealogia sono forse, per quel

che riguarda l'espressione, le intenzioni e l'arte della sorpresa, ciò che di più inquietante é stato

scritto finora. Dioniso é, si sa, anche il dio dell'oscurità. Tutte le volte, un principio che si deve

indurre in errore, freddo, scientifico, perfino ironico, messo in rilievo con intenzione, tirato in

lungo con intenzione. A poco a poco l'agitazione cresce: guizzano singoli lampi; da lontano, delle

verità molto spiacevoli si fanno sentire con un cupo brontolìo; finchè da ultimo si arriva ad un

tempo feroce in cui ogni cosa incalza con una formidabile tensione. In chiusura, tutte le volte, fra

denotazioni spaventose appare tra dense nubi una nuova verità. La verità della prima dissertazione

é la psicologia del cristianesimo: l'origine del cristianesimo dallo spirito del risentimento e non,

come si crede generalmente, dallo spirito; per sua natura, un movimento di reazione, la grande

sollevazione contro il dominio di valori nobili. La seconda dissertazione dà la psicologia della

coscienza: la quale non é, come generalmente si crede, la voce di dio nell'uomo, ma é l'istinto della

crudeltà che, poichè non gli é più possibile di sfogarsi all'esterno, si rivolta indentro. La crudeltà é

mostrata qui per la prima volta come uno dei più antichi e più necessari fondamenti della civiltà.

La terza dissertazione risolve il problema donde venga l'immensa potenza dell'ideale ascetico,

dell'ideale del prete, sebbene esso sia l'ideale dannoso per eccellenza, un'aspirazione alla fine, un

ideale di decadenza. Risposta: non perchè, come generalmente si crede, dio agisca dietro il

sacerdote, ma 'faute e mieux', perchè finora fu l'unico ideale, perchè non ha avuto concorrenti.

Poichè l'uomo preferisce di volere il Nulla piuttosto che non volere nulla... Soprattutto, mancava un

controideale, fino a Zarathustra. Sono stato compreso? Tre importanti studi preparatori d'uno

psicologo, per un'inversione di tutti i valori. Questo libro contiene la prima psicologia del prete".

Nella "Genealogia della morale" Nietzsche ne approfitta per trattare un tema che riprenderà poi

nell'Anticristo: il tema, come accennavamo, del senso di colpa, del doversi ad ogni costo sentire

colpevoli di fronte ad un Dio creatore della morale: "Si sarà già intuito che i criteri di valutazione

dei sacerdoti possono facilmente separarsi da quelli cavalleresco - aristocratici, fino a diventare il

loro opposto. I giudizi di valore cavalleresco - aristocratici presuppongono una prestanza fisica,

una salute florida, ricca, debordante e insieme tutto ciò che ne condiziona il mantenimento, guerra,

avventura, caccia, danza, tornei, insomma tutto quello che comporta una vita attiva, forte, libera,

serena. I criteri di valutazione sacerdotali hanno altri presupposti. ..C'è qualcosa di malsano in

queste aristocrazie sacerdotali e nelle abitudini che le dominano, aliene all'azione, parte

sentimentalmente esplosive e parte malinconicamente assopite, qualcosa la cui conseguenza pare

essere quella nevrastenia e quella cagionevolezza intestinale che sembra inevitabilmente endemica

tra i sacerdoti di ogni tempo... I sacerdoti sono, come è noto, i nemici più crudeli. E per quale

ragione poi? Perché sono i più impotenti. L'impotenza genera in loro un odio che arriva a

diventare mostruoso e sinistro, spiritualissimo e tossico al massimo grado. Nella storia universale

coloro che più degli altri sono stati capaci di odio, e di genialità nell'odio, sono sempre stati i preti

- a paragone della genialità della vendetta sacerdotale, ogni altra dote intellettuale può appena

essere presa in considerazione. ..gli Ebrei, quel popolo sacerdotale che non ritenne di aver ricevuto

la dovuta soddisfazione dai propri nemici e sopraffattori, se non dopo averne radicalmente

ribaltato i valori, cioè solo grazie ad un atto della più spirituale vendetta. Sono stati gli Ebrei che

92

hanno osato ribaltare e mantenere, stringendo i denti dell'odio più abissale (l'odio dell'impotenza),

l'equazione aristocratica di valore buono = aristocratico in "i miserabili solo sono i buoni, i poveri,

gli impotenti, i sofferenti, gli indigenti, i malati, i brutti sono gli unici ad essere pii, beati in Dio,

solo a loro è concessa la beatitudine - là dove voi, al contrario - voi, nobili e potenti, voi sarete per

l'eternità i malvagi, i crudeli, i corrotti, gli insaziabili, gli empi, e sarete anche per l'eternità

infelici, dannati e maledetti" (Genealogia della morale, 8). Il Dio originario degli Ebrei è la naturale

espressione della potenza del popolo ebraico ed è pertanto concepito antropomorficamente come

padre e come re, potente e vendicativo. Ma nel tempo questa potenza viene meno e a man mano che

