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i-lex Scienze Giuridiche, Scienze Cognitive e Intelligenza Artificiale Rivista quadrimestrale on-line: www.i-lex.it
Novembre 2006, numero 5-6
‘ARTIFICIALE’ VERSUS ‘ARTIFICIOSO’ (SAGGIO PERLUSTRATIVO SU ESTETICA E DIRITTO)*
Daniele M. Cananzi∗∗
Abstract: Inserendosi in una ricerca di più ampio respiro volta a svelare la
dimensione estetica del diritto, questo saggio delinea la differenziazione tra due
livelli di qualificazione del diritto – ‘artificiale’ ed ‘artificioso’ – nel tentativo di
dare fondamento teoretico all’espressione ‘ars juris’. Accostare l’arte al diritto,
oltre ad una ragione meramente retorica, sollecita alcune questioni inerenti a
quella che in queste pagine si nomina ‘poetica’ del diritto: il diritto è un’arte
oppure è come l’arte? Cosa significa che il giurista è un artista? Come è possibile
qualificare la libertà rispetto al formare dell’arte giuridica? L’argomentazione che
avvia una risposta a queste e ad altre questioni distinguendo i due livelli
interpretativi del diritto, approfondisce in particolar modo il rapporto tra l’opera
giuridica e la sua forma specificandone la dimensione temporale attraverso
l’archetipo narrativo (temporalità narrativa) e la struttura formante (formatività
estetica). Parlare di estetica delle forme giuridiche, nell’ottica dell’artificialità non
artificiosa del diritto, significa – nei termini di questo studio – chiarificare la
differenziazione esistenziale che rende l’uomo soggetto di diritto in tal modo
aprendo alla libertà dell’arbitrio (artificiale) senza scadere nell’arbitrarietà della
contingenza (artificioso). Si illumina così quel plesso genealogico del diritto
istituito nella relazione di reciproca essenzialità tra il Vero, il Bello ed il Giusto, i
fondamentali per una filosofia del diritto esistenzialmente fondata.
Parole chiave: diritto, estetica, formatività.
∗ Il presente studio – dedicato alla figura umana e scientifica di Francesco
Mercadante e destinato agli Scritti in suo onore – propone parte del materiale
presentato nel Corso integrativo di Filosofia del diritto tenuto, nell’a.a. 2005-
2006, presso l’Università di Cassino e prosegue il percorso argomentativo del
saggio ‘Zurück zu den Sachen selbst’: umanesimo giuridico ed estetica del
diritto, apparso in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2006, n. 1, pp.
55-85.
** Ricercatore nell’Università di Roma ‘La Sapienza’.
'Artificiale' versus 'Artificioso'
1. Il plesso speculativo dell’estetica giuridica Non è mai mancata un’applicazione – più o meno metaforica – della
sfera dell’arte ai vari ambiti del vivere umano ed ai settori del suo fattivo manifestarsi che non sono immediatamente vicini alla questione del bello o alla ‘luce’ più propriamente estetica.
Questo è valso anche – ed in modo non secondario – per il diritto. Celso, uno dei massimi giuristi sotto il regno di Adriano, ha definito il
diritto come ‘ars boni et aequi’1, riprendendo e al contempo avviando una serie ininterrotta di importanti contributi che hanno manifestato il disagio, nella letteratura di ogni tempo, per la riduzione del fenomeno giuridico entro il semplice ‘dato’ normativo2.
Ad una tale modalità qualificativa, comunemente, ha corrisposto l’individuazione dell’attività artistica come quella che, rifuggendo il confinamento nell’esattezza della scienza, trova il proprio fondamento nella genialità dell’uomo che, con la propria ‘bizzarria’, rende le tinte forti della creatività3; ed è proprio in tal senso che si è spesso parlato anche del giurista quale artista e dello stesso diritto quale arte.
Eppure, anche con riguardo a problemi – ad esempio – della matematica o della fisica si suole parlare di una ‘elegante soluzione’, di una ‘bella dimostrazione’; facendo così valere il lessico estetico anche nei confronti di quella ‘completezza’ data non nel linguaggio ‘creativo’, tipico dell’arte, ma in quello ‘numerico’, tipico della scienza4.
1 D. I, 1, 1. Riferimenti essenziali alla letteratura sono contenuti nella nota
bibliografica; fra gli altri cfr. H. TRIELP, Vom Stil des Rechts. Beiträge zur einer
Ästhetik des Rechts, Heidelberg, 1947, p. 11 ss.; G. MAGGIORE, Estetica del
diritto, in Studi giuridici in onore di Francesco Carnelutti, vol. I, Milano, 1950,
pp. 275-294. 2 Particolarmente significativa la cosiddetta polemica sui concetti giuridici
divampata nel decennio 1935-1945; cfr. G. CALOGERO - W. CESARINI SFORZA - A.C.
JEMOLO - S. PUGLIATTI, La polemica sui concetti giuridici, Milano, 2004. 3 Di primo interesse appare quella declinazione dell’estetica che trova un
importante interprete in Paul Valéry. Il riferimento principale che si assume in
questo studio è la teoria della formatività di Luigi Pareyson che non ha mancato
di approfondire l’estetica di Valéry; in questo senso cfr. L. PAREYSON, Problemi
dell’estetica, vol. 2, Milano, 2000, spec. p. 37 ss.; ID., Estetica. Teoria della
formatività, Milano, 1988. 4 Sulla distinzione tra pensare poetico e pensare scientifico cfr. M. HEIDEGGER,
Parmenide, Milano, 1999, pp. 34-35 e vd. infra, § 3, 4.
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Daniele M. Cananzi
Proprio il diritto appare in tal senso l’ambito privilegiato nel quale queste considerazioni – anche nella loro apparente contrapposizione – possono trovare proficua discussione. Emblematico, a esemplificazione di ciò, sembra il numero di volte assai elevato in cui la parola ‘arte’ viene scritta da Theodor Viehweg in Topica e giurisprudenza5, con i riferimenti più vari che vanno dalla topica classica (greca e romana), alla riflessione medioevale fino alla matematica leibniziana.
Tutto ciò spinge a cercare di delineare in modo più preciso l’ambito entro cui intendere espressioni quali l’arte, il bello, la forma; tutte riassunte nell’estetica6. Se è vero, infatti, che l’accostamento della dimensione artistica al fenomeno diritto non è nuova – come si è detto – né minima risulta essere la letteratura scientifica che la richiama7, pare ancora non compiuta un’analisi che, oltre un primo essenziale livello spesso intuitivo, colga i termini precisi di questa connessione8.
Un momento iniziale di questo percorso pare essere la chiarificazione lessicale che riguarda la cosiddetta artificialità del diritto. Se per alcuni versi questa espressione appartiene a quanti si richiamano specificatamente al positivismo giuridico, per altri versi essa chiede di essere filosoficamente pensata secondo una impostazione
5 T. VIEHWEG, Topica e giurisprudenza, Milano, 1962. 6 Questo è anche uno degli obiettivi di questo studio che si presenta, sin dal
titolo, come un primo momento di riflessione volto, principalmente, a scoprire i
confini entro cui discutere l’estetica giuridica. 7 Per non appesantire il testo, alcuni riferimenti essenziali sono raccolti nella
nota bibliografica che chiude il testo. 8 In questa direzione si muove il gruppo di studiosi raccolto attorno
all’Istituto di Filosofia del diritto dell’Università ‘La Sapienza’ ed appartenenti alla
scuola di Bruno Romano che, in direzioni di ricerca personali e diverse, da
qualche anno sempre più sistematicamente tratta del rapporto tra arte e tecnica
del diritto secondo lo strumentario teoretico della fenomenologia del diritto; cfr.
B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006.
Un primo tentativo di pensare filosoficamente il nesso tra estetica e diritto – i
riferimenti principali sono stati già indicati – è quello di P. LEGENDRE, Leçon I,
Paris, 1988, spec. p. 279 del quale non manca di dar approfonditamente conto
L. AVITABILE, La filosofia del diritto in Pierre Legendre, Torino, 2004, p. 203. Per
altri versi, tale nesso – nel medio della lettura kantiana di Hannah Arendt – è
intuito anche da P. RICOEUR, Il Giusto, Torino, 1998, p. 121 ss.; ID., La critica e
la convinzione, Milano, 1997, p. 254.
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fenomenologica che tenta di ‘far parlare la cosa stessa’9 del diritto, svelandone l’orizzonte veritativo del suo fondamento (§4).
Si ritiene così necessario segnare l’ambito nel quale pare possibile discutere propriamente di una estetica del diritto chiarendo la distinzione lessical-teoretica tra ‘artificiale’ ed ‘artificioso’. Con questi lemmi si intendono – almeno questa è la tesi dello studio – due differenti qualificazioni del diritto che lo colgono ‘in quanto tale’ o ‘per se stesso’10, quale fenomeno o quale fatto11.
Si tratta allora di chiarire una duplice presa di distanza che l’estetica del diritto comporta: da un lato, nei confronti di una qualificazione ‘naturalistica’ del fondamento giuridico (§2), dall’altro lato, nei confronti di una qualificazione ‘arbitraria’ dell’attività giuridica (§3).
Il nucleo teoretico dal quale si intende muovere in tal senso è quello dell’umanità del diritto e, dunque, di un diritto in-formato alla “libertà dell’arbitrio”12 e non al “caos della necessità”13. La convinzione, che si argomenterà nel corso dello studio, è quella per la quale tra ‘artificiale’ ed ‘artificioso’ c’è lo stesso rapporto che lega ‘arbitrio’ ed ‘arbitrario’
9 Si richiama così esplicitamente quel modo di intendere l’interrogazione
filosofica che si raccoglie nella nota massima ‘andare alle cose stesse’, qui intesa
nella direzione heideggeriana; in particolare la nota ‘amara’ con la quale
Heidegger ne introduce una sua discussione appare particolarmente attuale: “La
massima fenomenologica suona: ‘alle cose stesse’, ed è pronunciata contro la
costruzione e contro l’interrogare sospeso in aria nei concetti tradizionali, che
cioè sono diventati sempre più privi di terreno. Il fatto che questa massima
rappresenti qualcosa di ovvio e che tuttavia sia stato necessario farla diventare
esplicitamente appello di lotta contro il pensare sospeso in aria, caratterizza
appunto la situazione della filosofia”, M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del
concetto di tempo, Genova, 1979, pp. 95-96. Sull’ambientazione filosofica della
massima, nelle due direzioni husserliana e heideggeriana, cfr. E. HUSSERL - M.
HEIDEGGER, Fenomenologia, Milano, 1999, p. 235 ss.; F.-W. VON HERRMANN, Il
concetto di fenomenologia in Heidegger e Husserl, Genova, 1997, p. 34 ss. 10 Vd. il mio Interpretazione Alterità Giustizia. Il diritto tra verità e bellezza.
Saggio sul pensiero di Paul Ricoeur, Torino, 2006, spec. Parte III, in corso di
stampa (ed. provv. Diritto Linguaggio Interpretazione, Torino, 2004). 11 La distinzione è operata, a partire da Hegel e Heidegger, da B. ROMANO,
Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2002, p. 166 ss. 12 K. JASPERS, Filosofia, vol. 2, Milano, 1978, p. 165. 13 Romano richiama questa formula nietzschiana pensata criticamente da
Heidegger e Jaspers; cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il
nichilismo ‘perfetto’, cit., p. 8.
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perché ciò che è creato con libero arbitrio è la forma-formante dell’opera artificiale, ciò che è posto dall’arbitraria contingenza rimane nel nulla volontaristico dell’artificiosa forma-formata.
2. Naturalismo giuridico e formatività del diritto
L’accezione entro cui si intende trattare di arte può essere ricercata a
partire da un momento particolarmente intenso di Jean-Jacques Rousseau: “La costituzione dell’uomo è opera della natura; quella dello Stato è opera dell’arte”14.
Carla Amadio, che con profitto muove la sua recente analisi da questa breve proposizione15, non manca di sottolineare come la contrapposizione tra ‘natura’ e ‘arte’ legittima e spinge ad indagare la differenza tra gli ambiti che vi si riconnettono: l’aspetto biologico-vitale e l’artificialità degli esiti della creatività umana.
Una differenziazione che viene precisata da Benedetto Croce, con riferimento all’artificialità non meramente imitativa della creazione artististica: “La poesia non può copiare o imitare il sentimento, perché questo, che ha forma in sé, per sua sfera, non ha forma innanzi a lei, non è innanzi a lei niente di determinato, ma è il caos e, poiché il caos è un semplice momento negativo, è il nulla. La poesia crea essa, come ogni altra attività spirituale, con la soluzione il problema, con la forma il contenuto, che non è materia informe ma formata”16.
Con le parole di Rousseau e Croce si può avviare una riflessione sull’artificialità dell’arte e dell’estetica giuridica che parta da una prima presa di distanza dalle attività di carattere naturale – e, dunque, di mera ‘ripetizione’ – per avviare un percorso a partire dalla forma ‘posta’, ‘invenzione’17. La poesia – che come testo creativo bene rappresenta quel nesso dell’arte con il diritto (anch’esso espresso nella fattualità del testo normativo) – diviene ‘arte’ nel momento in cui il suo verso ‘forma’
14 J.G. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Milano, 1965, p. 91. 15 Cfr. C. AMADIO, La politica tra arte e tecnica, Torino, 2003, p. 3. 16 B. CROCE, La poesia, Milano, 1994, p. 18. 17 Si preciserà progressivamente la differenziazione tra ‘creazione’ e
‘creatività’ (§3, 4); una differenziazione essenziale per qualificare l’estetica, e
dunque l’estetica del diritto.
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ovvero toglie dall’informe ed istituisce ‘un’ senso, un Testo18, immediatamente però esposto al ‘conflitto delle interpretazioni’19.
Se, secondo l’analisi di Amadio, si può rintracciare un collegamento forte tra politica e arte, entrambe accomunate dall’essere realtà artificiali, è anche a maggior ragione possibile trovare il legame che connette strettamente quest’ultima, l’arte, al diritto; anch’esso ‘locus artificialis’20.
Sostenere questa posizione significa, innanzi tutto e con forza teoretica, manifestare l’intenzione – che nel prosieguo di tutto il lavoro troverà argomentazione e conferma – di abbandonare ogni ipotesi di ‘naturalismo’ giuridico che intenda indifferenti gli enti mondani confusi nella “omogeneità tra tutto ciò che avviene”21; significa qualificare la mondanità come condizione dell’infinita finitudine e della finita infinitudine dell’uomo.
Un percorso, questo, che può muovere dalla differenziazione fenomenologica che Heidegger propone nel Corso tenuto a Friburgo nel 1929-193022 circa il mondanizzarsi dell’uomo. Come nota Heidegger, la finitezza è “il modo fondamentale del nostro essere” mediante il quale l’uomo, e solo l’uomo, è capace di cogliere il mondo “in quanto tale”, ed in quanto tale, “nella sua totalità”23.
18 La struttura narrativa dell’identità umana e la struttura testuale delle
forme anche sociali sono, in modo indipendente ma vicino, approfondite da P.
RICOEUR, Tempo e racconto, 3 voll., Milano, 2001 - 1994 - 1999 e P. LEGENDRE,
De la société comme Texte, Paris, 2001. Vd. infra, §4. 19 La formula è di P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Milano, 1985.
