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sessantaquattro Rivista trimestrale della società nazionale NUMERO 64 Redazione Via Mellerio, 2 Milano tel. 02/ 8692913 degli operatori della prevenzione FEBBRAIO 2005 Autorizzazione Tribunale di Milano n. 416 del 25.7.1986 Tariffa Assoc. senza scopo di lucro: Poste Italiane SpA sped. in abb. post. DL353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n.46)art. 1, comma 2, DCB Milano ISSN 1720-9714 Numero monografico salute globale

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Numero monografico salute globale

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EDITORIALE 1Salute globaledi Alberto Baldasseroni

SALUTE GLOBALE 2Perché è necessario allargare i nostri orizzonti professionalidi Angelo StefaniniQuale l’influenza del redditodi Gavino MacioccoLe produzioni animali, la fame e la povertà nel mondo di Adriano MantovaniMigrazione e salute di Salvatore Geraci

ESPERIENZE INTERNAZIONALI 5Conoscenze e risorse locali neipaesi del sud del mondodi Luciano Venturi e Patrizia ParodiCommercio e salute nei paesi in via di sviluppodi Patrizia Parodi e altri Progetto di sanità pubblica veterinaria in Angoladi Patrizia Parodi e altri Italia-Nicaraguadi Manuela Peruzzi e altriCommercio e salute nei paesi in via di sviluppodi Patrizia Parodi e altriAmine aromatiche globalizzatedi Francesco CarnevaleProblematiche sanitarie nei lavoratori italiani all’esterodi Celestino Piz e altri

ESPERIENZE NAZIONALI 29Abitazioni malsanedi Lucia De Noni e Silvana Manservisi Assistenza agli emarginati,nomadi e immigrati irregolaridi Mauro Palazzi e altriPerogetto scalo migrantidi Alessandro Filoni e altriDue recensionidi Roberto Calisti

RISCHIO CHIMICO 38Silice cristallina: vecchio problema e nuove prospettivedi F. Cavariani e altriLa banca dati ISCSa cura di G. Cotti e altri

SCHEDE INFORMATIVE 45Il testo unicoa cura di Roberto Calisti

Rivista della società nazionale degli opera-tori della prevenzione

NUMERO 64FEBBRAIO 2005

Autoriz.Trib. di Milano n. 416 del 25/7/86Direttore respons. Giancarlo D’AddaDirettore Alberto BaldasseroniProg. grafico e disegni Roberto MaremmaniRedaz. Milano, via Mellerio 2

Tariffa Associazioni senza scopo di lucro:Poste Italiane SpA sped. in abb. post. DL353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 2,DCB Milano

stampa:Tipografia Alfredo Colombo LECCO

Proprietà - Editore: Snop - Società Nazionale Operatori della PrevenzioneVia Prospero Finzi, 15 20126 Milano

AbbonamentiEuro 26,00 per tre numeri

Tramite versamento postale c/c n. 36886208SOCIETÀ NAZIONALE OPERATORI DELLAPREVENZIONE Via P. Finzi, 15 20126 MILANOIndicando la causale del versamento el’indirizzo a cui spedire la rivista.Prezzo di un numero Euro 10,00

Dallo statuto SNOPArt. 1 - È costituita l’Associazione denominata “Società NazionaleOperatori della Prevenzione”, in sigla SNOP, con finalitàscientifiche e culturali. L’Associazione, in quanto ente noncommerciale, si propone di:● sostenere l’impegno politico e culturale per lo sviluppodi un sistema integrato di prevenzione, finalizzato alla rimo-zione dei rischi e alla promozione della salute negli ambien-ti di vita e di lavoro, con particolare attenzione alla rete deiServizi e Presidi pubblici;● promuovere conoscenze ed attività che sviluppino laprevenzione e la promozione della salute dei lavoratori edella popolazione in relazione ai rischi derivanti dallo statodell’ambiente e dalle condizioni di vita e di lavoro;● favorire lo scambio di esperienze ed informazioni fra glioperatori ed il confronto sulla metodologia ed i contenutidell’attività, per raggiungere l’omogeneità delle modalità diintervento perseguendo il miglioramento continuo di qualitàe l’appropriatezza delle attività di prevenzione a livellonazionale;● promuovere il confronto e l’integrazione tra sistema diprevenzione pubblico e sistema di prevenzione delle imprese;● promuovere un ampio confronto con le Istituzioni, leForze Sociali e le altre Associazioni Scientifiche su questi temi;● diffondere l’informazione e la cultura della prevenzione.L’Associazione non ha fini di lucro.

DIRETTIVO SNOP FEBBRAIO 2005SOMMARIO

In copertinaSorting Manganese Ore, di G. SpencerPryse, (1928), stampa su carta.

NewsnopIl lavoro nero, il lavoro nero, il lavoronero. E poi il lavoro scuro anche se nonpropriamente nero dei neri, dei marroni,dei gialli, dei cioccolata, dei beige e purequello dei bianchi sporchi. Ecco il lavoroforse più nocivo dei nostri tempi. Questoa casa nostra e in ogni posto del pianetadove si lavori. Si dice sempre che lenorme tutelano solo i tutelati e noi cosafacciamo? Per aiutarvi a pensare, mentresfogliate questo numero, alcuni volti viosserveranno.

Campagna nazionale sottoscrizione perfinanziare lo sviluppo del sito web.

Si possono inviare contributi per la rivi-sta (articoli, notizie, lettere, ecc.) a [email protected] materiali per il web [email protected]

indirizzo del sito della nostra associazionewww.snop.it

REGIONE ABRUZZOAnnamaria Di GiammarcoUfficio TSL ASL Pescarapiazza della Stazione 165020 Alanno PEtel 085.8542995fax [email protected]

REGIONE CALABRIABernardo CirilloUSL Catanzarovia Discesa Poerio 388100 CATANZAROtel 0961.703318fax [email protected]

REGIONE CAMPANIAGiovanni Lama(segretario regionale)Dipartimento Igiene e Medicina del LavoroASL Caserta 2via Linguidi 5481031 Aversa CEtel 081.5001327fax 081.5001327 [email protected]

REGIONEEMILIA ROMAGNAAligi Gardini(vicepresidente)Dipart. di Sanità Pubblicavia della Rocca 1947100 FORLÌtel 0543.733556fax [email protected] [email protected]

Luigi Salizzato(ufficio di presidenzacoordinatore redazione sito web)Dipart. di Sanità Pubblicavia Moretti 9947023 Cesena FOtel 0547.352083/70fax [email protected]

Maria Elisa Damiani(segretario regionale)Dipart. di Sanità Pubblicavia Gramsci 1240121 BOLOGNAtel 051.6079930fax [email protected]

REGIONE LIGURIAClaudio CalabresiINAILvia D'Annunzio 7616121 GENOVAtel. 010.5463251 [email protected]

Andrea TozziU.O.Psal ASL 3 Genovesevia Bonghi 616162 GENOVATel. [email protected]

REGIONE LOMBARDIAEnrico Cigada(tesoriere)ARPA Monzavia Oslavia 120099 Sesto S.Giovanni MItel 02.24982725fax [email protected]

REGIONE MARCHERoberto Calisti(segretario regionale)ASUR Marche Zona Territ. 8SPReSALvia Ginocchi 1/a62012 Civitanova Marche MCtel 0733.823805/841fax [email protected]

REGIONE PIEMONTEVALLE D’AOSTAAndrea Dotti(tesoriere CPE)SPreSAL ASL 7 Chivassovia Regio Parco 6410036 Settimo T.se TOtel 011.8212335fax dir 011.8212300 segr [email protected]

REGIONE PUGLIADomenico Spinazzola(vicepresidente)ASL BA 2Via Cavour 1970051 Barletta BAtel 0883.577921fax [email protected]

Giorgio Di Leone(segretario regionale)Spresal Ausl BA 3via Vittime di via Fani70021 Acquaviva delle Fonti BAtel 080.3077022fax [email protected]

Fulvio LongoASL BA 5via Lapenna 3970010 Casamassima BAtel 080.4050545fax [email protected]

REGIONE TOSCANA• Domenico Taddeo(presidente SNOP,segretario CPE)UO Pisll zona ValderaASL 5 Pisavia Fantozzi 2/A52025 Pontedera PItel 0587.273662fax [email protected] [email protected]

Alberto Baldasseroni(ufficio di presidenza,coord. redazione rivista SNOP)Unità di epidemiologiaASL Firenzevia San Salvi 12 50125 FIRENZEtel 055.6263378fax [email protected]@snop.it

REGIONE SICILIAPaolo RavalliAZ.USL 7 Ragusa Spresalzona industriale 1fase97100 RAGUSAtel fax [email protected]

REGIONE VENETOManuela Peruzzi(vicepresidente)SPISAL ULSS 20 Veronavia Salvo D’Acquisto n. 7 Palazzo della Sanità 37134 VERONAtel. 045.8075045 fax [email protected]

Antonella Zangirolami(segretario regionale)SPISAL ULSS 18viale Tre Martiri 8945100 ROVIGOtel [email protected]

Celestino Piz(presidente CPE)SPISAL ULSS 6 via IV Novembre 4636100 VICENZAtel. 0444.992213fax [email protected]

RIFERIMENTI NAZIONALIConsulta InterassociativaItaliana per la PrevenzioneDomenico TaddeoAndrea DottiEmilio CiprianiSpisal Ulss 22via Foro Boario 2837012 Bussolengo VRtel 045.6769445/408fax [email protected]

Evidence Based PreventionAlberto BaldasseroniAligi Gardini

Consulta NazionaleTabagismo Mauro PalazziDipart. di Sanità Pubblicavia Moretti 9947023 Cesena FOtel 0547.352083fax [email protected]

Arpa AnpaEnrico CigadaRoberto MerloniARPA ER Sezione Prov. Rimini Via Gambalunga 8347037 RIMINItel 0547.367274fax [email protected]

Prevenzione nei Luoghidi Lavoro e CPE Celestino PizAndrea DottiDomenico Taddeo

Premio “Alessandro Martignani”Luigi Salizzato(Segreteria del premio)

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PENSARE GLOBALE

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PER I SOCI SNOPQuote sociali socio ordinario 30,00 (trenta euro)socio sostenitore 50,00 (cinquanta euro)

QUESTO NUMEROQuesto numero è stato coordinato, per laparte monografica su “Salute Globale”,da Luigi Salizzato.

SUL PROSSIMONUMEROSi annuncia un inserto monografico su“alimenti e salute” che affronterà, anchealla luce degli sviluppi creatisi dopo labattaglia, vinta, per l’abolizione dell’ob-soleto Libretto Sanitario per alimentari-sti, le nuove politiche di sanità pubblicaper una prevenzione efficace, rivolte allapromozione di stili di vita sani ed allosviluppo di un ambiente di vita favorevo-le alla salute.Verranno presentati approfondimenti sultema, risultati di studi e ricerche, espe-rienze esemplari da diverse realtà Regio-nali.Nel numero avranno anche ampio spazioaltri contributi che riguarderanno il TU indiscussione delle normative sulla sicu-rezza e igiene del lavoro, il rischio chi-mico e altri articoli su vari argomenti diprevenzione primaria.

Il numero 64 della nostra rivista contie-ne due sezioni. La prima si occupa diSalute Globale, tema di attualità chevede coinvolti ed interessati molti opera-tori della sanità pubblica italiana. Laseconda invece conclude l’argomentodel numero monografico precedente sulRischio Chimico nei luoghi di lavoro. Ilconnubio è virtuoso: da una parte irisvolti sanitari (in senso molto lato) diun mondo che sempre più si scopreinterconnesso. Dall’altra le frontiereavanzate (ma minacciate) della protezio-ne della salute di chi lavora nei confron-ti degli “xenobiotici” del mondo moder-no. E le convergenze tra i due argomen-ti sono tante. Le troviamo negli articoliche costituiscono la materia del numero(basti pensare a quelli della sezione sullasalute globale che si riferiscono alleesperienze di promozione e protezionedella salute di lavoratori in altri conti-nenti o dei lavoratori che da altri conti-nenti giungono nel nostro paese), maanche nelle implicazioni concettuali chene contraddistinguono lo sfondo. L’in-fluenza del modo di vita (qualcuno parladi “stili di vita”) adottato dai cittadini del“primo” mondo rischia di travolgere

anche i nuovi arrivati alla soglia delbenessere, creando squilibri globali chesi riflettono sull’intera umanità. Il pen-siero va subito a quel terzo della popola-zione mondiale rappresentato dai cinesi,ormai avviati a una svolta epidemiologi-ca straordinaria. Esposizioni professio-nali, degrado ambientale, rischi per l’e-cosistema, adozione di abitudini delete-rie per la salute sono tutte sfide che sipongono di fronte alla sanità pubblica eche influiranno su tutti gli scenari delfuturo. Anche quei paesi che invece sitrovano ancora lontani dalla svolta (bastipensare alle condizioni di molte popola-zioni africane) finiscono per avere rilie-vo sempre maggiore negli scenari disalute a noi vicini, quelli europei, nonfosse altro per le ondate immigratoriecrescenti verso i nostri paesi. È quindiessenziale abituarci a pensare “globale”(ricordandoci di un antico, ma modernis-simo slogan dell’OMS), pur agendo nelnostro quotidiano locale. E i testi di que-sto numero possono essere veramenteutili a questo fine.

Con questo numero del Bollettino laSNOP ribadisce la sua attuale vocazione

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di Alberto Baldasseronidirettore SNOP

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ad offrire una visione della sanità pub-blica di ampio orizzonte. Le sfide che ciattendono possono essere affrontatesolamente rinnovando il nostro bagaglioculturale e i relativi strumenti di lavoro.Per chi volesse comunque seguire levicende più quotidiane del nostro campodi lavoro, ricordiamo che abbiamo adisposizione altri due importanti media,la Newsletter SNOP InForma, giunta alsuo ottavo numero e che trovate scarica-bile nel sito societario e il sito stessodella Società all’indirizzo www.snop.itdove con aggiornamento frequentissimoriportiamo l’evolversi degli avvenimentidella sanità pubblica italiana. Buona navigazione.

SALUTE GLOBALEPERCHÉ È NECESSARIO ALLARGARE I NOSTRI ORIZZONTI PROFESSIONALI

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di Angelo Stefanini NU

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In un momento in cui le forze della glo-balizzazione si fanno sempre più eviden-ti, nessuno può più permettersi di isolar-si dalle problematiche internazionali.Tanto meno un professionista della salu-te. La crescente quantità di letteraturamedico-scientifica che affronta temi glo-bali dalle diverse prospettive disciplinariè indicativa delle pressanti richieste a cuil’operatore d’oggi è sottoposto, sia dalpunto di vista professionale che umano.Ma fino a che punto la formazione el’informazione corrente in campo sanita-rio forniscono strumenti e conoscenzeadeguate in questo settore?

“La formazione e la crescita continua delmedico e dell’operatore sanitario nelXXI secolo deve farsi carico di creareprofessionisti, soprattutto nel campodella salute pubblica, che abbiano la sen-sibilità umana e le conoscenze scientifi-che adeguate per far fronte alle nuoveproblematiche poste dal fenomeno dellaglobalizzazione.”1 Le ragioni di talenecessità vanno dalla natura multicultu-rale delle società moderne alla presenzanel nostro Paese di rifugiati economici edi vittime di tortura e di conflitti; dalla

progressiva domanda sanitaria creatadalla diffusione del turismo internaziona-le alle conseguenze sulla salute dei cam-biamenti demografici, ambientali, tecno-logici e delle disuguaglianze socio-eco-nomiche. Il ruolo che è necessario assu-mere, sia come singoli operatori checome appartenenti ad organizzazioni pro-fessionali, è quello di promozione dellasalute non soltanto influenzando gli stilidi vita dei singoli individui ma anche cer-cando di avere un impatto sulle sceltepolitiche che hanno implicazioni sullasalute. Dall’orrore della pandemia del-l’HIV/AIDS alla controversia sull’acces-so ai farmaci essenziali e ai servizi sani-tari di base suscitata dagli accordi com-merciali globali promossi dalla Organiz-zazione Mondiale del Commercio, peraiutare a crescere questo tipo di profes-sionista non basta più il bagaglio tradi-zionale di conoscenze improntato ai pro-blemi sanitari di casa nostra; è necessarioqualcosa di più.2

I profondi cambiamenti demografici, epi-demiologici e sociali di questi ultimidecenni stanno infatti facendo perdereogni significato alle differenziazioni sto-

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riche e tradizionali tra sanità “a casanostra” e sanità “altrove”, compresi iPaesi in Via di Sviluppo (PVS). Untempo la cosiddetta medicina e igienetropicale veniva vista come una ereditàdel periodo coloniale ed in genere identi-ficata con distinti contesti di arretratezzaeconomica e culturale, dotata di una suaspecificità regionale, ambientale e clima-tica e carica di una forte componente eso-tica e di folklore. Soltanto in un secondotempo è emersa la consapevolezza che ladiscriminante fondamentale tra le duerealtà è rappresentata essenzialmentedalla evidente enorme disparità di risorseche i diversi Paesi possono mobilizzare afavore non soltanto del settore sanitarioma di uno sviluppo globale delle propriepopolazioni.3, 4

Il concetto forse un po' troppo bucolicodi Villaggio Globale non dà sufficiente-mente l’idea della intensità delle nuovepressioni sia qualitative che quantitativeprovenienti dai PVS con cui le infrastrut-ture dei Paesi del Nord si stanno ora con-frontando. Tutto ciò conduce ad un inevi-tabile parallelismo e mutualità tra ricer-ca, pratica e comuni interessi tra la nostrasanità pubblica, i nostri sistemi sanitari equelli dei Paesi del Sud del mondo. Moltidei problemi con cui oggigiorno ci con-frontiamo, a cominciare da quelli sopraelencati, hanno carattere inter-settorialecolpendo le aree più o meno sviluppate inmodo uniforme e relativamente indiffe-renziato.

Anche se ciascuna area possiede ovvia-mente implicazioni e caratteri regionali oculturali distintivi, presupponendo effettie potenziali interventi di diversa natura,le strategie utilizzate in una determinatarealtà possono rivelarsi esperienze istrut-tive per l’altra. Ne sono esempi i pro-grammi di immunizzazione, di pianifica-zione familiare, di prevenzione degliincidenti, delle malattie da fumo, di con-tenimento dei costi crescenti del settoresanitario. Aree tra loro indipendenti o inun rapporto di reciprocità non si escludo-no necessariamente a vicenda né sono diper sé esaustive; possono anzi porsi in untipo di relazione dinamica giocando ruolia volte complementari, a volte autonomi.

Se il mondo diventa sempre più piccoloin rapporto ai problemi sanitari, deveallora crescere anche la consapevolezzache la cooperazione internazionale e l’as-sistenza tecnica in sanità va a vantaggiodi entrambi i partners.5 È necessarioquindi attenuare i toni filantropici chestanno in genere alla base delle politichedi aiuto allo sviluppo e sottolineare inve-ce sempre più i benefici vicendevoli a cuiconducono i programmi di sanità interna-zionale. Se vogliamo potenziare le moda-

lità di difesa e promozione della nostrasalute non possiamo astenerci dal mette-re al centro delle politiche sanitarie acasa nostra una visione internazionale diinterdipendenza globale, economica,ambientale ed epidemiologica.

Gli operatori di sanità pubblica hannol’obbligo di apportare un contributo inquesto senso nella formulazione dellepolitiche e nella attuazione dei program-mi. La distinzione tra sanità nazionale edinternazionale è sempre più anacronisticae segno di angustia culturale e scientifica.La mutualità e il parallelismo esistenti traesse rappresenta ormai un soggetto piùche legittimo di studio e di pratica da per-seguire con lo stesso rigore scientifico edintellettuale dovuto alle altre aree di stu-dio nel settore sanitario. Contributi fattivi

sono necessari per dare un apporto allariduzione del divario esistente tra Nord eSud del pianeta nei settori della ricerca,della formazione e dei finanziamenti6.Speciali sezioni dovrebbero essere istitui-te nelle conferenze a livello nazionale edinternazionale per presentare e dissemi-nare ricerche originali in quest’area.

Nel campo della formazione è importanterafforzare ed espandere nuovi curriculanei corsi sanitari pre e post-laurea e di for-mazione continua. Programmi di scambioculturale e scientifico possono facilitarela nascita di operatori competenti nell’af-frontare e gestire le nuove realtà globalidella salute. I professionisti della salutepubblica dovrebbero partecipare in primapersona ad una strategia ben disegnata eadeguatamente finanziata per educareleader, legislatori e decisori politici nazio-nali e internazionali, e soprattutto il pub-blico dei Paesi del Nord, nella utilità ebenefici reciproci derivanti dall’attenuaresempre più la distinzione tra sanità nazio-nale ed internazionale.

Prestigiose riviste scientifiche7, 8, 9 esorta-no a riavvicinare sanità pubblica, epide-miologia e società globalizzata “riorien-tando l’interesse su problemi globaliquali guerre, povertà, cambiamenti cli-matici e aspetti sociali di salute e malat-tia.” Un tale approccio necessita di unaprofonda disponibilità alla collaborazio-ne inter-settoriale e multi-disciplinare, alcoinvolgimento delle comunità, all’usodi metodi di analisi quantitativa e quali-tativa, e ad una nuova prospettiva chedallo studio di una singola popolazione(la nostra) passi a confrontare tra loropopolazioni, società e Paesi diversi.

Angelo StefaniniDipartimento di Medicina

e Sanità PubblicaUniversità di Bologna

NOTE1. Stefanini A.“Perché una rubrica sulla Salute Globa-le?” www.snop.it 2. Editorial (2001) Educating doctors for world health.The Lancet 358: 1471.3. Editorial (2004) Tropical medicine: a brittle tool ofthe new imperialism The Lancet 363( 9415): 1087.4. Stefanini A. (1998), Medicina tropicale e patologiadella povertà. Nuovi paradigmi in politica sanitariainternazionale. Annali d’Igiene, Medicina Preventivae di Comunità 10: 387-393.5. Abell C,Taylor S. (1995), The NHS benefits fromdoctors working abroad. BMJ 311: 133-134.6. Editorial (2000) Enabling research in developingcountries. The Lancet 356 9235:104.7. Editorial (1997), Putting public health back into epi-demiology.The Lancet 350: 229.8. Bateman C, Baker T, Hoornenborg E, Ericsson U.(2001), Bringing global issues to medical teaching.The Lancet 358: 1539-1542.9. Smith R. (2002), Editorial. A time for global health.BMJ 325: 54 - 55.

Cooperazione internazionale• Lista ONG italiane

www.soci.unimondo.org/ong • Informazione, formazione, opportunità

www.ihe.org.uk • Volontari cercasi

www.focsiv.it/ricvol.htm • Cooperazione decentrata Regione Emilia-

Romagnawww.regione.emilia-romagna.it/cooperazionedecentrata/contattaci

Salute Globale• Organizzazione Mondiale della Sanità

www.who.int• Obbiettivi dello Sviluppo

www.paris21.org/betterworld/home.htm • Risorse in rete

www.lib.berkeley.edu/PUBL/IntHealth.html • Un sito per medici “globali”

www.medact.org • Medici senza Frontiere (versione italiana)

www.msf.it • Una miniera di informazioni “globali”

www.oneworld.net (Versione italiana www.unimondo.org)

• Telematica per la pace www.peacelink.it

• People’s Health Movement http://phmovement.org

• Politics of Health www.politicsofhealth.org

• Osservatorio Italiano sulla Salute Globale www.saluteglobale.it

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INTRODUZIONETra le varie rappresentazioni dei deter-minanti della salute quella socio-struttu-rale è probabilmente la più suggestiva. Ilmodello, elaborato da G. Dahlgren e M.Whitehaed1, descrive una serie di straticoncentrici, corrispondenti ciascuno adifferenti livelli di influenza (Figura 1).1. Al centro c’è l’individuo, con le suecaratteristiche biologiche: il sesso, l’età,il patrimonio genetico. 2. Lo strato successivo riguarda il com-portamento, lo stile di vita, degli individui,che includono fattori come l’abitudine alfumo e all’alcol, i comportamenti alimen-tari e sessuali, l’attività fisica, che possonopromuovere o danneggiare la salute.3. Ma l’individuo non esiste da solo: egliinteragisce con i familiari, gli amici, lacomunità circostante. Così la qualitàdegli affetti e delle relazioni socialiinfluenza la qualità della vita delle singo-le persone e può determinare un diversostato di salute sia attraverso meccanismipsicologici (la depressione e l’ansia), cheattraverso condizioni materiali favorevo-li o avverse (es: la presenza o l’assenza diuna rete di supporto familiare o sociale).4. Il quarto livello concerne un insiemecomplesso di fattori che riguardanol’ambiente di vita e di lavoro delle per-sone: l’istruzione, l’alimentazione, l’abi-tazione, le condizioni igieniche, i tra-sporti e il traffico, l’occupazione, il red-dito, i servizi sanitari e sociali.5. Lo strato più esterno si riferisce allecondizioni generali – politiche, sociali,culturali, economiche, ambientali – incui gli individui e le comunità vivono.

Di questa serie di determinanti, alcuni –le caratteristiche biologiche dell’indivi-duo (il sesso, l’età, il patrimonio geneti-co) – sono immodificabili, mentre tutti

gli altri sono suscettibili di essere tra-sformati o corretti. Il destino di salute diuna persona, di una comunità o di unapopolazione dipende quindi da una mol-teplicità di situazioni e di livelli diresponsabilità: • la responsabilità individuale circa icomportamenti e gli stili di vita; • la responsabilità familiare o di gruppocirca le relazioni affettive e sociali; • la responsabilità di una comunità o ungoverno locale o nazionale circa le poli-tiche sociali, del lavoro e dell’assetto delterritorio (da cui dipende la disponibilitàe accessibilità dei servizi sanitari, socia-li ed educativi, l’occupazione, la fruibi-lità delle infrastrutture); • la responsabilità infine dei soggettisovranazionali – come Nazioni Unite,Banca Mondiale, Fondo MonetarioInternazionale, Organizzazione Mondia-le del Commercio, etc. – che hanno ilpotere di regolare i rapporti tra gli stati,tra gli stati e le imprese economiche e

finanziarie multinazionali, e di influenza-re i meccanismi macroeconomici chesono alla base della ricchezza e dello svi-luppo di alcuni, e della povertà e del sot-tosviluppo di altri. Il modello enfatizza inoltre le interazionitra diversi livelli. Per esempio, gli stili divita individuali sono collocati all’interno einteragiscono con le reti sociali e comuni-tarie e con le condizioni di vita e di lavoro,che a loro volta sono strettamente legateall’ambiente culturale e socio-economico.In questa cornice concettuale il determi-nante “reddito” assume un fondamentalerilievo: lo troviamo, infatti, sia come com-ponente del terzo strato – condizioni di vitae di lavoro – e quindi inteso come redditoindividuale e familiare, sia come elementocostitutivo del quarto – condizioni genera-li socio-economiche, ambientali e culturali– quale espressione delle risorse economi-co-finanziarie di un paese (generalmenterappresentate dal Prodotto Interno Lordo).

SALUTE E REDDITONAZIONALELa Figura 2 descrive la classica correla-zione tra reddito di una nazione (espres-so in PIL pro-capite in US$) e stato disalute della popolazione (espresso inDALE – Disability Adjusted Life Expec-tancy = Anni di speranza di vita allanascita in buona salute)2. Questo tipo digrafico (e la relativa curva di regressio-ne) ha il pregio di mostrare con imme-diatezza alcuni fenomeni:1. Agli estremi della scala la correlazionetra reddito e stato di salute è molto forte: laSvizzera con un PIL/Pro-capite di 38.350US$ registra un DALE di 72 anni, mentrela Sierra Leone con un PIL/Pro-capite di130 US$ registra un DALE di 26 anni.2. Per bassi livelli di PIL, un piccoloincremento del PIL corrisponde a un forteincremento della speranza di vita.

I DETERMINANTI DELLA SALUTEQUALE L’INFLUENZA DEL REDDITO?

di Gavino Maciocco

Figura 1I determinanti per la salute – Il modello socio-ecinomico

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3. Oltre a un determinato livello di reddi-to, 5.000/10.000 US$ di PIL/Pro-capite, lacorrelazione con lo stato di salute tende asvanire: all’aumentare del reddito dellenazioni lo stato di salute delle popolazioninon aumenta in misura significativa. 4. Tra i paesi a reddito basso/medio visono macroscopiche differenze nello statodi salute della popolazione e in certi casi siregistra addirittura una diversa correlazio-ne tra ricchezza nazionale e stato di salutedella popolazione; ad esempio, paesicome Sudafrica, Botswana e Brasile conPIL molto più elevati di Cuba, Sri Lanka eArmenia, presentano rispetto a questi ulti-mi livelli di sopravvivenza simili o netta-mente inferiori. Tale fenomeno in parte èda attribuire all’epidemia di Hiv/Aids cheha flagellato molti paesi, e in particolaredell’Africa sub-Sahariana, facendo crolla-re nell’arco di pochi anni il livello di spe-ranza di vita. Ma, come osserva AmartyaSen3, tale fenomeno trova una spiegazioneanche nei differenti livelli di sviluppo deiservizi sanitari ed educativi di base e nelgrado di distribuzione del reddito: paesipoveri con facilità di accesso ai servizi dibase, con alti livelli di scolarizzazionefemminile, e con una più equa distribuzio-ne del reddito registrano livelli di salutesuperiori rispetto ad altri paesi con redditouguale o più elevato.

SALUTE E REDDITO FAMILIARELa correlazione tra stato di salute dellapopolazione e reddito delle famiglierichiede l’esistenza di sistemi informativievoluti. L’Inghilterra è certamente il paesecon la più consolidata tradizione in questocampo, da quando fin dalla prima metàdell’ottocento – per iniziativa di WilliamFarr (1807-1883), epidemiologo e statisti-co – i dati di mortalità degli individuierano associati all’appartenenza a unadeterminata classe sociale. La Figura 3documenta la relazione tra mortalità eclasse sociale (Group 1 = Professionisti;Group 5 = Manovali) nell’arco di 70 anni:nei primi anni 30 il gruppo meno favoritopresentava un eccesso di mortalità di 1,2 ;negli anni 90 le differenze tra i due gruppisono cresciute enormemente, fino a rag-giungere il livello di +2,9.

The higher the income, the lower themortality: più alto è il reddito, più bassaè la mortalità. Questa è la chiara eviden-za che si trae dall’analisi di tutte le ricer-che sull’associazione tra condizionesocio-economica e stato di salute, effet-tuate nei paesi al top del benessere (perintendersi quel gruppo di paesi con unreddito pro-capite al di sopra dei 10.000US$ - Figura 4). Il dato è abbastanzasorprendente per due ordini di motivi:

Figura 4Rischio di morte correlato con il reddito familiare, come Odd Ratio con e senzaaggiustamento per educazione – Usa, soggetti di età 45-64 anni

Figura 3Gap nella mortalità tra gruppi socio-economici – Inghilterra e Galles, 1930 - 1993

Figura 2Stato di salute e livello di reddito – 126 Paesi, 1999

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se dai governi di allora: la condivisionedei mezzi di sopravvivenza, inclusa lacondivisione dell’assistenza sanitaria edelle limitate risorse alimentari (attra-verso il razionamento e i sussidi nutri-zionali). La “psicologia della condivisio-ne” nella Gran Bretagna assediata rese iradicali provvedimenti del governo perl’equa distribuzione del cibo e dell’assi-stenza sanitaria accettabili e efficaci (vaanche ricordato che l’istituzione del ser-vizio sanitario nazionale avvenne subitodopo la seconda guerra mondiale).

La misura con cui differenti livelli direddito si riflettono sullo stato di salutedella popolazione dipende dal contesto.È stato osservato, ad esempio, che learee metropolitane statunitensi con mag-giori diseguaglianze nel reddito hannouna più alta mortalità rispetto ad areemetropolitane con una più equa distribu-zione del reddito, indipendentemente dalreddito medio dell’area metropolitana10.Uno studio analogo è stato condottonegli Stati Uniti e Canada, analizzandole rispettive aree metropolitane, nonchè i50 stati US e le 10 province canadesi11. Irisultati della ricerca mettono in eviden-za una netta differenza tra la realtà statu-nitense e quella canadese: 1) Le diseguaglianze nel reddito e i tassidi mortalità tra la popolazione in etàlavorativa sono nettamente superiorinegli USA rispetta al Canada; 2) Non c’è una significativa associazio-ne tra diseguaglianza nel reddito e mor-talità in Canada, mentre questa è eviden-te negli USA. Gli autori attribuiscono queste differenzealle diverse politiche sociali e fiscali prati-cate nei due paesi, ed in particolare: a) C’è un maggior grado di segregazioneeconomica negli USA rispetto al Canada:questo porta a una concentrazione di per-

medio è intorno ai 26.000 US$ e la spe-ranza di vita è di 66 anni. Tenendo contoche il potere di acquisto di un dollaro inCostarica è maggiore che in USA (2.800US$ corrispondono a 6.600 US$), sipotrebbe concludere che un reddito quat-tro volte maggiore produce una riduzio-ne nella speranza di vita di otto anni. Il(relativamente) precario stato di salutedella popolazione nera americana ha ache fare con gli effetti psico-sociali delladeprivazione “relativa”, quali gli svan-taggi nell’istruzione, il razzismo, lediscriminazioni di genere, la disgrega-zione sociale e familiare. Pregiudizi raz-ziali e discriminazioni che non rispar-miano il settore sanitario, dato che “unacrescente quantità di dati, inconfutabili einquietanti, testimonia la peggiore qua-lità delle prestazioni sanitarie erogatealla popolazione nera americana, rispet-to ai bianchi, anche a parità di livellosocio-economico”8. “Noi abbiamo bisogno – osserva Mar-mot – di andare oltre le misure assolutedi reddito per comprendere le relazionitra posizione sociale e salute, per com-prendere come il fattore sociale influen-za la posizione in cui le persone si tro-vano e di conseguenza la loro salute”.Che il miglioramento delle condizioni disalute possa avvenire per ragioni indi-pendenti dal reddito era già stato enfatiz-zato da A. Sen9. Egli ha analizzato imiglioramenti nella speranza di vita inGran Bretagna dal 1901 al 1960. Ledecadi 1911-1921 e 1940-1951 (cheincludono le due guerre mondiali) ebbe-ro i più rapidi incrementi nella speranzadi vita. Queste decadi di rapida espan-sione della speranza di vita corrisposerotuttavia a una lenta crescita del PIL pro-capite. Sen attribuisce il rapido migliora-mento dello stato di salute della popola-zione alle politiche di supporto promos-

a) mentre nella relazione tra ricchezzanazionale e stato di salute si registra unasoglia oltre quale lo stato di salute dellapopolazione non aumenta con l’incre-mento del PIL, non è possibile identifica-re una tale soglia nella relazione tra con-dizione socio-economica e salute (“piùalto è il reddito, più bassa è la mortalità”);b) nei paesi ricchi – tranne che in areemarginali della società – differenze nellamortalità tra fasce di popolazione nonpossono essere attribuite a condizioni dideprivazione materiale. Attraverso quali meccanismi, dunque, ledifferenze di reddito influenzano lasopravvivenza degli individui apparte-nenti a differenti classi sociali? MichaelMarmot in un recente articolo su HealthAffairs4 affronta tale questione, arrivandoalla conclusione che “in una popolazioneal di sopra della soglia di povertà, il red-dito è importante quale predittore di cat-tiva salute, perchè è una misura di dovesi trova una persona nella scala sociale.Più che il denaro in quanto tale, ciò checonta è la posizione sociale”. M. Mar-mot (con R.G. Wilkinson) è sostenitoredella teoria “psico-sociale”5 per spiegarei gradienti di salute nei paesi ricchi, dovesi realizzano forme di deprivazione “nonmateriale” o di povertà “relativa” (scarseopportunità di partecipare alla vita socia-le, non avere un hobby o un’attività pia-cevole, non portare i figli in piscina, nonpotersi godere le ferie con la famiglia,etc.) che determinano ansietà, insicurez-za, isolamento sociale, scarso controllosulla propria vita, comportamentirischiosi, depressione. Nel lavoro, reddi-ti elevati sono associati con minoresubordinazione, più autonomia e minoreinsicurezza lavorativa (e il WhitehallStudy6, effettuato in Gran Bretagna tra idipendenti pubblici, rafforza tale tesi,dove la sola differenza gerarchica all’in-terno del pubblico impiego comportasignificative differenze nella mortalitàtra i dipendenti). Lo stesso paleo-mate-rialismo di Marx – osservano Marmot eWilkinson – riconosceva gli effetti psico-sociali delle diseguaglianze: “Una casapuò essere piccola o grande; finchè lecase circostanti sono ugualmente piccoleciò soddisfa ogni domanda sociale ditipo abitativo. Ma se un palazzo cresceaccanto a una piccola casa, la piccolacasa diventa un tugurio e chi vi abita sisentirà sempre più a disagio, insoddisfat-to e ristretto in quelle quattro mura”7.Il reddito in quanto tale, se non misura ilgrado di condizione sociale, non è unbuon predittore di buona o cattiva salu-te, come dimostra il confronto nella spe-ranza di vita tra uomini americani neri euomini del Costarica. Il PIL pro-capitein Costarica è intorno ai 2.800 US$ e lasperanza di vita per gli uomini è di 74anni; tra gli afro-americani il reddito

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sone con elevati bisogni sociali in muni-cipalità con bassi contributi fiscali, chedetermina a sua volta una minore dispo-nibilità di beni e servizi pubblici, qualiscuole, trasporti, assistenza sanitaria, abi-tazioni; b) Un’altra importante differenza tra idue paesi consiste nel modo con cui lerisorse sociali (come l’assistenza sanitariae l’istruzione) sono distribuite: negli USAqueste risorse sono distribuite secondo leregole del mercato, cosicchè la loro uti-lizzazione tende ad essere associata conla capacità di pagare, mentre in Canadaqueste sono finanziate dal settore pubbli-co e universalmente disponibili. Tutto ciò indica che politiche rivolte arendere più equa la distribuzione del red-dito possono ridurre gli effetti delle ine-guaglianze nella salute.