Dio appare sempre meno reale, anche il concetto di Dio subisce un processo di moralizzazione e di

purificazione: viene introdotta l'idea di peccato, colpa, aldilà che trasforma la sua decadenza, la sua

morte sulla croce, in un nuovo dio, il Dio dei cristiani. In questo modo la sconfitta storica di Gesù,

la sua morte sulla croce, è spacciata per una vittoria e il progetto storico del cristianesimo è una

gigantesca mistificazione per cui i più nichilisti, i più impotenti diventano i padroni del mondo in

nome di una entità inesistente che loro stessi gestiscono e amministrano. Ciò avviene inculcando

agli uomini un perverso sistema di divieti, di giudizi e di scale di valori assolutamente arbitrari con

lo scopo di spegnere in essi tutte le reattività, indebolirlo, renderlo simile a loro reprimendo le

pulsioni naturali. L'uomo, spinto a soffocare i propri impulsi e a vergognarsene, trova il suo sfogo

nel mondo interiore dove trovano spazio angoscia e inquietudine. L'uomo, che crede di essere

arrivato sul gradino più alto dell'evoluzione, è destinato a diventare sempre più malato, come

sempre più malata è la sua produzione artistica e letteraria, piena com'è di lacrimevoli retoriche su

pentimenti, rimorsi, problemi di coscienza e problemi esistenziali. La morale ha riempito l'uomo di

mostri interiori e lo ha trasformato in una povera bestia acculturata. Chiunque pensi che il disprezzo

di Nietzsche per la morale, per il cristianesimo, per la cultura, sia un elogio alla violenza, dimostra

di non avere capito nulla. Nietzsche non è il filosofo del potere, ma il filosofo del divenire, ed è per

questo che accanto al cristianesimo combatte il socialismo, l'anarchismo, il femminismo e il

concetto stesso di ideologia. Ogni ideologia nasce da uno stato di malessere e di "risentimento", al

pari del cristianesimo. L'idea ebraica e cristiana del libro che cambia la vita è ereditata dal

socialismo in cui gli intellettuali prendono il posto dei preti ed è ereditata dal femminismo in cui le

donne prendono il posto dei preti e degli intellettuali e così via. Le ideologie sono teorie sempre

confutabili che hanno in comune il fatto di proporre libri programmatici, precetti, ideali nella cui

genericità e universalità nessuno si riconosce. Queste considerazioni permettono a Nietzsche di

interpretare il processo storico e filosofico dell'età moderna in modo profondamente originale. Il

movimento che da Lutero e dalla Riforma protestante porta a Leibniz, a Kant, alla filosofia tedesca,

assume qui un significato regressivo: la rivolta del mondo tedesco contro Roma è la rivincita della

teologia e della morale nei confronti di quel sano scetticismo veramente progressivo e creativo del

Rinascimenti italiano. L'importanza fondamentale dell' Italia e della sua cultura consiste nel fatto

che in questo paese si è tentato di uccidere Dio prima che in qualsiasi altro luogo, proprio nel

Rinascimento, quando si è riconosciuto il carattere temporale e politico dei condizionamenti

metafisici.

93

AAppppeennddiiccee 88

Da: “LA RICERCA DEL ‘SENSO’ TRA L’ESSERE E IL NULLA” (2003)

NIETZSCHE

“Al di là del bene e del male”

L’uomo tragico

Friedrich Wilhelm Nietzsche muore a Weimar il 25 agosto dell’anno 1900 dopo quasi undici

anni vissuti in un oscuro stato di alienazione mentale e precisamente a partire dai primi giorni del

gennaio del 1889; in una via di Torino aveva abbracciato, dando in escandescenze, un cavallo

frustato da un vetturino. Sempre ai primi di gennaio aveva spedito agli amici i biglietti della follia

firmandosi Dioniso crocifisso.

Dioniso è il nome greco del Bacco latino, è il dio dell’ebbrezza e della gioia di vivere, la divinità

della terra, delle passioni e dell’amore sfrenato che genera e annienta.

