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Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata (occor- re l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà pubbli- cata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione con- traria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi. Naturale Sulla prima pagina del Sole-24 Ore del 22 agosto trovia- mo un’interessante inserzione pubblicitaria. L’azienda Aboca scrive: «Naturale: un termine da difendere. — Per il consumatore, naturale è sinonimo di qualità e affida- bilità, ma questo termine oggi è sfruttato come mero strumento di comunicazione, per aumentare le vendite di prodotti che in realtà naturali non sono. Ma cos’è naturale? Un prodotto è naturale, quando deriva dalla natura senza essere alterato e modificato con sostanze artificiali create dall’uomo per sintesi chimica o manipo- lazione genetica. Definire o far intendere come naturali prodotti che tali non sono, inganna il consumatore e falsa la concorrenza». Ci sentiamo di concordare in pieno su quest’ultima idea: nella propaganda il termine naturale è molto spesso abusato; lo s’incontra anche per prodotti che hanno subìto trasformazioni chimiche sostanziali, tanto il consumatore non è assolutamente in grado di ren- dersene conto. Rimane però il nostro dissenso sul concetto di fondo, cioè che naturale sia per forza meglio di sintetico: gli esempi di sostanze naturali tossiche, cancerogene o comunque nocive sono infiniti. Rimproveriamo dunque all’Aboca il cavalcare la tigre dell’ignoranza popolare: il fatto che, per il consumatore, naturale sia sinonimo di qualità richiederebbe semmai anzitutto un chiarimento. Dopo (e solo dopo) ci sarebbe lo spazio per decantare in piena onestà certi particolari prodotti, di cui nessuno — nemmeno noi — negherebbe mai i pregi. Troppa chimica Dal quotidiano Il Mattino di Padova Taino Gusella (Istituto statale d’arte “Pietro Selvatico” di quella città) ci manda la pagina 4 del 14 settembre. “Il WWF avverte — Troppa chimica sui grembiuli” sentenzia un titolo. Nel testo leggiamo: «Troppe sostanze chimiche sono pre- senti nei grembiuli e negli abiti usati dai bambini a scuo- la. È l’allarme lanciato dal WWF, che consiglia ai genito- ri di controllare le etichette sui capi di abbigliamento per evitare di far indossare ai propri bambini abiti che con- tengono sostanze tossiche come il teflon». «Il teflon è molto adoperato come materiale biocompatibile per sostituire vasi sanguigni e valvole cardiache!» commen- ta esterrefatto Gusella. Ha ragione: se il giornalista ha riferito bene, il WWF ha detto una baggianata. Potremmo aggiungere che quel polimero fluorurato riveste le padelle antiaderenti: se càpita di mangiarne un po’ inavvertitamente, viene poi espulso intatto. Soprattutto, però, vorremmo chiedere al redattore di quel giornale se ci ha pensato bene prima di scrivere «troppe sostanze chimiche nei grembiuli e negli abiti usati dai bambini». Quel genitore fanatico, che volesse levarle di mezzo, come manderebbe i suoi figli a scuola? Coperti, almeno nel punto più “critico”, da una foglia di fico? O neanche da quella, perché di sostanze chimi- che ne contiene parecchie? Forse per il classico strata- gemma iconografico salvapudore anche un fanatico farebbe eccezione? Autocontenuto La giornalista scientifica Anna Buoncristiani (Pisa) ci porta la pagina 100 del settimanale Oggi del 18 agosto. Vi troviamo un articolo d’Edoardo Rosati sui sistemi per sbiancare i denti e dare quindi un sorriso smagliante a tutta chiostra. Il giornalista interroga «il dottor Giuseppe Aronna, odontoiatra e specialista nell’estetica denta- ria». Egli cita il perossido d’idrogeno: «La sostanza in que- stione» dice subito dopo «nient’affatto tossica e comu- nemente presente nell’acqua ossigenata […]». Beh... è vero che “acqua ossigenata” è anche il nome com- merciale d’una soluzione diluita di perossido d’idrogeno, ma nella nomenclatura chimica italiana non ufficiale quell’espressione indica proprio il perossido stesso. Quel passo, insomma, rischia di confondere i lettori, che già non ne hanno bisogno. Ancor maggiore è il rischio insito nel dire che il perossido non è affatto tossico: usato dal dentista e poi eliminato per risciacquo, va senz’altro bene; ma chi esclude che i lettori d’Oggi non siano indotti a pensare che la soluzione contenuta nelle botti- gliette di disinfettante possa essere ingerita? Di fronte all’ignoranza scientifica la prudenza non è mai troppa. di Gianni Fochi HIGHLIGHTS SPECCHIO DEFORMANTE 112 La Chimica e l’Industria - Ottobre ‘04 n. 8 - ANNO 86

Carmelo Bruno, Chimicapisce

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Gli strafalcioni di cronaca chimica raccolti nella rubrica "Specchio deformante". Presentazione di Carmelo Bruno durante la prima serata di Chimicapisce, percorso dedicato alla chimica nel quotidiano, http://chimicitrentinoaltoadige.wordpress.com

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Page 1: Carmelo Bruno, Chimicapisce

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata (occor-re l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - Scuola NormaleSuperiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà pubbli-cata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione con-traria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

NaturaleSulla prima pagina del Sole-24 Ore del 22 agosto trovia-

mo un’interessante inserzione pubblicitaria. L’azienda

Aboca scrive: «Naturale: un termine da difendere. — Per

il consumatore, naturale è sinonimo di qualità e affida-

bilità, ma questo termine oggi è sfruttato come mero

strumento di comunicazione, per aumentare le vendite

di prodotti che in realtà naturali non sono. Ma cos’è

naturale? Un prodotto è naturale, quando deriva dalla

natura senza essere alterato e modificato con sostanze

artificiali create dall’uomo per sintesi chimica o manipo-

lazione genetica. Definire o far intendere come naturali

prodotti che tali non sono, inganna il consumatore e

falsa la concorrenza».

Ci sentiamo di concordare in pieno su quest’ultima

idea: nella propaganda il termine naturale è molto

spesso abusato; lo s’incontra anche per prodotti che

hanno subìto trasformazioni chimiche sostanziali, tanto

il consumatore non è assolutamente in grado di ren-

dersene conto.

Rimane però il nostro dissenso sul concetto di fondo,

cioè che naturale sia per forza meglio di sintetico: gli

esempi di sostanze naturali tossiche, cancerogene o

comunque nocive sono infiniti. Rimproveriamo dunque

all’Aboca il cavalcare la tigre dell’ignoranza popolare: il

fatto che, per il consumatore, naturale sia sinonimo di

qualità richiederebbe semmai anzitutto un chiarimento.

Dopo (e solo dopo) ci sarebbe lo spazio per decantare

in piena onestà certi particolari prodotti, di cui nessuno

— nemmeno noi — negherebbe mai i pregi.

Troppa chimicaDal quotidiano Il Mattino di Padova Taino Gusella

(Istituto statale d’arte “Pietro Selvatico” di quella città) ci

manda la pagina 4 del 14 settembre. “Il WWF avverte —

Troppa chimica sui grembiuli” sentenzia un titolo. Nel

testo leggiamo: «Troppe sostanze chimiche sono pre-

senti nei grembiuli e negli abiti usati dai bambini a scuo-

la. È l’allarme lanciato dal WWF, che consiglia ai genito-

ri di controllare le etichette sui capi di abbigliamento per

evitare di far indossare ai propri bambini abiti che con-

tengono sostanze tossiche come il teflon». «Il teflon è

molto adoperato come materiale biocompatibile per

sostituire vasi sanguigni e valvole cardiache!» commen-

ta esterrefatto Gusella. Ha ragione: se il giornalista ha

riferito bene, il WWF ha detto una baggianata.

Potremmo aggiungere che quel polimero fluorurato

riveste le padelle antiaderenti: se càpita di mangiarne

un po’ inavvertitamente, viene poi espulso intatto.

Soprattutto, però, vorremmo chiedere al redattore di

quel giornale se ci ha pensato bene prima di scrivere

«troppe sostanze chimiche nei grembiuli e negli abiti

usati dai bambini». Quel genitore fanatico, che volesse

levarle di mezzo, come manderebbe i suoi figli a scuola?

Coperti, almeno nel punto più “critico”, da una foglia di

fico? O neanche da quella, perché di sostanze chimi-

che ne contiene parecchie? Forse per il classico strata-

gemma iconografico salvapudore anche un fanatico

farebbe eccezione?

AutocontenutoLa giornalista scientifica Anna Buoncristiani (Pisa) ci

porta la pagina 100 del settimanale Oggi del 18 agosto.

Vi troviamo un articolo d’Edoardo Rosati sui sistemi per

sbiancare i denti e dare quindi un sorriso smagliante a

tutta chiostra. Il giornalista interroga «il dottor Giuseppe

Aronna, odontoiatra e specialista nell’estetica denta-

ria». Egli cita il perossido d’idrogeno: «La sostanza in que-

stione» dice subito dopo «nient’affatto tossica e comu-

nemente presente nell’acqua ossigenata […]». Beh... è

vero che “acqua ossigenata” è anche il nome com-

merciale d’una soluzione diluita di perossido d’idrogeno,

ma nella nomenclatura chimica italiana non ufficiale

quell’espressione indica proprio il perossido stesso. Quel

passo, insomma, rischia di confondere i lettori, che già

non ne hanno bisogno. Ancor maggiore è il rischio insito

nel dire che il perossido non è affatto tossico: usato dal

dentista e poi eliminato per risciacquo, va senz’altro

bene; ma chi esclude che i lettori d’Oggi non siano

indotti a pensare che la soluzione contenuta nelle botti-

gliette di disinfettante possa essere ingerita? Di fronte

all’ignoranza scientifica la prudenza non è mai troppa.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

112 La Chimica e l’Industria - Ottobre ‘04 n. 8 - ANNO 86

Page 2: Carmelo Bruno, Chimicapisce

a cura di Gianni Fochi

RICHMAC Magazine - Novembre 200390 - La Chimica e l’Industria - 85

Specchio DeformanteSpecchio Deformante

Tutto fa brodo...