Nei paesi a basso e medio livello di svi-luppo le correlazioni tra stato di salute elivello di reddito delle famiglie sono stateoggetto di studi solo recentemente, attra-verso specifiche survey, dimostrando –come era prevedibile – profonde diffe-renze nei livelli di mortalità, in relazionea differenti livelli di reddito (Figura 5).

REDDITO E ACCESSIBILITÀAI SERVIZI SANITARITHE INVERSE CARE LAW

La misura in cui l’accessibilità e la fruizio-ne dei servizi sanitari influenza lo stato disalute della popolazione è stato ed è tutto-ra oggetto di discussione. Negli anni ’70destò grande interesse un libro di TomMcKeown12 dove si sosteneva che negliultimi cento anni nel Regno Unito i servizisanitari avevano svolto un ruolo marginalenel miglioramento della salute della popo-

lazione. Tuttavia, come osserva G. Watt inun recente articolo su Lancet13, se oggiguardiamo indietro di 50 anni constatiamoche molte delle affermazioni di McKeownnon sono più vere dato che oggi abbiamo adisposizione un armamentario di interven-ti di provata efficacia nel modificare la sto-ria naturale di gravi malattie. Coloro che,in condizioni di bisogno, non possonoaccedere a questi interventi subiscono undanno certo per la loro salute. Secondoun’analisi della Banca Mondiale, recepitadall’Organizzazione Mondiale dellaSanità, l’utilizzazione delle nuove tecnolo-gie (farmaci, dispositivi diagnostici e tera-peutici, etc.) è responsabile – nei paesi abasso e medio livello di sviluppo - del 49%della riduzione della mortalità dei maschiadulti, del 39% della riduzione della mor-talità delle femmine adulte e del 45% dellamortalità dei soggetti al di sotto dei 5anni14. Con grande lungimiranza JulianTudor Hart scrisse su Lancet nel 1971 unarticolo memorabile dal titolo “The inver-se care law”15 (“La legge dell’assistenzainversa”), in cui si sosteneva che la dispo-nibilità di servizi sanitari di qualità variainversamente con il bisogno di essi nellapopolazione servita. Questa legge operapiù decisamente dove l’assistenza medicaè più esposta alle leggi del mercato, emeno dove questa esposizione è più ridot-ta. Scriveva Hart nel 1971: “l’assistenzamedica distribuita secondo le leggi delmercato è una forma sociale primitiva estoricamente sorpassata, e ogni ritorno alpassato non farebbe altro che ingigantirela maldistribuzione delle risorse medi-che”. Il ritorno al passato si è purtroppoavverato ed ha acquisito forza e slancionegli ultimi due decenni: le leggi del mer-cato regolano quasi ovunque la distribu-zione delle risorse sanitarie e la “inversecare law” è ormai applicata su scala plane-taria. Basta volgere lo sguardo a ciò che

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avviene nei paesi poveri colpiti dall’epide-mia dell’Hiv/Aids, dove almeno tre milio-ni di persone all’anno muoiono per l’im-possibilità di accedere ai farmaci indispen-sabili per la cura e per la mancanza di ser-vizi sanitari adeguati. Ma la legge opera (informa assai più mitigata) anche dove esi-stono sistemi sanitari ricchi e universali-stici: ad esempio, nel Regno Unito è statodocumentato che i medici dedicano menotempo ai pazienti appartenenti alle classisociali più basse e che li riferiscono conminore frequenza ai servizi specialistici16. È interessante notare che Julian TudorHart dedicò tutta la sua vita professionaledi medico di famiglia a contrastare le dise-guaglianze nell’accesso ai servizi, dimo-strando che in una zona socialmentedeprivata del Galles (dove lavorava) erapossibile incidere sulla mortalità dellapopolazione (riducendone in misura signi-ficativa i tassi) attraverso un miglioramen-to dei servizi sanitari di base17.

Gavino MacioccoDipartimento di Sanità Pubblica

Università di Firenze

NOTE

1. G. Dahlgren, M.Whitehaed, Policies and strategiesto promote social equity in health, Stockholm: Instituteof Futures Studies,1991,cit. in Department of Health,Inequality in Health, Report (Chairman: Sir DonaldAcheson),The Stationary Office, London, 19982. G. Maciocco, Le diseguaglianze nella salute tranazioni, Salute e Territorio 2001, n. 127, pp. 167-172 3. A. Sen, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, 2000.4. M. Marmot, The influence of income on health: viewof an epidemiologist, Health Affairs 2002,Vol. 21, N.2,pp. 31-46.5. M. Marmot, RG Wilkinson, Psychosocial and mate-rial pathways in the relation between income and health:a response to Lynch et al, BMJ 2001; 322: 1233-6.6. C.Van Rossum et al. Employment Grade Differen-ces in Cause Specific Mortality: twenty-five Follow-up ofCivil Servants from the First Whitehall Study, Journal ofEpidemiology and Community Health (March 2000):178-184.7. K. Marx, Wage, labour and capital, In: Selectedwork,Vol.1. London, Lawrence and Wishart, 1942, In”M. Marmot, RG Wilkinson, Ibidem”.8. H.P. Freeman, R. Payne, Racial Injustice in HealthCare, N Engl J Med 2000; 232:1045-47 9. A. Sen, ibidem10. JW Linch et al., Income inequality and mortality inmetropolitan areas of the United States, Am J PublicHealth, 1998; 1074-80.11 NA Ross et al., Relation between income inequalityand mortality in Canada and in the United States: crosssectional assessment using census data and vital stati-stics, BMJ 2000; 320; 898-902.12. T. McKeown, La medicina: mito, miraggio o nemesi?Sellerio editore Palermo, 1978.13. G.Watt, The inverse care law today, Lancet 2002;360:252-54.14. WHO,The World Health Report, Making a Dif-ference, Geneva, 1999. Pag. 5.15. J.T. Hart, The Inverse Care Law, Lancet 1971, i,404-12.16. M. Blaxter, Equity and consultation rates in generalpractice, BMJ 1984; 288; 1963-67.17. J.T.Hart,Twenty five years of case finding and auditin a socially deprived community, BMJ 1991; 302:1509-13.

Figura 4Mortalità (x 1000) nella popìolazione al di sotto dei 5 anni, per classi di redditodelle famiglie – Indonesia, Brasile, India, Kenia

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FATTORI DEPRIMENTI LE PRODUZIONI ANIMALICOME CAUSE DI POVERTÀ EFAME NEL MONDO

di Adriano Mantovani

Si dice che il Mahatma Gandhi affermas-se che una vedova poteva sopravvivere sepossedeva una vacca, altrimenti era con-dannata a morire. Questo ricordo ci aiuta aintrodurre i tanti aspetti del rapporto tra lepersone e gli animali (e le loro malattie) inuna varietà di habitat che comprendonodifferenti situazioni del rurale, del silvo-pastorale e dell’urbano e periurbano, edaltre, le quali hanno in comune condizionidi povertà, più o meno marcata e contra-stata. Cercheremo di esaminare vari aspet-ti connessi con le malattie degli animali inrelazione al ruolo di mantenere unapovertà stabile, di provocarla o di impe-dirne il superamento. Si deve premettereche ci riferiamo alle varie specie di ani-mali utilizzati al fine di consentire lasopravvivenza umana in condizioni gene-ralmente difficili e comunque al di sottodegli standard di vita che vengono defini-titi “normali” o “accettabili” dalla nostracultura. Va tenuto presente che in diversesituazioni lo stato di povertà è talmenteendemico (e per gli abitanti “abituale”) daessere percepito come situazione anorma-le solo da osservatori esterni, con differen-ti parametri di riferimento. Va anche tenu-to presente che a volte chi si occupa dipovertà non tiene conto dei limiti locali eipotizza situazioni velleitarie, non basatesullo sviluppo possibile nell’ambientespecifico.La definizione di “povero che possiedeanimali” cambia con le differenti culture.Nella nostra cultura italiana un poveropuò possedere pochi polli, pochi coni-gli,un maiale, un asino, poche pecore ocapre. La valutazione cambia con il luogo(vi sono tanti “Sud”) e le specie animali.Vi sono lavoratori che sono addetti ad ani-mali senza possederne: braccianti, man-driani, pastori, ecc.; a volte appartengonoa livelli molto bassi della scala sociale (ades. i “servi pastori”). Il recente Comitato

Esperti della FAO (Expert Consultationon Community – based Veterinary PublicHealth Systems – FAO Animal Productionand Health Proceedings, 2004) nel capito-lo “Le zoonosi e il povero” (zoonoses andthe poor, pag. 51) cita: proprietari dibestiame (livestock keepers), lavoratoriimpegnati con bestiame o in attività agri-cole (labourers working with livestock orengaged in agricultural production), mer-canti di prodotti animali (traders in live-stock products), produttori di bestiameche consumano prodotti dei propri anima-li o non proprietari che consumano pro-dotti di origine animale dei propri vicini odi altre comunità povere (livestock ownersconsuming products from their animals ornon-livestock owners consuming the live-stock products of their neighbour or ofother poor communities).

Nelle tabelle abbiamo elencato i prodottidi origine animale utilizzati nel mondo,le risorse condivise da persone e animaliche possono anche essere causa di com-petizione per la sopravvivenza ed i fatto-ri che possono causare povertà in econo-mie fondate sulle produzioni animali.Nel testo discuteremo i problemi degliallevamenti nelle zone desertiche, ilruolo delle malattie endemiche, le zoo-nosi dei poveri e dei ricchi e le malattiedegli animali portatrici di povertà, cer-cando di trarre conclusioni generali.

PROBLEMI DELLE ZONE DESERTICHEVi sono zone in cui l’allevamento è par-ticolarmente difficile, praticato in situa-zioni estreme. Ne sono un esempio lezone desertiche o semidesertiche didiverse parti del mondo. Le popolazioniche vivono in queste zone sono forte-

mente legate a (forse sarebbe più esattodire “sostenute da”) tradizioni che permet-tono di superare le durezze ambientali:allevano animali adatti all’ambiente e neaccettano i limiti produttivi, praticanoquasi sempre il nomadismo. La secolareconsuetudine al loro tipo di vita porta achiedersi se si possa parlare realmente di“povertà”, oppure se si tratti del solomodo di sopravvivere in quegli ambienti.Molte difficoltà derivano dai frequenticonflitti, che possono portare a sottrazionedi pascoli o ad abigeato, oppure dallaimportazione di malattie animali e conse-guenti blocchi sanitari; infatti quando arri-vano malattie degli animali (ad es. pestebovina, afta epizootica, vaiolo ovino oaltre) queste decimano gli allevamenti e/olimitano le possibilità di spostamento e dicommercio: in pratica distruggono l’eco-nomia per un lungo periodo, in certi casiannullando le possibilità di recupero.

MALATTIE ENDEMICHECHE OSTACOLANO L’ALLEVAMENTOVi sono zone dell’Africa in cui moschetse-tse (glossine) e tripanosomi rendonoparticolarmente difficile, a volte impos-sibile, l’allevamento e condizionano lavita di persone ed animali. La selezionedelle specie e razze allevate e le tecnolo-gie d’allevamento sono condizionatenon dalle capacità produttive, ma dallapossibilità di sopravvivenza. In taliambienti, alle malattie degli animalifanno riscontro analoghe malattie del-l’uomo (malaria, tripanosomiasi, ecc.),per cui la povertà è causata e sostenutadalle malattie ed è essa stessa fattore diqueste. Danni gravi, anche se non para-gonabili alle tripanosomiasi, sono causa-ti dagli emoprotozoi trasmessi da zec-che, che impongono una pesante “tassa”sia perché riducono le produzioni anima-li, sia perché impongono forti spese peril loro controllo. A questi “campi male-detti”* di natura infettiva se ne vannoprogressivamente (e inesorabilmente)aggiungendo altri per cause chimico-industriali (ad es. diossine) e nucleariche rendono impossibile agricoltura,allevamento e sviluppo umano in zoneche, prima della contaminazione, per-mettevano insediamenti umani e tecno-logie agro-zootecniche di buon livello.

ZOONOSI DEI POVERI E ZOONOSI DEI RICCHICon la BSE abbiamo conosciuto unmodello di “zoonosi dei ricchi”, cioè lega-te al consumo di carne prodotta da bovinialimentati a loro volta con carne, che col-

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Nei paesi dove il latte viene pastorizzatoe dove sono stati organizzati piani di pro-filassi, la brucellosi è fortemente diminui-ta o addirittura eliminata. Dove invece illatte e i latticini vengono consumati crudi,e dove vi è stretta promiscuità tra personee animali (bovini, bufalini, ovini, caprini)la brucellosi è frequente, solo che nonviene quasi mai diagnosticata e rientra inquel “complesso malarico” che accumulafebbri di lunga durata in diversi paesipoveri.Negli ultimi anni, poi, l’AIDS è diventata“la malattia”, assumendo il ruolo di prio-rità assoluta, causa, effetto, indicatore ecimitero delle speranze delle zone piùpovere, nonché causa di abbandono delleattività agricole. L’AIDS non é una zoonosi, ma può esse-re complicata da coinfezioni di origineanimale.

MALATTIE DEGLI ANIMALIPORTATRICI DI POVERTÀVi sono malattie degli animali che pos-sono sconvolgere l’economia di unpaese (o di un continente) portandomiseria e fame. Consideriamo, ad esem-pio, quello che potrebbe succedere inEuropa se si diffondesse su vasta scala ilvirus dell’afta epizootica, capace diinfettare bovini, ovini, caprini, suini eungulati selvatici. E ci sono diversi altriagenti di infezioni altrettanto temibili oquasi. Ricordiamo la grande pandemiadi peste bovina che impoverì l’Europanel diciottesimo secolo. Gli esempipotrebbero essere molti: ne sceglieròalcuni che ci interessano direttamente.L’Etiopia ha una storia millenaria e per

molti anni ha goduto di un relativobenessere. Nel 1889 il paese fu aggredi-to dall’esercito italiano che, per rifornirsi

pisce popolazioni che possono prendersi illusso di allarmarsi (e come!) per infezioniche colpiscono una persona su un milione.Abbiamo visto anche che popolazioni perle quali la carne e il cibo in genere scar-seggiano, accetterebbero volentieri queibovini che nei paesi ricchi vengonodistrutti perché appartengono ad alleva-menti dove è stato trovato un caso di BSE.Il comportamento nei riguardi delle zoo-nosi costituisce infatti una linea di demar-cazione tra paesi che possono permettersiil lusso di investire grosse somme per evi-tare rischi anche minimi e paesi che deb-bono subire la presenza di zoonosi anchefrequenti. Abbiamo già citato la BSEcome “zoonosi dei ricchi”. Prendiamo l’e-sempio della rabbia. Vi sono paesi, comel’Italia, dove con grossi investimenti(tempo, organizzazione dei servizi, finan-ziamenti) la rabbia è stata eradicata nonsolo nei cani, ma anche nelle volpi. Inmolti paesi poveri, invece, la rabbia, nondiagnosticata e/o non segnalata, continuaa uccidere persone e animali, senza che ilproblema venga considerato degno diattenzione. L’Organizzazione Mondialedella Sanità calcola che ogni anno muoia-no di rabbia 1.000-1.500 persone (tra cuiqualche turista), ma certamente sonomolti di più, in luoghi ove mancano i ser-vizi sanitari e il problema passa del tuttoinosservato e comunque non è ritenutodegno di investimenti.La promiscuità uomo-suino che osservia-mo nelle favelas latino-americane euomo-bovino che troviamo in diversebaraccopoli porta a rendere endemici icicli delle teniosi (Taenia solium legata alsuino e T. saginata al bovino) per cui tro-viamo le tenie nelle persone e i cisticerchinegli animali, il tutto accettato come abi-tuale: suini e bovini sono infatti spazziniabituali, assieme ai cani che diffondonol’echinococcosi cistica.

di carne, importò dall’Asia bovini infettidi peste bovina, la quale così penetrò inAfrica, che in precedenza ne era rimastaindenne. L’infezione si diffuse rapida-mente in una popolazione bovina forte-mente recettiva, provocando la morte del90% dei bovini; la resistenza etiopicacadde. Si ebbero perdita della forza lavo-ro e fame. Un popolo di pastori e mer-canti fu costretto ad adattarsi ad una agri-coltura di sopravvivenza. Si verificò ungrave sconvolgimento sociale, aumentodei prezzi di 100-200 volte, morte di unterzo della popolazione ed infine liberoaccesso all’invasione coloniale. Ancoraoggi la peste bovina costituisce un fatto-re limitante per diverse zone africane edinteressa animali domestici e selvatici. Le malattie animali che incidono pesan-temente sulla povertà sono state divise intre categorie: 1. malattie epidemiche (peste bovina,afta epizootica, pleuropolmonite conta-giosa bovina, peste dei piccoli ruminan-ti, pesti suine classica e africana, pseu-dopeste aviare); 2. malattie endemiche (mastiti, polmo-niti, malattie da emoprotozoi, infezionida elminti); 3. zoonosi (febbre della valle del Rift,brucellosi, echinococcosi cistica, rabbia,tubercolosi bovina, malattia da virusNipah, teniosi/cisticercosi) ed altre tra-smesse con gli alimenti, come fasciolosi,trichinellosi e gastroenteriti quali salmo-nellosi e colibacillosi.

Le malattie endemiche incidono sul sin-golo allevatore; le epidemiche hanno unforte impatto economico su scala globa-le. Ad es. la peste bovina negli anni ’80provocò in Africa la perdita di più di 40milioni di capi. Nel 1995 la pleuropol-monite contagiosa fu reintrodotta in Bot-swana dopo 46 anni e causò la perdita di320.000 bovini solo nel nord del paese,con un costo diretto di 100 milioni didollari e perdite indirette per più di 400milioni di dollari. Nel 1994 la pestesuina africana decimò l’80% della popo-lazione suina del Nord Maputo (Mozam-bico) e nel 1996 portò alla perdita di unquarto dei suini della Costa d’Avorio,causando da 12 a 32 milioni di dollari didanni diretti e indiretti. In India nel 1971si è calcolato che la lotta contro le malat-tie dei polli (soprattutto vaccinazionecontro la pseudopeste) abbia permessodi passare da 2 a 12 uova disponibiliannualmente per ogni abitante. E infineuna testimonianza dei “tempi moderni”,la pandemia di influenza aviaria nel SudEst asiatico. La Thailandia aveva svilup-pato l’ambizione di diventare la “cucinadel mondo”, permettendo così a migliaiadi piccoli allevatori e di lavoratori diuscire da uno stato di relativa povertà.L’epidemia di influenza aviaria che ha

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portato alla distruzione di centinaia dimilioni di polli ed ha colpito alcunedecine di persone ha portato all’embargodella Thailandia da parte dei paesi indu-strializzati, alcuni dei quali (con avicol-tura sviluppata) temono la concorrenzathailandese. Circa 670.000 famiglie dipiccoli allevatori sono state colpite dal-l’epidemia: la loro speranza di benessereè stata demolita, come pure è stata abbat-tuta l’ambizione del paese di allinearsicon le altre nazioni che gli fanno damodello. Si è ribadito che il ruolo deipaesi poveri è quello di “mercato”:quando cercano di uscirne, soprattuttoinvadendo aree già occupate, trovanoforti opposizioni. E le malattie degli ani-mali (quelle della lista A dell’OIE edaltre) forniscono un valido e frequentemotivo per proteggere i mercati impor-tanti da invasioni esterne.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Le malattie degli animali (e delle piante)hanno accompagnato la storia umana,ricevendo scarse attenzioni, come deter-minanti di carestie, sconvolgimenti socia-li, migrazioni, eventi politici. Forse piùnota è la loro influenza su eventi militari,ma tale aspetto non interessa in questasede. Pure trascurata è la loro rilevanza inuna paventata guerra batteriologica che, serivolta verso gli animali, potrebbe scon-volgere economie e resistenze. Oggi le malattie degli animali continuanola loro presenza e i loro effetti. Parlando insenso biologico, la capacità di adattamen-to degli agenti di malattia animale conti-nua a dimostrarsi efficiente e l’azioneumana nel contrastarli si è rivelata effica-ce solo in determinati casi. Notiamo che isuccessi nella lotta si sono avuti soprattut-to nei confronti di malattie economica-mente importanti, che colpiscono gli inte-ressi delle nazioni e delle zone che posso-no disporre di mezzi per campagne di lottaadeguate, mentre gli agenti di malattie chesi sono annidati in zone povere di mezzi edi tecnologie possono contare su unalunga sopravvivenza. In pratica (e semprebiologicamente parlando) la povertà costi-tuisce una nicchia che protegge e perpetua(endemizza) gli agenti patogeni animali (eumani).Nel sistema economico attuale le malattiedegli animali costituiscono uno strumentoed una giustificazione per stabilizzare ilruolo delle varie nazioni nel commerciodei prodotti di origine animale e nel“rango” che occupano nella scala delleeconomie nazionali. Le nazioni con tecno-logie avanzate subiscono una “tassa damalattie degli animali” in partenza bassa(si calcola circa il 10% del reddito della

zootecnia o meno) che possono permetter-si di elevare con continui inserimenti dinuove esigenze e campagne di lotta (veda-si ad es. la BSE) per migliorare la sanitàdel proprio bestiame, ma anche per pro-teggere il proprio mercato. Se nei paesiche cercano di emergere nel settore delleproduzioni zootecniche sono presenti ocompaiono infezioni ritenute importantidai paesi avanzati, le speranze del paeseemergente vengono accantonate.Vi sono infine popoli in cui la “tassa damalattia degli animali” si porta via unagrossa fetta (si è valutato la metà, e a volteoltre) del reddito dell’allevamento. Picco-le economie zootecniche sono cronica-mente limitate dalle malattie endemiche e,a volte, vengono distrutte da epidemie. Lezoonosi possono contribuire a peggiorareuno stato di salute già precario delle per-sone. Il tutto viene quasi sempre subitocome “normale”, con la rassegnazione delpovero. La maggior parte dei tentativi disuperamento della situazione sono rivoltiall’abbandono delle attività agricole.Le malattie degli animali contribuisconoalla povertà di molte parti del mondo sot-traendo alimenti (a volte si arriva a care-stie) ed altri beni di consumo, riducendolo scarso reddito e portando malattieall’uomo.Vorrei concludere ricordando una recen-te raccomandazione della FAO (2004)che recita “…le zoonosi e gli altri pro-blemi di sanità pubblica veterinaria deb-bono essere presi in considerazione nelcontesto della lotta contro la povertà”.

Adriano MantovaniCentro di Collaborazione OMS/FAO

per la Sanità Pubblica VeterinariaDipartimento di

Sanità Alimentare e AnimaleIstituto Superiore di Sanità

Roma

NOTE* Si usa lo stesso termine “campi maledetti” cheun tempo veniva usato per le zone contaminate daspore carbonchiose, per cui non vi era possibilel’allevamento.

Tab 1 Prodotti di origine animaleDa animali vivilattesangueletame (concime, combustibile, ecc.)lavorouovamielelana pennesetacompagniasportprestigioattività emergenti (educazione, riabilitazione...)Da animali morticarne e visceripelliossa, unghie, cornaolii e grassifarmaciprodotti artigianaliprodotti industriali

Tab 2 Risorse condivise da persone e animaliPossibili cause di competizioniAlimentiAcquaSpazio (rurale, urbano, acquatico)Cure sanitarie e farmaciTecnologie e conoscenzeDisponibilità economiche

Tab 3 Cause di povertà in economie fondate sulle produzioni animaliScarsa produzione/mortalitàInfezioni croniche/endemieCarenze alimentari/carestie/siccitàCataclismi(alluvioni/desertificazioni/terremoti/guerre, ecc.)Invasioni di predatori (locuste, topi, ecc)Cambiamenti di climaInquinamento delle acqueScadimento ambientale (contaminazione chimica onucleare)Malattia/inquinamento di piante foraggiereBlocco di pascoli e/o rifornimento di mangimiMancato accesso mercati nazionali e/o internazionaliMalattie infettive (zoonosi incluse)Contaminazione (farmaci, disinfettanti, ecc.)Carenze igienicheCarenze tecniche di commercializzazioneDifficoltaàdi trasporto e comunicazioneInadeguatezza del prodottoInfluenza di prodotti importati (concorrenza)Conflitti politici e/o etniciDeficienze tecnicheMetodi di allevamentoSelezione geneticaSovraccarico del pascoloAbuso di medicamentiInsufficienti tecnologieUso irrazionale delle risorse/prelievo irrazionale(pesca, ecc.) Concorrenza di prodotti importatiMancanza di assistenza, strumenti e struttureScarso creditoProblemi legislativi/consuetudinariRegolamentazione del pascoloDisponibilità acqueRegolamentazioni forestaliRegolamentazione di pesca e cacciaOstilità verso zootecnia urbanaDeficienti metodi di preparazione e conservazioneCarenti metodi di conservazioneDeterioramento o sottrazione da infestanti (inset-ti,topi,ecc)Problemi sanitari del personale addettoAIDS, malaria, ecc.Malattie varieZoonosiCarenze alimentariInsufficiente redditoInadeguata qualità della vita

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GLI IMMIGRATI IN ITALIALa migrazione da paesi non appartenentiall’Unione europea è uno dei fenomeniche maggiormente sta condizionando lanostra epoca: in poco più di venti anni l'I-talia è diventata e si è consolidata comemeta più o meno definitiva per un flussodi cittadini stranieri in costante aumento.Anzi il nostro paese partecipa a questofenomeno mondiale sia come paese diorigine, con 4 milioni di persone, checome paese di accoglienza: attualmentesi stima la presenza di oltre 2 milioni emezzo di stranieri regolarmente presenti,con una incidenza sulla popolazione resi-dente del 4,5%, al di sotto di circa unpunto della media dell’Unione Europea.Per via di questo “effetto doppio” (paesedi emigrazione e paese di immigrazione)l’Italia assume una rilevante dimensioneinternazionale con un ventaglio di paesidi origine degli immigrati più allargatoanche rispetto a paesi come la Germaniache accoglie più di 7 milioni di stranieri.Un altro fattore che non manca di recla-mare l’attenzione nel nostro paese, comeanche in Spagna, è l’accentuato ritmo diaumento, dovuto all’intreccio tra declinodemografico e mancanze di forze lavorospecialmente in determinati settori. Se gliimmigrati nel mondo raddoppiano ogni35 anni, questo in Italia è avvenuto ogni10 anni e ultimamente ci sono voluti solo4 anni per raddoppiare ulteriormente.Gli ultimi dati disponibili indicano comeoltre il 58% degli immigrati regolarmentepresenti abbia una età compresa tra 19 e40 anni e circa il 48,4% sia di genere fem-minile. Il 40,9% proviene da paesi europeinon appartenenti all’Unione Europea, il23,5% dall’Africa, il 16,8% dall’Asia edl’11,5% dall’America (compresa la foltapresenza di statunitensi: quasi 50.000).Ben tre comunità hanno superato le

MIGRAZIONE E SALUTE

di Salvatore Geraci

200.000 presenze (rumeni, albanesi,marocchini) e altre 2 le 100.000 (ucraini ecinesi): complessivamente sono quasi 190le nazionalità rappresentate. Oltre il 66%degli immigrati in Italia è presente permotivi di lavoro, circa il 24% per motividi famiglia, e per un altro 6,7% per varimotivi, anch’essi stabili o comunque di unacerta durata (adozione, motivi religiosi,residenza elettiva): nel complesso si tratta diquasi il 97% del totale dei permessi disoggiorno e ciò caratterizza il fenomenomigratorio non come qualche cosa diprovvisorio ed estemporaneo ma ormaicome componente strutturale del tessutosociale, economico e culturale del nostropaese. La presenza di minori, oltre 400.000di cui la metà nati in Italia, e di famigliericongiunte inoltre, fa sì che si passi da unacondizione di tendenziale invisibilitàsociale a una relazione più intensa con ilpaese d'accoglienza, imponendo un rap-porto più serrato tra le culture.

LE POLITICHE SANITARIESolo in tempi relativamente recenti l'Ita-lia ha definito delle chiare politiche pergarantire l'accesso e la fruibilità delleprestazioni sanitarie ai cittadini stranieripresenti sul territorio nazionale. Dal1998, con il Testo unico sull'immigrazio-ne e con gli atti ad esso conseguenti -nello specifico sanitario è da segnalareuna corposa Circolare ministeriale data-ta 24 marzo 2000 e pubblicata su G.U. n.126 Serie generale del 1 giugno 2000 - econ le indicazioni contenute nelle ultimedue edizioni del Piano sanitario naziona-le (Psn) si è evidenziata una politicasanitaria estremamente attenta e pragma-tica. Si è così definita l'inclusione apieno titolo degli immigrati in condizio-ne di regolarità giuridica nel sistema di

diritti e doveri per quanto attiene all'assi-stenza sanitaria a parità di condizioni ed apari opportunità con il cittadino italiano:sono stati rimossi alcuni requisiti che nelpassato erano ostativi (la residenza, illimite temporale, le aliquote diversificateper l'iscrizione al Servizio sanitario nazio-nale - Ssn, ...) e introdotti principi diequità (obbligatorietà estesa all'iscrizioneal di là del perfezionamento formale dellepratiche, esenzione per situazioni di mag-gior disagio: richiedenti asilo, detenuti,...). Il diritto all'assistenza è stato estesoper legge anche a coloro presenti in Italiain condizione di irregolarità giuridica eclandestinità (decreti legge prima e ordi-nanze ministeriali poi avevano introdottoe sostenuto tale norma dal 1995), garan-tendo loro oltre le cure urgenti anchequelle essenziali, continuative ed i pro-grammi di medicina preventiva in unalogica solidaristica, di cui è permeato adoggi il nostro sistema sanitario, ma anchein termini di tutela della collettività e diprevenzione della comunità che passanecessariamente dalla promozione dellasalute individuale indipendentementedalla status giuridico, sociale e culturale.

IL PROFILO DI SALUTEI dati sulle condizioni di salute degliimmigrati, fino ad un recente passato,sono stati legati ad esperienze locali(alcune Regioni hanno prodotto statisti-che in particolare sui ricoveri ospedalieri,alcune Aziende sanitarie sui propri assi-stiti), a reti di strutture di volontariato ocomunque sostenute dal privato sociale oda società scientifiche, o a singole situa-zioni di patologia (malattie infettive) o dibisogno specifico (interruzione volontariadi gravidanza). Dati comunque significa-tivi perché hanno permesso di tratteggia-re un profilo di salute dello straniero nelnostro paese credibile e scientificamenteattendibile e hanno potuto individuarealcune aree critiche dove destinare mag-giori attenzioni e risorse.Il profilo sanitario così tracciato, sottol’impulso degli input del Psn e dellastrutturazione del fenomeno migratorio,oggi trova conferma e si arricchisce di unmaggior numero di ricerche statistico-epidemiologiche e di flussi di dati seppurancora frammentari e non omogenei.Ad esempio l’analisi delle Sdo sono coe-renti con quanto ci si poteva attenderesia per un aumento assoluto degli stra-nieri in Italia, sia come auspicabile con-seguenza di politiche tese a dare mag-giore permeabilità alle strutture sanitariepubbliche: in questo senso può essereletta la tendenza alla diminuzione delladifferenza in particolare tra i ricoveri diun giorno e sull’utilizzo del day hospital,trend da valutare attentamene negli anni

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a venire per capite se ciò indichi una mag-giore appropriatezza dei percorsi assisten-ziali. Che una tendenza in questo senso cisia stata è evidenziato da una ricercarecentemente pubblicata dall’IstitutoSuperiore della Sanità (Rapporto Istisan03/4 del 2003) che ha indagato e monito-rato nel tempo alcuni punti critici del per-corso nascita tra le donne immigrate pro-venienti da paesi ad economia meno avan-zata ed in particolare si è proposta dimisurare il loro grado di accessibilità ingravidanza ai servizi sanitari pubblici. Lostudio partito nel 1995-96 è stato ripropo-sto nel 2000-01 al fine di valutare i cam-biamenti avvenuti nel tempo e l’influenzadella normativa introdotta nel 1998. Ingenerale si è osservato un miglioramentodell’assistenza in gravidanza, al parto epuerperio. Ad esempio è diminuita la per-centuale di donne che hanno effettuato laprima visita dopo il 1° trimestre (da 25%a 16%), il numero di ecografie è quelloraccomandato dai protocolli nazionali e ilmese della prima ecografia è risultatoessere in media con il 3°, come tra le ita-liane. Altre rilevazioni sugli esiti dellanascita su diversi campioni di popolazionea livello nazionale confermano questa ten-denza al miglioramento dei percorsi assi-stenziali e degli esiti sulla salute da quan-do l’Italia ha scelto chiare politiche diaccesso ai servizi per tutti gli immigrati.I dati sanitari disponibili evidenzianoquindi un superamento delle situazionidi esclusione dai servizi da parte degliimmigrati ma indicano anche una fragi-lità sociale di questa popolazione che,pur nella sua eterogeneità, mostra ambi-ti di sofferenza sanitaria (malattie dadisagio, infortunistica soprattutto sullavoro, alto ricorso all’ivg, alcune malat-tie infettive prevenibili, ...) in gran parteimputabile a incerte politiche di integra-zione soprattutto in ambito locale, a dif-ficoltà persistenti di accesso ai servizi, aproblematiche relazionali-comunicative.