Centrale – anche per l’ulteriore sviluppo delle linee tematiche qui tratteggiate –
l’estetica della ricezione e l’estetica della lettura che sono trattate, recuperando
il senso del greco aisthesis, in ID., Tempo e racconto, vol. 1, cit., p. 126; vol. 2,
cit., p. 257. 20 L’espressione ritrova un fondamento teoretico coerente in N. IRTI, Società
civile, Milano, 1992, p. 107 ss.; ID., L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari,
2003, p. 11 ss.; ID., Norma e luoghi, Roma-Bari, 2001, p. 41; ID., Nichilismo
giuridico, Roma-Bari, 2004, p. 28; ma cfr. anche F. CARNELUTTI, Teoria generale
del diritto, Roma, 1951, p. 36; L. FERRAJOLI, Teoria assiomatizzata del diritto,
Milano, 1970, p. 21 ss.; G. PALOMBELLA, Diritto e artificio in David Hume, Milano,
1985; F. ROMEO, Il diritto artificiale, Torino, 2002. 21 F. NIETZSCHE, Volontà di potenza, Milano, 2001, p. 156. 22 Cfr. M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, Genova, 1999. 23 Ivi, pp. 12, 370.
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Seguire il filosofo tedesco significa muovere dalle tre tesi fondamentali che aprono la seconda parte del Corso, nelle quali si declina il rapportarsi degli enti nel Mondo:
— la pietra (l’ente-materiale) è senza mondo; — l’animale è povero di mondo; — l’uomo è formatore di mondo24. Definendo il Mondo quale “accessibilità dell’ente in quanto tale”25,
Heidegger rileva la differenza tra gli enti materiali che sono nel mondo ‘senza’ averne alcun accesso26; gli animali che hanno un accesso al mondo nella forma della ‘povertà’ – ovvero nelle modalità dell’esser-
24 Ivi, p. 232. Discutono queste tre tesi heideggeriane, B. ROMANO, Critica
della ragione procedurale, Roma, 1997, p. 31 ss.; J. DERRIDA, L’animal que donc
je suis, Paris, 2006, p. 193 ss. È particolarmente interessante notare come nel
1928 Max Scheler sviluppa la propria analisi dell’uomo come “enigmatico a se
stesso” tentando di chiarificare “la particolare posizione metafisica occupata
dall’uomo” nel cosmo muovendo dalla messa in discussione della
differenziazione con la pianta e l’animale; cfr. M. SCHELER, La Posizione dell’Uomo
nel Cosmo, Milano, 2004, p. 92 ss. (i luoghi ora ricordati sono a p. 90). In
particolare, Scheler concentra la propria attenzione sulla successione di livelli
dell’esser-interno (Innesein) riconosciuto ad ogni essere vivente, ed escluso ai
corpi inorganici, che culmina con la differenziazione dell’uomo rispetto ai viventi
non umani: l’uomo si trova così qualificato nell’apertura dell’Allmensch; è “‘libero
dall’ambiente-proprio’, il che significa ‘aperto al mondo’: un tale essere ha il
‘mondo’”, ivi, p. 121. Sarebbe interessante – ma anche eccedente il tema di
queste pagine – ricostruire il rapporto tra Scheler ed Heidegger, fatto è che
Heidegger dedica a Scheler Kant e il problema della metafisica e qui fa espresso
riferimento allo scritto scheleriano ora ricordato, La posizione dell’uomo nel
cosmo, ed a quello Sull’idea di uomo (inserito nella traduzione italiana di La
posizione dell’uomo nel cosmo, Roma, 1998); si segnala anche il riferimento
all’antropologia scheleriana contenuto in Essere e tempo. Cfr. M. HEIDEGGER, Kant
e il problema della metafisica, Roma-Bari, 2004, pp. 181-182; ID., Essere e
tempo, Milano, 1999, pp. 70, 178. 25 M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 341. Il carattere
dell’in quanto come accessibilità al mondo è discusso, muovendo da questo testo
heideggeriano, da Derrida che ne coglie il nesso con la condizione mortale; forse
per questo, proprio Derrida, arriva a concludere circa l’animalità dell’uomo
dando una interpretazione nietzscheana del ‘lasciar essere le cose’, inteso quale
spettacolo, e della morte, avvertita quale fine della vita che accomuna uomo e
animale. Cfr. J. DERRIDA, L’animal que donc je suis, cit., pp. 210 ss., 218-219. 26 Cfr. M. HEIDEGGER, ul. op. cit., pp. 255-257.
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aperto-per… e del non-entrare-in-relazione-con… che rendono il limite del ‘cerchio ambientale’ nel quale ogni animale svolge, eseguendo comportamenti, la propria vita27; gli uomini che hanno accesso al mondo ‘in quanto tale’ ec-sistendo nella formazione della propria libertà i quali, attraverso le proprie condotte, sono nel mondo e ‘formano’, ovvero danno forma ‘con’ e ‘per’ la relazione intersoggettiva28.
Tentare una chiarificazione in termini essenziali dell’artificialità del diritto significa – nei confini di questo studio – concentrare l’attenzione sulla formatività e sull’artisticità29 giuridica muovendo dal soggetto che al contempo ne è autore e utente; significa dunque tentare una chiarificazione dalla terza tesi heideggeriana: l’uomo è formatore di mondo.
Il “problema del mondo” è visto da Heidegger come, o in stretta connessione al, “problema della finitezza”30 ovvero dello svelamento, da parte dell’uomo, della verità velata31 che – nel mondo – si esprime attraverso la formazione (qui intesa quale fomatività) “dell’entrarvi-in -relazione nel senso del lasciar-essere e non essere ciò che viene incontro”32; la relazione nel mondo è qui la relazione dell’Esser-ci (Dasein, io/mondo) e del Con-Esserci (Mit-Dasein, sé/altro sé)33.
27 Cfr. ivi, pp. 253, 324, 344. 28 Cfr. ivi, p. 350 ss. Discute la differenza tra l’albero, l’animale e l’uomo
muovendo dai cosiddetti processi a piante ed animali L. FERRY, Le Nouvel Ordre
écologique, Paris, 1992. 29 Si intende formatività nel senso della tesi di L. PAREYSON, Estetica, cit., p.
23: “l’arte è pura formatività”. 30 M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 356. 31 Cfr. ID., L’essenza della verità, Milano, 2003, p. 35 (in particolare si legge:
“Che cosa è che i Greci chiamano ÃlghÉq (svelato, vero)? Non l’asserzione, né la
proposizione e nemmeno la conoscenza, ma l’ente stesso … L’ente pertanto deve
essere prima esperito anche nella sua sveltezza, come qualcosa che si
nasconde”); ID., Parmenide, cit., p. 39 ss. (in particolare si legge alle pp. 53,
57: “La dis-velatezza rinvia anzitutto alla ‘velatezza’. Dove c’è velatezza deve
accadere, o dev’essere accaduto un velamento … La ‘verità’ non è mai ‘in sé’, lì
presente da sé, ma va conquistata nel conflitto. La svelatezza è strappata alla
velatezza”). 32 ID., Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 350. 33 Vd. infra, §4, il nesso ora accennato tra verità, uomo e linguaggio anche
rispetto alle considerazioni di Heidegger: “L’uomo è quello che è proprio
testimoniando il proprio esserci … L’essere dell’uomo si fonda nel linguaggio
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È sulla base di queste due qualificazioni dell’essere-gettato-nel-mondo34 che può essere affrontato – con e oltre Heidegger – il problema della finitezza (Endlichkeit) e della solitudine (Einsamkeit, isolamento) dell’uomo nel mondo35, in tal modo considerando la specificità esistenziale dell’uomo rispetto agli altri enti mondani (ente materiale, animale) e la specificità del singolo uomo rispetto agli altri singoli uomini.
Da un lato, infatti, solo l’uomo è capace dell’essere-sospinto36 ad avere mondo ‘nella sua totalità’; scrive Heidegger: “Noi stessi siamo questo essere in-cammino, questo passaggio, questo ‘né l’una né l’altra cosa’. Cos’è questo oscillare qua e là tra il né-né? Non l’una cosa e neppure l’altra, questo ‘si e no e si’. Che cos’è questa inquietudine del non? La chiamiamo la finitezza”37. Dall’altro lato l’esser-sospinto verso la formatività mondana dell’avere mondo quale soggetto non può rimanere anonimamente generica e richiede che l’‘uomo’ si incarni in un ‘se stesso’38; chiarisce infatti il filosofo tedesco: “l’esser-ci – come lo intendo io – è sempre il mio … ci interrogheremo correttamente intorno all’uomo, solamente se ci interrogheremo nel modo giusto intorno a noi stessi … ogni interrogarsi dell’uomo intorno all’uomo è in primo e ultimo luogo una questione di esistenza dell’uomo di volta in volta impegnato …
(Sprache); ma questo accade (geschieht) autenticamente solo nel colloquio
(Gespräch), ID., La poesia di Hölderlin, Milano, 1988, pp. 44, 47. 34 Cfr. ID., Essere e tempo, cit., p. 76 ss. (in particolare, per quanto attiene
all’‘esser-gettato’ (Geworfenheit) si segnala – anticipando quanto poi si ritroverà
a proposito della temporalità-narrativa, §4 – il nesso col ‘progetto’ (Entwurf); si
legge a p. 228: “L’essere nel mondo è sempre già deietto. La quotidianità media
dell’Esserci può quindi essere determinata come l’essere-nel-mondo deiettivo-
aperto e gettato-progettante, per il quale, nel suo essere-presso il ‘mondo’ e nel
con-essere con gli altri, ne va del suo poter-esser più proprio”). 35 Emblematico il sottotitolo del Corso ‘29-‘30: Mondo – finitezza – solitudine. 36 Cfr. ID., Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 11. 37 Ivi, p. 12. 38 Una dimensione che si chiarisce ulteriormente e oltre al pensiero
heideggeriano con riferimento specifico alla riflessione di M. BUBER, Il principio
dialogico ed altri saggi, Milano, 1993, p. 73 ss.; J. DE FINANCE, L’affrontement de
l’autre, Roma, 1973, p. 6 ss.; P. RICOEUR, Sé come un altro, Milano, 1999, p. 211
ss.; su questi autori si segnalano gli studi giusfilosofici di B. ROMANO, Il diritto
strutturato come il discorso, Roma, 1994, p. 57 ss.; P. SAVARESE, Relazione
regola e diritto, Milano, 1990, p. 57 ss.; A. ARGIROFFI, Identità personale,
giustizia ed effettività, Torino, 2002, p. 4 ss.
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[solo] il singolo si afferra concettualmente nel suo esser-ci … Questo affidamento all’esser-ci è il segno indicatore della sua intima finitezza”39 nell’“isolamento dell’uomo nel suo esserci … [che significa] quel divenir-soli nel quale soltanto ogni uomo giunge nella vicinanza dell’essenziale di ogni cosa: in prossimità del mondo”40; in questo la solitudine del soggetto ‘singolo’ in quanto infungibile ed unico (il se stesso) rende conto della formazione di mondo quale formazione di senso ed è in questa direzione maieutico-ermeneutica che la formatività dell’arte e l’estetica del diritto possono dire qualche cosa circa la libertà dell’arbitrio che forma (procedere) e la forma che regola l’arbitrio dell’uomo libero (procedure)41.
L’essere formatore di mondo è allora – con Heidegger – l’esserci dell’uomo stesso nel suo ‘modo fondamentale’ (finitezza/solitudine)42 e cioè propriamente nell’“in quanto” che è il momento strutturale della manifestatività del mondo nella formatività dell’uomo; l’‘in quanto’, infatti, “si fonda in qualche modo nel senso dell’esser-ci stesso”43. Questo è ulteriormente chiarito dal considerare che il formare si svolge grazie ai due momenti della “accessibilità dell’ente in quanto tale” e
39 M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., pp. 378, 359; cfr.
ID., Essere e tempo, cit., p. 64. 40 ID., Concetti fondamentali di metafisica, p. 12. Nel prosieguo si accennerà
all’ambiguità della riflessione di Heidegger; argomenti critici sono proposti da L.
PAREYSON, Studi sull’esistenzialismo, Milano, 2001, p. 173 (si legge: considerando
il singolo esistenzialmente, “non si riesce a intendere come proprio l’esistenziale,
anonimo, neutrale, indistinto e indifferente, condizioni il costituirsi del singolo
anche nella sua autenticità: il singolo è minacciato dall’indifferenza
esistenziale”); nonché, anche con riferimento ai rilievi di Cornelio Fabro, da B.
ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, cit., p. 94 ss.
(si legge alle pp. 94-95, 97: nell’ottica di Heidegger, ogni gesto dell’uomo “non è
l’esercizio responsabile della sua libertà, ma è quel che gli accade di fare, è il
darsi della libertà, non lo scegliersi nella formazione dell’essere-libero, è
l’‘eventarsi’ del singolo esistente … La libertà dell’uomo se viene intesa come
‘eventarsi’ non può avere alcuna regola che la disciplini: è regola a se stessa
perché è senza regole”). 41 Vd., infra, §3, 4. Una discussione sulla differenziazione tra procedere e
procedure con riferimento all’attuale declinazione funzionale della ragione
giuridica in B. ROMANO, Sulla visione procedurale del diritto, Torino, 2001, p. 46
ss. 42 Cfr. M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 12. 43 Ivi, p. 367.
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della “manifestatività dell’ente in quanto tale”44 per i quali l’uomo ha mondo45; momenti che rendono la formazione di mondo secondo i due caratteri dell’in quanto e della totalità dell’ente.
L’uomo ha mondo perché ha accesso alla manifestatività della totalità sempre in quanto tale; ovvero l’ente si manifesta e l’uomo ne ha ‘comprensione’ in modo non funzionale-esecutivo (temporalità cronologica46) ma esistenziale-ermeneutico (temporalità narrativa47): comprende l’ente in quanto ente perché lo può cogliere nella sua totalità.
44 Ivi, p. 363. 45 Rispetto agli enti che non hanno accessibilità al mondo (enti materiali) e
che ne sono poveri (animali). 46 Vd. infra, §3. Heidegger – nella conferenza tenuta a Marburgo il 25 luglio
1924 (del 1925 è il Corso Prolegomeni alla storia del concetto di tempo che,
com’è noto, contiene una prima stesura di Essere e tempo) – descrive
emblematicamente la circolarità chiusa del tempo cronologico che appartiene ai
‘sistemi’ funzional-esecutivi : “Il coglimento determinate del tempo ha il
carattere della misurazione. La misurazione indica la durata e il quando, il da-
quando-a-quando. Un orologio segna il tempo. Un orologio è un sistema fisico
nel quale si ripete costantemente la stessa successione temporale di stati … La
ripetizione è ciclica. Ogni periodo ha la stessa durata temporale … Il tempo è
qualcosa in cui un ‘punto-ora’ … In quanto ‘ora’ esso è il possibile prima di un
poi, in quanto ‘poi’ è possibile poi di un prima. Generalmente questo tempo è
omogeneo”, ID., Il concetto di tempo, Milano, 1999, pp. 27-28. Cfr. ID.,
Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, cit., p. 397, (si legge: “I
movimenti della natura che noi determiniamo dal punto di vista spazio-
temporale, non corrono ‘nel tempo’ come ‘in’ una cerniera, ma come tali sono
completamente liberi dal tempo; si incontrano solo ‘nel’ tempo, nella misura in
cui il loro essere viene svelato come pura natura. Si incontrano ‘nel’ tempo che
noi stessi siamo”. 47 Vd. infra, §4. Cfr. P. RICOEUR, Tempo e racconto, vol. 1, cit., p. 91, (si
legge: “esiste tra l’attività di raccontare una storia e il carattere temporale
dell’esperienza umana una correlazione che non è puramente accidentale
[ovvero] …che il tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso
secondo un modulo narrativo, e che il racconto raggiunge la sua piena
significazione quando diventa una condizione dell’esistenza temporale”. Centrale
la distinzione tra tempo cronologico e tempo ec-statico nella narratività
dell’azione umana presentata in ID., Tempo e racconto, vol. 2, cit., pp. 175-176.