... anche per il bebè. Almeno verrebbe da pensar-lo leggendo una pagina pubblicitaria del quotidia-no Metro del 12 giugno, speditaci da Alberto Gi-relli di Milano, sempre vispissimo (e mordace)sebbene abbia «superato da tempo» come dice«lo stato di neonato», sicché il problema che oravedremo non tocca direttamente lui né i suoi figlie neppure i suoi nipoti, ormai cresciutelli. Toccaperò la serietà di quel messaggio e di tanti altriche ci bombardano da giornali, radio e televisio-ne. Girelli fa notare che in quella pagina vengonoconsiderate adatte ai neonati due diverse marched’acqua minerale: in un litro una ha 1,1 milligram-mi di sodio e 39 milligrammi di residuo fisso, l’altrarispettivamente 19,67 e 899. Possibile che sianotutte e due indicate per i neonati? Se davvero losono, non significa che s’esagera per scopi com-merciali l’importanza di certe caratteristiche, lequali in realtà ne hanno assai meno? Ai signorimedici dietologi l’ardua sentenza, mentre noi con-tinuiamo a sorbirci il tormentone di quell’altra ac-qua «ricca di piacere, povera di sodio». Probabil-mente faremmo bene a dar retta alle voci chesempre di più si levano a consigliare piuttostol’acqua del rubinetto, come l’ottimo articolo di Pie-ro Bianucci nell’inserto TuttoScienzeTecnologiadella Stampa (pagina 3 del 20 agosto).

Clonazione

«Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato ieripomeriggio ad Assago, alle porte di Milano, nellostabilimento della Nuova Tecnosol, che si occupadella produzione di presidi medico-chirurgici» scri-ve l’Avvenire del 17 giugno (pagina 11). «La zonaè stata evacuata per un raggio di un chilometro emezzo […] ed è stata interrotta la circolazione sul-la vicina tangenziale ovest di Milano. Il gas propa-gatosi insieme alle fiamme per l’esplosione dibombolette già riempite, è il toluolo, un derivatodegli idrocarburi». Non sottilizziamo su quel gas,anche se il toluolo (o toluene), una volta tornato atemperatura ambiente è liquido, a meno che nonsia in dose tanto bassa da render poco giustifica-bile il tirarlo in ballo. L’ignoranza chimica del cro-nista si rivela piuttosto nel chiamarlo «un derivatodegli idrocarburi». Essendo esso stesso un idro-carburo, possiamo pensare che sia derivato... perclonazione? Certo, qualcuno potrà obiettarci chenei processi petrolchimici il toluene si forma da al-tri idrocarburi, ma non crediamo che l’Avvenireavesse in mente un’idea così sofisticata.

La chimica usura chi non ce l’ha

Dal dipartimento di chimica e ingegneria chimi-ca dell’università dell’Aquila, Pietro Mazzeo cimanda la pagina 9 del Messaggero del 20 lu-glio, che contiene un servizio d’Elena Castagnisu certe creme cosmetiche. In un riquadro c’èl’intervista al professor «Leonardo Celleno, co-smetologo all’Università Cattolica» di Roma.Ecco una battuta che costui sembrerebbe averdetto o scritto, sempre che non sia stata pastic-ciata dalla giornalista o dalla redazione: «Per ri-pristinare la funzione di barriera della pelle siusano molecole di lipidi epidermici, quali le ce-ramidi e gli acidi grassi usurati».Forse la versione corretta di quest’ultima parolaè insaturi: se qualche esperto in materia di pelleè in grado di confermare o precisare, ci scriva eapprezzeremo. Una cosa comunque è certa:l’usura non centra per nulla.A quanto pare la chimica assomiglia al potere:parafrasando il ben noto aforisma andreottiano,potremmo dire che essa logora — o appuntousura — chi non ce l’ha, ovvero chi non ne pos-siede almeno i concetti basilari.

Il gusto dell’orrido

Ogni tanto non è male ribadire — e lo facciamovolentieri in chiusura di questo numero — che ilnostro scopo non è divertirci mettendo alla ber-lina l’ignoranza: non possediamo affatto il gustodell’orrido. Se spesso il nostro tono è pungentee scherzoso, l’intenzione è semmai quella distemperare la tristezza e l’arrabbiatura.Un pensiero molto simile l’esprime Sergio Pa-lazzi nella sua interessantissima rubrica “Sicu-rezza” all’interno del sito http://www.farm.it/in-dex.html. In una pagina messa in rete in agosto(«Ancora su bottiglie, etichette ed “acidi”») il no-stro bravo collega chimico scrive: «Il commentopiù comune, sentito per radio o in televisione, è:“crede sia acqua minerale, ustionato dall’acido”.Nel testo, si precisa che si tratta di un prodottoper lavastoviglie […] oppure di soda caustica(che naturalmente il giornalista non sa cosa sia,però almeno il nome se lo ricorda). Recente-mente ho sentito riferire le parole di un medico,secondo il quale “dall’odore sembrava una so-stanza caustica”… va da sé che la maggior par-te delle sostanze più caustiche sono assoluta-mente inodori. Questo ci aiuta a riempire i cata-loghi di sciocchezze […], ma è una soddisfazio-ne alla quale sarebbe bello rinunciare».

Questa rubricaè aperta allacollaborazione divoi lettori: basta cheinviate per posta lapagina incriminata(occorre l’originale,con indicazioni chiaredella testata e delladata di pubblicazione)a Gianni Fochi -Scuola NormaleSuperiore - Piazza deiCavalieri, 7 - 56126Pisa. Se la direzionelo riterrà opportuno,la segnalazione saràpubblicata; verràanche scritto il nomedel lettore che hacollaborato, salvoche questi ci diaespressa istruzionecontraria. In qualchecaso potrannoessere riportati vostricommenti brevi.

Page 3: Carmelo Bruno, Chimicapisce

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata (occor-re l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi — Scuola NormaleSuperiore — Piazza dei Cavalieri, 7 — 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà pubbli-cata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione con-traria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

La benzina dei muscoliIl 15 luglio c’è capitato di sentire nel TG 5 delle venti, in

tema di doping nello sport (robaccia: un’arma pur-

troppo in mano ai denigratori della chimica), la frase

seguente: «L’ossigeno, che è la benzina dei muscoli...».

Non è la prima volta: per esempio, anni fa un errore

del genere fu detto su Rai Uno, durante una trasmis-

sione di Piero Angela. Dal punto di vista divulgativo (e

anche da quello didattico) il paragone fra lo sviluppo

d’energia in un motore a scoppio e nel nostro organi-

smo è pienamente accettabile. Quello che invece

non va è lo scambio dei ruoli. In entrambi i casi l’ossi-

geno è il comburente e non il combustibile; la benzina

dei nostri muscoli è piuttosto il glucosio, e l’ossigeno

provvede a ossidarlo, così come nel motore esso ossi-

da la benzina vera e propria. Più semplice di così...!

Ci sentiremmo d’arrivare a dire che l’errore in questio-

ne ci preoccupa forse assai di più d’altri che coinvol-

gono conoscenze chimiche precise. Infatti qui direm-

mo che si tratta di logica molto debole (non riuscire

neppure a fare un banale paragone nel modo corret-

to) più che d’ignoranza scientifica. Stando così le

cose, il pessimismo sulle sorti intellettuali della nazione

non può che appesantirsi. Scienza? Discipline umani-

stiche? Tutto fa brodo, o meglio: una brodaglia per

nulla invitante.

A tutto gasVietato ragionare: molto spesso verrebbe fatto di pen-

sare che cartelli del genere (almeno per ciò che

riguarda la scienza) si trovino appesi alle pareti d’al-

cune redazioni. Stavolta la biologa e giornalista scien-

tifica Anna Buoncristiani ci passa la pagina 53 di

Scoprire di luglio. Questo periodico è un mensile divul-

gativo nato da poco e rivolto in particolare ai ragazzi-

ni. Nell’insieme ci sentiamo d’apprezzarlo, ma c’è una

balordaggine: «Il grande circuito del sangue — […]

altri capillari si incaricano dei rifiuti, come il gas carbo-

nio». Che ragionare sia davvero vietato? Il carbonio è

un gas? Andiamo!... Forse molti ignorano (purtroppo)

che di carbonio è fatto il diamante, il quale non è

certo gassoso. Però, che tante persone ignorino che il

carbone è (in gran parte) carbonio non vogliamo cre-

derlo. Fra l’altro il nome in questo caso porta sulla stra-

da giusta: o forse dovremmo essere ancora più pessi-

misti di quanto già siamo? Il gas in questione è ovvia-

mente il biossido di carbonio. Ehi, gente! Chiamatelo

pure anidride carbonica, alla vecchia maniera italia-

na, se vi torna meglio. Noi ci sentiremmo di tollerarlo

come male minore: i puristi della nomenclatura chimi-

ca dovranno avere un po’ di pazienza. Ma il «gas car-

bonio» può esistere semmai nell’arco voltaico, non

certo nei nostri capillari.

Una resina non resinaDa Milano Alberto Girelli ci spedisce la pag. 25 (quella

della scienza) del Corriere della Sera del 4 luglio. Vi si

parla di polistirolo espanso, e a margine d’un riquadro

c’è scritto: «Chi lo inventò?». Leggiamo: «Quante volte

è accaduto che un inventore, cercando di arrivare a

una certa soluzione, arrivi in corso d’opera [a] scoprire

una cosa diversa? La cosa accadde al chimico Usa

Ray McIntire (1918-1996). Fu combinando sotto pres-

sione una resina chiamata stirene e un liquido volatile

(isobutilene) che nel 1943 il chimico ottenne una schiu-

ma 30 volte più leggera e flessibile dei materiali utiliz-

zati come isolanti fino a quel momento». La «resina

chiamata stirene» balza subito agli occhi: lo stirene

non è una resina, ma un idrocarburo a molecola rela-

tivamente piccina (vinilbenzene).