IL PREGIUDIZIO “IMMIGRATI UNTORI”Tuttavia il pregiudizio sugli immigraticome “untori”, portatori di malattieinfettive e tropicali (oggi il numero mag-giormente significativo di immigrati inItalia proviene dall’Europa dell’Est!)sembra essere ancora radicato, non solonella popolazione italiana condizionatada un dibattito sull’immigrazione sem-pre dai toni troppo accesi, ma anche tragli stessi operatori sanitari: un nostrostudio su un ampio campione di operato-ri sanitari italiani (circa 3.000) ha evi-denziato che oltre il 50% ritiene lemalattie più frequenti tra gli stranieri inItalia essere proprio le malattie infettive,in particolare la tubercolosi, la malaria o

quelle sessualmente trasmesse e l’Aids(per quest’ultima condizione patologica,è da evidenziare come a fronte di unaumento assoluto e relativo dei nuovicasi in cittadini stranieri, in realtà i tassi,cioè i casi rapportati alla popolazione diriferimento, indicano un trend di chiaradiminuzione nel tempo).Questo pregiudizio, spesso alimentatoda semplificazioni pseudoscientifiche, èpurtroppo trasversale in tutte le profes-sionalità sanitarie (medici, infermieri edaltri operatori socio-sanitari) e costantenel tempo (la rilevazione è iniziata diecianni fa ed è tuttora in corso). A comple-tamento di quanto detto va anche rileva-to come un altro 30% del campione attri-buisce a problematiche psichiatriche,che di per sé sono stigma di alienità, iquadri patologici più frequenti tra lapopolazione straniera e solo una mino-ranza ha inquadrato il fenomeno nei ter-mini corretti (malattie routinarie o con-dizioni patologiche espressione di undisagio socio-economico e culturale).

LA MEDICINA TRANSCULTURALE È LA MEDICINAQueste considerazioni ci suggeriscono inmodo chiaro l'importanza di continuarelungo la strada intrapresa di certezza deldiritto alla salute e di progettualità pergarantire a tutti l'accesso alle strutturesanitarie e la fruibilità delle prestazionicon particolare riferimento a quelle diprimo livello e l'adozione di iniziative eprogrammi di promozione ed educazionealla salute. Oggi è fondamentale garantire realmenteagli stranieri pari opportunità, rispetto aicittadini italiani, per l’accesso ai servizi eper la fruibilità delle prestazioni sanitariecome sancito dalle leggi in vigore.La medicina transculturale diventa aspet-to ordinario della medicina a partire dal-l’ambito infermieristico e della medicinadi primo livello (medici di medicinagenerale e pediatri di libera scelta) conpercorsi formativi inseriti nella formazio-ne di base e nell’aggiornamento profes-sionale. Ciò è suffragato dal fatto cheormai viviamo in una società dove il4,5% della popolazione è straniera conindici di raddoppio sempre più ravvicina-ti; nel Lazio gli immigrati sono il 7,5% edin alcuni quartieri di Roma superano il10% (quasi il 18% nel I municipio) dellapopolazione residente; in alcuni lavoril’80% degli occupati sono stranieri; unnuovo assunto su 6 è straniero; in alcunigrandi ospedali del nord 1 neonato su 4 haalmeno un genitore straniero; il 7,4%degli aborti spontanei sono di donne stra-niere così come il 20% delle interruzioni

volontarie di gravidanza; nelle grandi cittàoltre il 40% dell’utenza consultoriale è diorigine straniera; i figli di immigrati sonooltre il 3% della popolazione scolasticanazionale, a Roma oltre il 9% ed in alcu-ne scuole superano il 50%; alcuni medicidi medicina generale hanno il 30% dipazienti stranieri.In una società multietnica come la nostra,la medicina transculturale è la medicina.

Salvatore GeraciArea sanitaria Caritas Roma

Società Italiana di Medicina delleMigrazioni

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE• Caritas e Migrantes: Dossier StatisticoImmigrazione (anni 2001, 2003 e 2004).Roma, edizione Nuova Anterem, 2001,2003 e 2004• Commissione per le Politiche di inte-grazione degli immigrati. Secondo rap-porto sull'integrazione degli immigratiin Italia. A cura di G. Zincone. Il Muli-no, Bologna, 2001, pp.215-242• Fortino A., Pennazza F., Boldrini R.,Randazzo M., Marceca M., Geraci S.:Rapporto nazionale sui ricoveri ospeda-lieri degli stranieri in Italia (dati Sdo1998). In Agenzia Sanitaria Italiana(ASI), n. 18, 8 marzo 2001• Geraci S: Esclusione, fragilità socialee reciprocità: un percorso da compiere.In Atti VIII Consensus Conference sul-l’immigrazione. VI Congresso nazionaleSIMM. Lampedusa (Ag), 2004 – 6:9• Geraci S, Marceca M. La promozionedella salute per gli stranieri: normativanazionale sull’accesso ai servizi e politi-che locali. In: Atti della Conferenzanazionale “Migrazioni e salute” - Bari,3-4 maggio 2002. Lecce, 2002: 36-51.• Geraci S. (a cura di): Immigrazione esalute: un diritto di carta? Viaggio nellanormativa internazionale, italiana eregionale. Edizioni Anterem, Roma, 1996• Geraci S.: Salute e immigrati in Italia:non più esclusi ma ancora “fragili”. InImmigrazione Dossier Statistico 2003. XIIIRapporto sull’immigrazione – Caritas/Migrantes. Nuova Anterem, 2003; 183:192• Pennazza F, Boldrini R: Il ricoveroospedaliero degli stranieri in Italia nel-l’anno 2000. Rapporto statistico. Roma,Ministero della Salute, D.G. SistemaInformativo e Statistico e degli Investi-menti Strutturali e Tecnologici, Ufficio diStatistica, 2003• Società Italiana di Medicina delleMigrazioni: Raccomandazioni finali delleConsensus Conference “Immigrazione esalute”. Palermo 2000 ed Erice (Tp) 2002• Spinelli A, Grandolfo ME, Donati S. et al:Assistenza alla nascita tra le donne immi-grate. Rapporti Istisan 2003; 03/4: 11-23

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le, implica l’integrazione di attivitàdiversificate ed è basata su di unavarietà di valori (inclusa la solidarietà);il suo scopo essenziale è garantire lasicurezza alimentare e l'integrità del

Negli ultimi anni l’approccio ai proble-mi di salute e produzione animale hasubito profondi cambiamenti: da unaparte le politiche di aggiustamento strut-turale, in specifico quelle di privatizza-zione e “disimpegno” dei vari Governi,hanno creato aspettative di una presa incarico, da parte delle associazioni dei pro-duttori, di un sistema di servizi che gliStati non sono più in grado di assicurare;dall’altra il contesto politico, istituzionaleed economico dei Paesi in via di sviluppo(PVS) si è caratterizzato per la fortevolontà dei Governi di costruire e svilup-pare alcune aree economiche, sociali epolitiche comuni tramite meccanismi diintegrazione sub-regionale e regionale.

Uno dei nodi centrali di questo processodi riassetto organizzativo degli apparatie servizi riguarda lo sviluppo dell'agri-coltura basata sulle microeconomiefamiliari rurali nel contesto politicomondiale che fa riferimento a meccani-smi di deregolamentazione e liberalizza-zione delle economie nazionali e di glo-balizzazione degli scambi commerciali.L'agricoltura basata sulla famiglia ruraleè essenziale per uno sviluppo sostenibi-

nucleo famigliare nel tempo. Per questooffre grandi possibilità in termini dicreazione di opportunità di lavoro egenerazione di reddito durevole.

Di conseguenza la promozione di pro-grammi tendenti a rafforzare l'organizza-zione delle comunità locali in ambitorurale è esplicitamente riconosciuta, dalleautorità pubbliche e da altri soggetti eco-nomici ed istituzionali, come principioper il futuro dell'agricoltura in Africa. Daquesto punto di vista si rende indispensa-bile per le organizzazioni degli allevatori,come per altre categorie, acquisire cono-scenze approfondite per sviluppare leproprie capacità tecniche in modo dapoter influenzare le politiche agricole finoai più elevati livelli decisionali (locali,nazionali e sub-regionali).

La sicurezza alimentare è valore che neiPVS assume un significato assai diversoda quello applicabile alle società econo-micamente evolute; in situazioni svantag-giate, economicamente e socialmentecompromesse, il governo dei processi diproduzione alimentare, drammaticamenteed inesorabilmente, fa assumere ai princi-pi di tracciabilità e controllo del rischioconnotazioni più vicine a quello di “ridu-zione del danno”, come conseguenzadella pratica di “adattamento” delle tec-nologie, più che di un loro inappropriatoo pericoloso miope trasferimento.

La definizione del fenomeno - ampia-mente analizzato, nella sua più estesaaccezione che fa riferimento a tutti ideterminanti delle condizioni di vita dellepopolazioni svantaggiate, da esponenti diquella linea di pensiero “neosviluppista”che rigetta gran parte degli interventi dicooperazione internazionale evidenzian-

La Discussione telematica della FAO su temi di Sanità Pubblica Veterinaria

Dal 2 al 13 Febbraio 2004 la FAO ha organizzato una discussione telematica su temi di Sanità PubblicaVeterinaria (SPV). L’evento ha registrato la partecipazione di circa 150 ricercatori ed esperti di ogni con-tinente con oltre 50 contributi originali di cui 7 da parte di italiani. La discussione si è sviluppata secon-do due sostanziali modalità.1. Da un canto i partecipanti hanno presentato opinioni e considerazioni inscrivibili nelle tematiche pre-fissate in una griglia di argomenti (Allegato1); alcuni interventi hanno provocato reazioni, anche moltovivaci. Questa prima tipologia di contributi è generalmente rimasta nelle dimensioni sintetiche.2. Dall’altro canto sono stati presentati documenti ad argomento libero, ma inscrivibile nel contestodella SPV.I tre contributi che sono riportati in questo numero appartengono rispettivamente:alla prima tipologia:• Sanità Pubblica Veterinaria - conoscenze e risorse locali per i bisogni delle comunità nei Paesi del Suddel Mondo;alla seconda tipologia:• Commercio e salute nei Paesi in via di Sviluppo – alcuni aspetti di interesse Veterinario;• Alcune note su un progetto di sanità pubblica veterinaria realizzato in Angola, nella regione di Namibe.

La Discussione, coordinata da Katinka de Balogh e Maarten Hoek, ha ricevuto notevole attenzione econsiderazione in ambiente FAO; i materiali sono in elaborazione per una loro disponibilità in formaelettronica e/o cartacea.

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COSTRUIRE IN SITUAZIONI LOCALI, CONOSCENZE E RISORSESANITÀ PUBBLICA VETERINARIACONOSCENZE E RISORSE LOCALIPER I BISOGNI DELLE COMUNITÀNEI PAESI DEL SUD DEL MONDO

di Luciano Venturie Patrizia Parodi

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do il fallimento di tutta la storia degli aiutiallo sviluppo - può essere significativa-mente riaggiustata condividendo l'espres-sione: "... non è più il caso per parlare disviluppo ma solamente di rettifica struttu-rale.. " (S. Latouche, 2001).

L'abuso di risorse non rinnovabili, lemigrazioni, la frenetica corsa produttivi-stica, la diffusione di specie animali e ditecnologie di allevamento improprie,l'uso di molecole chimiche ormai vietatenei paesi industrializzati rappresentanoalcune delle più importanti cause dell'i-nefficienza dei sistemi di garanzia diapprovvigionamento alimentare.Assumendo quindi il concetto "riduzio-ne del danno" come la trasposizione, ailivelli di sviluppo economico/sociale deiPVS, dei principi di “gestione delrischio”, la Sanità Pubblica Veterinaria(SPV) assume un ruolo preminente nelcampo della produzione alimentare con-correndo alla costruzione di un sistemastrutturale/organizzativo – in cui ilmiglioramento quali/quantitativo delcibo gioca un ruolo di importanza pri-maria e ove ricerca e servizi vanno con-siderati una risorsa (capitale immateria-le) e non un costo – per il conseguimen-to dell’ obiettivo "Salute".

Cibo, in specifico l’alimento di origineanimale, e salute sono quindi così inse-parabilmente connessi ed interdipenden-ti da esigere movimenti diffusi e parteci-pati di cooperazione internazionale che,coinvolgendo le comunità locali, partanodalla identificazione dei veri bisogni,passino per la valutazione delle opportu-nità giungendo a selezionare specifichemisure operative capaci di promuovereprogrammi di SPV - basati su principi disussidiarietà - che individuino priorità estrategie comuni, incoraggino la parteci-pazione di tutti i portatori di interesse,con particolare attenzione alle formeassociate ed organizzazioni dei lavorato-ri del Sud del mondo.

Tenere conto delle risorse e dei bisognipercepiti localmente, oltrechè facilitarelo scambio di informazioni e conoscen-ze, concorre a far sì che le comunitàrurali siano messe al centro delle politi-che di Sanità Pubblica Veterinaria e chei programmi di sviluppo poggino suprincipi di democraticità e appropriatez-za degli interventi.

Luciano VenturiAzienda Unità Sanitaria Locale

di Ravenna e ALISEI [ONG], Milano

Patrizia ParodiMinistero della Salute, Roma

INTRODUZIONE“Salute per tutti” rappresenta un obietti-vo di sviluppo accettato internazional-mente e, sin dall’inizio, l’Organizzazio-ne Mondiale del Commercio (OMC) hariconosciuto la sua importanza pergarantire uno sviluppo economico soste-nibile. Negli accordi dell’OMC sonoprevisti casi in cui gli Stati membri pos-sono subordinare le considerazioni eco-nomiche ad altri fattori legittimi come lasalute; in diverse occasioni infatti, lagiurisprudenza ha confermato che iPaesi membri dell’OMC hanno il dirittodi determinare il livello di protezionesanitaria che ritengono più appropriato.Più recentemente la Dichiarazione Mini-steriale di Doha ha nuovamente afferma-to che, in base alle regole dell’OMC, aiPaesi membri non può essere impeditodi adottare le misure per la protezionedella salute umana, animale, delle pianteo dell’ambiente che ritengano necessa-rie, a condizione che queste non assuma-no carattere discriminatorio.

GLI ACCORDI OMCALCUNI ASPETTI DISANITÀ PUBBLICA VETERINARIAL’Accordo OMC più rilevante dal puntodi vista della Sanità Pubblica Veterinaria(SPV) è quello sull’applicazione dellemisure sanitarie e fitosanitarie (SPS)1 cheha finalità di tutela della sicurezza ali-mentare e della sanità animale e vegetale.I punti principali di questo Accordosono:• lo scambio di informazioni, sullemisure SPS, prima della loro entrata invigore in modo da consentire ai membri

la possibilità di presentare commenti(trasparenza);• l’applicazione dello stesso trattamentoper tutti i partners commerciali e per lemerci prodotte sia localmente cheimportate (non discriminazione);• l’adozione di misure SPS basate sustandard internazionali (armonizzazione); • l’uso del metodo di analisi del rischio(risk assessment);• l’accettazione di misure differenti seegualmente efficaci nel garantire lo stes-so livello di protezione (equivalenza).

Secondo alcuni recenti studi l’applica-zione dell’Accordo SPS ha impostostandard di salute pubblica molto rigoro-si che rischiano di essere percepiti comebarriere al commercio; molti Paesi in viadi sviluppo (PVS) sostengono che glistandard internazionali sono troppo ele-vati perché essi li possano applicare nonpermettendo, di conseguenza, l’esporta-zione dei loro prodotti.In effetti anche se gli standard interna-zionali sono approvati tramite procedureche cercano di garantire un’ampia parte-cipazione, molti PVS non possonogarantire la presenza di un loro rappre-sentante nelle riunioni decisionali oppu-re mancano dei dati e delle competenzetecniche per contribuire attivamente allediscussioni.Al contrario, l’adozione di standardinternazionali può anche essere interpre-tata come un mezzo per migliorare lepolitiche di sanità pubblica nei PVSesportatori, andrebbe inoltre tenutoconto che l’Accordo SPS riguarda solo iprodotti destinati all’esportazione e nonquelli commercializzati e consumatilocalmente.Poiché è largamente riconosciuto cheper i PVS, talvolta, può essere difficileapplicare gli standard internazionali,

COMMERCIO E SALUTE NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPOALCUNI ASPETTI DI INTERESSE VETERINARIO

di Patrizia Parodi,Adriano Mantovani

e Luciano Venturi

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viene offerto dal “caso” EncefalopatiaSpongiforme Bovina (BSE) in cui ilcommercio di animali infetti e/o farineanimali contaminate ha determinato ildiffondersi della malattia nel mondo.

L’Organizzazione Mondiale per laSanità Animale (OIE) è l’Organismointernazionale riconosciuto dall’Accor-do SPS per determinare standard, lineeguida e raccomandazioni nel campodella sanità animale e delle zoonosi.Questi provvedimenti sono raccolti inalcuni documenti a cui gli Stati dovreb-bero far riferimento nello stabilire misu-re sanitarie per il commercio internazio-nale degli animali e dei loro prodotti:• il Codice sanitario degli animali

terrestri• il Codice sanitario degli animali

acquatici• il Manuale dei test diagnostici e

vaccini per gli animali terrestri• il Manuale dei test diagnostici per gli

animali acquatici

Molte malattie di interesse dell’OIE(Lista A e B) hanno il loro serbatoionegli animali selvatici ed in caso di foco-lai il commercio internazionale di ani-mali e dei loro prodotti può essere limi-tato o anche interrotto.Negli Atti della Conferenza sull’Elimi-nazione ed Eradicazione Globale delleMalattie, a proposito delle strategie diSanità Pubblica viene sottolineato chel’infezione umana non è eradicabilequando, come per la malattia di Chagas,la filariosi causata da Brugia malayi, larabbia, la febbre gialla e l’encefalitegiapponese, esiste un serbatoio animale;merita sia evidenziato, in ogni caso, chela rabbia può essere eliminata quando –come in alcuni paesi europei, tra cui l’I-talia – si dispone di cospicue risorse. La missione dell’OIE include inoltre -essendo accettato che uno dei mezzi piùappropriati per prevenire e controllare lemalattie infettive è costituito dall’imple-mentazione di un sistema efficace di sor-veglianza ed allerta che permetta unrapido scambio di informazioni - la rac-colta e diffusione di informazioni con-cernenti le malattie animali e le zoonosi;nei PVS questi dati, tuttavia, sono fre-quentemente incompleti o totalmenteindisponibili non permettendo così l’ap-plicazione di misure sanitarie e di pro-grammi di controllo efficaci.Un altro importante strumento previstodall’Accordo SPS, per ridurre le restri-zioni agli scambi commerciali, è il mec-canismo di regionalizzazione che con-sente il riconoscimento di aree geografi-che indenni o a bassa prevalenza perdeterminate malattie.In passato il controllo dei focolai dimalattie animali si basava prevalente-

mente sull’applicazione di misure qua-rantenarie o di embargo commerciali; piùrecentemente l’applicazione di combina-zioni di diverse misure sanitarie ha ridot-to la necessità di ricorrere a provvedi-menti così restrittivi; attualmente l’interosistema di garanzie fra Paesi, teso al rico-noscimento dell’equivalenza delle misuresanitarie, si basa su alcuni pilastri fonda-mentali, i più importanti dei quali sono lapredisposizione di sistemi di analisi delrischio, oppure dall’essere in grado di for-nire giustificazioni tecniche basate sustandard, linee guida o raccomandazioniriconosciute a livello internazionale.Un esempio in tal senso è costituito dallerestrizioni commerciali all’importazionedi pesce proveniente da paesi affetti dacolera che potrebbero essere sostituite daaltre misure, adottate in accordo con lelinee-guida OMS in cui si sottolineache:“sebbene vi sia un rischio teorico ditrasmissione del colera associato adalcuni prodotti alimentari commercializ-zati a livello internazionale, questo rara-mente si è rivelato significativo e pertan-to le autorità dovrebbero cercare mezziper controllarlo diversi dall’applicazio-ne di un embargo alle importazioni”.

SICUREZZA ALIMENTARE E NUTRIZIONEFra i diritti umani universalmente rico-nosciuti figura quello ad una adeguataalimentazione, così come definito nella“Convenzione internazionale sui dirittieconomici, sociali e culturali” in cui siafferma che “…il diritto ad un’alimenta-zione adeguata si realizza quando ogniuomo, donna e bambino, soli o in comu-nità, hanno sempre garantito l’accessofisico ed economico ad un’alimentazioneadeguata o ai mezzi per procurarsela”.Sulla base di questa dichiarazione, ilSummit Mondiale sull’Alimentazionedel 1996 ha stabilito alcuni impegni,confermati durante il Millenium Summitdel 2000 e più recentemente nell’ultimoSummit Mondiale sull’Alimentazionedel 2002, per rendere disponibili risorsee convogliare le iniziative necessarie adare risposta ai bisogni di sicurezza ali-mentare più impellenti.Questi impegni includono:• l’assicurare e rendere disponibile unambiente politico, sociale ed economicoidoneo a creare le migliori condizioni,per garantire una pace durevole e la ridu-zione/eradicazione della povertà basatasu di una piena ed uguale partecipazionedelle donne e degli uomini;• lo stabilire e mettere in opera politicheefficaci per la riduzione della povertà edelle disuguaglianze e per il migliora-mento dell’accesso permanente di tuttala popolazione ad un’alimentazione suf-ficiente, nutrizionalmente adeguata,sicura e disponibile;

l’Accordo SPS incoraggia l’adozione diattività di assistenza tecnica da partedegli Organismi internazionali e deiPaesi sviluppati. La realizzazione di taliiniziative, in forza della loro crescenterilevanza, è soggetta a monitoraggiocostante essendo inclusa nell’agenda ditutti i Comitati SPS.

Altri accordi dell’OMC aventi riflessi edimplicazioni che coinvolgono temi diSPV sono l’Accordo sulle barriere tecni-che al commercio (TBT)2, che trattadelle misure volte a proteggere il consu-matore contro le frodi commerciali [fraqueste misure rientrano le direttive sul-l’etichettatura ed i requisiti qualitatividegli alimenti]; l’Accordo sull’agricol-tura (AoA)3; l’Accordo generale sulcommercio e servizi (GATS)4, che fariferimento alla liberalizzazione del set-tore privato e infine, l’Accordo sugliaspetti commerciali correlati ai diritti diproprietà intellettuale (TRIPS)5, che sioccupa, fra l’altro, dei brevetti farma-ceutici e del sapere tradizionale.

È inoltre auspicabile che un Paese, eser-citando le “libertà” di rifiutare l’importa-zione di prodotti ottenuti attraverso losfruttamento del lavoro minorile o conmetodi che inquinano e impoverisconol’ambiente, prenda in esame, nell’assu-mere decisioni che consentano importa-zioni di nuovi prodotti, gli obblighi deri-vanti da altri accordi internazionali qualila Convenzione internazionale sui dirittidel bambino, la Convenzione ILO6, sul-l’eliminazione delle forme peggiori dilavoro minorile e gli Accordi sulla prote-zione dell’ambiente.

CONTROLLO DELLE MALATTIEINFETTIVE, COMPRESE LE ZOONOSILa FAO ha stimato che 675 milioni dipersone, che vivono in zone rurali,dipendono dal bestiame per la lorosopravvivenza e che il 70% dei poveri,che vivono in tali aree, sono allevatoritradizionali di bestiame.Tale forte dipendenza dal patrimonioanimale evidenzia come il bestiame alle-vato tradizionalmente, molto vulnerabiledi fronte a calamità quali la siccità, leinondazioni, il degrado delle risorsenaturali e le malattie infettive, rappre-senti una risorsa di vitale e straordinariaimportanza per combattere la povertà. Il rischio del verificarsi di una malattiainfettiva cresce in seguito all’aumentodella mobilità delle persone e degli ani-mali, al commercio degli alimenti e dialtri prodotti derivati, oltre che in conse-guenza di mutamenti sociali ed ambien-tali; un esempio molto recente, verifica-tosi in alcuni Paesi a sviluppo avanzato,

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• il compiere ogni sforzo per prevenireed essere preparati ad affrontare disastrinaturali ed emergenze di origine umanae rispondere alle emergenze alimentaricon modalità tali da incoraggiare la rico-struzione, la riabilitazione, lo sviluppo ela risposta a futuri bisogni;• il perseguire politiche per uno svilup-po sostenibile rurale, agricolo, forestale,alimentare, della pesca che incoragginola produzione di alimenti in manieraadeguata e sicura a livello locale, regio-nale, nazionale e globale;• l’assicurare che le politiche per ilcommercio di prodotti agricoli ed ali-mentari e per il commercio in generale,tenendo in considerazione lo sviluppodelle produzioni nazionali, rendano piùefficace la sicurezza alimentare per tutti.• il promuovere investimenti appropria-ti per tutelare le risorse umane, i sistemiagricoli e alimentari sostenibili e lo svi-luppo rurale; ottimizzare l’utilizzo dellerisorse disponibili a livello nazionale edinternazionale sia in aree ad elevato chelimitato potenziale.

I dati presentati dal Regno Unito nelLibro bianco sullo sviluppo internazio-nale mostrano che, a livello mondiale,una persona ogni cinque – di cui i dueterzi sono donne – vive in grave stato dipovertà, senza un’adeguata alimentazio-ne ed accesso all’acqua potabile.Secondo la FAO, negli ultimi 12 anni esolo in 19 paesi fra i quali Cina e Brasile,il numero di persone cronicamente denu-trite è diminuito mentre il numero totaledi persone sottonutrite nei PVS, special-mente in Africa e nei Paesi in Transizio-ne7, sta ancora aumentando. In Africa poil’HIV/AIDS ha un impatto devastantesulla sicurezza alimentare e sull’agricol-tura a causa della perdita di quote diforza-lavoro, conoscenze e risorse locali,abbandono delle proprietà agricole,aumento dell’urbanizzazione, etc.L’Istituto Internazionale per la Ricercasulle Politiche Alimentari (IFPRI) hamesso in evidenza numerosi rischi e fat-tori di precarietà per l’agricoltura checomportano implicazioni significativeper la sicurezza alimentare e la sopravvi-venza delle popolazioni interessate:• una gestione non appropriata dellerisorse e delle tecnologie, fra cui rientra-no i rapidi cambiamenti climatici, la cat-tiva gestione delle risorse idriche, fore-stali e agricole, la riduzione delle risorsemarine, la comparsa di nuove malattiedelle piante e degli animali;• crisi alimentari correlate a fattori sani-tari, fra cui l’ulteriore diffusione del-l’HIV/AIDS, come l’insorgere di altreepidemie che hanno effetti significatividiretti o indiretti sull’agricoltura e la dif-fusione di diete poco sane;.• fattori politici, fa cui disordini civili e

guerre, che causano un declino dellaqualità delle politiche legate all’agricol-tura e all’alimentazione, modifiche nelsistema di commercio mondiale e collas-so della piccola produzione agricola.

L’Accordo SPS è inoltre strumento diarmonizzazione delle misure sanitarieper gli alimenti tramite l’uso degli stan-dard internazionali adottati dalla Com-missione del Codex Alimentarius (CAC)che riguarda gli additivi alimentari, iresidui di farmaci veterinari e pesticidi, icontaminanti, i metodi analitici e dicampionamento, i codici e linee guidasulle corrette prassi igieniche e sull’ana-lisi dei rischi.Alcuni argomenti particolarmente impor-tanti del Codex sono:• l’approccio orizzontale che permetteuna più facile applicazione delle regolegenerali ad un’ampia gamma di prodotti,piuttosto che standard specifici per ognialimento;• il concetto di controllo di processo chesi sostituisce a quello di controllo deiprodotti finiti;• l’uso del sistema HACCP 8 che per-mette la compartecipazione alle respon-sabilità, da parte dei servizi pubblici edei produttori, per garantire la protezio-ne dei consumatori e la sicurezza ali-mentare.

Il Comitato SPS dal 1995, anno in cui èentrato in vigore l’Accordo, al 2003 hapreso in esame 183 problemi commer-ciali dei quali 50 circa direttamente cor-relati alla sicurezza alimentare; fra di

essi anche il cosiddetto “caso ormoni”che ha coinvolto la Comunità europea edha subito tutto il processo di risoluzionedelle dispute previsto dall’OMC riaffer-mando, in tal modo, il diritto di ognipaese di determinare specifici e appro-priati livelli di protezione.Nel determinismo di tali misure, perquanto riguarda la sicurezza alimentare,è divenuta opinione comune che andreb-bero presi in considerazione anche fatto-ri estrinseci al prodotto quali la possibi-lità di cattivo utilizzo degli alimentiimportati in condizioni ambientali, sani-tarie o sociali difficili.

Al riguardo le tossinfezioni alimentarirappresentano una delle più importanticause di malattia e morte sia nei Paesisviluppati che nei PVS. Secondo l’OMS,nel 2000, sono morte in tutto il mondo, acausa di malattie diarroiche, 2.1 milionidi persone, la maggior parte dei qualicostituita da bambini con meno di 5 annid’età; una elevata percentuale di questicasi è attribuita all’assunzione di alimen-ti e acqua contaminati. Nei paesi indu-strializzati la percentuale di persone cheogni anno soffrono di tossinfezioni ali-mentari è stimata intorno al 30%; secon-do i dati forniti dal sistema di sorve-glianza del Centers for Disease Controland Prevention di Atlanta (CDC), negliUSA ogni anno vengono notificati oltre1.000 focolai di tossinfezioni alimentari,si stimano oltre 76 milioni di casi clinicie sono registrate 325.000 ospedalizza-zioni con 5.200 morti; i costi sanitari e leperdite causate dalla salmonellosi, che

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costituisce solo uno dei numerosi agentitossinfettivi, sono valutati in oltre 1miliardo di dollari l’anno.Anche se meno documentato, l’impattodelle tossinfezioni alimentari nei PVS,ove le persone hanno limitato accesso aiservizi sanitari e uno stato di nutrizioneprecario, è molto più grave: una ridottaimmunità, dovuta ad uno scadente statodi nutrizione, rende le persone, in parti-colare lattanti e bambini, più suscettibilialle tossinfezioni alimentari; un’altracategoria di persone ad alta sensibilitàper tali patologie è rappresentata, inoltre,da rifugiati ed immigrati.Dati OMS dimostrano, infine, che nellepersone gravemente ammalate, peresempio di cancro o di AIDS, è aumen-tata la mortalità dovuta ad infezioni daSalmonella, Campylobacter, Listeria,Toxoplasma, Cryptosporidium e altriagenti causa di tossinfezioni.Un altro problema di sanità pubblica chesta emergendo è costituito dai trematoditrasmissibili con gli alimenti; tali paras-sitosi colpiscono specialmente l’Asiasud orientale, ma anche l’America Lati-na, e sono in parte dovute ad un aumen-to delle produzioni in acquacoltura,spesso ottenute in condizioni non igieni-che ed in parte alle abitudini di consu-mare pesce e prodotti ittici crudi o scar-samente processati; si stima che le per-sone che ne soffrono siano circa 40milioni in tutto il mondo.La mancanza di un sistema di sorve-glianza efficace è una delle maggiorilimitazioni per definire e valutare la rile-vanza globale delle tossinfezioni alimen-tari, per stimare il numero di persone chene soffrono e stabilire misure di preven-zione appropriate. Per colmare questovuoto l’OMS coordina diversi program-mi fra i quali il Global Salm-Surv (GSS)e il Global Environment MonitoringSystem–Food Contamination Monito-ring and Assessment Programme(GEMS/Food).

Come è stato sottolineato in alcuni recen-ti documenti l’agricoltura ed il commer-cio di alimenti sono essenziali per lamaggior parte dei PVS perché introduco-no un’ampia scelta di prodotti nella dietae generano valuta pregiata tramite leesportazioni. Importazioni eccessive dialimenti da parte dei PVS possono pro-vocare effetti negativi di due ordini: ilprimo consistente in una riduzione dellaproduzione locale in quanto la maggiorparte degli agricoltori è di piccole dimen-sioni (oltre il 90% nell’Africa sub saha-riana) e non può competere per qualità,disponibilità e prezzo con i prodottiimportati; il secondo come conseguenzadi un’eccessiva dipendenza dei consuma-tori dai cibi importati con modificazionedelle abitudini e tradizioni alimentari.

Un altro elemento sfavorevole che costi-tuisce un rischio non trascurabile – tenutoconto del fondamentale ruolo delle produ-zioni agricole e zootecniche nella soprav-vivenza giornaliera delle popolazionisvantaggiate – è rappresentato dal fattoche mentre l’esportazione dai PVS di ali-menti non processati, quali il pesce fresco,è caratterizzata da prezzi bassi, questi ulti-mi aumentano notevolmente a seguito ditrasformazioni e lavorazioni che avvengo-no principalmente nei Paesi sviluppati.Nei PVS andrebbero messi in opera mec-canismi che favoriscano le lavorazionilocali, permettano una maggiore flessibi-lità e garantiscano l’adozione di clausoledi salvaguardia senza che siano interpreta-te come misure protezionistiche.

Un nuovo argomento di notevole interes-se è la sicurezza degli alimenti derivatida biotecnologie. La loro applicazione, inalcuni casi, ha reso le produzioni alimen-tari più efficienti ed ha contribuito all’au-mento dei raccolti: la varietà di riso gene-ticamente modificato “Golden Rice” cheproduce betacarotene può contribuire,per esempio, ad alleviare la carenza divitamina A che è una delle cause mag-giori di cecità nei PVS; tuttavia non sonoancora disponibili informazioni completecirca costi ed effetti sulla salute compa-rati a metodi alternativi volti alla riduzio-ne della cecità.D’altra parte esistono motivate preoccu-pazioni riguardo agli effetti, a lungo ter-mine, della diffusione degli alimentigeneticamente modificati quali, peresempio, il potenziale trasferimento digeni, da piante geneticamente modifica-te, a cellule animali o microrganismi; iltrasferimento e l’espressione, a celluleumane od animali, di un gene legatoall’antibioticoresistenza e infine di esse-re causa di fenomeni allergici.Si impone la necessità di trovare unaccordo a livello internazionale su nuovimetodi e politiche per la valutazione ditali alimenti e quindi fornire le basiscientifiche a supportare decisioni inmerito; molte Organizzazioni internazio-nali hanno già preparato alcuni standard,linee guida e raccomandazioni mentrealtri strumenti sono in via di definizione.All’interno dell’ OMC la discussione piùcompleta sugli alimenti geneticamentemodificati si è tenuta in seno al Comita-to TBT ove sono stati esaminati i requi-siti di etichettatura; altri aspetti quali lasicurezza alimentare e la potenziale dis-seminazione nell’ambiente di semi gene-ticamente modificati ricadono nell’am-bito dell’Accordo SPS.

Un concetto, infine, a cui l’OMC ricono-sce un ruolo centrale, nella gestione deirischi, in situazioni di limitate conoscen-ze scientifiche, è il “principio di precau-

zione”: poiché la sua applicazione non èscontata è in corso un dibattito, all’inter-no delle Organizzazioni internazionali,per trovare principi comuni e produrrelinee guida per una sua corretta imple-mentazione; un notevole contributoall’interpretazione e applicazione delprincipio di precauzione è stato fornitodalla Unione Europea.

AMBIENTENel preambolo all’Accordo di Marrake-sh, con cui l’OMC venne istituito, iGoverni affermano di volersi impegnareper uno sviluppo sostenibile; lo stessoprincipio è stato riconfermato nellaDichiarazione ministeriale di Doha.Il degrado ambientale rende i poveri piùvulnerabili ai disastri naturali; nel Rap-porto annuale 1998 della Croce Rossa,per la prima volta, il numero di rifugiatidovuti a disastri naturali è stimato supe-riore a quello causato dalle guerre.Occorre, tramite l’adozione di criteri emetodi di prevenzione in campo ambien-tale, potenziare ogni azione possibile perinvertire la tendenza generalizzata di uti-lizzare pratiche che contribuiscono alpeggioramento della qualità dell’ecosi-stema. In questo campo uno dei metodipiù efficaci ed affermati è costituito dallavalutazione di impatto ambientale (VIA)che può essere definita come “la indivi-duazione, qualificazione, descrizione equantificazione degli effetti causati sul-l’ambiente dalla realizzazione di attivitàdi un determinato intervento o progetto”.Trasferendo il metodo agli interventi dilotta alla povertà non si può che ricono-scere come la VIA riaffermi il concettoche la valutazione dei progetti non puòessere limitata ad un semplice calcolocosti/benefici, al contrario tutte le azionidevono essere integrate all’interno di unavalutazione dell’impatto politico, sociale,sanitario ed ambientale dell’intervento.Da questo punto di vista i progetti diproduzione e sanità animale realizzatinei PVS possono essere aggregati inalcune principali categorie:

• Progetti volti alla modifica dell’am-biente. Le modifiche dei sistemi di irri-gazione, dei pascoli e delle metodologieagricole, la bonifica di pascoli infestatida vettori di malattie, l’introduzione ditecnologie appropriate e auto-prodotte,volte ad un uso migliore dei prodotti esottoprodotti di origine animale, posso-no incidere in maniera devastante sia suisistemi tradizionali di allevamento e suimodelli di vita, sia sulle caratteristichegeografiche dell’area di intervento e diquelle confinanti.Le modifiche della flora spontanea edella fauna selvatica o le variazioni delnumero di persone che abitano un terri-torio, provocate da fenomeni migratori,

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dovranno essere sempre valutate moltoattentamente; esistono infatti innumere-voli esempi in cui sono stati provocatiproblemi igienici, di sopravvivenza edisordini sociali.

