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CARATTERIZZAZIONE DI SEGNALE E RUMORE IN MISURE PET CEREBRALI ilaria grasso Relatori:Prof .Sandro Squarcia,Dr.Andrea Chincarini Correlatore:Prof .Piero Calvini

caratterizzazione di segnale e rumore in misure pet …...(Io speriamo che me la cavo, Marcello D’Orta) PREFAZIONE Uno degli aspetti fondamentali della fisica è il concetto di

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C A R AT T E R I Z Z A Z I O N E D I S E G N A L E E R U M O R E I N M I S U R EP E T C E R E B R A L I

ilaria grasso

Relatori: Prof. Sandro Squarcia, Dr. Andrea Chincarini

Correlatore: Prof. Piero Calvini

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Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché nonho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separe-rà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centroquelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille miliar-di! Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che èl’inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, cheè il paradiso. Poi Dio dirà: “Fate silenzio tutti quanti!”. E poili dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fareil furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: “Uè,addò vai!”. Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cieloscoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e icattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po’ ridono e unpo’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle.

Io, speriamo che me la cavo.

(Io speriamo che me la cavo, Marcello D’Orta)

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P R E FA Z I O N E

Uno degli aspetti fondamentali della fisica è il concetto di misura.Misurare non significa semplicemente fornire una valutazione quan-

titativa di un osservabile, ma è un concetto complesso che coinvolgemodelli teorici, esperimenti, strumenti statistici e di elaborazione, perarrivare all’individuazione e l’estrazione del segnale e, complementa-riamente, alla caratterizzazione del rumore.

È ormai consueto che la fisica venga applicata in altri ambiti e unodei più comuni è l’ambito medico; nel quale vi sono casi in cui iparametri si prestano ad essere trattati come quantità fisiche e, quindi,vengono inseriti nel comune schema di misura, ma anche sistemi peri quali è necessario elaborare processi di misura alternativi.

Il punto cruciale che distingue questi ultimi sistemi dal paradigmafisico è l’assenza di un modello eziologico esatto in cui inquadrare ilfenomeno esaminato. Questo rende necessario utilizzare il confrontodi due popolazioni: una in cui è attestata la presenza del segnale,l’altra in cui è assente, per dedurre il segnale stesso.

In questo paradigma di misura la definizione stessa del segna-le dipende dalla scelta del metodo per discriminarne la presenza ol’assenza.

Un caso emblematico di quanto detto è il processo di misura deibiomarcatori legati a patologie di difficile diagnosi; come, ad esempio,le patologie neurodegenerative.

La malattia di Alzheimer rientra tra i casi in cui la misura deve es-sere elaborata a partire da due gruppi clinici distinti e tra i marcatoripiù promettenti dal punto di vista diagnostico vi è il metabolismo delglucosio a livello cerebrale.

In questa tesi abbiamo appunto affrontato misure del metabolismocerebrale in soggetti cognitivamente normali e affetti dalla malattiadi Alzheimer. Esaminando immagini, realizzate attraverso tecnichedi tomografia a emissione di positroni (PET), che rivelano la distri-buzione del fluorodesossiglucosio: un radiofarmaco formato da 18Fingegnerizzato per legarsi alle cellule in funzione della loro attivitàmetabolica.

Dopo un trattamento preliminare dei dati, volto a ridurre le diffe-renze tra le immagini esaminate non legate alla presenza della pato-logia, abbiamo implementato 4 diversi metodi, abbiamo confrontatotra loro le prestazioni ottenute e, infine, li abbiamo verificati su uncampione di soggetti indipendente.

A conclusione del lavoro svolto abbiamo fornito una stima dell’an-damento dell’incertezza dovuta alla scelta del metodo di analisi sulmarcatore utilizzato.

v

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Il lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca “nextMR”,volto a creare strumenti computazionali in grado di fornire un indiceaccurato per la diagnosi precoce di patologie neurodegenerative ce-rebrali ed a migliorare la capacità diagnostica su grandi quantità didati tramite lo sviluppo di procedure di calcolo automatiche.

vi

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I N D I C E

Prefazione v1 introduzione 1

1.1 Misura, segnale e rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.1.1 La misura nel paradigma della Fisica classica . 1

1.1.2 Confronto con l’approccio medico . . . . . . . . 2

1.1.3 Diagnostica: clinica e biomarkers . . . . . . . . . 3

1.2 Il Segnale in “Neuroimaging” . . . . . . . . . . . . . . . 4

1.2.1 FDG-PET: formazione del segnale . . . . . . . . 4

1.3 Il rumore nelle immagini PET . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4 Il Rumore in “Neuroimaging” . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.4.1 Rumore Fisiologico . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

1.4.2 Rumore dovuto al processo di Elaborazione del-le Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.4.3 Rumore di Gold Standard . . . . . . . . . . . . . 11

1.4.4 Rumore dovuto al Modello assunto per descri-vere la Patologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

2 ricerca e estrazione del segnale 15

2.1 Caso di Studio: Misura della Neurodegenerazione le-gata alla malattia di Alzheimer . . . . . . . . . . . . . . 15

2.1.1 Alzheimer e Mild Cognitive Impairment . . . . 15

2.1.2 Il modello di neurodegenerazione: “Cascata Ami-loide” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2.1.3 La misura della neurodegenerazione . . . . . . 20

2.1.4 L’interpretazione del biomarcatore nell’FDG-PET 20

2.2 Strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estra-zione del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.2.1 Strumenti per la selezione delle immagini . . . 23

2.2.2 Strumenti per la normalizzazione delle immagini 24

2.2.3 Strumenti per l’individuazione delle caratteri-stiche significative del sistema . . . . . . . . . . 31

2.2.4 Strumenti statistici . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

3 sviluppo del modello su una popolazione test 37

3.1 Estrazione del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3.1.1 La selezione delle immagini: il Quality Check . 38

3.1.2 Normalizzazione Spaziale . . . . . . . . . . . . . 39

3.1.3 Normalizzazione d’Intensità . . . . . . . . . . . 45

3.1.4 Strumenti per la classificazione dei soggetti . . 47

3.2 Elaborazione del segnale: due metodi per la FeatureSelection . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

3.2.1 Metrica 1: media dei conteggi sulle ROI . . . . 52

3.2.2 Metrica 2: distanza dal cluster dei controlli . . . 56

vii

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viii indice

3.2.3 Metrica 3: proiezione dei punti su una compo-nente principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

3.2.4 Metrica 4: distanza dal cluster dei controlli . . . 61

3.2.5 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

4 validazione 65

4.1 Validazione dei metodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

4.1.1 La Cross-Validazione . . . . . . . . . . . . . . . . 65

4.1.2 Considerazioni sulla validazione dei metodi . . 66

4.2 Ottimizzazione delle metriche . . . . . . . . . . . . . . . 67

4.3 Risultati della prestazione complessiva . . . . . . . . . 70

4.4 Validazione dei metodi su un dataset indipendente . . 71

4.5 Risultati della prestazione complessiva . . . . . . . . . 74

5 discussione 77

5.1 Discussione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

5.1.1 Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . 80

5.2 Ulteriori considerazioni metodologiche . . . . . . . . . 80

5.2.1 Confronto tra Registrazione Deformabile e Affine. 80

5.2.2 Normalizzazione d’Intensità e Feature Selection 81

5.2.3 ROI e Modello “Cascata Amiloide” . . . . . . . 82

6 conclusioni 85

bibliografia 89

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1I N T R O D U Z I O N E

1.1 misura , segnale e rumore

Se volessimo descrivere semplicemente il concetto di misura, potrem-mo dire che misurare significa fornire una valutazione quantitativadi un’osservabile. Lo scopo del misurare è, infatti, proprio quellodi stabilire i valori numerici che le grandezze, che descrivono undeterminato fenomeno, possono assumere.

La semplicità di tale definizione nasconde un processo articolatoformato da svariati elementi, alcuni dei quali sono: lo sviluppo dimodelli teorici, l’applicazione di metodi statistici, l’individuazione el’estrazione del segnale dal rumore e la trattazione di quest’ultimo.

1.1.1 La misura nel paradigma della Fisica classica

Di seguito introdurremo brevemente i vari passaggi coinvolti nel pro-cesso di misura, consapevoli di non poter, in questa sede, presentareesaustivamente l’argomento.

Effettuare una misura in fisica significa, prima di tutto, assumereche fenomeni complessi possano essere descritti utilizzando modelliidealizzati relativamente semplici: si pensi alla meccanica classica eall’idealizzazione dei corpi come punti materiali.

Il primo passo per eseguire una misura è l’osservazione del fenome-no: una buona osservazione deve essere oggettiva, ovvero non de-ve dipendere dall’osservatore, deve essere quantificabile, riproduci-bile e inoltre, una eventuale nuova osservazione non deve esserecondizionata dalla prima fatta.

Dopodiché deve essere possibile ricondurre il fenomeno osservatoa un modello teorico, tipicamente un complesso di equazioni matemati-che che deriva da un piccolo insieme di principi basilari. Una buonateoria soddisfa due condizioni: deve descrivere accuratamente un’e-stesa serie di osservazioni sulla base di un modello che contenga solopochi elementi arbitrari e deve essere consistente1. Se la teoria ha lecaratteristiche descritte si possono fare predizioni precise riguardo airisultati di osservazioni future.

1 Una teoria formale si dice consistente se in essa è impossibile dimostrare una con-traddizione. Esistono due livelli di consistenza: la consistenza sintattica, secondo laquale, se una teoria è consistente non si può dimostrare contemporaneamente un’af-fermazione e il suo contrario e la consistenza semantica, secondo la quale, una teoriaconsistente ammette almeno un modello, cioè un linguaggio per cui gli assiomi dellateoria stessa siano veri.

1

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2 introduzione

A questo punto è necessario validare la teoria e verificare l’affidabi-lità delle predizioni tramite un esperimento. Esso può essere condottostudiando direttamente o indirettamente il fenomeno in esame, devecaratterizzarne pienamente tutti gli aspetti, ad esempio il segnale e ilrumore, e deve fornire la valutazione quantitativa cercata, ovvero lamisura del fenomeno stesso.

Quando anche solo alcune delle caratteristiche descritte delle variefasi di misura vengono meno, l’intero processo può non fornire la va-lutazione quantitativa dell’osservabile in esame e dunque il fenomenorisultare non misurabile.

1.1.2 Confronto con l’approccio medico

Risulta semplice applicare il concetto di misura, precedentemente in-trodotto, a quantità fisiche come il tempo, lo spazio o la carica, que-sta semplicità discende dalla quotidiana necessità di misurare que-ste entità che ha reso intuitiva l’applicazione del processo di misurastesso.

Potrebbe essere meno chiaro, invece, applicare tale concetto ad al-tri campi, come quello medico. Indubbiamente vi sono alcuni para-metri fisiologici che si prestano ad essere trattati come quantità fisi-che, ad esempio la pressione sanguigna, la concentrazione di glucosio,la massa corporea e ai quali è intuitivamente applicabile il concettodi misura; per altri fenomeni, le varie fasi del processo di misura,precedentemente illustrate, non sono facilmente individuabili.

Ci si può lecitamente chiedere, quindi, in quali aspetti la fisica e lamedicina si accomunano e, per farlo, descriviamo i passi introdottitrattando del comune schema di misura in campo medico, in mododa evidenziare quando e quanto sia possibile applicarlo in questonuovo contesto.

Per prima cosa l’osservazione: per la medicina essa discende dallapratica clinica, è solo diretta ed è fortemente legata all’osservatore, inquanto la diagnosi dipende inevitabilmente dall’esperienza del clini-co che la formula e alle sue capacità di interpretare la sintomatologiariportata dal paziente. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un soggettodescriva un dolore, tale sintomo è estremamente legato alla percezio-ne di ogni singolo individuo e necessariamente altera l’osservazionedel fenomeno in esame.

Il modello teorico sul quale basare l’osservazione effettuata è intrin-secamente complesso, in quanto è impossibile considerare tutte lerelazioni tra i sottosistemi non indipendenti che compongono il si-stema studiato per inquadrare completamente la patologia. Un altroelemento che contribuisce a rendere complesso il modello teorico inmedicina è l’assenza di un modello eziologico esatto per un grandenumero di patologie, rendendo di fatto le osservazioni dei fenomeninon indipendenti e il modello utilizzato non esaustivo.

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1.1 misura , segnale e rumore 3

Per validare i modelli teorici, anche in campo medico, è necessariocondurre degli esperimenti che si realizzano nell’ambito dei trial clini-ci. La procedura nei trial inizia con studi preclinici condotti in vitroo su animali in vivo e successivamente procede con la selezione diun campione di individui: il numero dei soggetti coinvolti nello stu-dio pesa grandemente sulla capacità dello studio stesso di valutarel’efficacia del processo testato.

Le difficoltà legate alla conduzione di un buon esperimento incampo medico sono molto elevate: già dalle poche caratteristicheintrodotte si intuisce la complessità della procedura condotta nei trial.

Volendo sintetizzare, la differenza sostanziale fra i due approccista nel fatto che in campo medico si attesta la presenza o meno di unmiglioramento e si quantifica la probabilità che esso avvenga tramiteil confronto di un numero rilevante di soggetti con un gruppo dicontrollo. In fisica si assume l’osservazione effettuata composta dalsegnale e dal rumore; il primo da caratterizzare e di cui si esegue lamisura; il secondo, quantificabile e legato sia al fenomeno studiatoche al processo di misura stesso.

1.1.3 Diagnostica: clinica e biomarkers

Abbiamo visto che vi sono parametri clinici la cui osservazione e re-lativa misura si prestano ad essere trattate come in fisica e altri percui non accade.

Queste differenze emergono chiaramente per alcune patologie e,in questi casi, la misura del fenomeno in esame non può essere unamisura diretta. Per valutare quantitativamente quest’ultime, si indivi-duano una serie di caratteristiche che forniscano una valutazione oggettivae misurabile legata alla patologia, come un processo biologico o la rispostafarmacologica ad un’azione terapeutica. Tali valutazioni sono misure indiret-te della patologia stessa, ripetibili e riproducibili, in grado di predire lo statoclinico del soggetto, dette biomarcatori [1].

In altre parole un biomarcatore è una quantità che fornisce indica-zioni diverse rispetto alla sintomatologia e ad essa complementare,permettendo di seguire il decorso della patologia e, in alcuni casi, an-che di predire lo stato clinico del soggetto [2, 3]. Nel seguito dellatrattazione verranno forniti esempi più specifici riguardo l’individua-zione e l’interpretazione dei biomarcatori, per ora basti sapere che,date le loro potenzialità, sono utilizzati in svariate applicazioni medi-che e, a seconda del metodo diagnostico usato, possono essere moltodiversi: se si analizza un’immagine derivata ad esempio da una riso-nanza magnetica (MRI), da una tomografia computerizzata (CT), o daaltri metodi diagnostici come la tomografia ad emissione di positroni(PET), possono essere funzioni dei dati ricavabili dalle immagini, deitessuti o della forma delle strutture in esame, dei parametri biochimi-ci, delle valutazioni neuropsicologiche oppure possono derivare dalle

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4 introduzione

informazioni cliniche dei soggetti[4, 5].I biomarcatori dovrebbero fornire uno o più indici per paziente

con un significativo valore predittivo e, per avere questa loro caratte-ristica, devono essere legati a processi chiave propri delle patologie,prima che manifestino un’evidenza clinica. Pertanto individuando unbuon biomarcatore non si vorrebbe solamente classificare i soggetti,ma si vorrebbe anche essere in grado di classificare un individuo conun quadro clinico sconosciuto o non ben definito, affermare se costuisvilupperà la patologia e fornire un determinato intervallo temporale.Esistono biomarcatori, detti di stato, che, misurando indirettamentel’effetto cercato, descrivono lo stato della patologia; altri, detti predit-tivi, che, interpretati, riescono a predire l’evoluzione della patologiain esame e da cui si può ricavare una diagnosi per il soggetto che siintende classificare.

1.2 il segnale in “neuroimaging”

In questo lavoro cercheremo di definire meglio come viene misurato,valutato ed estratto il segnale dalle immagini usate a scopi diagno-stici. In particolare la patologia che verrà presentata è la malattia diAlzheimer (AD), essa è una patologia neurodegenerativa su cui, co-me chiariremo in seguito, sono stati condotti studi con diverse tecni-che di generazione di immagine, dette tecniche di imaging come, adesempio, la risonanza magnetica o la tomografia a emissione di posi-troni [6, 7]. Nel nostro lavoro verrà considerata una delle tecniche dineuroimaging più usate nella pratica clinica: la PET.

La malattia di Alzheimer rientra tra i casi in cui la misura deve es-sere elaborata a partire da due gruppi clinici distinti; con tale procedi-mento si cercano, se sono presenti, le caratteristiche che accomunanoe quelle che differenziano i diversi gruppi di soggetti, misurandoletramite vari indici e valutando con quale percentuale esse possonodistinguere la popolazione nei gruppi di cui essa è composta, se que-sti indici sono legati a processi propri della patologia in esame, essipossono essere definiti biomarcatori.

Affermare che con le stesse informazioni grazie le quali si suddivi-dono i soggetti si possa attribuire efficacemente un individuo a un ungruppo piuttosto che ad un altro, non è banale e le difficoltà legate aquesta affermazione verranno prese in esame in seguito.

1.2.1 FDG-PET: formazione del segnale

1.2.1.1 Il principio fisico

La PET è tra le tecniche diagnostiche che si basano sulla tomogra-fia ad emissione, esse utilizzano processi di decadimento di isotopiradioattivi che sono utilizzati per marcare delle molecole dette trac-

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1.2 il segnale in “neuroimaging” 5

cianti o radiofarmaci. Queste molecole sono ingegnerizzate per le-garsi ad un particolare processo biologico, del quale si vuole avereinformazione. I traccianti vengono somministrati tipicamente per viaendovenosa e vanno a interagire con processi biologici specifici.

In questo frangente effettuare una misura significa rivelare la distri-buzione del radiofarmaco all’interno del corpo; per questo i tempi dimisura devono essere brevi rispetto ai tempi caratteristici del decadi-mento, ma lunghi rispetto alla cinetica legata ai processi biochimici,che guidano la diffusione del radiofarmaco.

Nella PET (Positron Emission Tomography) il radionuclide legatoal tracciante emette un positrone, come indicato nello stesso nome diquesto metodo diagnostico; esso, nei tessuti organici, ha un camminolibero medio di circa 1 ∼ 2mm, dopo i quali annichila con un elettro-ne all’interno del corpo, emettendo, di conseguenza, due fotoni (γ)collineari di 0.511 Mev, come mostrato in figura 1.

Figura 1: Decadimento del 18F e successiva annichilazione di elettrone epositrone con emissione dei fotoni collineari

Per produrre tale decadimento si usano isotopi a emivita breveprodotti da acceleratori: i più usati sono gli isotopi del fluoro e delcarbonio 18F,11C.

Nel metodo diagnostico che esamineremo l’emettitore è l’isotopodel fluoro: 18F , esso è il radioisotopo più usato nella PET e decadeβ+ con un tempo di dimezzamento di 110 minuti:

189 F →18

8 O + e+ + ν (1)

Solitamente, viene coniugato con il glucosio in una molecola chia-mata fluorodesossiglucosio (FDG), in questi casi la tomografia a emis-sione di positroni prende il nome di FDG-PET.

L’FDG-PET permette di condurre un’analisi dell’attività delle strut-ture studiate, in quanto il fluorodesossiglucosio viene catturato ingrande quantità dalle cellule con forte attività metabolica, ad esem-pio le cellule tumorali e i neuroni, e decadendo permette di tracciarela propria distribuzione nel corpo.

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6 introduzione

1.2.1.2 Il sistema di rivelazione

L’apparato sperimentale della PET è formato da un anello di scintil-latori accoppiati a fotomoltiplicatori all’interno del quale viene fattoscorrere il lettino su cui è posizionato il paziente; scintillatori e foto-moltiplicatori rivelano simultaneamente le coppie di fotoni collineari,formati, come precedentemente accennato, dopo il decadimento β+ el’annichilazione del positrone. La rilevazione simultanea dei fotoni sidice coincidenza e per comodità spesso si usa chiamare così il segnalestesso.

Figura 2: Rivelazione di una coincidenza

Come mostrato in figura 2, i fotoni collineari che raggiungono l’a-nello di rivelatori in coppia, con una finestra temporale di 10-20 ns,vengono rivelati, permettendo di ricostruire l’ipotetica traiettoria del-la coppia di fotoni emessi e di risalire alla posizione dei tessuti in cuiè avvenuta l’annichilazione del positrone.

Ricostruire la traiettoria dei fotoni nel corpo non è cosa semplice,in quanto vi sono più fattori di cui bisogna tenere conto per evitaredi commettere errori, che inevitabilmente si ripercuotono nella rico-struzione delle immagini. Tra i suddetti fattori vi sono le possibili in-terazioni dei fotoni con il corpo, l’attenuazione, che dipende dal cam-mino dei γ nei tessuti, eventuali false coincidenze, che tratteremo det-tagliatamente in seguito, e alcune caratteristiche legate all’apparatosperimentale.