In realtà McIntire stava cercando di fare un isolante

elettrico simile al polistirene (o polistirolo), che aveva

ottime proprietà dal punto di vista elettrico, ma era

troppo fragile. Sicché il chimico americano, fra i vari

tentativi, provò anche a copolimerizzare lo stirene e l’i-

sobutilene (2-metil-propene). Quest’ultimo, però, che

è in effetti molto volatile (alla pressione atmosferica

bolle a quasi sette gradi centigradi sotto zero), agì da

espandente invece che da comonomero.

Ecco dunque la schiuma. Purtroppo fra i lettori di quel-

la pagina del Corriere non si sarà espansa la cultura

chimica: anzi...

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

104 La Chimica e l’Industria - Settembre ‘04 n. 7 - ANNO 86

Page 4: Carmelo Bruno, Chimicapisce

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - ScuolaNormale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione saràpubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzionecontraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

La chimica: che puzzo!Una decina d’anni fa la rivista americana ChemTech

rappresentò la “chemiofobia” con una vignetta: due

ragazzetti litigano, ma non si scambiano gl’immagina-

bili «Figlio di...! Pezzo di...!» dell’educazione moderna (o

gli «Scemo! Imbecille! Cretino!» d’altri tempi). Uno dei

due — il più piccolo di corporatura — urla all’altro: «Ah

sì? Ma tua sorella puzza di sostanze chimiche tossi-

che!». Qualcosa del genere, ma senza intenti apologe-

tici, troviamo nella pagina III della cronaca di

Macerata del Resto del Carlino dell’11 aprile: «“Puzze

chimiche” ammorbano l’aria a Piediripa» strombazza

un titolo a tutta pagina. Nel testo leggiamo: «Puzze di

origine chimica che ammorbavano l’aria. […] Gli

accertamenti per individuare le cause del fenomeno

[…] sono ancora in corso; tuttavia è certo che siano da

ricercare nelle attività presenti nella zona e che si trat-

ta di puzze di origine chimica (benzene o solventi o

gasolio o altro). In questo caso, insomma, non c’entra-

no le auto, né sostanze di natura organica».

Ringraziamo Fabio Marchetti (università di Camerino),

che ci ha fatto la segnalazione. Egli commenta: «Puzze

di altra origine (economiche? filosofiche? giuridiche?)

non sembra siano ancora state individuate e anche

quelle cosiddette biologiche e naturali derivano pur

sempre da sostanze chimiche». Poi critica giustamente

l’ignoranza di chi usa l’aggettivo organico nel senso che

gli dava Berzelius un paio di secoli fa. Il benzene, secon-

do il lessico moderno, è una sostanza organica, e così

anche il gasolio è una miscela di sostanze organiche.

Marchetti infine lamenta come l’anonimo redattore

(potrebbe forse trattarsi di Francesco Veroli, autore del-

l’articolo principale di quella pagina, che è dedicata

all’ambiente) nella foga d’incolpare la chimica dimen-

tica che non poche auto funzionano proprio a gasolio,

e quindi una certa responsabilità, almeno indiretta,

nella faccenda potrebbero anche avercela.

Inganni diffusiLa giornalista scientifica Anna Buoncristiani ci manda

la pagina 104 del settimanale Oggi del 4 febbraio e la

pagina 14 del mensile Detto tra noi dello stesso mese.

Nella prima ci segnala un riquadro di Barbara

Favaron, dedicato ai detersivi biologici, nei quali

«anche i tensioattivi, indispensabili per lavare bene,

hanno origine vegetale». Vorrà forse dire che sono

estratti belli e pronti da qualche pianta, magari con

trattamenti di natura soltanto meccanica? Non cre-

diamo proprio: immaginiamo, al contrario, che dalla

pianta alla formulazione la chimica abbia avuto un

suo ruolo, e non da poco. Ma allora che differenza fa

se le materie prime vengono da vegetali anziché da

miniere o pozzi di petrolio?

Il mensile pubblica invece un articolo d’Arianna De

Nittis, da cui rimbalza un errore già finito varie volte su

questa rubrica nel corso degli anni (l’erba mala è

dura a morire): «Per avere un appartamento “a

impatto 0”, cioè davvero amico dell’ambiente (e

della tua salute), leggi qui» promette il sottotitolo.

Sotto possiamo leggere: «Occhio alla formaldeide

[…]. La soluzione migliore […] è scegliere mobili realiz-

zati da aziende che utilizzano colle a basso contenu-

to di formaldeide. […] E tenere in salotto alcune pian-

te da appartamento, come il ficus beniamino e la

dracena, che assorbono questa sostanza». Il primo

consiglio è ovviamente serio, il secondo no: si tratta

d’un effetto trascurabile, a meno che i vasi da fiori

siano costruiti con tecnologie degne delle astronavi.

La scienza agli scienziatiRosario Nicoletti (La Sapienza, Roma) ci spedisce la

pagina 23 del mensile Altroconsumo di marzo. A pro-

posito di pentole a pressione scrive l’esperto

(Nicoletti dopo questa parola mette fra parentesi un

punto interrogativo): «Mai riempire la pentola fino

all’orlo: in questo modo si limita troppo la formazione

di vapore e si raddoppia il tempo di cottura». Ahimè,

quanto è giusto il punto interrogativo di Nicoletti! È

vero che la pentola a pressione non va riempita fino

all’orlo, ma la ragione è tutt’altra: in quel caso il

vapore, che si forma comunque, spinge fuori dalla

valvola il liquido surriscaldato, con rischi di scottature

per chi si trova in cucina. Le spiegazioni scientifiche

vanno lasciate ai competenti.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

114 La Chimica e l’Industria - Lug./Ago.‘04 n.6 - ANNO 86

Page 5: Carmelo Bruno, Chimicapisce

104 La Chimica e l’Industria - Maggio ‘04 ANNO 86

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

di Gianni Fochi

Chimico, non potabileQuindici studenti della classe quinta a indirizzo classico

del liceo salesiano polivalente “Astori” di Mogliano

Veneto (TV) ci mandano la foto che pubblichiamo in

questa pagina. Ci spiegano che essa mostra la fonta-

na della piazzetta interna di via Giacomo Matteotti di

Mogliano. Giustamente quei giovani vogliono criticare

il cartello, perché tutte le sostanze materiali sono chimi-

che, e perché nel contesto l’aggettivo chimico è impli-

citamente (mal)inteso come sinonimo di tossico o

nocivo. Li ringraziamo e ci complimentiamo anche col

loro insegnante di scienze, professor Luca Casagrande.

Strana serraCome funziona una serra? Lasciando entrare energia

che poi non ce la fa a uscire. Di qui l’espressione ben

nota effetto serra, tanto tirata in ballo — a ragione o a

torto: gli scienziati non sono affatto concordi — in tema

di riscaldamento globale. Ora Carlo Stagnaro, direttore

del dipartimento ecologia di mercato dell’Istituto

“Bruno Leoni” di Torino, ci segnala un curioso fraintedi-

mento da parte di Paolo Pietrogrande e Andrea

Masullo, autori del libro Energia verde per un Paese “rin-

novabile” (Franco Muzzio Editore,2003). Il primo dei due

è un dirigente dell’Enel, già amministratore delegato

della società Enel GreenPower; il secondo insegna teo-

ria dello sviluppo sostenibile all’università di Camerino,

ed è responsabile dell’unità clima ed energia del WWF

Italia. Non si tratta, insomma, degli ultimi venuti; sicché

alle pagine 17 e 18 dell’opera suddetta leggiamo

quanto segue con non poca meraviglia: «La comunità

scientifica internazionale ritiene che l’emissione di gas

prodotti dalla combustione associata alle attività pro-

duttive, agli usi domestici, ai trasporti stia influenzando

la composizione dell’atmosfera, rendendola meno per-

meabile al passaggio dell’energia irraggiata dal Sole,e

di conseguenza modificando gli equilibri termici».

Se le cose stessero davvero così, dovremmo temere

una nuova glaciazione: altro che riscaldamento!

Pietrogrande e Masullo hanno le idee poco chiare. Fra

l’altro è scorretto attribuire la previsione alla «comunità

scientifica internazionale», visto che sono notevoli il

numero e la qualità di chi la pensa in modo opposto a

ciò che comunemente ci vien fatto credere.

Noi inquinatoriIn tema d’effetto serra dobbiamo citare quanto scrive

Giovanni Bensi sull’Avvenire del 15 aprile (pagina 17). In

una corrispondenza da Mosca egli riferisce le forti criti-

che d’Andrej Illarionov, consigliere economico del presi-

dente Vladimir Putin, al protocollo di Kyoto. Verso la fine

leggiamo: «L’obiettivo del protocollo, cioè la riduzione

delle emissioni di ossido di carbonio, sempre a detta di

Illarionov, sarebbe irrealizzabile, poiché “ogni essere

umano è produttore di ossido di carbonio”.Se ogni esse-

re umano dovesse osservarlo, ha concluso Illarionov,

“dovremmo cessare di respirare”». La battuta del perso-

naggio russo è un po’ sciocca, almeno com’è stata rife-

rita: la tecnologia produce molto più biossido di carbo-

nio che non la respirazione. Ci sono argomenti ben più

forti per respingere il protocollo di Kyoto: lo stesso artico-

lo vi fa cenno. Sono questioni che interessano i lettori

della nostra rivista, la quale infatti è già intervenuta varie

volte sul tema. In questa rubrica, però, interessa anche

— forse di più — insistere sull’ignoranza chimica d’Il-

larionov (o più probabilmente di Bensi), che confonde

l’innocuo biossido col tossico monossido. Permetteteci

un commento con una venuzza nostalgica: quando in

Italia il biossido si chiamava anidride carbonica e il

monossido semplicemente ossido di carbonio, scam-

biare i due nomi era meno facile. Vogliamo adeguarci

alle convenzioni internazionali? Benissimo: non ci si può

isolare. Del resto i due nomi moderni sono perfettamen-

te distinti per chi vi fa la debita attenzione. Ma alle volte

le medaglie hanno un rovescio sgradevole che c’impo-

ne d’aprire fronti nuovi su cui combattere.