• Progetti per il miglioramento dellostato sanitario del bestiame. Le patolo-gie presenti andranno registrate in uninventario, facendo attenzione a quellemascherate da fenomeni di malnutrizio-ne. E’ indispensabile valutare la situazio-ne esistente che, generalmente, rappre-senta un equilibrio fra le condizioni sfa-vorevoli e l’adattamento degli animali,fra gli agenti di malattia o i loro vettori ela capacità degli animali di coesisterecon essi. Andrà determinato se talimalattie costituiscono un rischio realeper la popolazione animale e, in casoaffermativo, se il loro controllo rappre-senta una priorità o al contrario, se ilpossibile successo delle misure di con-trollo non possa creare le condizioni perlo svilupparsi di altre malattie. Lo studiodel patrimonio genetico del bestiameautoctono dovrà permettere la realizza-zione di un programma di selezione,considerando l’attitudine alle produzionizootecniche, l’adattabilità all’ambiente,la sensibilità alle malattie, la resistenzaalle condizioni climatiche, ecc. In parti-colare, la genetica deve essere oggetto diulteriori studi prendendo in considera-zione: la conservazione e gestione, inloco e non, dei patrimoni genetici, lerisorse gnomiche, l’uso delle risorsegenetiche animali legato alla conserva-zione della biodiversità in relazione adalcune tradizioni culturali delle popola-zioni locali.In un tale contesto le biotecnologie pos-sono essere viste non come un’espro-priazione delle risorse biologiche locali,ma come un mezzo per la loro conserva-zione e miglioramento.

• Progetti per il miglioramento deimodelli di gestione tradizionali. “Larealtà pastorale implica una relazionedialettica fra le circostanze, le pratiche,i miti, i simboli e le allegorie che appar-tengono intimamente alla sensibilità eidentità pastorali”. Andranno pertantovalutati attentamente - tenendo in consi-derazione le conoscenze, attitudini ecapacità della popolazione - gli interven-ti diretti a modificare il sistema deipascoli, le spinte alla “sedentarizzazio-ne”, l’introduzione di specie e/o razzeanimali alternative, le modifiche delletradizioni alimentari della popolazione edei circuiti di commercio locale.

• Progetti per lo sviluppo di infra-strutture. La riabilitazione di strutturedeteriorate piuttosto che la costruzionedi nuove, fra cui mercati, macelli, reti di

trasporto, laboratori veterinari, ecc. sonointerventi di forte impatto ambientaleche dovrebbero essere realizzati in uncontesto integrato, considerando il pos-sibile futuro sviluppo del territorio. E’molto importante realizzare un inventa-rio delle risorse umane, in collaborazio-ne con le autorità locali per raggiungerel’obiettivo “partecipazione”; prospettivedi lavoro irreali possono creare fughe diprofessionalità da settori occupazionalicon perdite di notevoli potenzialità.

Secondo alcune ricerche, nei Paesi in cuila povertà è una delle maggiori criticitàed un importante ostacolo alla protezio-ne ambientale, l’apertura dei mercatimondiali alle loro esportazioni può esse-re vista come una soluzione: la liberaliz-zazione delle esportazioni dai PVS,insieme ad aiuti finanziari e assistenzatecnica, può infatti contribuire a genera-re risorse utilizzabili nella protezionedell’ambiente e nella promozione di unosviluppo sostenibile.Non va tuttavia sottovalutato che la libe-ralizzazione del commercio è anchecausa di numerosi dissesti ambientali;nel 1982, ad esempio, l’OMC ha presoin esame il problema sollevato da alcuniPVS, del commercio di merci “proibite”:merci prodotte in paesi sviluppati ove lacommercializzazione e l’uso sono vieta-ti o soggetti a misure restrittive per pro-teggere salute e ambiente (nel settoreveterinario, ad esempio, possono rientra-re in questo gruppo alcuni farmaci vete-rinari, pesticidi, ecc.); per risolvere ilproblema sono state adottate diversemisure (sistema di notifica, istituzione digruppi di lavoro,…) ma la soluzionepare ancora lontana.

L’incidenza della povertà nei PVS è piùacuta nel settore rurale ove la filieraagrozootecnica rappresenta la principalecomponente produttiva; poiché il 75%dei poveri vive nelle aree rurali non èpossibile una riduzione della povertàsenza migliorare le condizioni di lavoroin queste aree: i produttori, adottandotecnologie zootecniche sostenibili devo-no essere aiutati ad acquisire nuovecapacità gestionali e commerciali ten-dendo, come raccomandato dall’Accor-do SPS, al rispetto degli standard inter-nazionali. Un esempio molto recente è costituitodal “Projecto Fome Zero”, realizzato dalGoverno brasiliano, che include attivitàdi distribuzione, gratuitamente o a bassocosto, di alimenti e pasti e la riduzionedella povertà rurale attraverso un incre-mento dell’accesso al credito, alle assi-curazioni e alle attività di formazione.In molte situazioni un ruolo rilevanteviene giocato dalle Organizzazioni NonGovernative (ONG), dalle cooperative e

dalle associazioni che, realizzando inter-venti formativi, di riqualificazione, dimicrocredito, promuovono le possibilitàdi esportazione e la conseguente genera-zione di utili. Nel settore zootecnico sono disponibiliesempi di progetti basati sui principi dicooperazione etica, caratterizzati daalcuni dei valori fondamentali dell’ap-propriatezza e della qualità delle azioni:• adeguatezza: le motivazioni dell’in-tervento derivano dalle necessità dellapopolazione; l’integrazione ed il rispettodelle conoscenze locali del sistema(agro-ecologiche, tecnologiche e socioeconomiche) devono essere garantiteassicurandosi che le innovazioni nonaumentino il livello di rischio per i sog-getti interessati.• centralità delle comunità rurali: l’atten-zione, la partecipazione e le pratiche pro-fessionali devono tendere a svilupparerelazioni di fiducia fra i partecipanti alprogetto, superando il concetto di benefi-ciari. Va assicurata una particolare atten-zione agli ambienti marginali ed agli eco-sistemi più fragili. Le popolazioni localidovrebbero sempre partecipare contri-buendo allo sviluppo ed alla valutazionedelle innovazioni.• efficacia: l’identificazione delle prio-rità deve basarsi su metodologie parteci-pative rispettose dell’appropriatezzadelle proposte emergenti in modo chesignificative sinergie siano il prodotto diun lavoro portato avanti in stretta colla-borazione.• flessibilità: i programmi devonorispondere a meccanismi di innovazione(adattabilità, possibilità di introdurremodifiche, migliorie e risposte a nuoveesigenze) e di verifica.• trasparenza: i programmi devonogarantire la libera circolazione delleidee, risorse, informazioni, procedure, erisultati; il processo di gestione deveessere assolutamente visibile e compren-sibile.• applicabilità immediata: l’iniziativadeve essere finalizzata all’applicazionepratica ed immediata nel processo pro-duttivo.

Altro tema di grande rilievo, in materiaambientale, è rappresentato dalle rela-zioni che intercorrono fra l’OMC e gliaccordi multilaterali; sono in corso direalizzazione numerose iniziative e pro-grammi nazionali su questi argomentifra i quali possono essere inclusi ilmiglioramento del commercio delle erbemedicinali e l’ecoturismo. Elementofondante comune è la salvaguardia dellabiodiversità che implica, fra l’altro, l’esigenza di mantenere un’alta varietà dimedicine e prodotti alimentari che, sal-vaguardando un’elevata variabilità gene-tica, riduca la vulnerabilità alle malattie.

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L’uso delle piante medicinali è statonotevolmente studiato in medicinaumana; secondo l’OMS circa l’80%della popolazione mondiale ricorre allamedicina tradizionale per soddisfare ibisogni primari di salute; al contrario sisa molto poco della medicina veterinariatradizionale: una maggiore attenzionealla preservazione delle conoscenze tra-dizionali e locali, una raccolta sistemati-ca di informazioni e maggiori studiscientifici sono alcuni dei soggetti in cuii veterinari possono giocare un ruoloimportante.Per quanto riguarda l’ecoturismo vienestimato dall’UNCTAD9 che il turismosia una delle prime cinque fonti di valu-ta straniera per 31 dei 49 Paesi meno svi-luppati e la principale fonte di introiti divaluta per 24 di essi; fra il 1992 e il 2000le entrate generate dal turismo sono piùche raddoppiate passando da 1,0 a 2,2miliardi di dollari.La conservazione delle specie selvaticheè un aspetto essenziale nella promozioneturistica: come mostra l’esperienza diAngola e Mozambico la guerra può pro-vocare alcuni dei maggiori danni allaconservazione della fauna selvatica In altri Paesi africani come il Kenya, chevanta una lunga tradizione nella prote-zione della fauna selvatica, l’ecoturismoè una delle più importanti fonti di valutastraniera; secondo tuttavia quanto ripor-tato da uno studio di “Le Monde Diplo-matique” nella riserva nazionale deiMasai Mara solo l’8% delle entrategenerate dal turismo arriva agli abitanti,il resto spetta agli operatori turistici, aglihotels e altre strutture turistiche.Secondo altri studi questa percentuale èvariabile, in relazione al paese, fra il 10e il 60%.

DISPONIBILITÀ DI FARMACIVETERINARI E VACCINIL’Accordo TRIPS dell’OMC si occupaanche di farmaci e vaccini veterinari: alproprietario viene garantito il monopoliodel brevetto per 20 anni ma i Governi ne

possono rifiutare l’eleggibilità per treragioni correlabili alla sanità pubblica:• invenzioni il cui sfruttamento com-merciale non deve essere permesso perproteggere la vita e la salute dell’uomo,degli animali e delle piante;• metodi diagnostici, terapeutici e chi-rurgici per il trattamento di malattieumane ed animali;• invenzioni, diverse dai microrgani-smi, frutto di processi biotecnologici suanimali e vegetali.

L’Accordo è molto criticato perché negaai PVS il diritto di produrre o comprareversioni generiche di prodotti brevettatie perché i brevetti monopolizzano laproduzione contribuendo all’aumentodei prezzi.Si è stimato che il 25-65% del totaledelle spese sanitarie dei PVS sia destina-to ai prodotti farmaceutici ma il budgetdestinato alla sanità da molti Governirisulta sovente troppo esiguo per acqui-stare tutte le medicine necessarie;l’OMS sta monitorando l’effetto del-l’Accordo TRIPS sui prezzi delle medi-cine per uso umano mentre un’iniziativasimile non risulta essere stata intrapresaper i farmaci veterinari.Nel settore veterinario la mancanza difarmaci veterinari e di vaccini è uno deimaggiori ostacoli al miglioramento dellostato sanitario del bestiame dei PVS; adesempio si riporta un’esperienza realiz-zata recentemente nel sud dell’Angola. incui un approccio coordinato ha favoritol’ottimizzazione delle risorse: un pro-gramma di cooperazione della Comunitàeuropea ha affrontato il problema tramitel’istituzione di un fondo rotatorio perfinanziare kit di farmaci di prima neces-sità per tecnici veterinari e di campomentre, contemporaneamente, l’ONGitaliana Alisei ha fornito farmaci veteri-nari ai Servizi Veterinari pubblici ed hasupportato l’apertura di una farmacianella cooperativa agro-zootecnica locale.Lo sviluppo ed il trasferimento all’uomodi ceppi batterici resistenti, legato al

mal-uso di antibiotici ad ampio spettrosomministrati senza un’appropriatasupervisione è, infine, un ulteriore fatto-re di rischio per i consumatori. In moltiPVS spesso mancano un piano efficacedi controllo dei residui negli alimenti eduna attività di sorveglianza sul rispettodei tempi di sospensione. Mentre l’OMSha preparato una lista di farmaci essen-ziali per uso umano, nel settore veterina-rio linee guida su questo argomento sonostate discusse durante una Tavola roton-da sulla gestione dei farmaci essenziali evaccini per progetti di sviluppo in Afri-ca, tenutasi a Roma nel 1994.Riguardo ai vaccini infine occorre valu-tare, prima di impiegare risorse preziosenel loro acquisto, le condizioni di utiliz-zo in relazione alla possibilità di assicu-rare un’appropriata catena del freddo.

SERVIZI VETERINARISebbene quasi ovunque i Servizi Veteri-nari facciano parte dei Ministeri dell’A-gricoltura il loro contributo alla salutepubblica è essenziale (Marabelli e Man-tovani,1997).La sanità pubblica veterinaria è statadefinite dall’OMS come “la somma ditutti i contributi al benessere fisico, men-tale e sociale delle persone attraverso laconoscenza e l’applicazione delle scien-ze veterinarie”; la Federazione Veterina-ria Europea afferma, inoltre, che “Imedici veterinari devono mettere alprimo posto, fra le loro competenze, lasanità pubblica veterinaria insieme albenessere e alla sanità animale”.

Anche se a livello globale il rapportonumerico tra veterinari pubblici e priva-ti è piuttosto stabile, in molti Paesi svan-taggiati il settore privato, quasi assentein passato, sta aumentando rapidamentecome conseguenza di cambiamenti poli-tici e strategici della cooperazione inter-nazionale; in alcuni di essi, anche se ilnumero di veterinari privati è in conti-nuo aumento, la domanda non è ancorasufficientemente soddisfatta (Tab. 1).

Tab 1 Numero di veterinari pubblici e privati nel mondo

Regione N. di veterinari 2002 N.di veterinari 1997Totale Veterinari Veterinari Altri Totale Veterinari Veterinari Altri

pubblici privati pubblici privati

Africa 39.103 19.680 (50%) 9.954 (25%) 9.469 (25%) 37.470 21.982 (59%) 4.858 (13%) 10.630 (28%)Americhe 197.764 26.006 (13%) 144.257 (73%) 27.501 (14%) 180.335 41.602 (23%) 105.779 (59%) 32.954 (18%)Asia 192.229 105.162 (56%) 45.498 (24%) 41.569 (22%) 92.156 55.785 (60%) 23.706 (26%) 12.665 (14%)Europa 200.109 46.335 (23%) 94.424 (47%) 59.350 (30%) 158.096 38.273 (25%) 78.115 (49%) 41.708 (26%)Oceania 9.781 796 (8%) 6.875 (70%) 2.110 (22%) 7 .883 836 (10%) 5.982 (76%) 1.065 (14%)TOTALE 638.986 197.979 (31%) 301.008 (47%) 139.999 (22%) 475.940 158478 (33%) 218.440 (46%) 99.022 (21%)

(Fonte: OIE, Handistatus II)

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Al contrario di quanto avviene per lefunzioni di SPV, parte delle attività deiveterinari privati ricade nell’ambitodelle regole del commercio internazio-nale quali quelle del GATS. Una dellepiù forti critiche rivoltagli consiste nelfatto che l’accelerazione della privatizza-zione nel sistema sanitario porta vantag-gi sproporzionati alle corporazioni multi-nazionali e mina la capacità di paesi abasso reddito di mettere in opera le pro-prie politiche di sanità pubblica. In questo quadro, ai Paesi che liberalizza-no i servizi veterinari rimangono possibi-lità più limitate di regolare il settore e digarantire le stesse opportunità di accessoa tutti; un aumento del ruolo dei veterina-ri privati non può, di conseguenza, chesfociare in non eque forme di accesso efruizione delle prestazioni sanitarie.

Patrizia Parodi Ministero della Salute, Roma

Adriano MantovaniCentro di Collaborazione OMS/FAO

per la Sanità Pubblica VeterinariaDipartimento di Sanità

Alimentare e AnimaleIstituto Superiore di Sanità, Roma

Luciano VenturiAzienda Unità Sanitaria Locale diRavenna e ALISEI [ONG], Milano

NOTE1. SPS: Agreement on the Application of Sanitaryand Phytosanitary Measures2.TBT: Technical Barriers to Trade3.AoA: Agreement on Agriculture4. GATS: General Agreement on Trade and Services5.TRIPS: Agreement between the World Intellec-tual Property Organisation and the World TradeOrganisation6. ILO: International Labour Organisation7. Countries in Transition: Commonwealth of Indi-pendent States (CIS), Baltic States, Eastern Europe8. Hazard Analysis Critical Control Point9. United Nations Conference on Trade and Deve-lopment

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POPOLAZIONE E AMBIENTEIl progetto, volto al miglioramento delcircuito produttivo della carne è iniziatonel 2002 ed è tuttora in corso. Si realiz-za nel sud dell’Angola, in un’area abita-ta principalmente dalla popolazioneKuvale, appartenente al gruppo Herero,per la quale, in base alla cultura tradizio-nale, l’allevamento del bestiame rappre-senta il vero simbolo della ricchezza el’unica possibile fonte di sopravvivenzae di reddito.La regione ha un’estensione di 57.091km2, suddivisa in 5 Municipi (Namibe,Bibala, Camacuio, Tombwa, Virei), euna popolazione stimata di 255.000 abi-tanti: 26,6 persone per km2. La città diNamibe*, la capitale, è uno dei piùimportanti porti angolani con una popo-lazione di circa 100.000 persone.Deserto e savana sono gli habitat mag-giormente rappresentati, anche se sonopresenti alcune valli irrigate in prossi-mità dei fiumi Bero, Bentiaba, Carujam-ba, Curoca e Giraul. La stagione dellepiogge va da gennaio a marzo, mentrel’inverno è molto secco e dura per tutti irestanti mesi dell’anno.L’allevamento del bestiame rappresentatradizionalmente l’attività predominante.Si stima che siano presenti 315.000 bovi-ni e 1.500.000 ovi-caprini, allevati inmodo promiscuo, che rappresentanofonti complementari di reddito di ognifamiglia.In questo contesto è fondamentale l’equi-librio basato principalmente sul bestiamee sulla produzione di latte che rappresen-

ta la base per l’alimentazione umana: lamaggior parte è consumato fresco o tra-sformato in "leite azedo", simile alloyogurt, durante i pasti insieme a polentadi miglio. Quello che rimane è venduto almercato e permette l’acquisto di alcunemerci di prima necessità, il formaggionon viene prodotto dai Kuvale.Se i bovini possono essere consideratil’unica forma di accumulo di ricchezzadi cui dispongono, gli ovini e i caprinirappresentano il “denaro spicciolo” chepermette gli scambi con altre comunità.Il latte ovi-caprino non sempre è usatoper l’alimentazione umana; quando ciòaccade, è riservato solo ai bambini e allepersone anziane.In tutto il territorio dei Kuvale l’organiz-zazione sociale, incluso l’allevamentodel bestiame e la ripartizione del lavoro,riconosce tre categorie di gruppi socialidivise in base all’età, il sesso e la posi-zione sociale.Il primo gruppo è costituito da uominiadulti, con le loro mogli (è comune lapoligamia), che vivono nella ”onganda”,uno spazio ampio fino a 70 metri, recin-tato da una barriera di rami, in cui sonodisposte le capanne e i recinti in cui tra-scorrono la notte anche il bestiame e ivitelli; un secondo gruppo è costituito dafigli adulti e sposati che vivono in altre“onganda” simili a quelle dei genitori,con il proprio bestiame, la maggior partedel quale è stato loro ceduto dai padri;un terzo gruppo, infine, costituito da gio-vani di 12-25 anni che si radunano ingruppi numerosi e vivono permanente-mente al di fuori della “onganda” pren-dendosi cura della maggior parte deglianimali anche durante le migrazioninella stagione secca. Solo gli animaliche sono necessari per il lavoro o la pro-duzione di latte rimangono infatti nella“onganda”, mentre gli altri migrano in

ALCUNE NOTE SU DI UN PROGETTO DI SANITÀ PUBBLICA VETERINARIA REALIZZATO IN ANGOLA,PROVINCIA DI NAMIBE

di P. Parodi,F.T. Felgueiras, G. F. Felix,L.Venturi, A. Mantovani

NOTA * La suddivisione amministrativa territoriale in Ango-la individua la Provincia come unità immediatamentesottordinata al Governo centrale in analogia a quan-to avviene in Italia con le autonomie regionali.

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basi di una più incisiva collaborazione sullavoro ed una migliore conoscenza deirispettivi compiti e responsabilità.

FORMAZIONE ED EDUCAZIONE SANITARIAIl macello di Namibe, sede di tirocinipratici dei tecnici dei Servizi di SanitàPubblica e Veterinario, ha rappresentatoil punto centrale per le attività di forma-zione e di educazione sanitaria ed haconsentito la raccolta di dati che sonostati utilizzati per preparare il materialedidattico ed informativo:• linee guida illustrate sulle buone pra-tiche di macellazione, utilizzate durantei corsi di formazione dei tecnici di vete-rinaria e di sanità pubblica, che descri-vono l’intero processo di macellazione,dal trasporto degli animali vivi al macel-lo alla vendita delle carni;• un atlante fotografico delle lesionianatomo-patologiche con fotografie rea-lizzate durante l’ispezione delle carni eduna breve descrizione delle diverse pato-logie. (l’atlante è stato usato durante icorsi di formazione del personale medi-co e veterinario);• diversi poster sulle lesioni anatomopatologiche (prodotto tramite collage difotografie originali), ogni ufficio delServizio Veterinario provinciale e muni-cipale, oltre che del Macello, ne ha rice-vuto copia;• poster sul ciclo biologico della cisti-cercosi e dell’echinococcosi-idatidosi,utilizzati durante seminari e corsi di for-mazione e distribuiti a numerosi ServiziVeterinari municipali per la prosecuzio-ne delle attività di informazione;• alcuni pieghevoli inerenti a diversezoonosi (carbonchio ematico, brucellosi,echinococcosi-idatidosi, rabbia, igienedelle carni), utilizzati nelle attività disensibilizzazione;• un calendario sanitario con testo e

cerca di pascoli migliori secondo lineepastorali tradizionali.Per quanto riguarda il lavoro, le donne,aiutate dai bambini, si occupano dellamungitura, della preparazione dei lattici-ni (burro e yogurt) e si prendono cura deivitelli; durante la stagione delle piogge,si occupano dei lavori agricoli, soprat-tutto della produzione del miglio.Anche i bambini si occupano dei vitelli,ma il loro compito principale consistenel governo di pecore e capre.La carne è tradizionalmente consumatasolo in occasioni speciali: funerali,matrimoni e altre feste; nella stagionefresca, a cominciare dalla fine di giugnoe per tutto luglio, nel corso di grandiraduni, i Kuvale si cibano di carne bovi-na attribuendovi significati rituali.

L’ISPEZIONE DELLE CARNIIl fulcro del progetto è rappresentato dalmacello pubblico di Namibe, di conse-guenza una delle attività principali rea-lizzate è quella di sostegno della ispezio-ne delle carni. Le patologie più frequentemente riscon-trate sono rappresentate da: pneumopatie(13%), echinococcosi-idatidosi (7%),pleuropolmonite contagiosa dei bovini(6%), tubercolosi (2%), cisticercosi (2%nei bovini, 4% nei suini).Tenuto contoche l’echinococcosi-idatidosi pare essereuna delle zoonosi più rilevanti, sono statianalizzati 26 campioni di feci di cane,raccolte durante visite domiciliari, per laricerca di Taenia sp: tutti i campionisono risultati negativi.Ciò nonostante sono state realizzatediverse attività di informazione e sensi-bilizzazione su questa zoonosi.

COLLABORAZIONEINTERSETTORIALEIn Angola i Servizi di Sanità Pubblica edi Veterinaria hanno una lunga storia dicollaborazione: nel 1998, in piena guerracivile, venne organizzato a Lubango –dalla ONG italiana NuovaFrontiera, sufinanziamento della Commissione Euro-pea – il 1° Workshop Nazionale “L’im-patto della medicina veterinaria sullasalute pubblica”, a cui parteciparonooltre 30 medici e veterinari pubblici;evento di ridotte dimensioni se guardatoda un punto di vista eurocentrico ma digrande rilievo – per il carattere di inno-vazione delle tematiche affrontate, per losforzo organizzativo impiegato, per glistrumenti didattici utilizzati - se vistonell’ottica di un paese collocato, fra tutti,negli ultimi posti per qualità della vita,servizi e reddito disponibili per abitante.Merita di essere notato inoltre che, attual-

mente, in Provincia di Namibe, il Diretto-re del Servizio di Sanità Pubblica, confer-mando così quanto il Governo consideriestremamente utile agire in collaborazio-ne, è un veterinario che, in precedenza, hadiretto il Servizio Veterinario.Nel corso dei primi due anni del progettosono state realizzate periodicamente riu-nioni di coordinamento e valutazione acui hanno partecipato rappresentanti deiServizi di Sanità Pubblica e Veterinario,del Ministero dell’Agricoltura, dell’Am-ministrazione Municipale, della coopera-tiva agro-zootecnica e della gestione delmacello pubblico concorrendo rispettiva-mente alla costruzione di un importantemomento del locale processo di promo-zione della “sicurezza alimentare”.Preso atto di tale priorità, in cui medici eveterinari trovano terreno comune percontribuire al miglioramento della qua-lità della vita, i casi di zoonosi diagno-sticati al macello, durante le attivitàispettive, sono stati comunicati ai Servi-zi di Sanità Pubblica e Veterinario; allostesso modo sono stati notificati adentrambi i Servizi i casi di patologia tra-smissibile riscontrati durante i controllidel personale del macello, dei macellai edei venditori di strada. In totale sono state sottoposte a controllimedici 114 persone delle quali una èrisultata sospetta di tubercolosi che, inseguito ad ulteriori controlli, non ha avutoconferma; una è risultata positiva per leb-bra, una per ulcere cutanee e tre per infe-zioni della pelle.Tutte queste personesono state sospese dalla loro attività.Durante i corsi di formazione sulle zoo-nosi, a cui hanno partecipato tecnici dientrambi i Servizi, sono stati trattati siagli aspetti medici che veterinari. In occa-sione di queste attività la collaborazioneintersettoriale è stata ulteriormente raffor-zata: infatti, l’affrontare insieme lo stessoproblema permette l’elaborazione di unlinguaggio comune e lo scambio di espe-rienze realmente vissute che pongono le

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illustrazioni su igiene degli alimenti,zoonosi, malattie del bestiame.

Tenendo conto che la radio è il mezzo dicomunicazione di massa più diffuso sonoinoltre state realizzate, sia in portogheseche negli idiomi locali, campagne radiofo-niche sull’igiene degli alimenti e su diver-se malattie: quattro spot - sull’igiene dellecarni, la brucellosi, il carbonchio ematicoe la cisticercosi - sono stati messi in onda,per un totale di 1.320 trasmissioni, duevolte al giorno per quattro mesi.Sono infine stati organizzati seminari sualcune zoonosi considerate particolar-mente importanti nella Provincia diNamibe.Come menzionato in precedenza, l’echi-nococcosi-idatidosi è stata diagnosticatafrequentemente durante l’ispezione dellecarni. Poiché la maggior parte del bestia-me macellato a Namibe proviene da Virei,sono stati realizzati, in questo Municipio,un incontro con le autorità pubbliche e dueseminari sulla infestazione e sulle misurepreventive. Il primo si è svolto nella loca-lità di Cainde, ed ha visto la partecipazio-ne di parte della popolazione, circa 50 per-sone, delle autorità locali, dei leader tradi-zionali “soba”, degli allevatori di bestiamee dei tecnici; il secondo è stato realizzatoa Virei, con una partecipazione di circa 20persone, fra cui gli insegnanti, gli operato-ri sanitari e tecnici veterinari. In entrambei casi è stato consegnato il poster con ilciclo biologico del parassita e a tutti i par-tecipanti è stato distribuito un pieghevolerealizzato appositamente.La Brucellosi, della quale si è avuto unquadro epidemiologico alla fine dello stu-dio condotto durante la realizzazione delprogetto, è stata il tema di due workshopsrealizzati rispettivamente a Bibala e Virei.I dati sono stati presentati e discussi conle autorità locali e tradizionali, il perso-nale sanitario e veterinario, i venditori dicarne e gli allevatori di bestiame.Anche in questo caso sono stati distri-buiti i pieghevoli sull’argomento.

P. Parodi Ministero della salute, Roma

F. T. Felgueiras Servizio Veterinario Regionale

Namibe, AngolaG. F. Felix

Servizio di Sanità Pubblica RegionaleNamibe, Angola

L. Venturi Azienda Unità Sanitaria Locale

di Ravenna & ALISEI [ONG]A. Mantovani

Centro di Collaborazione OMS/FAOper la Sanità Pubblica Veterinaria

Roma

“El trabajo y la salud laboral es miderecho! Empelo si.. ..pero con digni-dad”: queste sono le parole d’ordinedella sesta assemblea delle oltre 1.200lavoratrici che il Movimento “MariaElena Cuadra” ha riunito a Managua il 7marzo c.a. in occasione del loro appun-tamento annuale. Sono stati discussi temi estremamenteattuali come l’impatto della globalizza-zione sulla vita delle donne lavoratrici,le conseguenze possibili del trattato dilibero commercio rispetto all’occupa-zione nel comparto del tessile, e l’impat-to sulle condizioni di sicurezza e salutenelle maquilas.Le maquilas sono installazioni diimpianti industriali in regime di zonafranca, dove viene effettuato l’assem-blaggio e la trasformazione di beni,soprattutto tessili, destinati ai mercatiesteri, con costi molto bassi grazie alleagevolazioni fiscali di cui godono leimprese che investono nelle zone fran-che dei paesi in via di sviluppo.La maggioranza della manodopera ècostituita appunto da lavoratrici.In Nicaragua in questo settore sono occu-pate quasi 60.000 persone, di età mediaintorno ai 20-22 anni, che lavorano 10 oreal giorno, 6 giorni la settimana. Il salariomedio è di 50-60 dollari al mese. In queste realtà lavorative, caratterizzateda grandi facilitazioni economiche epolitiche è facile immaginare che anchesul piano dei diritti fondamentali sianopresenti violazioni gravi. I ritmi di lavoro sono intensi, le pauseinesistenti e per effettuare i bisognifisiologici occorre il permesso del capo;guardie supervisori alle linee di montag-gio assicurano che le lavoratrici non sidistraggano e rallentino la produzione.Sono inoltre presenti altri fattori di noci-vità come rumore, polveri e posto di

lavoro non idoneo dal punto di vistaergonomico. Il Movimento di donne lavoratrici e disoc-cupate del Nicaragua “Maria Elena Cua-dra” è impegnato sia sul piano politico chesul piano culturale e formativo in materiadi diritti fondamentali. È un movimentoforte, tuttavia gli obiettivi appaiono diffi-cili da raggiungere, se non adeguatamentesostenuti dalla cooperazione internaziona-le, se pensiamo che non vengono svolteispezioni negli ambienti di lavoro dalleautorità preposte e che nel paese mancaogni competenza sanitaria nell’ambitodella medicina del lavoro in grado di sup-portare le lavoratrici.Il pensiero corre agli anni ’70 in Italia,quando il movimento di lavoratori espri-meva una forte domanda di salute in fab-brica, ma le istituzioni pubbliche nonerano in grado di rispondere adeguata-mente. Poi la riforma sanitaria attraversoi servizi di prevenzione delle Ulss hamutato radicalmente la situazione. La riflessione è che la globalizzazionedel mercato comporti prima di tutto laglobalizazione dei rischi ambientali eoccupazionali, e in misura più grave edannosa in quanto nei paesi poveri leregole di contenimento e contrasto deglistessi sono molto più attenuate, se noninesistenti.Per tutti questi motivi, al settore dellemaquilas è stata data particolare atten-zione nella definizione di un progetto dicooperazione sanitaria internazionaleper la prevenzione dei rischi per la salu-te dei lavoratori del Nicaragua sviluppa-to dalla Regione Veneto, l'ULSS di Vero-na, l'Istituto di Medicina del Lavoro del-l'Università di Verona e con la collabora-zione della Società Nazionale degli Ope-ratori della Prevenzione. L’obiettivo generale di questo progetto èquello di migliorare le condizioni di

COOPERAZIONE SANITARIATRA ITALIA E NICARAGUAPER LO SVILUPPO DELLAMEDICINA DEL LAVORO

di Manuela Peruzzi,Luciano Marchiori, LucianoRomeo, Gianluca Marangi,

Lucio Rossini

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salute della popolazione lavorativa delNicaragua attraverso corsi di formazioneindirizzati a medici (affinché siano ingrado di correlare le patologie con glieventuali fattori di rischio lavorativi pre-senti), a tecnici della prevenzione (fina-lizzati alla valutazione dei rischi presen-ti negli ambienti di lavoro e delle misuredi prevenzione) e a lavoratrici dellemaquilas (sui fattori di rischio per lasalute e sulla prevenzione e tutela dellasalute riproduttiva).Importante supporto alle differenti azio-ni del progetto è la presenza della Red deSalud de los Trabajadores de Nicaragua,un sistema di coordinamento e collabo-razione costituita da rappresentanti dellerealtà più importanti del paese nelcampo della Salute Occupazionale:OPS/OMS Nicaragua (OrganizzazionePanamericana della Salute), UNAN(Università Nazionale Autonoma delNicaragua) di Leòn e Managua, Sezionedi Tossicologia del MINSA (Ministerodella Salute), Direzione di Igiene delMITRAB (Ministero del lavoro), Dire-zione Rischi Professionali dell’INSS(Istituto Nicaraguense di SicurezzaSociale), Movimento “Maria Elena Cua-dra” e Centrale Sandinista dei Lavorato-ri “José Benito Escobar”.Il progetto prevede inoltre la sperimenta-zione di un sistema di vigilanza epide-miologica nel Dipartimento di León,attraverso la partecipazione alla proget-tazione di un sistema di registrazione deifattori di rischio, delle malattie profes-sionali e degli infortuni. Infine prevedela divulgazione, a livello locale e inter-nazionale, di informazioni sulla salutedei lavoratori, sulle principali problema-tiche inerenti la medicina del lavoro inNicaragua, e su eventuali progetti, inizia-tive e collaborazioni promosse dallediverse organizzazioni e istituzioni attivein Nicaragua in questo particolare ambi-to della Sanità pubblica.Il progetto è attualmente in fase di esecu-zione. Il corso di formazione post-univer-sitaria indirizzato a medici della UNANdi León e Managua, e del MINSA e del-l’INSS si sta realizzando mediante unDiplomado en Medicina Laboral, e havisto la partecipazione diretta, comedocenti, di professionisti della Scuola diSpecialità di Medicina del Lavoro dell’U-niversità di Verona, dello SPISAL dellaULSS 20 Verona, oltre che dell’Univer-sità di Washington, di Chiriquì (Panama)e della OPS/OMS Nicaragua.L’obiettivo è rafforzare le conoscenze diquesti medici nella valutazione e preven-zione dei rischi per la salute nei luoghi dilavoro, e rafforzare le capacità diagnosti-che con il fine di riconoscere le patologielavoro-correlate. Il corso intende inoltrepreparare formatori per una seguenteazione formativa a cascata.

Inoltre, si sta progettando un interventoper un Diplomado en Higiene y Seguri-dad – rivolto a ispettori di Igiene e Sicu-rezza – e per un corso di formazione permedici dei Centri di Salute del Territorioe delle Unità di Salute Accreditate dal-l’INSS.