Quando il positrone annichila con uno degli elettroni del corpo, latraiettoria dei fotoni emessi può essere deviata: tale deviazione può

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1.2 il segnale in “neuroimaging” 7

essere dovuta allo scattering Compton2 e può essere una delle causerivelate come false coincidenze, le quali possono portare a un degradodella qualità dell’immagine stessa.

Un altro contributo non trascurabile all’errata ricostruzione delleimmagini deriva dalla risoluzione spaziale dell’apparato sperimenta-le: i cristalli, avendo dimensione finita, hanno una risoluzione spa-ziale limitata, questo comporta che non si riesca ad individuare conprecisione il punto in cui è avvenuta l’annichilazione tra elettrone epositrone nei tessuti, ma si individuino delle zone in cui si supponeche essa possa essere avvenuta tanto più piccole quanto migliore è larisoluzione spaziale dell’apparato.

1.2.1.3 La ricostruzione dell’immagine

Le immagini realizzate con la PET hanno una risoluzione spazialedi circa 5 mm e sono create tramite algoritmi di ricostruzione co-me la Filtered Back Projection (FBP) 3 o con metodi iterativi, ad esem-pio l’Ordered Subset Expectation Maximization (OSEM) o il SimultaneousIterative reconstruction (SIRT)4 [8, 9].

L’immagine tridimensionale viene realizzata giustapponendo unasequenza di immagini bidimensionali ottenute facendo scorrere il let-tino su cui è posizionato il paziente all’interno dell’anello di rivelato-ri.

Figura 3: Esempio di ricostruzione di un’immagine FDG-PET cerebrale

2 La diffusione Compton o effetto Compton è un fenomeno di scattering anelastico traun fotone e un elettrone.

3 La FBP è l’algoritmo standard per la ricostruzione delle immagini CT, che può essereapplicato anche alla ricostruzione delle immgini PET

4 Il concetto fondamentale della ricostruzione iterativa, basata su metodi di massimaverosimiglianza, come nel caso dell’OSEM e del SIRT, è che la distribuzione di atti-vità nella fetta d’immagine ricostruita, come viene usualmente chiamata nel campodell’imaging, sia quella che ha la massima probabilità di produrre i dati di proiezio-ne osservati. Poiché non è disponibile nessuna soluzione analitica, la ricostruzionedell’immagine deve essere effettuata con un processo iterativo

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8 introduzione

Usualmente l’immagine viene visualizzata su tre differenti pianispaziali sagittale, coronale e assiale o trasverso (immagine 4).

Figura 4: I piani di spaziali di visualizzazione dell’immagine

Il segnale derivato dalla PET , ovvero l’immagine, consiste di fattoin una matrice tridimensionale a valori scalari, le cui intensità sonoproporzionali all’assorbimento del radiofarmaco nei tessuti.

1.3 il rumore nelle immagini pet

Il rumore nella PET può derivare da diversi fattori: può essere do-vuto all’elettronica e al campionamento dell’immagine, alle diverseefficienze degli scintillatori e dei fotomoltiplicatori, al fatto che pos-sono non essere allineati perfettamente, o può derivare da artefattidovuti a movimenti del paziente durante l’esame.

Un’altra categoria di errori della PET sono quelli di ricostruzionedell’immagine stessa, i quali sono a loro volta dovuti a errori di rico-struzione della traiettoria dei fotoni nei tessuti, perché diffusi. Infinegli errori possono derivare da un processo iterativo di ricostruzioneo a una FBP mal eseguiti, come mostra la figura 5:

Figura 5: Esempio di immagine PET cerebrale con FBP mal eseguita

Tutte le fonti d’errore sopra elencate fanno parte degli errori diacquisizione, ma i più consistenti per quanto riguarda la PET, so-no gli errori relativi a un’errata acquisizione dei fotoni, detti falsecoincidenze.

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1.4 il rumore in “neuroimaging” 9

Nella seguente figura 6 ne riportiamo due esempi:

Figura 6: False coincidenze

La prima configurazione è fonte d’errore in quanto da uno stes-so punto partono due eventi non collineari e quindi non dovuti al-l’annichilazione elettrone-positrone; essi, giungendo agli scintillatorinella finestra temporale impostata, vengono letti come un conteggioproveniente da un diverso punto del corpo.

La seconda configurazione è fonte d’errore in quanto rappresentadue annichilazioni avvenute contemporaneamente in diversi puntidel corpo. All’interno della finestra temporale impostata giungonoagli scintillatori un fotone per annichilazione e l’apparato, rimanendocieco ai fotoni seguenti, ricostruisce un’errata traiettoria.

Tutti questi effetti sono ben noti e sono relativamente facili da ca-ratterizzare, ad esempio, tarando la PET per mezzo di appositi fan-tocci; gli effetti dell’attenuazione si possono correggere affiancandoalla PET una CT [10] in modo da derivare da essa i coefficienti di at-tenuazione dei tessuti, una volta applicati dei fattori correttivi, invecel’effetto della diffusione dei fotoni, a seguito dello scattering Comp-ton, si può minimizzare eventualmente utilizzando dei collimatori, adiscapito, però, di una perdita di conteggi.

1.4 il rumore in “neuroimaging”

In una disciplina come la fisica la forma del segnale che si sta cer-cando è quasi sempre nota in quanto esiste una teoria a cui rifarsiche, fornendo una spiegazione sulle cause della formazione del se-gnale stesso, descrive le sue caratteristiche. Tuttavia, ogni volta che sieffettua una misura, si registra, oltre al segnale, anche il rumore.

Nel caso più semplice si tratta di rumore gaussiano, cioè additivoe indipendente dal segnale stesso, e, solitamente, si è in grado dipensare ad apparati che lo misurino.

In altri casi, come nel campo della fisica delle particelle, il rumoreè intrinsecamente legato alla natura del segnale che si sta misurando.Quando ciò accade, pur non essendo possibile una sua misura diretta,si è in grado di stimarlo tramite simulazioni e, questa possibilità, èdata dal fatto che è nota la sua distribuzione statistica.

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10 introduzione

In entrambe le situazioni presentate, esistono procedure matemati-che [11], che permettono di estrarre il segnale in maniera ottimale.

In campo medico, come vedremo meglio nel secondo capitolo, nonesiste una teoria che fornisca le caratteristiche del segnale che si stacercando di individuare e il procedimento di ricerca dello stesso èinverso rispetto alla fisica.

Poiché le cause della malattia, che è il segnale cercato, non sononote, ma spesso si conoscono i suoi effetti, in medicina esistono deimodelli che basano le loro ipotesi su diversi processi biologici chepossono portare agli effetti osservati e, a posteriori, attraverso i ri-sultati dell’analisi condotta, si stima la validità del modello ipoteticoseguito.

Oltre al fatto che non si conoscono la forma e le caratteristiche delsegnale, in campo medico, il rumore non segue un modello statisticodefinito e si definiscono fonte di rumore tutte le perturbazioni nondirettamente collegate con la patologia in esame e che non dipendonodall’osservatore [12].

Per orientarci in tutto questo è necessario differenziare i fattori con-fondenti da cui cerchiamo di estrarre il segnale, ad eccezione del ru-more dovuto all’apparato, di cui si è trattato in precedenza, e chepresenta le caratteristiche del rumore fisico. Per farlo dividiamo i varifattori confondenti in categorie distinte, a seconda degli aspetti da cuiderivano:

1. Rumore Fisiologico

2. Rumore legato al processo di elaborazione delle immagini

3. Rumore di Gold Standard

4. Rumore legato al modello clinico seguito

1.4.1 Rumore Fisiologico

La seconda fonte d’errore presa in esame è il rumore fisiologico, essoè dovuto alle differenze interindividuali, non trascurabili, esistentitra i pazienti. Non vi è modo di caratterizzarlo a priori in quanto talidifferenze sono dovute al vissuto di ogni individuo che intervienesulla struttura e il metabolismo del cervello introducendo variazionitra gli individui spesso maggiori di quelle che si vogliono quantificare[13]; per fornire alcuni esempi che semplifichino la comprensione allettore possiamo citare: fattori genetici, ambientali o dovuti alla storiaclinica dei soggetti. Anche selezionando un campione di individui ilpiù simili possibile le differenze interindividuali rimarranno presenti,pertanto è necessario imparare a trattare questo fattore confondentee, nel seguito, introdurremo delle tecniche grazie alle quali esso vieneridotto.

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1.4 il rumore in “neuroimaging” 11

1.4.2 Rumore dovuto al processo di Elaborazione delle Immagini

Trattando dell’elaborazione del segnale in senso strettamente fisico siè visto che esiste una procedura ottimale per la sua caratterizzazione.In campo medico ciò non accade e bisogna scegliere la procedura daseguire e verificare a posteriori se le scelte fatte hanno infine portatoall’individuazione del segnale cercato.

Scegliere tra diverse procedure di elaborazione delle immagini si-gnifica selezionare una diversa parte dell’informazione, che non vienemai esaminata completamente. Questo comporta che, a priori, non sipossa nemmeno sapere se la scelta fatta individui o escluda il segna-le stesso e, per questo motivo, la verifica sull’efficienza della sceltariguardante la procedura di elaborazione va fatta a posteriori deter-minando, ad esempio, con quale percentuale si classificano i gruppida cui si è partiti per l’individuazione dell’informazione.

Cercare di massimizzare la percentuale con la quale si classificanoi gruppi di soggetti paragonati per individuare il segnale è, in effetti,un metodo per verificare la bontà della procedura scelta e, consapevo-li del fatto che ogni diversa procedura introduce un errore, esistonostudi, detti studi di metanalisi, che permettono di analizzare e con-frontare una serie di processi, consentendo una sintesi quantitativadei risultati.

1.4.3 Rumore di Gold Standard

Come accennato nei precedenti paragrafi il segnale in neuroimagingviene dedotto comparando immagini di gruppi di soggetti con unquadro clinico noto: tipicamente vengono confrontati soggetti che nonpresentano la patologia in esame e soggetti affetti da tale patologia. Inquesto modo il segnale dipende fortemente dalle scelte fatte per la se-lezione dei gruppi e, se i pazienti non sono propriamente selezionati,l’intera analisi può essere pregiudicata.

Il rumore di Gold Standard è legato alla scelta dei criteri di selezio-ne dei soggetti nei gruppi che vengono confrontati per l’individua-zione del segnale: idealmente questi gruppi dovrebbero essere omo-genei rispetto allo stato clinico dei soggetti, in altre parole all’internodel gruppo di soggetti affetti dalla patologia in esame bisognerebbeessere certi che non vi siano soggetti non affetti da tale patologia eviceversa. Nella pratica clinica e, in particolare per quanto riguarda lepatologie neurodegenerative, l’omogeneità dei gruppi può non essereaccertata, considerando i molti fattori confondenti presenti, che com-portano una grande difficoltà diagnostica. Quand’anche la selezionedegli individui venga effettuata in modo accurato, si deve tenere con-to della continua evoluzione della diagnosi, in quanto la comparsa dieventuali nuovi sintomi potrebbe portare a una diversa conclusionediagnostica che influirebbe sulla corretta attribuzione del singolo sog-

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12 introduzione

getto al suo gruppo di appartenenza. Un altro importante elementoriguarda la sensibilità dei biomarcatori e dei test clinici rispetto all’e-tà dei soggetti [14, 15]: come precedentemente specificato, il segnaleidentificato per mezzo dei biomarcatori è una misura indiretta chepermette di quantificare lo stato clinico dei soggetti e in base a questoclassificarli, l’età è uno dei fattori confondenti nel caso delle malattieneurodegenerative in quanto i biomarcatori legati alla neurodegene-razione non distinguono le cause di quest’ultima che chiaramentepossono non essere derivate dalla patologia ma dall’invecchiamento;questo comporta una rilevante diminuzione della sensibilità dei test,come dei marcatori, in età avanzata; come ultimo aspetto, si consideriche nei gruppi di individui: quello costituito da soggetti non affettidalla patologia in esame e quello costituito da soggetti affetti da ta-le patologia, non si tiene conto, oltre che alla variabilità dovuta alleinfinite differenze tra i pazienti, nemmeno di una eventuale comor-bidità che, come nel caso dell’età, influisce sulla sensibilità dei test esull’efficacia diagnostica dei biomarcatori.

Per cercare di minimizzare il rumore Gold Standard si fa in modoche la numerosità dei gruppi di controllo permetta di avere delle mi-sure statisticamente significative e i trial vengono condotti in più cen-tri contemporaneamente (studi multicentrici); confrontando i risultatisi ha un doppio vantaggio: si riesce a minimizzare l’effetto confonden-te derivato dall’ambiente in cui viene condotto il trial e si aumentala statistica, ma spesso a discapito della significatività dell’indicatore.Ciò avviene se la variabilità tra i gruppi dei diversi centri è maggioredella variabilità dei singoli gruppi e, per questo motivo, per effettua-re studi multicentrici e fare in modo che questo diminuisca i fattoriconfondenti, la chiave è avere soggetti ben confrontabili trattati se-guendo dei protocolli nella preparazione del paziente, ad esempiotramite una dieta , durante l’esecuzione dell’esame, ad esempio perquanto riguarda la durata dell’esame stesso, e per la ricostruzionedelle immagini [12].

1.4.4 Rumore dovuto al Modello assunto per descrivere la Patologia

Questo fattore confondente è l’ultimo preso in esame; il modello as-sunto per descrivere la patologia influenza chiaramente i criteri di se-lezione adottati per la creazione dei gruppi da comparare per estrarrel’informazione cercata, quindi, scegliendo un modello piuttosto cheun altro, si agisce indirettamente sul rumore di Gold Standard.

Inoltre la scelta di un modello introduce un ulteriore errore lega-to alla possibile interpretazione che si dà dei biomarcatori: diverseinterpretazioni portano a considerare diversi aspetti della patologia,quindi uno stesso biomarcatore nell’ambito di due teorie diverse puòavere andamenti diversi e chiaramente un diverso valore diagnostico.

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1.4 il rumore in “neuroimaging” 13

I grafici seguenti (figura 7) mostrano due diversi modelli teorici ipo-tetici degli andamenti che avrebbero i marcatori, a seconda della scel-ta del modello molecolare assunto per descrivere le cause delle neu-rodegenerazione. Il segnale può crescere o decrescere con l’avanzaredella patologia e dell’età.

Figura 7: Un esempio dei diversi andamenti qualitativi di biomarcatorilegati alla neurodegenerazione [16, 17]

Il fatto che le curve che descrivono l’andamento atteso dei bio-marcatori sono continue e derivabili in funzione dell’avanzare dellapatologia e dell’età dei soggetti, è chiaramente una semplificazione,che deriva da un’ipotesi formulata a priori, questo rende più sempli-ce trarre conclusioni in merito al potere predittivo dei biomarcatoristessi e permette di formulare una previsione temporale riguardantel’evolversi della patologia studiata.

Nella nostra analisi non terremo conto del fattore confondente in-trodotto dal modello teorico che si basa su una delle ipotesi ad og-gi più accreditate nell’ambito delle patologie neurodegenerative, det-ta Cascata Amiloide [17]; esso verrà ripreso più esaurientemente inseguito.

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2R I C E R C A E E S T R A Z I O N E D E L S E G N A L E

2.1 caso di studio : misura della neurodegenerazione

legata alla malattia di alzheimer

2.1.1 Alzheimer e Mild Cognitive Impairment

Recenti studi affermano che circa 24 milioni di individui al mondosono affetti da demenza e che la maggioranza di questi soggetti pre-senta proprio la malattia di Alzheimer, che è una delle sue forme piùcomuni [18].

Nonostante la prima descrizione di questa patologia risalga al 1906

[19], solo di recente sono stati definiti criteri diagnostici, che includo-no l’utilizzo di biomarcatori (2007-2015) [20, 21, 22]. Il principale moti-vo legato a questo maggiore interesse è dovuto al suo enorme impattosocioeconomico [23] poiché i soggetti che ne sono affetti hanno un’au-tonomia limitata e necessitano di assistenza da parte dei familiari edell’intera società.

Ancora oggi molte delle caratteristiche della malattia di Alzheimerrimangono ignote in quanto le evidenze cliniche legate ai suoi primistadi sono qualitative ed essa ha una maggiore incidenza nei soggettianziani. Inoltre, se un soggetto è molto anziano, i test clinici in usohanno una minore sensibilità [24].

La più essenziale e frequente manifestazione di questa patologiaè una perdita di memoria selettiva che può essere confusa con sem-plici disturbi dell’attenzione attribuibili anche a stress, generale affa-ticamento o depressione. Oltre a quanto detto possono manifestarsialtri sintomi come afasia, disorientamento, aprassia, alterazioni com-portamentali ed emozionali ed atarassia, può venir meno anche lamemoria a lungo termine e possono essere compromesse le capacitàsemantiche dei soggetti.

Poiché non si conoscono i meccanismi biochimici causa della malat-tia di Alzheimer, ma sono noti alcuni dei meccanismi secondari che lariguardano, le terapie in uso sono volte ad intervenire su quest’ultimie il loro effetto è quello di ritardare i sintomi e, in generale, il decorsodella patologia.

Il fatto che tali terapie siano più efficaci nelle prime fasi della pa-tologia rende evidente il bisogno di aumentare le nostre conoscenzeriguardo la sua patogenesi individuando marcatori che, affiancati allevalutazioni cliniche già in uso, permettano di anticiparne la diagnosie sviluppare nuovi trattamenti.

15

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16 ricerca e estrazione del segnale

Un buon esempio di quanto appena detto è rappresentato dallamaggiore attenzione rivolta alle diverse tecniche di neuroimaging,che sono in grado di fornire informazioni morfologiche e funziona-li, come l’FDG-PET, spianando, così, la strada alla ricerca di una sti-ma quantitativa dei fenomeni biologici complessi che riguardano laneurodegenerazione.

L’eziologia della maggior parte delle patologie neurodegenerati-ve non è accertata in modo definitivo. Negli ultimi anni le terapieper la malattia di Alzheimer si sono concentrate principalmente neltentativo di ridurre i livelli di beta amiloide [25], che consiste nelladeposizione in sede extracellulare di materiale proteico.

L’amiloide viene prodotta quando una proteina notevolmente piùgrande, detta Amyloid Precursor Protein (APP) viene scissa, quindi ilmateriale proteico si accumula in forma di placche nella parte ester-na delle cellule nervose. I depositi di amiloide sono ritenuti esseretossici e causano danni alle cellule nervose molti anni prima dell’e-sordio della demenza. È importante sottolineare che la deposizionedi amiloide non è così fortemente correlata con la cognizione, cheè strettamente legata ad un altro tratto distintivo della malattia diAlzheimer, nel quale si rileva la presenza di ammassi di una protei-na detta tau [25]. Sebbene tale proteina venga normalmente prodottadalle cellule nervose, nella malattia di Alzheimer ne viene prodot-ta una variante abnorme che, non funzionando correttamente, causala formazione di ammassi neurofibrillari all’interno dei neuroni, checonseguentemente muoiono. Gli ammassi neurofibrillari, la perditasinaptica e neuronale sono, invece, strettamente associati ai deficit dimemoria, infatti, la manifestazione macroscopica della morte di unnumero significativo di cellule nervose è una variazione nella densitàdei tessuti e, se tale fenomeno è esteso, il soggetto inizia a presentaredisfunzioni cognitive.

La possibilità di ricercare evidenze di queste alterazioni ancora inassenza di sintomi clinici è alla base del neuroimaging e il grandeinteresse rivolto alle fasi precliniche della malattia di Alzheimer si ètradotto nella recente definizione di una nuova categoria clinica detta“Mild Cognitive Impairment” (MCI).

È stata introdotta per definire la fase sindromica in cui il deficitcognitivo, misurabile da appositi test neuropsicologici, non è legatoalla presenza di neurodegenerazione o a malattie cerebrali. Nel ca-so in cui il soggetto MCI evolva in AD, questa condizione rispecchiauna fase di transizione tra il normale invecchiamento e la demen-za [26] e si riferisce a una popolazione di soggetti che sono parzial-mente compromessi nella loro quotidianità da un deficit cognitivosubclinico1.

1 Dicesi di ogni fenomeno patologico che non manifestandosi con segni o sintomiobiettivi, in quanto in fase precoce o in forma lieve, sfugge all’esame clinico e puòessere scoperto con indagini di laboratorio o strumentali.

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2.1 caso di studio : misura della neurodegenerazione legata alla malattia di alzheimer 17

Le caratteristiche del deficit di memoria riscontrato in questa ca-tegoria di soggetti sono più simili a quelle riscontrate nei soggettiaffetti dalla malattia di Alzheimer che negli individui non affetti [27],mentre il funzionamento cognitivo generale è più vicino a quello deicontrolli che non a quello degli AD [28, 29]. Per questo si suppone chei soggetti che hanno sviluppato una forma di demenza abbiano attra-versato, in precedenza, una fase di compromissione cognitiva lievecaratterizzata da un maggiore danneggiamento dell’area del cervellolegata alla memoria; tale supposizione è alla base della definizione diMCI.

Poiché i soggetti MCI possono evolvere in differenti tipi di demen-za (AD, demenza vascolare, demenza fronto-temporale, afasia pro-gressiva primaria, demenza a corpi di Lewy) o possono rimanere sta-bili, è molto importante classificare e caratterizzare accuratamente lediverse categorie di individui che lo presentano e, a questo proposito,se ne individuano diverse varianti: solo il 50% dei soggetti affetti daMCI evolvono in AD e sono detti MCI converter (MCI-co), se, invece,rimangono stabili o evolvono verso altre forme di demenza sono dettiMCI non converter (MCI-nc) [30].