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi - ScuolaNormale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione saràpubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzionecontraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

CHI_mag_specchio_XP 14-06-2004 09:52 Pagina 1

Page 6: Carmelo Bruno, Chimicapisce

98 La Chimica e l’Industria - Aprile ‘04 n. 3 - ANNO 86

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Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, la segnalazione sarà

pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questi ci dia espressa istruzione

contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

Chimica banditaUn enologo laureato di fresco, collaboratore di varie

testate su temi collegati al vino e alla viticoltura, è Ranieri

Fochi di Pisa (non vi ci vorrà molto per capire che egli ha

una qualche parentela con l’autore di questa rubrica).

Trovando in casa l’inserto Domenica del Sole-24 Ore del

14 marzo, è andato a leggere a pagina 45 un interessan-

te articolo in cui Davide Paolini mostra saggiamente dis-

tacco e ironia nei confronti di certe fisime dei viticoltori

biologici. Quando però viene a riferire il loro rifiuto della

chimica, anche Paolini dimostra che questa nostra bistrat-

tata disciplina meriterebbe d’essere conosciuta meglio.

Li descrive infatti come viticoltori «che hanno bandito la

chimica». È scettico sulle motivazioni, ma crede che quel

bando sia vero. Il giovane enologo ci spiega che in real-

tà la viticoltura biologica può dirsi tale anche se contro le

malattie fungine ricorre ai ben noti composti di rame (per

combattere la peronospora) e allo zolfo (per l’oìdio): se lo

zolfo viene in gran parte ricavato da giacimenti in cui si

trova come sostanza semplice (ma ha comunque biso-

gno di purificazione), la poltiglia bordolese, che è ottenu-

ta mescolando solfato rameico e idrossido di calcio, non

viene certo estratta bell’e pronta dalle miniere.

Quindi la chimica c’entra eccome, anche come attività

trasformatrice umana: non occorre insistere sul fatto che

tutte le sostanze materiali sono chimiche (considerazione

che, insomma, non permetterebbe neppure allo zolfo di

sfuggire). Il discorso s’applica anche dove Paolini scrive

che quei signori dicono no ai «prodotti di chimica di sinte-

si»: l’affermazione è smentita appunto dal ricorso ai com-

posti di rame. Per capire quanto sia impropria anche in

questo caso la contrapposizione fra chimica e natura, si

può approfittare del seguito della spiegazione che c’è

stata data. La legge stabilisce per i composti di rame un

tempo di carenza (cioè un intervallo minimo fra l’applica-

zione e il raccolto) pari a venti giorni. Quello per i fitofar-

maci sistemici adatti alla vite (vietati per la viticoltura bio-

logica) è la metà. Domanda: quale delle due categorie

è dunque considerata dal legislatore meno rischiosa? C’è

poi un’aggiunta importante per l’ambiente. Se piove, i

cosiddetti prodotti di copertura (tra cui appunto quelli

contenenti rame) vengono dilavati e bisogna applicarli di

nuovo, con un carico ambientale maggiore. Gli ioni

rameici finiscono nel terreno, sia perché trascinati dall’ac-

qua piovana, sia perché v’arrivano insieme con le foglie

che cadono. Ebbene: essi sono fitotossici, perché contri-

buiscono a rendere meno disponibile per le piante il ferro,

micronutriente indispensabile.

Un bel focherello pulitoIn un servizio di Nello Scalvo sul quotidiano Avvenire del 28

gennaio (pagina 12), sono contenute affermazioni e idee

discutibili. Il giornalista è innocente: riferisce correttamente

pensieri altrui. L’assoluzione però non può estendersi a un

riquadro: «Grazie ai biocombustibili - come la legna da

ardere - si produce energia scarsamente inquinante». Non

ci vuole molta scienza per rendersi conto che al contrario il

legno è un combustibile poco ecologico: basta ricevere

una volta il proverbiale fumo negli occhi. Forse s’è scritto

inquinante pensando al bilancio del biossido di carbonio.

Abbiamo già criticato più volte l’uso del termine inquinan-

te per questo composto, che abbonda anche nei nostri

fluidi corporei senza farci male. Se ci si riferisce ai presunti

effetti climatici che quel gas avrebbe in quanto prodotto

dalle attività umane, bisogna fra l’altro levarci dalla testa

l’idea che la biomassa coltivata a scopi energetici non

aumenti il famoso effetto serra. La coltivazione richiede

energia sotto varie forme (produzione di fertilizzanti e fito-

farmaci, carburanti per muovere i trattori e le macchine

agricole ecc.): se non entrano in gioco reattori nucleari, nel

bilancio del biossido di carbonio prevale la produzione.

Non si speri nell’energia eolica, così criticata dai più ragio-

nevoli fra gli stessi ambientalisti, o in quella solare, ottima

per il rifugio alpino, per l’isoletta o (almeno in parte) per la

fattoria sperduta nel cuore dell’Africa. Quanto al fuoco di

legna, lasciamolo a certe applicazioni che sono effettiva-

mente apprezzabili se occasionali e limitate. La carne e il

pesce cotti ai ferri su di esso, effettivamente molto più

buoni che se preparati in una padella antiaderente, man-

giamoli solo ogni tanto, perché altrimenti si rischiano tumo-

ri all’apparato digerente. Un bel fuoco nel camino, poi, è il

sogno di tanti che cercano una casa nuova: è uno spetta-

colo gradevole e dà calore non solo al fisico. Ma ve l’im-

maginate se la maggioranza degli europei scaldasse le

proprie abitazioni in quel modo? Quanti alberi avremmo

dopo qualche anno? E il cielo sarebbe ancora azzurro?

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

CHI_apr_specchio_XP 11-05-2004 10:49 Pagina 98

Page 7: Carmelo Bruno, Chimicapisce

104 La Chimica e l’Industria - Marzo‘04 ANNO 86

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

CautelaFrancesco De Angelis, presidente eletto della SCI, di fron-

te a un articolo a firma “Mariarosa Colonetti”, uscito sul

numero di dicembre 2003 di questa rivista, è rimasto

alquanto contrariato. Seguendo il suo invito a leggere le

pagine 65 e 66, non abbiamo potuto che dargli ragione:

giudicate voi. «Una sostanza cancerogena utilizzata in

sostanze svernicianti»: in miscele (o formulati) svernicianti.

«Il cloruro di metilene […] può essere sostituito con degli

alcalini meno tossici»: cosa s’intende con quell’alcalini?

Sarà un pasticcio grossolano? Sembrerebbe di sì, almeno

leggendo sotto che «se la sostanza è sostituita da esteri

alcalini o bibasici, i rischi per la salute risultano drastica-

mente ridotti»: ne dedurremmo che forse va inteso esteri

alchilici d’acidi mono- o bibasici, ma chissà!

E ancora: «Il cromo VI è un noto allergene presente nel

cemento che può essere neutralizzato […] aggiungendo

lo 0,35% di solfato di ferro. Questa sostanza trasforma il cro-

mato solubile in acqua, in un cromato insolubile, eliminan-

do di fatto l’effetto della sostanza quando si maneggia il

cemento umido». L’italiano è confuso: la stessa parola

sostanza, per esempio, indica nello stesso periodo due

entità diverse e anzi contrapposte. Eppoi il linguaggio non

è proprio adeguato alla rivista della Società Chimica: il

verbo neutralizzare in chimica ha un significato preciso e

ben diverso.Un concetto,tuttavia,dall’articolo ci sentiamo

d’accettarlo. Il titolo dice: «[…] maneggiare con cautela».

Ecco: cautela, almeno in casa nostra.

InvenzioniDa Milano Alberto Girelli ci passa copia d’una sua lettera

all’assessore all’ambiente e all’economia di quel comune.

Egli si riferisce a un articolo uscito il 5 febbraio nella pagina

44 (edizione milanese) del Giornale, dove si racconta ai

lettori un’invenzione meravigliosa. Scrive Girelli: «Mi stupi-

sce che in Comune nessuno si sia accorto della impossibi-

lità di togliere “il 98% della CO2” dai gas di qualsivoglia

combustione, e abbia invitato per conseguenza il citato

inventore a togliere il disturbo. […] La faccenda potrebbe

costare quattrini — oltre che prestigio — al Comune».

Beninteso: in chimica si possono fare tante cose.Per esem-

pio, che il biossido di carbonio può essere estratto da un

gas tramite gorgogliamento attraverso una soluzione alcali-

na lo sanno anche le matricole universitarie (o almeno lo

sapevano fino a qualche anno fa). Ma si può pensar d’at-

tuare questo metodo (o uno simile in fase solida) nelle mar-

mitte dei veicoli o nelle caldaie dei termosifoni? E poi con

quale scopo? Contrastare l’effetto serra antropogenico?

Uh, che bel guadagno sarebbe avere tonnellate e tonnel-

late di carbonati da trasportare e smaltire!

Mistero svelatoNell’aprile 2003 a pagina 106 avevamo chiesto aiuto ai

lettori per interpretare una battuta strampalata di Beppe

Grillo, riferita dal Corriere della Sera: «I rivestimenti di ossi-

do di carbonio, diffusi in Giappone per rendere l’aria più

respirabile, da noi non si usano perché l’Italcementi tiene

il brevetto chiuso in un cassetto».Finalmente è arrivato un

barlume; da Vittuone (MI) Matteo Magistri c’informa

infatti che sull’Eco di Bergamo del 24 settembre 2002,

pagina 31, il direttore della ricerca all’Italcementi (Luigi

Cassar, che con l’occasione salutiamo dopo molti anni)

descriveva il cemento Tx Millennium al biossido di titanio.

Cassar si lanciava nella previsione che le proprietà cata-

litiche di questo composto sarebbero servite sempre più

a produrre cementi capaci di depurare l’aria dagl’inqui-

nanti, monossido di carbonio compreso. Ringraziamo

Magistri per la collaborazione preziosa, e confidiamo in

una partecipazione ancor più attiva del pubblico.