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'Artificiale' versus 'Artificioso'
Il termine ‘comprensione’ ora impiegato, appartiene all’ermeneutica e qui indica, proprio secondo la tradizione filosofica che gli è propria48, il contemporaneo distacco dall’‘oggettivizzazzione’ e dal ‘soggettivismo’ che sono i due metodi dell’analisi scientifica e della frammentazione nelle Weltanschauung. A proposito del primo scrive Heidegger: “Ogni ‘scienza’ … è un padroneggiamento conoscitivo, vale a dire una vittoria schiacciante sull’ente e un suo superamento, se non addirittura una sopraffazione. Tutto si compie nella modalità dell’oggettivizzazione”49; a proposito del soggettivismo, proprio con riferimento alla manifestatività ed alla formazione, nota: “La forma è solo una cornice che viene chiusa a posteriori intorno all’ente nella misura in cui questo è manifesto a noi? … se così è, questo significa: mondo significa la forma soggettiva e la consistenza formale della concezione che l’uomo ha dell’ente in sé … Ciò equivale palesemente a dire: il mondo non è niente in sé, bensì il prodotto formato dall’uomo, è soggettivo”50.
Orientare l’analisi verso l’orizzonte della comprensione per tentare una chiarificazione dell’artificialità e della forma del diritto significa far riferimento a quel “sapere essenziale” “di tutt’altro genere”, proprio della filosofia, che “mira a ciò che l’ente è nel suo fondamento, mira cioè all’essere. Il ‘sapere’ essenziale non padroneggia ciò che intende sapere, ma ne è piuttosto toccato”51. Questo significa anche chiarire in che modo deve essere intesa la manifestatività dell’essere dell’ente e la formatività del mondo dell’uomo: non come ri-produzione, non come sopraffazione, ma come ‘interpretazione’52.
48 Cfr. spec. ID., Spiegare e comprendere, in Dal testo all’azione, Milano,
1989, pp. 155-169. In argomento G. ZACCARIA, Expliquer et comprendre,
argumentation et interprétation dans la philosophie du droit de Paul Ricoeur, in
A.A.V.V., La sagesse pratique. Autor de l’oeuvre de Paul Ricoeur, Amiens, 1998,
pp. 133-142. Di primo interesse quanto scrive Heidegger a proposito del
comprendere (Verstehen) “a partire dalla svelatezza dell’essere”, M. HEIDEGGER,
Che cos’è metafisica?, Milano, 2001, p. 108. 49 ID., Parmenide, cit., p. 35. 50 ID., Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 364. 51 ID., Parmenide, cit., p. 35. 52 Nel senso veritativo dell’ermeneutica fenomenologica espressa da P.
RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, cit., pp. 5-6 (in particolare si legge: “La
condizione ermeneutica diviene … coestensiva alla condizione itinerante: l’homo
viator e l’homo ermeneuticus si spiegano in un unico contesto di non assolutezza
ed insieme di inderogabile richiesta di una meta ricca di significato”) e da L.
PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 1971, p. 53 (in particolare si legge:
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L’estetica, filosoficamente pensata, vuole proprio interrogare il diritto nella sua essenza e dunque comprendere la formatività secondo uno svelare ciò che rimane velato – come si è detto con Heidegger – che Pareyson chiarisce mirabilmente notando come “l’inconoscibilità oggettiva di ciò che fonda e quindi trascende la distinzione fra soggetto e oggetto … è inafferrabile come essere … Questo fa sì che l’essere retroceda di continuo, e si dia solo sottraendosi”53; un movimento, questo del darsi traendosi, dello svelare ciò che vela, che – in Pareyson – è qualificato nel rapporto verità/persona e – in questo studio – si qualifica nel rapporto verità/diritto54.
In questa direzione pare centrale – e forse raramente o mai così esplicitamente espressa – la ‘qualificazione’ di Mondo che Heidegger propone nel Corso del ’29-’30; le considerazioni svolte sin ora, infatti, illuminano quanto il filosofo tedesco scrive, qui riferito alla formatività del mondo nella deiezione dell’uomo: “ciò di cui tratta la filosofia, si dischiude in generale solamente in e a partire da una trasformazione dell’esserci umano … la conoscenza filosofica dell’essenza del mondo non è mai e poi mai una presa di conoscenza di qualcosa di sussistente, bensì il dischiudersi afferrante concettualmente di qualcosa in un interrogare diretto in un senso determinato, il quale, in quanto interrogare, non riduce mai l’interrogato a qualcosa di sussistente”55.
“della verità non c’è che interpretazione e non c’è interpretazione che della
verità”). 53 ID., Esistenza e persona, Genova, 1985, pp. 19-20. 54 Vd. infra, §4. È evidente che i due rapporti sono strettamente legati e che
il richiamo a Pareyson non è marginale ma essenziale per la delineazione di
un’estetica pensata filosoficamente quale estetica del diritto. Svolge il rapporto
tra diritto e dimensione veritativamente esistenziale con specifico riferimento a
Søren Kierkegaard B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, Milano, 1979. 55 M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 373.
Giustamente Vincenzo Costa, presentando un’interpretazione di Heidegger che
muove anche dal Corso ‘29-’30, nota come a spingere Heidegger verso una
chiarificazione della differenziazione dell’uomo dall’animale, oltre alle influenze
della nascente antropologia filosofica, sia stata l’esigenza teoretica di “chiarire
perché solo l’uomo ha una comprensione della nozione di verità, perché solo per
l’essere umano qualcosa può essere vero o falso, giusto o sbagliato, invece che
semplicemente piacevole o spiacevole”, V. COSTA, Esperire e parlare, Milano,
2006, p. 21.
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È in questo continuo sottrarsi al confinamento fattuale e meramente funzionale che anche il diritto e le forme ‘reali’56 nelle quali si manifesta ritrovano – per anticipare alcuni elementi della successiva argomentazione, §4 – la strutturazione aperta nell’orizzonte ermeneutico, contemporaneamente svelando la loro autentica ‘artificialità’: il loro non appartenere alla natura indistintamente identificata nella quale sarebbero iscritti ma, al contrario, la necessità della loro ‘istituzione’57.
La tesi per cui ‘l’uomo è formatore di mondo’, allora, ha il merito di sinteticamente sollecitare alla discussione circa il Mondo – non inteso quale sussistente sommatoria degli enti ma quale “manifestatività dell’ente in quanto tale nella sua totalità”58 – e la formazione-formatività
56 Si impiega questa qualificazione nel senso di J.-P. SARTRE, L’essere e il
nulla, Milano, 2002, p. 13 ss. (si legge: “L’esistente, in effetti non può ridursi ad
una serie finita di manifestazioni, poiché ciascuna di esse è un rapporto con un
soggetto in perpetuo cambiamento. Quando anche un oggetto si offrisse
attraverso una sola Abschattung, il solo fatto di essere soggetto implica pur
sempre la possibilità di moltiplicare i punti di vista su questa Abschattung. …
Così l’apparizione che è finita indica se stessa nella sua finitezza, ma esige, nel
medesimo tempo, per esser colta come apparizione-di-ciò-che-appare, d’essere
superata verso l’infinito. Questa nuova polarità, il ‘finito e l’infinito’, o meglio
‘l’infinito nel finito’, si sostituisce al dualismo dell’essere e dell’apparire: ciò che
appare, infatti, è solamente un aspetto dell’oggetto e l’oggetto è tutto intero in
questo aspetto, e tutto fuori di esso”. … Così il fuori si oppone di nuovo al
dentro, e l’essere-che-non-appare all’apparizione”). In questa direzione cfr. A.
FALZEA, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano,
1999, p. 427; in tema anche G. CAPOZZI, Temporalità e norma, Napoli, 1979, p.
91 ss. 57 La dimensione speculativa dell’instituere giuridico è quella discussa e
chiarificata da P. LEGENDRE, Leçons I, cit., p. 115 ss.; ID., Il giurista artista della
ragione, Torino, 2000, p. 110 ss. e B. ROMANO, Il diritto tra causare e istituire,
Torino, 2000, p. 217 ss.; un’approfondita analisi del concetto e della dimensione
giuridica del vitam instituere anche con riferimento alla “estetica dell’istituire
giuridico” in L. AVITABILE, La filosofia del diritto in Pierre Legendre, cit., pp. 97
ss., 201 ss. 58 M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 384 (si legge: a
proposito del concetto di mondo “è particolarmente importante chiarirsi questo
fraintendimento, perché questo nome fa sì che appaia particolarmente ovvio
concepire quanto viene inteso come sussistente, il mondo come somma”).
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dell’opera umana che, in quanto tale, è artificiale attestazione di Senso; in altri termini, è formatività di Mondo.
L’uomo è davvero formatore di mondo in quanto è l’unico (l’ente materiale è senza mondo, l’animale è povero di mondo) ad abitare la possibilità di dare un proprio Senso al Mondo; è, dunque, ‘creativo’ in questo abitare lo spazio u-topico (proprio dell’arte59) dell’edificante istituzione del Senso mondano. Essere formatore significa essere nel mondo nella deiezione temporale di un pro-getto (al contrario degli enti materiali che non hanno mondo ma sussistono semplicemente nel mondo60) di cui si è esistenzialmente autori (e non semplici esecutori come gli animali viventi nel ‘cerchio ambientale’61). Come nota Costa a proposito della specificità dell’umanità dell’uomo, “ ciò che appare è determinato dall’apertura storica di un mondo, dal progetto di senso in cui è gettato … siamo esseri storici nel fondo del nostro essere”62.
Tutto questo, per il diritto, si traduce nella possibilità umana di istituire le norme e nel formarsi della giuridicità secondo l’in-formarsi alla giustizia. Le norme sono ‘artificiali’ perché ‘istituite’ nell’orizzonte ermeneutico che costituisce l’humus stesso della giuridicità; sono istituite nella possibilità creativa che è, assieme, co-istituiva (democrazia) e co-esistentiva (libertà).
Prese le distanze da un naturalismo giuridico che non riconosce la specificità dell’uomo, bisogna ulteriormente chiarificare l’ambito dell’artificialità (del diritto e delle sue forme) quale modalità creativa propria dell’umano esistere, secondo quel convenire-istituire detto giuridico. In altre parole, bisogna tentare di trovare una risposta alle questioni: che cosa significa istituire le norme giuridiche? Qual è la struttura della creatività istituente e quale quella dell’opera istituita? Cosa significa, insomma, che il diritto è artificiale?
59 Di primo interesse il verso di Hölderlin ‘Poeticamente abita l’uomo su
questa terra’ che Heidegger discute facendo risaltare la finitezza mondana del
trascendente non trascendentale dell’arte che qualifica il vivere poetico
dell’uomo nel mondo; cfr. ID., Saggi e discorsi, Milano, 1976, p. 125 ss. 60 Cfr. ID., Concetti fondamentali di metafisica, cit., p. 255. 61 Cfr. ivi, p. 253. Tratta, attraverso Lorenz, di programme instinctif
dell’animalità dell’animale da differenziare dalla libertà di istituire dell’umanità
dell’uomo M. RICHIR, Phénomenologie et istitution simbolique, Paris, 1998, p.
254. 62 V. COSTA, Esperire e parlare, cit., p. 36.
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'Artificiale' versus 'Artificioso'
3. Artificiosità del diritto e caos della signoria La ripresa di tali questioni si inserisce nel nucleo speculativo
autenticamente essenziale che ha qualificato la riflessione mai sopita di filosofi e giuristi; riproponendo la questione della forma da discutere per chiarificare l’artificialità del diritto, si ritorna a discutere del principio e della specificità fenomenologica della giuridicità che ha impegnato da sempre le menti più sensibili alla ricerca della ratio iuris e più attente ai riverberi delle sue diverse possibili declinazioni.
In questa direzione, una pagina di Angelo Ermanno Cammarata che apre lo studio del 1936 sul formalismo e la qualificazione giuridica, acquista nuova luce e quasi appare efficace descrizione ante litteram del vivace dibattito recente63; nota il filosofo napoletano: “L’analisi del formalismo giuridico coincide in tutto con alcuni problemi di quella teoria generale del diritto che, se non è riuscita certamente ad effettuare il programma affidatole dai suoi primi corifei, quello cioè di soppiantare la ‘metafisica’ filosofia del diritto – in questi ultimi tempi, anzi, la tendenza a riassorbire la teoria generale del diritto su detta nell’orbita della filosofia del diritto è notevolmente accentuata – ha reso più acuto il bisogno da cui, in sostanza, era venuta alla luce, l’esigenza, cioè, di alcune nozioni in cui l’elemento logico del sapere giuridico apparisse scevro da un qualsiasi elemento di carattere storico. E, insoddisfatti di quanto abbia potuto dare la filosofia del diritto a riguardo, non sono mancati i giuristi che hanno creduto di poter procedere all’attuazione del compito, dichiarando di non volersi occupare e preoccupare di questioni e nozioni filosofiche, ed assegnando a tali loro ricerche un carattere ‘scientifico’”64.
63 Le riforme recenti del sistema universitario e professionale hanno dato
nuovi impulsi alla discussione circa il ruolo e la funzione del giurista; in tema si
può ricordare il Convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza di Roma,
cfr. C. ANGELICI (a cura di), La formazione del giurista, Milano, 2005, nonché
quello della civilistica italiana, V. SCALISI (a cura di), Scienza e insegnamento del
diritto civile in Italia, Milano, 2005, e l’opera A. GIULIANI - N. PICARDI (a cura di),
L’educazione giuridica, 5 voll., Napoli, 1975-1987. Di primo interesse –
sull’apporto della filosofia del diritto a questo dibattito – G. CARCATERRA, Quando
la norma incontra il fatto, in Rivista del notariato, 2005, n. 3, pp. 439-452; B.
ROMANO, Note sulla terzietà giuridica, in Rivista internazionale di filosofia del
diritto, 2006, n. 1, pp. 1-12. 64 A.E. CAMMARATA, Limiti tra formalismo e dogmatica nelle figure di
qualificazione giuridica, ora in Formalismo e sapere giuridico, Milano, 1963, pp.
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In questo incipit si dice del tentativo di sostituire la filosofia del diritto65 effettuato da parte della teoria generale del diritto, volto a ridurre il presunto spazio pre- o a- scientifico con l’affermazione di un jus scientificamente fondato; lo spazio che rimane per pensare filosoficamente l’essenza della normatività.
Se l’interesse per le “ricostruzioni dommatiche del contenuto dispositivo di uno o più sistemi di norme giuridiche non è certamente da contestare: è da contestare, invece, e nella maniera più recisa, che l’astrazione generalizzatrice possa da sola attingere il limite tra elementi logici ed elementi storici del sapere giuridico”66. Per dare seguito a questa contestazione articolandola in riflessione sull’essenza e sulla genesi del diritto è possibile muovere dalle ragioni che hanno determinato quell’atteggiamento di parte della scienza giuridica nei confronti della filosofia del diritto67, che con efficacia la pagina di Cammarata descrive.