Nonostante l’interesse riguardo le prime fasi della malattia di Alz-heimer che spiega anche l’importanza della definizione di criteri dia-gnostici per individuare i soggetti MCI, quest’ultimi mancano di spe-cificità [31]. Pertanto la combinazione di informazioni cliniche, biolo-giche, biochimiche e derivate dalle tecniche di neuroimaging correlatealla patogenesi dell’Alzheimer, potrebbe portare a un miglioramentodiagnostico anche nei riguardi di questa categoria di individui e, inquesto contesto, le ricerche si focalizzano sullo sviluppo di sofistica-ti metodi di analisi atti a estrarre informazioni clinicamente rilevantiper una stima quantitativa di questo stato.

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18 ricerca e estrazione del segnale

2.1.2 Il modello di neurodegenerazione: “Cascata Amiloide”

Il modello biologico di neurodegenerazione ad oggi più accreditato èquello della “Cascata Amiloide” [32].

Questa ipotesi suggerisce che il dismetabolismo della proteina APP,che porta alla formazione delle placche amiloidi, sia la causa principa-le della patogenesi della malattia di Alzheimer. I depositi di amiloidedisturbano il trasporto degli impulsi nervosi attraverso l’assone2, tut-to ciò induce la morte delle cellule nervose e variazioni delle funzio-nalità sinaptiche che portano a una disfunzione cognitiva del soggettoche ne è affetto.

Figura 8: Nella figura è riportata la catena di eventi e alterazioni biochimi-che che portano alla demenza secondo il modello teorico dettoCascata Amiloide

A partire da questo modello si possono pensare meccanismi di at-tuazione dei processi biochimici, misurabili per studiare lo sviluppodell’Alzheimer e che quantifichino lo stato della patologia.

2 L’assone è una parte del neurone ed ha il ruolo di trasportare gli impulsi nervosi

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2.1 caso di studio : misura della neurodegenerazione legata alla malattia di alzheimer 19

Ogni curva del seguente grafico 9 rappresenta il possibile anda-mento qualitativo, dalla condizione di normalità sino alla demenza,dei diversi aspetti presi in esame.

Figura 9: La figura mostra l’andamento qualitativo, dalla condizione di nor-malità sino alla demenza, dei diversi biomarcatori che fornisconola misura indiretta della neurodegenerazione. Nella prima partedel grafico si tiene conto di processi che intervengono prima dellacomparsa dei sintomi cognitivi (fase preclinica) legati alla chimicae alla biologia dei processi cerebrali che quantificano il depositodi amiloide nei tessuti, al dismetabolismo e alla variazione dellavolumetria e della densità dei tessuti che si verifica quando i neu-roni iniziano a morire. Nella seconda parte del grafico le curvedescrivono il decremento delle capacità cognitive dei soggetti (fasiclinica)

Le curve descrivono possibili aspetti della neurodegenerazione le-gati a diversi processi biochimici e suggeriscono di utilizzare varietecniche diagnostiche, in quanto ognuna di esse è sensibile a uno diquesti aspetti. Nella prima parte del grafico si tiene conto di processiche intervengono prima della comparsa dei sintomi cognitivi; le inter-pretazioni dei biomarcatori, in questa fase, sono legate alla chimicae alla biologia dei processi cerebrali, attraverso i quali si quantificail deposito amiloide nei tessuti[33, 34], sono legate al metabolismo,attraverso cui si quantifica la progressiva disfunzione neuronale, mi-surando il consumo di glucosio [35] da parte delle cellule cerebrali e,quando le cellule iniziano a morire, sono legate alla variazione dellavolumetria e della densità dei tessuti [36]. Questi cambiamenti costi-tuiscono la fase della patologia detta preclinica e si possono indivi-duare rispettivamente con analisi del liquido cerebrospinale (CSF), laPET Amilode, la FDG-PET e la MRI. Le restanti misure dei marcatoridescrivono il decremento delle capacità cognitive dei soggetti che vie-ne quantificato attraverso specifici test neuropsicologici; questa fasedella patologia è detta fase clinica.

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20 ricerca e estrazione del segnale

Il passaggio dalla fase preclinica a quella clinica avviene in un arcodi tempo che copre circa vent’anni, arrivata alla fase clinica il decor-so dei processi neurodegenerativi diviene molto rapido: nell’arco dicirca 5 anni.

2.1.3 La misura della neurodegenerazione

Facendo fede al modello appena descritto, cerchiamo misure di neu-rodegenerazione che possano fornirne una stima quantitativa in mo-do da individuare, tra le altre, la malattia di Alzheimer nelle sue fasiprecliniche.

Abbiamo esaminato dei marcatori affrontando il problema da unpunto di vista fisico: in questo contesto la malattia è stata trattatacome segnale da discriminare rispetto al rumore, rappresentato datutti gli effetti presenti in assenza di una patologia.

Il compito dei processi di elaborazione d’immagine è, quindi, quel-lo di contribuire a produrre una diagnosi nelle prime fasi della neu-rodegenerazione: si vorrebbe, in pratica, identificare una misura ingrado di discriminare i soggetti non affetti dalla patologia da quel-li affetti, già durante la fase preclinica, che sia facile da eseguire epossibilmente basata su procedure comunemente utilizzate nella pra-tica ospedaliera. Deve essere possibile, inoltre, definire marcatori ac-curati e consistenti, clinicamente significativi e con un buon valorepredittivo che quantifichino la neurodegenerazione.

La forma con cui la neurodegenerazione si presenta nei soggettiaffetti non è conosciuta e, per portare avanti l’analisi, si è soliti fare leseguenti assunzioni:

1. La neurodegenerazione è un segnale continuo e si individua neisoggetti prima che presentino una condizione patologica.

2. La neurodegenerazione dovuta alla patologia si aggiunge a quel-la dovuta al normale invecchiamento.

3. La patologia si manifesta seguendo uno schema riconoscibilenei soggetti.

4. Il segnale si può individuare e quantificare in ogni singolo sog-getto affetto dalla patologia.

5. La quantità che si individua è proporzionale allo stato patologi-co.

2.1.4 L’interpretazione del biomarcatore nell’FDG-PET

Il cervello utilizza il glucosio come risorsa di energia [37] e il metabo-lismo del glucosio è strettamente legato al funzionamento dei neuronisia a riposo che nella loro fase di attivazione.

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 21

Acquisendo un’immagine FDG-PET mentre i soggetti non sonoimpegnati in nessuna particolare attività, la distribuzione del gluco-sio nelle cellule cerebrali è primariamente determinata dall’attivitàneuronale basale3 e rappresenta lo stato di salute dei neuroni [38].

Con la misura del consumo di glucosio e del flusso sanguigno siidentificano regioni con una ridotta funzionalità sinaptica, piuttostoche neuronale: condizione che precede la morte delle cellule cerebralie caratteristica della fase preclinica della patologia.

L’impiego dei radionuclidi rende l’FDG-PET un metodo diagnosti-co piuttosto invasivo e il suo utilizzo deve essere cauto e ben legittima-to da alti valori di sensibilità e specificità4; l’ipometabolismo regiona-le che si misura con l’FDG-PET ha un’alta sensibilità nel distingueresoggetti AD da quelli non affetti dalla patologia e anche a discrimi-nare individui ad alto rischio di sviluppare l’Alzheimer da individuinon a rischio, ma ha una bassa specificità [39] in quanto la presenzadi un ridotto consumo di glucosio da parte delle cellule cerebrali è unsintomo proprio anche di altre patologie neurodegenerative [40]. Nel-la fase preclinica dell’AD l’utilizzo dell’FDG-PET, a causa della suabassa specificità, è ancora limitato all’ambito della ricerca, ma diversistudi [41] mostrano che il danneggiamento sinaptico che precede lamorte delle cellule cerebrali avviene nelle primissime fasi della pa-tologia e, se individuato, può portare a una diagnosi estremamenteprecoce della stessa. In questo contesto l’FDG-PET è uno strumen-to che, unito alle valutazioni cliniche e ai test neuropsicologici, puòcontribuire ad aumentare la probabilità di individuare l’Alzheimer.

2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’e-strazione del segnale

L’analisi visiva

Nonostante il largo utilizzo delle tecniche di imaging, che fornisco-no immagini dalle quali si possono ricavare indicazioni morfologichee funzionali utili per diagnosticare le patologie cerebrali, le informa-zioni a disposizione dei clinici sono limitate se essi utilizzano la solaanalisi visiva per formulare una diagnosi.

L’uso di una scala visiva per la classificazione delle immagini èqualitativo, veloce e largamente applicabile, ma diminuisce grande-mente il potere diagnostico di queste tecniche aumentando il rischiodi commettere errori, soprattutto nell’individuare le fasi iniziali deiprocessi neurodegenerativi. Inoltre non è adatta a esaminare in modoaffidabile un grande numero di immagini e, come precedentemente

3 Il metabolismo basale è il dispendio energetico di un organismo a riposo.4 con sensibilità si indica la capacità intrinseca di un test di individuare in una po-

polazione di riferimento i soggetti malati. Tale concetto si contrappone a quello dispecificità cioè la capacità del test di individuare come negativi i soggetti sani.

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22 ricerca e estrazione del segnale

sottolineato, parte dei sintomi propri dell’AD non sono specifici diquesta patologia; quindi la sola immagine non è un indicatore direttodell’Alzheimer e dei suoi stadi preclinici.

Per sfruttare a pieno le potenzialità delle tecniche diagnostiche diimaging è necessario mettere a punto un processo automatico e quan-titativo che possa classificare lo stato neurodegenerativo di un nuovosoggetto eliminando le limitazioni insite nell’analisi visiva.

Il processo automatico

Un algoritmo automatico che fornisca una stima dei biomarcatoriaventi alta sensibilità nell’individuare la neurodegenerazione deveessere in grado di gestire gli effetti confondenti trattati nel capitoloprecedente: il segnale cercato è completamente nascosto dalle diso-mogeneità dovute a un diverso orientamento delle immagini nellospazio, a una diversa normalizzazione della loro intensità e alle diffe-renze interindividuali dei soggetti. Visto che il segnale viene definitocomparando gruppi di soggetti già clinicamente classificati, lo primafase del processo automatico è rendere le immagini comparabili.

Per rendere le immagini tra loro confrontabili, un processo automa-tico segue tipicamente alcuni passaggi: il primo passo è detto qualitycheck ed è necessario per eliminare dall’analisi le immagini tropporumorose e con artefatti da movimento evidenti, effetti dovuti al ru-more di acquisizione. Per individuare un biomarcatore affidabile siha, infatti, bisogno che la qualità delle immagini utilizzate sia alta.

Il secondo passo coinvolge tutti quei processi che rendono possibi-le effettuare sulle immagini una solida analisi statistica ed è la nor-malizzazione. Essa coinvolge una fase di normalizzazione spaziale, checonsiste nel fare in modo che le strutture anatomiche delle immaginirisultino ben allineate; tale processo aiuta a individuare le differenzetra le i diversi soggetti. Un’altra fase del processo di normalizzazio-ne è la normalizzazione dell’intensità che ha lo scopo di uniformare ivalori dei livelli di grigio delle immagini in particolare strutture diriferimento.

Nell’FDG-PET l’intensità delle immagini può essere molto diversada individuo a individuo, per esempio a causa delle differenze meta-boliche di ogni soggetto. Tramite la normalizzazione, si fa in modo diassicurare un’uniformità delle varie immagini trattate.

Dopo queste prime fasi vi sono diverse possibili scelte da valuta-re per l’estrazione dei biomarcatori: uno dei processi più utilizzaticonsiste nell’individuare le zone di maggior interesse e si chiama Fea-ture Selection: esso si basa sull’assunzione che l’informazione cercatanon sia contenuta in tutti i dati esaminati, ma che parte di essi sianoridondanti e parte irrilevanti o addirittura confondenti.

A questo punto dell’analisi i fattori confondenti dovuti alla variabi-lità tra i soggetti sono ridotti e si è pronti a passare alla classificazione:

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 23

un algoritmo appropriato deve essere testato per verificare la sua effi-cacia nel classificare nuovi soggetti: esso deve essere in grado, a par-tire dalle caratteristiche dei soggetti noti, di dividere nuovi individuisecondo le loro categorie di appartenenza.

Al termine di tutto questo è possibile attribuire a un’immagineuna quantità, cioè l’output del classificatore scelto, in grado di for-nire un’informazione significativa riguardo al nuovo soggetto e il suostato neurodegenerativo.

I passaggi elencati verranno presentati e discussi in dettaglio nelterzo capitolo della trattazione.

2.2.1 Strumenti per la selezione delle immagini

2.2.1.1 L’ADNI

Preliminarmente al processo di elaborazione di immagini bisognaprovvedere alla loro selezione. Questa prima scelta influirà sui passisuccessivi del processo di analisi che si intende implementare, poi-ché, con essa, si introducono il rumore fisiologico, il rumore di GoldStandard e il rumore dovuto all’acquisizione delle immagini stesse: lefonti di rumore saranno tanto minori quanto più accuratamente saràeffettuata questa fase dell’intero processo.

Le immagini utilizzate per l’analisi sono state selezionate da undatabase pubblico del Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative(ADNI)5 [16].

I ricercatori coinvolti in questo progetto raccolgono e validano im-magini MRI e PET, informazioni genetiche, test cognitivi e altri bio-marcatori, in modo che possano essere utilizzati come indici di pre-dizione dell’AD, tutti provenienti da diversi centri ospedalieri delNord America. Gli studi condotti includono pazienti con Alzheimer,soggetti MCI e persone anziane facenti parte del gruppo di controllo.

Tale iniziativa, partita nel 2005, è, ad oggi, la più grande colle-zione di immagini e altri dati sulla neurodegenerazione e la malat-tia di Alzheimer esistente e permette di sfruttare studi multicentricidiminuendo così il rumore di Gold Standard.

Al 2013 all’interno del database dell’ADNI erano registrati 229 sog-getti anziani sani, 398 MCI e 192 pazienti AD che sono stati seguitiper 2 o 3 anni.

La scelta dei gruppi: Controlli, AD e MCI-co

I soggetti inclusi nella nostra analisi sono divisi in due gruppi: ilprimo formato da pazienti di cui conosciamo la valutazione clinica,da utilizzare per ottimizzare la procedura scelta, e un altro di soggettiMCI con cui testare la sua efficienza.

5 Tutte le informazioni collezionate nel database sono fruibili sul sitohttp://www.loni.ucla.edu/ADNI/Data.

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24 ricerca e estrazione del segnale

Il gruppo usato per ottimizzare il processo, formato equilibrandola percentuale di uomini e donne, consiste di 137 soggetti non affettidalla malattia di Alzheimer, detto gruppo di controllo, e di 81 AD,quello usato per testare l’efficienza del processo è composto da 86

soggetti definiti MCI al tempo dell’analisi FDG-PET esaminata e con-vertiti in AD entro due anni dalla stessa, quindi definibili a posterioriMCI-co.

Tutti i soggetti sono stati scelti in modo che le informazioni (esa-mi diagnostici e metadati) ad essi relative siano complete per poterlicomparare confrontando eventualmente altri dati oltre le immaginiFDG-PET.

Uno degli indici utilizzati per la selezione è il Mini Mental ScoreExamination (MMSE), che è uno dei più comuni test neuropsicologiciusati per valutare la presenza e lo stadio dell’Alzheimer nella faseclinica; il punteggio di questo test va da 0 a 30, dove 30 è il punteggiotipico di un soggetto appartenente al gruppo di controllo.

2.2.2 Strumenti per la normalizzazione delle immagini

2.2.2.1 Normalizzazione spaziale

La Normalizzazione spaziale, detta anche co-registrazione di imma-gini, si riferisce al processo di stima di una trasformazione spaziale Tche mappi i punti appartenenti all’immagine che si vuole registrare(immagine mobile) sui punti di un’immagine di riferimento (immagi-ne fissa o template) permettendo di sovrapporle con diversi gradi disimilarità, a seconda della trasformazione usata [42].

Questo concetto è schematicamente rappresentato in figura 10

Figura 10: Nella figura è rappresentata schematicamente l’idea alla base delprocesso di registrazione d’immagini, nel quale si individua unatrasformazione spaziale che mappa i punti di un’immagine sul-le corrispondenti posizioni di un’altra sino alla loro completasovrapposizione

La co-registrazione è una tecnica ampiamente utilizzata per molteapplicazioni tra cui, ad esempio, la creazione di immagini panora-miche, la microscopia, la robotica e, ovviamente, l’imaging medico.Per la diversità delle immagini che devono essere co-registrate e per

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 25

le molteplici situazioni in cui è richiesta la co-registrazione, non esi-ste un metodo universale applicabile e, per affrontarla, è divenutastandard la seguente suddivisione in sotto-problemi distinti:

1. Stima della trasformazione

2. Misura della distanza tra le immagini

3. Interpolazione

4. Ottimizzazione

I vari componenti della registrazione e le loro relazioni sono mo-strate in figura 11

Figura 11: schema tipico del processo di co-registrazione ne quale si indivi-duano due immagini di input, una trasformazione, una metrica,un interpolatore e un ottimizzatore

L’immagine 11 rappresenta uno schema in cui si vede l’ordine incui vengono affrontati i sottoproblemi esposti. Per prima cosa sonoriportati i dati di input, cioè l’immagine mobile e la fissa, la prima daco-registrare sulla seconda.

Registrare due immagini significa di fatto rendere minore possi-bile la loro distanza e per farlo si utilizza una trasformazione. Se èparametrica il problema si riduce a trovare il minimo in uno spaziodi dimensioni uguali al numero dei parametri della trasformazionestessa e, in questo contesto la distanza utilizzata ha un ruolo rilevan-te. Se, invece la trasformazione utilizzata è deformabile, lo spazio incui si opera ha dimensioni infinite e la distanza utilizzata non basta.Tratteremo questo concetto più dettagliatamente in seguito.

La parte più delicata per trovare la migliore sovrapposizione delleimmagini è la metrica, per questo motivo, ci soffermiamo su questopunto.

La scelta del tipo di distanza da utilizzare dipende fortemente daltipo di registrazione che si deve effettuare: alcune sono adatte perimmagini acquisite con la stessa modalità, mentre altre per moda-lità diverse. Il metodo da noi utilizzato per la registrazione si basasull’intensità delle immagini ed è quello più utilizzato in letteratura[42].

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26 ricerca e estrazione del segnale

Non esiste una regola a priori per decidere la funzione distanzada utilizzare, tra le più usate vi sono la Somma dei quadrati delle dif-ferenze delle intensità, il cui acronimo deriva dall’espressione ingleseSquared Sum Difference (SSD), il Coefficiente di cross-correlazione (CC)e la Mutual Information (MI), in quanto si sono rivelate più versatili edefficienti dal punto di vista dei risultati ottenuti.

Nella seguenti formule 2, 3 e 4, Ai indica l’intensità dell’i-esimopunto dell’immagine fissa e Bi indica l’intensità del punto corrispon-dente al primo nell’immagine mobile. T indica la trasformazione uti-lizzata e, infine, N è il numero complessivo di punti delle immagini.

La SSD calcola la media della somma dei quadrati delle differenzedelle intensità tra coppie corrispondenti di punti delle immagini daco-registrate.

SSD(A, B) =1N

N

∑i=1

(Ai − BTi )

2 (2)

Per questo motivo le intensità delle immagini stesse devono esserecompatibili e questo accade se si visualizza lo stesso processo chimi-co biologico e se la scala utilizzata per l’intensità è la stessa. Quindila SSD è utilizzata per co-registrazioni di immagini che condivido-no la stessa modalità (intra-modality) e soprattutto aventi valori diintensità compatibili [43, 44].

Quando le due immagini, fissa e mobile, sono allineate il valore del-la correlazione raggiungerà il suo massimo, pertanto determinandoil valore massimo di CC si individua la trasformazione ottimale.

CC(A, B) =∑N

i=1((Ai − A)(BTi − B))√

∑Ni=1(Ai − A)2 ∑N

i=1(BTi − B)2

(3)

Nella formula A e B indicano i valori medi delle intensità delleimmagini dell’immagine A e B.

Il coefficiente di cross-correlazione, come già la metrica SSD, è uti-lizzato per co-registrazioni intra-modality [45] anche nel caso in cuile intensità delle immagini da registrare non siano compatibili.

La Mutual Information calcola l’informazione in comune tra dueimmagini A e B, misurando l’informazione di una variabile casua-le, ad esempio l’intensità dell’immagine mobile, rispetto ad un’altravariabile casuale come l’intensità dell’immagine fissa [46].

I(A, B) = H(A) + H(B)− H(A, B) (4)

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 27

Essa è definita in termini di entropia di Shannon:

H(A) ≡∫

pA(a)log(pA(a))da (5)

Intuitivamente misura l’informazione che l’immagine fissa e la mo-bile condividono, cioè quanto la conoscenza di una di queste riducela nostra incertezza riguardo all’altra. Se le due immagini sono indi-pendenti, allora la conoscenza dell’immagine mobile non dà alcunainformazione riguardo alla fissa e viceversa, perciò la loro mutua in-formazione è zero. All’altro estremo, se sono identiche allora tutte leinformazioni trasmesse dalla prima sono condivise con la seconda.Quindi, quando le due immagini sono allineate, il valore della MIraggiungerà il suo massimo.