Dioniso è in compendio la filosofia di Nietzsche; egli con il crocifisso indica non solo la sua

tragedia personale in cui consapevolmente forse precipita, ma anche una voluta sostituzione, una

missione storica di cui si sente investito e che in ultima analisi si riduce alla radicale opposizione al

Cristianesimo e a quelli che considera i suoi presupposti, in particolare la cultura greca, da Socrate

in poi, in particolare l’Ebraismo, la cultura tedesca moderna, che egli valuta in modo negativo,

considerandola in sostanza antirinascimentale: chi osserva attentamente scopre che l’opposizione di

Nietzsche riguarda quelle che abitualmente vengono considerate le componenti fondamentali della

cultura occidentale. Nietzsche si propone dunque sulla scena culturale come una radicale negazione

di tutto ciò che comunemente si pensa, di tutto quello che abitualmente viene considerato degno di

venerazione e fondamento delle azioni morali. E’ una posizione precisa, coerentemente e

progressivamente espressa dal nostro autore, rintracciabile ovunque sotto le onde dell’impeto

argomentativo caratteristico dei suoi scritti.

La follia segna il discrimine negli innumerevoli modi di interpretare l’opera di colui che si può

definire forse come il più inquieto e certamente come il più inquietante dei pensatori moderni o, con

una autodefinizione narcisistica a lui cara, l’unico pensatore tragico.

‘La nascita della tragedia’

Allo scritto La nascita della tragedia dallo spirito della musica, opera pubblicata nel 1872 a

Basilea, Nietzsche deve la sua prima discussa affermazione sul terreno della cultura.

Nato il 15 ottobre 1844 a Röcken in Sassonia era stato chiamato a Basilea nel 1869, non ancora

laureato, ad insegnare alla Cattedra di Filologia Classica.

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Se si guarda alla sua vicenda biografica, senza leggere gli scritti, redatti nell’arco di sedici anni, la

sua vita appare singolarmente dimessa e degna di scarsa attenzione.

Figlio di un pastore protestante (la madre era a sua volta figlia di un pastore protestante), cresce in

canonica fino ai quattro anni, cioè fino alla morte del padre avvenuta per collasso cerebrale.

Trasferito in seguito con la famiglia nella casa della nonna e delle zie a Naumburg, assocerà la

figura delle donne di casa, compresa la sorella Elisabeth, al rigorismo religioso, alla proibizione e

alla negazione della vita, manifestando più volte una forma di palese risentimento nei confronti del

mondo femminile; l’epistolario rivela nei confronti della madre e della sorella un atteggiamento

egoistico ed interessato, legato a questioni meramente logistiche ed economiche.

La rottura con la madre per motivi religiosi (Nietzsche rifiuta la comunione luterana), avviene

durante la Pasqua del 1865, periodo in cui legge La vita di Gesù (1835) di D.F. Strauss, manifesto

della demitizzazione e dell’ateismo tedesco. Prende tra le mani Il mondo come volontà e

rappresentazione (1818-44) di Schopenhauer e ne esaurisce la lettura in pochissimi giorni di veglia

euforica e continuata, individuando nel tema del pessimismo e del suo superamento l’essenza reale

del pensiero filosofico. Ciò che attira Nietzsche leggendo Schopenahuer è l’affermazione filosofica

dell’energia vitale primordiale; Nietzsche è attirato dalla critica e dal superamento dell’idealismo,

del razionalismo, delle pretese avanzate dalla scienza, del kantismo, ma anche e soprattutto del

Cristianesimo, e del Platonismo. In seguito Nietzsche rimprovererà a Schopenhauer un aspetto

comune a Platone e cioè lo sdoppiamento del mondo e la presenza di una prospettiva metafisica che

si pone al di là del reale. Ne La nascita della tragedia, sotto la pressione di Schopenhauer, appare

come la critica all’uso della ragione occidentale, personificata dalla figura e dal pensiero di

Socrate, che Nietzsche interpreta come nemica dell’istinto e del dionisiaco, mentre la tragedia greca

nel suo apogeo si era espressa dandosi le forme apollinee dell’arte; l’apollineo secondo la

concezione di Nietzsche non deve essere inteso come una opposizione al caos ma come il modo

bello con cui il caos, l’elemento vitale magmatico e misterioso, il dionisiaco, trovo l’equilibrio della

espressione artistica. Corollario primo di queste considerazioni è l’affermazione secondo cui le

forme classiche greche secondo Nietzsche non esprimono affatto l’ottimismo greco, la cosiddetta

serenità dei greci, ma piuttosto la vittoria tragica contro il pessimismo, o meglio una affermazione

di totale pessimismo che si traduce in una forma di vita, comunque. Una vittoria che comporta

l’accettazione di tutta la realtà, così com’è. In questa concezione che diverrà sempre più chiara non

c’è posto per Dio, e dunque per la creazione e la provvidenza, di cui l’opera di Nietzsche vuole

essere un commiato radicale e definitivo, che trova espressione nella famosa sentenza Gott ist tod,

Dio è morto. Una sintonia metafisica Nietzsche suppone di trovarla in Eraclito debitamente

interpretato e a nostro avviso manipolato. In parte la conferma la ritrova nel pensiero degli stoici.