347-348. Non si assume qui l’impostazione di Cammarata ma si prende da
esergo delle successive considerazioni il luogo specificamente citato. 65 Particolarmente significativo e ricco di conseguenze anche sulle analisi del
diritto successive al dibattito sull’avalutabilità delle scienze sociali divampato nei
primi anni del secolo scorso in Germania; efficace A. CAVALLI, Weber e Sombart e
la disputa sui giudizi di valore, in Quaderni di sociologia, 1964, n. 1, pp. 24-50;
nonché R. TREVES, Sociologia del diritto, Torino, 2002, spec. p. 222 ss. 66 A.E. CAMMARATA, op. cit., p. 248. 67 Naturalmente si registrano importanti riflessioni in senso contrario nella
letteratura non solo – ma prevalentemente – civilistica; alcuni riferimenti sono L.
MENGONI, Diritto e valori, Bologna, 1985; M. BARCELLONA, Diritto, sistema e senso,
Torino, 1999; A. FALZEA, Il civilista e le sfide di inizio millennio. Ricerca giuridica
ed etica dei valori, in Studi in onore di Piero Schlesinger, vol. 1, Milano, 2004,
pp. 49-78; G.B. FERRI, Autonomia privata e poteri del giudice, in Diritto e
giurisprudenza, 2004, n. 1, pp. 1-15; C. PUNZI, Il giurista e la speranza. Note
sulla filosofia del giudizio di Salvatore Satta, in Rivista internazionale di filosofia
del diritto, 2004, n. 1, pp. 11-23; G. BENEDETTI, La contemporaneità del civilista,
in V. SCALISI (a cura di), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia,
Milano, 2005, pp. 1229-1299; P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità,
Milano, 2005; V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile. Nella transizione al
postmoderno, Milano, 2005. Di particolare interesse, in questa direzione, i
contributi di G. BENEDETTI, G.B. FERRI, A. PUNZI su La missione del giureconsulto:
Filippo Vassalli, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2006, n. 4, pp.
593-636.
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Attualmente, la riflessione più radicale (sia nel lessico impiegato che negli argomenti sostenuti) pensa la questione del diritto come funzione della tecnica inserendo così anche la giuridicità nel più ampio dibattito filosofico sul post-moderno e sul post-umano68; “l’età della tecnica – nota ad esempio Umberto Galimberti – ha abolito questo scenario ‘umanistico’, e le domande di senso che sorgono restano inevase, non perché la tecnica non sia ancora abbastanza perfezionata, ma perché non rientra nel suo programma trovar risposte a simili domande. La tecnica infatti non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica funziona”69.
Così, si afferma che “la tecnica è l’essenza dell’uomo”70 nella convinzione, che non manca di tradursi nell’ambito giuridico, per la quale “Anche il diritto appartiene al mondo della tecnica … il suo senso è nel suo produttivo funzionare”71.
Proprio in quanto prodotto della tecnica e per la tecnica, in quanto prodotto tecnico, il diritto viene riconosciuto quale locus artificialis; “Il diritto – scrive infatti Natalino Irti – non accoglie né rispecchia le cose del mondo esterno, non le imita né riproduce. Ma conferisce ad esse un significato, che altrimenti non avrebbero”; sciolto oramai qualsiasi legame con una legge ultramondana che ne misura la validità, la norma “si ritrova per intero nella volontà di posizione. Nessun contenuto le è precluso; tutto può contenere … Se la norma è tutta nella volontà di posizione, e a mano a mano si allontana e separa dal diritto naturale e dai fondamenti terrestri; allora essa si risolve in un meccanismo artificiale, che gli uomini, mercé le battaglie della politica, indirizzano verso uno o altro scopo … La norma, ormai artificiale congegno, è chiamata a soddisfare funzioni”72.
In questo quadro di riferimento la stessa ‘forma’ nel/del diritto si degrada ad ‘in-forme’ manifestazione del vuoto nulla; ad essere un fatto storico confinato nella storica momentaneità del contingente: ‘prodotta’
68 Emblematicamente cfr. R. MARCHESINI, Post-human, Milano, 2002; una
discussione critica sugli effetti giuridici di questa direzione di pensiero in B.
ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, Torino, 2004. 69 U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Milano, 1999, p. 33; riprende criticamente
la macchinalizzazione dell’uomo e del diritto e ne discute gli esiti A. PUNZI,
L’ordine giuridico delle macchine, Torino, 2003. 70 U. GALIMBERTI, Psiche e techne, cit., p. 34. 71 N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., pp. 38, 49. 72 ID., Norma e luoghi, Roma-Bari, 2001, pp. 49-51.
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per funzionare e far funzionare. È certo un fatto posto dall’uomo – proprio come l’economia da cui ormai ha acquisito non solo il lessico ma anche la struttura73 – ma che si qualifica nella ‘nientità’74 dell’informe. Il passaggio è significativamente teorizzato da Irti: “Il problema della validità – del perché una norma valga come norma – si scioglie da ogni presupposto esterno, da ogni controllo di adeguatezza ad un ‘altro’ diritto. Donde l’indifferenza contenutistica, la possibilità che tutto diventi diritto”75; la conclusione coerente – avvertita dallo stesso Irti – rimane tutta interna ad una visione ‘chiusa’ della ragione giuridica: “Il problema della verità perde qualsiasi importanza; e, come esso si separa dalla bellezza artistica, così si fa estraneo e ignoto al diritto, il quale risponde ormai soltanto alla domanda sulla validità”76.
Di qui, per Irti, il “culto della forma”77 che si fa kelsenianamente ‘salvazione del diritto’78. Ma che tipo di forma qui si deve intendere?
È, invero, questo un passaggio delicato rispetto all’architettura stessa che regge l’estetica del diritto; passaggio che merita maggiore dedizione argomentativa.
Il culto della forma qui inteso, è infatti da ascrivere a quella ‘razionalità tecnica’ che consentirebbe al diritto di ordinare il caos; la razionalità tecnica con la quale governare la contingenza. A ben vedere, allora, non si ha alcuna forma ma solo – come meglio di preciserà oltre – un ordinato in-forme e lo stesso diritto si presenta come ordine del
73 Un’analisi sulla gerarchizzazzione da parte dell’economia rispetto alle altre
sfere sociali è condotta da B. ROMANO, Globalizzazione del commercio e
fenomenologia del diritto, Torino, 2001; ID., Filosofia e diritto dopo Luhmann,
Roma, 1996. Coniuga la dimensione dell’interesse all’assiologia giuridica A.
FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, Milano, 1996, p. 494. Significative
analisi descrittive sono compiute, tra gli altri, da M.G. FERRARESE, Le istituzioni
della globalizzazione, Bologna, 2000; G. DE MINICO, Regola. Comando e
consenso, Torino, 2004. 74 L’espressione ‘nientità del diritto’ è di N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., p.
25 e riecheggia la ‘nientità dell’ente’ di E. SEVERINO, Essenza del nichilismo,
Milano, 1995, p. 316. 75 N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., p. 24. 76 Ivi, pp. 25-26, il corsivo è mio. Del resto – a dimostrazione di questa
chiusura fattuale – proprio alla figura solida della sfera fa riferimento Irti nella
descrizione della realtà giuridica globalizzata, cfr. ID., Geo-diritto, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 2001, n. 4, p. 462. 77 ID., Nichilismo giuridico, cit., p. 26. 78 Ivi, p. 27.
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caos; come quel “sistema immunitario della società”79 che assume la forma e la funzione del ‘sistema assicurativo’80.
La ‘salvazione del diritto’ passerebbe dunque per un dimensionamento della giuridicità a “convenzione funzionale”81 (contrattualistica, perciò) nella quale la pagina nietzscheana trova salda ragione: posto che “nessuno di noi possiede un senso ereditario del diritto, per cui deve accontentarsi di diritti arbitrari, che sono l’espressione della necessità che esista un diritto”82, si prende atto che il “più antico e originario rapporto tra le persone che esista, [risiede] nel rapporto tra compratore e venditore, creditore e debitore: qui per la prima volta, si fece innanzi persona a persona, qui per la prima volta misurò persona a persona … l’uomo si caratterizzava come la creatura che misura valori, detta valori e stabilisce misure in quanto ‘animale apprezzante in sé’ … ‘ogni cosa ha un prezzo; tutto può essere comprato’ … Giustizia è, in questo primo gradino, la buona volontà, tra uomini di potenza pressappoco eguale, di mettersi reciprocamente d’accordo, di nuovamente ‘intendersi’ mediante un compromesso – e in ordine a uomini meno potenti, di costringere questi ad un mutuo compromesso”83.
Nel tempo in cui ‘globalizzazione economicistica’ e tecnologia avanzata sembrano dare effettività e compiutezza alla profezia nichilista nietzscheana84, il diritto è chiamato a ripensare la propria genesi.
79 Cfr. N. LUHMANN, Sistemi sociali, Bologna, 1991, p. 578; in argomento R.
ESPOSITO, Immunitas, Torino, 2002, p. 25 ss. 80 Cfr. F. EWALD, Diritto e rischio, Torino, 2004, pp. 12, 127 ss.; in argomento
C.B. MENGHI, Logica del diritto sociale, Torino, 2006, p. 19 ss. Segnando il nesso
tra sistema funzionale e sistema assicurativo, indicandone come rispettivi ed
emblematici esponenti Niklas Luhmann e François Ewald, non si disconosce
l’indipendenza dei due modelli e le differenziazioni teoretiche tra le due
riflessioni. 81 La differenziazione tra ‘convenzione funzionale’ e ‘convenzione esistenziale’
è operata da B. ROMANO, Critica della ragione procedurale, Roma, 1995, p. 31. 82 F. NIETZSCHE, Umano, troppo umano, vol. 1, Milano, 2004, af. 459, p. 253. 83 ID., Genealogia della morale, Milano, 1995, pp. 58-59. 84 Una chiara documentazione di ciò in B. ROMANO, Fondamentalismo
funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 155 ss. (l’analisi muove dal considerare
che “La condizione attuale dell’umanità è qualificata da un processo di
globalizzazione legato al convincimento, espresso o comunque vissuto, che
l’uomo sia oggi una entità spiegabile scientificamente … Quanto al diritto, si
constata un processo di crescente ingegnerizzazione che riguarda l’intera vita di
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Abbandonato ogni legame col ‘nomos della terra’85 e sciolti i riferimenti alla ‘carnalità del soggetto di diritto’86, si prende atto – da parte di alcuni sensibili interpreti del proprio tempo – del definitivo venir meno di ogni ‘altrimenti’, di ogni “altro diritto”87 da porre (o riconoscere) quale fondamento e misura del jus positum; così, “laicizzate le fonti del diritto e sciolto ogni legame con la teologia, le norme sono venute nell’esclusivo e totale dominio della volontà umana… L’accettazione del fortuito e dell’occasionale è la sola risposta dinanzi al tramonto di antiche o false unità. Bisogna lasciarsi vivere dalla contingenza …negare ogni criterio d’unità, quel consegnarsi al volere umano ed alla causalità del divenire, che getta le norme in un indefinito movimento, in un quotidiano nascere e morire …[queste, le norme,] perdono ogni tratto di immutabilità e definitività: esse sono prodotte, cioè …vengono dal nulla e possono esser ricacciate nel nulla …[ecco] il destino del diritto nel nostro tempo”88.
La norma, necessaria e al contempo arbitraria, sciolta da qualsiasi ratio diversa dal funzionamento procedurale, si fa prodotto storico che governa la contingenza storica. Il prodotto è sempre bene di ‘un’ tempo, il suo tempo di produzione; ‘normare’ diventa così ‘normalizzare’89
questo fenomeno, dall’attività legislativa a quella giurisdizionale”, ivi, p. 9);
l’espressione ‘globalizzazione economicistica’ è propria di Romano che ne discute
gli effetti sulla ragione giuridica; cfr. spec. ID., Globalizzazione del commercio e
fenomenologia del diritto, cit. 85 Cfr. C. SCHMITT, Nomos della terra, Milano, 1991; ne discute nella direzione
qui presa in considerazione N. IRTI, Norma e luoghi, cit., p. 25 ss. 86 Dell’uomo come soggetto incarnato, discusso e svelato – nel mistero
esistenziale dell’umanità – nel passaggio dall’oggettività all’esistenza, tratta P.
RICOEUR, Philosophie de la volonté, tome I, Paris, 1988, p. 18 ss. Di primo
interesse sulla struttura della soggettività giuridica, F. GALGANO, Struttura logica
e contenuto normativo del concetto di persona giuridica, in Rivista di diritto
civile, 1965, n. 5, pp. 553-633. 87 N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., p. 19. 88 Ivi, pp. 7-9, 47. 89 Di particolare intensità a riguardo B. ROMANO, Il riconoscimento come
relazione giuridica fondamentale, Roma, 1986, p. 141 ss. (si legge, a p. 142,
come elemento essenziale nel processo di trasformazione della soggettività
(riconoscimento) in soggettivittivismo (disponibilità del se-stesso) sia il
dimensionamento del diritto quale “‘normalità’ che è impostata da chi esercita la
volontà di disponibilità. Una tale normalità regola il mondo che viene dato. Avere
come regole del proprio divenire quelle costitutive del mondo che è imposto, è
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proceduralmente l’accadere, nell’assoluta disponibilità di ciò che avviene.
Pensare le conseguenze di questa via chiede di illuminarne i presupposti e cioè la struttura temporale e la struttura giuridica della norma90.
Sostenere la natura esclusivamente tecnica del diritto e delle norme ed affermare la loro caducità – la ‘perdita di unità’ è frammentazione intesa quale contingenza di validità – significa intendere la norma (ed il diritto quale insieme di norme) come un atto/fatto di volontà arbitraria volta ad evitare o risolvere i conflitti disfunzionali per favorire l’efficienza di un sistema (sia esso quello sociale, lavorativo, economico, etc.). In questo senso la regola sarà tanto funzionale quanto “è il senso di un atto di volontà rivolto intenzionalmente ad un certo comportamento umano”91 e, in quanto tale, vuole evitare ogni possibile conflitto proponendosi come legge del caso specifico92; oppure è quell’atto di volontà col quale il giudice decide il conflitto secondo equity93, dettando la legge del caso specifico non tanto in base ad un sistema normativo ma secondo le esigenze contingenti del caso stesso, avendo quale
‘essere normalizzato’ nel mondo ricevuto, non scelto, ma posto dal soggetto
della volontà di disponibilità ossia dal noi univoco”). Su ‘norma’ e ‘normale’ cfr.
H. KELSEN, Teoria generale delle norme, Torino, 1985, pp. 7-8; F. EWALD, Diritto e
rischio, cit., p. 29; N. IRTI, In dialogo su Nichilismo giuridico, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 2006, n. 2, p. 182. 90 Il termine ‘struttura’ è qui impiegato nel senso dell’indagine
fenomenologica circa la ‘forma’ del/nel diritto; appare così evidente il nesso con
l’utilizzo che ne fa P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 130 (si
legge: “Trasposto nell’ambito delle istituzioni, significa che i grandi edifici
normativi dell’umanità devono essere compresi come sottomessi a delle regole
di elaborazione e di equilibrio, ma anche suscettibili di iscriversi nei discorsi di
messa in scena e di stile multipli e diversificati come i popoli, le storie, le lingue,
ecc. ai quali appartengono”). Condivisibile, perciò, la considerazione circa i limiti
delle analisi strutturali formulata da G. GAVAZZI, Elementi di teoria del diritto,
Torino, 1984, p. 8. 91 H. KELSEN, Teoria generale delle norme, cit., p. 52. 92 Il riferimento immediato e più agevole è al normativismo formalistico così
come a momenti significativi di quello realistico; cfr. ID., ul. op. cit., p. 48 ss.;
ID., Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000; A. ROSS, Diritto e
giustizia, Torino, 1990, p. 29 ss. 93 Ricostruisce approfonditamente la struttura ed il senso dell’equity A.
CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, vol. 1, Milano, 1982, p. 535 ss.
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riferimento possibile (dunque non obbligatorio né vincolante) i predenti giudicati in situazioni simili94.
In entrambi i casi la norma ed il diritto hanno natura e funzione contingente, sono fatti prodotti per la previsione e la soluzione di altri fatti; sono così forme procedimentali95 che si formano per risolvere ‘una’ disfunzione e dipendono perciò dalla disfunzione (ipoteticamente da evitare o realmente da risolvere) che le genera. Come forme sono dunque forme formate in ‘un’ momento sulla base delle esigenze del momento: possiedono una temporalità cronologica perché si susseguono col mutare delle esigenze rimanendo confinate e dunque archiviate96 con la disfunzione alla quale si riferiscono: ‘vengono così dal nulla e possono ritornare nel nulla’.
Proprio perché il tempo diviene il puntistico susseguirsi di fatti arbitrariamente necessari che scorrono nei “nomo-dotti” procedurali97, le norme ed il diritto si presentano nell’irrazionale illogicità della volontà, intesa quale signoria.
Il salto tra elementi logici ed elementi storici – ricordato da Cammarata – si risolve, come si vedrà oltre, con la cancellazione dei primi ed il prevalere esclusivo dei secondi; cancellazione che rappresenta il disconoscimento di una struttura temporal-concettuale più distesa non secondariamente evidenziando l’epurazione di quei concetti
94 In argomento e per riferimenti specifici alla letteratura cfr. U. MATTEI,
Precedente giudiziario e stare decisis, in Digesto, sez. civ., vol. XIV, pp. 148-
167; ID., Il modello di Common Law, Torino, 2004. Di primo interesse, con
riferimento allo spazio del modello precedentistico nell’ordinamento italiano, G.
ALPA (a cura di), I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, 2
voll., Torino, 2000. 95 La struttura elastica del diritto post-moderno è delineata, non a caso
muovendo dai sistemi di common law, in M.G. FERRARESE, Le istituzioni della
globalizzazione, Bologna, 2000, p. 160 ss.; cfr. anche G. ZAGREBELSKI, Il diritto
mite, Torino, 1992, p. 11 ss.; A. GAMBARO - R. SACCO, Sistemi giuridici comparati,
Torino, 2002, p. 51 ss.; G. DE MINICO, Regole. Comando e consenso, cit., p. 8 ss. 96 Si riprenderà infra, §4, una diversa temporalità (quella narrativa) per la
quale le ‘memorie d’archivio’ – per usare l’espressione di Jaques Derrida –
acquistano una valenza formante e non solo formata; cfr. J. DERRIDA, Mal
d’archivio, Napoli, 1996; sull’orizzonte narrativo P. RICOEUR, La memoria, la
storia, l’oblio, Milano, 2003. 97 N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., p. 47; cfr. N. IRTI - E. SEVERINO, Dialogo su
diritto e tecnica, Roma-Bari, 2001.
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fondamentali (logicamente individuati ed individuabili) che hanno mosso la stessa teoria generale del diritto.
Se la tecnica si risolve nel mero funzionamento, e se questo non è altro che il procedere della contingenza, il diritto non può che ridursi a vuota forma, liquida perché adattabile a qualsiasi forma, priva di un contenuto: si afferma così quello che Romano ha inteso come Sistema del fondamentalismo funzionale retto dalla tesi di Luhmann per la quale ‘la funzione della funzione è la funzione’98.
Ritorna, ancora, la necessità di una regola che governi questo funzionamento, ma – come si è osservato con Nietzsche – nell’arbitrarietà convenzional-fattuale dei suoi possibili contenuti. Come efficacemente osserva Heidegger, la parola jus può essere “connessa con jubeo, che significa ingiungere, far fare sotto ingiunzione, determinare nel comportamento. Il comando è il fondamento essenziale del potere, nonché dell’‘essere in diritto’ e dell’‘avere diritto’. … Il comandare in quanto fondamento essenziale del potere implica ‘l’essere al di sopra’ il che è possibile solo come costante innalzarsi al di sopra degli altri, i quali sono dunque i sottostanti. … Di conseguenza la justitia ha un fondamento essenziale del tutto diverso dalla dékg, che dispiega invece la sua essenza in base all’Ãlòheia”99.
Il funzionamento funzionante scioglie ogni residuo legame con la giustizia in luogo, appunto, di quel diritto senza verità retto dalle esigenze della tecno-globalizzazione: “Bisogna convertire i luoghi da fondamenti costitutivi in pure dimensioni della norma; degradarli, per così dire, da fonti generatrici del diritto a campi di vigenza. Sostituire alla necessità di un inizio, all’originario destino di un concreto ordine, l’arbitrarietà delle scelte normative, l’artificialità del volere umano”100.
98 Cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, cit.,
p. 117 ss. (si legge a p. 169: “Nell’intera architettura delle sue opere, Luhmann
ha esplicitato con sufficiente coerenza interna questa tesi: ‘la funzione della
funzione è la funzione’; ha dunque avviato a pensare la giuridicità nella
prospettiva univoca del fondamentalismo funzionale, che consiste nel successo
operazionale della catena unitaria dei sistemi sociali, configurati dal nichilismo
‘perfetto’ perché la funzione funziona senza alcun senso per il se-stesso, è
extrasoggettiva, postumana”). 99 M. HEIDEGGER, Parmenide, cit., p. 93-94. Discute questi luoghi B. ROMANO,
Sulla trasformazione della terzietà giuridica, Torino, 2006, p. 27 ss. 100 N. IRTI, Geo-diritto, cit., p. 466. Di primo interesse in tema ID., Norme e
fatti, Milano, 1984, p. 30 ss.
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La formazione della norma quale atto d’imperio sembrerebbe in tal modo dover trovare quel fondamento scientifico che ha mosso la purezza del normativismo kelseniano come le altre varie teorie positivistiche della normatività101; formare qui significa ingiungere, im-porre la regola del sovra-stante al sotto-stante, nell’arbitrarietà dei contenuti e delle ragioni – irrilevanti perché meramente contingenti e fattuali – in base alle quali la legge è dettata.
La volontà di formare si fa atto di piena signoria dal momento che la norma istituita dipende in tutto – forma e contenuto – dalla volontà che la istituisce (voluntas dat esse rei).
Alcune precisazioni, però, appaiono essenziali per evidenziare gli aspetti incerti della via ora tratteggiata e sinteticamente riassumibile nei seguenti assunti generali:
a) il diritto deve essere scientificamente fondato per evitarne ogni giustificazione extragiuridica, dunque ideologica102;
b) facendo ‘epoché’ di componenti etico-morali, religiose, naturalistiche e comunque trascendentali, il diritto si presenta come funzione di norme103;
101 Non si intende qui operare una disamina della teoria kelseniana – si rinvia
esplicitamente alle analisi che compiutamente ne hanno mostrato limiti e virtù –
ma, per l’importanza assunta nella formazione di generazioni di giuristi e la
coerenza dello svolgimento che non ha mancato di trovare spazio anche nella
realtà contemporanea, se ne riprendono emblematicamente alcuni assunti
essenziali comuni, del resto, alle altre teorie positiviste del diritto, facendo salve
– naturalmente – le differenze, a volte anche notevoli, tra le varie teorie. Data
l’ampia letteratura, per tutti cfr. G. CARCATERRA, Corso di filosofia del diritto,
Roma, 1996, p. 69 ss. 102 Cfr. H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, pp.
59-60 (si legge: “la dottrina pura del diritto … vuole rappresentare il diritto come
è, senza legittimarlo come giusto o squalificarlo come ingiusto; essa si occupa
del diritto reale e possibile e non già del diritto giusto”); ID., La dottrina pura del
diritto, Torino, 1966, p. 123. In tema cfr. A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino,
1979, p. 12 (si legge: “Spogliato dalla sua funzione metafisica, il problema della
natura del diritto diventa il problema di come interpretare quel concetto di
‘diritto valido’ …che è parte costitutiva di ogni proposizione della scienza del
diritto”). 103 Cfr. H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., p. 93 (si legge: “Definendo
il diritto come norma o, più precisamente, come sistema di norme, come
ordinamento normativo, e limitando la scienza giuridica alla conoscenza ed alla
descrizione delle norme giuridiche e dei rapporti posti in essere da queste norme
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c) dovendo individuare scientificamente la giuridicità, si deve affermare che le norme sono qualificate dalla validità104.
Si intende così il diritto nel valere empirico del fatto; una fattualità che si afferma scevra di ogni possibilità logica di regolamentazione perché ormai abbandonata alla necessaria ed arbitraria volontà; come nota emblematicamente Kelsen in una lettera a Ulrich Klug, “Dar ‘fondamento’ a qualcosa significa dimostrare che è ‘vero’. Solo qualcosa che vuol essere vero e, quindi, può essere vero o falso, può essere ‘fondato’ … le norme non sono il prodotto di atti di pensiero, bensì il senso di atti di volontà, e sono quindi sempre ‘arbitrarie’”105. Un arbitrio irrazionale, questo, prodotto dal volontarismo normativo che rende la ‘volontà del signore’ (colui che sovrasta) unica fonte della normatività106.
Da un lato si ricerca il fondamento scientifico del diritto da cogliere nella purezza normativa; dall’altro se ne afferma quale elemento costitutivo l’empirica volontà e, conseguentemente, la natura non logica delle norme. La scientificità del diritto è negata dall’irrazionalità; le norme allora nascono dalla contingenza di chi è capace di imporle nel
tra i fatti da esse regolati, si tracciano i confini del diritto nei riguardi della
natura, e della scienza giuridica, in quanto scienza normativa, nei riguardi di
tutte le altre scienze”). Sul diritto quale ‘complesso di norme’ A. MERKL, Il
duplice volto del diritto, Milano, 1987, p. 3 ss.; intensamente Sergio Cotta
individua nella norma il prius logico del diritto, S. COTTA, Prospettive di filosofia
del diritto, Torino, 1979, p. 52; una chiara analisi del normativismo è condotta
da G. CARCATERRA, Il principio di normatività, Roma, 1984. Accosta – ma il
tentativo merita molta cautela – la ‘messa tra parentesi’ di Kelsen con quella di
Husserl L. BAGOLINI, Descrittiva pura del dato giuridico, in Rivista internazionale
di filosofia del diritto, 1955, n. 6, pp. 749-755. 104 Cfr. H. KELSEN, Teoria generale delle norme, cit., p. 54 (si legge: “‘Esser
valido’ in questo specifico senso oggettivo significa ‘dover essere osservato’.
Questa ‘validità’ di una norma è la sua specifica esistenza ideale. Il fatto che una
norma ‘sia valida’ significa che esiste. Una norma che non ‘sia valida’ non è una
norma, perché non è una norma che esiste”). Sulla validità a partire da una
norma di riconoscimento cfr. H.L.A. HART, Il concetto di diritto, Torino, 1991, p.
118 ss. Sulle aporie della teoria kelseniana della validità si rinvia a M.G. LOSANO,
Il rapporto tra validità ed efficacia nella dottrina pura del diritto, in Sociologia del
diritto, 1981, n. 2, pp. 5-23. 105 Così riportata da M.G. LOSANO, La dottrina pura del diritto dal logicismo
all’irrazionalismo, in H. KELSEN, Teoria generale delle norme, cit., pp. LII-LIII. 106 Cfr. H. KELSEN, ul. op. cit., p. 407 ss.
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momento (il sovrastante), non hanno alcuna logica né una possibile giustizia (dékg): servono a legittimare l’accadere come ‘coscienza spettatrice’107.
Ancora, da un lato si sostiene la validità quale elemento costitutivo della norma (Sollen) rifiutando qualsiasi legame con l’essere (Sein); dall’altro lato si afferma che condizione di validità (Sollen) è l’efficacia (Sein)108. Lo stato di fatto è allora, costitutivo del diritto nelle modalità della consuetudine e della desuetudine109 con la conseguenza che l’efficacia sembra sostituirsi alla validità: il fatto normativo imposto nella contingenza è efficace e dunque valido e giuridico.
Il formare e la forma sono – in questa direzione argomentativa – prodotti nella/della temporalità cronologica che nella empiria del momento si affermano quali ‘violenze che hanno avuto successo’110, prive di qualsiasi verità e dunque epurate di ogni direzionamento contenutistico, sia esso il solo valere di deduzioni logiche.
Ritorna così la lucida pagina di Cammarata nella quale si descrive la pretesa fondazione non ideologica né metafisica del jus e il tentativo di archiviare l’ars juris mediante l’artificiale tecnico, il quale forse – per quanto precede – meglio deve essere inteso quale artificioso ordine del caos.
Del resto, come osserva Emanuele Severino, “Perché il dominio non può essere esercitato? Ed esercitato senza limiti? Forse perché finisce col violare i diritti dell’uomo? Ma quale conoscenza è ormai in grado di
107 In tal senso cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo
‘perfetto’, cit., p. 219 ss. 108 Cfr. H. KELSEN, ul. op. cit., p. 140 ss. Sulla fallacia naturalistica rimane
classico ed insuperato G. CARCATERRA, Il problema della fallacia naturalistica,
Milano, 1967. 109 Cfr. H. KELSEN, ul. op. cit., p. 217 ss.; segnala e documenta il problema
M.G. LOSANO, Il rapporto tra validità ed efficacia nella dottrina pura del diritto,
cit., pp. 10 ss., 21 ss. 110 In questa direzione si muove, trattando dei processi rivoluzionari che
affermano un nuovo diritto con una nuova legalità, H. KELSEN, Lineamenti di
dottrina pura del diritto, cit., p. 100. Sul rapporto tra diritto e violenza J.-P.
SARTRE, Critique de la raison dialectique, tome I, Paris, 1985, p. 527 ss. (in
particolare si afferma “Il Terrore come potere giuridico” ovvero che “il Terrore è
giurisdizione”, p. 540).
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mostrare i veri diritti e di stabilire il vero limite che divide il diritto dalla stortura dell’uomo?”111
Alla morte dell’epistème filosofica segue necessariamente che “Se il sogno della verità è finito, allora la parola ‘verità’ non può significare altro che capacità di dominio, potenza, e la parola ‘errore’ impotenza. La ‘verità’ di una teoria è decisa dallo scontro pratico con l’avversario” il che si traduce immediatamente nei termini del diritto: “lo sfruttamento di classe e la violazione dei diritti dell’uomo non sono sintomi di un’‘ingiustizia’ – la morte della verità dell’epistème è insieme morte di ciò che la giustizia in verità è –, ma sono sintomi dell’impotenza”112.
Il “caos della necessità”113 si fa regola di signoria e, nella realtà attuale, prende le forme dal nuovo ‘sovrastante’: “La scienza moderna è la forma più potente di dominio perché è la forma più potente di previsione … La previsione si costituisce cioè all’interno dell’esperienza del divenire del mondo, cioè all’interno del processo in cui incominciano ad esistere gli oggetti della visione … Ma il dominio è appunto dominio del divenire del mondo”114.