Il vantaggio maggiore che si ha nell’usare la MI è che non c’è bi-sogno di specificare la forma di dipendenza tra le variabili e ciò larende adatta alla co-registrazione multimodale.

In linea di principio tutte le metriche dovrebbero dare lo stesso ri-sultato. Nella pratica alcune sono più adatte di altre e ciò non dipen-de dal processo di registrazione, ma dalle caratteristiche intrinsechedelle immagini da registrare.

Classi di Trasformazione per la Co-registrazione

Una distinzione fondamentale tra le diverse tecniche di co-registrazioneè quella fra tecniche che fanno uso di trasformazioni basate su model-li rigidi e quelle che, invece, si basano su modelli deformabili.

La Trasformazione Affine

In questa classe di trasformazioni le nuove coordinate sono trasfor-mazioni lineari delle coordinate originali.

Nel nostro lavoro abbiamo utilizzato il modello affine [47], una tra-sformazione a 12 parametri che coinvolge traslazioni, rotazioni e lascalatura dell’immagine mobile perché essa combaci con il templa-te, preservando il parallelismo, ma non distanze ed angoli. Quin-di linee rette dell’immagine mobile vengono mappate su linee rettedell’immagine fissa.

Solitamente si esprime utilizzando le coordinate omogenee:

(x2y2

)= A

(x1y1

)+ B (6)

A seconda delle matrici A e B si ottengono traslazioni pure

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28 ricerca e estrazione del segnale

A =

∣∣∣∣∣1 0

0 1

∣∣∣∣∣ ; B =

(b1b2

)(7)

rotazioni pure

A =

∣∣∣∣∣cos(θ) −sin(θ)

sin(θ) cos(θ)

∣∣∣∣∣ ; B =

(00

)(8)

oppure stiramenti

A =

∣∣∣∣∣a11 0

0 a22

∣∣∣∣∣ ; B =

(00

)(9)

Il modello affine rientra nelle classi di trasformazioni parametrichee, essendo a 12 parametri, applicarla per effettuare la co-registrazionedi immagini, significa ricercare il minimo della distanza scelta in unospazio a 12 dimensioni.

In questo contesto la distanza per la ricerca del minimo riveste unruolo importante nel processo di registrazione e, come illustrato nelterzo capitolo, per scegliere quella che meglio si presta alla nostraanalisi abbiamo effettuato varie prove.

La trasformazione Deformabile

Questa classe di trasformazioni, oltre alle operazioni consentite dalletrasformazioni affini, permette di deformare l’immagine mobile. Lospazio in cui si opera utilizzandola è a infinite dimensioni e l’ope-razione di ricerca del minimo della metrica non basta per effettua-re la registrazione, ma è necessario aggiungere ulteriori termini diregolarizzazione.

Quindi quando si applica una trasformazione deformabile oltre ascegliere la metrica, che al contrario di prima, non è di fondamentaleimportanza, si sceglie una classe di trasformazioni.

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 29

Per la nostra analisi abbiamo scelto un modello diffusivo, che intro-duciamo brevemente e semplicemente utilizzando un’analogia con iDemoni di Maxwell.

Figura 12: La figura mostra l’azione dei Demoni di Maxwell su un gas com-posto da due differenti specie chimiche (a e b), in una scatoladivisa da una membrana in due porzioni (A e B).

Il concetto dei demoni fu introdotto da Maxwell nel diciannovesi-mo secolo per illustrare un paradosso termodinamico (vedi figura 12).Si assuma di avere un gas composto da due tipi di molecole: a e b,separati da una membrana semipermeabile. Si assuma, inoltre, chequesta membrana contenga dei “demoni” in grado di distinguere idue tipi di particella e che essi permettano alla particella di tipo a didiffondere solo verso il lato A e a quella b di diffondere solo verso illato B.

La configurazione finale, mostrata nella seconda figura dell’imma-gine 12, ha un’entropia inferiore di quella iniziale e questo è in con-trasto con il secondo principio della termodinamica. Il paradosso sirisolve in quanto i demoni generano una grande quantità di entro-pia riconoscendo le particelle e nel complesso l’entropia totale delsistema aumenta.

Applicando quanto appena spiegato nell’ambito della co-registrazionedi immagini, il problema da affrontare è deformare l’immagine mobi-le per farla assomigliare alla fissa il più possibile.

Consideriamo il bordo dell’immagine fissa come la membrana se-mipermeabile dell’esempio precedente e immaginiamo su di esso di-sposti i demoni. L’immagine mobile è, invece, da considerarsi comeuna griglia deformabile i cui vertici sono formati da particelle rispetti-vamente chiamate “dentro” o “fuori”, a seconda dell’azione che i de-moni avranno su di esse [48]. Ogni demone è un “effettore” che spin-gendo all’interno o respingendo all’esterno della membrana i puntidell’immagine mobile la porta a sovrapporsi perfettamente cone lafissa.

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30 ricerca e estrazione del segnale

Quanto detto è raffigurato nell’immagine 13

Figura 13: Applicando i modelli diffusivi alla registrazione delle immagini,l’immagine mobile da co-registrare è considerata una griglia de-formabile e viene diffusa attraverso il bordo dell’immagine fissa,grazie all’azione di effettori, detti “demoni”.

L’applicazione di una trasformazione deformabile consente di rag-giungere una completa sovrapposizione delle immagini a discapi-to di una totale perdita di informazione che può essere recuperatasolamente analizzando il campo di deformazione, che tiene contodel movimento dell’oggetto co-registrato e dipende dalle sue pro-prietà fisiche, attraverso lo studio del determinante Jacobiano6 dellatrasformazione stessa.

Per confrontare le differenze nelle strutture anatomiche degli indi-vidui procederemo co-registrando le immagini su un template, in ma-niera da riportare tutto ad un unico sistema di riferimento da usareper il confronto.

2.2.2.2 Normalizzazione d’intensità

Mentre nella registrazione e nelle precedenti fasi del processo automa-tico non si tiene conto di informazioni strettamente legate alla clinicadei soggetti, nella normalizzazione di intensità, detta anche equaliz-zazione, bisogna far riferimento a informazioni cliniche e relative alproblema che si sta esaminando. Un metodo semplice, comunementeusato consiste nel riconoscere un volume di riferimento che si suppo-ne che non subisca gli effetti della patologia, tra le zone utilizzate pereffettuare la normalizzazione in analisi analisi morfologiche e strut-turali si trova, ad esempio, il cervelletto. Questa procedura permettedi quantificare la variabilità dei tessuti di uno stesso soggetto o trasoggetti diversi e, grazie ad essa, si possono ridurre fonti di rumorecome il rumore fisiologico [49].

Nella malattia di Alzheimer, tuttavia, la scelta di un’area di riferi-mento è problematica in quanto si attesta una significativa riduzione

6 Consideriamo il campo di deformazione w(x) e la trasformazione T(x) = x + w(x),la quantità | ∂T

∂x | è lo Jacobiano della trasformazione T(x) e descrive le deformazioninecessarie ai punti dell’immagine mobile per essere sovrapposta al template

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 31

del rate di metabolismo e del flusso sanguigno in una vasta area delcervello [50, 51] e, in questo caso, è necessario utilizzare altri metodidi normalizzazione.

Una possibile scelta consiste nel realizzare la normalizzazione diintensità del cervello tenendo conto della sua attività media globaleche viene determinata come valor medio di quei voxel7 che superanouna certa soglia [52].

Questa tecnica è stata introdotta perché fosse possibile minimizzareil fattore confondente derivato dalle differenze interindividuali deivari soggetti senza bisogno di aggiungere ulteriori informazioni che,chiaramente, possono aumentare l’errore della misura cercata.

2.2.3 Strumenti per l’individuazione delle caratteristiche significative delsistema

La Feature Selection è un metodo di analisi che serve a ridurre la di-mensionalità dello spazio in cui si opera. Nel far questo si cerca dibuttare via quelle parti di informazione che non servono o che sonoridondanti. Esistono casi in cui tutte le informazioni sarebbero poten-zialmente rilevanti e, quando questo accade, la feature selection ne eli-mina una parte. Nonostante questo la sua applicazione va comunquea vantaggio della stabilità dell’analisi.

Nel campo del neuroimaging le immagini di ogni individuo forni-scono 103o104 variabili, non considerando le parti nere delle stessee i metadati, ma database multicentrici come quello dell’ADNI, chericordiamo essere tra i maggiori al mondo, raccolgono al loro internoimmagini e valutazioni mediche relative a circa 500 individui. Quindi,senza operazioni di riduzione della dimensionalità, si avrebbe un nu-mero di istanze grandemente inferiore al numero di variabili prese inesame, che ci pone in una condizione sfavorevole ai fini dell’analisi.

Inoltre un’ulteriore caratteristica delle variabili in esame è che nontutte sono linearmente indipendenti e molte di queste non sono affat-to correlate con la patologia. Facendo riferimento alla nostra analisi,utilizzare come metodo di indagine l’attività metabolica e quindi ilrate di glucosio bruciato dalle zone cerebrali, non fornisce informa-zioni legate alla sola malattia di Alzheimer e questo introduce fattoriconfondenti che tentiamo di limitare proprio utilizzando la featureselection.

Poiché riusciamo a valutare solamente dopo aver classificato i sog-getti quale sia il modo migliore di applicarla, scegliamo di utiliz-zare due diversi metodi di Feature Selectione: il primo basato sul-l’individuazione di particolari regioni cerebrali di interesse, che perbrevità chiameremo ROI, il secondo basato sull’individuazione delle

7 Un voxel (volumetric picture element) è un elemento di volume che rappresen-ta un valore di intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale,analogamente al pixel che rappresenta un dato di un’immagine bidimensionale.

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32 ricerca e estrazione del segnale

componenti principali dello spazio delle immagini, che per brevitàchiameremo PCA.

2.2.3.1 Estrazione delle regioni d’interesse (ROI)

L’obiettivo di questa operazione è quello di determinare zone precisedel cervello, accuratamente registrate e equalizzate, sulle quali si pos-sano misurare caratteristiche salienti dell’immagine legate ai processibiochimici dovuti alla neurodegenerazione.

Nel caso esaminato, la scelta relativa alle regioni di interesse daestrarre viene fatta tenendo conto che nei soggetti AD l’intensità me-dia dei voxel è inferiore a quella dei soggetti appartenenti al gruppodi controllo in quanto il metabolismo nei primi subisce un’eviden-te riduzione [50] a causa della neurodegenerazione che colpisce piùaree del cervello. A partire da queste informazioni si cerca di indi-viduare regioni che massimizzino tale differenza, quindi, con questometodo, si mantengono inalterate le strutture anatomiche delle testee conseguentemente rimane stabilito un certo legame con il problematrattato.

L’individuazione di specifiche regioni cerebrali di interesse vienefatta ponendo una soglia in intensità alle immagini, al fine di estrarre ivoxel in cui è racchiusa l’informazione che differenzia maggiormentel’attività metabolica dei due gruppi di soggetti che si suppone sianoquelli aventi maggiore intensità, per quanto detto prima.

Un’altra caratteristica importante da tenere in considerazione è ladimensione delle ROI selezionate, che devono essere:

1. abbastanza grandi da poter trascurare le variazioni dei valori diintensità dei voxel all’interno di un singolo gruppo.

2. abbastanza piccole da consentire al loro interno una condizionedi omogeneità, che porti a stabilire un valore di intensità mediacaratteristico per ogni gruppo di soggetti.

Le condizioni poste sono caratteristiche necessarie affinché l’inten-sità delle immagini discrimini i 218 soggetti della nostra analisi.

Infatti, se il volume della regione cerebrale estratta è troppo grande,cioè se i voxel al suo interno sono troppi, la ROI ha al suo interno unagrande variabilità dei valori di intensità sia nei soggetti AD che neicontrolli e il suo valor medio non discrimina i due gruppi.

D’altra parte se il volume della regione cerebrale di interesse è trop-po piccolo, quindi al suo interno vi sono pochi voxel, l’intensità puòessere diversa anche tra soggetti di un singolo gruppo e, nuovamente,non si può utilizzare per discriminare i soggetti efficacemente.

2.2.3.2 L’analisi delle componenti principali (PCA)

L’analisi delle componenti principali, dall’inglese Principal ComponentAnalysis (PCA) [53] è una tecnica che trasforma un set di variabili

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 33

del sistema tra loro correlate in variabili linearmente indipendentichiamate componenti principali. Il numero di componenti principaliè minore o al più uguale a quello delle variabili iniziali.

Questo metodo, al contrario del precedente, prescinde dalle imma-gini in quanto tali e permette di generalizzare il problema portandoload un maggior livello di astrazione: esso esegue la riduzione delladimensione dello spazio delle immagini individuando le direzioniprincipali, come mostra la figura 14

Figura 14: L’immagine mostra un insieme di punti rappresentati in uno spa-zio tridimensionale. Nella parte b della figura sono visualizzatele componenti principali dello spazio.

Nell’immagine 14 si vede che i punti nello spazio tridimensionalesono distribuiti prevalentemente lungo una direzione: PC1. Il restodelle componenti principali si individua tenendo conto che tutte de-vono essere tra loro perpendicolari, in quanto indipendenti le unedalle altre.

Alla base dell’utilizzo della PCA come metodo di feature selectionnella nostra analisi, vi è il fatto che i sottospazi generati dai due grup-pi di soggetti, avendo dimensioni distinte e quindi un diverso numerodi componenti principali, siano differenziabili lungo una o più dire-zioni dello spazio. Con la nostra analisi vogliamo selezionare quellalungo la quale si riescono a differenziare meglio i soggetti AD dainormali.

2.2.4 Strumenti statistici

2.2.4.1 Le curve ROC

Le prestazioni dei biomarcatori vengono solitamente espresse in ter-mini di sensibilità e specificità, che forniscono rispettivamente il nu-mero di soggetti classificati come veri positivi (TP) e quello di soggetticlassificati come veri negativi (TN), individuati dall’analisi condotta.Riferendoci alla figura 15, mostrata di seguito e osservando le distri-buzioni, costruite a partire dalla tabella di contingenza accanto, si

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34 ricerca e estrazione del segnale

vede che i valori di sensibilità e specificità di una analisi vengonousualmente stimati a seguito della scelta di un cutoff.

Figura 15: esempio di discriminazione tra due diverse distribuzioni e rap-presentazione del relativo potere discriminante tramite una cur-va ROC. Sugli assi è riportata la sensibilità in funzione di(1-specificità) della procedura di analisi

Nel prendere decisioni di tipo statistico è sempre possibile commet-tere degli errori. Nel nostro caso e in campo medico in generale, sieseguono dei test nei quali vengono considerate due ipotesi: l’ipote-si nulla, solitamente indicata con H0, che riguarda la presenza dellapatologia in esame e un’ipotesi alternativa, chiamata H1. Quando l’i-potesi H0 viene accettata se falsa o, viceversa, rifiutata se vera, vienecommesso un errore di primo tipo e, poiché l’ipotesi H1 è l’unica al-ternativa a quella nulla, commettendo un errore nel valutare H0 nonlo si fa nei confronti di H1. Quando, invece, H0 viene accettata, severa, o rifiutata, se falsa, significa che nel valutare H1 si è commessoun errore, detto di secondo tipo.

In entrambe i casi, quindi, si commette un errore di giudizio e unaregola di decisione è considerata buona, se è costruita in modo darendere minimi gli errori di primo e secondo tipo.

Quando il test d’ipotesi è svolto in campo medico, questi errorisi valutano in termini della tabella di contingenza: si misura il ratedi soggetti TP e TN, rispettivamente relativi all’ipotesi H0 e H1, e,nel valutarli, si commette un errore del primo tipo se si considerano isoggetti sani, malati (FP) e del secondo tipo se si considerano soggettimalati, sani (FN).

Usualmente si scelgono cutoff per fare in modo di diminuire il piùpossibile le ultime due categorie di soggetti definiti,uguagliandole, eaumentare al massimo il numero di soggetti classificati correttamente.

Le ROC sono curve che riportano l’andamento della sensibilità infunzione di (1-specificità), quindi il numero di soggetti veri positivi

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2.2 strumenti per l’elaborazione delle immagini e l’estrazione del segnale 35

in funzione del numero di falsi positivi e, al variare della soglia didiscriminazione, si ottengono classificazioni differenti.

Nel capitolo 3 classificheremo i soggetti appartenenti alla nostraanalisi considerando due diverse soglie di discriminazione: la prima,da cui si ricava il valore dell’area sotto la curva ROC, è basata su untaglio singolo, valutato in modo da minimizzare il numero di FP eFN; la seconda è basata su due tagli , valutati per avere un rate disoggetti TN e TP almeno del 95%.

La misura dell’area sottesa sotto la curva ROC, acronimo del termi-ne receiver operator characteristic, detta AUC, è un indice della capacitàdiscriminatoria del classificatore. Quando è circa 1, significa che laprocedura adottata ha un alto potere discriminante e dunque alti va-lori di sensibilità e specificità. Quando il valore della AUC è circa 0.5il classificatore scelto per condurre l’analisi ha un basso potere discri-minante e fornisce i risultati che fornirebbe un classificatore casuale[54].

2.2.4.2 La Clusterizzazione

Il clustering è uno dei metodi statistici più diffusi e consiste nel rag-gruppare diversi oggetti mettendo insieme quelli tra loro più similiriguardo alle caratteristiche prese in esame [55]. Questo tipo di ana-lisi è effettuata con diversi algoritmi di raggruppamento e diversenozioni di distanza tra i raggruppamenti ottenuti.

Il metodo da noi utilizzato è detto clustering gerarchico, esso è unapproccio di clustering che mira a costruire una gerarchia tra i gruppiformati. La strategia adottata per eseguire questo tipo di analisi è ditipo agglomerativo: si tratta di un approccio dal basso verso l’alto incui si parte dall’inserimento di ciascun elemento in un cluster diffe-rente e si procede quindi all’accorpamento graduale di cluster a duea due.

Per determinare l’appartenenza degli oggetti a un gruppo piuttostoche ad un altro e cioè per verificare la somiglianza tra gli stessi, siusa il concetto di distanza secondo cui gli elementi all’interno di unostesso cluster sono i più vicini. L’intero processo è iterativo ed è voltoad ottenere i migliori raggruppamenti possibili.

Il criterio di collegamento determina, invece, la distanza tra i varicluster creati in funzione della metrica scelta. Più avanti nella tratta-zione verranno confrontati due metodi: il primo basato sulla valuta-zione della varianza dei cluster uniti (Wards Criterion [56]), il secondometodo si basa sulla media delle distanze degli elementi appartenen-ti ai cluster uniti (Average Criterion). Il risultato ottenuto con il cluste-ring gerarchico viene solitamente visualizzato tramite un diagrammaad albero detto dendrogramma. Uno strumento grafico per la visualiz-zazione del coefficiente di similarità quantificato dai vari cluster nelprocesso di raggruppamento.

L’immagine 16 ne mostra un esempio:

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36 ricerca e estrazione del segnale

Figura 16: La figura mostra un esempio di dendrogramma. Sull’asse x sonorappresentati i dati che si vuole clusterizzare, ordinati secondola metrica scelta. Sull’asse y, invece, è indicata la distanza tra icluster e all’aumentare del valore delle y, aumenta il livello gerar-chico selezionato. Ad alti valori di y si individuano due cluster;essi sono molto differenti in quanto la loro distanza è notevole.Minore è il valore delle y considerato minore è la distanza tra icluster formati, i quali aumentano in numero sino a coinciderecon il numero di dati da raggruppare. A seguito dei taglio effet-tuato sono stati individuati 6 diversi gruppi di dati, raffiguratinelle box di diversi colori.

Il dendrogramma in figura 16 rappresenta un esempio di cluste-rizzazione gerarchica: all’aumentare del valore delle y il numero dielementi per cluster diminuisce sino ad arrivare ai raggruppamen-ti aventi tra loro la maggiore distanza, quindi aventi all’interno daticon caratteristiche molto diverse; in questo caso sono due. A bassivalori di y, invece, il numero di elementi per cluster va diminuendoe diminuisce anche la distanza tra di essi, sino a che il numero diraggruppamenti non coincide con il numero di dati da raggruppare.Sull’asse x sono riportati i dati analizzati, ordinati secondo la metricascelta.

Infine la figura mostra un esempio di scelta del livello gerarchico,a seguito del quale si individuano 6 cluster diversi, rappresentati conle box di diversi colori.

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3S V I L U P P O D E L M O D E L L O S U U N A P O P O L A Z I O N ET E S T

3.1 estrazione del segnale

Nei capitoli precedenti abbiamo largamente trattato delle difficoltàlegate all’individuazione e alla misura del segnale e dei numerosieffetti confondenti da cui esso è affetto.

Nel secondo, in particolare, abbiamo presentato il processo automa-tico utilizzato per individuare, estrarre ed elaborare il segnale stessoe grazie al quale si arriva, infine, alla classificazione delle immagi-ni. A questo punto, è necessario entrare nei dettagli di tutte le fasipresentate, cercando di motivare al meglio le scelte fatte.