A quando il sale fisico?Dal dipartimento di scienze chimiche dell’università di

Trieste Gian Maria Bonora ci manda una pagina del

Gazzettino del 1° febbraio. Vi si parla del gran freddo in

Umbria: «Alle polemiche si aggiungono poi i problemi

pratici: scarseggia il sale chimico per le strade e la circo-

lazione è ancora difficoltosa a causa del ghiaccio».Molto

fluida, invece, continua la circolazione di castronerie: «A

quando» chiede Bonora «il sale fisico e il biosale?». Per

quest’ultimo non escludiamo che qualcuno, sfruttando a

scopi commerciali la grande popolarità del “bio”, ci

abbia già pensato. Più che d’errori in senso stretto si trat-

ta comunque della solita idea balorda che vede la chi-

mica solo come frutto degli antri degli stregoni (cioè dei

laboratori e degl’impianti industriali) e lì vorrebbe confi-

narla con rigore assoluto (oggi si dice “tolleranza zero”).

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di Gianni Fochi

CHI_mar_specchio_XP 7-04-2004 16:34 Pagina 104

Page 8: Carmelo Bruno, Chimicapisce

a cura di Gianni Fochi

Anno 86 - Gennaio/Febbraio 200487 - La Chimica e l’Industria

Specchio DeformanteSpecchio Deformante

Fatica sprecata

Fra gl’insegnanti delle scuole medie superiorinon pochi almeno una volta hanno pensatosconsolati all’inutilità dei loro sforzi: varie ragionili avranno spinti al pessimismo, per lo più legateproprio al mondo della scuola (dagli studenti insu), ai suoi difetti e alle sue contraddizioni. Quivogliamo riprenderne una che invece è esternaalle aule e ai programmi scolastici. Spesso quel-lo che noi riusciamo a fare per istruire i giovaniviene cancellato da un’alluvione d’errori chestraripa da quelle che, piaccia o no, sono le vieprincipali attraverso cui le idee penetrano nelleteste della gente: giornali e televisione.Un esempio è tanto più grave in quanto viene dauna fonte che, per servizio lungo e — tutto som-mato — meritorio, ha consolidato una famad’autorevolezza in larghi strati popolari: il pro-gramma SuperQuark della rete televisiva RaiUno. In queste righe si cita di regola la cartastampata, perché dobbiamo verificare coi nostriocchi ciò che ci viene segnalato. Radio e televi-sione, invece, trovano spazio qui solo se noistessi abbiamo ascoltato e annotato fedelmenteo addirittura registrato.Ecco uno di questi casi. Nello Speciale Super-Quark d’argomento storico del 17 dicembre, ver-so le 22,30 Piero Angela e Paco Lanciano sta-vano parlando della polvere pirica. Intanto, inambito storico stonava un’affermazione del pri-mo dei due, secondo il quale quell’esplosivo fuapplicato dai suoi inventori, i cinesi, solo perscopi pacifici: fuochi artificiali, fatti dunque perpuro spettacolo e divertimento. Fummo noi eu-ropei, dopo averlo importato — diceva il noto di-vulgatore —, a usarlo in guerra. Qui non c’entrale cultura chimica di livello scolastico, ma cisembra comunque doveroso precisare. Chi di-sprezza il modo occidentale di pensare e agire,e crede che l’oriente sia un paradiso di saggez-za, sappia che almeno nell’uso della polvere pi-rica non sono stati i nostri antenati a comportarsiper primi da guerrafondai. La notizia più anticad’applicazioni militari si trova in un testo cinesedel 1044, cioè precedente di qualche secolo ri-spetto alla comparsa delle armi da fuoco suicampi di battaglia dell’Europa.E ora le cose più terra terra. Paco Lanciano,parlando degl’ingredienti della polvere pirica, liha chiamati «elementi», termine che si può ap-plicare a zolfo e carbone, ma non al salnitro. Ilrisultato del metterli insieme l’ha definito «com-posto», quando fra le prime cose che s’insegna-no (o si cerca d’insegnare...) agli scolari adole-

scenti c’è proprio la distinzione, fondamentaleper l’insegnamento della chimica, tra compostoe miscuglio. Ci dispiace l’uso di gergo da pro-gramma culinario nella più rinomata trasmissio-ne scientifica nazionale, particolarmente perchél’argomento aveva appunto carattere chimico.

Acquabomber

Da Giacomo Guilizzoni di Bologna, di cui fra l’al-tro abbiamo apprezzato un articolo divulgativouscito nel numero 4/2003 della rivista Fertiliz-zanti, riceviamo una pagina tratta dalle cronacheitaliane del Corriere della Sera del 6 dicembre.C’è uno schemino che dovrebbe chiarire ai letto-ri le idee sulle sostanze usate dal misterioso av-velenatore delle acque minerali. Poiché, comedicevano i latini, nemo dat quod non habet, il re-dattore del Corriere non può comunicare unachiarezza che, a quanto pare, non ha in testaneppure lui in fatto di chimica.Scrive: «Ammonio quaternario: ammoniaca di-luita normalmente presente nel detersivo per ipiatti». Avrà inteso riferirsi a detergenti cationici,a base di ioni ammonio quaternari. L’esempioconferma quanto sia dannoso che circoli ancoraper l’ammoniaca il vecchio nome d’idrossido (oidrato) d’ammonio. Sarebbe utile pretendere da-gli studenti agli esami del prim’anno universitariola dimostrazione per assurdo dell’inesistenzad’una sostanza corrispondente a quel nome:NH4OH non esiste, perché non può essere nécovalente (l’azoto supererebbe l’ottetto) né ioni-ca (altrimenti, contenendo ioni idrossido, che ov-viamente in soluzione sarebbero liberi, si com-porterebbe da base forte). Per concludere la ci-tazione del Corriere, vi riferiamo che la «varechi-na» v’è definita così: «soluzione a base di ipo-clorito di sodio, presente nella candeggina». Inun buon vocabolario si trova l’equivalenza fravarechina (o varichina) e candeggina.

Oro svalutato

Ringraziamo infine Alberto Girelli (Milano), che cispedisce la pagina 22 del Giornale del 23 dicem-bre, nella quale un titolo recita: «L’oro oltre 410dollari al barile». Chi ha investito nel metallo gial-lo può tuttavia tranquillizzarsi: il prezzo è all’on-cia, come poi dice chiaramente l’articoletto: cioèin rialzo, non in caduta precipitosa. La confusio-ne, alquanto grossolana, del titolista deriva dalfatto che nel testo si parla anche di quotazioni delpetrolio. Ridiamoci sopra, tanto più che in questocaso non è la chimica a essere stata offesa.

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di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

106 La Chimica e l’Industria - Dicembre ‘05 n.10 - ANNO 87

Masticare acidoDalla capitale ci scrive Lucio Pellacani (dipartimento di

chimica, università La Sapienza), allegando la pagina

53 del libro “SPQX — Misteri romani — 22 racconti ine-

diti”, distribuito nel 2004 come supplemento al quoti-

diano la Repubblica. L’occhio gli s’è soffermato su un

brano del racconto intitolato “Acid lemon” di Vincenzo

Cerami; ecco il testo: «Infilando due dita nel taschino

della giacca, con una certa fatica sono riuscito a tirare

fuori la bustina di gomme americane ridotta a uno

straccetto. L’ho portata sotto il naso ed è stato come

annusare l’ammoniaca tanto era forte l’acidità». È forse

questo uno dei misteri romani promessi dal titolo del

volume? Per qualche strano sortilegio nella città eterna

l’ammoniaca, che è basica, può diventare acida (cioè il

contrario di basica)?

Noialtri, scettici incalliti su questo genere di trasforma-

zioni impossibili, purtroppo non vediamo nella faccen-

da nulla di misterioso. Secondo noi si tratta della solita

ignoranza di molte persone che vengono ritenute rap-

presentanti della cultura, anche se hanno lacune cla-

morose in campo scientifico: il fatto che queste stesse

persone vengano celebrate per fasti letterari senza

tener conto del resto, non sminuisce certi loro meriti,

ma fa capire ancor più quanto sia trascurata la cultura

scientifica. Se un giorno la scuola italiana tornerà a

essere una cosa seria (o almeno sensibilmente più

seria di quanto lo sia ora), bisognerà lottare strenua-

mente per difendere la cultura nel suo insieme: scien-

ze umane e scienze “scienze” dovranno avere pari

dignità. Per ora qualcuno “mastica acido”: noialtri

mastichiamo amaro.

Ah, l’inglese!Su Media World Magazine di settembre abbiamo tro-

vato un interessante articolo di Massimo Monti sulle

novità nella tecnologia delle pile. Purtroppo vi leggiamo

che il metanolo è un gas, mentre in realtà bolle solo a

circa 65 gradi centigradi. Il “meglio” però è costituito da

alcune espressioni tecniche mal tradotte in italiano: a

pagina 23 Monti ha scritto: «all’Idrato di Nichel (NiMH)»

e «batterie ai polimeri di litio». Sorvolando sulle due

maiuscole prive di senso (Idrato e Nichel, quasi si trat-

tasse di nome e cognome), informiamo chi non lo

sapesse che la sigla inglese sta per nickel metal hydri-

de: idruro, non idrato. Quanto all’espressione lithium

polymer battery, non allude a fantomatici polimeri di

litio, ma a batterie al litio a polimeri, cioè a elettrolita

polimerico.

Nella pagina seguente ritroviamo quest’ultimo errore

ben due volte: «Sono però le batterie ai Polimeri di Litio

(Li-Polymer) l’ultimo ritrovato» (e dagli con le maiusco-

le che almeno in italiano non ci vogliono!) e, in una

didascalia, «In alto, una batteria ai polimeri di litio».

Compare due volte anche una nuova traduzione mac-

cheronica: «batterie a cella di combustibile», che

dovrebbe corrispondere all’inglese fuel cell batteries

(batterie di celle a combustibile).

