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Attualità ARTE: FANTASIA O REALTÀ? Paul Klee, "Parnas", 1932 Non si tratta certamente di un interrogativo nuovo, dal momento che tutta la nostra storia dell’arte può essere letta ed interpretata attraverso questo binomio. L’opera d’arte, infatti, può essere intesa come una dimensione espressiva in cui si manifesta il mondo della fantasia e del sogno o, invece, può diventare il mezzo attraverso cui rappresentare la realtà naturale ed umana, con tutte le sue contraddizioni e conflitti. Due eventi attualmente in programmazione possono fornire interessanti spunti per riflettere su questi diversi modi di concepire la creazione artistica: il primo è l’allestimento delle “Storie del signor Keuner”, realizzato da Moni Ovadia e Roberto Andò per l’Arena del Sole di Bologna, mentre il secondo è la mostra “Paul Klee e il teatro magico”, organizzata dalla Fondazione Mazzotta di Milano. Lo spettacolo “Le storie del signor Keuner” merita una particolare attenzione, anche perché l’omonima opera di Bertolt Brecht non era stata affatto concepita come un testo per il teatro, ma piuttosto come una raccolta di frammenti di scrittura, in cui il grande drammaturgo tedesco aveva condensato alcune sue riflessioni sul significato della rappresentazione artistica. Per questa ragione le “Storie del signor Keuner” non raccontano affatto una “storia”, ma sono piuttosto delle brevi parabole (quello che i classici avrebbero chiamato “exempla”) e propongono problemi più che dare risposte. Moni Ovadia e Roberto Andò si sono inventati per questo lavoro un allestimento scenico molto strutturato sul piano comunicativo. Il racconto o meglio la lettura dei pensieri di Keuner è stata affidata ad una gamma eterogenea di personaggi pubblici (da Alessandro Bergonzoni a Gherardo Colombo, da Dario Fo ad Arnoldo Foà, da Sergio Romano a Gino Strada e molti altri), che si succedono attraverso filmati registrati e proiettati su uno schermo, posto in alto sul palcoscenico. 1) Moni Ovadia e Maxim Shamkov ballano un tango nel corso dello spettacolo file:///C|/L’Oculista Italiano/O.I. successivo/Materiale da esaminare/Brecht e Paul Klee/Arte e fantasia.htm (1 di 5)14/05/2007 9.55.25

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Attualità

ARTE: FANTASIA O REALTÀ?

Paul Klee, "Parnas", 1932

Non si tratta certamente di un interrogativo nuovo, dal momento che tutta la nostra storia dell’arte può essere letta ed interpretata attraverso questo binomio. L’opera d’arte, infatti, può essere intesa come una dimensione espressiva in cui si manifesta il mondo della fantasia e del sogno o, invece, può diventare il mezzo attraverso cui rappresentare la realtà naturale ed umana, con tutte le sue contraddizioni e conflitti. Due eventi attualmente in programmazione possono fornire interessanti spunti per riflettere su questi diversi modi di concepire la creazione artistica: il primo è l’allestimento delle “Storie del signor Keuner”, realizzato da Moni Ovadia e Roberto Andò per l’Arena del Sole di Bologna, mentre il secondo è la mostra “Paul Klee e il teatro magico”, organizzata dalla Fondazione Mazzotta di Milano. Lo spettacolo “Le storie del signor Keuner” merita una particolare attenzione, anche perché l’omonima opera di Bertolt Brecht non era stata affatto concepita come un testo per il teatro, ma piuttosto come una raccolta di frammenti di scrittura, in cui il grande drammaturgo tedesco aveva condensato alcune sue riflessioni sul significato della rappresentazione artistica. Per questa ragione le “Storie del signor Keuner” non raccontano affatto una “storia”, ma sono piuttosto delle brevi parabole (quello che i classici avrebbero chiamato “exempla”) e propongono problemi più che dare risposte.

Moni Ovadia e Roberto Andò si sono inventati per questo lavoro un allestimento scenico molto strutturato sul piano comunicativo. Il racconto o meglio la lettura dei pensieri di Keuner è stata affidata ad una gamma eterogenea di personaggi pubblici (da Alessandro Bergonzoni a Gherardo Colombo, da Dario Fo ad Arnoldo Foà, da Sergio Romano a Gino Strada e molti altri), che si succedono attraverso filmati registrati e proiettati su uno schermo, posto in alto sul palcoscenico.