Nel nostro caso il segnale è proporzionale all’intensità delle imma-gini e, poiché non conosciamo la sua forma e le sue caratteristiche,l’unico modo di verificare la validità di ogni passo del processo èattraverso la classificazione dei soggetti presi in esame.

Nota la valutazione clinica dei 218 individui coinvolti nell’analisi,riusciamo a stimare l’efficacia dei metodi utilizzati solo a posteriori,quantificando il numero di soggetti ricollocati nel loro reale gruppodi appartenenza.

L’intero processo è di fatto volto a trovare il modo giusto di indi-viduare quelle differenze tra il gruppo degli 81 soggetti AD e quellodei 137 controlli dovute alla presenza della malattia di Alzheimer. Perquesto motivo, le prime fasi dell’analisi servono a rendere le imma-gini confrontabili in modo tale da esaltare le differenze tra i soggettiriconducibili alla patologia e ridurre le altre. Tutto questo si ottienecon la normalizzazione 2.2.2.

Resta da considerare che parte delle fonti di disturbo, descritte neiprecedenti capitoli, vengono introdotte con la selezione delle immagi-ni da analizzare. Su alcune di esse avremo modo di influire durante ilprocesso di misura, ma su altre, come il rumore di Gold standard checoinvolge l’eventuale errata attribuzione dello stato clinico dei sogget-ti, il rumore relativo al modello assunto o gli errori di acquisizione ericostruzione delle immagini PET, non abbiamo modo di agire.

Per questo motivo cerchiamo di minimizzare a priori questi effetti,ad esempio, scegliendo di selezionare immagini provenienti da diver-si centri ospedalieri, in modo da ridurre il rumore di Gold standarde eseguendo una selezione preliminare che ci consenta di scegliereimmagini di alta qualità.

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38 sviluppo del modello su una popolazione test

3.1.1 La selezione delle immagini: il Quality Check

L’informazione fornita dalle neuroimmagini è racchiusa nei voxel: ele-menti di volume che rappresentano un valore di intensità in uno spa-zio tridimensionale. Oltre al valore dei voxel è importante considerareanche il loro orientamento, che fornisce la posizione delle immaginirispetto a un sistema di riferimento, e le loro dimensioni, dette spacing.Lo spacing si misura valutando la distanza tra i centri dei voxel, puòessere diverso lungo le direzioni (x, y, z) e fornisce un’informazionelegata alla risoluzione spaziale dell’immagine: tanto maggiore è il nu-mero di voxel contenuto in un’immagine, ovvero tanto più piccoloè lo spacing, quanto migliore è la risoluzione spaziale dell’immaginestessa, a parità di volume rappresentato. La figura 17 mostra cosa s’in-tende per voxel e da essa si intuisce come lo spacing influisca sullarisoluzione delle immagini e sulle loro dimensioni:

Figura 17: L’immagine mostra una porzione cerebrale, rappresentata in se-zione, suddivisa in più elementi di volume, detti voxel, chedeterminano la sua risoluzione spaziale.

Le informazioni sopra descritte sono tra i criteri in base ai quali noivalutiamo la qualità di un’immagine. Processi come la registrazionenon potrebbero essere eseguiti senza riferimenti spaziali, come quelliforniti dallo spacing, dalla direzione dell’immagine e dall’origine delsistema di riferimento considerato.

Le linee guida dell’iniziativa ADNI prevedono l’acquisizione di di-verse immagini PET per ogni soggetto coinvolto ed è possibile che,talvolta, non siano di alta qualità.

Per scegliere le immagini da elaborare abbiamo condotto una pri-ma analisi visiva, in modo da evitare di includere quelle aventi er-rori di ricostruzione o artefatti da movimenti 1.3. Inoltre abbiamoadottato un criterio selettivo in base al quale scegliere solo immaginicon alta risoluzione spaziale, quindi di alta qualità e buon contenu-to informativo, che consiste nel selezionare immagini aventi spacing1

1 Un modo equivalente di scrivere lo spacing di un’immagine è utilizzando il formali-smo: [2, 2, 2] senza indicare le unità di misura. Nel seguito della trattazione verrannoutilizzati indistintamente.

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3.1 estrazione del segnale 39

2x2x2mm3.Di seguito riportiamo un esempio di immagine avente spacing [2, 2, 2]

e uno avente spacing [2, 2, 4.25] (figura 18), in modo che il lettorepossa verificare qualitativamente la differente risoluzione spaziale:

Figura 18: La figura mostra due FDG-PET aventi spacing diverso: (la primasulla sinistra) [2, 2, 2] e (la seconda) [2, 2, 4.25]. La differenza del-la terza componente dello spacing delle immagini comporta chela loro risoluzione spaziale sia diversa lungo i piani sagittale ecoronale.

Si vede che sul piano sagittale e su quello coronale, rappresentatinei riquadri in alto della figura 18, la risoluzione spaziale delle imma-gini è differente. In particolare la qualità dell’immagine raffigurataa destra è inferiore rispetto a quella di sinistra e conseguentementerisulta tale anche il suo contenuto.

Con le scelte adottate abbiamo fatto in modo di includere nell’a-nalisi immagini di buona qualità, cosicché non fosse compromessal’informazione metabolica in esse racchiusa.

3.1.2 Normalizzazione Spaziale

Attraverso la fase di normalizzazione spaziale intendiamo determina-re una serie di trasformazioni che facciano in modo di sovrapporre le218 immagini scelte su un template, realizzato mediando 100 imma-gini FDG-PET, precedentemente normalizzate, e provenienti da studimulticentrici2.

L’operazione di media è necessaria poiché il rate metabolico di ognisoggetto è diverso e questo rende le immagini FDG-PET cerebrali tut-te molto diverse le une dalle altre. Mediando su un cospicuo numerodi soggetti è possibile realizzare un’immagine che sia un buon rife-rimento e tenga conto del metabolismo basale cerebrale medio dellapopolazione.

2 Il template scelto è stato scaricato dal sito http://www.fil.ion.ucl.ac.uk/spm/ext/.

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40 sviluppo del modello su una popolazione test

L’immagine 19 mostra il template utilizzato:

Figura 19: Template FDG-PET usato per la registrazione delle 218 immaginiselezionate, spacing = [2, 2, 2]

Per effettuare la co-registrazione spaziale delle immagini abbiamoutilizzato il framework LONI pipeline3. Uno strumento, primaria-mente costruito per le diverse applicazioni della ricerca in neuroima-ging [57], grazie al quale si può gestire l’esecuzione di sequenze dicomandi indipendenti. Ogni eseguibile costituisce un’unità o “modu-lo” dell’algoritmo complessivo e il suo output viene trasmesso comeinput a uno o più moduli successivi.

Trasformazione Affine

Con l’intento di sovrapporre le 218 immagini scelte al template effet-tuiamo prima una trasformazione affine a 12 parametri che coinvolgerotazioni, traslazioni e la scalatura dell’immagine mobile e, per de-cidere quale sia la metrica più indicata per definire la similarità trail template e le immagini, realizziamo diverse registrazioni affini diprova.

3 La descrizione del Framework LONI pipeline è reperibile sul sitohttp://www.pipeline.loni.ucla.edu

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3.1 estrazione del segnale 41

L’immagine seguente mostra una delle prove effettuate:

Figura 20: La figura mostra una delle prove di registrazione affine effettuate.A partire da sinistra si ha un’immagine registrata, in rosso, iltemplate su cui è stata effettuata la registrazione, in scala di grigi,e infine la sovrapposizione delle due.

Nella figura 20 si vede una delle prove di registrazione affine, ef-fettuate utilizzando la distanza Mutual Information 4 per definire ilgrado di similarità con il template.

Il piano visualizzato è quello sagittale e le tre immagini mostranorispettivamente: la prova di registrazione dell’immagine mobile sullafissa, in rosso, il template, visualizzato in scala di grigi, e infine lasovrapposizione delle due.

Nell’ultimo riquadro a destra, le parti evidenziate in rosso mostra-no le zone in cui le due immagini differiscono maggiormente. La so-vrapposizione tra le due non è ottimale perché la metrica scelta nonè adeguata per effettuare la registrazione4.

Le performance, per ciascuna nozione di distanza utilizzata, cioèMutual Information (MI) 4, Somma dei quadrati delle differenze delle inten-sità (SSD) 2 e Coefficiente di cross-correlazione (CC) 3, sono state valu-tate con l’ausilio del software MATLAB5, attraverso la misure dellacorrelazione, che indicheremo con r, tra le immagini co-registrate e iltemplate.

La distanza che ci consente di ottenere il risultato migliore è la CC3; per la quale la correlazione media tra immagine fissa e mobile vale:

r = (0.925± 0.012) (10)

Il valore ottenuto è dovuto al fatto che l’FDG-PET trasmette infor-mazioni funzionali legate al metabolismo cerebrale, che è molto diver-so in ogni soggetto. Inoltre i dettagli anatomico-strutturali, contenuti

4 Le metriche in linea di principio dovrebbero far convergere la procedura al medesi-mo minimo, ma dettagli implementativi rendono alcune di esse più adatte di altre aseconda della tipologia di dato trattato.

5 La descrizione del software MATLAB è reperibile sul sito http://mathworks.com

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42 sviluppo del modello su una popolazione test

nelle immagini e sui quali si basa il processo di registrazione, sonopoco definiti a causa dell’intrinseca risoluzione spaziale delle PET.

Un esempio di risultato ottenuto è mostrato nella figura 21:

Figura 21: La figura mostra la sovrimpressione di una delle immagini regi-strate, utilizzando una trasformazione affine, e del template. Leparti che differiscono tra le immagini mobile e fissa, evidenzia-te in rosso, diminuiscono in numero ed estensione rispetto altentativo di registrazione precedente.

La figura mostra la sovrimpressione dell’immagine mobile sullafissa. Il template è raffigurato in scala di grigi e, paragonando i pia-ni assiali delle figure 20 e 21. Si vede che le parti in cui le immaginirisultano meno sovrapposte, evidenziate in rosso, diminuiscono. Que-sto a testimonianza del fatto che la distanza scelta è adeguata e si èraggiunto un buon allineamento.

Trasformazione Deformabile

Nelle immagini FDG-PET il cranio è uno dei pochi riferimenti strut-turali utilizzabili per la registrazione spaziale. Le altre parti, forni-scono un’informazione funzionale legata al metabolismo dei sogget-ti e modificarle per rendere le immagini più vicine, comporterebbemodificare il segnale che cerchiamo di estrarre.

Come accade per tutti i passi del processo di estrazione e di elabora-zione del segnale, anche gli effetti della normalizzazione spaziale so-no stimabili solo determinando la percentuale di soggetti classificaticorrettamente come appartenenti al gruppo di controllo o AD.

Poiché in letteratura sono riportati esempi secondo i quali, nel no-stro caso, una trasformazione geometrica lineare non è sufficiente persovrapporre le immagini al meglio [58]; per migliorare la sovrappo-sizione delle strutture cerebrali tra le immagini registrate e il templa-te, effettuiamo un’ulteriore trasformazione, questa volta deformabile,basata su modelli diffusivi, introdotti nel secondo capitolo 2.2.2.1.

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3.1 estrazione del segnale 43

Questo aspetto dell’analisi sarà trattato più dettagliatamente nelparagrafo 5.2.1.

Potenzialmente applicando i modelli diffusivi alla fase di registra-zione si possono ottenere immagini perfettamente sovrapposte, manel caso della co-registrazione di FDG-PET questo compromette l’in-formazione funzionale contenuta nelle immagini stesse, pertanto cer-chiamo di apportare deformazioni (D) tali da avere una migliore so-vrapposizione dei crani delle teste da co-registrare, ma contempo-raneamente di modificare il meno possibile il loro interno per nonvariare il contenuto metabolico delle FDG-PET.

Tutto ciò si ottiene mediante una convoluzione del campo di de-formazione dell’immagine mobile, ottenuto tramite il determinanteJacobiano della trasformazione stessa, e di una gaussiana.

Consideriamo il campo di deformazione w(x) e la trasformazioneT(x) = x + w(x), la quantità | ∂T

∂x | è lo Jacobiano della trasformazioneT(x) e descrive le deformazioni necessarie ai punti dell’immaginemobile per essere sovrapposta al template.

La deformazione finale ottenuta applicando la convoluzione vale:

D = |∂T∂x| 1σ√

2πe−

(x−µ)2

2σ2 (11)

Nella precedente formula 11, µ indica la media della distribuzionenormale e σ la sua deviazione standard.

Determinare quanto “forte” debba essere la deformazione significadeterminare σ della gaussiana con la quale si effettua la convoluzio-ne. Poiché le strutture presenti nelle immagini FDG-PET, sulle qualiè basata la normalizzazione spaziale, hanno dimensioni superiori alcentimetro, realizziamo diverse registrazioni di prova, facendo varia-re la deviazione standard della gaussiana in modo che non venganomodificate le strutture di dimensioni inferiori a qualche cm. Così fa-cendo otteniamo una maggiore sovrapposizione del cranio e di strut-ture come il corpo calloso delle immagini e del template, preservandole differenze metaboliche e preservando, quindi, il segnale.

Dopo aver effettuato nuovamente diverse registrazioni di prova,al fine di definire il miglior valore della deviazione standard dellagaussiana, decidiamo di effettuare la registrazione impostando unaconfigurazione avente σ = 10mm 6.

Una volta impostate le configurazioni adeguate sia per la trasforma-zione affine che per la trasformazione deformabile, le eseguiamo en-trambe con l’intento di migliorare la sovrapposizione delle strutturedelle FDG-PET e del template.

6 Il valore della σ è stato scelto in seguito a diverse prove di registrazione effettuate.Abbiamo eseguito la convoluzione del campo di deformazione legato alla registra-zione con gaussiane aventi deviazione standard da 5mm a 20mm, variando σ di 5mmogni volta.

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44 sviluppo del modello su una popolazione test

Lo schema realizzato e raffigurato nell’immagine 22 mostra la pi-peline utilizzata per effettuare le due trasformazioni in cascata. Laregistrazione affine ha lo scopo di avvicinare l’immagine mobile allafissa il più possibile prima di passare alla trasformazione deformabile,la quale ha il compito di fare in modo che il cranio e le altre strutturedell’immagine mobile si sovrappongano a quelle del template.

Figura 22: L’immagine mostra lo schema di registrazione completo realizza-to utilizzando il framework LONI pipeline. I due moduli inizialisono per le immagini FDG-PET da co-registrare e il template. Pri-ma di effettuare la trasformazione affine alle immagini vengonoattribuiti gli stessi riferimenti spaziali e vengono rese paragonabi-li in intensità. Poi passano al modulo che effettua la registrazioneaffine e successivamente a quello che esegue la registrazione de-formabile, dal quale si salva il campo di deformazione, convolutocon la gaussiana che viene poi applicato alle immagini registrateaffini. Infine tutte le immagini vengono salvate.

Nello schema utilizzato, i due moduli iniziali contengono il templa-te e le immagini mobili, che, prima di essere registrate, devono averelo stesso sistema di riferimento e valori di intensità compatibili. Dopoqueste fasi iniziali le PET sono pronte per essere registrate sull’imma-gine fissa. Prima viene effettuata la trasformazione affine e da questaescono le immagini su cui verrà applicata la registrazione deformabi-le. Poiché è importante mantenere l’informazione funzionale fornitadalle FDG-PET, non utilizziamo le immagini che escono dal modulodella deformabile, ma da esso salviamo il campo di deformazione che,come ricordiamo, è stato convoluto con una gaussiana di σ = 10mm,proprio per evitare di alterare eccessivamente le informazioni funzio-nali. Infine l’ultimo modulo applica il campo di deformazione e, unavolta completata la registrazione, le immagini vengono salvate.

La normalizzazione spaziale permette di minimizzare il rumore do-vuto alle differenze anatomiche presenti nei vari soggetti, ma preser-va le differenze metaboliche legate anche la presenza della malattia.

Misurando nuovamente la correlazione media tra le immagini regi-strate e il template si ottiene:

r = (0.933± 0.011) (12)

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3.1 estrazione del segnale 45

Quanto ottenuto è compatibile con il risultato precedente e ciò si-gnifica che la registrazione deformabile applicata, grazie ai parametriscelti, non modifica l’informazione contenuta nelle FDG-PET. Nono-stante ciò il valore della correlazione in questo caso è leggermentepiù alto e la sovrapposizione delle immagini è migliore.

La registrazione ottenuta applicando le trasformazioni in cascata èmostrata in figura 23

Figura 23: Esempio di immagine registrata con la registrazione completa. Asinistra si vede una delle 218 FDG-PET registrata, in rosso. Laseconda mostra il template, in scala di grigi, e a destra si vede lasovrapposizione delle prime due.

Confrontando le figure 21 e 23 si vede che, nonostante i valori dicorrelazione siano compatibili, la sovrapposizione delle strutture cere-brali delle immagini migliora. Questo comporta l’essere riusciti a so-vrapporre le immagini mobili alla fissa, preservando l’informazionemetabolica.

L’effetto del processo di registrazione sulla capacità discriminanterispetto alla patologia, non è quantificabile in questa fase.

Nel capitolo conclusivo discuteremo brevemente le prestazioni delmetodo implementato con e senza la trasformazione deformabile, inmodo da verificare la presenza di un miglioramento a seguito diquesta ultima trasformazione applicata.

3.1.3 Normalizzazione d’Intensità

L’FDG-PET misura una quantità proporzionale al rate metabolico ce-rebrale dei soggetti e, nelle immagini analizzate, questa quantità èlegata all’intensità dei voxel e si quantifica attraverso un numero diconteggi. Più alta è l’attività metabolica degli individui, maggiore è ilnumero di conteggi relativo alla zona cerebrale osservata.

Ci si aspetterebbe che le disfunzioni cerebrali legate alla presenzadella malattia di Alzheimer siano traducibili in una differente distri-buzione del rate di conteggi rispetto ai controlli, ma prima di effettua-

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46 sviluppo del modello su una popolazione test

re la normalizzazione in intensità delle immagini tale differenza nonè osservabile.

Come brevemente introdotto nel precedente capitolo (2.2.2.2), laprocedura di equalizzazione si basa sull’utilizzo di riferimenti di in-tensità, quindi nel nostro caso del numero di conteggi, che consenta-no di definire una scala all’interno della quale valutare il rate meta-bolico dei soggetti.

Nelle patologie neurodegenerative la funzionalità del cervello ècompromessa in vaste aree diffuse, pertanto individuare una specifi-ca zona di riferimento su cui effettuare l’equalizzazione può risultareinefficace [59]. Per questo motivo abbiamo utilizzato un metodo chetenga conto del rate metabolico cerebrale globale.

L’equalizzazione implementata è di tipo Data Driven, ciò significache le scelte ad essa legate discendono dai dati analizzati e non da in-formazioni aggiuntive rispetto a regioni anatomiche risparmiate dallapatologia.

Il riferimento in intensità utilizzato è un’immagine realizzata me-diando tutte le 81 FDG-PET dei soggetti, facenti parte della nostraanalisi, appartenenti al gruppo degli AD, che chiameremo < M >.

Per fare in modo che i valori dei voxel all’interno di < M > va-dano da 0 a 1, l’immagine è stata riscalata in intensità utilizzando laseguente relazione.

< M > −min(< M >)

max(< M >)−min(< M >)(13)

Con i termini max(< M >) e min(< M >) si intende il massimo eil minimo valore di intensità dei voxel contenuti nell’immagine mediadegli AD.

A questo punto l’equalizzazione si effettua attraverso l’operazione:

~AN =~AN

N =~A · ~< M >

|| < M >2 || (14)

~A rappresenta il vettore delle intensità dei voxel di ognuna delle218 immagini FDG-PET, N il coefficiente di normalizzazione ricavatoa partire dalle immagini stesse, ~AN rappresenta il vettore delle inten-sità delle immagini normalizzato e ~< M > é il vettore relativo alleintensità medie dei voxel delle 81 immagini degli AD. Questa opera-zione consente di pesare le immagini, benché indirettamente, sul ratemetabolico cerebrale degli AD.

A questo punto quantifichiamo un coefficiente di normalizzazioned’intensità che tenga maggiormente conto delle aree in cui agisce la

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malattia di Alzheimer in modo da esaltare la differenza di conteg-gio nelle zone che dovrebbero rendere i due gruppi considerati bendistinguibili.

A priori possiamo pesare le immagini anche a partire dall’attivitàcerebrale dei controlli e ricavare un equivalente coefficiente da utiliz-zare per effettuare l’equalizzazione. Tuttavia, volendo misurare quan-tità locali per esaltare solo determinate le zone cerebrali, utilizzia-mo il gruppo di soggetti aventi una distribuzione d’intensità menouniforme.

Di seguito (figura 24) riportiamo l’immagine della maschera proba-bilistica realizzata:

Figura 24: L’immagine rappresenta la maschera con la quale è stata effet-tuata la normalizzazione in intensità delle immagini, derivatadall’attività cerebrale basale media degli 81 soggetti AD

3.1.4 Strumenti per la classificazione dei soggetti

A questo punto passiamo a trattare la misura della performance nellaclassificazione dei soggetti: essa viene effettuata misurando l’area sot-to la curva ROC, valutata a partire dai dati reali elaborati nel processodi analisi.