È l’ennesima dimostrazione che, senza un minimo di

formazione scientifica (di cui la chimica dovrebbe ben

far parte), neanche altre branche della cultura possono

sussistere. Certo: se non ci si sa esprimere in buon ita-

liano, non si arriva neppure a padroneggiare corretta-

mente un concetto scientifico; se non si mastica un po’

d’inglese, oggi si è tagliati fuori. Ma, gira e rigira, se per

esempio non si sa che cos’è un polimero (e che parla-

re di polimeri di litio non ha senso), si finisce con l’es-

sere comunque tagliati fuori da molte espressioni del-

l’inglese d’oggi. E qui potremmo citare il corrisponden-

te da Nuova York d’uno dei più importanti quotidiani

d’Italia: riuscì a compiere tutti e due gli errori possibili

nel tradurre i due termini inglesi silicon e silicone: una

volta scrisse che un computer era a base di silicone (in

inglese era silicon), l’altra che le finte maggiorate erano

zeppe di silicio (in inglese era silicone). Ma ci ripete-

remmo, e non è il caso.

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Riceviamo dall’editore Apogeo un libro molto interes-

sante, “Einstein al suo cuoco la raccontava così”, che

purtroppo ha alcune pecche scientifiche: eppure l’au-

tore, Robert Wolke, è professore emerito di chimica

all’università di Pittsburgh. La traduzione ha la sua

parte di responsabilità: anche questo ci meraviglia, dal

momento che è di Folco Claudi e Adriana Giannini;

quest’ultima è stata a lungo (e con pieno merito) capo-

redattrice del mensile Le Scienze.

Cominciamo con la pag. 12: nella produzione dello

zucchero di canna, il succo «viene chiarificato con

lime». Il termine inglese lime ricorre molte altre volte

nel libro, indicando chiaramente un noto agrume aro-

matico. Qui però nell’edizione italiana è fuori luogo, in

quanto, se c’è nell’originale inglese, è l’omonimo che

vuol dire calce: innalzando il pH, essa facilita la

coagulazione — e quindi la separazione — di mucil-

lagini proteiche, che trascinano via con sé altri mate-

riali intorbidanti.

Avevamo già segnalato lo stesso errore («i fumi — d’un

inceneritore, n.d.r. — vengono […] purificati da un

curioso cocktail di acqua e “lime”, saporito frutto eso-

tico»), ma allora (aprile 1997) il responsabile era un

povero giornalista d’un quotidiano di provincia.

Nel libro di Wolke a pag. 60 si dice inoltre che l’ossi-

dazione e l’irrancidimento dei grassi sono catalizzati

dal calore e dalla luce: i catalizzatori in realtà sono spe-

cie chimiche; il testo avrebbe dovuto usare i verbi favo-

rire o accelerare. Nella stessa pagina: «Il grasso diven-

ta così più denso, ossia meno liquido e più solido».

Peccato: altrove l’autore spiega che il contrario di flui-

do è viscoso. L’improprietà è però ripetuta a pag. 66.

A pag. 62 Wolke, in tema d’acidi grassi idrogenati, fa

poi confusione tra l’isomerizzazione cis-trans dei doppi

legami e le conformazioni “cissoide” e “transoide”.

«Tutti i cibi sono composti chimici» (pag. 75): no, in

genere sono miscele di composti chimici.

La corrosione d’un foglio d’alluminio, che ricopre un

tegame d’acciaio contenente salsa, viene interpretata

male a pag. 89: la salsa mette «a disposizione un sen-

tiero attraverso il quale gli elettroni possono viaggiare

dall’alluminio al ferro». Invece gli elettroni vanno fra i due

metalli per contatto diretto; la salsa chiude il circuito.

A pag. 202 leggiamo che lo sportello d’un forno a

microonde «è ricoperto con un pannello metallico tra-

forato che […] non lascia uscire le microonde, poiché

hanno una lunghezza d’onda troppo ampia (10-11

centimetri) per penetrare nei fori». Ohé! Quei fori sono

macroscopici: 10-11 centimetri sono troppo ingom-

branti per passarci? Ma poi che c’entra la lunghezza

d’onda? Se qualche nostro lettore vuole chiarire la fac-

cenda, ben venga.

«I detergenti molto alcalini possono far scolorire il

rame» (pag. 229): probabilmente in inglese il verbo

sarà discolour, che si riferisce a un cambiamento di

colore piuttosto che allo scolorimento.

A pag. 232 si dice: «Anche se aumentate l’intensità

della fiamma e vedete che l’ebollizione si fa più inten-

sa, non otterrete neppure un pizzico di calore in più»: il

calore in più c’è eccome (lo fornisce la fiamma più

intensa); è la temperatura a rimanere costante.

A pag. 233 troviamo infine che in una pentola a pres-

sione «non appena l’acqua comincia a bollire genera

vapore […]. La valvola lascia passare aria fino a quan-

do l’acqua comincia a bollire e si forma il vapore»: vallo

un po’ a dire poi agli studenti che invece il vapore si

forma a qualunque temperatura! Ma davvero Einstein,

sia pure al suo cuoco, la raccontava così?

Origine naturalePietro Diversi (chimica e chimica industriale, Pisa) ci

passa la pagina 103 del Venerdì della Repubblica del

22 luglio, con un articolo sugli stampi per dolci. In esso

Eva Grippa dice: «Sono essenziali gli strumenti giusti

[…]. Come quelli realizzati in silicone, materiale di origi-

ne naturale (deriva dal silicato, un componente della

crosta terrestre)». Sorvoliamo sulla genericità di quel

silicato preceduto dall’articolo determinativo (fra l’altro

la materia prima è in realtà la silice), per soffermarci

invece sull’ossessione del naturale: solo il Padreterno

può produrre qualcosa senza partire da qualcos’altro

che già esiste in natura.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

96 La Chimica e l’Industria - Ottobre ‘05 n. 8 - ANNO 87

Page 11: Carmelo Bruno, Chimicapisce

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Svelenarsi?Anna Buoncristiani (Pisa), a proposito della campagna

“Svelénati” lanciata dal WWF, ci passa alcune pagine di

due settimanali. Su Oggi del 16 febbraio (pagina 81, arti-

colo d’Emanuela Dini) troviamo i "policlorinati bifenili",

che nella costruzione ricordano la parodia della lingua

inglese delle parole messe in bocca ai britanni in un film

d’Asterix («Una romana pattuglia!»); insieme coi «ritar-

danti di fiamma brominati», essi ci offrono inoltre tradu-

zioni maccheroniche al posto dei corretti policlorurati e

bromurati. Nel testo le virgolette attribuiscono il bromi-

nati al "professor Silvano Focardi, preside della Facoltà

di Scienze all’Università di Siena".

Sempre in fatto di lingua maltrattata, leggiamo poi che

«ciucci e giochini in gomma morbida per neonati posso-

no contenere i flatati»: potrebbe essere semplicemente

un refuso, così come il successivo «bifenolo» al posto di

bisfenolo, anche se noi pensiamo piuttosto a un proce-

dere abborracciato (l’articolo i davanti a flatati sembra

confermare l’intenzionalità della grafia, perché forse fta-

lati sarebbe stato preceduto da gli).

Errore concettuale è l’uso del termine elemento nei tre

brani seguenti: «un conto è un elemento tossico assor-

bito da un uomo di 80 chili […]»; «I bimbi (9 anni) pre-

sentavano ben 75 elementi tossici nel sangue»; «59 ele-

menti di provata tossicità». È chiaro che si tratta invece

di composti; del resto, se si vogliono trovare nella tavo-

la periodica settantacinque elementi tossici, diventa

obbligatorio specificare le dosi: perfino l’indispensabile

carbonio può probabilmente diventare molto pericoloso

(come elemento) se in un solo giorno se ne assumono

— poniamo — trenta chili. Non ci si può giustificare con

l’uso del termine elemento nel linguaggio comune: qui

siamo in un contesto chimico.

Inoltre, secondo la Dini, «l’indagine ha rivelato che le

percentuali di veleni nel sangue dei bambini erano più

concentrate»: cioè, a parità di volume, il segno % era

più abbondante?

Sostanzialmente corretto nella terminologia è invece l’al-

tro articolo fornitoci dalla Buoncristiani, uscito a pagina

12 di ViverSani&Belli del 1° aprile: si tratta d’un servizio

redatto da Adelaide Barigozzi «con la consulenza della

professoressa Donatella Caserta». Anche qui c’è da

precisare qualcosa, ma poco. L’imprecisione più signi-

ficativa è dove si definisce «un meccanismo chiamato

“bioaccumulo”», a causa del quale gl’inquinanti «tendo-

no a depositarsi in dosi sempre maggiori nel nostro

organismo, per cui più inquinanti abbiamo in corpo e

più ne assorbiamo». No, non è così: bioaccumulo signi-

fica semplicemente che le dosi si sommano col tempo,

perché certe sostanze tendono a restare nel nostro

organismo a lungo.

Troviamo poi gl’idrocarburi, che «legandosi ai lipidi (i

grassi del corpo) penetrano con facilità»: si sciolgono nei

lipidi (legarsi è pericoloso, perché fa pensare alla forma-

zione di nuovi composti). C’è poi anche un’imprecisione

normativa: nei giocattoli per bambini sotto i tre anni «una

legge dell’Unione europea […] proibisce definitivamente

l’uso degli ftalati». Probabilmente ci si arriverà, ma il

divieto è per ora solo fino al 20 settembre 2005, secon-

do un inopportuno stillicidio di proroghe relativamente

brevi, cominciato nell’ormai lontano dicembre 1999.

Al di là delle puntualizzazioni, sia l’articolo d’Oggi sia il

servizio di ViverSani&Belli meritano un’osservazione

generale. Il primo, dopo aver detto «Non pensavano che

i risultati sarebbero stati così allarmanti», afferma tran-

quillamente che i cosiddetti elementi tossici sono stati

trovati nel sangue dei “vip” «in quantità non allarmanti».

Il secondo riferisce che «le concentrazioni di inquinanti

trovate nel sangue dei 18 volontari è modesta e non

comporta un danno immediato per la salute: i vip

“cavie”, infatti, erano e restano in ottime condizioni».