Ci troviamo dinanzi ad un giovane intellettuale, avviato alla filologia classica, che ha trascorso una

infanzia infelice e che rivela particolari segni di inquietudine spirituale e psicologica. Nietzsche

conosce bene la Sacra Scrittura, ha abbandonato un sentimento religioso già vissuto intensamente e

si esprime con evidenti manifestazioni di insofferenza, accompagnati da uno stato di salute e di

tensione sfavorevoli all’attività accademica alla quale si dedica con intenso fervore. Singolarmente

portato allo studio, alla ricostruzione filologica, alla scrittura e alla musica del pianoforte, dove

rivela doti creative.

L’esperienza di Basilea, dove Nietzsche giunge venticinquenne, è l’occasione per incontrare R.

Wagner e la compagna Cosima già sposata Von Bülow e figlia di Listz.

Nietzsche, infatuato di Wagner e innamorato di Cosima, pensò di riconoscere in Wagner il ritorno,

attraverso la musica, della tragedia classica nella sua forma tedesca e moderna. In seguito

sconfesserà questa attribuzione; il rapporto con Wagner serberà un peso decisivo nella sua vita con

una sorta di amore-odio che lo porterà al rifiuto radicale dell’animo tedesco, della Deutschtum o

tedeschità radunata al festival di Bayreuth attorno a Wagner, e a deprecare il ritorno dell’antico

maestro alla pietas cristiana con la composizione del Parsifal.

La frequentazione di Nietzsche con la vita militare è infelice come la sua vita e non corrisponde

certamente alla concezione aristocratica della virtù e del valore che appare nei suoi scritti; nel 1868

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durante l’anno di volontariato, cade da cavallo e viene congedato; partecipa alla guerra del ‘70

come barelliere ma è assalito da dissenteria e difterite, ed ha così quasi subito fine la sua

partecipazione attiva al conflitto bellico, che comunque gli offre uno spunto decisivo per la visione

tragica dell’umanità distruttiva.

Ritornato all’insegnamento accosta intensamente gli autori greci antichi e soprattutto i presocratici e

Platone; l’intensa lettura, accompagnata da una incessante ricerca interiore sul tema della Verità, lo

inclina a chiedere la cattedra e l’insegnamento della filosofia, allora vacante, che però non gli viene

concesso.

Lo stato di salute sempre più precario lo distacca dall’Università; inizia così l’affannosa ricerca del

rifugio ideale, della relazione affettiva appagante, del denaro necessario; la categoria capace di

riassumere il risvolto intimo e tragico del suo continuo e inesausto peregrinare per l’Europa e in

particolare modo in Italia, è la solitudine. La malattia e il suo superamento costituiscono temi

ricorrenti nelle riflessioni di Nietzsche al punto di assumere nel suo pensiero una valenza metafisica

e universale.

Null’altro di notevole da registrare se non infelici esperienze sentimentali tra le quali la dolorosa

relazione con la giovane intellettuale russa Lou Salomé che gli preferì il giovane amico Paul Ree e

che sarà poi la compagna di Rilke. In Lou, Nietzsche si illuse di aver trovato la vera discepola,

suscitando l’avversione della sorella e della madre, preoccupate per i risvolti cinici, etici e

prammatici della sua filosofia.

Per il resto tutto avviene all’insegna di una vertiginosa lotta interiore, condotta tra momenti di

lucidità estrema, alternati a stati di salute psichica che lo portano all’astenia, alla quasi cecità e

all’alterazione del sistema neurovegetativo.

I biografi più impietosi parlano di malattia venerea contratta per contatto in una casa chiusa quando

Nietzsche è ancora studente universitario. L’immancabile e inevitabile interpretazione freudiana

insiste sulla situazione di squilibrio sessuale.

Influsso di Nietzsche

Nietzsche esercita ancora oggi un influsso decisivo sulla cultura occidentale e comunque si

voglia interpretare il suo pensiero egli non è un pensatore che si possa evitare o facilmente superare.

Per certi aspetti segna una specie di spartiacque. Anche dove viene totalmente rifiutato la sua critica

all’Occidente della verità e dei valori ha lasciato il segno.