L’errore sulla AUC è stato stimato tramite bootstrap [60], che è unatecnica di ricampionamento con reimmissione, usata per approssima-re la distribuzione campionaria di una statistica. Essa permette distimare i momenti di una distribuzione e quindi di approssimare me-dia e varianza di uno stimatore e costruire intervalli di confidenza,quando non si conosce la distribuzione di interesse.

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48 sviluppo del modello su una popolazione test

Grazie a questa tecnica stimiamo l’intervallo di confidenza sulleAUC, come mostrato in figura 25.

Figura 25: La figura mostra le AUC che corrispondono ai livelli diconfidenza del 95%, del 5% e al valore atteso ricavato dall’analisi

Per visualizzare l’andamento delle caratteristiche delle immaginianalizzate, da cui discende la classificazione dei soggetti, ci serviamosia della canonica rappresentazione tramite distribuzioni, sia dellarappresentazione grafica detta boxplot (figura 27).

Le distribuzioni mostrate nel seguito derivano dai dati reali e sonostimate utilizzando il metodo chiamato Kernel Density Estimation [61],esso individua la densità di probabilità di una serie finita di dati apartire da un kernel, nel nostro caso, gaussiano.

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3.1 estrazione del segnale 49

La figura 26 mostra lo stretto legame tra le distribuzioni derivateutlizzando il Kernel Density Estimation, in rosso, e gli istogrammigenerati a partire dai dati reali dell’analisi, in blu.

Figura 26: La figura mostra un istogramma derivato dai dati reali del-l’analisi, in blu, e la distribuzione continua, sovrapposta sul-l’istogramma in rosso, derivata a partire dal Kernel DensityEstimation.

Abbiamo dovuto stimare le distribuzioni di probabilità utilizzandoquesto metodo perché, pur essendo le caratteristiche delle immaginicontinue, i soggetti inclusi nella nostra analisi sono pochi, portandociad analizzare serie finite di dati. La stima delle densità di probabilitàattraverso il metodo citato ci permette di trattare i dati come fosserocontinui e di effettuare operazioni matematiche, come ad esempio ilcalcolo dei percentili, in maniera più agevole.

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50 sviluppo del modello su una popolazione test

Nel seguente grafico visualizziamo la corrispondenza tra il boxplote le distribuzioni.

Figura 27: L’immagine mostra un boxplot. La linea rossa al centro della boxrappresenta la mediana, i lati i percentili corrispondenti al 25% eal 75% della distribuzione e i segmenti laterali si estendono per lalarghezza della distribuzione corrispondente 1.5 la distanza inter-quantile; i “+” rossi ai lati dei segmenti dei boxplot mostrano idati al di fuori di tale distanza della distribuzione.

La figura 27 conferma che il boxplot tiene conto di alcuni dei ri-ferimenti più importanti della distribuzione che rappresenta: la linearossa al suo interno segna la mediana, i lati della “box” i percentili cor-rispondenti al 25% e al 75% e i segmenti laterali si estendono per unalarghezza corrispondente ai 1.5 la distanza inter-quantile della distri-buzione che rappresenta. I “+” rossi ai lato della box rappresentano idati che fuoriescono da tale distanza.

Dall’analisi della curva ROC possiamo definire dei valori detti cu-toff secondo diversi criteri. Uno dei più usati è quello che rendeminori possibili i valori di FP e FN uguagliandoli.

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 51

Nella nostra analisi noi utilizziamo altri due tagli fissati in corri-spondenza del 95% di sensibilità e specificità valutate a partire dallacurva ROC, Così facendo stimiamo l’ampiezza della zona di sovrap-posizione delle distribuzioni accettando di commettere un errore del5% nel classificare i soggetti.

Figura 28: La figura mostra i tagli applicati in corrispondenza del 95% disensibilità e specificità sia sulla curva ROC che sulle distribuzioni.In base alla scelta fatta accettiamo di commettere un errore nellaclassificazione al più del 5%.

L’immagine in basso della figura 28, mostra l’ampiezza della zo-na di sovrapposizione delle distribuzioni. Riferendoci alle lettere infigura, in seguito alle scelte fatte si ha

∫ A−∞ D2∫ A−∞ D1

= 0.05

∫ +∞B D1∫ +∞B D2

= 0.05 (15)

3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la featu-re selection

Conclusa questa fase del processo ci troviamo con 218 immagini ognu-na avente circa 900000 voxel e cioè un campione di numerosità N =

218 descritto da V ∼ 900000 variabili.

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52 sviluppo del modello su una popolazione test

Il problema da affrontare consiste nello scegliere una proceduraper estrarre le informazioni significative, ovvero discriminanti, rispet-to alla classe dei dati analizzati. Poiché V >> N ci troviamo in con-dizione sfavorevole, quindi i metodi di analisi prevedono un passointermedio di feature selection.

Questo aspetto dell’analisi sarà trattato più dettagliatamente nelparagrafo 5.2.2.

Per meglio valutare la variabilità introdotta con la scelta del metodo1.4.2, utilizziamo due diverse procedure per selezionare le caratteristi-che delle immagini più significative e, esattamente come accadeva perla scelta della trasformazione migliore da effettuare nell’ambito dellaregistrazione 3.1.2, non abbiamo modo di sapere quale dei due meto-di di feature selection abbia prestazioni migliori prima di classificarei soggetti del nostro campione.

Le caratteristiche considerate, sulle quali si basano le metriche uti-lizzate per la classificazione, sono: il numero di conteggi in specifi-che regioni di interesse e le componenti principali dello spazio delleimmagini.

La loro selezione è stata fatta in modo tale da massimizzare ilpotere discriminante delle analisi con esse condotte.

3.2.1 Metrica 1: media dei conteggi sulle ROI

Vogliamo selezionare le aree cerebrali che maggiormente differenzia-no i soggetti appartenenti al gruppo di controllo da quelli affettidalla malattia di Alzheimer. Quindi dobbiamo definire un criterioper determinare in quali tra i voxel all’interno del cranio dei sog-getti analizzati sono contenute le informazioni che maggiormente lidiscriminano.

Operativamente consideriamo ogni soggetto come un vettore a 276593componenti, all’interno delle quali è riportata l’intensità di ogni voxel.Quindi creiamo una matrice 218X276593 avente sulle righe i vettoricorrispondenti ai 218 soggetti e sulle colonne i voxel.

A questo punto possiamo valutare il potere discriminante di ognicolonna della nostra matrice, misurando le aree sotto le curve ROCcreate a partire da ognuna di esse; in questo modo individuiamo qualidei voxel discriminano meglio i soggetti nei due gruppi. Una voltaottenuti i valori delle aree sotto le curve ROC, studiamo l’andamentodelle medie delle AUC in funzione del numero di voxel considerati.

Coerentemente a quanto descritto nel capitolo precedente 2.2.3.1,quando i voxel considerati nelle ROI sono molti, la media delle lo-ro AUC è bassa. Quando sono pochi la media delle AUC ha un altopotere discriminante, ma le prestazioni dipendono fortemente dal nu-mero di voxel contenuti nella ROI e la classificazione che ne discendeè poco stabile. Quando invece il numero dei voxel all’interno dellaregioni di interesse è circa un migliaio l′AUCmedia > 0.9 e il potere di-

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 53

scriminante, variando di poco i voxel all’interno delle regioni studiate,rimane circa costante.

Da quanto descritto deduciamo che, scegliendo di selezionare re-gioni di interesse che abbiano al loro interno un migliaio di voxel, sifa in modo che il loro potere discriminante rimanga stabile anche con-siderando regioni di dimensioni di poco superiori o inferiori. Questogarantisce che la classificazione dei soggetti nei gruppi sia altrettantostabile.

L’intero procedimento di selezione delle ROI appena descritto èriassunto nella seguente immagine:

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Figura 29: La figura mostra schematicamente il processo di feature selectiondescritto.

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 55

Scegliamo una soglia in intensità che ci consenta di individuareuna regione cerebrale che fornisca prestazioni stabili. Consideran-do intensità superiori a 0.275 selezioniamo una regione avente 2050voxel.

In figura 30 è mostrato in dettaglio l’andamento della madia delleAUC in funzione del numero di voxel nelle ROI e le regioni cerebraliscelte, visualizzate in sovrimpressione sul template.

Figura 30: L’immagine a sinistra mostra l’andamento delle AUC medie infunzione del numero di voxel nelle ROI. A destra è visualizzatala ROI selezionata.

Confrontando quanto ottenuto in seguito alle scelte effettuate conaltre analisi funzionali basate su metodi data driven, concludiamoche le regioni selezionate si avvicinano molto a quelle riportate inletteratura, essendo situate nelle zone del cervelletto e della cortecciaoccipitale [62]. Ciò conferma la validità del processo implementato.

Le differenze che individuiamo nel confronto sono soprattutto lega-te alle dimensioni delle ROI. Questo fatto può essere dovuto ai diversiprocessi di selezione adottati.

Inoltre rimanendo nella zona del “plateau” del grafico in figura30 anche noi possiamo variare le dimensioni delle ROI scelte senzainfluire grandemente sul potere discriminante.

Arrivati a questo punto dell’analisi verifichiamo l’efficacia della pri-ma metrica, valutando la performance nel distinguere i 218 individuiin controlli e AD.

Selezionando all’interno delle 218 immagini i 2050 voxel contenutinelle regioni di interesse e calcolando la media dei conteggi in ta-li aree, valutiamo il potere discriminante della metrica “media deiconteggi” attraverso la misura dell’area sotto la curva ROC.

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56 sviluppo del modello su una popolazione test

La classificazione ottenuta è mostrata nella figura 31

Figura 31: Sulla sinistra dell’immagine sono riportati i boxplot ordinati se-condo i conteggi medi dei soggetti sulle ROI e distinti in basealla clinica. Il grafico a destra riporta la AUC ' 0.94, che indicala prestazione della metrica 1.

La figura 31 mostra, attraverso i boxplot, le distribuzioni dei sogget-ti affetti dalla malattia di Alzheimer e dei controlli, essi sono rispet-tivamente contraddistinti dalle label 1 e 0, come mostrato dall’assedelle ordinate del primo grafico della figura. Osservando i due box-plot si vede che la mediana della distribuzione dei controlli ha unvalore maggiore rispetto a quella del gruppo degli AD. Inoltre essen-do la box della distribuzione più stretta, si vede che i soggetti facentiparte il gruppo di controllo sono tra loro più simili rispetto ai soggettiAD.

L’area sotto la curva ROC, nel grafico accanto a quello dei boxplot,fornisce la bontà della metrica scelta nel classificare i soggetti nei duegruppi e vale ' 0.94. La capacità di classificare i soggetti nei duegruppi è fornita dai valori di sensibilità ' 91% e di specificità ' 88%.

Quanto ottenuto è di poco inferiore ai valori di AUC valutati con-frontando soggetti appartenenti a un gruppo di controllo e soggettiaffetti dalla malattia di Alzheimer e riportati in letteratura [63, 64,65]. Parte degli articoli citati basano i loro risultati su un’analisi ditipo strutturale, utilizzando immagini provenienti da MRI, quindila differenza può essere attribuita ai diversi metodi di imaging cheforniscono informazioni diverse.

3.2.2 Metrica 2: distanza dal cluster dei controlli

Scegliendo di classificare i soggetti a partire dalla media dei conteggi,valutata sulle ROI selezionate, trascuriamo una parte dell’informazio-ne contenuta nelle immagini.

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 57

A seguito del processo di normalizzazione eseguito e della featureselection, possiamo assumere che le differenze riscontrabili nel nu-mero dei conteggi dovute alle differenze interindividuali siano mi-nori rispetto a quelle dovute alla presenza della malattia. Quindi,utilizzando la metrica 1, consideriamo un’informazione limitata.

Per prima cosa, reintegriamo nell’analisi il contributo al segnalerelativo alle differenze del rate di conteggi tra soggetti AD e controllia causa della patologia ipotizzando che questo migliori la prestazionesinora ottenuta.

Utilizziamo la clusterizzazione, brevemente presentata nel capitoloprecedente 2.2.4.2, che ci permette di introdurre due nuovi parame-tri: il grado di similarità delle immagini, in base al quale sono effet-tuati i raggruppamenti e vengono ordinati i soggetti all’interno diogni cluster, e la distanza tra i vari gruppi individuati, che permettedi ordinare i cluster nello spazio delle immagini. Metrica e metododella clusterizzazione influiscono sulla natura dei gruppi formati esulla loro disposizione nello spazio quindi, in ultima analisi, sullaclassificazione che si ottiene.

Nel nostro caso scegliamo di effettuare la clusterizzazione delleimmagini trattate, utilizzando il metodo ward, per valutare il grado disimiliarità dei gruppi individuati e la distanza euclidea per valutarela similarità tra il rate di conteggio dei soggetti.

Il criterio deciso per effettuare il raggruppamento dei soggetti èlegato alla scelta del livello di confidenza (CL). I gruppi vengono for-mati in modo che si individuino due cluster aventi al loro interno unoil 95% di controlli e l’altro il 95% di soggetti AD, che chiameremmorispettivamente cluster dei controlli e cluster degli AD.

Una volta individuati questi due gruppi i soggetti restanti vengo-no raggruppati tutti in un unico cluster che avrà al suo interno unabuona parte di individui AD e una buona parte di controlli e che nelseguito chiameremo cluster misto.

Migliori sono le scelte relative alla metrica, in questo caso legata alrate di conteggi, al metodo e alla distanza in base al quale effettuarei raggruppamenti, minore ci aspettiamo che sia il numero di soggettiappartenenti al cluster misto.

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58 sviluppo del modello su una popolazione test

Visualizziamo i gruppi ottenuti tramite dendrogramma:

Figura 32: Il dendrogramma mostra la clusterizzazione ottenuta in base alrate di conteggi. I raggruppamenti individuati sono 3: uno forma-to maggiormente da soggetti AD, contrassegnato in verde, unoda soggetti appartenenti al gruppo di controllo, contrassegnatoin blu, e il terzo avente buona parte degli individui provenientida entrambe i gruppi in esame, contrassegnato in rosso.

La figura 32 mostra che il rate di conteggi delle regioni di interesseselezionate rendono le immagini clusterizzabili in tre gruppi. Il clu-ster degli AD è colorato in verde e al suo interno vi sono 39 soggetti.Il cluster dei controlli, in blu, ha al suo interno 99 soggetti e, infine, ilcluster misto ha al suo interno 80 soggetti.

Il raggruppamento ottenuto è un buon punto di partenza per otte-nere una nuova classificazione dei soggetti.

Definita una origine nello spazio delle immagini, che abbiamo ar-bitrariamente posto nel centro di massa del cluster dei controlli, ciaspettiamo che la distanza euclidea dei soggetti da tale punto rispec-chi quanto visualizzato con il dendrogramma. Quindi che i soggettiappartenenti al gruppo di controllo siano più vicini all’origine sceltae i soggetti affetti dalla patologia siano più distanti.

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 59

La figura 33 mostra i boxplot delle distribuzioni dei soggetti AD edei controlli disposti secondo la distanza euclidea dei punti dal centrodi massa del cluster dei controlli:

Figura 33: L’immagine mostra i boxplot dei soggetti AD e dei controlli, di-sposti secondo la metrica descritta e classificati utilizzando lelabels cliniche.

I boxplot rispecchiano quanto mostrato dal dendrogramma. Coe-rentemente con la scelta dell’origine, la distribuzione dei soggetti clas-sificati clinicamente come controlli hanno valori sulle ascisse inferioririspetto alla distribuzione dei soggetti clinicamente classificati AD.

L’area sotto la curva ROC, questa volta valutata misurando la di-stanza di tutti i soggetti dall’origine scelta, vale ' 0.93, con un valoredi sensibilità ' 90% e un valore di specificità ' 84%.

Ci saremmo aspettati un miglioramento dall’introduzione nell’ana-lisi di ulteriori informazioni e dall’utilizzo di una metrica più aderen-te alla disposizione dei punti nello spazio delle immagini.

Tuttavia, come abbiamo precedentemente detto (1.4.2), le decisioniprese riguardo alla metrica e al metodo adottati nel processo di clu-sterizzazione, riguardo alla distanza in base alla quale classificare isoggetti in AD e controlli, introducono ulteriori errori nel processodi analisi implementato e questo può essere il motivo per cui le pre-stazioni di questa seconda metrica sono inferiori rispetto a quantoottenuto applicando la prima.

3.2.3 Metrica 3: proiezione dei punti su una componente principale

Continuiamo la nostra analisi attraverso l’individuazione delle com-ponenti principali dello spazio, come brevemente spiegato nel capito-lo precedente 2.2.3.2.

Anche in questo caso il segnale in base al quale classifichiamo isoggetti è legato all’intensità dei voxel, ma le caratteristiche che pren-diamo in esame sono relative alla disposizione dei dati nello spaziodelle immagini.

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60 sviluppo del modello su una popolazione test

Questo metodo di feature selection consente di allontanarci mag-giormente dal problema clinico rispetto a quanto fatto analizzandole regioni di interesse e, così facendo, ci consente di generalizzarela nostra analisi e eventualmente di applicarla a problemi di diversanatura rispetto a quello studiato in questo lavoro di tesi.

Anche in questo caso lo schema raffigurato nell’immagine 29 rap-presenta i passaggi utilizzati per individuare le componenti princi-pali dello spazio che permettono di distinguere maggiormente i 218

soggetti nei due gruppi. Al posto delle curve ROC relative al poterediscriminante dei voxel, in questo caso si valutano le AUC legate alledirezioni dello spazio, una per ogni individuo coinvolto nell’analisi.Considerando singolarmente le direzioni individuate e ordinate a se-conda del loro valore di AUC, non è necessario effettuare la mediadelle aree sotto la curva individuate.

Iniziamo considerando la direzione dello spazio lungo la quale ledifferenze per distinguere i dati sono maggiormente esaltate, utiliz-zando nuovamente l’ipotesi che, a seguito del processo di normaliz-zazione e della feature selection, tali differenze siano legate, in primoluogo, alla presenza della patologia.

La metrica in base alla quale classifichiamo i soggetti è la proiezio-ne dei 218 punti lungo la direzione in esame, che per brevità chia-meremo score. Per verificare la sue prestazioni ne valutiamo il suodiscriminante attraverso la misura dell’area sotto la curva ROC.

La seguente immagine (figura 34) mostra la curva ROC relativa allaclassificazione dei soggetti in base allo score e la disposizione delledistribuzioni dei soggetti AD e dei controlli distinti a partire dallaclinica, raffigurate tramite boxplot.

Figura 34: Sulla sinistra dell’immagine sono riportati i boxplot delle distri-buzioni dei soggetti AD e dei controlli, disposte secondo lo scoree classificate utilizzando la clinica. Il grafico a destra riporta laAUC che indica il potere discriminante di questa terza metrica.

Paragonando le distribuzioni relative ai due gruppi in esame dellafigura 31 e della figura 34 si vede che la sovrapposizione delle di-

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 61

stribuzioni disposte in base allo score è maggiore rispetto a quantoottenuto valutando la media dei conteggi per ogni soggetto.

Questa caratteristica è ben rappresentata dai valori dell’area sottola curva ROC misurata a partire dallo score, che vale ' 0.90, con unvalore di sensibilità ' 85% e un valore di specificità ' 83%.

Nonostante tali valori siano nuovamente paragonabili a quelli ri-portati in letteratura, che citiamo nuovamente [63, 64, 65], L’AUCè lievemente inferiore rispetto a quanto ottenuto con il precedentemetodo di feature selection.

3.2.4 Metrica 4: distanza dal cluster dei controlli

Passare da una analisi a più dimensioni ad analizzare un’unica di-rezione probabilmente fornisce una visione troppo limitata riguardoalla disposizione dei punti nello spazio studiato, che non ci consentedi effettuare la loro classificazione al meglio.

Per reintegrare nell’analisi parte del contenuto informativo tagliato,studiamo la disposizione di tutti i punti in uno spazio bidimensionale,selezionando una seconda componente principale. Quanto fatto equi-vale a considerare il piano su cui giacciono il maggior numero deinostri dati per fornire un’analisi più veritiera della loro disposizionenell’intero spazio.

A questo punto definiamo i parametri attraverso cui valutare taledisposizione e per farlo utilizziamo nuovamente la clusterizzazione.

Con la distanza euclidea realizziamo i raggruppamenti dei dati, iquali saranno disposti all’interno di ogni cluster proprio secondo talemetrica, e, con il metodo ward, ordiniamo i vari gruppi individuati(2.2.4.2).

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62 sviluppo del modello su una popolazione test

Visualizziamo quanto ottenuto tramite dendrogramma:

Figura 35: La figura mostra i 3 raggruppamenti ottenuti. In verde quellocomposto dal 95% di controlli, in rosso quello composto dal 95%di soggetti AD e il terzo, composto da soggetti provenienti daentrambe i gruppi, in blu.

La figura 35 mostra i 3 raggruppamenti, ottenuti. Coerentemen-te con quanto fatto in precedenza il criterio in base al quale abbia-mo scelto di effettuare i raggruppamenti è quello di individuare duegruppi puri al 95% rispettivamente contenenti controlli e AD.