Un po’ meno sensazionalismo sarebbe stato dunque

doveroso. Eppoi, signori miei, cosa avrebbero trova-

to le analisi nel sangue dei volontari, se avessero

potuto esser fatte prima degli sviluppi della chimica

industriale? Certo, non i bifenili policlorurati, ma vi

avrebbero trovato molte altre sostanze nocive, maga-

ri perfettamente naturali, che ora l’uomo, almeno qua

da noi, non assume più.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

98 La Chimica e l’Industria - Maggio ‘05 n. 4 - ANNO 87

Page 12: Carmelo Bruno, Chimicapisce

101ANNO 87 - n. 2 La Chimica e l’Industria - Marzo ‘05

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

Confusioni sull’idrogenoDa Bologna lo studente di chimica industriale

Alessandro (a quanto pare non ha voluto indicarci il

suo cognome) ci manda la pagina 16 dell’inserto Affari

& Finanza del quotidiano la Repubblica del 15 novem-

bre. Egli critica il verbo isolare in un articolo di Luca

Vaglio sull’idrogeno come carburante. Leggiamo il

brano incriminato: «Il punto è la produzione dell’idro-

geno, che non esiste in natura allo stato libero: diversi

sono i modi per isolarlo». Noi preciseremmo: meglio

dire in vicinanza della superficie terrestre che in natura,

perché nello spazio qua e là un po’ d’idrogeno c’è.

Riconosciamo però che questa è probabilmente una

pedanteria. Forse lo è anche l’osservazione dello stu-

dente; il verbo isolare può in effetti indurre lo sprovve-

duto (cioè il lettore medio) a pensare che H2 in realtà

esista anche sulla terra e vada appunto isolato da una

miscela. A discolpa del giornalista bisogna tuttavia

ricordare che nella storia degli elementi chimici si dice

proprio, per esempio, che il sodio fu isolato per la

prima volta da Humphry Davy per elettrolisi nel 1807.

Eppure nessun chimico penserà che il sodio esista

sulla terra allo stato libero.

Vogliamo invitare comunque il signor Alessandro e i

suoi colleghi di tutt’Italia a collaborare con questa rubri-

ca. L’età giovanile porta a qualche esagerazione, che

può essere moderata da chi ha i capelli bianchi, ma

porta di sicuro anche tanta, tanta energia.

Da Milano una persona, che per quanto possiamo rico-

struire dalla firma manoscritta sembra chiamarsi Carlo

Monti (o forse Menti), ci spedisce qualcosa di sicura-

mente sostanzioso. Un altro articolo dedicato alle auto

a idrogeno (L’Automobile, mensile dell’A.C.I., novem-

bre, pagina 54, autore Alessandro Marchetti) reca in

bell’evidenza il periodo seguente: «Ci vorranno più di

dieci anni per veder circolare le prime vetture alimenta-

te da CO2. Nel frattempo ci sono altre soluzioni per

ridurre l’impatto ambientale e aggirare il blocco della

circolazione». Eh sì, ben più di dieci anni... Magari si

riuscisse a far andare le auto a CO2! Sarebbe il moto

perpetuo, un motore che s’alimenta col suo gas di sca-

rico. Via, sarà stata una svista! Vogliamo proprio spe-

rarlo, ma in ogni caso non è roba da poco. Nel frat-

tempo — per riprendere il testo dell’Automobile — c’è

una soluzione sola: che la gente, o per lo meno i gior-

nalisti, imparino un po’ di chimica.

Pietra dolce«In molti punti, per colpa delle incrostazioni di carbonio,

la pietra si era trasformata in zucchero». C’è sotto qual-

cosa di diabolico? Leggendo le tentazioni a cui Satana

sottopone Gesù (Matteo 4, 3: «comanda che queste

pietre diventino pane») verrebbe da pensarlo? No, tran-

quilli: è solo una perla infilata da Brunella Schisa in un

suo articolo sul restauro del duomo d’Orvieto, pubbli-

cato dal Venerdì della Repubblica il 17 dicembre a pagi-

na 102. Non riusciamo proprio ad addolcirci la bocca

con quello zucchero (forse la Schisa avrà sentito o letto

che la superficie aveva preso un aspetto granulare,

simile appunto allo zucchero, o il suo informatore aveva

usato scherzosamente un’espressione del genere).

Ringraziamo comunque Giacomo Guilizzoni, che da

Bologna ci ha spedito la pagina balorda, e aggiungiamo

una critica su altra parte del testo: «in grado di resiste-

re ai raggi solari velenosi non solo per gli uomini».

Velenosi? Dei raggi del sole non l’avevamo ancora tro-

vato. Non si finisce mai d’imparare... Ora, prima d’usci-

re all’aperto in una bella giornata, ingurgiteremo un anti-

doto. Non si trova in farmacia? Ci rivolgeremo a uno dei

tanti maghi che imperano sui rotocalchi e in televisione:

loro sì che possono aiutarci, mica l’astrusa scienza che

s’impara all’università.

Per concludere, un aiuto ai molti lettori poco pratici di

restauro. Le incrostazioni di carbonio sono forse un’e-

spressione poco felice, ma corrispondono alla realtà:

nelle cosiddette croste nere che deturpano molti monu-

menti sono inglobate particelle carboniose del partico-

lato che affligge anche i nostri polmoni, e contro cui sin-

daci e assessori (furbastri o inconsapevoli) indicono le

retoriche e inutili domeniche a piedi nei centri storici.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

Page 13: Carmelo Bruno, Chimicapisce

101ANNO 88 - n. 10 La Chimica e l’Industria - Dicembre ‘06

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

Dopo la quarantenaForse i lettori, in particolare coloro che nel corso degli anni

ci hanno gentilmente manifestato stima e apprezzamento,

avranno notato l’assenza di questa rubrica dai numeri pre-

cedenti. Questa sorta di quarantena è stata imposta dalla

scarsezza di segnalazioni, che, come spesso accade, può

essere letta in due chiavi ben diverse. Una ottimistica: la

stampa ha ospitato molte meno sciocchezze in fatto di chi-

mica. Una disincantata: i nostri lettori hanno perso entusia-

smo, vedendo che la loro collaborazione a “Specchio

deformante” non fa il miracolo di promuovere la serietà

scientifica dei giornali, e quindi si sono un po’ stufati di

segnalarci le perle che continuano a fioccare. Pessimista

per natura, il curatore di questa pagina propende per la

seconda ipotesi. Rispettando in pieno le scelte e i gusti di

chi legge, pensiamo di comportarci come segue. Se qual-

che segnalazione continuerà ad arrivare, la rubrica uscirà

quando il materiale sarà sufficiente; se invece le vostre

segnalazioni tenderanno a rarefarsi ancora, vorrà dire che la

rubrica ha fatto il suo tempo e non ci sarà da rammaricar-

sene più che tanto. Staremo a vedere.

A Bocca chiusaDa Bari (dipartimento farmaco-chimico) Giovanni Lentini ci

manda la pagina 13 del settimanale L’espresso del 16

novembre con l’editoriale di Giorgio Bocca intitolato

“Benvenuti alla fine del mondo”. Da una firma di quel livello

ci saremmo aspettati una prestazione migliore; concordia-

mo infatti con Lentini, quando parla di contradditorietà per

un articolo «che, volendo attaccare le esagerazioni del cata-

strofismo mediatico, finisce poi con l’alimentarlo». Ci rimane

fra l’altro il dubbio che contraddittorie non siano le intenzio-

ni del giornalista; forse egli ha sull’argomento idee non del

tutto chiare e quindi ha qualche difficoltà nell’esprimersi. A

parte questo (e già non sarebbe poco), Lentini rileva che

Bocca commette un errore vero e proprio. Ecco il testo

dell’Espresso: «i pianeti raggiungibili sono invivibili da masse

umane […]. L’unico gas che vi abbondi è il fetido metano».

In realtà il metano, poverino, non puzza affatto. Quand’è

puro ha un odore leggero leggero, tanto che, per renderne

evidenti le fughe, nella rete di distribuzione gli viene aggiun-

to un qualche composto solforato (un mercaptano o un

tioetere) capace d’offendere il nostro olfatto e di farci tap-

pare il naso (a dire il vero, nel caso dell’editoriale segnalato-

ci da Lentini sarebbe bene, se ci si permette un banale

gioco di parole, che chiusa fosse la Bocca).

Plastica nel corpo umanoIl lettore penserà a protesi di vario tipo: ormai ci siamo abi-

tuati. Invece no: l’articolo anonimo segnalatoci da Alberto

Girelli di Milano, e apparso a pagina 16 del quotidiano il

Giornale del 23 agosto, s’intitola «Trovate tracce di plastica

anche nel nostro corpo» e si riferisce a inquinamento. Il

testo rende però discutibile quel «tracce di plastica» perché

non intende corpuscoli di plastica, ma piuttosto «particelle

nocive che vengono liberate nelle acque […] entrando in

questo modo nella catena alimentare dell’uomo». E vediamo

un po’ di che si tratta: per esempio, «policarbonatoplastico

(Pcb)». Mah!... A parte il nome assurdo (che c’entra la terza

lettera — una b — con plastico?), l’uso dei policlorobifenili (di

cui in realtà PCB è la sigla) come plastificanti del PVC non è

stato quello più rilevante; dunque essi non possono essere

considerati tracce della plastica neppure in questo senso.

Poi nell’articolo per ben due volte gl’inquinanti vengono chia-

mati «elementi»: in un contesto chimico si dovrebbe invece

dire sostanze, perché elemento ha un significato diverso e

ben preciso. Infine riecco una sigla, quella del notissimo PVC

(polivininilcloruro), interpretata — diciamo — con fantasia:

«Polivinilepolidrato». Che faccia tosta!

OrganostaticiAnna Buoncristiani di Pisa ci passa le pagine 8-10 del

settimanale Viversani&belli del 27 ottobre, che recano

un servizio di Stefania Parisotto «con la consulenza di

Elena Venditti, Unione nazionale consumatori, Roma».