Le ragioni del suo fascino risiedono innanzitutto nella limpidezza dello stile letterario; ma lo stile

avvincente non è sufficiente a spiegare questo influsso che è penetrato nelle pieghe più nascoste

della nostra mentalità; sono soprattutto i contenuti ad imporsi, e sono contenuti che appaiono

volutamente e decisamente paradossali.

La complessità del suo pensiero, il suo andare contro le opinioni comunemente accettate, spiega

anche l’utilizzo ideologico, tanto a destra, per l'esaltazione di un uomo che si libera dalla mediocrità

e dalla massa comune, almeno fino alla seconda guerra mondiale, quanto a sinistra assunto come

espressione del rifiuto del mondo borghese e nel tentativo di assimilare il pensiero di tutti coloro

che in qualche modo contrastano i poteri costituiti. Notevole è stato l'influsso di Nietzsche sulle

avanguardie artistiche dell'inizio Novecento.

L'utilizzo parziale di Nietzsche per alcune sue tesi particolarmente forti e antitetiche, appare

comunque ingiustificato quando si affronta direttamente il suo pensiero con una attenta lettura

globale.

Nietzsche si presenta consapevolmente come un evento inattuale e incompreso, come la causa

efficiente di una trasformazione radicale del sapere; un pensatore futuro, artefice di una premeditata

trasmutazione di tutti i valori considerati tali, dopo più di duemila anni di dominio della visione che

considera la realtà del mondo fondata sull’aldilà, sull’invisibile e sul divino.

96

Egli pone, come già sappiamo, sotto accusa il genio ironico di Socrate che si esprime nel motto

conosci te stesso; Nietzsche considera l'apparizione di Socrate come il momento di nascita della

falsa conoscenza, quella basata sul rapporto tra ragione, verità e morale. Sul banco d’accusa con

Socrate siede Platone con il suo mondo ideale; si instaura così progressivamente un processo di

inesorabile Destruktion che raggiunge con toni radicali il Cristianesimo e il concetto stesso di

modernità e di progresso, considerato da Nietzsche sostanzialmente decadente e nihilista.

L’accezione del termine nichilismo in Nietzsche assume una valenza opposta a quella tradizionale,

poiché indica i falsi valori che occultano la realtà. In questo senso nichilismo è parlare di ideali, di

fede, di anima, di salvezza e di Dio.

Ci pare dunque di individuare nell’opera di Nietzsche una specie di movimento intellettuale sempre

più teso e determinato, quella che lui chiama una linea retta, un punto di partenza e un punto di

arrivo: la partenza è la filologia intesa da Nietzsche come comprensione profonda e smascherante

dei libri e delle cose, come ermeneutica che va alla radice dell’intenzione e attraverso la lettura del

testo ricostruisce la biografia dell'autore. Questo criterio filologico viene esteso a tutta la realtà e in

questo senso Nietzsche si definisce psicologo per antonomasia cioè autentico interprete

dell’universo umano, preannunciando in modo intenso, come ha fatto notare T. Mann, la visione

freudiana; egli pretende in questo modo di acquisire le chiavi di lettura dell’Occidente, di cui cerca

di ricostruire la trama fondamentale (legge tra l’altro trattati di scienza, ma anche la letteratura

moderna e contemporanea tra cui Shakespeare, Pascal, Goethe, cita Leopardi, Stendhal,

Dostoevskij).

In secondo luogo Nietzsche propone il suo pensiero, così apparentemente fondato, distendendolo

sulla linea retta tracciata, attraverso la composizione di un sì e di un no, strettamente collegati e

correlati tra loro.

La sentenza è globale: l’Occidente vive di una deviazione fondamentale da più di duemila anni, a

tale deviazione bisogna opporre un coraggioso e radicale no, sopportando coraggiosamente la

terribile notizia, l'atterramento dei valori ancorati all'esistenza di Dio. Il sì di Nietzsche è il sì alla

vita, all’istinto, alla realtà, alla terra, al Dionisiaco; il no è il no a Platone, alla morale, alla verità, al

Cristianesimo, a tutto ciò che allontana o disprezza e avvelena la realtà. Nietzsche nell'Anticristo,

per fare almeno un esempio notevole, vitupera la predica che incoraggia la castità, considerandola

contro natura.

Nietzsche in questo modo si assume l’onere e l’assillo di spiegare come il pensiero e la morale in

Occidente, attraverso quali complessi percorsi e quali cause genetiche, si siano strutturati all’interno

di una radicale opposizione alla realtà. E’ il punto veramente debole del suo pensiero, quello che fa

nascere giustamente il dubbio che egli sviluppi una lunga serie di pensieri partendo da un

fraintendimento. E’ decisamente improbabile che le cose si possano spiegare secondo le sue faticose

ricostruzioni, è veramente improbabile, anche qui per fare un esempio, che il settimo giorno Dio

riposò diventando il serpente sotto l’albero.