Il cluster dei controlli, in verde, contiene 67 soggetti, quello degliAD, in rosso, ha al suo interno 88 individui e il terzo, detto clustermisto, in blu, è formato da 63 soggetti provenienti da entrambe igruppi analizzati.

Ancora una volta la clusterizzazione è il punto di partenza per im-plementare una metrica che tenga conto della disposizione dei da-ti nel piano considerato e, per prima cosa, decidiamo di misurarela distanza dei punti a partire dal centro di massa del cluster deicontrolli.

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3.2 elaborazione del segnale : due metodi per la feature selection 63

La figura 36 mostra le distribuzioni dei soggetti AD e dei controllidisposte secondo la nuova metrica:

Figura 36: L’immagine mostra i boxplot dei soggetti AD e dei controlli, di-sposti secondo la metrica descritta e classificati utilizzando lelabels cliniche.

Le distribuzioni rappresentate in figura 36 sono costruite a partiredai risultati ottenuti dalla clusterizzazione. Si vede che quanto ipo-tizzato è confermato dalle immagini e l’ordine dei raggruppamentiviene rispettato anche dalla metrica utilizzata. Il valore misurato del-l’area sotto la curva ROC vale ' 0.89 con un valore di sensibilità' 85% e un valore di specificità ' 82%.

Ancora una volta l’ultima AUC misurata è lievemente inferiore ri-spetto a quella valutata a partire dal singolo score, contrariamente aquanto ci saremmo aspettati.

Oltre all’introduzione dei molteplici fattori d’errore dovuti alle scel-te compiute, in questo caso abbiamo ridotto la nostra analisi su unpiano selezionando solo due delle 217 componenti principali. Proba-bilmente basando la clusterizzazione sulla proiezione dei punti supiù di due componenti il risultato migliorerebbe.

3.2.5 Compatibilità

I metodi sinora implementati, sia che si basino sull’individuazionedi particolari regioni di interesse, sia che si basino sull’individuazio-ne di direzioni privilegiate nello spazio, hanno un valore di AUC,sensibilità e specificità paragonabili a quanto riportato in letteratura.

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64 sviluppo del modello su una popolazione test

A questo punto verifichiamo la compatibilità tra le prestazioni ot-tenute che, per praticità, riassumiamo nella seguente tabella 1. Gliintervalli di confidenza indicati sono ricavati tramite bootstrap (3.1.4).

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

0.94[0.90− 0.97] 0.93[0.89− 0.95] 0.90[0.85− 0.93] 0.89[0.85− 0.93]

Tabella 1: Tabella riassuntiva dei valori delle AUC individuate dalle 4

metriche. Gli intervalli di confidenza sono stati stimati tramitebootstrap.

Tutti i valori delle AUC ottenuti sono compatibili tra di loro. Questoci autorizza ad applicare indistintamente le metriche per distinguere isoggetti dell’analisi nei due gruppi di appartenenza e per verificare laprestazione del processo implementato su un dataset indipendente.

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4VA L I D A Z I O N E

4.1 validazione dei metodi

4.1.1 La Cross-Validazione

Validare un metodo significa verificare le capacità di estendere i ri-sultati ottenuti a dataset non visti. Avendo pochi soggetti rispetto alnumero di variabili trattate, utilizziamo un metodo di validazioneinterna detto di Cross-validazione [60].

La cross-validazione si utilizza quando il campione studiato ha unanumerosità che non consente di generare sottogruppi che forminodataset indipendenti. Nel nostro caso i dati analizzati sono 218 dicui 81 classificati AD e 137 controlli. La numerosità dei sottogruppiconsentirebbe di applicare metodi alternativi di validazione, ma ab-biamo verificato che i dati in essi contenuti non sono indipendenti esia il gruppo dei controlli che quello degli AD sono al loro internoulteriormente divisibili in “sottocluster” composti da pochi dati.

La cross-validazione da noi utilizzata consiste nell’estrarre casual-mente dal dataset in esame un numero k di dati. Il numero di datiestratti deve essere tale da non compromettere la validità statisticadel campione formato dai dati restanti, così facendo si ottengono duegruppi distinti: uno più numeroso, che chiameremo “training set” eun gruppo formato dai dati estratti, che chiameremo “validation set”.Dopo l’estrazione si prosegue con l’analisi, essa viene condotta n vol-te e al termine di ogni ciclo vengono inseriti nuovamente i dati delvalidation set nel dataset iniziale. Se n è grande si ha una buona pro-babilità di aver estratto, al termine del processo di validazione, tutti idati almeno una volta, quindi si procede alla classificazione dei varivalidation set.

Nel nostro caso il dataset consiste nelle 218 immagini in esame,da esse estraiamo casualmente 5 soggetti per 100 volte, reintegrandoogni volta i soggetti estratti nel dataset iniziale, in modo che, ogniciclo, il training set abbia al suo interno 213 individui.

A partire dai training set, per entrambe i metodi di feature selectionutilizzati, si ripercorre l’intera analisi implementata; dalla scelta dellezone di interesse, alla selezione delle componenti principali, quindisi applica la clusterizzazione e, per ogni ciclo, si calcolano le metrichee si valuta la distanza dei punti del validation set dall’origine, checorrisponde, come nell’analisi svolta, al centroide del cluster aventeal suo interno una percentuale di controlli almeno corrispondente al95%.

65

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66 validazione

Quindi si riclassificano le immagini FDG-PET dei 100 validationset, per entrambi i metodi implementati, ipotizzando, essendo molti icicli di analisi eseguiti, che sia alta la probabilità di classificare nuova-mente almeno una volta tutti i soggetti dell’analisi sia con la PCA checon l’individuazione delle ROI e, infine, si calcola il valore dell’areasotto la curva ROC ottenuta dalla cross-validazione.

4.1.2 Considerazioni sulla validazione dei metodi

Valutare le prestazioni delle metriche implementate a partire da quan-to ottenuto dalla cross-validazione, significa confrontare aree sotto lacurva ROC derivate dall’applicazione dello stesso metodo di analisisu diversi set di dati, non indipendenti. Per farlo abbiamo utilizzato ilprocesso riportato in letteratura [66, 67] che considera la correlazionetra i dati e, trattando le distribuzioni come gaussiane, fornisce unatabella di conversione in base alla quale valutare la correlazione dellearee sotto la curva ROC.

Poiché le 4 metriche utilizzate sono risultate equivalenti, eseguiamola validazione di due di esse: la metrica 2, che classifica i soggettivalutando la distanza euclidea dal cluster dei controlli, nell’ambitodel metodo di feature selection basato sull’individuazione delle ROI,e la metrica 4, equivalente alla 2, ma nell’ambito della PCA.

La seguente tabella 2 riporta i valori delle AUC ottenute dal pro-cesso di cross-validazione

Metrica 2 Metrica 4

0.88 0.85

Tabella 2: Tabella riassuntiva dei valori delle AUC ottenute a seguito dellavalidazione.

Le AUC calcolate risultano confrontabili con quelle presentate nelcapitolo, riassunte nella tabella 1. Ciò significa che i due diversi me-todi di feature selection possono essere utilizzati indistintamente oinsieme per classificare soggetti non noti.

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4.2 ottimizzazione delle metriche 67

4.2 ottimizzazione delle metriche

La capacità di classificare i soggetti nel gruppo dei controlli e in quel-lo degli AD è fornita dai valori di sensibilità e specificità di ognimetrica, riassunti nella tabella 3.

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Sensibilità 0.91 0.90 0.85 0.85

Specificità 0.88 0.84 0.83 0.82

Tabella 3: La tabella riporta i valori di sensibilità e specificità di ogni metrica

Il cutoff in base al quale vengono stimati i valori in tabella sonoriportati nel paragrafo 3.1.4. Come accennato nel medesimo paragra-fo, per migliorare le prestazioni delle metriche utilizziamo altri tagli,raffigurati in figura 28, grazie ai quali portiamo i valori di sensibilitàe specificità al 95%.

Così facendo otteniamo una diversa classificazione dei soggetti ri-spetto a quanto stimato utilizzando un singolo cutoff e individuiamotre raggruppamenti per ogni metrica: un gruppo di soggetti classifi-cati controlli con un livello di confidenza pari o superiore al 95%, ungruppo di AD, classificati con lo stesso CL, e un terzo gruppo di sog-getti il cui valore della metrica, “cadendo” all’interno dei tagli, puòessere classificato solo a CL inferiori.

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68 validazione

La seguente immagine (figura 37) mostra le distribuzioni relativealle metriche implementate.

Attraverso le rette verticali sono indicati i nuovi tagli e, tra di essitratteggiato, il cutoff da cui sono stati valutati i valori di sensibilità especificità della tabella 3.

Figura 37: L’immagine mostra le distribuzioni di controlli, in rosso, e AD,in blu, disposte secondo le 4 metriche implementate. Le rette inogni immagine raffigurano i tagli che portano ad avere sensibilitàe specificità uguali a 95% e tra di essi, tratteggiato, il cutoff inbase al quale sono stati stimati i precedenti valori di sensibilità especificità.

Osservando i grafici dell’immagine 37 si vede che la sovrapposi-zione delle distribuzioni rispecchia i valori delle loro prestazioni: lemetriche aventi valori di AUC maggiori hanno zone comprese tra i ta-gli più piccole e, conseguentemente, un numero di soggetti classificaticon un CL ≥ 0.95 più alto.

I grafici in alto a sinistra e a destra mostrano rispettivamente ledistribuzioni dei controlli, in rosso, degli AD, in blu, e la zona di so-vrapposizione relative alle metriche 1 e 3. Le distribuzioni di controllie AD sono distinte in base alle classificazioni cliniche dei soggetti.

Nel caso delle metriche 2 e 4, le cui prestazioni sono rispettiva-mente rappresentate in basso a sinistra e a destra, è stata utilizzatala clusterizzazione per dividere i dati nei vari gruppi. Le curve rossee blu indicano le distribuzioni ottenute valutando la distanza dall’o-rigine scelta dei cluster individuati: in rosso quello dei controlli, inblu quello degli AD e tratteggiato il cluster misto; infine sono staterappresentate tramite le curve rossa e blu tratteggiate le distribuzionidei controlli e degli AD all’interno di questo terzo cluster. La disposi-zione dei cluster è coerente con quanto mostrato dai dendrogrammadelle immagini 32,35 in base alla scelta dell’origine (3.2.2).

Riferendoci al grafico 37 relativo alla metrica 4 si vede che i tagli so-no stati valutati a partire dalla curva ROC relativa alla distribuzionedel cluster misto e non a partire da tutti i dati come negli altri 3 casi,questo perché il cluster dei controlli e degli AD sono completamente

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4.2 ottimizzazione delle metriche 69

separati. Se avessimo stimato i tagli a partire dall’intero campione disoggetti avremmo quindi considerato un’ampiezza superiore della zo-na di sovrapposizione delle distribuzioni peggiorando le prestazionidel metodo di analisi implementato.

La classificazione è riassunta nelle seguenti tabelle (4,5). La primafornisce il numero di soggetti individuati da ogni metrica nei varigruppi.

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Controlli CL ≥ 0.95 103 95 87 93

AD CL ≥ 0.95 66 58 41 36

Altri CL ≤ 0.95 49 65 90 89

Tabella 4: La tabella riassume le prestazioni delle 4 metriche: La prima e laseconda riga indicano rispettivamente il numero di controlli e diAD classificati con un CL ≥ 0.95. La terza indica il numero disoggetti classificati a CL inferiori.

Nella seconda sono valutate le percentuali sull’intero campioneformato da 218 soggetti:

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Controlli CL ≥ 0.95 0.47 0.44 0.40 0.43

AD CL ≥ 0.95 0.30 0.27 0.19 0.16

Altri CL ≤ 0.95 0.23 0.29 0.41 0.41

Tabella 5: La tabella riassume le prestazioni delle 4 metriche: La prima e laseconda riga indicano rispettivamente la percentuale di controllie di AD classificati con un CL ≥ 0.95. La terza indica quella deisoggetti classificati a CL inferiori. Il numero di soggetti totali sucui sono state valutate le percentuali è 218.

Facendo riferimento alla tabelle notiamo che le percentuali rispec-chiano la composizione complessiva della popolazione analizzata, cheè formata dal 63% di controlli e dal restante 37% di AD. Infatti le pre-stazioni delle 4 metriche individuano percentuali maggiori di sogget-ti appartenenti ai controlli e percentuali inferiori di individui affettidalla malattia di Alzheimer.

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70 validazione

4.3 risultati della prestazione complessiva

Prima di procedere all’applicazione del metodo implementato su undataset indipendente, riassumiamo le prestazioni ottenute nel prece-dente capitolo.

Nella tabella 5 abbiamo riportato le percentuali di controlli e ADclassificati con un CL ≥ 0.95 e dei soggetti che ogni metrica classificaa CL inferiori, valutandole sull’intero campione di 218 individui.

Nella tabella 6 riportiamo nuovamente i valori riguardanti questidue gruppi di soggetti, ma valutando le percentuali di AD e controlliclassificati con un CL ≥ 0.95 sul totale dei rispettivi gruppi clinicianalizzati; in modo tale che risulti più chiara la bontà dei processiimplementati.

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Controlli CL ≥ 0.95 0.75 0.69 0.64 0.68

AD CL ≥ 0.95 0.82 0.72 0.51 0.44

Tabella 6: La tabella riassume le prestazioni delle 4 metriche e indica lapercentuale di AD e controlli individuati correttamente con unCL ≥ 0.95.

La compatibilità delle metriche (3.2.5) ci porta a concludere che tut-te le procedure siano utilizzabili equivalentemente, ma metodi diver-si di feature selection selezionano diverse caratteristiche del segnalecercato, quindi è interessante chiedersi se, applicando tutte le metri-che analizzate, non si riesca a migliorare la prestazione complessivadell’analisi.

Scegliamo approcci diversi per valutare le prestazioni delle me-triche insieme, a seconda del CL con il quale vengono classificati isoggetti.

Gli individui riconosciuti da tutte le 4 metriche AD o controlli, conCL ≥ 0.95, vengono ricollocati nei rispettivi gruppi e quelli classificatiAD da una metrica e controlli da un’altra, col medesimo CL, vengonoidentificati come “casi conflittuali”.

Rimangono da classificare i soggetti collocati almeno da una metri-ca nella zona di sovrapposizione delle distribuzioni e quindi classi-ficati almeno una volta a CL ≤ 0.95. In questo caso, se almeno unadelle 4 metriche li riconosce AD o controlli a CL ≥ 0.95 li conside-riamo correttamente classificati dalla metrica in questione; se, invece,tutte le metriche li collocano nella zona delimitata dai tagli, allorarimangono classificabili solo a CL ≥ 0.95.

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4.4 validazione dei metodi su un dataset indipendente 71

Di seguito (tabella 7) riportiamo le percentuali dei soggetti clas-sificati ai vari CL, considerati in base a quanto appena descritto; lepercentuali sono valutate sull’intera popolazione di 218 individui.

Controlli CL ≥ 0.95 AD CL ≥ 0.95 Altri CL ≤ 0.95 Casi conflittuali

0.57 0.33 0.08 0.02

Tabella 7: La tabella riporta la prestazione dell’intero processo ottenuto con-siderando insieme i risultati delle 4 metriche. La prima colonnariporta la percentuale dei soggetti classificati come controlli, la se-conda di quelli classificati AD, la terza i soggetti classificati conun livello di confidenza inferiore al 0.95% e la quarta indica lapercentuale di soggetti classificati AD con una metrica e controllicon un’altra. Le percentuali sono valutate sull’intera popolazionedi 218 individui.

Dalla tabella 7 si vede che utilizzando insieme le metriche la pre-stazione del processo complessivo è molto migliore rispetto a quelleottenute valutando ogni metrica singolarmente.

La prima colonna riporta la percentuale di controlli, la secondaquella di soggetti classificati AD, ma il risultato importante, grazieal quale possiamo affermare che il processo complessivo migliora leprestazione dei singoli metodi di analisi, è la diminuzione della per-centuale di soggetti classificati con un livello di confidenza al di sottodel 95%; che passa dal 23%, risultato ottenuto utilizzando la metricacon la migliore prestazione (tabella 1), all’8% ( tabella 7).

Il motivo per cui la prestazione complessiva migliora la classifica-zione dei soggetti verrà trattato dettagliatamente nel seguito di questolavoro di tesi, per ora ci basti prendere atto di tale effetto.

4.4 validazione dei metodi su un dataset indipendente

Con gli stessi criteri di selezione delle immagini esposti trattando delQuality Check (3.1.1), abbiamo scelto 86 nuove FDG-PET e formatoun nuovo dataset.

Benché indipendente dai gruppi utilizzati per implementare le me-triche, il nuovo dataset non rappresenta l’intera popolazione inizial-mente analizzata, ma costituisce un sotto-campione specifico dellastessa. Gli 86 soggetti presi in esame, al momento dell’immagine ana-lizzata, facevano parte della categoria clinica degli MCI, ma sono ri-sultati affetti dalla malattia di Alzheimer nel giro di 2 o 3 anni; quindi,a posteriori, tali individui sono stati clinicamente classificati MCI-co.

Poiché gli MCI sono una categoria clinica intermedia tra i controllie gli AD, il risultato che ci aspettiamo di osservare è di collocare le di-stribuzioni individuate, applicando le 4 metriche a questi 86 soggetti,

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72 validazione

tra quelle dei due gruppi precedentemente analizzati. A causa dellaparziale rappresentatività di questo gruppo, ci aspettiamo di ottenereprestazioni complessive inferiori.

Seguendo i passi del processo automatico, presentati nel paragra-fo 2.2 che vanno dalla normalizzazione sino alla classificazione eutilizzando i metodi d’analisi descritti in dettaglio nel capitolo 3,elaboriamo le 86 immagini dei soggetti MCI-co.

Basandoci sui riferimenti delle varie fasi della procedura implemen-tata, calcoliamo le prestazioni delle 4 metriche su questo dataset.

La prime due misure sono legate al metodo di feature selection ba-sato sull’individuazione delle ROI (2.2.3.1): la prima metrica misurala media dei conteggi degli MCI sui 2050 voxel della ROI rappresen-tata in figura 30, la seconda la distanza euclidea degli MCI dal clusterdei controlli raffigurato nel dendrogramma 32.

Esprimendo gli MCI come combinazione lineare delle componentidello spazio individuate dalla PCA (2.2.3.2), la terza metrica valutale proiezioni degli 86 punti sulla componente principale indicata nelparagrafo 3.2.3 e la quarta si basa nuovamente sulla distanza euclideadegli 86 MCI, ma valutata a partire dal cluster dei controlli raffiguratonel dendrogramma 35.

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4.4 validazione dei metodi su un dataset indipendente 73

L’immagine 38 mostra le distribuzioni dei controlli, in rosso, de-gli AD, in blu e degli MCI, in nero, ordinate secondo le 4 metricheprecedentemente descritte. Le rette raffigurate nell’immagine rappre-sentano i tagli in base ai quali sono stati classificati i soggetti dellapopolazione test, formata da 218 individui (tabelle 4, 5), e in base aiquali classifichiamo i soggetti del nuovo dataset.

Figura 38: L’immagine mostra le distribuzioni dei controlli, in rosso, degliAD, in blu, e degli MCI, in nero, disposte secondo le 4 metricheimplementate. Le rette in ogni immagine raffigurano i tagli in ba-se ai quali sono valutati i diversi CL con cui classificare i soggettiMCI.

Si vede che le distribuzioni sono disposte coerentemente rispettoall’ipotesi precedentemente formulata, cioè la distribuzione dei sog-getti MCI si trova tra le altre due. Questo significa che le metricheutilizzate classificano gli MCI come una categoria clinica intermediatra controlli e AD come ci saremmo aspettati.

Inoltre, confrontando l’immagine 38 con i valori riportati nella ta-bella 1, si vede che anche la classificazione degli MCI è coerente coni valori di AUC misurati e che minore è il potere discriminante dellemetriche più ampia è la porzione di distribuzione relativa agli MCIcollocata tra i tagli.

Nelle seguenti tabelle (8,9) riportiamo la classificazione ottenuta. Laprima fornisce il numero di MCI riconosciuti da ogni metrica comefacenti parte del gruppo degli AD o dei controlli, con un livello diconfidenza ≥ 0.95, o classificati a CL inferiori.

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74 validazione

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Controlli CL ≥ 0.95 10 7 22 22

AD CL ≥ 0.95 45 38 22 13

Altri CL ≤ 0.95 31 41 42 51

Tabella 8: La tabella riassume le prestazioni delle 4 metriche: La prima e laseconda riga indicano rispettivamente il numero di MCI-co attri-buiti erroneamente al gruppo dei controlli e quelli classificati ADcon un CL ≥ 0.95. La terza indica il numero di soggetti classificatia CL inferiori.

Nella seconda gli stessi risultati sono riportati in percentuale, valu-tata sulla popolazione formata dagli 86 MCI-co:

Metrica 1 Metrica 2 Metrica 3 Metrica 4

Controlli CL ≥ 0.95 0.12 0.08 0.26 0.26

AD CL ≥ 0.95 0.52 0.44 0.26 0.15

Altri CL ≤ 0.95 0.36 0.48 0.48 0.59

Tabella 9: La tabella riassume le prestazioni delle 4 metriche: La prima rigaindica la percentuale di controlli individuati da ogni metrica conun CL ≥ 0.95, la seconda la percentuale di AD, individuati con lostesso CL, e la terza indica i soggetti classificati a CL inferiori. Ilnumero di soggetti totali su cui sono state valutate le percentualiè 86.