Diamo atto che esso si distingue per equilibrio dall’allar-

me lanciato dal WWF a proposito di sostanze indebite

nei cibi. Purtroppo però vi troviamo i «composti organo-

statici» (anziché organostannici) e due volte l’aggettivo

chimiche al posto del corretto sintetiche.

Page 14: Carmelo Bruno, Chimicapisce

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Mal di dentiRingraziamo Paolo Cuzzato (Solvay Fluor, Porto

Marghera) che ci dà un’informazione preziosa: nel

numero di giugno la nostra rivista ha commesso un

errore di traduzione. La chimica non c’entra, ma rite-

niamo comunque doveroso chiedere scusa ai lettori.

L’errore è a pagina 100, nel riassunto italiano d’un arti-

colo in inglese, intitolato «The Bremen cog project —

The conservation of a big medieval ship». Cuzzato fa

giustamente notare che, se il termine inglese cog indi-

ca in genere il dente d’un ingranaggio, tradurre «Dente

di Brema» è fuori luogo: nella marineria cog è un tipo di

nave mercantile antica dell’Europa settentrionale e si

traduce con cocca*.

Scientifico ma non troppoIl Pensiero Scientifico Editore svolge un ruolo benemeri-

to nel divulgare scienza in italiano nell’Internet (www.pen-

siero.it). Purtroppo ogni tanto divulga anche degli sbagli,

come ci fa sapere la biologa Anna Buoncristiani di Pisa.

Il 3 aprile, per tradurre organochlorines che compariva

sul Journal of Nutritional & Environmental Medicine, il

suddetto editore ha scritto nel titolo — e ripetutamente

nel testo — «organoclorine», termine che in italiano non

esiste; alla lettera la parola inglese potrebbe essere tra-

dotta organoclòri, e indica propriamente i composti orga-

nici del cloro (in inglese cloro si dice chlorine, e qualun-

que dizionario lo spiega).

Il 7 giugno lo stesso sito web ha dedicato giustamente

una pagina ai nuovi risultati preoccupanti d’analisi fatte

sulle sigarette. Ma leggiamo: «... L’ammoniaca che

abbassando il pH delle sigarette fa sì che nella fase

gassosa (ossia quando si inspira) si liberi maggiore

quantità di nicotina». Interessante; però l’ammoniaca,

che è una base, il pH l’innalza: è proprio per questo che

rende più disponibile la nicotina, che è anch’essa una

base (più basso è il pH, più essa è protonata, cioè si

trova in forma ionica e quindi meno volatile).

Nella stessa pagina troviamo anche altre stranezze:

«Glicerolo: provoca irritazione di occhi, pelle, apparato

respiratorio». Irrita la pelle? Ma se il glicerolo (o glicerina

che dir si voglia) è presente in molti cosmetici, proprio

come emolliente cutaneo! E ancora: «Cellulosa: provo-

ca irritazione di occhi, pelle, membrane mucose».

Attenti a non toccare la carta e il cotone idrofilo, allora!

Possibile che l’autore del testo incriminato non abbia

fatto questa semplice riflessione? Forse irritanti sono le

sostanze che derivano dalla combustione parziale della

cellulosa, ossia della carta delle sigarette.

Troppa grazia, sant’Antonio!Dall’università di Lecce ci trattengono a parlare d’errori

di riviste chimiche, e noi, che critichiamo chi la chimica

non la conosce, non possiamo esimerci, sia pure a

malincuore: speriamo che nel nostro ambiente le osser-

vazioni servano a stare più attenti. Ludovico Ronzini ci

manda la pagina 5 del Chimico Italiano dell’ultimo trime-

stre del 2005, parlando di svista tragicomica. Infatti si

tratta d’un errata corrige: volendo rimediare all’aver

scritto nel numero precedente la forma dell’acido tere-

ftalico come «HOOC—C6H6—COOH», il redattore del

periodico del Consiglio Nazionale dei Chimici ha corret-

to in 4 il numero d’atomi d’idrogeno dell’anello aromati-

co, ma — ahimè! — anche quello degli atomi di carbo-

nio: «HOOC—C4H4—COOH». La correzione esagerata

si ripete per altre due formule analoghe.

di Gianni Fochi

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

112 La Chimica e l’Industria - Settembre‘06 n.7- ANNO 88

* Anche la redazione ringrazia per la segnalazione e informa di aver provveduto alla correzione nella versione on line dell’articolo.

Page 15: Carmelo Bruno, Chimicapisce

Parole vuoteDa Bologna Giacomo Guilizzoni ci ha segnalato la pubblicità

televisiva del detersivo Dixan Cenere Attiva, che abbiamo

riscontrato in rete. Guilizzoni, scrivendoci, commentava sfavo-

revolmente sia il sostantivo sia l’aggettivo: «Una trovata per

rendere felici i laudatores temporis acti. […] Nell’elenco degli

ingredienti non compare nessuna “cenere” e nemmeno il

potassio carbonato della cenere di legno. […] Perché attiva?».

Abbiamo scritto ai responsabili di quel sito web: «Vorremmo

sapere se l’espressione “Dixan cenere attiva” è solo — dicia-

mo — folcloristica o se davvero il detersivo contiene cenere

di legno o carbonati effettivamente ricavati da quella. Inoltre

quale significato reale ha l’aggettivo attiva?». Hanno risposto

un mese dopo, evitando... di rispondere: «Il prodotto Dixan

Cenere Attiva contiene effettivamente carbonati, e l’aggetti-

vo attiva è riferito al fatto che questi conferiscono al bagno

di lavaggio un’alcalinità in grado di attaccare e migliorare il

discioglimento dei grassi. Questo è proprio quanto avveniva

nel procedimento di lavaggio con la cenere utilizzato in pas-

sato, sciogliendo la cenere in acqua bollente e filtrandone via

il solido, in modo da utilizzare solo la “lisciva” alcalina».

Questo lo sapevamo, come pure sapevamo che di parole

vuote si trattava in quella pubblicità.

Sapere non serveSembra che sapere non serva per informare il pubblico. Ce lo

conferma, ancora da Bologna, Alberto Zanelli (I.S.O.F.-

C.N.R.), spedendoci pagine del settimanale Salute della

Repubblica, datato 22 febbraio. In un articolo sull’inquinamen-

to dell’aria, Anna Rita Cillis scrive infatti: «L’Unione Europea ha

messo un nuovo paletto: entro il 2012 le vetture prodotte dai

paesi membri dovranno essere dotate di gas di scarico in

grado di bruciare massimo 130 grammi di ossido di azoto

ogni chilometro percorso. […] Il bioetanolo — È un alcool eti-

lico ottenuto attraverso un processo di fermentazione».

«La giornalista dimostra di non capire nulla di ciò che scrive»

commenta Zanelli; il bioetanolo non è infatti un alcool etilico,

ma alcol (con due o o una sola) etilico e basta. Da oltre due

secoli la legge di Proust insegna che una sostanza pura ha

le stesse proprietà anche se preparata per vie diverse. Poi

c’è l’ossido d’azoto (quale ossido, visto che ne esistono

vari?) bruciato anziché prodotto, e fra l’altro la massa indica-

ta (130 grammi) è inverosimile. Vorrebbe dire che nei cilindri

reagirebbe con l’azoto dell’aria addirittura un quarto dell’os-

sigeno che reagisce col carburante: poveri noi! Comunque

c’è da obiettare anche sulla logica del periodo citato: i gas

di scarico sono forse una dotazione delle vetture?

AbbondanzaAnna Buoncristiani (Pisa) ci passa un paio d’articoli dal set-

timanale Viversani&belli del 2 marzo. A pagina 10 comincia il

servizio «Dura lotta allo smog», redatto da Stefania Parisotto

«con la consulenza di Serena Di Natali, Legambiente,

Roma». Vi leggiamo: «Ecco quali sono, in percentuale, gli

inquinanti dell’aria. Monossido di carbonio per il 59% […]

Ossidi di azoto per il 46 % […] Composti organici volatili per

il 33 % […] Polveri sottili per il 31 %». Siamo dunque al 169

per cento, e non si sa neppure di che cosa.

A pagina 36 Samantha Biale, a proposito d’alimenti biologi-

ci, cade invece nell’equivoco – purtroppo assai diffuso – di

dare all’aggettivo chimico un senso che non ha: «Niente

sostanze chimiche» recita un titoletto, ma potrebbe anche

essere redazionale. Poi però nel testo leggiamo: «A garanti-

re l’autenticità degli alimenti biologici c’è il metodo di produ-

zione che non deve impiegare sostanze chimiche». Solo in

seguito il concetto viene precisato: «Non si utilizza alcuna

sostanza chimica di sintesi»; ma qualche riga sotto troviamo

che «i fertilizzanti sono tutti naturali. In caso di necessità si

interviene con estratti di piante (per esempio il piretro

[…])[…], farina di roccia o minerali (come il rame e lo zolfo)

per correggere struttura e caratteristiche chimiche del terre-

no». Dunque ci risiamo: l’estratto di piretro, lo zolfo e i com-

posti di rame sono buoni se li fa la natura anziché i chimici.

Eppure, per poterli mettere a disposizione del contadino,

qualche processo pur sempre chimico bisogna applicarlo. Di

questo passo dovremmo concedere l’etichetta di naturale a

qualsiasi prodotto in commercio, visto che comunque le

materie prime non possono venire altro che dalla natura.

HIGHLIGHTSSPECCHIO DEFORMANTE

136 n. 3 - Aprile ‘07

Questa rubrica è aperta alla collaborazione di voi lettori: basta che inviate per posta la pagina incriminata(occorre l’originale, con indicazioni chiare della testata e della data di pubblicazione) a Gianni Fochi -Scuola Normale Superiore - Piazza dei Cavalieri, 7 - 56126 Pisa. Se la direzione lo riterrà opportuno, lasegnalazione sarà pubblicata; verrà anche scritto il nome del lettore che ha collaborato, salvo che questici dia espressa istruzione contraria. In qualche caso potranno essere riportati vostri commenti brevi.

di Gianni Fochi