111 E. SEVERINO, Legge e caso, Milano, 2002, p. 13. Ritenendo ormai superato
l’orizzonte ermeneutico, perché tramontato o perché compiuto nel nichilismo,
parte della riflessione filosofica ha ritenuto di dover decretare la frantumazione
della ricerca della verità (poetica) in proposte affabulatorie (meccanica); il che
equivale a sostenere che la “morte della filosofia” (ivi, p. 14) ha condotto alla
frammentazione della verità nella soggettivistica Weltanschauung (§2). Cfr. G.
VATTIMO, Oltre l’interpretazione, Roma-Bari, 2002; sulla meccanica con
riferimento al diritto P. GASPARRI, La meccanica del diritto, in Scritti giuridici in
onore di Francesco Carnelutti, vol. I, Padova, 1950, pp. 117-135; su meccanica
e poetica vd. anche il mio, Meccanica e poetica della normatività nell’indifferenza
della società, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2005, n. 1, pp. 117-
139. Diversamente, in questo studio si assume proprio l’orizzonte ermeneutico
da ridiscutere muovendo dalla temporalità dell’ente; i riferimenti – già proposti
ante, §2 – saranno discussi infra, §4, nella qualificazione della temporalità
narrativa. ' ' 112 E. SEVERINO, Legge e caso, p. 14. 113 L’espressione nietzschiana è discussa da M. HEIDEGGER, Nietzsche, Milano,
1994, p. 297 ss.; K. JASPERS, Nietzsche, Milano, 1996, p. 201 ss.; una riflessione
con riferimento al diritto in B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il
nichilismo 'perfetto', cit., pp. 80 ss., 123 ss. 114 E. SEVERINO, Legge e caso, cit., p. 15. Su previsione e decisione è
particolarmente attenta l’analisi del paradigma sistemico luhmanniano svolta da
B. ROMANO, ul. op. cit., p. 118 ss.
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Trova allora nuova forza anche quanto con Nietzsche si è osservato circa un diritto convenzionale ed arbitrario (qui inteso come artificioso) che risolve i rapporti tra uomini nel rapporto tra sovrastante e sottostante; ma, al contempo, nuova luce può trovare l’analisi di Heidegger sulla formazione di mondo115. Cancellato il riferimento alla ricerca della verità, l’uomo della tecnica si propone quale signore del mondo; è proprio l’uomo – ormai emancipato da ogni limite che non sia la condizione individuale di ‘sottostante’, di ‘errore’ – non più ‘formatore creativo di mondo’ ma – con Jean-Luc Nancy – ‘creatore di mondo’116. Una realtà che rimane individuata teoreticamente da uno dei pensatori classici del ‘900 che ha interrogato con intensità l’età della tecnica (di produzione); scrive Jean-Paul Sartre in avvio di L’essere e il nulla: “Il pensiero moderno ha realizzato un notevole progresso col ridurre l’esistente alla serie di apparizioni che lo manifestano”117 in tal modo – proprio secondo il filosofo francese – segnando il passaggio dell’umanità dell’uomo a ‘prodotto della prassi alienante’118. È in questa prassi
115 È una lettura che coglie l’ambiguità del pensiero heideggeriano, la matrice
nichilistica, con lo sbocco radicale che vuole la metafisica essere, appunto,
l’affermazione del nichilismo; cfr. spec. M. HEIDEGGER, Metafisica e nichilismo,
Genova, 2006, p. 138 ss.; in tema cfr. F.W. VON HERRMANN, Sentiero e metodo,
Genova, 1993; nonché le letture critiche di C. FABRO, Riflessioni sulla libertà,
Roma, 2004, pp. 13 ss., 99 ss. e B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il
nichilismo ‘perfetto’, cit., p. 80 ss. Rimane da pensare – ma ciò eccede i confini
ristretti di queste pagine – la ragione di quella ‘ambiguità’ che accomuna alcune
figure (Hegel, Nietzsche, Heidegger), legittimandone interpretazioni
intrinsecamente differenti; un’ambiguità che si crede strettamente legata al
pathos del pensatore pensante nell’epoca pensata, strettamente connessa alla
finitezza umana che non desiste dal voler pensare l’inspiegabile verità
dell’Essere. 116 Cfr. J.-L. NANCY, La creazione del mondo, Torino, 2003 (si legge alle pp.
11-12, 14: “l’uomo crea il mondo, che produce l’uomo, che a sua volta si crea
come valore assoluto e come godimento del valore assoluto … Chi parla oggi del
‘mondo’ denuncia insomma ogni riferimento a un ‘altro mondo’ o a un ‘oltre
mondo’. La ‘mondializzazione’ significa anche …. Che è in questo mondo – e
dunque come mondo, in assoluto – che si svolge quella che lo stesso Marx
chiama la produzione e/o la creazione dell’uomo … Il valore assoluto è, alla resa
dei conti, l’umanità incontrata nell’opera del lavoro, inteso come un lavoro
umano”). 117 J.-P. SARTRE, L’essere e il nulla, cit., p. 11. 118 Cfr. ID., Critique de la raison dialectique, tome I, cit., p. 510.
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'Artificiale' versus 'Artificioso'
alienante che trova fondamento il diritto arbitrario, e dunque, artificioso: fatto a-temporale, forma di signoria, caotico ordine del caos.
4. La forma e la fenomenalità del diritto artificiale: l’essenza
del diritto nella coalescenza di Vero, Bello e Giusto Invero appaiono fondate le principali critiche che sono state opposte
nel tempo a forme banali di naturalità del diritto119 (§2) anche se – coerentemente a questo assunto – non si può accogliere l’arbitrarietà ‘artificiosa’ del diritto (anch’essa spesso sostenuta dai detrattori del giusnaturalismo) che priva il jus di ogni contenuto cogliendolo quale mero esercizio di signoria (§3)120.
Ritorna, nella sua essenzialità, la questione che Pareyson propone delineando l’ontologia della libertà121 e qui intesa quale orizzonte speculativo nel quale si proietta il diritto nella riflessione che ne pensa la fenomenalità122: “è possibile evitare tanto il fanatismo quanto lo scetticismo … è possibile una concezione pluralista ma non relativistica della verità?”
Tale domanda chiede di riprendere – qui per identificare ed esplicitare il nesso tra elementi storici e logico-fenomenologici del diritto – il nesso tra verità e forma che illumina il fondamento (nihil est sine ratione)123.
119 Di primo interesse, invece, sul piano teoretico le analisi sul diritto naturale
in alcuni saggi ora contenuti in S. COTTA, Il diritto come sistema di valori, Milano,
2004 e nel volume di F. TODESCAN, Etiamsi daremus, Padova, 2003. Un’indagine
volta a riscoprire la natura del diritto è proposta da M.A. CATTANEO, Riflessioni
sull’umanesimo giuridico, Napoli, 2004; ID., Diritto e forza, Padova, 2005. 120 Anzi, è proprio l’assunto che impedisce di abbandonare la ragione
giuridica alla contingenza arbitraria dell’“eterno ritorno dell’uguale”; sulla nota
formula nietzschiana con specifico riferimento all’esito del diritto cfr. A.
BALLARINI, “Essere collettivo dominato”, Milano, 1982, p. 24 ss. 121 L. PAREYSON, Esistenza e persona, cit., pp. 10-11, il corsivo è mio. 122 Si mutua questa espressione – che qui è da leggere nel legame con la
formatività pareysoniana – dall’analisi di Michel Henry che scrive: “l’oggetto
della fenomenologia non sono le cose – i ‘fenomeni’ – ma la loro fenomenalità, il
modo in cui esse si mostrano”, M. HENRY, De la phénoménologie, tome I, Paris,
2003, p. 181, tr. mia, corsivo mio. 123 È questo del fondamento – nihil est sine ratione – il ‘principio dei principi’
attorno al quale è possibile discutere l’origine autenticamente fenomenologica
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Daniele M. Cananzi
L’iniziale ipotesi di lavoro formulabile a partire dalla conclusione circa l’artificialità del diritto (§1) è riassumibile nella tesi: il diritto si dà nell’opera che è formatività; in quanto tale è un’arte. L’analisi successiva, perciò, deve orientarsi a mettere in questione l’artificialità tentando una sintetica chiarificazione degli elementi dell’opera, della formatività e dell’arte che compongono – nella direzione di questo studio – l’estetica del diritto.
Richiamando il concetto di ‘formatività’ si vuole operare – come già anticipato – un esplicito rimando alla teorizzazione che ne ha reso Pareyson nella sua discussione dell’estetica non – avverte lo stesso filosofo torinese – come contemplazione (crocianamente nell’ottica della intuizione e dell’espressione124) ma come quel ‘fare’ che è proprio dell’arte: operare per inventare e, dunque, ‘formare’. In questo senso, proprio le pagine iniziali di Estetica. Teoria della formatività appaiono illuminanti per poi poter operare una lettura dell’intera filosofia pareysoniana nell’ottica della filosofia del diritto.
Il nesso con il diritto risulta evidente, infatti, leggendo che “si intende la forma come organismo, vivente di vita propria e dotato di una legalità interna: totalità irripetibile nella sua singolarità, indipendente nella sua autonomia, esemplare nel suo valore, conclusa e aperta insieme nella sua definitezza che racchiude un infinito, perfetta nell’armonia e unità della sua legge di coerenza, intera nell’adeguazione reciproca fra le parti e il tutto”125.
In questo breve passo si scorgono da subito le connessioni profonde con il diritto: la testualità della norma e la sua indipendenza dal proprio autore, la questione dell’interpretazione del suo dettato, la complessità della soggettività alla quale si riferisce che esiste nella scissione tra
del jus; cfr. spec. M. HEIDEGGER, Il principio di ragione, Milano, 2004, p. 23 ss. (si
legge alle pp. 16, 23: “In ogni sondare il fondo (Er-gründen) e in ogni fondare
(Be-gründen) ci troviamo su un cammino che porta al fondamento. … la tesi del
fondamento è il principio di tutti i princìpi … Tali princìpi primi sono il principio di
identità, il principio di differenza, il principio di non contraddizione e il principio
del terzo escluso”). Cfr. G. CARCATERRA, Le ambiguità e le implicazioni nichilistiche
della opposizione valutare-conoscere, in AA.VV., La società criticata, Napoli,
1974, pp. 193-225. 124 Cfr. L. PAREYSON, Estetica, cit., p. 7. 125 Ibidem. Sulla forma-formante cfr. E. CASSIRER, Tre studi sulla ‘forma
formans’, Bologna, 2003; sulla forma giuridica cfr. A. FALZEA, Introduzione alle
scienze giuridiche, cit., p. 59 ss.; nonché R. SACCO (a cura di), Il fatto, l’atto, il
negozio, Torino, 2005.
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'Artificiale' versus 'Artificioso'
finitezza ed infinito126. Caratteri, si esplicita con Pareyson, comuni anche all’arte in un legame di reciprocità col diritto che non risiede solo nell’esterna connessione tra fenomeni artificiali (§1), ma anche nell’interno comporsi tra dimensioni estetiche.
In questo senso, prendere campo preferendo Pareyson come interlocutore privilegiato rispetto a Croce non pare decisione di poco conto127; l’alternativa tra esperienza soggettivistica crociana e formatività artistica pareysoniana si riflette sulla presa di campo in forza al soggettivismo normativo (artificioso) oppure ad una ontologia giuridica (artificiale) che la domanda dalla quale si è ora mosso – proprio con Pareyson – ha il merito di chiarificare.
Per evitare di rimanere imbrigliati nelle aporie che una visione artificiosa della normatività mantiene aperte, è necessario tentare di illuminare la forma giuridica cogliendone il fondamento fenomenologico, e dunque la verità; è necessario tentare di chiarificare la struttura della giuridicità da cogliere tra formatività e temporalità dell’opera128. Così, come nota Romano, “la salvezza dell’uomo non è nell’opera ma nella funzione dell’opera che è di tenere l’uomo nell’apertura della verità dell’Essere”129.
126 Su questi elementi di particolare interesse G. CARCATERRA, Corso di filosofia
del diritto, cit., p. 218 ss.; ID., Del metodo nella interpretazione giuridica, in F.
MODUGNO (a cura di), Esperienze giuridiche del ‘900, Milano, 2000, p. 64 ss. 127 Efficace, nella sintesi, il panorama tracciato da S. GIVONE, Storia
dell’estetica, Roma-Bari, 2003 e le attente analisi proposte da A. TRIONE, Estetica
e novecento, Roma-Bari, 1996 e P. MONTANI, Estetica ed ermeneutica, Roma-
Bari, 2002. 128 Si tratterà di ‘opera’ giuridica facendovi rientrare le sue diverse
manifestazioni che vanno dalla disposizione normativa all’atto giudiziario, dalla
sentenza all’interpretazione dottrinaria, fino al volume della letteratura
scientifica; in queste e nelle altre sue forme l’opera giuridica acquista una
valenza propria della specie ma – al contempo – rimangono i comuni e più
fondamentali elementi del genere che, secondo l’analisi di queste pagine, fanno
appartenere il diritto e le sue manifestazioni alla dimensione estetica dell’arte.
Rimane da compiere perciò una sistematica analitica delle varie forme di opere
giuridiche, simile a quella che Emilio Betti ha computo con la sua Teoria generale
dell’interpretazione. Particolarmente rilevante R. SACCO, Formante, in Digesto,
disc. priv., vol. VIII, pp. 438-442. 129 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, Milano,
1969, p. 216 (si legge emblematicamente a proposito dell’insufficienza della
scienza giuridica, p. 221: “La scienza per restare tale deve pensare solo
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Ritornano le considerazioni formulate attraverso Heidegger e Pareyson (§2) circa la comprensione svelante della verità velata che, ora, possono aiutare a comprendere l’opera normativa attraverso cui si svela la verità velata del fenomeno giuridico130.
Il discrimine tra giustificazione volontaristica della signoria sovrastante (artificioso) e fondazione ontofenomenologica del jus (artificiale) sta proprio in quel “grande mistero dell’arte” – come efficacemente scrive Pareyson – per il quale “l’opera d’arte si fa da sé, eppure la fa l’artista”131; questo spinge perciò a chiarire la fenomenalità del diritto illuminata dalla “Perfezione dinamica dell’opera d’arte”132; significa svelare il nesso tra verità, forma e temporalità del diritto.
Dire che l’opera ‘si fa da sé ma che la fa l’artista’ significa chiarire l’artificialità nelle due componenti che rendono l’arte nel suo farsi opera: la compiutezza e l’artista che è ne autore. Se, da un lato, è lo stile e la personalità dell’artista che fa prendere forma all’opera fino alla sua definitiva compiutezza, dall’altro lato, proprio nel momento della riuscita l’artista si accorge che “pur nell’incerto procedere per tentativi, uno solo è stato il cammino effettivamente percorso … capisce che ciò ch’egli doveva cercare e saper trovare era lo svolgimento che non si poteva non dare”133; questo non significa che l’artista è semplice esecutore (tecnico) di un’opera già pre-ordinata che deve essere semplicemente formata – perché tutto “nel sorgere dello spunto dipende dall’attività dell’artista, e solo dentro e mediante quest’attività esso può presentarsi e agire nella sua indipendenza”134 – ma, al contrario, che l’artista nella
l’essente, infatti il pensiero scientifico dell’esattezza e della verità come certezza,
nel suo computare si può rapportare solo all’essente e solo ad esso può servire
… la signoria di questo tipo di pensiero ha conseguenze anche nei campi della
politica e del diritto. La politica invero non viene più pensata nel suo autentico
fondamento, ma diviene unicamente una nuda conformità allo scopo. Quanto al
diritto si assiste al passaggio da una posizione in cui la giurisprudenza si
regolava sulla giustizia, ad una opposta in cui la giurisprudenza riceve la sua
norma dal dato positivo della scienza giuridica”). 130 Sulla genesi fenomenologica del diritto cfr. ID., Filosofia del diritto, cit., p.