1) Moni Ovadia e Maxim Shamkov ballano un tango nel corso dello

spettacolo

file:///C|/L’Oculista Italiano/O.I. successivo/Materiale da esaminare/Brecht e Paul Klee/Arte e fantasia.htm (1 di 5)14/05/2007 9.55.25

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Le loro letture sono accompagnate da accostamenti provocatori di immagini: Moro e il Cristo, il nazismo e Totò Riina, la morte di Falcone e il processo ad Andreotti. La platea “partecipa” alla pièce attraverso la coinvolgente e carismatica recitazione di Ovadia (che talvolta si siede tra il pubblico, diventando spettatore dell’opera di cui è attore) e le performance della sua straordinaria band (tutti uomini, ma travestiti da donne) e di alcune figure emblematiche del teatro brechtiano. In alto, su una trave, fa le sue apparizioni una cantante che, nello stile di Marlene Dietrich, accompagna ed enfatizza alcuni dei momenti salienti dello spettacolo.

Moni Ovadia e la sua band in un momento della pièce teatrale

Multimedialità, quindi, in un mix inconsueto e geniale di parole, gesti e musica, in cui risuonano idiomi diversi (gli attori, oltre che in italiano, cantano e recitano in inglese, tedesco, yiddish, spagnolo, francese, russo), abbinati ad elementi tipici del teatro epico. La scena, infatti, sembra rappresentare Berlino, da cui Brecht venne esiliato in quanto oppositore eccellente del nazismo ed in cui tornò dopo la guerra per scoprire, però, che il suo teatro era “prigioniero” di un nuovo altrettanto oppressivo totalitarismo: quello comunista.

Questa condizione di “esilio” permanente dalle proprie certezze non può che essere affine agli spettatori contemporanei, che hanno vissuto lo storico declino delle grandi ideologie e che sono tuttora alla ricerca di nuovi e rassicuranti sistemi di valori.Il signor Keuner è, dunque, l’alter ego di Brecht, che riflette a voce alta sulla funzione del teatro nel “rendere rappresentabili i gesti”; sull’uomo impegnato “a realizzare il suo prossimo errore”; su “Se i pescecani fossero uomini…” come sarebbe migliore il nostro mondo. Lo stesso Ovadia commenta: «Keuner ci ha sollecitati a una mise en scene in forma di esposizione di reperti “d'arte”, alla maniera scomposta di certe esposizioni del nostro tempo dominato dalla virtualità, in cui i frammenti di realtà sono in un esilio senza speranza. In questo consiste la lancinante bellezza del fare artistico nel nostro tempo, l'essere paradossalmente un disperato tentativo della realtà emozionale di non sparire nel buco nero della virtualità!»Una rappresentazione teatrale, quindi, decisamente non convenzionale, in cui viene esplicitamente richiamato il rapporto antitetico, ma dialettico del teatro di Brecht col mondo letterario di Kafka, nel quale la realtà non viene rappresentata ma, al contrario, trascesa e trasformata nella dimensione dell’immaginario. E proprio l’arte come mondo dell’immaginario è la chiave di lettura più idonea anche per accostarsi alle opere, proposte al pubblico dalla Fondazione Mazzotta nella rassegna “Klee e il teatro magico”.

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Più di 100 tele di Paul Klee sono state esposte lungo un percorso in cui alcuni aspetti fondamentali del pensiero e della prassi dell’artista svizzero sono stati esaminati attraverso il raffronto iconografico con circa 50 opere di grandi protagonisti dell’arte del fantastico, quali Francisco Goya, Giambattista Piranesi, Honoré Daumier, James Ensor, Alfred Kubin, Max Klinger, Ernst Kreidolf (in maggioranza appartenenti alla collezione permanente della Fondazione Mazzotta)

Paul Klee “Pesci che giocano” , 1917, acquarello su carta su cartoncino, 9,2x15,7 cm; Fondazione Mazzotta,

Milano

Il titolo della rassegna “Paul Klee e il teatro magico” è stato scelto proprio per sottolineare come tutto il mondo artistico Kleeiano sia appunto un “Zaubertheater” (“Teatro magico”), dove la finzione teatrale e l’impulso romantico verso il misterioso e l’oscuro si rispecchiano nelle immagini fantastiche e nelle figure simboliche, quali il mago, il demone o gli animali favolosi.Klee è stato un artista complesso, che pur essendo considerato insieme a Kandiskji uno dei più grandi maestri dell’astrattismo contemporaneo, non può essere rigidamente inquadrato in una specifica corrente pittorica.