Al di là delle infelici e fragili ricostruzioni esegetiche e storiografiche proposte da Nietzsche, balza

immediatamente all’occhio attento una differenza fondamentale rispetto allo storicismo hegeliano e

idealista; mentre Hegel intende riprodurre un processo nell’ottica del superamento che annulla il

passato assimilandolo, Nietzsche intende portare ad una distruzione. Non è il superamento dialettico

che conduce all’affermazione della piena verità ma la rivelazione di Zarathustra, del super-uomo,

dell’uomo che va al di là del bene e del male, per affermare nel suo massimo grado il valore

autentico della vita stessa. Il no è un drastico no, una maledizione, un filosofare nelle altitudini

vertiginose, un filosofare con il martello.

Le opere

Nello sviluppo del pensiero di Nietzsche è possibile individuare una scansione che ci

potrebbe a questo punto apparire logica, dettati i principi o meglio gli antiprincipi essenziali.

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Nelle quattro Considerazioni inattuali (1873-76), frutto di giovanili conferenze tenute da Nietzsche

in Università subito dopo La nascita della tragedia, egli si oppone radicalmente allo spirito e allo

storicismo tedesco; Strauss diventa oggetto del suo attacco frontale, come del resto lo storicismo e

in modo particolare Wagner. In umano troppo umano (1878) l’attacco a Wagner e al successo di

Bayreuth è dispiegato con la massima intensità. La penna di Nietzsche conia il termine filisteo per

indicare l’intellettuale incapace di vivere.

In Aurora (1881) e La Gaia scienza (1882), libri della salute ritrovata, Nietzsche comincia a

ricostruire filologicamente i modi in cui la nostra cultura ha costruito i suoi pregiudizi morali,

affacciando la soluzione del problema del pessimismo attraverso la decisione di vivere. Viene

considerata dagli studiosi la fase illuministica.

Così parlò Zarathustra (1881-1885) costituisce il libro fondamentale di Nietzsche nel quale egli

palesa la coscienza di aver donato all’umanità un’opera sacra di segno radicalmente opposto alla

Scrittura. Lo stile aforistico e oracolare si impone all’attenzione del lettore. Nietzsche considerava

l’opera, scritta in quattro diversi periodi, frutto di una ispirazione nata dal profondo della sua

esperienza di vita, senza per questo scomodare quella che lui considerava l’illusoria ispirazione

divina.

In Al di là del bene e del male (1886) viene specificato l’ideale del super uomo in polemica radicale

con la modernità, mentre ne La genealogia della morale (1887) si approfondisce il tema filologico

delle origine dei pregiudizi e della necessità di ripristinare la concezione del bene come virtus e

valore. Questi scritti appaiono come variazioni sempre più intense sul tema della trasmutazione dei

valori.

L’anno 1888 è momento di grave tensione psichica e conclusivo della produzione di Nietzsche.

Appaiono a ritmo frenetico il Caso Wagner, Il crepuscolo degli idoli, l’autobiografia Ecce Homo

come si diventa ciò che si è dove egli traccia il disegno retrospettivo e la direzione della sua

frenetica vita intellettuale. A novembre compone l’atto finale, quella che egli considera la

trasvalutazione per antonomasia, con L’Anticristo, sintesi finale del suo pensiero, che egli scaglia

con virulenza contro il Cristianesimo.

Il progetto di Nietzsche era quello di pubblicare La Volontà di potenza di cui ci rimangono

significativi frammenti e che subì una manipolazione consistente da parte della sorella Elisabeth

negli anni successivi. Il testo criticamente ripristinato per opera di Colli e Montanari non

rappresenta a nostro avviso una vera evoluzione nel pensiero di Nietzsche. Venne comunque

utilizzato nei decenni successivi come fonte di ispirazione dell’insorgente movimento nazista.

Di grande rilievo viene inoltre considerata l’opera poetica di Nietzsche; la stessa prosa serrata e

logica apre numerosi varchi all’aforisma e alla poesia. Per questo motivo è comune considerare

Nietzsche più poeta che filosofo, fraintendendo a nostro avviso la sua intenzione. Nietzsche a più

riprese denuncia l’apparente profondità della logica tradizionale e dello stile letterario, tentando uno

stile di immediatezza e pienezza nella fugace espressione estetica. Le composizioni pianistiche di

Nietzsche rispondono alla sua idea di una rapporto stretto della musica con il dionisiaco, ma non

sono state valutate degne di nota dalla critica musicale.