165 ss. 131 L. PAREYSON, Estetica, cit., p. 78. 132 Ivi, p. 97. 133 Ivi, pp. 79-80. 134 Ivi, p. 81.
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libertà del proprio arbitrio forma l’opera come ricerca, come sveltezza della verità (dell’Essere)135.
Questo trova una perfetta corresponsione con quanto è proprio del giurista, “artista della Ragione”136, e dell’opera giuridica; anche il giurista, infatti, tratta le norme non nell’arbitrarietà del loro valere in base al proprio volere, ma nella ricerca della verità. Tutto questo conduce ad ulteriormente precisare qual’è la struttura dell’opera nel dimensionamento temporale che la regge.
Se si può parlare di arte con riferimento al diritto e di artista rispetto al giurista è perché l’opera del diritto ha la stessa struttura di quella d’arte che, assieme, è ‘compiuta’ e ‘perfettibile’; una volta ‘riuscita’137 l’opera è compiuta ma non ancora perfetta e questo perfezionamento è un processo ‘dinamico’ senza fine che si svolge nella durata temporale138. Per quanto più interessa il diritto, ciò si traduce prendendo atto che l’opera è una domanda in attesa di risposta139 ed appartiene al circolo ermeneutico che “apre al futuro”140; è in tal senso che la forma si intende non semplicemente formata ma formante.
A ben vedere è la stessa dimensione dell’opera giuridica a smentire una strutturazione ‘chiusa’ del diritto; il diritto viene infatti ‘detto’ in ‘parole’ e queste sono soggette ad una intrinseca ‘ambiguità’141 metaforica142 che non deve essere ascritta a patologia da rimuovere ma alla stessa struttura ‘simbolica’ del linguaggio-discorso che eccede
135 Appare così evidente la differenza – ante segnalata, §1 – tra arbitrario ed
arbitrio. 136 P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 129. 137 Cfr. L. PAREYSON, Estetica, cit., p. 139. 138 Cfr. Ivi, p. 97 ss. 139 Vd. più ampiamente il mio, Interpretazione Alterità Giustizia, cit., spec.
Cap. II. 140 Cfr. L. PAREYSON, Estetica, cit., p. 97. Di particolare intesità – anche per gli
sviluppi futuri di questo studio – G. CAPOZZI, Tempo e storicità, Napoli, 1968. 141 Scrive Irti: “L’assenza di ambiguità è assenza di linguaggio”, N. IRTI,
Princìpi e problemi di interpretazione contrattuale, in ID., (a cura di),
L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, Padova, 2000, p. 638. 142 Cfr. P. RICOEUR, La metafora viva, Milano, 1997; di primo interesse P.
LEGENDRE, Paroles poétiques échappées du texte, Paris, 1982, p. 243.
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sempre il ‘detto’ per un ‘non-detto’. È questa l’essenza del linguaggio (die Sage, Inter-detto143) che differenzia retorica e poetica144.
Il testo normativo, infatti, una volta ‘compiuto’ con la promulgazione trova il proprio senso solo nella dinamica delle successive interpretazioni che ne ‘perfezionano’ il valere attraverso la giustizia dei/nei casi specifici. Come scrive Ricoeur “il testo diviene opera solo nell’interazione tra testo e ricettore”145. È in questo momento – da Ricoeur inteso quale Mimesis III146 – che il “mondo del testo” si apre al ‘mondo del lettore’147; l’incontro nel quale si avverte l’apertura della forma che – proprio secondo la riflessione ricoeuriana – si perfeziona nella narrazione (intersoggettività) e nel futuro (temporalità).
Se infatti la forma artistica – e specificatamente giuridica – non è una forma formata in un momento contingente e valida solo nel momento contingente, la temporalità non potrà essere puntistica (§3) ma narrativa, secondo il circolo ermeneutico ‘a spirale’148 della forma
143 Cfr. M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, Milano, 1999, p. 27
ss.; P. RICOEUR, La metafora viva, cit., p. 43; P. LEGENDRE, Les enfants du texte,
Paris, 1992, p. 25 ss.; B. ROMANO, Il diritto tra causare e istituire, cit., p. 86 ss. 144 Cfr. P. RICOEUR, La metafora viva, cit., pp. 10 ss., 43 ss. 145 P. RICOEUR, Tempo e racconto, vol. I, cit., p. 126, il corsivo è mio. 146 A proposito della triplice mimesis che rende i momenti successivi della
prefigurazione (Mimesis I), della configurazione (Mimesis II) e della rifigurazione
(Mimesis III) cfr. ID., op. ul. cit., p. 91 ss. Nota M. HEIDEGGER, Esser e tempo,
cit., p. 35: “occorre un’esplicazione originaria del tempo come orizzonte della
comprensione dell’essere a partire dalla temporalità quale essere dell’Esserci che
comprende l’essere”. 147 P. RICOEUR , Dal testo all’azione, cit., p. 108. 148 Nel volume di prossima pubblicazione si è sviluppato anche graficamente
il modello della temporalizzazione dell’interpretazione, dell’alterità e della
giustizia con riferimento alla figurazione della spirale muovendo dalle
sollecitazioni di ID., Tempo e racconto, vol. I, cit., p. 118-119 (si legge: “Se si
considera la struttura semantica dell’azione, le sue risorse simboliche o il
carattere temporale, il punto d’arrivo sembra riportare al punto di partenza …
Che l’analisi sia circolare è un dato di fatto. Ma si può superare l’obiezione del
circolo vizioso. A questo proposito preferirei parlare di una spirale senza fine che
fa passare la mediazione più volte per il medesimo punto, ma ad una altezza
diversa”) e di W. HASSEMER, Tatbestand und Typus, Köln, 1968, pp. 107-108 (si
legge: “L’interpretazione penale si svolge quindi formando un’immagine non
circolare ma più propriamente a spirale. Con ciò si intende dire che entrambi i
fattori del processo interpretativo, fattispecie (Tatbestand) e fatto interpretativo
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formante. La formatività dell’opera rende la forma del diritto una forma formante nell’orizzonte ermeneutico.
Si è in tal modo già segnato il nesso tra intersoggettività e temporalità che accomuna l’essere del diritto a quello dell’uomo. La spirale interpretativa dell’opera normativa è infatti la spirale temporal-relazionale della soggettività umana che, nei vari momenti e con diversi ruoli, vi partecipa. Da un lato si evidenzia la relazionalità intersoggettiva quale modalità originaria dell’uomo e costitutiva del diritto, dall’altro lato si chiarisce la temporalità narrativa nella quale l’intersoggettività si distende nei tre tempi del passato, del presente e del futuro.
L’opera giuridica, quale opera d’arte, non può evitare di venire da un passato che determina la necessarietà del presente sempre aperta all’interpretazione futura; l’essere – per l’uomo come per il diritto – è un essere-per-il-futuro, nella progettualità che marca l’agere mondano del soggetto e del fenomeno giuridico (§2).
Il diritto artificiale si costruisce proprio nell’essere un fenomeno ‘fatto con arte’149 e perciò, conseguentemente, nell’apertura della fenomenalità formativa che non risiede nel volere di signoria ma nel desiderio di giustizia.
Bisogna allora dar seguito all’invito di Ricoeur “di far diritto al diritto, di render giustizia alla giustizia” riconoscendo quello “statuto specifico del giuridico” 150 che risiede proprio nell’ordine del Giusto retto – almeno nella direzione che qui presenta l’estetica del diritto – nella inscindibile coalescenza con gli altri due fondamentali, il Vero e il Bello.
È in questo plesso che il jus ritrova il proprio fondamento non derivandolo dalla contingenza dello iubeo ma dalla bellezza della dékg, che – come indicato con Heidegger151 – dispiega la propria essenza in base all’Ãlòheia. Il diritto può davvero essere inteso come condizione esistenziale, custode della qualità ‘poetica’ dell’uomo, unico formatore di mondo152.
(Sachverhalt), non si stabiliscono reciprocamente una volta e con lo stesso
livello ermeneutico ma più volte e ogni volta con diversi, ‘superiori’, livelli
ermeneutici”, tr. mia). 149 Condivide questa linea etimologica anche N. IRTI, Diritto europeo e tecno-
economia, in Rivista di diritto civile, 2006, n. 1, p. 1. 150 P. RICOEUR, Il Giusto, cit., pp. 4, 3. 151 Vd. ante, §3. 152 Vd. ante, §2. Ritorna, ancora una volta, il verso di Hölderlin:
‘poeticamente abita l’uomo su questa terra’, corsivo mio. Nota efficacemente
Avitabile riprendendo alcuni spunti di Legendre: “L’estetica è un moto estensivo
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Disegnare una dimensione ‘poetica’ capace di rendere l’invenzione creativa dell’uomo nella formazione di mondo significa, per il diritto, rifuggire l’arbitrio degli elementi normativi crocianamente esauriti in “pseudo-concetti”153 legati alla contingenza arbitraria ed illogica dell’utile (§3) per qualificare gli elementi logici del sapere giuridico come strumenti tecnici essenziali che dimostrano, per la loro stessa presenza, la “controfattualità” del jus ovvero – per rimanere nel lessico di Romano154 – la “differenza nomologica” che declina il rapporto tra fenomenalità del diritto e giuridicità delle norme.
Già sostenere la logicità come struttura condizionale perché si abbia il diritto – così differenziandolo da forme legalizzate di violenza155 – significa “concepire che il sistema giuridico si sia costituito come discorso della Ragione”156 e dunque, rifiutando l’arbitrarietà della signoria, affermare con vigore teoretico il fondamento del giuridico: nihil est sine ratione157. Questa “messa in scena del principio di Ragione”158
delle espressioni sociali della figura dell’interdetto, laddove diventa necessario
che la questione estetica non sia privata della sua dimensione poetica, per poter
lottare contro il nichilismo”, L. AVITABILE, La filosofia del diritto in Pierre
Legendre, cit., p. 203. 153 Nota è l’invettiva di Croce contro la filosofia del diritto ed il suo intendere
il diritto quale costola dell’economia; cfr. B. CROCE, Lineamenti di una logica
come scienza del concetto puro, Napoli, 1905, p. 66; ID., Riduzione della
filosofia del diritto alla filosofia dell’economia, Napoli, 1926, p. 35 ss. 154 Cfr. B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., pp. 76, 149. 155 Essenziale l’argomentazione di P. RICOEUR, Le Juste, la justice et son
échec, in M. REVAUL D’ALLONES - F. AZOUVI (a cura di), Ricoeur, Paris, 2004, pp.
287-306. 156 P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 145. In tal senso
rimane centrale S. COTTA, Giustificazione e obbligatorietà delle norme, Milano,
1981 nel quale si svolge la tesi che “l’obbligatorietà delle norme derivi dalla loro
giustificazione in termini di ragione e che tale giustificazione trovi il suo
fondamento nell’ineliminabile struttura coesistenziale del vivere umano”, p. V.
Non a caso – nella medesima direzione – Carcaterra si domanda: “È possibile o
non è possibile giustificare un principio facendo appello alla verità?” e Ricoeur
precisa “in che modo giustificare l’idea che c’è sempre una risposta valida, senza
cadere sia nell’arbitrio, sia nella pretesa del giudice di ergersi a legislatore?”; G.
CARCATERRA, Logica del diritto e fondazione dei diritti umani, relazione tenuta
all’Università Federico II, Napoli, 4 aprile 2003; P. RICOEUR, Il Giusto, cit., p. 142. 157 La constatazione appare evidente se si prende in considerazione la
struttura logica del sillogismo giuridico che, se da un lato, appare quale ipotesi
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rappresenta il diritto quale garante e custode dello spazio ‘poetico’ e segna “l’altra dimensione del diritto”159 che ne fa un istituire ‘controfattuale’. Si deve così illuminare questa ratione del jus, qui identificata fenomenologicamente con lo ‘statuto specifico’ del Giusto. Non basta, infatti, affermare la logicità se non se ne svela anche l’essenza. Diversamente si correrebbe il rischio di poter intendere quali sinonimi l’ordine del giusto e quello dell’utile concludendo – come ricorsivamente nella storia del pensiero è pure accaduto – che ‘è giusto ciò che è utile per il più forte’160, il signore sovrastante nel momento contingente.
Proprio ‘andando alla cosa stessa’ dei due ordini se ne può invece cogliere la differenziazione: l’utile è sempre per ‘qualcuno’, il giusto è sempre per ‘ciascuno’161.
Ritornano centrali quegli elementi della mondanità finita dell’uomo che, con e oltre Heidegger162, sono stati indicati nominando il Mit-Dasein
di scuola che non può esaurire la complessità del giudizio giuridico, dall’altro
lato, non si può negare che il giudizio per essere davvero giuridico non potrà
sovvertirne la dinamica; in tema, essenziale per intendere la struttura
polisillogistica del ragionamento giuridico, G. CARCATERRA, Quando la norma
incontra il fatto, cit., pp. 446-447; di particolare intensità anche A. GIULIANI,
Giustizia e ordine economico, Milano, 1997; nonché – anche per gli ulteriori
sviluppi di queste pagine – G. CAPOZZI, Filosofia, scienza e ‘praxis’ del diritto,
Napoli, 1996. 158 P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., p. 146. 159 Ivi, p. 143. Non si tratta, dunque, di ricercare la ratio fondativa
eteronomamente in un ‘altro ordine’, in un ‘altro diritto’ (§3), ma di riconoscere
la ‘differenza nomologica’ che istituisce una ‘altra dimensione del diritto’,
ortonomamente individuata. Sull’ortonomia cfr. B. ROMANO, Ortonomia della
relazione giuridica, Roma, 1997. 160 È, come noto, la posizione di Trasimaco tramandataci da PLATONE,
Repubblica, I, 14, 341a, I, 16, 343 c; recentemente ha discusso questi luoghi
A.M. IACONO, La giustizia di Trasimaco e i filosofi del sospetto, in Ragion pratica,
2003, n. 20, pp. 167-185. 161 Anche su questo, più ampio svolgimento, proprio con riferimento ai due
pronomi, nel mio Interpretazione Alterità e Giustizia, cit., spec. Parte II. Cfr. P.
RICOEUR, Le cercle de la démonstration, ora in Lectures 1, Paris, 1991, pp. 219-
220. 162 Si è già accennato – e per i limiti di queste pagine non si indugerà oltre –
all’ambiguità del pensiero heideggeriano che ha trovato ampia discussione critica
in Fabro e Romano; si vuole qui indicare, in aggiunta, proprio la lettura critica
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(§2). È la ‘natura’ alterizzata della finitezza umana che rende ‘ciascun’ uomo soggetto nella libertà dell’arbitrio e, dunque, soggetto di diritto desideroso di giustizia perché desideroso di essere riconosciuto nella sua identità/unicità.