Sul versante delle lavoratrici, sono stateprogrammate giornate di informazionemassiva rivolte a 1.000 lavoratrici (concirca 100 lavoratrici per giorno) su diffe-renti temi: rischi lavorativi, mezzi diprotezione individuale, infortuni emalattie professionali, legislazione esi-stente. Inoltre è stata effettuata una for-mazione più sostenuta attraverso unciclo di quattro domeniche rivolta a 35promotrici del Movimento “Maria ElenaCuadra”, sulle tematiche di tutela dellasalute sessuale e riproduttiva.Questi incontri sono stati tenuti dai rap-presentanti delle istituzioni appartenentialla Red de Salud de los Trabajadores,permettendo così un contatto diretto tra lelavoratrici e le istituzioni dello Stato: lelavoratrici hanno potuto alzare la propriavoce, parlare dei loro diritti negati, delleloro esigenze e delle loro inquietudini;hanno potuto apprendere importanti infor-mazioni legate alla prevenzione negliambienti di lavoro e conoscere i loro dirit-ti e doveri; dall’altra parte le istituzionihanno potuto ascoltare quali sono le prin-cipali e le più urgenti problematiche dellelavoratrici e allo stesso tempo impegnarsiin prima persona nella loro formazione.Il progetto indicato è iniziato nel 2002 aseguito di un protocollo d’intesa tra l'I-stituto di Medicina del lavoro e il Servi-

zio di Prevenzione negli ambienti dilavoro e l’Organizzazione Panamericanadella Salute (OPS) nell’ambito di unprogetto di promozione della salute neiluoghi di lavoro rivolto alle lavoratricidelle maquilas. L’attività si è concentrata nella cono-scenza della realtà locale, nello studiodei problemi delle maquilas, dei fattoridi rischio del settore agricolo, e nellaformazione della Red de Salud de losTrabajadores de Nicaragua.In seguito si è arrivati alla definizionedel progetto di Salute Occupazionalenell’ambito della cooperazione sanitariainternazionale, per la prevenzione deirischi per la salute dei lavoratori, insie-me alla Red de Salud de los Trabajado-res de Nicaragua.La Regione Veneto sta finanziando ilprogetto, in conformità alle proprie lineestrategiche di politica sanitaria in mate-ria di cooperazione internazionale nelcampo della sanità pubblica, ponendo adisposizione competenze professionali,con l'obiettivo finale di creare un centrodi salute occupazionale di riferimentoper l'intera regione del Nicaragua.

Peruzzi Manuela medico del lavoro ULSS 20 di Verona

Marchiori Lucianomedico del lavoro ULSS 20 di Verona

Romeo Luciano medico del lavoro Università di Verona

Marangi Gianlucamedico del lavoro ULSS 20 di Verona

Lucio Rossinimedico del lavoro in Nicaragua

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Il tumore della vescica da “colorantiall’anilina” deve essere visto come ilprimo, il più eclatante, il più duraturo edil più indebito esempio di malattia impo-sto ai lavoratori sin dalla nascita dell’in-dustria chimica e poi, nell’arco di oltre150 anni, in ognuna delle sue fasi di svi-luppo. La storia dell’epidemia di tumori dellavescica nei lavoratori addetti alla produ-zione di coloranti è caratterizzata dallacompleta subordinazione della salute deiproduttori al beneficio economico. “Lasequenza dei fatti si ripete in manierasempre uguale e cronologicamentesegue questo schema: vengono impian-tate le aziende che producono intermedie prodotti finiti per coloranti sintetici,trascorre un necessario tempo di latenza(circa 15-17 anni) durante il quale siverificano casi di intossicazione acuta einsorgono le inevitabili “cistiti”, final-mente inizia l’epidemia con i primi casisporadici, che poi si moltiplicano nelcorso del tempo. L’epidemia dura moltianni, anche dopo che le lavorazioni ven-gono bonificate o sospese. Ciò che cam-bia da paese a paese è la data di iniziodella produzione industriale di colorantisintetici e, cosa molto importante, latempestività degli interventi della comu-nità scientifica tesi a sollevare il proble-ma e la rapidità e l’intensità degli inter-venti tesi a porre rimedio alle prevedibi-li conseguenze” [Carnevale F. e Baldas-seroni A., Esperienza operaia osserva-zione epidemiologica ed evidenze scien-tifiche: gli effetti nocivi della produzionee dell’impiego di amine aromatiche inItalia, Epid. Prev. 1999; 23: 277-285.].

La storia della produzione delle aminearomatiche non è tuttavia sempre riduci-bile allo stesso paradigma. Nella Germa-nia nazista l’idea di escludere dalla pro-

duzione i soggetti “predisposti al can-cro” cedette il passo, nel corso dellaguerra, a un’altra idea, quella di far svol-gere il lavoro, a questo punto liberatodelle norme preventive pur introdotteper i lavoratori di razza ariana, ai “nemi-ci dello Stato tedesco”, “schiavi” e “stra-nieri”. Soltanto alla I.G. Farben (majordei coloranti oltre che di Cyclon B) aLudwigshafen vengono costretti a lavo-rare, solitamente con le mansioni piùpericolose, 63.000 stranieri, 10.000 pri-gionieri dei campi di concentramento e10.000 prigionieri di guerra (ProctorR.N., La guerra di Hitler al cancro, Raf-faello Cortina Editore, Milano 2000.).

La Tabella 1 permette di dare uno sguar-do d’insieme alla inarrestabile espansio-ne della produzione di coloranti a base dibenzidina che mai si disgiunge, neppure

negli anni più recenti, dalla relativa epi-demia di tumori della vescica. Nulla, senon in termini aneddotici, è dato saperesu eccessi di tumori della vescica tra ilavoratori dei coloranti di paesi diversidalla Cina dove generalmente la produ-zione è iniziata o è aumentata in coinci-denza con l’adozione in paesi già indu-strializzati di specifiche normative pro-tettive. Il fenomeno della riallocazione,in questo frangente, della produzione dicoloranti a base di benzidina è ben illu-strato dai dati riportati nella Tabella 2alla pagina seguente, che mostrano leimportazione negli Stati Uniti, negli anni1974-1979 [Samuels S.W. The interna-tional context of carcinogen regulation:Benzidine, in: Peto R. and SchneidermanM. (Editors), Quantification of occupa-tional cancer, Banbury Report 9, ColdSpring Harbor Laboratory, 1981]. Unquadro più aggiornato dei produttori puòessere stimato solo indirettamente pren-dendo come riferimento la produzione diorto-toluidina, ancora non messa albando in alcuni paesi di vecchia indu-strializzazione. Questa sostanza, utilizza-ta diffusamente come intermedio di colo-ranti, pesticidi, sostanze utilizzate nel-l’industria della gomma ed in quella far-maceutica veniva prodotta, almeno sinoal 1999, da 50 compagnie, due terzi dellequali dislocate in paesi così detti in via disviluppo. [Markowitz S.B. and Levin K.,Continued epidemic of bladder cancer inworkers exposed to Ortho-Toluidine in achemical factory, J. Occup. Environ.Med., 2004; 46: 154-160.].Ancora molti anni dopo l’inizio del mas-siccio flusso migratorio della produzioneindustriale nei paesi in via di sviluppo (enon soltanto a Bhopal sino al 1984)risultava diffusamente applicato il crite-rio del “doppio standard”, il quale

AMMINE AROMATICHE ETUMORI DELLA VESCICA TRA ILAVORATORI PRODUTTORI DI COLORANTI I “TEMPI GEOGRAFICI” DELLA GLOBALIZZAZIONE

di Francesco Carnevale

Tabella 1“Tempi storici” e “tempi geografici” dei tumori della vescica tra i lavoratoriproduttori di coloranti a base di amine aromatiche(Carnevale F., Esposizione a cancerogeni chimici; sviluppo storico e situazione attuale, in: Atti delConvegno Nazionale, I Cancerogeni: la definizione dell’esposizione in ambienti di vita e di lavoro,Siena 24-26 Settembre 2003, in corso di stampa)

1870 Nasce in Germania l’industria chimica dei coloranti;

1895 Rehn riporta i prima casi di tumori della vescica in una fabbrica tedesca di fucsina;

1917 Nasce negli USA l’industria chimica dei coloranti;

1920 Nasce in altri paesi europei ed anche in Italia l’industria chimica dei coloranti;

1930 Vengono riportati i primi casi di tumori della vescica negli USA;

1940 Vengono riportati i primi casi di tumori della vescica in Italia come in altri paesi industrializzati;

1950-60 Nasce o viene trasferita in Cina ed in altri paesi (India, Egitto, Polonia, Romania,ecc.) l’industria chimica dei coloranti;

1960-70 Viene adotta, nei paesi industrializzati occidentali una normativa protettiva (regolamentazione e/o divieto) per i lavoratori dell’industria dei coloranti;

1990 Vengono riportati i primi casi di tumori della vescica in Cina.

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• i dispositivi di protezione individualerisultavano essere insufficienti e nonadatti;• i “comitati d’igiene e di sicurezza edelle condizioni di lavoro” erano ignora-ti o non funzionanti;• la sorveglianza sanitaria era limitata auna radiografia annuale del torace.

Gli autori nelle loro conclusioni scrivo-no (speriamo non soltanto a futuramemoria) cose già scritte ormai in(quasi) tutte le lingue, anche se in perio-di diversi: “Le conditions d’exposition aux aminesaromatiques ainsi que le facteurs derisque de cancer de la vessie existent etsont retrouvés dans toutes les 12 entre-prises visitées. Le déficit de formationdes médecins exerçant en entreprise, ledéficit de fonctionnement des organi-smes de prévention des risques profes-sionnels (CNPS, Direction de la médeci-ne du travail et Inspection du travail),associés à des textes réglementaires nonadaptés en matière de sécurité contre lecancer en milieu professionnel, expli-quent les insuffisances constatées sur leterrain. Au regard de la gravité de cettepathologie, il serait impératif de créerune société scientifique multidisciplinai-re composé des départements d’urolo-gie, de biochimie, d’anatomie pathologi-que e de médecine du travail. Elle auraitpour objectif de sensibiliser, d’informer,d’éduquer les pouvoirs publics, le patro-nat et les organisations syndicales. Cecipermettrait de mener des études degrande envergure, de réduire les fac-teurs d’exposition aux amines aromati-ques en milieu industriel et de mettre enœuvre des méthodes de dépistage et deprise en charge efficaces".

In presenza di una tale situazione ognicommento non può che essere amaro. Nesia concesso uno sarcastico: è possibileipotizzare che il recente intervento milita-re (oltre che l’abituale patronage econo-mico e culturale) della Francia (sotto l’e-gida dell’ONU) abbia avuto almeno l’ef-fetto di velocizzare l’attuazione di alcunedelle proposte degli autori ivoriani?

F. [email protected]

Azienda Sanitaria di Firenze

comincia a diventare operante quando unpaese mette al bando un determinato fat-tore di rischio e gli altri paesi non fanno(non possono o sono costretti a non fare)la stessa cosa [Castleman B., The doublestandard in industrial hazard, in: Ives J.I.(Editor), The export of hazard, Routledge& Kegan Paul, Boston 1985.]. Negli anni’90 del Novecento tale situazione si èeffettivamente evoluta nel senso chemolte aziende multinazionali impegnatedirettamente con il proprio marchio nellaproduzione in paesi del sud del mondosono state costrette a dimostrare che face-vano di tutto per non approfittare dei van-taggi economici del “doppio standard”,appagati semplicemente dai vantaggiderivanti dal minor costo del lavoro. Inalcuni casi infatti quegli stessi marchierano stati additati al pubblico ludibrio davari movimenti di opinione producendosicosì ripercussioni negative in termini diimmagine e quindi di perdite sul mercato.

Più di recente e non soltanto nellaRepubblica Popolare Cinese, alcuneaziende sono e la maggioranza appaionoautoctone e slegate dai grandi marchi. Inquesto modo la “responsabilità sociale”dei grandi gruppi finanziari e dei marchiche dominano il mercato è salva ed indi-pendente dal modo di produrre dei paesiin via di sviluppo che diventano semprepiù industriali. Le materie prime e i com-posti chimici possono comunque essereimportati da quei paesi e commercializ-zati in Europa, in Giappone e negli StatiUniti. È in genere chi si incarica dellacommercializzazione che sa percorre l’i-ter dello sdoganamento e poi dell’eti-chettatura di quelle sostanze e di queiprodotti e lo fa con una certa “compe-tenza” e autonomia tecnica che risulteràper alcuni versi rafforzata in Unione

Europea una volta approvata la normati-va conosciuta con l’acronimo diREACH. Deve essere considerato anchecome conseguenza di tale processo ilfatto che, a differenza di alcuni anniaddietro, si parla poco, in termini pre-ventivi, di coloranti di sintesi e della lorocomposizione. Certo ne viene impiegatauna quantità sempre maggiore in unavarietà di industrie ancora presenti inItalia, come quella della concia, del tes-sile, della carta, della gomma e plastica etutte hanno una etichetta con valorelegale, ma poco o punto vengono studia-te e verificate per la loro veridicità. La provenienza dei coloranti non è quasimai garantita per la loro origine e allorapossono essere stati prodotti anche nellaCosta d’Avorio, nelle condizioni dellequali ci informa uno strano ma preoccu-pante articolo passato inosservato benchèpubblicato (senza alcun commento) nellapiù importante rivista francese di medici-na del lavoro [Tchicaya A.F., Bonny J.S.,Yeboue-Kouame Y.B., Wognin S.B.,Kouassi M.Y., Etude de l’exposition auxamines aromatiques dans les industrieschimiques à Abidjan, Arch. Mal. Prof.,2004; 65: 36-40.]. Lo studio è stato con-dotto mediante un questionario ed un suc-cessivo sopralluogo in 12 aziende (ade-renti volontariamente all’iniziativa) daoperatori di un “Servizio di medicina dellavoro e di patologie professionali” diAbidjan ed ha permesso di accertare (trale altre cose) che:• tra le sostanze prodotte o utilizzatec’erano benzidina, beta-naftilamina eamino-4-bifenile (sic!);• nel 75% delle aziende la ventilazioneera soltanto quella naturale;• il 98% dei lavoratori (su un totale di362) erano allo scuro dei rischi rappre-sentati dall’uso delle amine aromatiche;

Tabella 2Importazione negli USA di coloranti a base di benzidina, 1974-1979 (Samuels, 1981)

Paese Quantità (in pounds)

1974 1976 1979

India 16.193 23.149 47.733Egitto nessuna nessuna 86.641Polonia 3.910 32.684 21.714Romania nessuna 79.365 11.023Francia* 259 17.750 220.018Canada nessuna 440 2.205

Totale 20.353 153.388 389.334

* La Francia è il paese, tra quelli industrializzati europei, che più a lungo ha resistito prima di rego-lamentare con maggior rigore la produzione di amine aromatiche valutate come cancerogene dallaletteratura scientifica e da agenzie nazionali o internazionali (IARC)

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L’ISPESL ha approvato questo contrattodi ricerca per cui è stato predisposto unprogetto da parte dello SPISAL del-l’ULSS 6 di Vicenza a cui collaborano loSPISAL della ULSS 20 di Verona, gliuffici vaccinazioni internazionali delladue ULSS, il Centro per le Malattie Tro-picali dell’Ospedale Sacro Cuore diNegrar (VR) e la Ong Movimondo, cherappresenta una base logistica per l’a-rea del Centro America e per i contattiistituzionali in loco.

I motivi che hanno determinato questaricerca sono:

• la carenza di dati in merito a patolo-gie derivanti dallo svolgimento di atti-vità lavorativa in zone geografiche chepresentano caratteristiche diverse daquelle del nostro paese (endemia infetti-va, basso livello socioeconomico, sca-denti condizioni igieniche, altri rischiambientali);• la necessità di chiarire gli obblighi diprevenzione in capo ai datori di lavoro;• la volontà di censire le modalità concui le aziende organizzano la prevenzio-ne e attuano l’informazione e la forma-zione dei lavoratori prima di attivare lelavorazioni in loco;• il desiderio di verificare il funziona-mento delle strutture di appoggio perattività di informazione, assistenza eobblighi assicurativi;• l’intenzione di trasformare i riscontriderivanti dalla ricerca in indicazionioperative per tutti gli interessati pubbli-ci e privati.

PREMESSA

Nell’ultimo decennio l’Italia è diventatauna delle principali mete Europee dellamigrazione di cittadini di Paesi in via disviluppo che vengono in Europa allaricerca di lavoro e di migliori condizionidi vita. Tuttavia, nel passato l’Italia èstato un Paese di emigrazione, ancheconsistente sia dal punto di vista econo-mico che da quello culturale e sociale (fail 1876 ed il 1976 più di 24 milioni di ita-liani emigrarono in altri Paesi, europeied extraeuropei). Ancora oggi, gli italiani sono al primoposto tra i migranti della ComunitàEuropea seguiti da portoghesi, spagnolie greci. Nel 1994 si sono cancellati all’a-nagrafe per l’estero 59.402 italiani; lamaggioranza di questi italiani parte dal-l’Italia meridionale ed insulare.

Nei Paesi di destinazione gli emigrantiitaliani si trovavano spesso in condizionisocio economiche di grande disagio:• le condizioni di vita dei lavoratoriall’estero erano miserevoli; il contestoabitativo e le condizioni igieniche eranodelle peggiori: nella maggioranza deicasi vivevano in abitazioni malsane e dipiccole dimensioni che spesso venivanosubaffittate e occupavano da un numeroelevatissimo di persone: Si può facilmen-te capire come tra gli emigranti dilagas-sero malattie quali TBC, colera e tifo.• le condizioni di lavoro degli emigran-ti erano altrettanto scadenti: lavoripesanti e rischiosi (ad es. nelle minieredel Belgio o nelle saline Francesi) emolti lavoratori erano vittime di inciden-ti sul lavoro. Una parte rilevante di lavo-ratori all’estero era costituita da bambinial di sotto dei 16 anni. Oltre ad esserespesso sfruttati da intermediatori che

procuravano loro il lavoro, erano gene-ralmente impiegati in lavori pesanti erischiosi: nelle vetrerie in Francia; nellefornaci della Baviera, dell’Austria, dellaCroazia e dell’Ungheria; nel settore edi-lizio in Svizzera; nelle costruzioni diDetroit; nei marmifici del Canton Tici-no; nelle miniere del Gandt; nel settoretessile di S. Paolo del Brasile.La caratteristica del cittadino italiano chesi reca all’estero per motivi di lavoro chepiù è cambiata rispetto al passato è la qua-lifica professionale: gli “emigranti” nonsono più operai senza qualifica, ma tecni-ci, operai specializzati, funzionari,imprenditori, oltre che cooperanti di orga-nismi internazionali e missionari. Insiemeal profilo professionale, sono comunquemigliorate anche le condizioni di vita.

COME SI È SVOLTA E SI SVOLGERÀ LA RICERCALe attività di ricerca saranno:• il censimento delle attività lavorativeitaliane all’estero nei Paesi in via di svi-luppo,• lo studio della legislazione sanitariainternazionale a tutela dei lavoratori edella legislazione di interesse per il lavo-ratore italiano• lo studio dei rischi ambientali e pro-fessionali per i lavoratori italiani all’e-stero correlabili alla situazione sanitariain Paesi in via di sviluppo• la definizione di procedure di preven-zione e protezione valide anche all’estero.

Come area geografica da cui partire perun maggior approfondimento dellamateria indicata dagli obiettivi dellaricerca è stata individuata l’area omoge-nea in via di sviluppo dell’America Cen-trale (Nicaragua, El Salvador, Guatema-la, Honduras) dove sono già presentiEnti e persone con conoscenza dei luo-ghi e con contatti che permettono l’ap-profondimento dello studio. Indispensabile è stato il contatto conMovimondo, organizzazione non gover-nativa che da anni lavora in Americalatina con interventi di sanità pubblica esociali, che conosce bene le problemati-che del lavoro all’estero, le documenta-zioni necessarie, le difficoltà burocrati-che, gli obblighi di legge e la casisticadelle malattie contratte all’estero. Lo studio delle normative sanitarie deiPaesi esteri e delle modalità di applica-zione del D.Lgs. 626/94 in queste situa-zioni rappresenta il passo necessario perdefinire poi i compiti del datore di lavo-ro, gli obblighi di sorveglianza sanitaria,gli interventi medico legali ed assicurati-vi nonché gli interventi conseguenti ditutela sanitaria con particolare riguardoal rischio biologico, ma anche alle pro-

LAVORATORI ITALIANI CHE RISIEDONO PER LUNGHI PERIODI ALL’ESTEROIN AREE IN VIA DI SVILUPPOSTUDIO DELLE PROBLEMATICHE SANITARIE

di Celestino Piz,Gianluca Marangi,

Marco Albertini e Luciano Marchiori

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blematiche correlate allo stress, all’am-biente, al clima, al lavoro specifico.Si stanno approfondendo le conoscenzesulle normative internazionali e naziona-li dei diversi Paesi, per poi valutare lanecessità di armonizzare la nostra nor-mativa ed in particolare l’applicazionedel D. Lgs. 626/94 con le diverse nor-mative nazionali.I fattori di rischio relazionati all’attivitàlavorativa degli italiani nel Centro Ameri-ca non sono solo quelli legati al compartoproduttivo dell’azienda o alla mansionespecifica (se non per quel che riguarda lacomponente psicologica e lo stress): irischi per la salute di questi lavoratorisono soprattutto legati al clima tropica-le, alle condizioni di sicurezza, alladisponibilità di servizi di emergenza, distrutture sanitarie e di personale quali-ficato, alle condizioni abitative e deiservizi igienici, alla presenza di vettoriveicolo di infezioni, alla sicurezza diacqua e cibo, allo smaltimento dei rifiu-ti, alle condizioni igieniche generali.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che, inanni recenti, il Centro America, per la suastessa conformazione e per la sua posi-zione geografica, è stato spesso teatro diuragani, terremoti, alluvioni, con conse-guenti problemi di approvvigionamentoidrico, di scarsa igiene ed epidemie.L’epidemiologia delle malattie infettivenel mondo del lavoro riflette i cambia-menti sociali, culturali, e demograficiindotti dalla globalizzazione dell’econo-mia. Il rischio biologico può essere con-nesso all’attività lavorativa (lavori inambito sanitario, veterinario, agricolo),ma deriva principalmente dallo svolgi-mento di attività lavorative in zone geo-grafiche endemiche. Per molti agenti biologici il rischio diinfezione è presente solo in paesi extra-europei (malaria e altre malattie “tropi-cali” in senso stretto); per molti altri, chesono ubiquitari - tubercolosi, epatiti, feb-bre tifoide e altre salmonellosi - ilrischio è comunque maggiore nei paesi abasso livello socioeconomico e con con-dizioni igieniche scadenti. Il lavoratore all’estero in aree tropicali osub-tropicali è sottoposto ad un rischiobiologico ambientale che è largamenteindipendente dalle mansioni cui è adibi-to: si configura quindi una nuova tipolo-gia di rischio biologico professionale incui il fattore di rischio è rappresentatoproprio dal fatto di risiedere (per motividi lavoro/missione) in aree ad elevataendemia per malattie trasmissibili.I quattro paesi del Centro America sceltisono caratterizzati dalla presenza di areeepidemiche per quel che riguarda malat-tie trasmissibili quali colera, dissenteria,congiuntivite, meningite e malattie tra-smesse da vettori quali malaria, dengue,

leishmaniosi, malattia di Chagas e lepto-spirosi, che tutt’oggi costituiscono unserio problema sanitario.La disponibilità di dati epidemiologicisulle malattie contratte all’estero permotivi di lavoro è alquanto carente, adeccezione della malaria per la quale esisteun flusso informativo specifico.Nel quadriennio 1994-1997, i casi dimalaria notificati in Italia in lavoratoriall’estero sono stati 780, che arrivano a962 se si aggiungono 182 casi in religio-si-missionari, mentre nello stesso periodoi casi in turisti sono stati 753. Per utiliz-zare dati più recenti citiamo quelli dellaRegione Veneto (sovrapponibili ai nazio-nali): in questi ultimi anni si è verificatoun continuo incremento dei casi di malat-tia che ha interessato soprattutto personeprovenienti da zone ad alta endemia. Dal1993 al 2001 sono stati registrati nelVeneto 1960 casi di malaria con un’inci-denza media di 215 casi/anno e un anda-mento in crescita abbastanza regolare.Dall’analisi delle schede di notifica emer-ge che i casi di malaria riguardano quasiesclusivamente immigrati, che sono rien-trati temporaneamente nel loro paese pervisitare i parenti oppure i missionari e ivolontari, che vivono per molto tempo insituazioni non confortevoli.

È lecito supporre, ed è confermato dal-l’esperienza dei Centri di Medicina Tro-picale, che il rischio sia elevato ancheper altre patologie trasmissibili per lequali non esiste un flusso informativoaltrettanto dettagliato. Da dati americani (Frame et al., 1992) efrancesi (Larouze B et al., 1987), le epa-titi sono la prima causa di morte infetti-va in lavoratori/missionari in Africa. Il problema della carenza di dati epide-miologici è grave: il flusso informativoin merito a malattie quali le epatiti, latubercolosi ed altre malattie di rilievosociale non permette di suddividere i dati

per categorie a rischio, e in particolarenon vi sono dati attendibili sulla percen-tuale di casi contratti all’estero, né suicasi tra lavoratori stranieri in Italia.I problemi legati alle malattie infettive etropicali non sono comunque i soli pro-blemi per il lavoro all’estero; il rapportotra durata della permanenza fuori dall’Ita-lia, numero di viaggi all’estero in un certoperiodo, possibilità di riposo durante lemissioni, situazione ambientale e lostress legato al viaggio e al lavoro sonoobiettivi di analisi e studio della ricerca.

A fronte di un rischio sanitario a voltemolto elevato, si deve prendere atto diun’azione di prevenzione inadeguata.Accanto ad esperienze importanti realiz-zate da grandi imprese e dall’Esercito Ita-liano, sono frequenti i casi di lavoratoriinviati all’estero senza alcuna tutela pre-ventiva, né informazione corretta nei con-fronti di patologie sicuramente evitabili.La tutela sanitaria dei cittadini che si reca-no all’estero si sta configurando sempredi più come una disciplina specialistica, lacosiddetta “Travel medicine” o “Medici-na dei viaggi”, che prevede la presenzasul territorio di strutture qualificate a for-nire consulenze preventive: ASL, soprat-tutto quelle con un servizio di vaccinazio-ni internazionali, i Sevizi di Malattie Tro-picali e/o di Malattie Infettive. A tutte queste strutture ed in particolarea chi si interessa della prevenzione neiluoghi di lavoro speriamo che la ricercariesca a fornire tutte le indicazioninecessarie.

Celestino PizMedico del lavoro ULSS 6 Vicenza

Gianluca MarangiMedico del lavoro ULSS 20 Verona

Marco Albertinidottorando Ist. Univ. Europeo Fiesole

Luciano MarchioriMedico del lavoro ULSS 20 Verona

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SALUBRITÀ DELLE ABITAZIONI E DETERMINANTI SOCIALII Servizi d’Igiene e Sanità Pubblicahanno tradizionalmente ricoperto ilruolo di controllori-garanti del rispettodi norme igieniche codificate da leggi eregolamenti, avvalendosi soprattutto distrumenti di carattere impositivo/repres-sivo. L’attività certificativa inerente lostato igienico delle abitazioni, pur rien-trando in questo compito tradizionale,costituisce un osservatorio privilegiatoche costringe gli operatori a confrontarsiquotidianamente con la realtà del territo-rio in cui operano. In particolare tale atti-vità ha permesso di evidenziare che sonodiffusamente presenti determinantiambientali negativi per la salute in fascedi popolazione (soprattutto immigrati)particolarmente svantaggiate dal puntodi vista socio-economico.

FABBISOGNO ABITATIVO Con l’obiettivo di mettere in atto inter-venti preventivi efficaci e praticabili ilServizio Igiene e Sanità Pubblica dell'A-

requisiti; non si tiene conto, ad esempio,di situazioni di necessità temporaneacome l’immigrazione stagionale o leresidenze transitorie.In questo ambito non si intravede la pos-sibilità di mettere in atto soluzioniimmediate, l’emergenza casa è un pro-blema complesso ma in linea di massimanon è dovuto a scarsità di edifici quantopiuttosto all’indisponibilità del bene peralcune fasce di popolazione: nel solocomune di Verona con l’ultimo censi-mento venivano registrati 2845 allogginon occupati mentre risultavano abitati260 alloggi non classificabili come abi-tazioni (ripari del tutto precari o privi diqualsiasi requisito igienico-sanitario) esi può ragionevolmente ritenere che que-sto dato rappresenti solo la punta d’ice-berg di situazioni difficilmente censibili.In aggiunta alcune fasce disagiate edemarginate, in particolare gli stranieri,sono spesso costrette ad accettare in loca-zione immobili di bassa qualità, spessoaddirittura fatiscenti, pagando canonisimili o anche superiori a quelli previstiper un appartamento normale; questialloggi rappresentano spesso la compo-nente residuale del mercato rifiutata dagliautoctoni (2). Difficoltà ancora maggioriha la manodopera stagionale, spesso que-sti lavoratori devono utilizzare rifugi “difortuna” del tutto precari nonostante ilDPR 303/56 preveda la possibilità di met-tere a loro disposizione alloggi tempora-nei con requisiti inferiori rispetto alle abi-tazioni normali.Per inciso va ricordato che in questo con-testo le norme sull’immigrazione, com’ènoto, vincolano alla disponibilità di un’a-bitazione idonea l’ingresso e la permanen-za di stranieri extracomunitari arrivandoin alcuni casi a dare indicazioni sulledimensioni dell’abitazione; l’incoerenzaconsiste nel fatto che non si adottano perquesti alloggi i requisiti minimi di riferi-mento già operanti per le abitazioni nor-mali: in Veneto, ad esempio, per il ricon-giungimento famigliare o per il rilasciodella carta di soggiorno è richiesta unasuperficie utile di 60 mq per una famigliadi due persone quando per la normativasanitaria sarebbero sufficienti 38 mq.

PROGETTO "DISAGIO ABITATIVO".La constatazione che, nonostante l’evi-denza di gravi e certificate carenze igie-niche delle abitazioni, molte persone(spesso famiglie numerose) continuasse-ro ad abitare in condizioni di grave disa-gio per l’assenza di alternative praticabi-li ha dato il via ad un progetto il cuiobiettivo centrale è quello di rilevare lesituazioni di degrado abitativo, indivi-duandone le componenti potenzialmentepericolose per la salute allo scopo dirimuovere in tempi brevi i fattori più

importanti di insalubrità.

zienda Sanitaria n.20 di Verona, inaccordo con il Comune di Verona, haprogettato ed attuato un nuovo approcciopartecipativo al problema delle abitazio-ni malsane con l’intento di ottenere uneffettivo miglioramento della salubritàdelle case abitate da fasce deboli dipopolazione1. Questo progetto nascedalla consapevolezza che, nonostante ladisponibilità di una casa sia un prerequi-sito della salute, il fabbisogno abitativocostituisce spesso una vera e propriaemergenza sociale. Le risposte a questobisogno non sono sempre adeguate, bastipensare che in una città di piccole-mediedimensioni come Verona nel 2000 sonostati assegnati solo 271 alloggi di edili-zia residenziale pubblica (le cosiddettecase popolari) a fronte di 1699 richieste;nel 2003 le assegnazioni sono stateancora inferiori: 129 assegnazioni su1462 richieste. Il numero di domandenon è sicuramente esaustivo delle situa-zioni di bisogno in quanto possono con-correre all’assegnazione solo i nucleifamigliari che possiedono determinati

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di Lucia De Noni e Silvana Manservisi

VERONAPOPOLAZIONE DISAGIATA E INTERVENTI SULLE ABITAZIONI MALSANE

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RISULTATI 2002/2003Per quanto riguarda i risultati degliaccertamenti, nel 2002 sono state rileva-te 181 abitazioni insalubri 2/3 delle qualiabitate da immigrati extracomunitari, afronte di una loro presenza sul territoriodel 5% circa sulla popolazione totale. Incirca il 14% dei casi la condizione igie-nico-sanitaria della casa è stata giudicatacosì grave da richiedere la dichiarazionedi inabitabilità e la ricerca immediata diun alloggio alternativo a cura del comu-ne, in accordo con quanto previsto dalprotocollo d’intesa. Il sovraffollamento grave, solo o in com-binazione con altri fattori di insalubrità,era presente nel 6% delle case abitate daresidenti italiani e nel 47% di quelleoccupate da immigrati extracomunitari.Nel 2003 sono state visitate 413 abita-zioni che presentavano inconvenientiigienici, 375 di queste erano abitate daimmigrati. Le abitazioni malsane pre-sentavano non solo problemi strutturali(umidità, muffa, infiltrazioni meteori-che, servizi igienici carenti..) ma ancheimpiantistici: nel 99% erano presentiinfatti irregolarità degli impianti termicied elettrici che almeno nella metà deicasi potevano costituire un pericoloimmediato per la salute e l’incolumitàdei presenti. Questo dato diventa significativo semesso in relazione ai dati rilevati dal-l’Osservatorio Provinciale sulle intossi-cazioni domestiche da monossido di car-bonio (3) in quanto più di 1/3 degli avve-lenamenti verificatisi nel 2003 è a caricodi immigrati.

INTERVENTI DI RISANAMENTO Per quanto riguarda le modalità di risa-namento il progetto prevede un collo-quio con i proprietari delle abitazionimalsane partendo dai casi che richiedo-no interventi più urgenti. Nel corso diquesto colloquio vengono fornite pre-ventivamente informazioni sul progetto,sui motivi che l’hanno generato e sulleazioni ivi previste passando quindi aillustrare i fattori d’insalubrità riscontra-ti e i rischi sanitari per gli abitanti deglialloggi, vengono anche fatte presenti lerispettive responsabilità. Circa l’80% dei proprietari invitati si èfinora presentato al colloquio ed una ele-vata percentuale di essi (94%) ha sotto-scritto l’impegno ad eliminare le situa-zioni di maggior pericolo. In più dellametà dei casi a questo impegno ha fattoseguito un atto notorio con cui il pro-prietario comunica di aver eliminato gliinconvenienti come richiesto. I controllia campione effettuati dal personale delDipartimento di Prevenzione hanno evi-denziato l’effettiva realizzazione deilavori nella quasi totalità dei casi mentresono in corso gli accertamenti nelle abi-

tazioni su cui non si hanno ulteriori noti-zie. Nei (finora pochi) casi in cui è man-cata in modo evidente la collaborazionedei proprietari il comune ha provvedutoall’esecuzione d’ufficio dei lavori conspese a carico dei proprietari.Nel corso dei sopralluoghi vengonoanche fornite agli inquilini informazionisui rischi rilevati e indicazioni di tipoigienico relativamente alla conduzionedell’abitazione (necessità di arieggiarefrequentemente i locali, di mantenereuna idonea temperatura interna per pre-venire la formazione di condensa, pre-cauzioni da adottare in caso di infesta-zione da insetti antropici, pericoli con-nessi all’uso di impianti difettosi); neicasi più gravi si prescrive di non utiliz-zare gli impianti pericolosi indicandomezzi alternativi sicuri.

A latere del progetto è stato anche con-cordata la segnalazione alla Guardia diFinanza dei contratti d’affitto irregolari.I risultati finora raggiunti evidenzianoche in buona parte è stato raggiunto l’o-biettivo di eliminare i maggiori rischiambientali dalle abitazioni di bassa qua-lità affittate a fasce disagiate della popo-lazione, che difficilmente possono acce-dere ad abitazioni sicure e confortevoli.Altrettanto rilevante è l’esito indirettodell’attività che ha consentito in molticasi di interrompere il circolo viziosoche vede dilatarsi l’acquisto di localifatiscenti ad uso speculativo con il dena-ro stornato dagli interventi di risanamen-to e messa in sicurezza delle abitazioni.