Valutazioni

Nietzsche non è un autore che si può leggere o studiare tranquillamente; egli a più di cento

anni dalla sua scomparsa ha il potere di irrompere, di disturbare, la sua è una energia espressa,

sebbene le note biografiche ci pongano dinanzi ad una vita sostanzialmente depressa.

La volontà di smascheramento e il rifiuto della mediocre normalità assimilano Nietzsche a tutti i

pensatori spregiudicati, e la spregiudicatezza è una caratteristica fondamentale del pensiero

filosofico. Questo spiega almeno un motivo del suo grande fascino che comunque egli esercita,

annoverato con Marx e Freud tra i profeti del sospetto.

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Nietzsche in ultima analisi chiama in causa il Cristianesimo: a questo riguardo potrebbe bastare

l’affermazione secondo cui egli ha conosciuto un Cristianesimo senza la gioia e la forza della

grazia, come osserva p. Welt, senza rapporto con Cristo e con anime illuminate, come lo starets

Zosìma ne I fratelli Karamàzov. Gli anni in cui Nietzsche transita per l’Italia pervaso da una

profonda inquietudine sono gli anni di don Bosco, di Teresa di Lisieux, del Comboni, di Mercier, di

Newman. Il percorso dello spirito europeo tra Ottocento e Novecento, non è univoco, ma

sostanzialmente agonistico e antitetico.

Il tentativo di spiegare il fenomeno storico del Cristianesimo con gli strumenti ermeneutici adottati

da Nietzsche appare macchinoso, pregiudiziale, sostanzialmente banale. Pur con tutta la sua acribia

esegetica le conclusioni di Nietzsche si assimilano, soprattutto ai nostri giorni a quelle di chi è

mosso da pregiudizi volgari e insensibilità di fondo. Addirittura la tesi di Nietzsche appare così

decisamente contraria alla verità da suscitare nel lettore intelligente la curiosità per ciò che egli

combatte. In particolare la maledizione finale del Cristianesimo, annovera Nietzsche tra coloro che

rigettano la pietra angolare e vi inciampano, lo annovera tra le tenebre che non vogliono accogliere

la luce. Grazie a Nietzsche si ripropone come antitesi dell’antitesi la consapevolezza che l’evento

Cristo si pone come l’evento fondamentale della storia dell’umanità, il suo problema fondamentale.

Chi legge Nietzsche, senza esserne narcotizzato, sente risuonare la grande domanda che appare nei

Vangeli… voi chi dite che io sia? Il decisionismo di Nietzsche sulla questione della fede si

smaschera agilmente pensando che è il risultato di una infelice esperienza personale ed anche il

tipico atteggiamento dell’ex credente che sbatte la porta di casa pensando di avere capito.

Del resto anche l’accusa secondo cui il Cristianesimo è la religione dei deboli, degli

invidiosi, che Dio appare storicamente come il bastone della vecchiaia, indica almeno due cose: la

prima è quella di aver trasformato la mediocrità di molti che si dicono credenti in un luogo di

affermazione di una verità assoluta che al limite potrebbe essere sovvertita anche solo da un

credente autentico e coraggioso. E al tempo di Nietzsche come abbiamo visto non mancano

esperienze di grande valore e autenticità. La seconda è che con una tale affermazione non si può

eludere il tema della fragilità umana, di quale sia il senso della vita davanti al problema del limite,

del male e della morte. Il super uomo, pur compreso nella reale affermazione di Nietzsche, in ultima

analisi risulta un essere irreale e grottesco. E’ piuttosto evidente in Nietzsche come in gran parte

della modernità l’affermarsi di una miscela di presunzione e non accettazione di sé e della realtà. La

non accettazione di sé come chiave di spiegazione dell’ateismo: si badi bene che è la stessa

spiegazione della religiosità non autentica, di cui vive la critica alla religione dei pensatori atei.

L’istanza di produrre il tipo migliore di uomo possibile, istanza che domina velleitariamente il

pensiero di Nietzsche è pienamente soddisfatta dall’insegnamento evangelico che ci invita a

moltiplicare i talenti che Dio ci ha dato per presentarli a lui nel giudizio finale. L’affermazione di Nietzsche secondo cui Dio è morto e dell’avvenuta celebrazione dei suoi funerali, pur in tutto il suo sarcasmo appare come una

scelta rabbiosa e ingiustificata, piena di risentimento. Dall’opera di Nietzsche non si evince che egli sia in grado di parlare di Dio, ma piuttosto che egli parli di Dio dopo aver preso una decisione radicale sulla sua non esistenza. Si può anche interpretare questo atteggiamento così radicale come una

forma di ricerca ugualmente radicale di Dio stesso. Che cosa poi pensi davvero un essere umano, quali siano stati i pensieri di Nietzsche avvolto dalla

follia, sedicente Dio, imperatore, Dioniso crocifisso, è segreto troppo grande per poterlo banalmente esplicare.