Paul Klee “Artiges Kunststück”, 1918, Gesso, acquarello e penna su cartone,

24,3x15,8 cm; Staatliche Galerie Moritzburg, Halle

Molti quadri di Klee, infatti, mantengono un carattere prettamente figurativo e oscillano addirittura tra l’espressionismo romantico e una vaga intonazione surrealista. È stato osservato che “a differenza di Kandinskij, Klee non ha mai praticato l’astrattismo come unica forma espressiva, ma l’ha inserita in un più ampio bagaglio formale e visivo dove i segni e i colori hanno una maggiore libertà di evocazione e rappresentazione. Si potrebbe dire che, mentre per Kandinskij l’astrattismo rappresenta una meta, per Klee l’astrattismo è un punto di partenza per rifondare una pittura che rappresenti liberamente il mondo delle forme e delle idee”.

L’universo che Klee intendeva rappresentare è una sorta di “inframondo” o “regno intermedio”, distaccato da quello reale ed in bilico tra visibile e invisibile, tra astratto e figurativo.

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Per entrare in questo regno del fantastico bisognerebbe mettere da parte gli eccessivi intellettualismi e farsi guidare dall’istintività del bambino o dalla sensibilità vergine del primitivo, che lo stesso Klee esaltava come le fonti più pure dell’ispirazione artistica. Klee, figlio di una musicista di origine svizzera e di un insegnante di musica tedesco, compagno di una pianista, è stato a sua volta un grande innamorato della musica. Ha sempre suonato il suo violino, dal quale non si è mai separato, neanche quando venne mandato al fronte e solo negli ultimi dolorosi anni della sua vita una grave e debilitante malattia lo costrinse a smettere di suonare.

Paul Klee “Bambolina” (un ritratto), 1923, penna e acquarello su carta su

cartoncino, 30x22,3 cm, Pushkin-Museum, Mosca

Non è necessario essere dei critici esperti per percepire l’importanza che la musica ha avuto nell’opera di Klee: basti pensare che nel catalogo delle sue opere più di 500 titoli hanno come tema le maschere, la musica e il teatro! Delle volte la musica viene richiamata esplicitamente attraverso segni grafici (il segno di fermata, la S rovesciata o dei grafemi che richiamano le note del pentagramma), mentre in altre occasioni è evocata dai titoli delle opere, che spesso hanno anche una forte carica ironica.

Paul Klee “Cupo”, 1934, carboncino e colori a colla su mussola su cartone,

17,7x43,3 cm, Galleria d’Arte Moderna, Torino

Non bisogna, infatti, dimenticare che Klee, soprattutto nella prima fase della sua attività, amava utilizzare il disegno e la grafica come “strumenti di battaglia” per ironizzare sul reale.Oltretutto bisogna considerare che Klee è stato anche impegnato sul piano teorico nella formalizzazione del concetto di “arte”, soprattutto negli anni in cui insegnò al Bauhaus (1920-1930) e poi all'Accademia di Dusseldorf (dal 1930 al 1933, quando il regime nazista lo costrinse alle dimissioni, poiché giudicava la sua produzione "arte degenerata").

Ha anche elaborato una complessa teoria della policromia pittorica secondo cui “Rovesciando le posizioni più diffuse nell’avanguardia, che vedevano nell’essenza della musica la massima condizione di astrattezza cui ogni arte doveva aspirare, Klee considera la polifonia pittorica superiore a quella musicale, in quanto la pittura è in grado di assorbire e rendere con più efficacia la natura del movimento, senza soccombere alla fuggevolezza percettiva dell’elemento tempo.

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È nei Diari che troviamo l’espressione più estesa ed esplicita del concetto kleeiano di polifonia pittorica: «Il semplice movimento ci sembra banale. L’elemento tempo va eliminato. Ieri e oggi come contemporaneità.” (da “Fare pittorico ed essere musicale nell’opera di Paul Klee” di Daniela Gamba).Klee aveva una personalità poliedrica, che lo spingeva a coltivare intensamente molti interessi: oltre che la musica amava intensamente la poesia, la letteratura, la filosofia e le scienze naturali. Nei vent'anni più importanti della sua carriera ha realizzato ben 9.000 opere, in massima parte di piccolo formato, usando i supporti più disparati: dal foglio di carta, alla tavola di legno, alla tela coperta di gesso.

Paul Klee “Mumon come sposa”, 1938, acquarello su imprimitura a colla e

gesso su cotone su cartoncino, 55,8x38 cm, Städtisches Museum Mülheim an

der Ruhr

Se non riuscite a visitare la mostra milanese vi consigliamo di cogliere l’occasione di una prossima rassegna o di fare un mini-tour nei musei che ospitano permanentemente parte delle sue opere. Ne vale davvero la pena!

Ada Puglisi

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