AREE URBANE DEGRADATE.Accanto al fenomeno, già di per sépreoccupante, dello sfruttamento abitati-vo e della scadente qualità delle abita-zioni l’area urbana è interessata da unavera e propria emergenza sanitaria esociale che interessa parecchie centinaiadi persone: si tratta di aree degradate omarginali dove vengono erette baracchecon materiali di recupero o di edificidismessi occupati abusivamente inassenza di qualsiasi garanzia di tipo igie-nico. Ancora una volta il fenomeno inte-ressa soprattutto gli immigrati; non sitratta solo di irregolari ma anche di lavo-ratori regolari con l’intero nucleo fami-gliare in genere residente ad un indirizzofittizio. I numeri di questa emergenzavariano in continuazione e dipendono davarie circostanze: migrazioni dei nomadi,densità dei controlli, sgomberi effettuatiin altre aree della città, fabbisogno dimanodopera stagionale o semplicementesi tratta di situazioni improvvise cherompono un equilibrio economico preca-rio (1 famiglia su 10 secondo l’ISTATvive sotto la soglia della povertà).In definitiva centinaia di persone a Vero-na, ma sicuramente anche in altre realtà

urbane, vivono senza acqua potabile,senza servizi igienici e reti fognarie,senza servizi di asportazione dei rifiuti,senza riscaldamento invernale, con ripariinsufficienti anche a garantire la sicurez-za personale; si studia giustamente dicambiare il testo unico delle leggi sanita-rie per renderlo più adatto a una societàmoderna e al nuovo contesto epidemiolo-gico ma per gruppi consistenti di popola-zione, confinati in una sorta di penombra,è come se non fosse mai esistito.

FLUSSO IMMIGRATORIO IN COSTANTE AUMENTO Secondo i dati riportati dalla Caritas (4)gli immigrati regolari extracomunitari inItalia sono raddoppiati dal 2000 a oggi(da 1.300.000 a 2.600.000) e si prevedeun ulteriore raddoppio nei prossimi 10anni. Le stime più prudenti indicanoanche la presenza di 200.000 irregolari.Per il 2004 è stato programmato un flus-so di 79500 stranieri, 50.000 dei quali daimpiegarsi in lavoro subordinato a carat-tere stagionale. Com’è noto da più partisi sostiene che queste quote siano insuf-ficienti al fabbisogno di manodopera eche un numero limitato di ingressi legalipossa favorire un aumento di quelli irre-golari. Basandosi su stime relative aglianni scorsi nel territorio di Verona ilnumero di tessere sanitarie per stranieriirregolari rilasciate annualmente interes-sa un numero pari a circa l’1% dellapopolazione e si tratta, com’è noto, diuna stima per difetto in quanto riguardaquella che possiamo ritenere un’elite(stranieri che sono privi di permesso disoggiorno ma che sono dotati di partico-lari requisiti burocratici): per gli altrianche prestazioni mediche d’emergenzadiventano molto problematiche.

Nonostante l’Italia sia paese d’immigra-zione ormai da un trentennio e nonostan-te la sempre maggior consistenza delflusso immigratorio l’approccio al pro-blema abitativo e ad altre problematichesociali è rimasto confinato in gran partein un’ottica temporanea ed emergenzia-le. Eppure la memoria dei problemi lega-ti alla nostra immigrazione è ancoraviva. Gian Antonio Stella nel suo libro“L’Orda” riporta la descrizione fatta nel1906 dal New York Times sulle condi-zioni di vita degli immigrati italiani “Incelle oscure sotto le strade, dove i raggidel sole divino si rifiutano di entra-re….[…]Lo sporco che li circonda, l’o-dore di muffa delle loro abitazioni umideè per loro piacevole e fa la loro felicità,come fossero in un appartamento lus-suoso”(5). A cent’anni di distanza esistono situazio-ni del tutto simili nel nostro territorioche la storia non ci ha insegnato adaffrontare.

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quanto asserito da Acheson e cioè che imaggiori risultati contro le disuguaglian-ze sono ottenibili orientando le iniziativeverso i problemi che si presentano conmaggior frequenza. (9)

Lucia De Noni Silvana Manservisi

Servizio Igiene e Sanità PubblicaDipartimento di Prevenzione

Azienda ULSS 20 Verona

BIBLIOGRAFIA.1. “Case insalubri e fasce deboli dipopolazione. Ricerca di un approccioefficace per il risanamento” presentatoal convegno La prevenzione basata suprove di efficacia. Esperienze di valuta-zione in Italia, Verona, 14-15 aprile 2003pubblicato su Epicentro2. Il fabbisogno di alloggi per lavoratoriextracomunitari nella Provincia di Vero-na A cura di Raffaello Zonin su commis-

INDIVIDUAZIONE DELLE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE Per quel che riguarda gli organi dellasanità pubblica c’è da chiedersi se sianoin grado sempre di interpretare i dati epi-demiologici correnti tenendo conto dellarealtà da cui emergono.Le statistiche evidenziano che la popola-zione del Veneto non ha mai goduto dicondizioni di salute migliori di quelleattuali (6) e che la mortalità infantile, al3,2 per mille, non è mai stata così bassa(7). Tuttavia la cronaca ci rimanda perio-dicamente notizie meno confortanti chefanno intravedere una situazione piùcomplessa: in provincia di Verona dall’i-nizio dell’anno sono stati abbandonatiquattro neonati: due di questi, partoriti dinascosto da giovanissime immigrate del-l’est impiegate stagionalmente in agri-coltura, sono morti; un immigrato è statocompattato insieme ai rifiuti del casso-netto dove aveva trovato riparo durantela notte, lo stesso è accaduto in altre cittàitaliane; persone senza documenti ven-gono falcidiate nelle strade; malattieinfettive importanti insorte in carceregiungono alla ribalta perché la strutturaospita 800 detenuti mentre potrebbe con-tenerne un terzo; circa metà dei casidegli episodi di tbc notificati nel territo-rio dell’Azienda Sanitaria risultano acarico di immigrati ma ad una parte con-sistente di essi è impossibile applicare leusuali misure profilattiche perchè sonoirregolari o senza fissa dimora. C’è quindi la sensazione che i mortisenza età, nome e residenza, i bambininati da madri non iscritte all’anagrafesanitaria restino ai margini delle nostrestatistiche e che malattie non curate nel-l’ambito del servizio sanitario nazionaleo insorte in comunità chiuse fatichino ademergere.

In questo contesto diventa obbligatoriooccuparsi della distribuzione dellemalattie all’interno della nostra societàindividuando modalità operative chefacciano emergere le disuguaglianze,anche perchè l’obiettivo “salute pertutti” è una componente essenziale delprocesso finalizzato allo sviluppo soste-nibile (8). Per diversi parametri sanitarinelle ultime decadi le disuguaglianzesono rimaste invariate o si sono addirit-tura approfondite. L’esperienza di Vero-na evidenzia come, malgrado i vincolipresenti nella pratica quotidiana, sia pos-sibile mettere in atto interventi di pre-venzione efficaci approfondendo ladistribuzione di alcuni fattori di rischioambientale e di alcune patologie in rela-zione a fattori socio-economici e cercan-do di far emergere dal sistema informati-vo sanitario corrente il peso dei determi-nanti sociali della salute e delle malattie.Questo risultato sembra confermare

sione della CCIAA di Verona Aprile 20033. Intossicazione da monossido dicarbonio. S.Manservisi, M.Valsecchi,L.De Noni - Dipartimento di Prevenzio-ne ULSS 20 Verona Dialogo sui farmaci.6/2002 Anno 5 Novembre-Dicembre20024. Rapporto Caritas 20045. L'orda. Quando gli albanesi eravamonoi. Gian Antonio Stella BUR Saggi Ed.Rizzoli 20046. R. Gnesotto e S. Forni “La mortalità ele sue cause nel Veneto”, Bollettino epi-demiologico regionale, numero 0,novembre 20007. Relazione sanitaria anno 2003 -Dipartimento di Prevenzione ULSS 20Verona www.ulss20.verona.it8. European Sustainable Developmentand Health Series: Book 19. Inchiesta condotta da Sir Donald Ache-son per il Dipartimento inglese dellaSanità Independent Inquiry into Inequali-ties in Health Report London:TSO 2003www.tso.co.uk/bookshop

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PREMESSANell’ottobre 1996, in occasione dell’or-ganizzazione di un intervento di preven-zione della tubercolosi, il nostro Diparti-mento di Prevenzione (oggi di SanitàPubblica) aveva riunito intorno al tavolole associazioni che si occupavano ditutela delle fasce di popolazione più arischio (anziani, tossicodipendenti eimmigrati). Durante una di queste riu-nioni ci avvicinò il coordinatore delCentro di Ascolto e Prima Accoglienzadescrivendoci come era difficile, perloro, dare una risposta ai bisogni di salu-te degli immigrati irregolari e ci chieseuna mano. In quel periodo non eranoancora state promulgate leggi di tutelacome la Legge 40/98 e non era previstal’assistenza a questi soggetti da partedelle Aziende Sanitarie. Le risposteerano affidate alla disponibilità di alcunimedici che, contattati dalle associazioni,offrivano gratuitamente il loro servizio,ma se erano necessarie terapie o accerta-menti diagnostici, i costi rappresentava-no un ostacolo spesso insormontabileper chi aveva poco o niente. La conse-guenza di tutto ciò si traduceva nellanegazione a centinaia di persone deldiritto alla salute e all’assistenza, previ-sto dall’art. 32 della nostra Costituzionee dall’art.25 della Dichiarazione univer-sale dei diritti dell’uomo (ONU 1948).Questa situazione rappresentava ancheun problema di sanità pubblica, perchéfavoriva la possibile diffusione di malat-tie infettive nella collettività.Il dipartimento si fece quindi promotoredi un progetto volto a garantire l’accessoai servizi sanitari alle fasce di popolazio-ne che ne erano escluse: immigrati irre-golari, nomadi e senza fissa dimora.Prima di tutto si cercarono esperienzeche potevano dare esempi da seguire.Esistevano a Roma e a Milano importan-

ti iniziative di assistenza, gestite rispetti-vamente dalla Caritas e dall’Associazio-ne NAGA, e anche nella nostra regione,l’AUSL di Bologna Città aveva avviatouna convenzione con il Centro Biavati el’associazione SOKOS. Ci mettemmo incontatto con questi ultimi, ottenendo pre-ziosi consigli su come impostare l’inter-vento. In particolare fu utilissima l’espe-rienza della Dott.ssa Giovanna Dallaridell’AUSL di Bologna e del Dr. RabihChattat dell’associazione Sokos, in quan-to si adeguava bene al nostro contesto.Il nostro Dipartimento di Sanità Pubbli-ca definì, in accordo con le altre struttu-re dell’AUSL (il Distretto e l’Ospedale)e con i rappresentati delle associazioni ditutela degli immigrati, un progetto cheintitolammo a Salem Ramovic un picco-lo nomade Rom, morto il 25 Gennaio1999 nella baraccopoli “Casilino 700” diRoma. Contemporaneamente promossela costituzione di un’associazione divolontariato (Associazione Salem) conlo scopo di raccogliere tutti i medici e lepersone che si occupavano, da soli oall’interno di organizzazioni, di immi-grati irregolari e senza fissa dimora.

IL CONTESTO DI PARTENZAIl Piano Sanitario Nazionale 1998/2000indicava tra i suoi obiettivi il rafforza-mento della tutela dei soggetti deboli einvitava le Regioni ad elaborare progettifinalizzati a contrastare le diseguaglianzedi accesso ai servizi. Sono soggetti debo-li, coloro che, trovandosi in condizioni dibisogno, vivono situazioni di particolaresvantaggio e sono costretti a forme didipendenza assistenziale. Tra questi sonocompresi gli stranieri immigrati (in parti-colare quelli non regolari), i tossicodipen-denti, i malati mentali, i bambini, gli ado-lescenti, gli anziani e i malati terminali.

Per quanto riguarda gli stranieri immi-grati, come sottolinea anche il PSN, visono numerosi fattori epidemiologici econdizioni socio-economiche che rendo-no la salute di questi soggetti meritevoledi una particolare tutela: l’alimentazio-ne, l’abitazione e il lavoro inadeguati; ledifficoltà economiche, di comunicazionee di inserimento sociale; la discrimina-zione nell’accesso ai servizi.Il PSN, vista questa situazione, ponevaquindi il seguente obiettivo da raggiun-gere entro il triennio 1998/2000:• l’accesso all’assistenza sanitariadeve essere garantito a tutti gli immigra-ti, secondo la normativa vigente, in tuttoil territorio nazionale.

Il PSN invitava, in particolare a svilup-pare le seguenti attività:• implementazione di strumenti siste-matici di riconoscimento, monitoraggioe valutazione dei bisogni di salute degliimmigrati, anche valorizzando le espe-rienze più qualificate del volontariato;• formazione degli operatori sanitarifinalizzata ad approcci interculturalinella tutela della salute;• organizzazione dell’offerta di assi-stenza volta a favorire la tempestivitàdel ricorso ai servizi e la compatibilitàcon l’identità culturale degli immigrati.

Anche il Piano Sanitario Regionale1999/2001 prevedeva un “Progetto spe-ciale per la tutela della salute deglistranieri immigrati” e invitava ad attuareiniziative volte a facilitare l’accesso aiservizi sanitari, a diffondere informazio-ni e conoscenze, a formare e sensibiliz-zare gli operatori sanitari.Il progetto realizzato nel nostro territoriosi è, quindi, orientato alla tutela dellasalute degli stranieri immigrati non iscri-vibili al SSN e di quei soggetti ( nomadi,senza casa…..) che per motivi sociali,culturali ed economici vengono ad essereprivati della possibilità di avere accessoad una assistenza sanitaria che tuteli laloro salute.Nel territorio dell’Azienda sanitaria diCesena il fenomeno dell’immigrazioneda paesi dell’Est Europeo e da Paesi invia di sviluppo era presente con dimen-sioni in crescita da diversi anni: gli stra-nieri con regolare permesso di soggiornosono passati da circa 2.300 (anno 1997)corrispondente all’1,2% della popolazio-ne residente, a 4364 nel 2000. Il numero di immigrati clandestini (Stra-nieri Temporaneamente Presenti - STP) èimpossibile da definire, sia per la stessanatura della condizione, sia per le varia-zioni legate alla stagionalità: nel periodoestivo si assiste a una crescita esponen-ziale, di questi soggetti attratti dalle pos-sibilità di lavoro legate al turismo e all’a-gricoltura. La quota di STP viene quanti-

PROGETTO SALEMASSISTENZA AGLI EMARGINATI, NOMADI EIMMIGRATI IRREGOLARI

di Mauro Palazzi,Francesca Righi,

Patrizia Vitali,Elizabeth Bakken,

Antonella Bazzocchi,Sabrina Guidi

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Tra i fattori favorenti la realizzazione delprogetto:• collaborazione già attivata con entipubblici e organizzazioni del volontaria-to che si interessano del fenomeno;• presenza a Cesena di una Associazio-ne di volontariato con finalità coerenticol progetto;• presenza di un gruppo aziendale dilavoro (Distretto, Ospedale, Prevenzionee Sociale)

OBIETTIVO GENERALEGarantire la tutela della salute degli stra-nieri immigrati non iscrivibili al SSN edi quei soggetti (nomadi, senza casa…..)che per motivi sociali, culturali ed eco-nomici vengono ad essere privati dellapossibilità di avere accesso ad una assi-stenza sanitaria.

Il gruppo di progetto e gli altri soggetti coinvoltiPer la predisposizione e la gestione delprogetto si è costituito un apposito grup-po di lavoro multiprofessionale (Medici,Amministrativi, Psicologi, AssistentiSociali , Infermieri…) composto da 12operatori provenienti dal Distretto, dal-l’Ospedale, dal Dipartimento di Preven-zione, Sociale e Amministrativo. Il grup-po ha coinvolto attivamente nella gestio-ne complessiva del progetto alcuneAmministrazioni Comunali (CentroStranieri di Cesena e Cesenatico) eAssociazioni di Volontariato operanti nelterritorio della AUSL di Cesena (CaritasCesena, Centro di ascolto e prima acco-glienza, Associazione Salem… ).

ficata, dagli enti più accreditati, intornoal 25% dei regolari (nel nostro territoriosi stimano circa 1000 persone).

IL PROGETTONella nostra realtà l’assistenza sanitariaa queste persone era affidata ad estem-poranei interventi di solidarietà da partedi organizzazioni umanitarie (circa 800interventi nel 1998 secondo i dati Cari-tas) o singoli che, con non poche diffi-coltà, offrivano un aiuto contando sulleloro risorse personali. Altre volte il biso-gno di assistenza spingeva questi sogget-ti a rivolgersi ai servizi pubblici (ProntoSoccorso, Guardia Medica…) cherispondevano, pur trattandosi spesso diaccessi inappropriati e non coperti daalcun finanziamento pubblico o privato. L’assistenza a immigrati clandestini eradifficoltosa, anche, per la poca chiarezzanormativa presente fino alla emanazionedella Legge 40/98, che definisce inmodo più chiaro le modalità di assisten-za sanitaria per gli stranieri non iscritti alSSN (art. 33).L’AUSL di Cesena, sensibile a tali pro-blematiche e già attiva in interventi ditipo preventivo e assistenziale, collabo-rando con gli enti locali e le associazio-ni di volontariato operanti nel territorio,ha pensato di ideare e realizzare ilseguente progetto anche al fine di contri-buire al raggiungimento degli obiettividel PSN sopra citati.La proposta di progetto è stata elaboratapartendo dall’analisi delle criticità e deipunti di forza presenti nella realtà in cuisi voleva operare.

L’analisi della situazione ha evidenziato,oltre ai già citati ostacoli all’accesso aiservizi per motivi sociali, culturali ed eco-nomici, la presenza di una serie di fattoriostacolanti riconducibili a problematicheinterne all’organizzazione aziendale:• inadeguata preparazione da partedegli operatori sanitari relativamente aicontenuti e alle modalità applicativedella legge vigente, con il rischio di ren-dere inefficace e inefficiente la rispostaalla domanda di assistenza, lasciandoinevaso il diritto alla salute degli immi-grati e creando negli operatori frustra-zione e inutile consumo di tempo;• mancanza di un adeguato sistemainformativo in grado di aumentare leconoscenze sulle caratteristiche delfenomeno (quantità e qualità dei bisogni,risorse necessarie…) utili a programma-re gli interventi; inadeguata raccoltadelle prestazioni erogate rimborsabilidagli enti deputati (Prefettura);• inadeguata formazione del personaleper la gestione di soggetti che presenta-no culture diverse e particolari problemisanitari che richiedono impegno e cono-scenze specifiche.

OBIETTIVI SPECIFICI DEL PROGETTO

OBIETTIVO 1Definire per l’Azienda Sanitaria di Cese-na le modalità di erogazione dei ServiziSanitari alle diverse tipologie di immigra-ti secondo quanto previsto dalla normati-va vigente ( legge 40/98) e informarne lapopolazione interessata, gli operatori deiservizi sanitari e degli enti e associazioniche si occupano di immigrazione.

AZIONI REALIZZATE Nel 2000 è stato elaborato, a cura delGruppo aziendale di progetto, un protocol-lo che contiene per ogni tipologia di assi-stito, l’assistenza sanitaria offerta dallaAzienda Sanitaria e le modalità per rice-verla (documentazione, indirizzi, costi….). Il documento è stato inserito nel sitointernet della AUSL di Cesena(www.ausl-cesena.emr.it/Edu_Salute/percorso_stranieri.htm) dal quale è sca-ricabile ed è stato presentato, attraversodue iniziative di formazione, agli opera-tori dall’Ausl, dei centri stranieri, delleassociazioni di immigrati, dei comuni.E’ stata inoltre elaborata e diffusa, incollaborazione con la Ausl di Forlì e laProvincia, anche una Guida ai Servizirivolta ai cittadini stranieri, tradotta inpiù lingue e distribuita presso le associa-zioni e i punti informativi.

OBIETTIVO 2 Creare, collaborando con le esperienzepiù qualificate del volontariato presentinel territorio, dei percorsi specifici volti afacilitare l’accesso ai Servizi Sanitari peroffrire un servizio di assistenza sanitariadi base e specialistica ai cittadini stranie-ri non iscritti al SSN e alle persone chevivono in condizioni di particolare disa-gio economico, sociale e culturale (indi-

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genti, emarginati, nomadi e immigraticlandestini) e presentano bisogni chenecessitano (per tipo di patologia, per ledifficoltà di comunicazione…..) di inter-venti specifici di assistenza sanitaria.

AZIONI REALIZZATE L’assistenza agli stranieri immigrati noniscritti al SSN è stata organizzata attra-verso una rete di ambulatori di medici dimedicina generale aderenti alla associa-zione di volontariato “Salem” conven-zionata con l’AUSL. I medici eroganol’assistenza sanitaria accogliendo glistranieri nei loro ambulatori, distribuitinel territorio aziendale. L’originalità del sistema di erogazionedei servizi sta proprio nel fatto di nonprevedere un ambulatorio specifico perla cura degli immigrati irregolari, ma difavorire la loro integrazione offrendo glistessi percorsi sanitari del cittadino ita-liano: medico di famiglia, strutturedistrettuali e ospedaliere.Le patologie oggetto di tutela sono quel-le giudicate urgenti o essenziali e preve-dono la prescrizione di farmaci, diapprofondimenti diagnostici e speciali-stici qualora non forniti direttamentedall’Associazione di volontariato.La prescrizione di farmaci e prestazionispecialistiche urgenti ed essenziali, pre-viste dagli accordi con la AUSL, vienefatta sul ricettario contrassegnato da unapposito timbro (assistenza sanitaria ero-gata ai sensi dell’articolo 33 della Legge40/98- Associazione Salem).L’accesso alla rete dei medici volontari èavvenuta, nelle prime fasi, attraverso il“filtro“ (o la mediazione) operata dalleassociazioni di volontariato (Caritas,Centro di ascolto…) e Centri per Stra-nieri. Successivamente, anche grazie auna maggiore diffusione dell’informa-zione circa l’esistenza di questo servizio,l’accesso è avvenuto direttamente odopo l’iscrizione STP al competenteufficio aziendale.Naturalmente oltre a questi ambulatori leprestazioni vengono erogate anche dagliambulatori del Dipartimento Materno-Infantile e del Dipartimento di Preven-zione per quanto di loro competenza. I medici e il personale che eroga assi-stenza è tenuto a raccogliere i dati relati-vi all’attività svolta che saranno poi ela-borati dall’Associazione con la collabo-razione del Servizio di Epidemiologia eComunicazione dell’AUSL e periodica-mente diffusi.Sono stati organizzati due corsi di for-mazione per gli operatori socio-sanitarifinalizzati a migliorare la loro capacitàagli approcci interculturali nella tuteladella salute. Hanno partecipato circa 100operatori impegnati in attività di consul-torio, assistenza sociale, ambulatoriodistrettuale e di sportello.

OBIETTIVO 3Aumentare le conoscenze sulle caratteri-stiche del fenomeno dell’immigrazioneclandestina nel territorio della AziendaSanitaria di Cesena con particolareriguardo agli aspetti di natura sanitaria.

AZIONI REALIZZATE Apartire dall’anno 2000 è stato predispostoed attivato un sistema di raccolta e analisidei dati relativi alla domanda di assistenzasanitaria espressa da parte degli immigratinon iscritti al SSN (numero e caratteristichedei soggetti assistiti, tipo di patologia, pre-stazioni richieste, ….).Il sistema di raccolta dati era inizialmente,di natura cartacea (a parte i ricoveri ospe-dalieri afferenti al flusso informativo SDOe le prescrizioni farmaceutiche) e solo apartire dal 2003 è stato predisposto unsistema informatico per la registrazionedei dati anagrafici degli STP. Gli altri flus-si dei dati (esami, prestazioni specialistichee prestazioni dei consultori, attività deimedici Salem) sono ancora cartacei.Annualmente viene prodotto un report(scaricabile al sito http://www.ausl-cese-na.emr.it/DipPrev/epicomnews.htm ) chesi compone di due parti: la prima relativaalle caratteristiche delle persone chehanno richiesto la tessera STP e all’attivitàerogata dai servizi dell’Azienda Sanitaria;la seconda riguarda il lavoro svolto daimedici dell’associazione Salem.Il sistema di raccolta dati mostra alcunecriticità legate alla difficoltà a raccoglie-re e trasmettere i dati da parte dei medici(poco tempo, trascrizione cartacea,…) ealla presenza di flussi di raccolta ancorada perfezionare (dati di Pronto Soccorso,di esami e visite specialistiche erogati).

RISULTATI E CONSIDERAZIONI FINALI

Gli operatori socio-sanitari e gli utentihanno mostrato grande soddisfazione perla semplificazione e chiarezza dei percor-si. Il progetto Salem ha, infatti definito inmodo chiaro i percorsi di assistenza perquesta particolare fascia di popolazionead alto rischio di esclusione e ad elevatobisogno assistenziale. L’assistenza resapiù efficace ed efficiente, ha permesso diridurre o evitare le difficoltà e gli indugidi tipo burocratico-amministrativo, che avolte compromettevano la qualità dellarisposta al bisogno assistenziale.La diffusione delle informazioni sui ser-vizi e sulle modalità di accesso ha contri-buito inoltre a ridurre gli accessi inappro-priati al pronto soccorso, che, prima del-l’avvio del progetto, rappresentava ilprincipale punto di raccolta della doman-da di assistenza, anche in condizioni dinon emergenza.

I dati relativi agli immigrati regolarimostrano un trend crescente del numerodi soggetti assistiti attraverso il percorsoSTP fino al 2002 con un numero com-plessivo di soggetti iscritti pari a 1000.Si nota una flessione del dato dei nuoviiscritti nel 2003 (263) come probabileeffetto della legge n.189/02 (grafico1).Si tratta di soggetti giovani infatti più del50% ha un’età compresa tra i 20 e i 34

GRAFICO 1Numero iscritti STP

GRAFICO 2Numero iscritti STP per sesso ed età

GRAFICO 3Numero iscritti STP per provenienza

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INTRODUZIONELo scenario in cui lo Scalo Internaziona-le Migranti si inserisce è molto dinami-co, i flussi migratori si modificano con-tinuamente, in relazione ai fattori diespulsione dai paesi di origine, ed almutare dei fattori di attrazione e sceltasul nostro territorio. I dati relativi aglistranieri presenti regolarmente vengonodesunti dal numero di permessi di sog-giorno rilasciati e dai residenti iscrittialle anagrafi. Il processo di raccolta edelaborazione compone l'immagine delfenomeno migratorio quando questo permolti versi si è già modificato. I datirelativi ai vari comuni, alla provincia edalla regione inoltre possono non essereraccolti omogeneamente e contempora-neamente, e questo li rende per moltiversi difficilmente comparabili, special-mente nella ricerca o conferma di indi-cazioni tendenziali. Ancora più difficileè conteggiare il numero degli immigratiirregolarmente soggiornanti sul territo-rio, su questi soggetti è possibile unica-mente effettuare delle stime.

Gli operatori che lavorano direttamentesul territorio si trovano perciò ad affron-tare delle condizioni imprevedibili su cuiè difficile richiamare l'attenzione delleistituzioni. Questo è il caso della comu-nità Rumena e dello “scalo internaziona-le migranti”. A Bologna la comunitàRumena è molto numerosa, la quinta sesi considerano i dati del comune sui resi-denti, ancora più consistente se si consi-derano i dati sui permessi di soggiorno ei rumeni irregolarmente presenti sul ter-ritorio. Questa forte presenza è correlataai percorsi di migrazione facilitati, inpassato più legati a organizzazioni cri-minali, oggi principalmente dovuti allefacilitazioni che i Rumeni hanno nel

anni (grafico 2). L’analisi delle aree geo-grafiche di provenienza evidenzia unapredominanza dei Paesi della PenisolaBalcanica (42%), a cui fanno seguito iPaesi dell’ex-URSS (22%) e i PaesiAfricani (19%) (grafico 3). Anche il numero delle visite effettuate daiMedici dell’Associazione Salem è pro-gressivamente aumentato, passando da186 nel 2000 a 485 nel 2002. Le patolo-gie per cui viene richiesta la visita riguar-dano soprattutto l’apparato osteomusco-lare (12% delle visite), il digerente (10%)e problematiche dermatologiche (9%).I quadri clinici emersi hanno richiestonella metà dei casi un trattamento farma-cologico. I medici hanno provveduto,quando era possibile, alla distribuzionediretta dei farmaci (campionatura) oppu-re alla prescrizione nell’apposito ricetta-rio contrassegnato da un apposito timbro.Il servizio erogato dalla rete degli ambu-latori dei medici volontari Salem haavuto un costo minimo per l’AziendaSanitaria legato, essenzialmente, all’as-sicurazione obbligatoria per i 30 mediciattivi (circa 2000- 2500 Euro all’anno).

Il progetto, partito nel 1999, ha dato ori-gine ad un servizio di assistenza ancoraattivo. La valutazione è stata molto buonasia per l’efficacia con la quale risponde albisogno che per i bassi costi del servizio.Nel 2000 è stato selezionato tra i miglioriprogetti al servizio del cittadino dallaGiuria del Premio Alesini di Roma, maoltre agli apprezzamenti non sono manca-ti gli attacchi politici, da parte di rappre-sentanti di partiti della coalizione di cen-trodestra, che hanno contestato e richie-sto, senza successo, la sua soppressione.

L’intervento si è rivelato inoltre un’impor-tante occasione per confrontare senzaimposizioni e senza coercizioni, la nostracultura sanitaria, i nostri metodi e i nostriobiettivi, con quelli di altri Paesi, cercandodi capire, cogliere e fare nostro quanto dipositivo la conoscenza di altre “verità” puòproporci. Questa esperienza può attivareun processo di crescita umana e professio-nale e accelerare i processi di integrazionereale in un contesto sociale non sempredisposto alla tolleranza e alla solidarietà.

Mauro Palazzi, Francesca Righi, Patrizia Vitali, Elizabeth Bakken,

Antonella Bazzocchi, Sabrina GuidiServizio Epidemiologia e Comunicazione

Dipartimento di Sanità Pubblica AUSL di Cesena

recarsi con il visto turistico in area Shen-ghen. Invece non sono chiari i fattori discelta che spingono i rumeni verso Bolo-gna. Sicuramente un ruolo decisivo èricoperto dalla facilità nel trovare occu-pazione. Anche se non esistono dati inmerito e quindi possiamo basarci solosulla nostra esperienza, la maggior partedei maschi rumeni irregolarmente pre-senti trova impiego, al nero, nel campodell'edilizia. L'impressione è che, perquesto gruppo di immigrati, il lavoromaschile sia maggiormente rappresenta-to rispetto a quello femminile. La relati-va facilità con cui i Rumeni posso arri-vare in Italia e la disponibilità di lavoroanche per gli irregolari si è però scontra-ta con la difficoltà di trovare degli allog-gi. In queste condizioni singoli o interigruppi familiari non hanno trovatomigliore soluzione che “colonizzare” learee più isolate della città, in particolarestabili abbandonati o le rive dei fiumi incui le condizioni di vita sono pessime.Gli stabili occupati, generalmente fati-scenti, privi di servizi e sovraffollati rap-presentano comunque una soluzionemigliore rispetto agli accampamenti natisulle rive dei fiumi.

Tali accampamenti, vere e propriebidonville, sorgono in aree separate dallacomunità, in mezzo alla fitta vegetazio-ne, rappresentati da capanne di teli e sac-chi della spazzatura, in cui vivono, perterra o su stracci recuperati nei cassonet-ti della spazzatura, diverse decine di per-sone, comprese donne e bambini, senzache esista alcun tipo di servizio. Dram-maticamente, nella nostra esperienza,abbiamo accertato in questi contestianche la presenza di immigrati con rego-lare permesso di soggiorno. Le forze del-l'ordine ciclicamente provvedono allo

sgombero degli edifici occu-

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PROGETTO ”SCALO INTERNAZIONALE MIGRANTI”

di Alessandro Filoni,Ardigò Martino,Antonio Curti,Ilaria Tarricone

e Tommaso Zambelli

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pati ed all'abbattimento delle capanne.Alcuni irregolari fermati durante glisgomberi vengono espulsi dopo esserestati avviati ai Centri di PermanenzaTemporanea (CPT), la maggior parteperò o sfugge ai fermi o viene rilasciatasenza che avvenga l'espulsione. Il destinodi queste persone è tornare, in breve, allestesse aree ad agli stessi accampamenti.Lo Scalo Internazionale Migranti nascea Bologna il 16 ottobre 2002, quandoviene occupato l’ex ferro-hotel di viaCasarini 23, di proprietà di Trenitaliaabbandonato da anni.

L’occupazione del Ferro Hotel rappre-senta innanzitutto il tentativo, di cittadi-ni italiani e migranti, di intraprendereun’esperienza comune di autogestione,che in primo luogo dia una risposta aibisogni materiali di decine di migranti.Nei mesi precedenti l’occupazione, alcu-ne spedizioni nelle campagne di BorgoPanigale ed in altre zone periferiche diBologna avevano documentato diversisgomberi e violente intimidazioni effet-tuate dalla polizia ma taciute dai mezzidi comunicazione. Con l'ultimo sgombe-ro, alle porte dell'inverno e senza alter-native istituzionali, in un clima di grandechiusura, ai Rumeni viene offerta l’ospi-talità del centro sociale ex-mercato 24 divia Fioravanti dove avvocati, medici(dell’associazione Sokos), studenti lavo-rano coi i migranti, per garantire assi-stenza legale, sanitaria, sindacale e perseguire le pratiche della contemporanea“regolarizzazione”. Molti degli sgombra-ti, infatti, lavorano in nero come mano-vali nei cantieri di Bologna e dintorni,sfruttati dai datori di lavoro, e subiscono,con il miraggio delle regolarizzazioni,una lunga serie di truffe e raggiri.

Nel frattempo si avvia una trattativa con ilcomune per proporre soluzioni abitative.Inizia così un rapporto e una crescitapolitica importante che porta italiani erumeni ad occupare e gestire assieme lospazio di via Casarini.La vita allo scalo è segnata, soprattuttodurante i mesi invernali, da una pesantesituazione di disagio, a causa della man-canza di luce e riscaldamento, tagliati daTrenitalia dopo l’occupazione, e dell’au-mento impressionante degli abitanti. Ilferro-hotel infatti funziona da richiamoper altre decine di rumeni, mettendo inluce come la situazione abitativa dram-matica per gli immigrati a Bologna vadaben oltre i casi degli sfollati dal LungoReno. Questo non impedisce che dalloScalo si avviino numerosi bambini allescuole materne ed elementari, che simetta in piedi una scuola d’italiano peruomini e donne rumene e che si iscrivanoalcuni adolescenti a corsi di formazioneprofessionale.

ATTIVITÀ SANITARIAÈ stata curata dai medici volontari del-l’associazione Sokos.Fra i primi passaggi c’è stato il rilasciodi 93 tesserini STP (straniero tempora-neamente presente), strumento previstodalla legislazione vigente per garantireassistenza sanitaria a persone sprovvistedi permesso di soggiorno.L’attività sanitaria è stata strutturata inrelazione alle diverse età e problematiche.

Gravidanza. Sono state seguite 20donne in gravidanza, garantendo loro unadeguato monitoraggio attraverso esamiematici ed ecografie. L’intervento diassistenza alla gravidanza è stato effet-tuato in collaborazione con il Centro perla Salute delle Donne Straniere e i diver-si presidi ospedalieri della città.

Neonati ed adolescenti. Tutti i neonati(17)sono stati avviati alla pediatria dicomunità ed hanno intrapreso un percor-so di vaccinazioni(vaccino hexavac esa-valente);a 12 di loro è stata effettuata laMantoux per contatto Tbc. A 20 bambiniin età scolare è stato completato il ciclodi vaccino DPT.