La classificazione ottenuta a partire dalle prime due metriche è coe-rente con quanto atteso e la maggior parte dei soggetti MCI vengonoidentificati correttamente come AD, anticipando la clinica.

Nel caso delle metriche 3 e 4 il numero di soggetti classificabilicon CL ≤ 0.95 supera gli altri gruppi confermando che tali metodidi analisi sono meno efficienti, come indicato dai valori delle AUC(tabella 1).

4.5 risultati della prestazione complessiva

Ricordando che metodi diversi prendono in esame aspetti diversi delsegnale, anche in questo caso ci aspettiamo che mettendo insieme leinformazioni, quindi considerando più caratteristiche dello stesso, laprestazione del metodo complessivo migliori.

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4.5 risultati della prestazione complessiva 75

Di seguito (tabella 10) riportiamo le percentuali, valutate sul data-set degli MCI-co, ottenute utilizzando le 4 metriche insieme, comespiegato nel paragrafo 4.3.

Controlli CL ≥ 0.95 AD CL ≥ 0.95 Altri CL ≤ 0.95 Casi conflittuali

0.21 0.52 0.18 0.09

Tabella 10: La tabella riporta la prestazione dell’intero processo ottenuto uti-lizzando insieme i risultati delle 4 metriche. La prima colonnariporta la percentuale dei soggetti MCI classificati come control-li, la seconda quelli classificati AD, la terza i soggetti classificaticon un livello di confidenza inferiore al 0.95%. Infine la quartaindica la percentuale di soggetti classificati AD con una metricae controlli con un’altra.

Osservando i risultati riportati in tabella 10 confermiamo che, uti-lizzando tutte le metriche, la prestazione del processo complessivo èmigliore rispetto a quanto ottenuto valutando ogni metrica singolar-mente.

Il rate di soggetti classificati con un livello di confidenza inferioreal 95% passa, infatti, dal 36% ottenuto con la metrica avente le pre-stazioni migliori, al 15% ottenuto grazie all’utilizzo delle 4 metricheinsieme.

A conferma di quanto detto, a causa del fatto che gli MCI-co rappre-sentano solo parzialmente il gruppo di soggetti utilizzato come test,le prestazioni del metodo complessivo sono inferiori rispetto a quan-to riportato nella tabella 7; tuttavia le classificazioni ottenute sonoparagonabili con i risultati riportati in letteratura [63, 64].

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5D I S C U S S I O N E

5.1 discussione dei risultati

Il motivo per cui abbiamo applicato diversi metodi è legato al fat-to che, indagando caratteristiche differenti delle immagini, possonoesaltare aspetti del segnale che possono essere utilizzati in manieracomplementare per migliorare le prestazioni globali del metodo diclassificazione dei dati.

Questo ultimo aspetto può essere verificato attraverso la correla-zione delle metriche utilizzate: due metriche correlate consideranoaspetti simili del sistema studiato e utilizzarle insieme non comportaun sostanziale miglioramento dell’analisi.

Minore è la correlazione tra le metriche, più alto è il numero dicaratteristiche differenti del segnale prese in considerazione che, in-sieme, forniscono una visione più completa dell’effetto studiato e unaclassificazione più efficiente dei gruppi in esame.

Di seguito riportiamo il grafico (figura 39) che fornisce la correla-zione tra le 4 metriche adottate (3.2.1, 3.2.2, 3.2.3, 3.2.4), sia per quantoriguarda la popolazione TEST formata da 218 soggetti, sia per gli 86

MCI-co.

Figura 39: L’immagine mostra la correlazione tra le 4 metriche. Le metricheche si riferiscono a diversi metodi di feature selection (1-3 e 1-4;2-3 e 2-4) sono meno correlate. Le metriche basate sullo stessometodo (1-2 e 3-4) hanno correlazioni più alte.

Si vede che le metriche 1-3, 1-4, 2-3 e 2-4 sono poco correlate. Que-sto conferma il fatto che utilizzando metodi basati su diversi tipi di

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78 discussione

feature selection, si indaghino caratteristiche differenti del segnale.La forma dei grafici in figura 39, relativi alle metriche 1-3, 1-4, 2-3,

2-4, mostra che i dati agli estremi non si possono considerare com-pletamente scorrelati. Questo implica, quindi, che anche utilizzandometodi di analisi basati su aspetti differenti delle immagini non ègarantita l’indipendenza delle informazioni esaminate.

La correlazione tra le metriche 1-2 e 3-4 che, al contrario, sono diver-se misure dello stesso metodo di feature selection è alta sia nel casobasato sull’individuazione di particolari regioni di interesse (1-2), siache si osservino le componenti principali dello spazio (3-4).

Il grado di correlazione può essere fortemente legato alla naturadella selezione operata: nel caso del metodo basato sulle ROI le va-riabili esaminate sono 2050 e il grafico 39 mostra che la media deiconteggi (3.2.1) e la distanza dal cluster dei controlli (3.2.2) dannoindicazioni correlate ma non identiche.

Nel caso della PCA, abbiamo considerato prima una sola compo-nente dello spazio (3.2.3), poi due (3.2.4), e le informazioni ricavatesono sostanzialmente uguali. Se avessimo considerato un meggior nu-mero di componenti probabilmente la correlazione dei dati sarebbestata inferiore.

Concludendo, il miglioramento delle prestazioni complessive otte-nuto utilizzando le 4 metriche insieme è dovuto al fatto che parte diesse sono poco correlate e forniscono informazioni complementari.

Un’altra caratteristica ricavabile confrontando le metriche è l’an-damento dell’errore sulla classificazione dei soggetti, semplicementelegato alla scelta del metodo di analisi (1.4.2).

Quest’ultimo non è legato alle prestazioni della metrica adottata edipende dal fatto che non si conoscono la forma e le caratteristichedel segnale cercato.

Se, infatti, esistesse una procedura ben definita per l’estrazione delsegnale e la caratterizzazione dell’errore ad esso legato non si dovreb-be tenere conto dell’eventualità di poter introdurre un’ulteriore fontedi disturbo scegliendo un metodo di analisi non adeguato.

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5.1 discussione dei risultati 79

Il seguente grafico (figura 40), riporta la varianza dei dati in funzio-ne della media dei percentili corrispondenti ai valori attribuiti ad ognisoggetto, appartenente alla popolazione TEST o agli MCI-co, dalle 4

metriche. Oltre all’errore legato alla classificazione di ogni soggetto,è riportato il fit, in blu, con la sua incertezza, in azzurro.

Figura 40: Il grafico mostra l’andamento della varianza in funzione dellamedia dei percentili corrispondenti ai valori dei 218 soggetti dellapopolazione test e degli 86 MCI-co valutati con le 4 metriche. Lacurva blu rappresenta il fit e la banda in azzurro l’incertezza adesso legata.

Osservano l’andamento del fit in figura 40 si vede che l’errore suidati agli estremi del grafico è minore rispetto a quello relativo aipercentili centrali delle metriche.

Questo significa che tendenzialmente i soggetti classificati ad altiCL sono ben classificati a prescindere dal metodo di analisi adottatoper farlo, in quanto l’errore legato alla scelta del metodo è piccolo.

Il tutto si complica trattando i dati il cui percentile medio si trovatra 0.3 e 0.7 dell’immagine 40, cioè per quei soggetti classificabili soloa livelli di confidenza bassi. In questi casi è possibile che utilizzandoun metodo di analisi essi vengano classificati in un gruppo e, con unaltro, vengano classificati diversamente.

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80 discussione

In questi casi le possibilità di classificare correttamente il segnaleaumentano considerando più metodi di analisi diversi.

5.1.1 Considerazioni conclusive

Analizzando insieme i grafici 39 e 40 possiamo concludere che utiliz-zare più metriche insieme per classificare una popolazione di soggettiaumenta le prestazioni della classificazione stessa.

I soggetti ben classificati rimangono tali per ogni metodo di analisi;poiché l’errore legato alla scelta del metodo stesso è basso e utilizzareuna o più metriche risulta equivalente.

D’altra parte l’errore legato alla scelta del metodo di analisi per clas-sificare i restanti soggetti prescinde dalle prestazioni del metodo stes-so ed è grande; quindi conviene considerare più aspetti del segnale ilmeno dipendenti possibile per migliorare le prestazioni complessive.

In base a quanto osservato forniamo una conclusione riguardo alleipotesi formulate nel paragrafo 1.4.2 riguardanti il rumore dovuto alprocesso di elaborazione delle immagini.

5.2 ulteriori considerazioni metodologiche

5.2.1 Confronto tra Registrazione Deformabile e Affine.

La scelta di effettuare la trasformazione deformabile dopo aver appli-cato la trasformazione affine (3.1.2), nonostante i valori di correlazio-ne tra le immagini e il template (10, 12) non mostrino un significativomiglioramento del processo di registrazione, è legata al fatto che ilguadagno non sia globale, ma che localmente la migliore sovrapposi-zione delle strutture cerebrali porti ad affinare la classificazione deisoggetti.

Per confermare tale affermazione abbiamo utilizzato la metrica chesingolarmente fornisce prestazioni migliori (3.2.1) e, applicando lostesso processo d’analisi alle immagini registrate affini, abbiamo cal-colato l’area sotto la curva ROC.

I risultati nei due casi sono riportati di seguito:

AUCDe f ' 0.94[0.90− 0.97] AUCA f f ' 0.82[0.78− 0.86] (16)

Le restanti metriche portano risultati coerenti con quello mostrato eun conseguente peggioramento delle prestazioni globali del metodo,motivando l’utilizzo della trasformazione deformabile.

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5.2 ulteriori considerazioni metodologiche 81

5.2.2 Normalizzazione d’Intensità e Feature Selection

L’intento della normalizzazione in intensità è quello di esaltare ledifferenze tra i soggetti appartenenti ai diversi gruppi e l’operazionedi feature selection è volta ad amplificare tale risultato.

Non sapendo quali sono le caratteristiche dell’immagine nel qua-le è nascosto il segnale, effettuare una selezione delle variabili, puòportare a modificarlo o renderlo poco visibile. È necessario, quindi,mostrare il guadagno relativo all’applicazione dei metodi di featu-re selection nell’individuazione delle differenze delle distribuzioni ri-spetto al contributo portato dalla normalizzazione, per motivare ilsuo utilizzo.

Nonostante la registrazione abbia esaltato le differenze legate allapresenza della patologia diminuendo le altre, il numero elevato divoxel e quindi l’eccessivo contenuto informativo nasconde il segnalecontenuto nelle immagini.

La figura 41 mostra le distribuzioni legate alla media dei conteggidei controlli, in rosso, degli AD, in blu, e degli MCI-co, in nero, do-po l’equalizzazione e prima della selezione di particolari regioni diinteresse.

Figura 41: La figura mostra le distribuzioni dei conteggi medi dei 3 gruppidi soggetti considerati. I controlli, in rosso, gli AD, in blu, e gliMCI-co, in nero, prima della feature selection.

L’imagine 41 mostra che le curve risultano sostanzialmente sovrap-poste. Questo indica che le differenze legate alla patologia non sonorese evidenti dalla sola normalizzazione d’intensità e i soggetti nonpotrebbero essere classificati.

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82 discussione

Selezionando determinate ROI (30), le distribuzioni legate alla stes-sa metrica (figura 42) risultano distinguibili.

Figura 42: La figura mostra le distribuzioni dei conteggi medi dei 3 gruppidi soggetti considerati. I controlli, in rosso, gli AD, in blu, e gliMCI-co, in nero dopo la selezione di particolari regioni di interes-se. I tagli, in nero, corrispondono al 95% di sensibilità e specificitàdella media dei conteggi della popolazione TEST

Quanto osservato dimostra la necessità di applicare metodi di fea-ture selection.

5.2.3 ROI e Modello “Cascata Amiloide”

I soggetti MCI analizzati fanno parte di quel 50% di questa categoriaclinica che converte in AD (2.1.1).

Ci aspettiamo che le aree cerebrali che consentono di distinguerlimaggiormente dai controlli siano, almeno macroscopicamente, coin-cidenti con quelle che distinguono i soggetti AD da chi non è affettodalla patologia in esame.

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5.2 ulteriori considerazioni metodologiche 83

Di seguito riportiamo un’immagine (figura 43) che raffigura le zoneche maggiormente distinguono gli MCI dai controlli, per verificare ifondamenti dell’ipotesi appena formulata.

Figura 43: L’immagine a sinistra mostra la regione cerebrale che permet-te di differenziare controlli e MCI. A destra sono raffigurate lezone che differenziano i controlli dai soggetti AD. In entram-be le immagini le ROI sono in rosso, sovrapposte al template,rappresentato in scala di grigi.

Le aree cerebrali evidenziate in rosso e sovrimpresse sul template,raffigurato in scala di grigi, hanno una diversa ampiezza rispetto alleROI utilizzate per la feature selection, raffigurate in figura 43 a destra,ma si vede che macroscopicamente coincidono.

Tutto questo, oltre a confermare la scelte delle ROI da noi utilizzate,mostra che le zone colpite dalla neurodegenerazione sia negli AD chenegli MCI sono circa le stesse.

Nonostante la classificazione clinica degli MCI come AD avvengasolo due o tre anni dopo la realizzazione delle immagini analizzate,le “tracce” della patologia sono già presenti e visibili, come sostenutodal modello “Cascata Amiloide” (2.1.2).

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6C O N C L U S I O N I

L’analisi svolta in questo lavoro di tesi si basa su sistemi difficilmenteinquadrabili nel paradigma fisico di misura a causa dell’assenza di unmodello eziologico esatto da utilizzare per inquadrare il fenomeno inesame.

Non essendo note le cause che lo determinano non si conoscononé forma né caratteristiche del segnale cercato e per individuarlo ènecessario elaborare un diverso paradigma di misura basato sul con-fronto di due popolazioni: la prima in cui si attesta la presenza delsegnale, la seconda in cui esso è assente.

Utilizzando questo approccio il metodo adottato per l’individuazio-ne del segnale rientra nella definizione del segnale stesso. Quindi, perdeterminare l’incidenza della scelta relativa al metodo di analisi sullasua caratterizzazione abbiamo implementato 4 differenti metriche.

Poiché il segnale è quantificabile unicamente attraverso la valuta-zione dell’efficacia della classificazione dei dati nei loro gruppi di ap-partenenza, dopo una fase di elaborazione preliminare, volta a mini-mizzare le differenze che non fossero legate alla presenza del segnalecercato, abbiamo valutato le prestazioni di ogni metrica. Inizialmenteapplicandole a una popolazione, formata da 218 soggetti, poi con undataset indipendente costituito da 86 individui.

Infine abbiamo utilizzato insieme i 4 metodi di analisi cercando dimassimizzare le prestazioni complessive del processo implementato.

I risultati ottenuti confermano che utilizzando misure indipendenti,che indagano caratteristiche differenti dei dati analizzati, si ottengo-no informazioni complementari che forniscono, se utilizzate insieme,una visione più completa dell’effetto studiato e una classificazionepiù efficiente dei gruppi in esame.

Inoltre abbiamo stimato l’entità dell’incertezza dovuta al processodi elaborazione: i dati che ogni metrica classifica ad alti livelli di con-fidenza rimangono ben classificati a prescindere dal numero di meto-di utilizzati insieme, in quanto l’errore stimato legato alla scelta delmetodo stesso è piccolo. Contrariamente, nel caso in cui i dati sianostati classificati dalle singole metriche a bassi livelli di confidenza, lepossibilità di migliorare le prestazioni aumentano considerando piùmetodi di analisi indipendenti.

In base alle conclusioni tratte possiamo affermare che in campomedico, utilizzando insieme metriche indipendenti per l’individua-zione dei biomarcatori che segnalano la presenza della patologia, siotterrebbe una migliore classificazione clinica dei soggetti analizzati.

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86 conclusioni

Uno sviluppo naturale di questo lavoro di tesi riguarda la valuta-zione dei parametri in base ai quali stimare l’indipendenza dei varimetodi di analisi che si intende implementare, in modo da massi-mizzare la complementarietà delle informazioni da essi osservate perriuscire ad indagare più aspetti del segnale da caratterizzare.

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R I N G R A Z I A M E N T I

E ora alcuni dicono che scrivendo i ringraziamenti si tiri un respirodi sollievo perché non vengono corretti e, certamente, non posso direnon sia vero. Altri affermano di stare scrivendo il paragrafo più com-plesso e il più letto dell’intera tesi. Altri ancora si scusano perché seringraziassero davvero tutti probabilmente la tesi raddoppierebbe e,anche questo, è indubbiamente una realtà.

Io scrivo questi ringraziamenti con un filo di malinconia, consape-vole e orgogliosa del cammino lasciato alle spalle e incuriosita da ciòche ho davanti. Si chiamano ringraziamenti no? e allora iniziamo aringraziare...

Ovviamente per la costanza e la tenacia con le quali mi hannoSUPPORTATO e SOPPORTATO in questi anni ringrazio per primala mia famiglia. Mia mamma, che ha sempre provato a ricordare cheda qualche parte, nel profondo, tra tutta la fisica ammassata qua e la,si nascondono le mie origini da classicista, che costituiscono la basedella mia cultura e mi hanno aiutato a essere quella che conoscete.Il mio fratellino, esplosivo in tutte le sue manifestazioni, magnificocontraltare del mio carattere e, per questo, importantissimo sostegno.

È necessario specificare che con famiglia intendo quella da cui pro-vengo, ma sento tale anche la persona con cui ne sogno una futura.Ringrazio il mio marinaio per riuscire a essere sempre presente an-che da lontano, per avere sempre la dose di spensieratezza che servea rendere oggettive le mie tragicomiche avventure, per intrecciare isuoi ai miei piedi gelati sotto le coperte, dopo una serata passata alitigare su inutili scemate, e per essere il mio compagno di giochi edivertenti risate.

Passiamo alle cose serie: ringrazio il Professor Squarcia e il Profes-sor Calvini per avermi seguito e consigliato in questo lavoro di tesicon estrema cura e precisione.

Ed eccoci giunti ai ringraziamenti spinosi: mi hanno sopportato perpiù di un anno, hanno tentato in tutti i modi possibili di comprende-re il mio buffo carattere e, nonostante tutto, alla fine, mi hanno fattosentire a casa. Ringrazio Martina, compagna di infinite discussioni,prezioso riferimento e aiuto, gli ILLUSTRISSIMI SENSI SENSEI (JU-NIOR) e il neo papà Luca, che mi hanno aiutata e guidata nel magicomondo di matlab con infinita e infinita e ancora infinita pazienza eDiego, compagno dei miei pranzi al difi.

Si sa, per ultima si tiene la “creme”, un GRAZIE SPECIALE ALCAPO: DOTTOR CHINCARINI SENSEI (SENIOR), con estrema fati-ca ha imparato a spronarmi e incoraggiarmi sino a scommettere, or-mai disperato, con PAOLO (GIUSTO PER RICORDARLO...) che non

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88 conclusioni

mi sarei laureata. Non è stato semplice da digerire, ma è stata indub-biamente la molla per spingermi a lavorare nel modo giusto. Sotto lasua guida sono cresciuta e ho imparato che riflessione, continuità ecostanza, benché scomode e faticose alla fine premiano. Almeno peroggi possiamo dire che ho capito...Dottor Chincarini.

E ora tutti gli altri:Ringrazio Mirko e Linda Anzalone (Linda mi abituerò al suono

solo al primo anniversario) testimoni di tutte le mie scelte e di tuttele facciate prese e sempre presenti per aiutarmi a rimettermi in piedi.

Ringrazio Ricky col quale sono cresciuta, che ha ascoltato la tesinadell’esame di maturità seduto sul mio letto, correggendo la mia pro-nuncia inglese, e ora brinda con me alla conclusione di questo lungoe faticoso percorso che finisce con la parole dottore.

Ringrazio Pietro, non so come tenacemente è riuscito a superarela mia completa inabilità a mantenere vivi i rapporti, rimanendo uncarissimo amico e un fidato consigliere.

Ringrazio Irene, Silvia e Ilaria, le strade ci portano lontane, mal’affetto supera ogni distanza.

Ringrazio gli amici di “Vaze” ( tra questi Cocca e Silvio... Cocca fac-ciamocene una ragione saremo sempre amiche di VAZE), gli unici percui qualunque scelta faccia, ovunque decida di andare, sarò semprela piccola iaia.

Quindi ringrazio tutto il magnifico mondo del DIFI: Le mie adora-bili FI..E, Le marzie, Chiaretta, Fede, Eli e la smemorata Giulia, com-pagnia internazionale e insostituibile in ogni momento della giornata.I fanciulli tutti: Coppy, che aspettavo in commissione di laurea, Simo,Volpe, Fede, Pres, Lollo, insostituibili compagni di bevute ignoranti ecampestri, Ale, Davide, Manuella, il Dodo e le fantastiche new entryRuggi, Luca e Laura...sicuramente ho dimenticato qualcuno, ma nonme ne voglia.

Insomma GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutti e ora decisamente...SPERIAMOCHE IO ME LA CAVO.

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B I B L I O G R A F I A

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