Ma è un’altra pretesa del filosofo tedesco a interessare in particolar modo l’esercizio dell’autentico

filosofare. E’ evidente che Nietzsche intuisce il valore del pensiero logico e della tradizione

filosofica, ma è anche abbastanza evidente che il suo taglio di interpretazione non va oltre la sfera

dell’analisi filologica ermeneutica e storiografica. Per intenderci una questione come il conosci te

stesso non può legittimamente essere oscurata, relativizzata e analizzata mettendola in contrasto con

la volontà di esaltare ed affermare la dimensione dionisiaca di se stessi. In fondo è ancora la ragione

che mi aiuta a discernere i pensieri consapevoli nati dall’osservazione del reale e quelli che

emergono dalle pulsioni interiori incontrollate, è il pensiero che mi spinge ad accogliere o rifiutare

il flusso delle passioni, della sessualità. In una parola Nietzsche in modo intelligente sanziona un

uso dell’intelligenza che non accede alle profondità dell’autocoscienza, della coscienza riflessa,

della sorpresa di trovarsi pensanti in un modo che sembra negare in apparenza la realtà del pensiero.

L’esigenza di spregiudicatezza espressa da Nietzsche, assomiglia più ai moti dell’adolescenza che si

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sente prigioniera di qualcosa che ad una serena spregiudicatezza propria dell’età adulta capace di

assumere la realtà totalmente senza pregiudizi di sorta.

Proprio in ragione di quel lasciare che la realtà accada per quello che è senza imbrigliarla nei

pregiudizi, si afferma nella coscienza pensosa la differenza tra il bene e il male, la possibilità che il

pensiero attinga la radice intima della realtà. Si può dunque obbiettare che la tesi di Nietzsche

secondo cui Cristianesimo e Platonismo sviliscono la realtà, nasce da una incomprensione. Infatti il

pensatore, proprio accettando la realtà analizzata con un alto grado di autocoscienza del proprio io,

percepisce che la realtà è così densa, è così se stessa, al punto da esigere la sua fondazione

metafisica, la sua giustificazione ulteriore.

Ma a questo punto nasce la filosofia, anche senza Nietzsche e senza libri.

Approfondimenti

Questa valutazione finale del pensiero di Nietzsche realizza una scala di possibili approfondimenti

nei quali è soggetta ad indagine tutta quanta la cultura contemporanea nei suoi nodi rimasti a nostro

avviso dolorosamente irrisolti:

- il piano della interpretazione biografica, psicologica ed esistenziale dell’autore, autore

lucido, precipitato comunque nella pazzia. Il discorso del rapporto tra patologia e cultura

richiede di essere approfondito, ma anche il suo opposto e cioè il rapporto tra salute e

pensiero, cercando di uscire dal morboso compiacimento del male.

- Il piano della discussione teologica, il modo in cui egli aggredisce una esperienza nel quale

è cresciuto e che ripropone non solo il tema della verità della fede cristiana ma anche la

questione del metodo della sua trasmissione; l’ateismo storico è nato sostanzialmente in

ambienti protestanti ed ebraici, è nato nelle canoniche, nei seminari, prima ancora di

diventare fenomeno rivoluzionario e fenomeno di massa.

- Infine il piano meramente filosofico, quello che interessa l’uso spregiudicato

dell’intelligenza, la sua genialità espositiva, maturata all’ombra di una incapacità iniziale di

guardarsi dentro, di guardare in modo spregiudicato all’interno di quella ragione che

ragionando in modo improprio arriva in definitiva e in modo contraddittorio a negare lo

spessore dell’io e la possibilità di riconoscere la presenza del Logos ordinatore e creatore del

mondo.

Né è prova il fatto che Nietzsche accede al pensiero secondo cui la realtà è sostanzialmente caos,

composizione eraclitea fluttuante di opposti e di contrasti… proprio ciò che l’occhio attento e

pacato non vede. L’occhio del pensatore autentico vede le vestigia di un ordine cosmico e umano

sottoposto alla caducità, un ordine ferito ma non annientato.

Nietzsche passeggiava sovente all’aperto nella natura di cui coglieva il fascino violento e

misterioso, troppo ferito e troppo malamente ripiegato su se stesso, con un lucido pensiero, senza

capacità di lodare e di ringraziare.

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