Adulti. Le patologie più frequentementeriscontrate sono state: dolori addominaliriferibili a patologia gastroduodenaleche hanno richiesto approfondimentidiagnostici di tipo strumentale, patologierespiratorie, patologie dermatologiche,patologie in ambito ginecologico (infe-zioni della sfera genitale, menometrorra-gie in un caso riferibili a fibromatosi ute-rina), patologie odontostomatologiche,dolori al rachide dorso-lombare di natu-ra posturale (origine lavorativa) e trau-matica, infezioni delle vie urinarie.In seguito ad una notifica di sospettamalattia tubercolare è stato intrapreso, incollaborazione con i servizi di Igiene eSanità Pubblica, un percorso di monito-raggio, prevenzione e cura della TBC incomunità ad alto rischio come quellarumena. La Romania è infatti un paese adalta endemia per la malattia tubercolarenella quale circa l’80% delle personerisulta aver incontrato il bacillo di Koch.Dopo l’esecuzione delle Mantoux, nei casipositivi è stato effettuato uno screening daparte dell’unità mobile del Presidio Pneu-motisiologico mediante l’esecuzione di 80radiografie del torace, otto delle qualihanno richiesto ulteriore approfondimentomediante TAC del torace.

Disagio psichico. Infine ma non per ulti-mo, per valutare e dare risposta al disa-gio psichico e alle problematiche socialiinerenti, è stata condotta l’esperienza diun incontro settimanale con le donne. Itemi espliciti degli incontri sono stati ad

es. la difficoltà di accedere ai servizisocio-sanitari, la precaria situazione abi-tativa, le necessità legate alla salute(contraccezione, igiene della gravidanza,puericultura).Le assemblee sono statestrutturate in modo tale che i problemifossero analizzati insieme per trovaresoluzioni praticabili appoggiandosi astrutture ed enti esistenti(scuola per ibambini, ambulatorio Sokos di medicinagenerale per Straniere senza assistenzasanitaria, Centro per la salute delledonne straniere) e sperimentando per-corsi di solidarietà reciproca fra le donnerumene e l’interazione con altre donne.

CONCLUSIONIAttorno allo Scalo si è coagulata un’at-tenzione importante,sia da parte delmovimento locale e nazionale di soste-gno ai migranti, sia da parte dei migrantistessi presenti sul territorio bolognese.L’intervento dei medici, educatori, legali,singoli individui e gruppi politici, unavolta esaurita l’emergenza,grazie adun’opera di sollecitazione alle istituzionie di aiuto alle famiglie straniere, avrebbevoluto dedicarsi pienamente alla costru-zione di uno spazio di accoglienza chelimitasse il più possibile la condizione diemarginazione e disagio, ma tale proget-to privo di appoggio adeguato, sia politi-co che istituzionale, e privo di risorsefinanziarie, ha portato ad accentrare ognienergia al sostegno degli attuali abitanti edegli altri migranti che allo scalo hannotrovato un loro punto di riferimento.Detto ciò non si nega la presenza, oltreche di problemi e di contraddizioni,anche di errori che hanno portato a riva-lutare questa esperienza con spirito criti-co e a prendere coscienza della fragilitàdi un progetto accerchiato da una partedalla sordità delle istituzioni e dal disa-gio estremo contro cui i migranti quoti-dianamente devono combattere, e dal-l’altra dall’inesperienza di chi si è espo-sto in prima persona nella sua realizza-zione. Tutto ciò ha determinato la crea-zione di fenomeni di “degenerazione edisagio” che forse si sarebbero realizzaticomunque in altre forme e luoghi, mache il concentramento di così tante per-sone, indotto dall’occupazione, haamplificato. E’ d’obbligo quindi unariflessione autocritica che possa servireda esempio, per imparare dagli erroricommessi, e da slancio per programma-re iniziative future.

Alessandro Filoni, Ardigò Martino,Antonio Curti, Ilaria Tarricone,

Tommaso ZambelliMedici associazione Sokos

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Anche per i lavoratori del mondo globa-lizzato, condizioni di lavoro diverse, espo-sizioni diverse, rischi e danni diversi. Ser-vono anche strumenti di ricerca ad hoc.

Che, nelle diverse parti del mondo, ilavoratori non siano uguali (nel sensonon di identici, ma di garantiti per paricondizioni di lavoro e pari tutele) apparecosa scontata.Altro è però avere un’immagine docu-mentata e una quantificazione (misura ostima) di cosa ciò significhi realmente:non ce lo insegnano a scuola (nel sensodei corsi di laurea per Medici, Tecnicidella Prevenzione e Assistenti Sanitari, delcorso di specializzazione in Medicina delLavoro, di master e corsi vari certificantile nostre più disparate capacità e cono-scenze) e non è del tutto facile sapere dovepossiamo cercare e trovare informazioni.

Rimedia per l’intanto, su un piano com-plessivo (globale, per l’appunto), il bellis-simo testo curato da Jody HEYMANN epubblicato da Oxford nel 2003 il cui tito-lo “Ineguaglianze globali sul lavoro” èben completato dal sottotitolo “Impattodel lavoro sulla salute degli individui,delle famiglie e delle società”.Il primo risvolto di copertina ci lanciasubito all’interno del tema: “Il campo dellasalute occupazionale ha mappato un con-tinente – quello degli individui nei paesiindustrializzati – estremamente bene, mamolti territori sono stati lasciati ancoranon cartografati. Una mappa delle rela-zioni tra lavoro e salute che sia realmenteglobale – sia in senso geografico sia comecopertura dell’impatto del lavoro sullasalute di individui, famiglie, società – nonè stata mai tracciata in precedenza.” A pag. 19 apprendiamo ad esempio che,a fronte della riduzione (ma non dellascomparsa) della silicosi nei cosiddettiPaesi industrializzati, la situazione neiPaesi cosiddetti in via di industrializza-zione è molto diversa. “Sulla base di unasurvey epidemiologica cinese del 1986che copriva l’intera nazione, vi eranostati circa 400.000 pazienti con silicosiverificata in tutta la Cina fino al 1949.In seguito, da 10.000 a 15.000 nuovicasi venivano riportati ogni anno. Ilnumero cumulativo dei casi avrebberaggiunto i 600.000 per il 2000 (He,

panorama istituzionale e sociale è diverso,i rischi sono meno conosciuti, più difficil-mente conoscibili e verosimilmente, alme-no in parte, anch’essi diversi. Soprattutto,con le risorse a disposizione in Paesitutt’altro che ricchi, i parametri metodolo-gici normalmente richiesti per l’epidemio-logia nei Paesi ad alto reddito complessi-vo possono risultare troppo severi, tantoda scoraggiare o finanche impedire laricerca eziologica. Servono, quindi, stru-menti di determinazione delle esposizionie di analisi delle ricadute di Sanità Pubbli-ca specifici (o specificamente ri-pensati eadattati) che a un rigore scientifico ade-guato affianchino da un lato rispondenzaalle esigenze locali effettive dei Paesi cheli devono utilizzare, dall’altro costi orga-nizzativi e finanziari contenuti.Il manuale curato da HARARI eCOMBA, pratico e mirato, si muove esat-tamente in questa direzione; si compone:• di una iniziale sezione metodologica edi “filosofia scientifica”;• di una sezione “Ecuador” che descri-ve alcune importanti esperienze condot-te in tale Paese per la valutazione diesposizioni occupazionali e ambientali(ad esempio, ai metalli emessi da uncomplesso petrolchimico e ai pesticidi infloricoltura: ma anche alla povertà,quale co-determinante dell’asma infanti-le) e delle loro conseguenze in termini diSanità Pubblica;• di una sezione “Italia” ove si dà contodi studi epidemiologici causali assumibilicome riferimento (ad esempio, suglieffetti delle esposizioni occupazionali adamianto e CVM) e si forniscono strumen-ti per la conduzione di ulteriore ricerca.Volete sapere di più su questo testo affa-scinante e sui progetti di collaborazioneItalia-Ecuador? Scrivete a [email protected].

Un particolare: l’accordo tra IstitutoSuperiore di Sanità e IFA non prevedecopertura finanziaria per le prossimeattività di progetto; è quindi essenzialeinserire la cooperazione Italia - Ecuadorin materia di ambiente, salute e sicurez-za nei circuiti dei finanziamenti per lacooperazione allo sviluppo.

Riferimenti bibliografici

HEYMANN J.Global inequalities at work.Work’simpact on the health of individuals,families and societies.New York, Oxford University Press (2003)

HARARI R., COMBA P. El ambien-te y la salud. Epidemiologia ambiental.Quito, IFA – Roma, Istituto Superiore diSanità (ed.) (2004)

1998) (…) Alla fine degli anni ’80 laprevalenza della pneumoconiosi deilavoratori del carbone variava, perquanto riportato, dal 5.6 % in Brasile al20 % in Zimbabwe (Van, 1990). In alcu-ni paesi, come l’India, i livelli di polveridi quarzo respirabili possono superare i10 mg/m3, facendo sì che la maggioran-za delle maestranze soffra di silicosi(compresa la silicosi acuta) e di silicotu-bercolosi (Jindal e Whigg, 1998)” Quindi l’articolo di CAVARIANI,BEDINI e LEONORI su questa rivistatocca un problema persistente (per quan-to misconosciuto) e niente affatto limita-to alla piccola Italia.Capitoli successivi ci parlano di rischibiologici e “rischi sociali”, di rischi spe-cificamente connessi al lavoro infantile,a quello degli anziani, a quello dei disa-bili, di effetti del lavoro dei genitori suibambini, di effetti della povertà, di disu-guaglianze di genere, di rischi (per lasalute) e opportunità (per la salute)determinati dalla globalizzazione.

Dal complessivo allo specifico. Lo scorso2 novembre è stato siglato a Roma unaccordo di cooperazione tecnico-scientifi-ca nel settore degli studi su ambiente esalute fra l’Istituto Superiore di Sanità el’IFA (Corporacion para el Desarollo de laProducciòn y el Medio Ambiente Laboral)di Quito (Ecuador). La firma dell’accordoè giunta a coronamento di un primo bien-nio di collaborazione scientifica fra le dueistituzioni il cui primo prodotto “materiale”è il volume “El ambiente y la salud. Epi-demiologia ambiental” curato da RaùlHARARI e Pietro COMBA, presentatonell’occasione.Benedetto TERRACINI ha provvedutoall’introduzione di questo manuale nonsolo editorialmente “nuovo”, chiarendoil contesto culturale e operativo in cuiesso si inserisce.L’epidemiologia occupazionale (eambientale in genere) studia in larga pre-valenza situazioni di Paesi da lungo tempoindustrializzati e classificabili come “ric-chi” (anche quando, studiando ad esempioi lavoratori siderurgici o quelli “chimici”,valuta alcune tra le frazioni meno favoritee più a rischio della popolazione di taliPaesi). Nei Paesi di recente industrializza-zione e/o a basso reddito complessivo il

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di Roberto Calisti

DUE RECENSIONI

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infatti Ippocrate descriveva lo scavatoredi metalli che respirava con difficoltà ePlinio menzionava presidi di protezionerespiratoria per evitare l’inalazione dipolvere (Plinius, 1929). Nel 1556 Agrico-la raccontò in “De re metallica” i rischilegati all’attività mineraria e alla neces-sità di rivolgere maggiore attenzione allasalvaguardia della salute (Agricola,1912). Nel 1703 Ramazzini descrisse perla prima volta in modo sistematico i carat-teri morbosi essenziali della silicosi e leprime rilevazioni scientifiche, che risal-gono al XVII secolo, ad opera di un medi-co olandese, il Diemerbrock (Ramazzini,1908). Sempre nel XVIII secolo, lamalattia venne studiata dal punto di vistadescrittivo in Francia dove veniva chiama-ta “cailloute” o “malattia di S. Rocco” o“tisi dei tagliatori di pietra” e venneroeffettuate le prime autopsie che permiserodi differenziare la silicosi dalla tubercolosi.Nel XIX secolo le ricerche si estesero adaltri paesi quali l’Inghilterra e il Sud Afri-ca, ma fu solo nel 1915 che Collis avanzò

RISCHI E DANNI DA ESPOSIZIONEA SILICE CRISTALLINAUN VECCHIO PROBLEMA,NUOVE PROSPETTIVE

RISC

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di F. Cavariani,L. Bedini

e R. Leonori

INTRODUZIONELa silice o biossido di silicio, componen-te ubiquitario della crosta terrestre, costi-tuisce dal 90 al 30% delle principalirocce (arenaria, granito, ardesia) e puòpresentarsi in forma amorfa o cristallina.La silice cristallina a sua volta si presen-ta in quattro forme principali: quarzo alfae beta, tridimite e cristobalite, di cui l’al-fa quarzo costituisce la forma mineralo-gica più diffusa, tanto che tale termineviene utilizzato come sinonimo per defi-nire la silice cristallina. Si parla in parti-colare di silice libera cristallina, soprat-tutto in campo igienistico industriale, perindicare fasi cristalline del biossido disilicio non combinato ad altri elementi,con i quali usualmente dà luogo a silica-ti più o meno complessi (Figura1).La forma cristallina è responsabile dei notieffetti sclerogeni a livello polmonare cheportano al quadro clinico della silicosi.La silicosi era conosciuta sin dai tempidell’antica Grecia e dell’antica Roma,

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per la prima volta l’ipotesi del quarzocome causa della malattia (Collis, 1915).L’enorme diffusione in natura della silicecristallina fa sì che si possa avere esposi-zione a tali polveri in moltissime attivitàlavorative: l’industria mineraria e i lavo-ri di perforazione rocce, l’industria side-rurgica, l’industria ceramica, l’industriadel vetro e del cristallo, l’edilizia e i lavo-ri di movimento terra, la carpenteriameccanica, i cantieri navali, l’industriadella gomma, della plastica e delle verni-ci (silice presente nelle cariche inerti), laproduzione di gioielli (Tabella 1).Fino ad attività in cui l’esposizione èmeno nota e quindi meno indagata, onota, ma sottovalutata rispetto ad altririschi come nel caso dell’edilizia (Figura2). Come altri esempi, si possono citare ilavori di sabbiatura dei jeans per ottenerel’effetto delavé e la produzione dellesuole in plastica per scarpe dove la siliceè utilizzata come carica inerte; ma anchel’agricoltura nelle attività di aratura, mie-titura, nell’utilizzo di macchinari o nelbruciare i residui agricoli o gli scarti deicereali, in particolare la pula del riso.Rispetto ai tempi di Agricola sono statifatti grandi passi in avanti relativamentealle conoscenze sui meccanismi patoge-netici della silice cristallina, ma la silico-si rimane comunque un problema rilevan-

Tabella 1 Principali industrie e attività con esposizione lavorativa a silice libera cristallina

Industria o attività

Agricoltura

Mineraria e attività connesse

Cave ed attività connesse

Edilizia

Vetri e fibre di vetro

Cementi

Abrasivi

Ceramiche compresi imattoni, piastrelle, arti-coli sanitari, porcellane,stoviglie, materiali refrat-tari, smalto vetroso

Acciaierie e lavorazionedel ferro

Fonderie del silicio edel ferro-silicio (ferrosoe non ferroso)

Produzione di metalliinclusi metalli struttura-li, macchinario, attrezza-tura da trasporto

Cantieri navali

Rivestimenti e plastiche

Vernici

Saponi e cosmetici

Asfaltatura

Chimica agricola

Gioielleria

Arti, artigianato e scultura

Materiali odontoiatrici

Disincrostazione caldaie

Abbigliamento

Calzaturiera

Termoidraulica

Componenti elettriche

Fig. 2 Movimentazione terra in edilizia

Fig. 1 Silice cristallina (SiO2)n

Origine del materiale

Suolo

Minerali, rocce

Arenarie, graniti, selci,sabbie, ghiaie, ardesie elavagne, farina fossile

Sabbie, calcestruzzo,rocce, suolo, ghiaie eciottoli, intonaci, malte

Sabbie, quarzo frantu-mato, materiali refrattari

Argille, sabbia, calce,farina fossile

Sabbie, tripoli, arenarie

Argille, argilliti, selci,sabbie, quarzite, farinafossile

Materiali refrattari

Sabbie, materiali refrattari

Sabbie

Sabbie

Stucchi (tripoli, diatomiti)

Fondi e stucchi (tripoli,diatomiti), polveri silicee

Polveri silicee

Sabbie e derivati

Minerali e rocce fosfatici

Pietre e gemme semi-preziose, abrasivi, vetri

Argille, smalti, mattoni,pietre, rocce, minerali,sabbie, polveri silicee

Sabbie, abrasivi

Cenere e concrezioni

Sabbie

Polveri silicee

Polveri silicee

Polveri silicee

Fase lavorativa o mansione

Aratura, semina, mietitura, uso di macchine agri-cole, incenerimento rifiuti agricoli

Tutte le attività di scavo (superficie, sottoterra, maci-nazioni e raffinazione materiale) e minerarie (metal-li e non metalli, carbone, perforazioni, dragaggio)

Processi di frantumazione di rocce, ghiaie e sab-bie, taglio dei blocchi lapidei, abrasione. Lavora-zione di ardesie e lavagne (manifattura delle mati-te), calcinazione delle diatomiti

Distruzione e abrasione di strutture ed edifici,costruzione di strade, gallerie, scavi, movimenta-zione ed escavazione delle terre, lavori di muratu-ra, lavori in calcestruzzo e/o cemento armato,demolizioni, spazzare e spennellare a secco, usodell’aria compressa, uso del martello pneumatico,posa in opera del tracciato stradale, rimozione diruggini o vernici, disincrostazioni e smerigliature;asfalto: rideposizione della pavimentazione strada-le, trasporto, colate, miscelazione o accumulazio-ne di materiali contenenti silice

Lavorazione del materiale grezzo, rimozione eriparazione di refrattari

Lavorazione del materiale grezzo

Produzione del carburo di silicio, fabbricazionedei prodotti abrasivi

Miscelazione, modellatura, vetrificazione o smal-tatura a spruzzo, rifinitura, scultura, cottura

Preparazione dei refrattari e riparazione dellefornaci

Trattamento dei materiali grezzi, colatura,modellatura e rimozione abrasione, installazionee riparazione delle fornaci

Abrasione

Abrasione

Trattamento dei materiali grezzi

Trattamento dei materiali grezzi, preparazionedel sito

Manifattura o utilizzo di saponi abrasivi e polveriabrasive

Applicazione di riempitivi e granellato

Frantumazione, trattamento e stoccaggio deimateriali grezzi; o accumulazione di prodotto omaterie prime

Taglio, molatura, levigatura, lucidatura, incisione,cesellatura, colatura, scriccatura, affilatura, scultura

Cottura di stoviglie, ceramiche, miscelazione diargilla, riparazione dei forni, abrasioni (con sabbiae non), molatura, levigatura, lucidatura, incisione,cesellatura, colatura, scriccatura, affilatura, scultura

Smerigliatura a sabbia, lucidatura

Caldaie a carbone

Jeans delavè

Suole in plastica

Vasche in resina

Interruttori

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negli Stati Uniti sono stati effettuati diver-si studi su popolazioni di esposti a silicecristallina: uno dei più recenti (Chen,1997) ha evidenziato una mortalità pertubercolosi polmonare superiore del 30 %nei soggetti con una potenziale esposizio-ne a silice rispetto ai non esposti (NIOSH,2002). Tale maggiore suscettibilità haspinto l’American Thoracic Society a rac-comandare che i soggetti affetti da silicosie i soggetti non silicotici, ma con una sto-ria occupazionale di almeno 25 anni diesposizione a silice, venissero sottopostial test tubercolinico. Vista la maggiore diffusione dei casi ditubercolosi nella popolazione immigratae il notevole impiego che i lavoratoriappartenenti a tale gruppo hanno nellenostre realtà industriali, andrebbe quindiconsiderato, in linea con quanto suggeri-to dall’ATS, l’inserimento nei protocollidi sorveglianza sanitaria degli esposti aSiO2 del test tubercolinico.

Altri effetti polmonariLa COPD (chronic obscructive pulmonarydisease) è una sindrome clinica eterogeneain cui possono coesistere bronchite croni-ca, enfisema e asma. Il fumo è sicuramen-te il principale agente etiologico, ma l’in-quinamento atmosferico e l’esposizioneprofessionale a polveri (in particolare tra ifumatori) può contribuire alla sua insor-genza (Becklake, 1992; Hnizdo, 2002).

EFFETTI EXTRAPOLMONARIMalattie renali ed autoimmuniLa comparsa di varie patologie su baseautoimmune in soggetti professional-mente esposti a silice cristallina è stata datempo descritta in numerosi case-reportsin cui veniva riportata la comparsa disclerodermia, LES, artrite reumatoide,anemia emolitica autoimmune, dermato-miosite, dermatopolimiosite e patologierenali croniche. Sono invece più recentile evidenze scientifiche relative al possi-bile effetto dell’esposizione a silice nelfavorire malattie autoimmuni comprese lemalattie renali (Forestiere, 2001). Il mec-canismo cellulare che porta dall’esposi-zione a silice cristallina all’insorgenza dipatologie autoimmuni non è ben chiaro:un’ipotesi è che quando le particelle disilice vengono inglobate dai macrofagi siabbia la produzione di proteine fibroge-niche e di fattori della crescita ed infineattivazione del sistema immunitario.Sicuramente sono necessari ulterioristudi clinici ed immunologici per bendefinire la relazione tra l’esposizione asilice cristallina e patologie autoimmuni.

CANCEROGENESITumore polmonareGià nel 1987 l’Agenzia Internazionaleper la Ricerca sul Cancro di Lione(IARC, 1987) si era espressa, dopo aver

te a livello mondiale tanto da indurrel’ILO e il WHO a indire una campagnaper l’eliminazione di questa grave pneu-moconiosi entro il 2015 e per il raggiun-gimento di una significativa riduzionedella sua incidenza entro l’anno 2005(WHO, 1990).Il Comitato ha invitato ogni paese a pre-disporre un programma nazionale perl’eliminazione della silicosi che dovreb-be contenere:• l’identificazione dei gruppi di lavora-tori a rischio;• la definizione delle strategie di pre-venzione;• il coinvolgimento delle parti sociali;• i provvedimenti legislativi e le scelteistituzionali per lanciare il programma; • i criteri di rilevamento dei dati e divalutazione del programma per l’elimi-nazione della silicosi;• la correlazione con i programmi diprotezione ambientale.

La necessità ed importanza di tale inter-vento sono rafforzate dal riconoscimentodella cancerogenicità della silice cristal-lina operata, dopo numerosi studi, dallaAgenzia internazionale per la ricerca sulcancro (IARC, 1997). Questa ha affer-mato che “la silice cristallina inalatasotto forma di quarzo o di cristobalite dasorgenti occupazionali è cancerogenaper gli umani” (gruppo I).Inoltre studi epidemiologici relativiall’esposizione occupazionale a silicecristallina hanno confermato una aumen-tata incidenza di patologie extrapolmo-nari quali sclerodermia, artrite reumatoi-de, altre patologie autoimmuni e patolo-gie renali (ATS, 1997).

LE PATOLOGIE DA SILICEEFFETTI POLMONARISilicosiÈ noto che il termine di silicosi definisceuna fibrosi polmonare evolutiva causatadall’inalazione di particelle di silice cristal-lina aventi un diametro compreso tra 5 e0,5 micron che raggiungono gli alveoli pol-monari e qui si depositano. La silicosi puòmanifestarsi in tre forme a seconda dellaconcentrazione di silice cristallina respira-bile presente nell’ambiente di lavoro:• La forma a decorso cronico che simanifesta di solito dopo almeno 10 annidi esposizione a concentrazioni relativa-mente basse. La lesione caratteristica è ilnodulo silicotico costituito da un’areacentrale acellulare ricca di fibre collage-ne jalinizzate e una esterna costituita dafibre collagene e da macrofagi, granulo-citi, linfociti e cellule giganti;• La silicosi accelerata che si manifestacon un quadro sintomatologico simile aquello della silicosi cronica, ma con

un’evoluzione clinica e radiograficamolto più rapida e anche con un tempodi latenza delle manifestazioni clinicherispetto alla prima esposizione molto piùridotto. Inoltre spesso la fibrosi puòessere irregolare e presentarsi in formapiù diffusa o non apparente all’esameradiografico. • La silicosi acuta (proteinosi alveolaresilicotica) che insorge dopo un’esposi-zione ad elevate concentrazioni in man-sioni lavorative che implicano la produ-zione di piccole particelle di polvereaerodispersa ad elevato contenuto diSiO2. La patologia diventa clinicamentemanifesta dopo poche settimane fino acinque anni dalla prima esposizione e sipresenta con il quadro clinico di una pro-teinosi alveolare.

A conferma dell’attualità di tale patolo-gia un recente studio (Mannetje, 2002),effettuato dalla IARC su sei coorti disoggetti con esposizione professionale asilice cristallina, ha evidenziato unrischio stimato di morte per silicosi paria 6 per 1000, ad un’età superiore a 65,dopo 45 anni di esposizione a 0,05mg/m3. Tale rischio è al di sopra delrischio considerato “socialmente accet-tabile” secondo l’OSHA.

Silicotubercolosi e altre infezioniPiù di 25000 persone si ammalano ognianno di TBC negli USA, ma il problemaè di dimensioni mondiali: si calcolanooltre 2 miliardi di persone con infezionetubercolare, otto milioni di nuovi casiall'anno, con circa 3 milioni di morti(WHO, 1996). In Italia la TBC è diffusa a macchia dileopardo, il tasso di malattia è stimato,nonostante la sottonotifica, attorno ai 10-15 casi per 100.000 abitanti, e la malat-tia, come in tutti i paesi a bassa endemia,si concentra nei gruppi a rischio. Lecause dell’inversione epidemiologica delcalo avvenuto negli anni ottanta, sonostate l’immigrazione, la diffusione dellainfezione da Hiv e lo smantellamentodella rete di controllo. La prevalenzanella popolazione autoctona è invece sta-bile o in lieve discesa (Zorzut, 2003).I soggetti affetti da silicosi polmonarefanno parte del gruppo a rischio in quan-to possono con più facilità e frequenzacontrarre severe infezioni da micobatterio, meno frequentemente, infezioni fungi-ne (Parker, 1998). Circa il 50% delle infe-zioni che si manifestano nei lavoratoriesposti a SiO2 sono dovute al Mycobatte-rium tuberculosis e la restante metà adaltri micobatteri. In alcuni casi l’infezionepuò essere sostenuta anche da NocardiaAsteroides e da Cryptococcus (Ziskind,1976). Nel nostro paese non sono disponi-bili dati sulla relazione tra esposizione asilice e tubercolosi polmonare, mentre

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effettuato una revisione sistematica dellaletteratura scientifica, a favore di una“sufficiente” evidenza della canceroge-nicità della silice cristallina negli anima-li e di una “limitata” evidenza di cance-rogenicità nell’uomo. Nell’ottobre 1996un gruppo di lavoro della IARC compo-sto da 19 esperti di 11 paesi ed 8 osser-vatori, hanno nuovamente valutato glieffetti cancerogeni della silice libera cri-stallina. Sulla base della evidenza scien-tifica, nella monografia pubblicata nel1997, la IARC ha classificato la silicecristallina come cancerogeno occupa-zionale, inserendola nel gruppo 1. L’affermazione era però preceduta, per laprima volta, da un commento nel qualesi affermava che la silice non è cancero-gena in tutte le circostanze.Infatti caratteristiche intrinseche dellepolveri che la contengono, come originee stato della superficie (margini, imper-fezioni, radicali liberi superficiali) e fat-tori esterni, come contatto, contamina-zione da altre sostanze, possono attivar-ne/potenziarne la cancerogenicità.Molto controversi sono i pareri sui pos-sibili meccanismi biologici attraverso iquali la silice può contribuire al proces-so di cancerogenesi. Il suo meccanismodi azione non è ancora ben conosciutoanche se è nota la sua azione sui mecca-nismi del sistema immunitario; si ipotiz-za che il processo infiammatorio cronicogiochi un ruolo chiave sia nello sviluppodella fibrosi che del tumore polmonare.Un ipotetico meccanismo per lo sviluppodi tumore polmonare nei ratti esposti asilice cristallina considera infatti propriol’innesco del processo infiammatorio conproduzione di ossidanti e successive alte-razioni genetiche, questo spiegherebbeanche la diversa tossicità a seconda dellecaratteristiche fisico-chimiche (IARC,1997; Finkelstein, 2000). Infatti la silice risulta più tossica quantomaggiore è la sua reattività di superficie,cioè la sua capacità di produrre radicaliliberi, e quindi è:• meno reattiva, se riscaldata in quantoil riscaldamento aumenta le sue caratte-ristiche idrofobe e riduce la capacità diprodurre radicali liberi;• più reattiva, se presenta superfici ”fre-sche” in confronto a polveri vecchie, inquanto nelle fasi di macinazione si ha gene-razione di radicali di superficie per rotturadei legami covalenti Si-O (Fubini, 2001).

Al di là dell’incertezza sui meccanismipatogenetici, numerosi studi di coorteeffettuati a partire dagli anni ’80 hannoevidenziato in diversi casi un maggiorrischio di sviluppare un tumore polmona-re tra i silicotici rispetto ai non silicotici:• nel 1997 una meta-analisi di 16 studiaveva evidenziato una correlazione positivatra esposizione a silice e tumore polmonare,

con un Rischio Relativo (RR, esposti vs.non esposti) pari a 1.3 (Steenland, 1997); • in 19 studi su silicotici si aveva inve-ce un RR pari a 2.3 (Steenland, 1997).

Tali dati avevano portato ad ipotizzareche l’aumentato rischio di insorgenza dineoplasia polmonare fosse limitato aisoggetti affetti da silicosi, essendo però lasilicosi un marker di alta esposizione èlogico rilevare che i silicotici mostrino unmaggior rischio rispetto ai non silicotici.

Sostanzialmente si può affermare chediversi studi hanno evidenziato che ilrischio di insorgenza di tumore polmo-nare aumenta con:• l’esposizione cumulativa a silice cri-stallina (Checkoway, 1993, 1996);o la durata dell’esposizione (Merlo,1991; Partenen, 1994; Costello, 1995;Dong, 1995);• i picchi di intensità di esposizione(Burgess., 1997; Cherry, 1997; McDo-nald, 1997);• la presenza di un quadro di silicosidefinito radiograficamente (Amandus,1992; Dong, 1995);• la distanza del follow-up dalla dia-gnosi di silicosi (Partenen, 1994).

D’altra parte, ad ulteriore conferma, unostudio più recente (Steenland, 2001), cheaveva rianalizzato con una analisi “poo-led”, (che ha il vantaggio di permettere lacostruzione di misure comuni di esposi-zione e un uniforme approccio ai dati,riducendo le differenze interpretativedegli studi dovute alle differenze neimetodi analitici) dieci coorti per un totaledi 65.980 esposti, evidenziava un rischiorelativo di eccesso di insorgenza di tumo-re polmonare, per lavoratori esposti peroltre 40 anni ad una concentrazione diSiO2 di 0,1 mg/m3, pari a 1.1 - 1.7.

Nello studio non vengono forniti datisulla diversa prevalenza di tumori pol-monari tra silicotici e non silicotici, nésul diverso potere cancerogeno tra le dueforme di silice cristallina (cristobalite equarzo) sottolineato in altre ricerche.Non si ha conferma anche all’aumentatacomparsa di tumori polmonari all’au-mentare dell’esposizione cumulativa ealla durata di esposizione, mentre si evi-denzia il diverso potere patogeno dellasilice a seconda che questa si presenticon superfici “fresche” o meno.Da quanto emerso si può ragionevol-mente affermare che la silice cristallinaè un cancerogeno per il polmone, anchese il suo effetto non è così forte comequello di altri agenti conosciuti. Ulterio-ri studi sono necessari per indagare sel’aumentata insorgenza riscontrata neisilicotici si riscontra con certezza anchenei non silicotici; inoltre restano da inda-

gare gli effetti dell’esposizione a bassedosi, in quanto le popolazioni studiateerano esposte, nella maggior parte deicasi, a valori ben più elevati dell’attualeTLV-TWA dell’ACGIH (Acgih, 2004).