Ogni uomo – ciascun uomo – ha diritto di essere se stesso e la costruzione del Sé è un “compito”163 che può essere svolto solo con altri Sé nell’ottica di una giustizia non distributiva o retributiva ma ricostruttiva164.
In ciò il riferimento agli ordini del Vero (relazione), del Bello (forma) e del Giusto (relazione che prende forma) aprenti all’indisponibile condizione dell’Essere (in-finito) che forma il Mondo (finito). In tal modo – più specificatamente – si illumina il diritto che è tale solo se si in-forma alla giustizia e si chiarifica il giudizio giuridico che non è il ‘saldo’ della controversia; perché il saldo chiude lo scambio (economia, utile), il
che Ricoeur opera della ‘via corta’ – come la definisce – che conduce il filosofo
tedesco ad interrogare l’ontologia dell’Essere non approfondendo ulteriormente
la questione del Sé, inteso quale chi? non anonimo ma ‘incarnato’ in un se
stesso; così che non coglie pienamente gli esiti – anche e soprattutto per il
diritto – dell’“emergere della ‘parola’, sotto l’influenza dell’essere, [che] ripete
esattamente l’emergere del ‘ci’ … Così l’insorgere dell’‘esser-ci’ è legato alla
esigenza di fare del linguaggio una nostra opera”, P. RICOEUR, Il conflitto delle
interpretazioni, cit., pp. 249-250, tr. mia. 163 Ivi, p. 124. Rimane essenziale quanto Jaspers scrive a proposito
dell’esistenza e della possibilità dell’essere-nel-mondo come libertà; cfr. K.
JASPERS, Filosofia, vol. 2, cit., p. 25 ss. Proprio la riflessione ricoeuriana intende
chiarificare come l’alterità del se stesso muova dal ‘compito’ dell’identità
narrativa attraverso la dialettica idem/ipse (spirale) e non dal ‘compimento’ di
una identità/identificazione (s-)oggettiva (circolarità); cfr. P. RICOEUR, Sé come
un altro, cit., p. 231 ss.; approfondiscono questi aspetti D. JERVOLINO, Il cogito e
l’ermeneutica, Genova, 1993, p. 165 ss.; ID., L’amore difficile, Roma, 1995, p.
209 ss.; D. CANALE, Ricoeur e la dialettica del riconoscimento, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 2000, n. 3, p. 295 ss.; A. ARGIROFFI, Identità
personale giustizia ed effettività, cit., p. 47 ss. 164 Cfr. P. RICOEUR, Le Juste, la justice et son échec, cit., p. 301. Fuori da
questo orizzonte ricostruttivo del legame intersoggettivo, e dunque, del diritto al
riconoscimento, rimarrebbe incomprensibile quanto Scheler scrive a proposito
del diritto del colpevole alla punizione così come la stessa distinzione tra
comunità di individui e società di funzioni; recentemente ha discusso questi
luoghi scheleriani B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo
‘perfetto’, cit., pp. 161, 19.
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giudizio compone la lite ri-aprendo, ri-costruendo, la relazione alterizzata (diritto, giusto).
È in questo che trova fondamento la stessa capacità dell’uomo di formare il Mondo ma nell’indisponibilità dell’Essere e della sua stessa libertà formativa che bene Pareyson rappresenta nell’espressione ‘mistero dell’arte’165; Ricoeur tratta proprio di questo rendendo chiara la differenziazione tra ‘creazione’ della signoria arbitraria (§3) e ‘creatività’ del libero arbitrio (§2, 4) quando, chiudendo Le volontarie et l’involontaire, nota come “Volere non è creare” proprio per il “paradosso radicale della libertà umana” che rende il senso della poetica della volontà ma anche della poetica della normatività: “io sono libero e questa libertà è indisponibile”166.
Le chiavi speculative che reggono l’estetica del diritto forse sono racchiuse proprio in questo mistero che avvolge l’istituire le forme di ogni arte, anche di quella giuridica: istituire la forma è già al contempo individuarne il contenuto (forma dat esse rei)167. La questione estetica è
165 La dimensione del mistero riferita al diritto non è del resto nuova ;
introdotta da S. SATTA, Il mistero del processo, Milano, 1994 ha trovato
numerosi interpreti, recentemente G. LO CASTRO, Il mistero del diritto, Torino,
1997. 166 P. RICOEUR, Philosophie de la volonté, tome I, cit., pp. 456, 452, 29,
tr.mia. Nota puntualmente Amadio : “È nel concetto stesso di disponibile che
l’arte e la tecnica abbandonano il loro essere insieme e la tecnica si separa
dall’arte, la quale è tale in quanto cerca di manifestare ciò che non le è
disponibile, ciò che è irrappresentabile”, C. AMADIO, La politica fra arte e tecnica,
cit., p. 13. 167 In tal senso, di primo interesse la teoria delle forme di E. FAZZALARI,
Conoscenza e valori, Torino, 2004, p. 115 ss.; su forma/contenuto essenziale
anche A. FALZEA, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica,
cit., p. 171 ss. Si può così sottolineare come tra artificiale (forma dat esse rei)
ed artificioso (voluntas dat esse rei) si sia propriamente parlato di differenza di
livelli; l’uno coglie la fenomenalità del diritto ‘in quanto tale’ e, in quanto tale,
‘nella sua totalità’ (Heidegger), l’altro considera il normativo ‘per se stesso’ nella
fattualità incapace di avvertire la complessità del Senso nella struttura formante
della norma resa – con Croce, §2 – dicendo che con la soluzione pone sempre
anche il problema. Con ciò si vuole rifuggire una banalizzazione delle istanze
positivistiche nello spirito delle considerazioni di S. COTTA, Bobbio: un positivista
inquieto, in U. SCARPELLI (a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e
tendenze attuali, Milano, 1983, p. 41 ss. Del quale dà atto con approfondita
completezza A. PUNZI, L’essenza e il senso. Bobbio, Cotta e la fenomenologia del
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Daniele M. Cananzi
così ricondotta alla formula del vitam instituere168 che segna il momento di nascita della ‘controfattualità’ del diritto – come detto – aprendo l’altra dimensione del diritto. Istituire qui significa dar forma, formare, dunque inventare; l’invenzione creativa – in ogni arte – è sempre un creare liberamente ma secondo delle regole169 ed è sempre nella ricerca della verità, velata e indisponibile.
È questa la struttura della capacità istitutiva delle opere istituite nelle quali si qualifica una normatività non artificiosamente meccanica ma artificialmente poetica; un orizzonte, questo della poetica, che riconosce la forma nell’unicità indispensabile di contenuto (giusto) e contenitore (legale) per la quale l’uno non si può dare senza l’altro170. In questo, forse, è anche racchiusa la ragione del ricorso al lessico estetico che non ha mai abbandonato la riflessione sul jus.
Fuori da questo orizzonte scompare ogni riferimento non meramente retorico all’arte e si afferma un’autopoiesi meccanicistica171 che si traduce nell’archiviare l’artificialità del diritto e nell’affermare l’artificioso esercizio di signoria. Ma l’artista non è padrone della propria arte così come il giurista non lo è della Ragione; entrambi partecipano allo svelamento della verità ricercando la giustizia nella bellezza delle forme.
diritto, in corso di pubblicazione nel volume, a cura di Antonio Punzi, in memoria
di Norberto Bobbio. L’impiego qui compiuto di ‘artificioso’ trova un illustre
precedente – scoperto quando queste pagine erano già composte – in Betti che
così aggettiva le ‘costruzioni’ kelseniane, cfr. E. BETTI, Notazioni autobiografiche,
Padova, 1953, p. 23 (il luogo è ricordato da F. RICCOBONO, Emilio Betti e la
‘malattia kelseniana’, in V. FROSINI - F. RICCOBONO (a cura di), L’ermeneutica
giuridica di Emilio Betti, Milano, 1994, p. 159). 168 Ampiamente P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., pp. 80 ss.,
110 ss. 169 Cfr. D. JERVOLINO, Introduzione a P. RICOEUR, Filosofia e linguaggio, Milano,
1994, p. XXVII. Diversamente il ‘creatore’ è colui che pone anche le regole, colui
che ha disponibilità piena dell’Essere; per il giurista significa essere signore della
Ragione e dunque, con artificioso arbitrio, im-porre la propria volontà. L’essere
derivante dal nulla quale atto di creazione è pensato con profondità e coerenza
teoretica anche con riferimento al diritto da J.-P. SARTRE, Cahiers pour une
morale, Paris, 1983, pp. 145 ss., 156 ss. 170 Sul nesso tra forma e contenuto con riferimento alla libertà cfr. C.
AMADIO, op. cit., p. 20. 171 Cfr. P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, cit., pp. 148-149; B.
ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 23 ss.
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'Artificiale' versus 'Artificioso'
Difficilmente potrebbero trovare migliore epilogo le pagine – perlustrative e certo ancora non conclusive – dedicate a delineare l’estetica del diritto partendo dalla differenziazione tra ‘Artificiale’ ed ‘Artificioso’; riconoscendo una dimensione ‘altra’, poetica, del jus, la filosofia rivendica il proprio posto nella riflessione sulla giuridicità illuminata dai tre fondamentali del Vero, del Bello e del Giusto che, con la loro indisponibilità, rendono l’essenza dell’indisponibile libertà dell’uomo, formatore di Mondo, ‘artista della Ragione’.
Nota bibliografica
Si riportano, senza alcuna pretesa esaustività, alcuni riferimenti alla vasta
letteratura che ha pensato, nelle varie direzioni, il rapporto tra estetica e diritto.
Hanno trattato di ‘arte e diritto’ F. CARNELUTTI, Arte del diritto, Padova, 1949;
F. VASSALLI, Arte e vita nel diritto civile, in Scritti giuridici, vol. II, Milano, 1960,
pp. 395-414; opera un riferimento alla creazione dell’arte trattando dell’opera
del giurista S. COTTA, La sfida tecnologica, Bologna, 1968, p. 33; A. SPRANZI et
alii, Arte & economia, Milano, 1994; con riferimento all’interpretazione ed al
giudizio G. ZACCARIA, L’arte dell’interpretazione, Padova, 1990; G. ALPA, L’arte di
giudicare, Roma-Bari, 1996; con riferimento all’opera di Filippo Vassalli, G.B.
FERRI, Filippo Vassalli o il diritto civile come opera d’arte, Padova, 2002; di una
‘estetica della legge’ o ‘estetica del diritto’ hanno scritto G. MAGGIORE, Estetica
del diritto, in Studi giuridici in onore di Francesco Carnelutti, vol. I, Milano,
1950, pp. 275-294; C. MENGHI, La società dei desideri, Milano, 1990, spec. p.
10; con riferimento all’estetica di Friedrich W.J. Schelling, P. SAVARESE, Schelling
filosofo del diritto, Torino, 1996, p. 70 ss.; con riferimento a Jaspers, L.
AVITABILE, Diritto e osservatore, Milano, 1998, spec. pp. 217-221; e con
riferimento a Legendre, ID., La filosofia del diritto in Pierre Legendre, Torino,
2004, p. 221 ss.; di un nesso tra estetica e diritto trattano B. ROMANO, Il diritto
tra causare e istituire, Torino, 2000, p. 235 ss.; ID., Scienza giuridica senza
giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006, p. 214 ss.; L. LOMBARDI VALLAURI,
Giudizio giuridico, giudizio estetico, in S. NICOSIA (a cura di), Il giudizio, Roma,
2000, pp. 239-253; S. ANDRINI, Le Miroir de réel. Essai sur l’esthétique du droit,
Montchrestien, 1998; ID., La trascendenza necessaria: osservazioni in margine
ad un concetto di art juridique, in N. PICARDI - B. SASSONI - F. TREGGIARI (a cura
di), Diritto e processo, vol. 1, Napoli, 2001, pp. 21-33; D.M. CANANZI, Meccanica
e poetica della normatività nell’indifferenza della società, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 2005, n. 1, pp. 117-139; ID., ‘Zurück zu
den Sachen selbst’: umanesimo giuridico ed estetica del diritto, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 2006, n. 1, pp. 55-85. Segna il nesso tra
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Daniele M. Cananzi
l’estetica e la politica mantenendo il riferimento alla specificità fenomenologica
del diritto C. AMADIO, Fichte e la dimensione estetica della politica, Milano, 1994;
ID., La politica fra arte e tecnica, Torino, 2003.
Nella letteratura tedesca si segnala circa la Rechtsästhetik il volume di H.
TRIELP, Vom Stil des Rechts. Beiträge zur einer Ästhetik des Rechts, Heidelberg,
1947, nel quale si tratta di estetica con riferimento allo ‘stile’ del diritto ed alle
sue aperture anche al sovrasensibile (cfr. p. 37 ss.); più recentemente arte e
diritto sono accostati in H. JUNG (Hrsg.), Das Recht und die schönen Künste,
Baden-Baden, 1998; accenna all’estetica attraverso il concetto di armonia L.
PHILIPPS, Fibonacci und Kepler. Gerechtigkeit als Harmonie und als Maß ohne
Messbarkeit, la relazione, tenuta all’Università ‘La Sapienza’ è apparsa in
traduzione italiana in i-lex, 2006, n. 4, pp. 15-26.
Soprattutto nella letteratura francese sono apparsi negli ultimi anni
contributi che hanno accostato l’estetica ed il diritto; cfr. A. RENAUT, Le systéme
du droit, Paris, 1986, p. 53 ss.; L. FERRY, Philosophie politique, Paris, 1984, vol.
1, p. 109 ss., vol. 2, p. 210 ss.; P. LEGENDRE, Leçon I. La 901e Conclusion, Paris,
1998, p. 279 ss.; P. RICOEUR, Il Giusto, Torino, 1998, p. 125 ss.; J.-M. TRIGEAUD,
Justice et tolérance Bordeaux, 1997, p. 19 ss.; al tema è poi dedicato il fascicolo
Esthétique et droit, in Archives de philosophie de droit, 1996, n. 40.
Con riferimento specifico al passo di Celsio (D. I, 1,1) sopra citato (§1), ed
ora agilmente leggibile nella traduzione con testo a fronte a cura di S. SCHIPANI,
Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Digesti o Pandette dell'Imperatore
Giustiniano, Milano, 2005, p. 77, la letteratura è imponente; si rinvia a F.
CALASSO, Medio evo del diritto, Milano, 1954, p. 475; A. CARCATERRA, L’analisi del
‘ius’ e della ‘lex’ in elementi primi, in Studia et Documenta Historiae et Iuris,
1980, pp. 248-281; P. CERAMI, La concezione celsina del ‘ius’, in Annali del
Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 1985, pp. 5-250; F. GALLO, La
definizione celsina del ‘ius’, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 1987, pp.
7-52; V. SCARANO USSARI, L’ars dei giuristi, Torino, 1997, p. 111 ss.; con
riferimento alla letteratura tedesca, M. SCHERMAIER, Ulpian als ‘wahrer Philosoph’.
Notizien zum Selbstverständnis eines römischen Juristen, in Ars boni et aequi.
Festschrift fur Wolfgang Waldstein zum 65. Geburtstag, Stuttgart, 1993, pp.
303-322; W. WALDSTEIN, Römische Rechtswissenschaft und wahre Philosophie, in
Index, 1994, pp. 31-45; ID., Zum Problem der vera philosophia bei Ulpian, in
Collatio iuris romani. Études dédiées à Hans Ankum, Amsterdam, 1995, vol. II,
pp. 607-617.
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