NIS NETWORK ITALIANO SILICEPROBLEMI DA AFFRONTARE

La diffusione dell’esposizione a SiO2 e larilevanza dei danni da questa causata, inparticolare l’evidenza della sua canceroge-nicità, si scontrano con l’inadeguatezzadegli strumenti finora messi in atto percontenere e limitare l’esposizione. Per-mangono notevoli carenze nella identifica-zione e nella definizione del rischio neisettori e nelle attività lavorative che impie-gano materiali contenenti silice cristallina;mancano inoltre riferimenti consolidati peruna definizione di matrici di esposizionespecifiche delle mansioni a rischio. Nonesistono banche dati fruibili per la gestionedel rischio e per le bonifiche, né sono stateemanati dagli enti competenti valori limitedi riferimento o linee guida per una corret-ta etichettatura dei prodotti e per apporreuna segnaletica di pericolo in presenza didispersione di tali polveri. Tutto ciò è reso ancora più difficoltoso dalfatto che, pur essendo stata riconosciutacome sostanza cancerogena da parte dienti accreditati a livello internazionale, lasilice non rientra tra le sostanze classifica-te ufficialmente dalle UE e ricade nel regi-me della classificazione provvisoria chedeve essere effettuata a cura del responsa-bile dell’immissione sul mercato.Questi nell’effettuare l’autoclassificazionee nella compilazione della scheda di sicu-rezza dovrebbe tener conto di tutte le cono-scenze scientifiche disponibili sullasostanza in questione. In realtà nelle sche-de di sicurezza che accompagnano i prepa-rati contenenti SiO2 (la cui presenzaandrebbe segnalata se superiore allo 0,1%, come è prescritto per tutti i canceroge-ni) vengono classificati in modo moltodiverso tra di loro e ciò continua ad inge-nerare una ben differente applicazionedella normativa di tutela dei lavoratoriesposti.A tutt’oggi, inoltre, viene ignorato il pro-blema della sorveglianza sanitaria deilavoratori ex-esposti. Tale questione dinodale importanza trova i suoi punti cri-tici nella definizione del campo di appli-cazione normativo che giustificherebbela sorveglianza sanitaria (campo diapplicazione titolo VII e/o VII Bis), nellamancanza di chiarezza su chi si dovreb-be far carico dei costi degli accertamenti eanche nella incompletezza dei dati sulleesposizioni lavorative che non permette-rebbero di reclutare tutti i lavoratori conpregresse esposizioni. Negli ultimi anni in

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Italia tali problematiche hanno sollecitatodiversi operatori della prevenzione a pro-muovere un’azione proattiva degli istitutinazionali (Istituto superiore di sanità, Isti-tuto per la sicurezza e la prevenzione neiluoghi di lavoro, Istituto nazionale perl’assicurazione contro gli infortuni sullavoro) per istituire un gruppo di lavoro diesperti, finalizzato alla definizione di lineeguida, disciplinari tecnici e normative diriferimento per la prevenzione dei rischilegati alla esposizione, professionale enon, a silice cristallina, partendo dalladefinizione dei settori produttivi attual-mente a rischio, nonché dalla descrizionedel quadro italiano dei danni ai lavoratoridovuti ad esposizioni pregresse.Su questi temi è stato avviato un progettonazionale, denominato “Network ItalianoSilice”, che vede il coinvolgimento di sog-getti istituzionali (Ispesl, ISS, Inail) ed ilCoordinamento Tecnico delle Regioni,organizzato in 5 gruppi di lavoro:1. Epidemiologia. Il gruppo ha lavoratocon l’obiettivo di dare una definizioneunivoca dei rischi per la salute associati aspecifiche esposizioni alla luce dei dati diletteratura più recenti e una definizione distandard di esposizione che garantiscanola salute dei lavoratori; allo stesso tempoil gruppo ha inteso delineare le priorità distudi specifici per l’avvio di iniziative sugruppi di popolazione esposta.2. Igiene Industriale. Il lavoro ha avutolo scopo formulare delle linee guida con-divise sulle metodiche di campionamen-to ed analisi e sulle misure di prevenzio-ne e protezione: è stato prodotto undocumento contenente quelli che posso-no essere considerati i requisiti minimidi qualità di campionamento e analisi,assieme ad una serie di allegati diapprofondimento sulle criticità dellamisurazione dell’esposizione a silice cri-stallina alla luce delle norme UNI EN481/1994 e 689/1997.3. Normativa. Il gruppo ha il compito didefinire nell’insieme le norme e qualisono gli obblighi di legge da rispettareper chi commercializza e utilizza mate-riali che contengano silice libera cristal-lina: le criticità sono ovviamente nelladefinizione di cancerogenicità dei mate-riali e dei prodotti che la contengono (eper quali utilizzi) e la loro applicabilitànegli ambienti di lavoro.4. Repertorio rischio silice nei compar-ti. Il primo obiettivo che il gruppo si èposto è stato quello di mettere a disposi-zione dei soggetti interessati un reperto-rio di livelli espositivi misurati, a partiredalla banca dati della Contarp-Inail, edavviare una raccolta tra i Servizi di Pre-venzione dei dati registrati nel tempo.Èstata predisposta una stringa di infor-mazioni che sarà diffusa per permetterel’implementazione di una banca datinazionale al fine di stimare l’esposizione

delle attività lavorative con una solidadefinizione e i gruppi di lavoratori arischio, attuali e pregressi. Gli altriobiettivi riguardano l’avvio di una sortadi sistema di allarme per attività arischio poco note ed, infine, la raccoltadi soluzioni e possibili alternative all’u-so di materiali contenenti silice, ad ini-ziare dai trattamenti di sabbiatura.5. Sorveglianza sanitaria. Lo scopo èstato quello di proporre dei criteri dibuona pratica per la sorveglianza sanita-ria dei lavoratori esposti ed ex-esposti,alla luce di criteri di omogeneità meto-dologica e qualitativa degli accertamen-ti, anche in funzione dei livelli di esposi-zione attuali. Sono attualmente in defini-zione linee guida per la diagnosi (PFR,RX torace, TAC polmonare) e per le visi-te periodiche, che tengano conto di crite-ri di qualità nell’effettuazione e nellarefertazione degli accertamenti (con par-ticolare attenzione alla formazione di“B-Reader”, secondo le indicazioni del-l’ILO, per la lettura di radiogrammi deltorace) (ILO, 2000).Questo lavoro, che ha visto, forse per la

prima volta, interagire gli Operatori deiServizi Territoriali delle ASL e i Tecnicidegli Enti nazionali, permetterà di defini-re le linee guida necessarie per affrontarei problemi legati a un rischio ancora dif-fuso in molti settori lavorativi e in partesottovalutato, ma ha anche aperto la stra-da a forme di sinergia, da sempre invoca-te e mai pienamente realizzate, tra i sog-getti interessati. Gli obiettivi del NIS nonsolo coincidono quindi con quelli postidall’OMS, che ha come scopo finale l’e-radicazione della silicosi, ma possonoprefigurare una più attuale metodologia diintervento, condiviso e concordato, pergiungere a chiare e praticabili strategie diprevenzione ai vari livelli.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVELa silicosi negli unici dati ancor oggidisponibili in Italia, provenienti soprat-tutto dall’Istituto assicuratore, sembrarappresentare ancora drammaticamentepiù del 5% di tutte le patologie profes-sionali (Tabella II; Inail, 2001). La gra-

CASI DI SILICOSI DENUNCIATI CASI DI SILICOSI INDENNIZZATIIN CIASCUN ANNO IN CIASCUN ANNO

Anno Numero Anno Casi indennizzati denuncia casi indennizzo Permanente Morte Totale

1974 24.640 1974 5.899 524 6.423 1975 28.970 1975 5.653 502 6.155 1976 25.316 1976 7.163 542 7.705 1977 21.021 1977 6.462 574 7.036 1978 17.531 1978 5.008 488 5.496 1979 14.833 1979 3.966 556 4.5221980 14.462 1980 3.491 535 4.026 1981 14.076 1981 3.264 506 3.770 1982 10.472 1982 2.938 543 3.481 1983 8.398 1983 2.035 468 2.503 1984 8.062 1984 2.287 432 2.719 1985 8.506 1985 1.656 480 2.136 1986 7.547 1986 1.091 532 1.623 1987 9.339 1987 1.381 539 1.920 1988 8.729 1988 1.719 395 2.114 1989 6.782 1989 1.479 412 1.891 1990 5.900 1990 933 256 1.189 1991 5.880 1991 1.063 183 1.246 1992 6.430 1992 1.149 92 1.241 1993 4.235 1993 696 70 766 1994 4.508 1994 497 51 548 1995 3.030 1995 304 42 346 1996 1.991 1996 212 28 240 1997 1.423 1997 230 35 265 1998 1.232 1998 183 34 217 1999 1.194 1999 155 33 188 2000 1.036 2000 164 33 197

(Fonte: Consulenza Statistica Attuariale Inail, da archivi informatizzati)

Tabella 1 Serie storica italiana dei casi di silicosi e di morti per silicosi denun-ciati ed indennizzati dall’Inail (1974–2000)

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vità anche dal punto di vista economico-sociale del fenomeno, che potrebbe esse-re sottostimata per i limiti impliciti intali dati, si ritrova sintetizzata in unapubblicazione dello stesso Istituto, in cuisi afferma (Verdel, 1998) che: “…Laquestione della silicosi, tra tutte quellesuscitate dalle malattie professionali, ècertamente la più pesante quanto a gra-vità ed estensione delle conseguenzeinvalidanti. L’Inail ha attualmente ingestione 80.000 rendite dirette o versatea superstiti ed i costi assicurativi che neconseguono sono dell’ordine di 1000miliardi l’anno, sfiorando il 10% del-l’intero costo degli infortuni e dellemalattie professionali.” Emerge inoltre, analizzando i dati ISTATdella mortalità per causa (codici 500 –502 della IX ICD: 7027 decessi tra imaschi italiani nel periodo 1990-1999)che la silicosi causa in Italia oltre 700decessi ogni anno (Mastrantonio, 2003).Senza tenere conto degli ormai ricono-sciuti effetti cancerogenici della silice(su cui non sono disponibili dati), questeultime ed altre considerazioni sarebberooltremodo sufficienti a rendere ineludi-bile l’avvio di programmi e piani di pre-venzione mirata: in tal senso il lavorodel NIS va seguito, supportato e i suoirisultati diffusi quanto possibile.

F. Cavariani, L. Bedini, R. Leonori

Laboratorio di Igiene Industriale,Dipartimento di Prevenzione

ASL Viterbo

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INTRODUZIONELa produzione complessiva di sostanzechimiche è passata da 1 milione di ton-nellate del 1930, a 400 milioni di tonnel-late del 2001, e il numero di sostanzenuove immesse sul mercato ogni anno èdell’ordine di alcune migliaia. In quest’ambito è necessario avere la pos-sibilità di accedere velocemente a infor-mazioni complete e affidabili sulle diffe-renti sostanze chimiche. Negli ultimi 30anni siamo passati da una gestione esclu-sivamente cartacea a una gestione infor-matica e lo sviluppo di Internet ha reso piùfacile l’accesso a database specifici. Nonsempre la molteplicità delle fonti a dispo-sizione facilita il compito di coloro chedevono trovare informazioni. Scopo di questa comunicazione è quellodi illustrare un database che può velociz-zare i tempi di ricerca di queste informa-zioni, sia in campo sanitario che ambien-tale, con un uso facile del programma diinterrogazione/ricerca, e può costituireinoltre un primo screening di notizie basi-lari da utilizzare in prima battuta in attesadi successivi approfondimenti. La diffu-sione su vasta scala di conoscenze sulleprecauzioni da adottare nell’uso dellesostanze chimiche e sui possibili residuirischi per l’uomo e l’ambiente, mediantestrumenti informativi semplici, può inol-tre favorire un ciclo virtuoso di competi-tività e di capacità di innovazione nell’in-dustria chimica verso tipi di prodotti inlinea con uno sviluppo più sostenibile.

DESCRIZIONE DELL’ICSCNel 1980 tra WHO (World Healtl Orga-nization), ILO (International LabourOffice) e UNEP (United Nation Envi-ronment Programme) venne siglato un

accordo per la gestione degli effetti sani-tari ed ambientali, acuti e cronici, dovu-ti alla pericolosità delle sostanze chimi-che denominato IPCS (International Pro-gramme on Chemical Safety).In collaborazione con l’EU e con gliobbiettivi specifici dell’IPCS (effettuarevalutazioni, divulgare informazioni sulrischio da sostanze chimiche, promuovereuna cooperazione internazionale per leemergenze e gli incidenti causati dallesostanze chimiche), è stata costituita unabanca dati denominata ICSC (InternationalSafety Chemical Cards). A questo progettoaderiscono varie istituzioni europee e ame-ricane che si occupano di problemi emer-genti dalla pratica della medicina del lavo-ro, della tossicologia e della prevenzionein generale. Questo database è formato daschede informative, che, per ogni sostan-za, comprendono informazioni:• sulle caratteristiche chimico-fisiche; • sulle vie di esposizione ( inalatoria,cutanea, oculare, investiva);• sugli effetti sanitari a breve e lungo ter-mine, sulla pericolosità ambientale; • sui rischi e sulle relative misure di pre-venzione per: incendio e esplosione;• sull’imballaggio, immagazzinamento,etichettatura e trasporto.Come per la maggior parte dei databasenon specifici, le schede non sono esaustivedi tutti i problemi che possono verificarsinelle diverse situazioni, ma possono dareuna conoscenza di base per gestire in manie-ra transitoria l’emergenza di quel momentospecifico, oppure per un approfondimentosui pericoli connessi all’uso di una partico-lare sostanza. D’altronde le schede sono ilrisultato di un processo valutativo sulleinformazioni e sui dati scientifici disponibi-li che prevede diversi confronti e step divalutazione che coinvolgono diversiEnti/Organizzazioni, comprese quelle degliindustriali e quelle sindacali.

Le schede sono suddivise in undicisezioni e le sostanze vengono scelte dauna lista predefinita, fornita da IPCS,privilegiando quelle che hanno maggiorivolumi di produzione oppure quellesostanze che coinvolgono popolazioni,lavorative o non, potenzialmente espo-ste. Altro fattore determinante la scelta èil grado di pericolosità della sostanza. Per poter essere il più possibile semplici ecomprensibili, le schede vengono redatteutilizzando una serie di frasi (frasi stan-dard in Inglese), già codificate e specifi-che per ogni sezione in cui la scheda sidivide. Ogni Istituto/Ente estensore utiliz-za solo queste frasi per redigere la schedaselezionando quelle corrispondenti allecaratteristiche e proprietà della sostanza inesame e, a cadenza semestrale, sottoponeil suo lavoro alla discussione degli altriIstituti/Enti che partecipano al progetto. Èfattore qualificante il fatto che la emissio-ne di una scheda non è il frutto di un sin-golo, ma è condiviso da altri (Peer-Review). L’uso di frasi standard facilitaanche la divulgazione delle informazioni,rendendo le schede omogenee fra di loro.Inoltre l’adozione di frasi semplici e diret-te, favorisce la possibilità di realizzareversioni in più lingue, facilmente confron-tabili fra di loro. La possibilità di esprime-re questi concetti in maniera chiara e nellalingua nazionale, facilita infine l’adozionedelle azioni di prevenzione/istruzionesoprattutto nei paesi meno sviluppati, men-tre nei paesi più industrializzati aiuta la dif-fusione delle informazioni, migliorando lapercezione e la gestione del rischio.Un appunto che viene fatto alle ICSC è che, adifferenza delle schede di sicurezza, esse nonhanno valore legale. Questo è vero, ma per unServizio avere a disposizione un archivioautorevole con 1364 sostanze chimiche e noninnumerevoli repertori di diverse Ditte produt-trici, può tradursi in un vantaggio. Bisognainfatti ricordare che l’estensione della schedadi sicurezza è a carico del produttore/importa-tore, mentre le ICSC sono il frutto di un pro-cesso valutativo sulla qualità e scientificità deidati inseriti, con uniformità di linguaggio.Nelle schede ICSC, vengono forniteinformazioni più dettagliate sui mezzi dicontenimento in caso di sversamento, dicorretto stoccaggio delle sostanze, ripor-tando, infine, indicazioni relative allaetichettatura e al trasporto internazionale(classi di rischio, Transport Emergencycards, codice NFPA), che possono ren-dere più facile la ricerca di ulterioriinformazioni o permettere un controllopiù accurato della documentazione.La completezza e la validità delle schedeICSC è suffragata anche da un recentelavoro di analisi di database sulle sostanzechimiche, che colloca ICSC al quartoposto, su 22 database analizzati, per poten-za informativa dopo HSDB, IPCS-INCHEM e NTP.

a cura di G. Cotti,A.Armitano, D. Scala,

C.Visentin, F .Daris,P. Lauriola, M. Mariottini, C. Sala,

A.Andriuolo e P. Lambiase

LA BANCA DATI ICSC PER LA GESTIONE DELRISCHIO CHIMICO NEGLIAMBIENTI DI LAVORO

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A metà degli anni ’50 del secolo scorsola normativa italiana di igiene e sicurez-za del lavoro venne definita principal-mente con una serie di Decreti del Presi-dente della Repubblica i cui assi portan-ti furono il DPR 547/55 (sulla “sicurez-za del lavoro”) e il DPR 303/56 (sulla“igiene del lavoro”). I DPR di corredo aidue suddetti furono per certi versi diso-mogenei (ad esempio, per dimensionedel campo di applicazione: uno dedica-to a un campo vasto come l’edilizia e unaltro dedicato a un campo circoscrittocome l’industria cinematografica e dellatelevisione), ma rispondevano a unimpianto e una “filosofia” comuni e coe-renti. Altre norme specifiche regolaronol’uso e/o la dismissione di singoli agentiquali la biacca di piombo, il benzene, ilquarzo e l’amianto.

Dall’inizio degli anni ’90 si è aperta unastagione di recepimento (tramite DecretiLegislativi) di direttive della Comunità

LA BANCA DATI IN ITALIANOPer favorire la diffusione di questo stru-mento informativo, l’Area di Epidemio-logia Ambientale, partecipando a pienotitolo alla redazione di schede, ha coordi-nato un Gruppo di lavoro composto daoperatori dalle ARPA delle regioni Cam-pania, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia,Marche, Piemonte, Toscana e Veneto. Ilgruppo ha tradotto e reso disponibile, laversione italiana delle schede ICSC, sulsito internet del NIOSH(www.cdc.gov/niosh/ipcs/icstart.html)che rende disponibile, per conto del-l’IPCS, le versioni nelle diverse linguenazionali delle schede. È, inoltre, previ-sto un aggiornamento annuale del la tra-duzione in Cd-Rom

CONCLUSIONIRiteniamo con questa traduzione di averpredisposto uno strumento nuovo, di facilelettura e consultazione per tutti gli operato-ri che possono essere chiamati a risponde-re in caso di “emergenze” , sia della Sanitàche dell’Ambiente, compresi anche i Vigi-li del Fuoco e la Protezione Civile.Nel campo specifico della Medicina delLavoro, le schede forniscono informazio-ni su una serie di effetti sanitari a breve ea lungo termine, sui pericoli chimici, suimetodi di prevenzione/pronto soccorsoche possono aiutare l’operatore a prende-re decisioni in tempi molto brevi. Non va,inoltre, dimenticato che oltre all’etichet-tatura europea, vengono riportate anchecodici di classificazione USA (NFPA),UN e da ultimo il riferimento corretto alleTEC (Transport Emergency Card).Infine, per rispondere al quesito: “Cosame ne faccio di uno strumento che con-tiene informazioni presenti nella schedadi sicurezza? che è obbligatoria perlegge?”, riteniamo che l’organizzazionedei dati, l’uso di frasi semplici e com-prensibili da chiunque e comunque il pro-cesso valutativo delle informazioni inse-rite, rendono molto più agevole l’uso el’utilizzo di queste schede, senza toglierenulla a strumenti informativi e legislativigià in possesso dei vari enti(?).

G. Cotti(1), A. Armitano(2), D. Scala(3),C. Visentin(4), F. Daris(5), P. Lauriola(1),

M. Mariottini(6), C. Sala(7),A. Andriuolo(8) e P. Lambiase(8)

Arpa (1)Emilia-Romagna (2)Piemonte

(3)Toscana (4)Veneto (5)Friuli-Venezia Giulia

(6)Marche (7)Lombardia (8)Campania

Europea, inaugurata dal DLgs 277/91relativo a piombo, rumore e amianto ealla ri-definizione e normazione dellafigura del “medico competente” che erastata istituita dal DPR 303/56. L’assecentrale del percorso era ed è costituitodal DLgs 626/94, che ha stabilito unnuovo impianto regolatorio generale.Peraltro, il persistere delle vecchienorme (in parte modificate o abrogate) afianco di quelle recenti e il pressochécontinuo processo di revisione del DLgs626/94, avviatosi già dal 1996, hannocreato una piccola giungla di norme ereali difficoltà di conoscenza, compren-sione ed applicazione delle medesime.

L’esigenza di un “testo unico” che sem-plifichi la programmazione e la gestionequotidiana della prevenzione negliambienti di lavoro è per questi motivisentita da tempo, in modo diffuso e daparte di chiunque opera nel mondo ita-liano della prevenzione. Al seguito (e al

a cura diRoberto Calisti

IL PROGETTO GOVERNATIVODI TESTO UNICO PER LA PREVENZIONE NEGLIAMBIENTI DI LAVORO

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INFO

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IVE

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coperto) della “motrice” della semplifi-cazione e della riduzione degli obblighimeramente formali viaggia peraltroanche la volontà di numerosi soggetti, diparte sia istituzionale sia imprenditoria-le, affinché venga alleggeriti in misuraimportante la posizione di garanzia deidatori di lavoro nei confronti dei lavora-tori loro dipendenti (o assimilabili a lorodipendenti) e gli obblighi sostanziali chene conseguono.

Alcuni anni or sono, il lavoro della com-missione guidata dal prof. Smuragliafornì tutti gli elementi tecnici e giuridiciper una revisione legislativa che salvas-se le esigenze di linearità, efficacia edeconomicità del “sistema prevenzionenegli ambienti di lavoro” rafforzandoneil sistema di garanzie e la finalizzazioneall’efficacia. Tale lavoro rimase peraltrosenza esito compiuto nelle sedi parla-mentari e governative di allora. Ora, ilprogetto di “testo unico” avanzato dalgoverno attuale (in una prima versionedatata 13 ottobre 2004, seguita da unaseconda poco diversa a novembre) simuove in direzione affatto diversa daquella prefigurata dalla “CommissioneSmuraglia”.

CONSIDERAZIONIGENERALIIl “testo unico” del governo attuale pre-senta caratteri complessivi da leggersianche in modo integrato con la sua rela-zione di accompagnamento e con alcuneevidenze di cronaca: li si riassume diseguito.

a) Il campo di applicazione della norma-tiva prevenzionistica si vuole esteso afigure sinora escluse dalla tutela di legge(come i lavoratori autonomi). Però c’è unperò: dal computo degli addetti in base alquale un’azienda può essere definitatanto “piccola” da venire esentata damolti obblighi, vengono escluse tipologiedi lavoratori importanti sia dal punto divista della consistenza numerica sia daquella dei rischi a cui sono esposti. Nelcalcolo per la definizione della “dimen-sione aziendale” l’art. 4 esclude infatti:gli studenti, anche quando facciano usodi apparecchiature di laboratorio, mac-chine, “agenti chimici, fisici e biologici”;i lavoratori a progetto e simili in regimetemporaneo e più o meno precario, sem-pre più presenti nel mercato del lavoroitaliano; gli stagisti; i volontari tout-court; in molti e importanti casi, gli sta-gionali (quando, per essi, basterebbe chevenissero tenuti computi differenziati perle diverse stagioni dell’anno e, laddoveserva un contatore unico della dimensio-

ne aziendale, dare una media ponderatadella manodopera nel corso dell’anno).

b) La riforma conseguente all’approva-zione del “testo unico” dovrà attuarsi “acosto zero” per lo Stato e per gli altrisoggetti pubblici coinvolti, quindi senzaalcun investimento aggiuntivo rispettoalla piattissima situazione attuale.

c) Le funzioni di programmazione, indi-rizzo e verifica delle attività di preven-zione negli ambienti di lavoro italianivengono fortemente riportate in capo alMinistero del Lavoro (con un sostanzialedisimpegno del Ministero della Salute).

d) A ciò (con un’unica eccezione: ci sitornerà più avanti) si affianca un forteridimensionamento del ruolo delleRegioni e Provincie Autonome e del loroCoordinamento, in termini sia di consul-tazione sia di proposizione attiva.

e) Viene affermato un ruolo relazionalerilevante degli organismi bilaterali costi-tuiti o da costituirsi tra associazioniimprenditoriali e sindacati dei lavoratori(per quanto detto più sopra, conservandoi costi necessari al funzionamento di taliorganismi in capo a chi dovrebbe soste-nerli già oggi, cioè le imprese: si consi-deri che proprio tali costi hanno forte-mente limitato le adesioni della partedatoriale a questi organismi, così che difatto essi, che si sia d’accordo o meno sucosa devono essere e cosa devono fare,nella maggior parte delle realtà del nostroPaese esistono soltanto sulla carta).

f) Vengono fortemente ridimensionati gliobblighi dei datori di lavoro: su ciò sitornerà in dettaglio più oltre.

g) In base all’art. 12 risultano moltotenui gli obblighi di fabbricanti e forni-tori (ad esempio, nulla si stabilisce aquesto punto riguardo a loro obblighi difornire automaticamente le schede disicurezza – SDS - di sostanze e prepara-ti, senza necessità di un’esplicita richie-sta dell’acquirente, e altresì di fornire, arichiesta dell’acquirente medesimo, unquid di informazione in più).

h) Seppure per una frazione molto pic-cola del totale di ciò di cui vengonoalleggeriti i datori di lavoro, vengonomaggiormente responsabilizzati i diri-genti e i preposti.

i) Viene ridimensionata l’autonomiaoperativa dei Responsabili dei Servizi diPrevenzione e Protezione aziendali(RSPP).

j) Il ruolo dei “medici competenti” vieneappiattito verso una produzione seriale

di viste mediche e, soprattutto, di giudi-zi di idoneità come esito e scopo dichia-ratamente principale di ogni loro accer-tamento sulla persona (diviene flebile lafunzione del “medico competente” nellavalutazione dei rischi e nella ricerca eproposta di soluzioni, ad esempio ergo-nomiche, riguardo ai problemi eviden-ziati). Perlomeno l’art. 6 chiarisce che lasorveglianza sanitaria non diviene unamisura generale di prevenzione: quindila si può e la si deve fare se serve, noncome automatismo afinalistico.

k) Viene fortemente ridimensionato ilruolo dei Rappresentanti dei Lavoratoriper la Sicurezza (RLS), anche con unoslittamento semantico nella loro denomi-nazione che diverrebbe quella, semplice-mente, di Rappresentanti per la Sicurez-za (RL). E’ verosimile che si intendariportare queste figure da una posizionecentrale di consultazione e ricerca con-giunta di soluzioni a una funzione “sin-dacale subodinata”, di esclusiva naturacontrattualistico-rivendicativa (la con-sultazione degli “RS”, già gravata da uncerto ritualismo nell’impianto attuale,sembra venire ulteriormente ritualizzatae svuotata di importanza; essi nemmenopotrebbero più ricevere copia del docu-mento di valutazione dei rischi redattodal datore di lavoro).

l) Viene mantenuta una molteplicità diorgani di vigilanza, pur con un ruolo pre-minente dei Servizi per la Prevenzione eSicurezza negli Ambienti di Lavoro delleASL. Non compare alcuna norma chesostituisca l’art. 64 del DPR 303/56, ilquale chiariva i poteri dell’organo divigilanza in termini di accesso ai luoghidi lavoro e alla documentazione esistente(compresa quella sanitaria individuale)nonché di richiesta di dati ulteriori e, sedel caso, di visite mirate al rischio per ilavoratori esposti: ciò certo non aiuta lachiarezza e la semplificazione normativa.

m) Viene chiarito e valorizzato il ruolodella disposizione, quale ordine ammini-strativo impartito dall’organo di vigilan-za per risolvere problemi prevenzionisti-ci quando non vi sia violazione di legge.Intuitivamente vale il principio cheavverso un ordine amministrativo sonoammessi sia il ricorso per il merito siaquello per la forma dell’atto. Il secondocomma dell’art. 2 lascia intendere, manon chiarisce espressamente chi sia l’au-torità gerarchicamente sovraordinataall’organo di vigilanza ASL alla qualesarà possibile fare ricorso amministrati-vo avverso la disposizione: sarebbe utiledire esplicitamente che esso è il presi-dente della Giunta Regionale ovverodella Giunta della Provincia Autonoma.Anche riguardo al ricorso avverso la

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• Il terzo comma dell’art. 3 garantisce ailavoratori a domicilio, da parte del dato-re di lavoro, solo informazione, forma-zione e dispositivi di protezione indivi-duale (DPI), senza tener conto del fattoche molto spesso essi ricevono non soloattrezzature, ma anche sostanze e prepa-rati (ad esempio, nel caso delle orlatricidi tomaie: collanti, agenti di pulizia eritocco); sarebbe necessario prevedereuna norma di tutela affinché chi fornisceloro sostanze e preparati sia anche tenu-to a fornirglieli sicuri, etichettati come sideve, corredati da “buone” schede disicurezza (SDS).

• Riguardo all’art. 7 nel suo complesso:gli obblighi dei dirigenti appaiono neltitolo, ma non nel testo salvo che inmodo un po’ ambiguo all’inizio delcomma secondo; è, seppur ridotto, lostesso difetto delle “vecchie” norme dilegge che qui si trascina: andrebbe cor-retto. Soprattutto, andrebbe chiaritobene chi sono quei dirigenti che di fattovicariano il datore di lavoro, comevanno nominati, quali sono i confinidelle loro attribuzioni e quali sono glistrumenti finanziari e di comando di cuidevono essere dotati affinché il loroincarico ai fini di garanzia della salute edella sicurezza dei lavoratori sia validoed efficace (non è logico attendere nel-l’incertezza che maturi una nuova giuri-sprudenza in materia e, comunque, nonsi capisce perché si debba rimandarealla giurisprudenza una definizione chesi può chiarire in poche righe di testo dilegge).

forma dell’atto amministrativo risponde-rebbe a una coerente logica di semplifi-cazione e trasparenza esplicitare che ilcorrispondente ricorso va inoltrato alTribunale Amministrativo Regionale osuo equivalente.

n) Il sistema sanzionatorio configuratodal DLgs 758/94 resta in vigore, anchese il “testo unico” non ne fa espressamenzione (al che si potrebbe facilmenterimediare tramite un articolo di “raccor-do” immediatamente antecedente quellosulla disposizione).

OBBLIGHI DEI DATORI DILAVORO E DEI DIRIGENTIRiguardo alla apparente e “sola“ sempli-ficazione degli obblighi dei datori dilavoro (in realtà, come si è accennato, alforte alleggerimento di quelli sostanzialiben più che di quelli burocratico-forma-li), si evidenziano diversi punti critici.

• Le regole dettate dai DPR degli anni ’50e dai DLgs degli anni ’90 del secolo scor-so vengono derubricate a norme di “buonatecnica” e di “buona prassi”: per certe coseè una misura di buon senso, per altre undisastro. Ma c’è anche una novità impor-tante e positiva (una delle poche): tramitel’art. 5 lettera m, le soluzioni organizzativee procedurali “raccolte e validate dalleRegioni” (quindi, a logica, le linee-guidada loro elaborate e ancor più quelle elabo-rate dal loro Coordinamento) divengono“buone prassi” ai sensi di legge.

• Con il primo comma dell’art. 7 sempli-cemente scompare ciò che costituiva la“lettera c)” del secondo comma dell’art.4 del DLgs 626/94, vale a dire l’obbligodel datore di lavoro di stabilire in modoformalizzato un “programma per ilmiglioramento nel tempo dei livelli disalute e sicurezza dei lavoratori”: è cosagrave e sommamente improduttiva per il“sistema impresa”, grave e sommamenteingiusta per i lavoratori. Pare che siastato assunto acriticamente (e con scarsosenso della realtà) il principio che, sicco-me il datore di lavoro dovrebbe aver giàfatto / fare “qui ed ora” il meglio che siapossibile, gli sia poi impossibile pro-grammare per iscritto miglioramenti disorta, senza di fatto auto-denunciarsi perviolazione delle norme prevenzionistiche(ovviamente, i miglioramenti in realtà sipuò e si deve farli: ma a questo punto, dinascosto). Ciò significa immaginare, inun’ottica formalmente rigorista ma cheammette il lassismo e il raccontar fole neifatti, che, non appena la scienza e/o latecnologia hanno scoperto un nuovorischio e/o proposto qualche interventoefficace, ipso facto ciò debba essere /venga tradotto in conseguenze compiuteda chiunque, ovunque e soprattutto conun intervallo di induzione-latenza pari azero (niente tempi di ricerca di mercato econfronto tra soluzioni alternative, diprogettazione, di realizzazione, di collau-do, di verifica di efficacia post-factum).In ogni caso: è grave che la violazionedel primo comma dell’art. 7 non sia san-zionata (vedi l’art. 174 comma secondolettera a).

• Ma ancor più del documento di valuta-zione dei rischi è il processo di valuta-zione dei rischi che, secondo il testounico governativo, risulta banalizzato esvuotato. Ciò che di buono hanno fatto aquesto riguardo, negli ultimi dieci anni,molte aziende grandi, medie e piccole(investendo risorse quali soldi, tempo,intelligenza) risulterà non più necessa-rio: quindi sono loro che verranno pena-lizzate e messe sullo stesso piano diquelle che hanno prodotto solo processidi valutazione mimati e documenti divalutazione clonati. Ad esempio, per ilrischio chimico con il testo unico gover-nativo scompaiono molti obblighi meto-dologici di valutazione igienistico-indu-striale scientificamente rigorosa: ed èquesta la vera novità, ben più del (sololessicale) superamento del concetto di“rischio chimico moderato”. Del resto,ciò va di pari passo con l’attenuazione,nel testo unico governativo, dell’obbligodi aspirare gli inquinanti alla fonte e disostituire gli agenti pericolosi con quelliche non lo sono o lo sono meno, mentrelo standard di riferimento obbligatoriodiviene non più il meglio offerto dalla

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tecnica ma quello che “mediamente”viene fatto in un dato comparto produtti-vo, in una certa epoca, in uno specificocontesto. Unica prospettiva positiva:dovrebbe ridursi il mercato dei consu-lenti inventati, perché per scaricare unfile-matrice, apporvi il logo e i dati ana-grafici di un’azienda e chiamarlo “docu-mento di valutazione dei rischi” moltidatori di lavoro imparerebbero a cavar-sela da soli, senza dover pagare un“esperto” esterno.

• Al secondo comma dell’art. 7 la listadegli obblighi del datore di lavoro (o deldirigente, come detto più sopra definitoin modo un po’ vago e comunque ambi-guo) risulta ancor più disordinata e diso-mogenea che nel DLgs 626/94; obblighigenerali e “grandi” vengono messi sullostesso piano gerarchico di adempimentiapplicativi quali la regolare tenuta delregistro degli infortuni; l’ordine degliobblighi in lista non ha alcuna sequen-zialità cronologica e soprattutto logica;ci sono sia ridondanze sia “buchi”. Siespone di seguito una serie di rilievi cri-tici. La voce “(i datori di lavoro devono)aggiornare le misure di prevenzione inrelazione ai mutamenti organizzativi eproduttivi che hanno rilevanza ai finidella salute e della sicurezza del lavoro,o in relazione al grado di evoluzionedella tecnica della prevenzione e dellaprotezione, secondo le applicazioni tec-nologiche generalmente praticate nelsettore di attività dell’azienda o dell’u-nità produttiva” dovrebbe essere laprima della lista ed esordire, prima delverbo “aggiornare”, con un bel verbo“attuare”. Tra “in relazione ai mutamen-ti organizzativi e produttivi che hannorilevanza ai fini della salute e della sicu-rezza del lavoro” e “in relazione algrado di evoluzione della tecnica dellaprevenzione e della protezione” dovreb-be esserci una e congiuntiva, non una oalternativa. Tra le fonti che determinanola necessità dell’aggiornamento dovreb-bero esservi non solo “l’evoluzione dellatecnica della prevenzione e della prote-zione”, ma anche “l’evoluzione delleconoscenze sui rischi prodotte e socializ-zate dalla comunità scientifica”. “L’evo-luzione della tecnica della prevenzione edella protezione” di cui è obbligatoriotener conto dovrebbe essere non soloquella limitata alle “applicazioni tecno-logiche generalmente praticate nel set-tore di attività dell’azienda o dell’unitàproduttiva”, ma quella della miglior tec-nica concretamente disponibile. L’obbli-go di nominare il medico competentenon dovrebbe essere finalizzato solo allasorveglianza sanitaria, ma ad ogni esi-genza di valutazione che comporti lanecessità di una competenza sanitariaspecialistica. Tra gli obblighi della lista

vi dovrebbe essere quello di fornire alRSPP e al medico competente (quandola sua presenza è utile) informazioni edocumentazione necessari a un correttosvolgimento del loro ruolo. Tra gli obbli-ghi della lista vi dovrebbe essere quellodella consultazione: del RSPP, del medi-co competente (quando la sua presenza èutile), del RLS/RS. In ogni caso: è graveche la violazione del secondo commadell’art. sia sanzionata solo per alcunevoci (vedi l’art. 174 comma secondo let-tera a).

• Non compare nulla che assomigliall’art. 48 del DPR 303/56, che prevedel’obbligo di notifica preventiva dell’a-pertura, modifica o ampliamento di atti-vità lavorative con (presumibilmente)più di tre operai: questa norma configu-ra un momento pressoché unico di inter-locuzione “soft” tra aziende e organo divigilanza e fornisce uno strumento diprevenzione efficace ed economico (perquanto sporadicamente e male utilizzatodal 1956 ad oggi), per il fatto che con-sente di intervenire su progetti anzichésu strutture materiali e organizzazionigià realizzate. Qualora si cambiasse ideae si volesse mantenere qualcosa delgenere l’art. 48 del DPR 303/56 potreb-be essere aggiornato e chiarito, ad esem-pio, così: “Chi intende costruire,ampliare o modificare in maniera signi-ficativa la struttura e gli impianti di fab-bricati o parti di fabbricati da adibirsiad attività lavorative a cui è ragionevo-le presumere che saranno addetti più ditre lavoratori, è tenuto a darne notificaall’organo di vigilanza competente perterritorio prima dell’inizio delle attivitàmedesime. La notifica dovrà contenereinformazioni esaurienti circa la localiz-

zazione dell’attività, il fabbricato in cuiessa dovrebbe svolgersi, la natura dellelavorazioni e quanto altro richieda unavalutazione preliminare dei rischi aisensi di legge. Entro trenta giorni dallaricezione della notifica, l’organo di vigi-lanza può richiedere ulteriori informa-zioni che ritenga necessarie ed eventual-mente emanare prescrizioni amministra-tive del caso”.

• Art. 20: per la PREVENZIONE degliincendi sembra che non sia obbligatoriopiù nulla.

• Art. 26: perché mai, secondo il testounico governativo, i datori di lavorodovrebbero essere esentati dall’obbligo,oggi per buona regola vigente, di fornireagli RLS/RS il documento di valutazionedei rischi? Qualcuno obietta che il docu-mento può essere troppo voluminoso dafotocopiare e/o troppo ricco di “segretiindustriali” per poter essere divulgato agliRLS/RS: ma laddove problemi di questogenere ci fossero, per risolverli bastereb-be che, se il documento è troppo volumi-noso per essere fotocopiato, lo si conse-gni su supporto informatico e che, se essocontiene delle informazioni davveroriservate (per motivate e documentabiliesigenze di tutela del segreto industriale),la copia “socializzata” contenga degliomissis “mirati”.

Molti altri temi meritano commenti eticie tecnici, ma essi non possono essereesposti e discussi altri che in testi benpiù ampi di una scheda introduttiva.Quindi, per ora, ci fermiamo qui.

Roberto CalistiSNOP Marche